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PARTE SECONDA: i Sacramenti

Ultimo Aggiornamento: 26/08/2010 16:23
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26/08/2010 16:13

Catechismo Tridentino
PARTE SECONDA: I SACRAMENTI


DEI SACRAMENTI IN GENERALE




148. La dottrina dei sacramenti è necessaria ai parroci


Se ogni parte della dottrina cristiana richiede nel Parroco sapere e diligenza, la dottrina dei sacramenti, necessaria per volere di Dio e fecondissima di bene, suppone in lui una capacità e uno zelo speciale, affinché i fedeli meditandola con cura e frequenza vengano preparati a ricevere in maniera degna e salutare misteri cosi eccelsi e sacrosanti. Nello stesso tempo i sacerdoti non si allontaneranno dalla norma di quella divina interdizione: Non date ciò che è santo ai cani, e non buttate le vostre perle davanti ai porci (Mt 7,6).

149. Il termine "sacramento"


Volendo trattare dei sacramenti in genere, è bene cominciare dal valore e significato del termine stesso, spiegandone i molteplici sensi, a fine di intendere più facilmente qual è quello nel quale viene usato in questo caso.

S'insegnerà pertanto ai fedeli che il vocabolo sacramento è stato adoperato in diverso senso dagli scrittori profani e da quelli sacri. I primi lo hanno applicato a quell'obbligazione per la quale ci costringiamo, con giuramento, a un qualche vincolo di servitù. Cosi il giuramento con cui i soldati promettevano fedeltà allo Stato, veniva chiamato sacramento militare; e questo sembra il significato più frequente della parola presso gli scrittori profani.

Ma i Padri latini che scrissero di argomenti sacri intesero per sacramento una cosa sacra che si mantiene occulta, nel medesimo senso cioè nel quale i Greci adoperavano la parola mistero. Appunto in questo senso si deve prendere la voce sacramento nell'epistola a quei di Efeso: Per far noto a noi il sacramento della sua volontà (Ep 1,9); e a Timoteo: Grande è il sacramento della pietà (1Tm 3,16); e nella Sapienza: Disconobbero i sacramenti di Dio (Sg 2,22). In questi passi e in altri molti, sacramento non significa altro che cosa sacra, nascosta ed occulta.

Perciò i Dottori latini giudicarono potersi rettamente chiamare sacramenti taluni segni sensibili i quali esteriormente mostrano, e quasi pongono sotto gli occhi, la grazia che producono, sebbene essi a detta di san Gregorio si possano anche dire sacramenti in quanto la divina virtù vi opera in segreto la salvezza, sotto il velame di segni corporei (Reg. 16). Né pensi qualcuno che tale vocabolo sia recente nella Chiesa; poiché chi scorre san Girolamo e sant'Agostino facilmente rileverà come questi antichi scrittori della nostra religione, a dimostrazione del medesimo oggetto di cui trattiamo, spessissimo adoperano la parola sacramento e talora quelle di simbolo, segno mistico, o di segno sacro. E basti, per il nome di sacramento, quanto abbiamo detto e che si può applicare anche ai sacramenti dell'antica legge: di questi ultimi però non è necessario dare istruzioni ai Parroci, essendo stati aboliti dalla legge evangelica e dalla grazia.

150. Definizione del sacramento


Oltre al significato del termine, illustrato fin qui, importa investigare diligentemente il valore e la natura del sacramento ed esporre ai fedeli che cosa sia.

Nessuno dubita che i sacramenti appartengano a quel genere di mezzi, che procacciano la salvezza e la giustizia. Ma sebbene siano molte le espressioni ritenute idonee a chiarire tale argomento, nessuna definizione appare più piana e lucida di quella data da sant'Agostino e seguita poi da tutti i dottori scolastici: Sacramento è un segno di cosa sacra (La Città di Dio, 10,5); o, per usare altre parole del medesimo significato: Sacramento è un segno visibile della grazia invisibile, istituito per la nostra giustificazione (S. Bernardo, Discorso della Cena,2).

151. Spiegazione della definizione: "un segno"

A meglio chiarire questa definizione, i Parroci la spiegheranno partitamente. Innanzi tutto insegneranno che sono due i generi delle cose percepite con i sensi. Esse infatti, o sono state inventate per significarne altre, oppure hanno la loro ragion d'essere in se stesse. Nella se conda categoria entrano quasi tutte le cose prodotte dalla natura; invece nella prima abbiamo le parole, la scrittura, i vessilli, le immagini, le trombe e altre cose simili.

Togliendo infatti a un vocabolo il suo ufficio di significare, si toglie al tempo stesso la sua ragion d'essere. Queste cose appunto sono dette propriamente segni, perché, come spiega sant'Agostino, il segno, oltre alla cosa che offre ai sensi ci fa anche prendere cognizione di un'altra cosa; come dall'orma impressa nel suolo subito ne deduciamo il passaggio di qualcuno, che ha lasciato appunto quest'impronta (Dottr. Crisi. 2,1).

152. Perché il sacramento si dice segno


Ciò posto, è evidente che il sacramento appartiene a quella categoria di cose che sono state istituite per significarne altre, in quanto per mezzo di un'immagine e di una similitudine rappresentano quel che Dio opera, per sua invisibile virtù, nelle anime. Per portare un esempio che renda più chiara la spiegazione, il Battesimo, cioè l'abluzione esterna con l'acqua mentre si pronuncia la formula prescritta, significa che per virtù dello Spirito santo ogni macchia di peccato e ogni turpitudine interiore viene mondata e le anime nostre si adornano del prezioso dono della giustizia celeste. Cosicché nel tempo stesso, come spiegheremo in seguito, detta abluzione corporale produce nell'anima quello che significa. Ma anche dalla Scrittura si ricava chiaramente che il sacramento deve collocarsi tra i segni. Infatti cosi scrive l'Apostolo ai Romani, sulla circoncisione, sacramento dell'antica legge dato ad Abramo padre di tutti i credenti (Gn 17,10): Egli ricevette il segno della circoncisione, segno della giustizia ricevuta per la fede (Rm 4,11). Afferma pure che noi tutti battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella sua morte (Rm 6,3). Qui giova rilevare che Battesimo significa per l'appunto (come dice l'Apostolo) che noi siamo stati insieme con lui sepolti nel Battesimo per morire (Rm 6,4). Molto gioverà al popolo fedele intendere che i sacramenti appartengono al genere dei segni, perché più facilmente si persuaderà che le cose da essi significate, contenute e prodotte, sono sante ed auguste; e una volta conosciuta la loro santità, sarà eccitato a venerare più profondamente la bontà di Dio verso di noi.

153. Il sacramento è un segno stabilito da Dio


Rimangono da spiegare le parole: di una cosa sacra, che costituiscono la seconda parte della definizione: ma per farlo più ampiamente è opportuno rifarsi da principio ad esaminare l'acuta e sottile trattazione di sant'Agostino sulla varietà dei segni (Dottr. Crist. 2,1).

Alcuni di essi si dicono naturali, perché producono in noi la cognizione non solo di se stessi, ma anche di qualche altra cosa (il che è comune ad ogni genere di segni come è stato detto sopra); il fumo, per esempio, accusa subito la presenza del fuoco. Questo segno si chiama naturale, perché il fumo non significa il fuoco per convenzione, ma per esperienza; chi vede il solo fumo, subito ne deduce la presenza e la forza del fuoco ancora latente.

Altri segni non sono naturali ma convenzionali ed inventati dagli uomini, per poter parlare tra di loro, aprire ad altri i sensi dell'animo proprio, e insieme conoscere i giudizi e i propositi degli altri. Questi sono molteplici e vari, come si rileva dal fatto che alcuni si riferiscono alla vista, molti all'udito, il resto agli altri sensi. Quando, per esempio, per manifestare qualche cosa agitiamo una bandiera, è chiaro che il segnale si riferisce esclusivamente alla vista; mentre il suono delle trombe, del flauto, della cetra, provocato non solo per diletto ma spesso per significare qualche cosa, spetta all'udito. Sopratutto in questo senso vanno prese le parole, le quali mirabilmente valgono ad esprimere i più riposti pensieri dell'animo.

Oltre ai segni costituiti per consenso e convenzione degli uomini, ve ne sono altri stabiliti da Dio, pur non essendo tutti, per comune consenso, del medesimo genere. Taluni infatti sono stati dati da Dio agli uomini, solo per significare o ricordare qualche cosa, come le purificazioni, il pane azimo e molte altre spettanti al culto mosaico; altri invece, non servono solo per significare, ma anche per produrre (un effetto). Tra questi ultimi si devono evidentemente enumerare i sacramenti della nuova legge, i quali appunto sono segni d'istituzione divina e non d'invenzione umana. Essi, come noi crediamo fermamente, hanno in sé la virtù d'operare quello che significano.

154. Differenza tra il sacramento e gli altri segni sacri


Come i segni sono di vari tipi, secondo che abbiamo mostrato, cosi anche le cose sacre sono di diverse specie. Per quel che riguarda la definizione dei sacramenti, gli scrittori ecclesiastici mostrano che sotto il nome di cosa sacra si deve intendere la grazia di Dio, che ci fa santi e ci adorna dell'abito di tutte le virtù divine. A buon diritto le attribuirono questo senso, perché per suo beneficio l'anima si consacra a Dio e a lui si congiunge. Pertanto, per chiarire più esplicitamente che cosa è sacramento, si dovrà spiegare che esso è una cosa sensibile, la quale per istituzione divina, ha la virtù non solo di significare, ma anche di produrre la santità e la giustizia. Donde segue, come ciascuno facilmente comprenderà, che le immagini dei santi, le croci e simili, pur essendo segni di cose sacre, non si possono chiamare sacramenti.

Sarà facile comprovare la verità di questa dottrina con l'esempio di tutti i sacramenti, facendo un'applicazione analoga a quella da noi esposta a proposito del Battesimo. Laddove facemmo osservare che la solenne abluzione del corpo è il segno ed ha l'efficacia di una realtà sacra che lo Spirito santo opera nell'interno dell'anima.

155. Molteplici significati dei sacramenti


Questi mistici segni istituiti da Dio sono destinati, sempre per divina disposizione, a significare non una sola cosa, ma molte insieme. Il che si rileva in tutti e singoli i sacramenti, i quali, oltre la santità e la giustizia, esprimono due altre cose strettissimamente congiunte con la santità: cioè la passione del Redentore, causa della santità, e la vita eterna, o celeste beatitudine, a cui, come a fine, la nostra santità è diretta. E poiché questo si può rilevare in tutti i sacramenti, a buon diritto gli scrittori ecclesiastici hanno insegnato che ogni sacramento ha un triplice significato: ricorda una cosa passata, indica e mostra una cosa presente, preannuncia una cosa futura.

Né si creda che questo loro insegnamento non sia suffragato dalla testimonianza della Scrittura. Quando l'Apostolo dice: Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, nella morte di lui siamo stati battezzati (Rm 6,3), chiaramente mostra che il Battesimo intanto è un segno, in quanto commemora la passione e la morte del Signore. E quando prosegue: Poiché siamo stati insieme con lui sepolti nel Battesimo per morire, affinché siccome Cristo risuscito da morte per gloria del Padre, cosi noi viviamo nuova vita (ib 4), vuoi significare che il Battesimo è un segno, per il quale viene infusa in noi la grazia celeste; grazia che ci da la forza di iniziare una nuova vita e di compiere con alacrità e con gioia tutti i doveri della vera pietà. E, nel concludere con l'espressione: Se noi siamo stati innestati alla raffigurazione della sua morte, lo saremo anche alla resurrezione (ib 5), vuole evidentemente insegnarci che il Battesimo significa anche la vita eterna, che appunto in forza di esso potremo un giorno conseguire.

Ma oltre alle varie specie di significati, ora menzionati, avviene spesso che un sacramento non esprima e figuri soltanto una cosa presente, ma molte; come facilmente si vede nel santissimo sacramento dell'Eucaristia. Esso significa insieme la reale presenza del corpo e del sangue del Signore, e la grazia che ne ricevono coloro i quali degnamente si accostano ai sacri misteri.

Da quanto abbiamo esposto non mancheranno ai Pastori argomenti per esporre quanta divina potenza e quali arcani miracoli si celino sotto i sacramenti della nuova legge; e quindi per persuadere ai fedeli di trattarli e riceverli con la più religiosa pietà.

156. Cause dell'istituzione dei sacramenti della nuova legge


Ad insegnare il retto uso dei sacramenti nulla è più adatto che esporre con diligenza le cause della loro istituzione. La prima consiste nella debolezza dell'intelletto umano, la cui natura è tale, che noi non possiamo aspirare di giungere alla cognizione delle cose intelligibili se non attraverso quelle sensibili. Ora, affinché noi potessimo più facilmente comprendere quello che opera la virtù di Dio, lo stesso divino Creatore con infinita sapienza ha provveduto, per sua benignità verso di noi, a esprimere questa virtù con taluni segni sensibili. Infatti, come ha scritto san Giovanni Crisostomo, se l'uomo non avesse avuto il corpo, gli sarebbero stati offerti quei beni nudi e senza involucro; ma essendo l'anima unita al corpo, è assolutamente necessario per lei servirsi delle cose sensibili per giungere a comprenderli (Hom. LXXXII in Matth. 4).

La seconda causa sta nel fatto che l'animo nostro non si muove facilmente a credere quel che gli viene promesso. Perciò Iddio, fin dal principio del mondo, ha avuto cura di ricordare frequentemente le sue promesse. Talora però nell'annunziare opere la cui grandiosità avrebbe potuto scuotere la fede nelle sue promesse, aggiunse alle parole altri segni, che avevano sovente l'aspetto di miracoli. Quando, ad esempio, Dio invio Mosè per liberare il popolo d'Israele, ed egli, nonostante il sostegno dell'aiuto di Dio che gli parlava, temeva di sobbarcarsi a un peso superiore alle sue forze, mentre il popolo, da parte sua, si sarebbe rifiutato di prestar fede agli oracoli divini, ecco che il Signore confermo la sua promessa con molti e vari prodigi (Esodo 3 segg.). Come dunque nell'antico Testamento Dio attesto con segni miracolosi la certezza di qualche sua grande promessa; cosi nella nuova legge Cristo redentore nostro, promettendo a noi il perdono dei peccati, la grazia celeste, la comunicazione dello Spirito santo, istituì alcuni segni capaci di colpire la vista e gli altri sensi, affinché servissero come di pegno per noi e c'impedissero di dubitare della sua fedeltà alle promesse.

La terza causa fu di far servire questi segni quali rimedi, come scrive sant'Ambrogio (In Lc 10,30, lib. 7, n. 73), e quali medicamenti del Samaritano evangelico, per ridare e conservare la salute delle anime. Infatti la virtù che emana dalla passione di Cristo, cioè la grazia che ci ha meritato sull'altare della croce, deve pervenire a noi, come attraverso un canale, mediante i sacramenti; in altra maniera, non c'è speranza di salute per nessuno. Perciò il clementissimo Signore volle lasciare alla Chiesa con la sanzione della sua parola e della sua promessa i santi sacramenti; affinché fermamente credessimo che per loro mezzo ci viene comunicato il frutto della sua passione, purché ciascuno applichi a sé con religiosa pietà questo farmaco di guarigione.

La quarta causa che ha reso necessaria l'istituzione dei sacramenti è stata quella di costituirli come caratteri e simboli di riconoscimento tra i fedeli. Infatti nessuna società umana può sussistere in un corpo unitario, vera o falsa che sia la sua religione, senza esser collegata da qualche segno visibile, come insegna sant'Agostino (Contr. Fausto, XXIX,11). Ora, i sacramenti della nuova legge offrono questa duplice funzione di distinguere i cristiani dagl'infedeli e di stringere fra loro in santo vincolo i fedeli medesimi.

Un'altra giustissima causa dell'istituzione dei sacramenti si può desumere da quelle parole dell'Apostolo: Col cuore si crede a giustizia; e con la bocca si fa confessione per la salvezza (Rm 10,10). Con i sacramenti noi professiamo e facciamo conoscere la nostra fede davanti agli uomini. Infatti ricevendo il Battesimo, pubblicamente attestiamo di credere che in virtù di quell'acqua che ci lava nel sacramento, avviene la purificazione spirituale dell'anima. Adunque i sacramenti hanno una grande efficacia non solo per eccitare ed alimentare la fede nelle anime nostre, ma anche per accendere quella carità, che dobbiamo nutrire gli uni per gli altri, ricordandoci di essere collegati da strettissimo vincolo e divenuti membri di un medesimo corpo, in virtù appunto della comunione dei sacri misteri.

Da ultimo, cosa di grande importanza per la cristiana pietà, i sacramenti domano e reprimono la superbia della mente umana e ci esercitano nell'umiltà; perché cosi siamo costretti ad assoggettarci ad elementi sensibili, per ubbidire a Dio, noi che da lui ci eravamo empiamente allontanati per servire agli elementi del mondo (Ga 4,9).

Tutto questo ci sembra opportuno doversi insegnare ai fedeli intorno al nome, alla natura ed alla istituzione dei sacramenti. Fatto questo con diligenza, bisognerà ancora spiegare di quali cose constino i singoli sacramenti, quali siano le loro parti, i riti e le cerimonie ad essi relative.

157. Materia e forma dei sacramenti


Bisognerà innanzi tutto far notare che la cosa sensibile, di cui si parla nella definizione del sacramento, non è unica, sebbene esso costituisca in verità un unico segno. Ogni sacramento, infatti, consta di due cose, una delle quali ha carattere di materia e si chiama elemento, l'altra di forma e si dice comunemente verbo, o parola. Questa è la dottrina ricevuta dai Padri; e può valere per tutti in proposito il notissimo passo di sant'Agostino: La parola si unisce all'elemento e si forma il sacramento (Tratt. in San Jn LXXX,3). Quindi col nome di cosa sensibile essi intendono sia la materia o elemento (l'acqua per il Battesimo, il crisma per la Confermazione, l'olio per l'Estremo Unzione, cose tutte che cadono sotto il senso della vista), sia le parole che hanno carattere di forma e cadono sotto l'udito. L'Apostolo ha chiaramente indicato l'una e l'altra cosa scrivendo: Cristo amo la Chiesa e diede per lei se stesso, a fine di santificarla mondandola con il lavacro dell'acqua mediante la parola di vita (Ep 5,25-26). Nel quale passo sono espresse la materia e la forma del sacramento.

Era necessario aggiungere le parole alla materia, perché divenisse più esplicito e chiaro il significato del rito. La parola infatti è il più perspicuo di tutti i segni; se essa manca, rimane oscuro il significato della materia dei sacramenti. Consideriamo p. es., il Battesimo. Siccome l'acqua ha il potere tanto di rinfrescare che di lavare, e potendo essere simbolo di entrambi, se non si aggiungono le parole, potrà forse taluno, per congettura, giudicare quale dei due sia il vero, ma non potrà mai affermarlo con certezza. Invece, adoperando le parole, comprendiamo subito che l'acqua ha la virtù e il significato di purificare.

Appunto in questo i nostri sacramenti si avvantaggiano su quelli dell'antica legge; i quali non avevano, per quanto ne sappiamo, nessuna determinata forma di amministrazione, riuscendo perciò incerti ed oscuri; i nostri invece hanno una formula cosi precisa, che allontanandosi da essa, cessa l'esistenza stessa del sacramento; essi riescono perciò ben chiari né lasciano luogo al dubbio. Tali dunque sono le parti che costituiscono la natura e la sostanza dei sacramenti, e di cui necessariamente consta ciascuno di essi.

158. Cerimonie dei sacramenti


Alla materia e alla forma si aggiungono le cerimonie, le quali, salvo il caso di necessità, non possono omettersi senza peccato, ma che pur omesse, non distruggono il valore del sacramento, poiché non appartengono all'essenza di esso. Giustamente fin dai primi tempi della Chiesa si è sempre usato di amministrare i sacramenti con solenni cerimonie. Innanzi tutto perché è sommamente conveniente tributare ai sacri misteri un tale culto religioso, affinché da santi trattassimo le cose sante. E in secondo luogo gli effetti del sacramento sono meglio chiariti dalle cerimonie, che quasi ce li pongono sotto gli occhi ed imprimono più altamente la loro santità nell'animo dei fedeli. Infine le cerimonie elevano la mente di chi le guarda e le osserva con diligenza al pensiero delle cose celesti, ed eccitano in lui la fede e la carità. Perciò bisogna adoperare grande cura e diligenza, affinché i fedeli conoscano a fondo il valore delle cerimonie proprie di ciascun sacramento.

159. Il numero dei sacramenti


Bisogna spiegare anche il numero dei sacramenti. Tale cognizione riuscirà utile ai fedeli, i quali con tanta maggiore pietà saranno indotti a lodare e magnificare la singolare bontà di Dio con tutta la potenza del cuore, quanto più vedranno che sono numerosi gli aiuti a noi preparati da Dio per conseguire la salvezza e la vita beata.

I sacramenti della Chiesa cattolica sono sette, come è provato dalla Scrittura, confermato dalla tradizione dei Padri e attestato dall'autorità dei Concili. Perché non siano né più né meno, si può mostrare, con plausibile argomentazione, dall'analogia che esiste tra le situazioni della vita naturale e quelle della vita soprannaturale. L'uomo infatti per cominciare la vita, conservarla e renderla utile per sé e per la società, ha bisogno di sette cose. E cioè, come individuo ha bisogno di nascere, crescere, alimentarsi, curarsi in caso di malattia, rafforzarsi in caso di debolezza; e, come membro della società ha bisogno di essere governato dall'autorità dei magistrati, che dovranno reggerlo e governarlo e inoltre ha bisogno di conservare se medesimo e tutta l'umana famiglia mediante la generazione di legittima prole. Ora tutto questo risponde appieno anche alla vita spirituale dell'anima; e qui appunto è riposta la ragione del numero settenario dei sacramenti.

Viene innanzi a tutti il Battesimo, porta degli altri sacramenti, per il quale rinasciamo a Cristo; poi la Confermazione che ci accresce ed irrobustisce nella grazia divina; il Signore infatti, come osserva sant'Agostino (Epist. CCLXV), disse agli apostoli già battezzati: Trattenetevi in città finché non siate investiti di potenza dall'alto (Lc 24,49). Indi l'Eucaristia, cibo che alimenta e sostiene il nostro spirito, avendo detto il Signore: La mia carne è davvero cibo, e il sangue mio è davvero bevanda (Jn 6,56). La Penitenza restituisce la sanità perduta per le ferite del peccato; l'Estrema Unzione cancella i residui del peccato e ricrea le forze dell'anima, secondo la testimonianza di san Giacomo su questo punto: Se (l'infermo) si trova con dei peccati, gli saranno rimessi (Gc 5,15). L'O r d i n e sacro dona la potestà di esercitare perennemente nella Chiesa il pubblico ministero dei sacramenti e compiere tutte le sacre funzioni. Da ultimo viene il Matrimonio, in virtù del quale, dal legittimo e santo connubio dell'uomo e della donna, sono procreati e religiosamente educati i figliuoli al culto di Dio e alla conservazione del genere umano.

160. I sacramenti non sono tutti ugualmente necessari


Importa sommamente notare che i sacramenti, pur avendo in sé una mirabile virtù divina, non hanno però tutti una pari necessità e dignità, né un solo e medesimo significato. Tre di essi sono necessari più degli altri, sebbene per motivi diversi. Il Battesimo è necessario a tutti senza eccezione, come ha dichiarato il Salvatore medesimo: Chi non rinascerà per acqua e Spirito santo non può entrare nel regno di Dio (Jn 3,5). La Penitenza è necessaria soltanto a coloro che, dopo il Battesimo, sono caduti in qualche peccato mortale. Essi non potranno sfuggire l'eterna dannazione, se non avranno fatto legittima penitenza del peccato commesso. L'Ordine sacro, infine, è necessarissimo non ai singoli fedeli ma a tutta la Chiesa.

Se guardiamo alla dignità, l'Eucaristia precede tutti gli altri per la santità, il numero e la grandezza dei suoi misteri; ciò s'intenderà meglio spiegando a suo luogo quel che si riferisce ai singoli sacramenti.

161. Gesù Cristo è l'autore dei sacramenti


Bisogna poi esaminare da chi abbiamo ricevuto questi santi e divini misteri, giacché il valore di un bel dono viene assai aumentato dalla dignità ed eccellenza del donatore. La risposta è facile. Essendo Dio la fonte della giustificazione degli uomini, ed essendo i sacramenti i mirabili strumenti di questa giustificazione, è evidente che noi dobbiamo riconoscere quest'unico e medesimo Iddio come autore, in Cristo, della giustificazione e dei sacramenti. Inoltre i sacramenti possiedono una forza efficace che penetra nell'interno dell'anima. Ora, poi ché appartiene esclusivamente a Dio penetrare nei cuori e nelle menti degli uomini, ne segue che Dio stesso ha istituito, per il tramite di Cristo, i sacramenti, come dobbiamo ritenere con fede certa e costante che è sempre Dio a dispensarne interiormente la virtù. Tale appunto è la testimonianza che il Battista dichiarava aver ricevuto in proposito: Chi mando me a battezzare in acqua, quegli mi disse: Colui, nel quale vedrai discendere e fermarsi lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito santo (Jn 1,33).

162. I ministri dei sacramenti


Dio, pur essendo l'autore e il dispensatore dei sacramenti, ha voluto che nella Chiesa ne fossero ministri non gli angeli, ma gli uomini. La tradizione costante dei Padri ci conferma che per produrre un sacramento, oltre alla materia e alla forma, si richiede anche il ministro. Questi ministri, mentre compiono quella data funzione, non agiscono in nome proprio, ma in persona di Cristo. Perciò, siano essi buoni o cattivi, purché adoperino la forma e la materia istituita da Cristo e sempre adoperata dalla Chiesa cattolica, e si propongano di fare quel che fa la Chiesa amministrandoli, producono e conferiscono veramente i sacramenti. Quindi nulla può impedire il frutto della grazia, a meno che coloro che li ricevono, vogliano da sé privarsi di un tanto bene e resistere allo Spirito santo.

Questa è stata sempre la sentenza certa e costante della Chiesa, come ha dimostrato chiarissimamente S. Agostino nel suo trattato contro i Donatisti: (Del Battes. contro i Donatisti, 3,10; 4,4; 5,19; Contro Cresc. 4,20). E se vogliamo argomenti scritturali, li troviamo in queste parole dell'Apostolo: Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma Dio ha fatto crescere; di guisa che sono nulla colui che pianta, e colui che irriga, ma solo Dio che fa crescere (1Co 3,6-7). Da questo passo rileviamo che come agli alberi non nuoce la malvagità di chi li ha coltivati, cosi nessun male può derivare in coloro che sono stati innestati in Cristo, da parte dei ministri per versi. Perciò, come i santi Padri c'insegnarono spiegando il Vangelo di san Giovanni (4,2), anche Giuda Iscariote battezzo molti, e non leggiamo che alcuno di essi fosse ribattezzato. Ciò ha fatto scrivere a sant'Agostino queste parole mirabili: Giuda ha battezzato e nessuno ha ribattezzato dopo di lui; il Battista ha battezzato e i suoi sono stati ribattezzati; perché il battesimo di Giuda, anche se dato da Giuda, era il battesimo di Cristo; mentre quello del Battista era del Battista. Giustamente quindi noi anteponiamo non Giuda a Giovanni, ma il battesimo di Cristo, anche amministrato da Giuda, a quello del Battista, anche se amministrato da lui in persona (In Jn 5,18).

Non per questo i Parroci e gli altri ministri dei sacramenti pensino, udendo ciò, che sia loro lecito trascurare l'integrità dei costumi e la purezza del cuore, limitandosi ad osservare le rubriche nell'amministrazione dei sacramenti. Bisogna certo osservarle con diligenza; ma non consistono in esse tutti gli obblighi relativi a detta amministrazione. Dovranno si sempre ricordare che i sacramenti non perdono mai la divina virtù insita in loro; ma tale virtù può causare la morte e il danno eterno di chi li tratta con mani impure. Le cose sante - giova ripeterlo più e più volte - vanno trattate con santità e con rispetto.

Dio ha detto al peccatore, presso il Salmista: Perché vai parlando dei miei statuti e hai sempre il mio patto in bocca, mentre tu odii il freno della legge? (Ps 49,16). Ora, se è interdetto al peccatore di parlare delle cose divine, quanto maggior colpa commetterà chi, pur essendo consapevole di molte iniquità, non teme di compiere con la sua bocca contaminata i divini misteri, di toccarli con le sue mani sozze, di offrirli e amministrarli agli altri? E si noti che san Dionigi ha scritto che non è permesso ai cattivi di toccare i simboli; questo è il nome ch'egli da ai sacramenti (Della Gerarchla eccl. cap. I).

Perciò i ministri delle cose sacre cerchino innanzi tutto di acquistare la santità; accedano puri ad amministrare i sacramenti e si esercitino nella pietà, in guisa tale che dal frequente uso e ministero di essi, ne derivi in loro, con l'aiuto di Dio, una grazia sempre più abbondante.

163. Effetto dei sacramenti: la grazia santificante


Dopo si dovrà insegnare quali siano gli effetti dei sacramenti; il che arrecherà molta luce alla definizione dei sacramenti data più sopra. Questi effetti sono principalmente due. Prima innanzi tutto la grazia, che secondo la terminologia dei Dottori è detta santificante. L'Apostolo lo ha chiaramente insegnato scrivendo: Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, al fine di santificarla, purificandola col lavacro dell'acqua, mediante la parola di vita (Ep 5,25-26). Come possa compiersi si grande e mirabile portento per mezzo del sacramento; come avvenga, per citare il celebre detto di Agostino, che l'acqua lavi il corpo e tocchi il cuore, è cosa che non si può comprendere con la ragione umana. Nessuna cosa sensibile, tutti l'ammettono, è di sua natura capace di penetrare nell'anima. Ma alla luce della fede sappiamo che nei sacramenti è riposta una virtù di Dio onnipotente, per cui possono produrre ciò che le cose sensibili non potrebbero da sé sole.

E affinché nessun dubbio possa sussistere nell'anima dei fedeli, volle Iddio clementissimo fin dal principio manifestare con miracoli l'effetto che i sacramenti producono nell'interno. Questo perché noi con ferma fede credessimo che un tale effetto perpetuamente si produce, pur essendo cosi remoto dai sensi. Tralasciamo il fatto che dopo il battesimo del Redentore nel Giordano si aprirono i cieli e scese lo Spirito santo in forma di colomba (Mt 3,16), per significarci che viene infusa la sua grazia nell'anima quando veniamo battezzati al sacro fonte; tralasciamo questo fatto, perché si riferisce più alla santificazione del Battesimo che all'amministrazione di esso. Ma non leggiamo forse che il giorno di Pentecoste, quando gli apostoli ricevettero lo Spirito santo, che li rese più alacri e forti a predicare la verità della fede e a sfidare i pericoli per la gloria di Cristo, venne all'improvviso dal cielo un suono, come si fosse levato un vento gagliardo, e apparvero ad essi delle lingue distinte, quasi di fuoco? (Ac 2,3). Questo volle significare che il sacramento della Confermazione dona a noi il medesimo Spirito, e ci accresce le forze per resistere alla carne, al mondo, al demonio, che sono i nostri eterni nemici. All'alba della Chiesa si sono frequentemente rinnovati tali miracoli, quando gli apostoli amministravano i sacramenti; ma poi, confermata e corroborata ormai la fede, cessarono.

Da quanto abbiamo esposto intorno alla grazia santificante, primo effetto dei sacramenti, si ricava chiaramente che i sacramenti della nuova legge hanno una virtù ben più insigne ed efficace che non quelli dell'antica. Questi, essendo deboli e poveri elementi (Ga 4,9), santificavano quanto alla mondezza della carne (He 9,13), ma non dell'anima. Perciò furono istituiti soltanto come simboli di quegli effetti, che i nostri misteri dovevano produrre. Invece i sacramenti della nuova legge, sgorgati dal costato di Cristo, che per Spirito Santo offri se stesso immacolato a Dio, mondano la nostra coscienza dalle opere di morte, per farla servire al Dio vivente (He 9,14). Quindi operano, in virtù del sangue di Cristo, quella grazia che significano. Se dunque li paragoniamo agli antichi sacramenti, li troviamo insieme più efficaci negli effetti, più ubertosi nei frutti, più augusti nella santità.

164. Effetto speciale di alcuni sacramenti: il carattere


Altro effetto, non però comune a tutti i sacramenti, ma proprio solo di tre: Battesimo, Cresima e Ordine sacro, è il carattere che essi imprimono nell'anima. Quando l'Apostolo scrive: Dio è quegli che ci ha uniti e sigillati, ed ha infuso nei nostri cuori la caparra dello Spirito (2Co 1,21), ha espresso chiaramente con le parole "ci ha sigillati", il carattere, il cui effetto peculiare è appunto quello di marcare, contrassegnare.

Il carattere è come un distintivo impresso nell'anima, che non si può mai cancellare e vi rimane eternamente scolpito. Di esso sant'Agostino ha scritto: Forse i sacramenti cristiani saranno meno efficaci del distintivo materiale, che distingue il soldato? Quando un soldato ritorna alla milizia, che aveva abbandonato, non gli se ne imprime un altro; ma si riconosce e si legittima l'antico (Contr. Parm. 2,13; Epist. CLXXXV,6).

Il carattere produce due effetti: rende atti a ricevere, o compiere un dato ufficio sacro, e distingue da coloro che non ne sono insigniti. In forza del carattere battesimale, infatti, siamo resi idonei a ricevere gli altri sacramenti e insieme ci distinguiamo, come cristiani, dagl'infedeli. Il medesimo si dica del carattere della Cresima e dell'Ordine sacro. Il primo ci arma e ci addestra, come soldati di Cristo, a confessare e difendere pubblicamente il suo nome; a resistere al nemico che si cela in noi e agli spiriti maligni che sono nell'aria; nello stesso tempo ci distingue dai soli battezzati, che sono come bambini nati da poco. Il secondo da la potestà di produrre e di amministrare i sacramenti, e insieme distingue chi ne è insignito dalla rimanente massa dei fedeli. Deve pertanto accettarsi la norma della Chiesa cattolica, la quale insegna che questi tre sacramenti imprimono il carattere, e non si possono mai ripetere.

165. Rispetto e frequenza dei sacramenti


Questo è quanto si deve insegnare intorno ai sacramenti in generale. Trattando questo argomento i Parroci si sforzeranno di ottenere sopratutto due cose: primo, che i fedeli comprendano di quanto onore, culto e venerazione siano degni questi doni celesti e divini; secondo, che ne facciano un uso devoto e pio, poiché Dio clementissimo li ha istituiti appunto per la salute di tutti; e talmente s'innamorino della perfezione cristiana, da considerare come un danno il rimanere privi per qualche tempo specialmente dei due salutari sacramenti della Penitenza e della Eucaristia.

Facilmente i Parroci raggiungeranno lo scopo, se ripeteranno spesso ai fedeli quanto abbiamo detto sopra intorno alla divinità e dal frutto dei sacramenti: e cioè che essi per prima cosa sono stati istituiti da Gesù nostro redentore, dal quale nulla può uscire che non sia perfettissimo; secondo, che quando si ricevono, ci penetra fin nell'intimo del cuore l'efficacissima grazia dello Spirito santo; terzo, che possiedono una virtù mirabile e sicura in curare le anime; quarto, che per loro mezzo vengono a noi trasmesse le ricchezze immense della passione del Signore. Faranno da ultimo notare che pur essendo l'intero edificio cristiano basato sul saldissimo fondamento della pietra angolare che è Cristo, sarebbe assai da temerne la rovina, se non fosse sostenuto in ogni parte dalla predicazione della parola di Dio e dall'uso dei sacramenti. Infatti i sacramenti fanno nascere alla vita spirituale e forniscono quasi l'alimento per la nutrizione, la conservazione e la crescita.
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26/08/2010 16:14

PARTE SECONDA: I SACRAMENTI


IL BATTESIMO




166. Necessità di parlare spesso del Battesimo


Da quanto abbiamo detto intorno ai sacramenti in generale si può ricavare quanto sia necessario, per ben intendere la dottrina e ben esercitare la pietà cristiana, capire quel che la Chiesa propone a credere su ciascuno di essi. Ma leggendo l'Apostolo con maggiore attenzione, ognuno ne dedurrà con sicurezza quanto sia necessaria ai fedeli una perfetta cognizione del Battesimo. Egli, con frequenza e con parole solenni e piene dello spirito di Dio, rinnova la memoria di questo mistero, ne rileva la divinità e ci pone con esso sotto gli occhi la morte, la sepoltura e la risurrezione del Redentore, per farne oggetto di contemplazione e di imitazione (Rm 6,3 1Co 6,11 1Co 12,13 Ga 3,27 Col 2,12).

I Parroci quindi non pensino mai di avere speso troppe fatiche e troppo zelo nel trattare di questo sacramento; colgano anzi l'occasione di parlarne anche al di fuori di quei giorni in cui, secondo la tradizione, si dovrebbero in maniera tutta speciale spiegare i divini misteri del Battesimo, cioè nel sabato di Pasqua e Pentecoste, quando la Chiesa, un tempo, soleva con grande devozione e solennissime cerimonie amministrare questo sacramento. Per esempio, sarebbe assai opportuna la circostanza quando, dovendo amministrare il Battesimo a qualcuno, essi notino l'intervento di molto popolo per assistere alla cerimonia. Sarà allora molto facile, se non richiamare tutti i capi che si riferiscono a questo sacramento, almeno spiegare l'uno o l'altro elemento, cosicché i fedeli vedano espressa dalle cerimonie battesimali la dottrina che ascoltano, e la meditino con animo attento e devoto. Ne seguirà che ognuno, colpito da quello che vede compiere su di un altro, riandrà dentro di sé all'obbligazione contratta con Dio nel ricevere il Battesimo, e insieme si domanderà se la sua vita e i costumi lo mostrino quale esigerebbe la sua professione di cristiano.

167. I vari nomi del Battesimo


Affinché quanto dovrà essere insegnato riceva la spiegazione più limpida possibile, dopo avere fissato il significato del vocabolo, mostreremo quali siano la natura e la sostanza del Battesimo. Tutti sanno che battesimo è parola greca, la quale indica nella sacra Scrittura non solamente l'abluzione connessa col sacramento, ma ogni genere di abluzione (2Es 4,23; Mc 7,4-8 He 9,10), e perfino la passione (Mc 10,38 Lc 12 Lc 50). Tuttavia negli scrittori ecclesiastici esprime non un qualsiasi lavacro corporale, ma il lavacro unito al sacramento, accompagnato dalla prescritta formula verbale. In questo significato appunto l'hanno di frequente usata gli apostoli, in seguito all'istituzione di nostro Signor Gesù Cristo.

I santi Padri hanno adoperato anche altri vocaboli per esprimere il medesimo rito: sant'Agostino, per esempio, lo denomina sacramento della fede, poiché chi lo riceve, fa professione di fede integrale nella religione cristiana. Altri lo denominarono illuminazione; poiché la fede professata nel Battesimo irradia i cuori di luce. Già l'Apostolo del resto aveva detto, alludendo all'istante del Battesimo: Ricordate i primi giorni, quando, dopo essere stati illuminati, affrontaste la grave prova delle afflizioni (He 10,32). E il Crisostomo, nel discorso ai battezzati (Jn Cr. 10,5), parla promiscuamente di purificazione, in quanto mediante il Battesimo eliminiamo il vecchio fermento e ci trasformiamo in una nuova sostanza (1Co 5,7); parla pure di sepoltura, di piantagione e di croce di Cristo. La giustificazione di tutti questi appellativi può desumersi dalla lettera di san Paolo ai Romani (Rm 6,4). E' chiaro pure perché san Dionigi chiami il Battesimo inizio dei santissimi precetti (Della Gerarch. eccl. 2). Questo sacramento infatti è come la porta che dischiude l'adito alla partecipazione della vita cristiana, e da esso prende inizio la nostra obbedienza ai divini comandamenti. Tutto ciò dovrà essere brevemente spiegato a proposito del nome.

168. Definizione del Battesimo


Parecchie definizioni del Battesimo possono ricavarsi dagli scrittori ecclesiastici. Più conveniente e opportuna di ogni altra appare però quella tratta dalle parole del Signore in san Giovanni e dell'Apostolo agli Efesini. Il Salvatore dice: Chi non rinascerà dall'acqua e dallo Spirito santo non può entrare nel regno di Dio (Jn 3,5). E l'Apostolo, alludendo alla Chiesa, afferma che Gesù l'ha purificata in un lavacro d'acqua con la parola di vita (Ep 5,26). Ne risulta che il Battesimo può giustamente essere definito il sacramento della rigenerazione mediante l'acqua e la parola. Noi nasciamo da Adamo figli d'ira per natura (Ep 2,3); ma in virtù del Battesimo rinasciamo in Cristo figli di misericordia, poiché a quanti lo accolsero, ai credenti nel suo nome, diede potere di diventare figli di Dio: i quali, non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati (Jn 1,13).

Del resto, quali che siano i vocaboli con cui piacerà di fissare la natura del Battesimo, importa sopra tutto insegnare al popolo che questo sacramento consiste, come sempre dichiararono i santi Padri, in una abluzione, alla quale devono essere applicate, secondo l'istituzione del Salvatore, determinate e solenni parole (Mt 28,19). Ciò emerge fra l'altro dalla nettissima testimonianza di sant'Agostino: La parola si applica all'elemento, e si ha il sacramento (In Jn tr. LXXX,3). Speciale diligenza dovrà essere usata in tale spiegazione, affinché i fedeli non cadano nell'errore di credere, come suoi dirsi volgarmente, che l'acqua stessa, conservata nel sacro fonte per l'amministrazione del Battesimo, costituisca il sacramento. Esso invece è compiuto solo quando l'acqua viene usata per lavare qualcuno, pronunziando insieme le parole stabilite da nostro Signore.

E poiché, come abbiamo detto da principio parlando genericamente di tutti i sacramenti, ciascuno di questi consta di materia e di forma, i Pastori dovranno mostrare quali esse siano nel Battesimo.

169. Materia del Battesimo


Materia, o elemento di questo sacramento è ogni genere di acqua naturale, sia di mare come di fiume, di palude, di pozzo o di fonte: quella che suoi dirsi acqua, senza aggettivi specificativi. Insegno infatti il Salvatore: Chi non rinascerà per acqua e Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio (Jn 3,5). E l'Apostolo: La Chiesa è stata purificata in un bagno di acqua (Ejes. 5,26). Nella lettera di san Giovanni leggiamo: Tre sono i testimoni sulla terra: lo Spirito, l'acqua e il sangue (1Jn 5,8). E altre testimonianze della Scrittura lo confermano.

A questo proposito la frase di Giovanni Battista, secondo la quale il Signore doveva venire per battezzare nello Spirito santo e nel fuoco (Mt 3,11), non deve affatto essere riferita alla materia del Battesimo. Essa si riferisce all'azione interiore dello Spirito santo, o sicuramente al miracolo avvenuto il giorno della Pentecoste, quando lo Spirito santo scese dal cielo sugli apostoli sotto l'aspetto di fuoco (Ac 2,3). Il fatto era stato predetto in altro luogo da nostro Signor G. Cristo con le parole: Giovanni battezzo in acqua; voi però sarete battezzati nello Spirito santo, di qui a non molti giorni (Ac 1,5).

Possiamo ricavare dalle sacre Scritture che la medesima verità era già stata indicata da Dio nei simboli e negli oracoli profetici. Il Principe degli apostoli nella sua prima lettera (1P 3,20) mostra come il diluvio, da cui il mondo fu purificato, quando la malvagità degli uomini era giunta al colmo e la preoccupazione di ogni cuore avviata al male (Gn 6,5), racchiudeva la figura e l'immagine di quest'acqua. San Paolo poi, scrivendo ai Corinzi, mostra come il passaggio del Mar Rosso è una figura della medesima acqua (1Co 10,1). Senza dir poi del lavacro del siriano Naaman (2R 5,14), né della mirabile efficacia della piscina probatica (Jn 5,2), né di molti altri episodi affini, in cui è facile scorgere il simbolo di questo mistero.

Nel dominio poi delle profezie nessuno può revocare in dubbio che le acque, a cui con tanto zelo Isaia invita tutti gli assetati (Is 4,1), o quelle che Ezechiele vide in ispirito zampillare dal tempio (Ez 47,1), o la fonte che Zaccaria preannunciò alla stirpe di Davide e agli abitanti di Gerusalemme per la purificazione del peccatore e della donna impura (Za 13,1), vogliano alludere alla salutifera acqua battesimale.

Scrivendo ad Oceano, san Girolamo espone con molti argomenti quanto bene rispondesse alla natura e all'efficacia del Battesimo che l'acqua fosse prescelta come sua materia (Lett. CXIX,6). I Pastori potranno accennare in proposito alla circostanza, che essendo questo sacramento indispensabile a tutti per il conseguimento della vita, l'acqua era la materia più opportuna, trovandosi dovunque, e da tutti potendosi facilmente procurare. In secondo luogo, l'acqua esprime magnificamente l'effetto del Battesimo. Come infatti l'acqua elimina la sporcizia, così può indicare l'azione efficace del Battesimo, mediante il quale sono cancellate le macchie dei peccati. Infine, come l'acqua è l'elemento più indicato per rinfrescare i corpi, così mediante il Battesimo si estingue in gran parte il fuoco delle passioni.

Dobbiamo però osservare che, sebbene l'acqua semplice, priva di ogni altro elemento commisto, è materia atta all'amministrazione del sacramento, quando sia urgente amministrarlo, tuttavia in base a una tradizione apostolica, la Chiesa cattolica ha sempre rispettato l'uso di unirle il sacro crisma, quando il Battesimo viene amministrato con solennità, affinché l'effetto del sacramento fosse meglio espresso. Infine, sebbene talora vi possa essere qualche dubbio, se questa o quella sia la vera acqua più idonea al sacramento, si dovrà rilevare assolutamente che il sacramento del Battesimo non può essere mai e per nessuna ragione amministrato con altra materia, che non sia l'acqua naturale.

170. Forma del Battesimo


Spiegata diligentemente l'una delle due parti del Battesimo, e precisamente la materia, i Pastori cercheranno di illustrare con la medesima diligenza la seconda parte, ugualmente necessaria: ossia la forma. Porranno singolare cura e zelo in tale spiegazione del sacramento, non solo perché la conoscenza di così sacro mistero può naturalmente recare vivo diletto ai fedeli, come si verifica sempre in ogni studio delle cose divine, ma anche perché giova enormemente nelle contingenze quasi quotidiane. Come meglio mostreremo a suo luogo, si offrono innumerevoli circostanze, nelle quali è necessario che il Battesimo sia amministrato da gente del popolo, spessissimo anche da donne. Occorre dunque che tutti i fedeli senza distinzione conoscano bene quanto si riferisce alla sostanza di questo sacramento.

I Pastori dunque, con parole chiare e accessibili a tutti, diranno che questa è la forma perfetta e assoluta del Battesimo: " Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo ". Così stabili il nostro Signore e Salvatore, quando comando agli apostoli: " Andate a istruire tutte le genti battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19). Dall'espressione, battezzandole, la Chiesa cattolica, divinamente illuminata, dedusse con ragione che nella forma di questo sacramento doveva essere significata l'azione del ministro; per questo è detto: " Io ti battezzo ". E poiché era necessario indicare, oltre la persona del ministro, quella del battezzato e la causa principale operatrice nel Battesimo, furono aggiunti il pronome " ti ", e la menzione specificata delle tre Persone divine. Sicché la forma completa del sacramento è contenuta, come abbiamo detto, nelle parole: " Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo ". Che non la sola Persona del Figlio, di cui scrisse Giovanni: Questi è che battezza (Jn 1,33), bensì tutte le Persone della santa Trinità operano insieme nel sacramento del Battesimo. Il dire: " nel nome ", invece che " nei nomi ", esprime l'unica natura e divinità della Trinità. Qui infatti il nome si riferisce non già alle Persone, ma alla sostanza, alla virtù, alla potenza: una e identica nelle tre Persone.

171. Che cosa è necessario nella forma


A proposito di questa forma, che abbiamo mostrato integra e perfetta, si deve notare che alcune sue parti sono così strettamente necessarie, che se si omettono, il sacramento non si compie; altre invece non sono così essenziali che, mancando, rendano nullo il valore del sacramento. Così è il pronome io, il valore del quale è implicito nella parola battezzo. Nella Chiesa Greca, anzi, cambiata la frase, esso fu soppresso, pensando che l'accenno al ministro non fosse affatto necessario. La forma consueta del Battesimo per i greci è così concepita: Sia battezzato il servo di Cristo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Il concilio Fiorentino sentenzio e definì valido il sacramento così amministrato, essendo abbastanza spiegata da quella formula la vera natura del Battesimo, cioè il lavacro compiuto in quel momento.

Si deve forse riconoscere che vi fu un periodo nel quale gli apostoli battezzarono semplicemente nel nome di nostro Signor Gesù Cristo. E noi dobbiamo allora ritenere per certo che così fecero per ispirazione dello Spirito santo, affinché sugli albori della nascente Chiesa la loro predicazione fosse meglio illustrata dal nome di Gesù Cristo e più ampiamente fosse esaltata la sua divina e immensa virtù (Ac 2,38 Ac 8,12). Del resto, a ben considerare la cosa, comprendiamo agevolmente che in tale formula non manca nessuna delle parti prescritte dallo stesso Salvatore; infatti chi nomina Gesù Cristo, contemporaneamente esprime la Persona del Padre da cui riceve l'unzione, e quella dello Spirito santo, nel quale la riceve.

Dopo tutto è lecito mettere in dubbio che gli apostoli abbiano mai usato, nel battezzare, simile formula. Se vogliamo seguire l'autorevole interpretazione di S. Ambrogio (Dello Spirito Santo, I,3) e di S. Basilio (Dello Spinto santo, 12), padri di così insigne santità e autorità, con la frase relativa al battesimo conferito nel nome di Gesù Cristo si sarebbe voluto solo indicare il Battesimo istituito da nostro Signor Gesù Cristo, distinto da quello di Giovanni. Sicché gli apostoli non si sarebbero discostati dalla formula usuale contenente i nomi distinti delle tre Persone. Anche san Paolo nella Lettera ai Galati adopera questo modo di esprimersi, dicendo: Tutti voi che siete stati battezzati in G. Cristo, vi siete rivestiti di Cristo (Ga 3,27). E vuoi significare semplicemente che erano stati battezzati nella fede di G. Cristo, non già con una forma diversa da quella imposta dallo stesso Salvatore e Signor nostro.

172. I tre tipi di abluzione


Basterà quanto sopra all'istruzione dei fedeli circa la materia e la forma, elementi sostanziali e fondamentali del Battesimo. Ma nell'amministrazione del Sacramento occorre anche rispettare le modalità dell'abluzione prescritta. Quindi i Pastori dovranno impartire l'istruzione anche su questo argomento. Dovranno cioè brevemente spiegare come, secondo la comune consuetudine ecclesiastica, il Battesimo può essere amministrato in uno di questi tre modi: immergendo nell'acqua il candidato, o versando dell'acqua sopra di lui, o aspergendolo d'acqua.

Qualunque dei tre sia il rito osservato, dobbiamo credere che il Battesimo è regolarmente compiuto. Infatti l'acqua è adoperata nel Battesimo per esprimere l'abluzione dell'anima che esso opera; e per questo il Battesimo è detto dall'Apostolo lavacro (Ep 5,26). Ora l'abluzione non cessa di esser tale, sia che uno si immerga nell'acqua, come fu praticato a lungo nei primi tempi della Chiesa; sia che riceva dell'acqua versata, come è usato oggi; sia che ne riceva l'aspersione, come risulta aver fatto san Pietro, quando in un solo giorno converti e battezzo tre mila individui (Ac 2,41).

Non ha importanza che l'abluzione sia unica o triplice. Risulta chiaramente dalla lettera di san Gregorio Magno a Leandro che l'una e l'altra maniera di conferire il Battesimo è stata in vigore nella Chiesa, e può esserlo tuttora (lib. I, lett. 43). Ad ogni modo, i fedeli si uniformeranno al rito seguito nella loro chiesa. Occorre piuttosto ammonire che deve essere bagnata non una qualsiasi parte del corpo, ma precisamente il capo, centro di tutti i sensi esterni e interni; e chi battezza deve pronunziare le parole della forma sacramentale nel momento stesso in cui si compie l'abluzione, e non prima, né dopo.

173. Istituzione del Battesimo


Dopo aver esposto tutto ciò, converrà insegnare e ricordare ai fedeli che il Battesimo, come tutti gli altri sacramenti, fu istituito da nostro Signore Gesù Cristo. I Pastori torneranno di frequente su questo punto, spiegando i due momenti del Battesimo: il primo, quando il Salvatore lo istituì; il secondo, quando impose l'obbligo di riceverlo.

Il Battesimo risulta istituito dal Signore quando egli stesso, battezzato da Giovanni, infuse nell'acqua la capacità di santificare. Secondo san Gregorio Nazianzeno (Discorsi XXXVIII,16) e sant'Agostino (Discorsi, CXXXVI,1), in quell'istante appunto l'acqua ricevette la capacità di generare alla vita spirituale. Altrove lo stesso sant'Agostino ha scritto: Da quando Gesù Cristo si immerse nell'acqua, l'acqua cancella tutti i peccati (Discorsi, CXXV,4). E ancora: il Signore si fa battezzare, non perché bisognoso di purificazione, ma perché le acque, purificate al contatto della sua carne immacolata, acquistino la forza di lavare spiritualmente (In Lc lib. 11, n. 83).

Tale verità apparisce dal fatto che in quel momento la santissima Trinità, nel nome della quale il Battesimo viene amministrato, manifesto chiaramente la sua presenza (Mt 3,26 Mc 1,20 Lc 3,21). Fu percepita infatti la voce del Padre; la persona del Figlio era presente; lo Spirito santo discese in forma di colomba. Inoltre si dischiusero i cieli, di cui appunto il Battesimo ci apre l'accesso. Oltrepassa la capacità della nostra intelligenza il sapere in che modo così insigne e divina virtù sia stata dal Signore infusa nelle acque. Ma sappiamo senza ombra di dubbio che, avendo il Signore ricevuto il Battesimo, l'acqua rimase consacrata per il salutifero uso battesimale dal contatto del suo corpo purissimo e immacolato. Perciò dobbiamo credere che per quanto istituito prima della passione, questo sacramento già da allora attingeva forza e virtù dalla passione stessa, essendo questa il fine di tutte le azioni di Gesù Cristo. Né sussiste possibilità di dubbio sul tempo, in cui fu emanato il precetto del Battesimo.

Gli scrittori ecclesiastici sono concordi nel ritenere che tutti gli aspiranti alla salvezza eterna cominciarono ad essere vincolati dal precetto del Battesimo nell'istante in cui, dopo la resurrezione, il Signore comando agli apostoli: Andate ad istruire tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo (Mt 28,19). Ciò risulta dalla testimonianza autorevole del Principe degli apostoli: Ci rigenero in una speranza viva, con la resurrezione di Gesù Cristo dai morti (1P 1,3). Si può arguire pure da san Paolo: Diede se stesso per lei (ossia per la Chiesa), per santificarla, purificandola in un lavacro d'acqua, con la parola (Ep 5,26). L'uno e l'altro apostolo infatti fissano l'obbligo del Battesimo al tempo che segui la morte del Signore. Per cui appare ragionevole riferire al periodo che doveva seguire la passione, le parole stesse del Salvatore: Chi non rinascerà per acqua e Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio (Jn 3,5).

Se i Pastori esporranno con cura queste verità, i fedeli riconosceranno indubbiamente la straordinaria dignità del Battesimo, e concepiranno per esso la più schietta venerazione. Rifletteranno sopra i ricchi e magnifici doni, simboleggiati nei miracoli verificatisi nell'istante in cui nostro Signor Gesù Cristo fu battezzato, e che sono distribuiti a tutti i battezzati per intima virtù dello Spirito santo. In verità, se i nostri occhi, come quelli del servo di Eliseo (2R 6,17), si aprissero in modo da scorgere le celesti realtà, certamente nessuno sarebbe così stolto da non essere portato alla più intensa ammirazione dei divini misteri battesimali. Perché non pensare che lo stesso possa accadere, qualora i Pastori spieghino le ricchezze del Battesimo, in modo da rendere i fedeli capaci di contemplarle, non certo cogli occhi corporei, ma con lo sguardo dell'intelletto, illuminato dallo splendore della fede?

174. Triplice categoria di ministri del Battesimo


E ora non soltanto utile, ma necessario, mostrare da quali ministri debba essere conferito il Battesimo, sia perché coloro cui principalmente è affidata tale funzione cerchino di adempierla con sentimento di pia religiosità, sia per evitare che qualcuno, valicando i propri confini, penetri disordinatamente, o irrompa audacemente in terreno non proprio. Ammonisce infatti, l'Apostolo di rispettare l'ordine stabilito in tutte le cose (1Co 14,40).

Si deve dunque insegnare ai fedeli che vi sono tre categorie di ministri del Battesimo.

Alla prima appartengono i vescovi e i sacerdoti, ai quali spetta di diritto, non in virtù di un potere straordinario, compiere simile ufficio. Ad essi, nella persona degli apostoli, fu comandato dal Signore: Andate e battezzate (Mt 28,19). In pratica poi i vescovi usarono rilasciare il ministero battesimale ai sacerdoti, per non essere costretti a trascurare il più grave dovere della istruzione. I sacerdoti del resto compiono tale funzione per diritto proprio, sicché possono amministrare il Battesimo anche alla presenza del vescovo, come risulta dalla dottrina dei Padri e dalla prassi della Chiesa. Se infatti i sacerdoti furono istituiti per la consacrazione dell'Eucarestia, sacramento di pace e di unità, era naturale che fosse loro concessa la facoltà di amministrare tutti i mezzi necessari a ciascuno per partecipare a quella pace e a quella unità. Qualche Padre, è vero, sostenne che i sacerdoti non posseggono l'autorità di battezzare, senza il permesso del vescovo; ma tale restrizione deve intendersi di quel Battesimo che, secondo l'uso, viene amministrato solennemente in determinati giorni dell'anno. I diaconi rappresentano la seconda categoria di ministri. Molte testimonianze dei santi Padri assicurano che ad essi non è lecito amministrare il Battesimo, senza permesso del vescovo, o del sacerdote.

Infine alla terza categoria appartengono coloro che in caso di necessità possono battezzare, senza lo spiegamento solenne delle cerimonie. In questo numero rientrano tutti, anche le persone del volgo, maschi o femmine, a qualsiasi setta appartengano. Quando urge il bisogno, anche agli ebrei, ai pagani e agli eretici è permesso di battezzare, purché si propongano di compiere quello che compie la Chiesa cattolica nell'amministrazione del sacramento. Numerosi decreti di Padri e di Concili garantiscono questa possibilità; e il sacro concilio di Trento emano sentenza di scomunica contro chi sostenga che il Battesimo amministrato dagli eretici nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, con l'intenzione di fare quel che fa la Chiesa, non è un vero Battesimo.

Possiamo ammirare in questo l'infinita bontà e sapienza di nostro Signore. Dovendo tutti necessariamente ricevere questo sacramento, Egli scelse per materia l'acqua, l'elemento più comune che esista; e non volle escludere nessuno dalla capacità di amministrarlo. Naturalmente non a tutti è consentito svolgere le solenni cerimonie, perché queste rivestono, non già maggiore dignità, bensì minore necessità del sacramento. Si badi inoltre che tale facoltà non spetta a tutti in modo generico; ma si deve rispettare una certa gerarchia di ministri. Né la donna qualora siano presenti degli uomini, né un laico alla presenza di un chierico, né infine un chierico alla presenza di un sacerdote, si arrogheranno il diritto di amministrare il Battesimo. Però non sono da rimproverarsi le levatrici, che sogliono battezzare qualche volta, anche alla presenza di un uomo per nulla pratico di simile amministrazione sacramentale, e compiono un rito che normalmente sarebbe più appropriato ad un uomo.

175. Perché nel Battesimo sono necessari i padrini


Oltre ai ministri che impartiscono il Battesimo e di cui abbiamo trattato finora, per antichissima prassi della Chiesa cattolica è usanza richiedere nella celebrazione del battesimo un'altra categoria di ministri. Sono quelli che i teologi chiamavano in altri tempi, con parola generica: difensori, responsabili, garanti; e che oggi si chiamano padrini. I Pastori spiegheranno coscienziosamente il loro ufficio, trattandosi di funzioni spettanti pressoché a tutti i laici, affinché i fedeli comprendano ciò che è necessario per svolgerle bene.

Occorre innanzi tutto spiegare le ragioni, che indussero ad aggiungere nel Battesimo ai ministri del sacramento i padrini o compari. Tali ragioni appariranno decisive a chi ricordi che il Battesimo è una rinascita spirituale, da cui usciamo figli di Dio. Così ne parla san Pietro: Come neonati, desiderate il latte spirituale e puro (1P 2,2). Come l'infante e il fanciullo hanno bisogno della nutrice e del pedagogo per svilupparsi, educarsi, istruirsi col loro sussidio e la loro opera, così è necessario che i neobattezzati, muovendo i primi passi nel sentiero della vita spirituale, siano affidati alla fede e alla prudenza di qualcuno, da cui attingeranno i precetti della religione cristiana e l'iniziazione alle regole della pietà; cosicché adagio adagio crescendo in Gesù Cristo assurgano alla qualità di uomini perfetti, con l'aiuto del Signore. Infatti ai Pastori cui è affidata la pubblica cura delle parrocchie, non rimane tanto tempo da poter assumere anche quella privata della formazione religiosa dei fanciulli.

Abbiamo in san Dionigi una luminosa testimonianza su questa vetusta consuetudine. Egli dice: Pensarono i nostri divini condottieri (così egli chiama gli apostoli) e ritennero conveniente di provvedere ai fanciulli in questa santa maniera: che i genitori naturali li affidassero a persone dotte nelle verità divine, come a pedagoghi; sotto la loro sorveglianza, come sotto gli occhi di un padre spirituale e di un garante dell'eterna salvezza, trascorressero il resto della loro vita (Della Jr eccl. VIII,3-11). L'autorità di Igino conferma la medesima sentenza (presso Graz. 3d 4, 3, d. 4, e. 100).

176. Doveri dei padrini


Con molta sapienza la santa Chiesa stabili che un vincolo di affinità stringa non solamente colui che battezza e il battezzato, ma anche il padrino con colui che rileva al fonte battesimale, e con i suoi genitori. Fra tutti costoro non sono possibili matrimoni legittimi e, se già contratti, siano disciolti.

Inoltre i fedeli devono essere istruiti sul compito dei padrini. In realtà questa materia nella Chiesa è così trascurata, che può dirsi non sia rimasto ormai della delicata funzione altro che il nome; e gli uomini non sembrano neppure sospettare gli elementi di santità che essa implica. In linea generale i padrini riflettano assiduamente alla legge strettissima, per cui i figli spirituali sono loro affidati per sempre; quindi curino in essi quanto riguarda lo sviluppo della vita cristiana, e si rivelino sempre nella vita, quali promisero di essere nella cerimonia solenne. Ascoltiamo san Dionigi nell'atto di esprimere le parole del padrino: Quando questo fanciullo sarà pervenuto alla conoscenza delle sante verità, prometto di indurlo, con le mie assidue esortazioni, a rinunciare a quanto è in conflitto con esse, a professare ed eseguire i precetti divini, che oggi promette di rispettare. E sant'Agostino: Ammonisco innanzi tutto voi, uomini e donne che teneste fanciulli al Battesimo, di ricordarvi che vi siete fatti garanti per loro presso Dio, quando li accoglieste al sacro fonte (presso Graz. 3D 4, 3, d. 4, e. 105).

E sommamente ragionevole, del resto, che colui il quale assunse un incarico, mai si stanchi di adempierlo con diligenza. Chi si costituì pedagogo e custode di un altro, non può tollerare che rimanga abbandonato colui che fu accolto nella propria tutela e patrocinio, finché lo sappia bisognoso di sorveglianza e di appoggio. Il medesimo sant'Agostino, sempre parlando dei doveri dei padrini, riassume brevemente gli insegnamenti da impartire ai figli spirituali: Devono instillare in loro la custodia della castità, l'amore della giustizia e della carità; innanzi tutto devono insegnare il Simbolo, l'Orazione dominicale e il Decalogo, in una parola, i primi rudimenti della religione cristiana (presso Graz., ibid.; Discorsi,168,3; 265,2; 267,4).

Ciò posto, non sarà difficile precisare a qual tipo di uomini non sia affatto da confidarsi l'esercizio di questa santa tutela: sono quelli che non vogliano adempierlo fedelmente o non sappiano farlo con illuminata assiduità. Sono quindi assolutamente da escludere, oltre i genitori, cui non è lecito assumere tale tutela, data la distanza che separa la formazione spirituale da quella carnale, gli eretici, gli ebrei, i pagani, la cui cura insistente è di annebbiare la verità della fede col mendacio e di sovvertire tutta la religione cristiana.

Il Concilio di Trento ha stabilito che non più di un padrino assista al fonte il battezzato, uomo o donna; o al massimo un uomo e una donna!. Primo, per non turbare con la pluralità dei maestri, l'ordine della iniziazione e della istruzione; in secondo luogo, per impedire che una troppo complessa rete di affinità produca un arresto delle legittime unioni matrimoniali fra gli uomini.

177. Necessità del Battesimo anche per i bambini


La conoscenza di tutte queste verità è senza dubbio utilissima ai fedeli. Ma nessun insegnamento è più necessario di questo: che la legge del Battesimo è prescritta dal Signore per tutti gli uomini. I quali, se non rinascono a Dio con la grazia del Battesimo, sono procreati dai loro genitori, siano questi fedeli o no, per la miseria e la morte eterna. Molto spesso i Pastori dovranno commentare la sentenza evangelica: Chi non rinascerà per acqua e Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio (Jn 3,5).

L'universale e autorevole sentenza dei Padri dimostra che questa legge va applicata non solo agli adulti, ma anche ai fanciulli, e che la Chiesa ha ricevuto simile interpretazione dalla tradizione apostolica. Come si potrebbe credere del resto che nostro Signor Gesù Cristo abbia voluto negare il sacramento e la grazia del Battesimo a quei bambini, di cui disse un giorno: Lasciate i fanciulli, e non impedite loro di venire a me; che di tali è il regno dei cieli? (Mt 19,14); e che abbracciava, benediva, accarezzava? (Mc 10,16). Inoltre, quando leggiamo che Paolo battezzo un'intera famiglia, apparisce chiaro che anche i fanciulli di quella furono bagnati al fonte della salvezza (1Co 1,16 Ac 16,33).

Inoltre la circoncisione, simbolo del Battesimo, raccomanda fortemente tale consuetudine. E noto infatti che i fanciulli solevano essere circoncisi nell'ottavo giorno dalla nascita. Nessun dubbio che se la materiale circoncisione, con l'eliminazione di un elemento corporeo, giovava ai bambini, ai medesimi dovrà recare giovamento il Battesimo, che è la circoncisione di Gesù Cristo, non operata da mano di uomo (Col 2,11).

Finalmente, se è vero, come proclama l'Apostolo, che la morte ha esteso il suo regno a causa della colpa di un solo individuo, a più forte ragione coloro che ricevono l'abbondanza della grazia, dei doni e della giustizia, devono regnare nella vita, per opera di un solo, Gesù Cristo (Rm 5,17). Orbene: poiché a causa del peccato di Adamo i bambini contraggono la colpa originale, a più forte ragione, per i meriti di nostro Signor Gesù Cristo, potranno essi conseguire la grazia e la giustizia, per regnare nella vita; cosa però impossibile senza il Battesimo.

Perciò i Pastori insegneranno che i bambini devono assolutamente essere battezzati. Poi, adagio adagio, la puerizia dovrà essere educata alla vera pietà, inculcandole i precetti della religione cristiana. Poiché disse il Savio: Quando l'adolescente abbia preso la sua via, non se ne allontanerà più, neppure da vecchio (Pr 22,6). E non è lecito porre in dubbio che i bambini battezzati ricevano realmente i sacramenti della fede. Se ancora non credono con adesione positiva del loro intelletto, si fanno forti però della fede dei genitori, se questi sono credenti; se non lo sono, supplisce, per usare le parole di S. Agostino, la fede della Chiesa, ossia della società universale dei santi (Lett. a Bonif. XCVIII,5). In verità possiamo dire che essi sono offerti al Battesimo da tutti coloro che bramano di offrirli, e per la carità dei quali entrano a far parte della comunione dello Spirito santo.

Occorre esortare costantemente i fedeli perché portino i loro figli, non appena possono farlo senza pericolo, alla chiesa e li facciano battezzare con la solenne cerimonia. Si pensi che ai piccoli non è lasciata alcuna possibilità di guadagnare la salvezza, se non è loro impartito il Battesimo. Quanto grave dunque è la colpa di coloro che li lasciano privi di questa grazia più del necessario, mentre la debolezza dell'età li espone a innumerevoli pericoli di morte.

178. Il Battesimo degli adulti


Diverso metodo deve seguirsi, secondo l'antico uso ecclesiastico, a proposito di adulti, che, nati da infedeli, hanno raggiunto il pieno uso della ragione. Ad essi deve essere proposta la fede cristiana, e con ogni cura devono essere esortati, spinti e condotti ad accoglierla. Convertiti a Dio, dovranno poi essere ammoniti a non differire il sacramento del Battesimo oltre il tempo fissato dalla Chiesa. Ricordando il motto biblico: non ritardare di giorno in giorno la tua conversione al Signore (Si 5,8), si mostrerà loro che la conversione perfetta consiste nella rinascita battesimale. Inoltre si farà rilevare che quanto più tardi accederanno al Battesimo, per altrettanto tempo dovranno restare privi della partecipazione e della grazia degli altri sacramenti, sostanza della religione cristiana, ai quali non si può giungere senza il Battesimo. Infine così essi rimangono privi del più grande frutto della rinascita battesimale: la cancellazione delle colpe commesse e l'ornamento della grazia, col sussidio della quale è dato per l'avvenire di evitare il peccato, e di custodire la giustizia e l'innocenza; cose che costituiscono l'essenza di tutta la vita cristiana.

Ciò nonostante fu consuetudine della Chiesa di non concedere subito a questa classe di individui il sacramento del Battesimo; stabili al contrario di ritardarlo per un certo tempo. Per essi del resto la dilazione non implica il pericolo, che incombe per i bambini. In caso improvviso di pericolo, chi ha l'uso della ragione, pur impossibilitato a purificarsi nell'acqua sacramentale, può conseguire la grazia e la giustizia col semplice proposito di ricevere a suo tempo il Battesimo, unito al pentimento dei peccati commessi.

Questo ritardo comporta parecchi vantaggi. Innanzi tutto, dovendo la Chiesa evitare con cura che qualcuno si avvicini al sacramento con animo insincero ed ipocrita, c'è così modo di scandagliare la volontà di coloro che chiedono il Battesimo. Proprio per questo fu stabilito da antichi sinodi che coloro i quali passavano dal giudaismo alla fede cattolica, prima di ricevere il Battesimo, trascorressero qualche mese fra i catecumeni. In secondo luogo essi vengono meglio iniziati alla dottrina della fede che dovranno professare, e alle regole della vita cristiana. Infine si tributa al sacramento maggiore rispetto religioso, ammettendo gli adulti al Battesimo solamente nei determinati giorni di Pasqua e Pentecoste, con cerimonie solenni. Talora però ci sono ragioni che vietano di differire il Battesimo, come il pericolo imminente di morte, o la piena conoscenza che i destinati al Battesimo posseggono dei misteri della fede. Così fecero Filippo e il principe degli apostoli: il primo battezzando senza indugio l'eunuco della regina Candace (Ac 8,38); l'altro battezzando Cornelio (Ac 10,48), non appena costoro enunciarono la loro adesione alla fede.

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26/08/2010 16:15

179. Disposizioni per il Battesimo: l'intenzione e la fede


Il popolo inoltre dovrà essere istruito sulle disposizioni di coloro che devono ricevere il Battesimo. In primo luogo è necessario che vogliano e si propongano positivamente di riceverlo. Nel Battesimo l'uomo muore al peccato, e assume una nuova regola e una nuova forma di vita. E dunque ragionevole che esso non venga amministrato ai riluttanti o a chi non lo desidera, ma solamente a coloro che vi si accostano con animo spontaneo e lieto. Una santa e costante tradizione vuole che a nessuno venga impartito il Battesimo, se prima non è stato interrogato sulla sua volontà di riceverlo.

Non si deve però pensare che tale volontà manchi in fanciulli ancora privi di parola; non vi può esser dubbio infatti sulla volontà della Chiesa che s'impegna per essi. Invece non si devono battezzare, se non in pericolo di morte, i pazzi e i furiosi che, dopo essere stati consapevoli di sé, persero poi la ragione, senza poter riscontrare in essi alcuna volontà di ricevere il Battesimo. Qualora vi sia pericolo di vita, se manifestarono in qualche modo tale volontà prima di impazzire, siano battezzati; se no, si tralasci ogni amministrazione di Battesimo. Lo stesso dicasi di chi è in coma. Infine, secondo l'esplicita e autorevole consuetudine della Chiesa, coloro che non ebbero mai l'uso della ragione e mai furono coscienti di sé, potranno essere battezzati come i bambini privi di ragione, sulla fede della Chiesa stessa.

Oltre la volontà del Battesimo e per le medesime ragioni, è pure necessaria, al conseguimento della grazia sacramentale, la fede. Infatti il nostro Salvatore ha detto: Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo (Mc 16,16).

180. La penitenza e il proposito di non più peccare


Il battezzando deve inoltre pentirsi delle colpe commesse e della sua vita peccaminosa, proponendosi per l'avvenire di fuggire ogni peccato. Deve quindi recisamente essere respinto chiunque chiedesse il Battesimo, senza l'intenzione di sopprimere le proprie malvagie abitudini. Nulla è più ripugnante alla virtù e alla grazia del Battesimo, che il contegno morale di coloro, che non si propongono mai la cessazione del vivere peccaminoso. Infatti poiché dobbiamo desiderare il Battesimo per rivestirci di G. Cristo e unirci con lui (Ga 3,27), dovrà essere tenuto lontano dalla sacra abluzione colui che ha in animo di persistere nei vizi e nella colpa. Nulla, certamente, di ciò che riguarda G. Cristo e la Chiesa deve essere adoperato invano. Ora, è chiaro che, considerando la grazia della salvezza e della giustizia, il Battesimo è del tutto privo di effetto in colui che voglia vivere secondo la carne e non secondo lo spirito (Rm 8,4); sebbene costui riceva il sacramento perfetto nella sua essenza, se si proponga, nell'atto del rito, di ricevere quel che dalla santa Chiesa viene amministrato.

Il Principe degli apostoli appunto, alla folla che, secondo il racconto scritturale, chiedeva col cuore compunto a lui e agli altri apostoli che cosa dovesse fare, rispondeva: Fate penitenza e ciascuno di voi riceva il Battesimo (Ac 2,37); e un'altra volta: Pentitevi e convertitevi affinché siano cancellati i vostri peccati (Ac 3,17). Anche san Paolo, scrivendo ai Romani, mostra chiaramente che chi riceve il Battesimo deve morire del tutto alla colpa; e ci invita a non abbandonare le nostre membra al peccato come strumenti di iniquità, ma a darci a Dio, come risorti da morte (Rm 6,13).

Meditando di frequente tutto ciò, i fedeli saranno innanzi tutto costretti ad ammirare fortemente la somma bontà di Dio, il quale, spinto dalla sua sola misericordia, elargì a chi in nessun modo l'aveva meritato il beneficio straordinario e divino del Battesimo. In secondo luogo, ricordando quanto la loro vita, fregiata da si grande privilegio, debba essere lontana da ogni genere di macchia, comprenderanno bene come sia fondamentale dovere del cristiano vivere ogni giorno piamente e religiosamente, come se in quello avesse conseguito il sacramento e la grazia del Battesimo. Ad ogni modo per riscaldare potentemente gli animi a sensi di genuina pietà, i Pastori esporranno con diligente parola gli effetti di questo sacramento.

181. Effetti del Battesimo: il perdono dei peccati


Sarà bene tornare spesso su questo argomento, affinché i fedeli riconoscano sempre meglio come siano stati elevati a una dignità altissima, e mai consentano ad esserne sbalzati dalle insidie o attacchi del nemico. Innanzi tutto occorre insegnare che la meravigliosa virtù di questo sacramento cancella e condona ogni peccato, sia quello trasmesso dai nostri progenitori, come ogni altro da noi commesso, per quanto incredibilmente grave esso sia. Già molto tempo prima Ezechiele l'aveva predetto, parlando così in nome del Signore: Versero sopra di voi un'acqua pura, che vi monderà da ogni macchia (Ez 34,25). E l'Apostolo, scrivendo ai Corinzi, dopo aver fatto una lunga enumerazione di peccati, esclama: Tutto ciò voi foste; ma ora siete stati lavati e santificati (1Co 6,11).

Questa, senza possibilità di incertezza, è la dottrina costante della santa Chiesa. Ecco le parole di sant'Agostino, nell'opera consacrata al Battesimo dei fanciulli: La generazione carnale ci fa contrarre solamente il peccato d'origine; nella rinascita spirituale vengono invece rimesse colla colpa originale anche le colpe volontarie (lib. I, cap. 15, n. 20). San Girolamo scrive ad Oceano: Tutte le colpe vengono perdonate nel Battesimo (Leti. LXIX,4). E, affinché non rimanesse alcuna esitazione in proposito, il santo concilio Tridentino, dopo le definizioni degli altri concili, sanziono la medesima dottrina, lanciando l'anatema contro chiunque osasse sostenere il contrario, o sofisticasse col dire che sebbene i peccati siano nel Battesimo perdonati, in realtà non scompaiono del tutto e radicalmente, ma sono come superficialmente cancellati, mentre le radici rimangono confitte nell'animo. Ecco le parole del Concilio: Dio nulla trova da odiare nei rinati; poiché nulla hanno di riprovevole coloro che col Battesimo realmente si fecero seppellire di nuovo nella morte con G. Cristo, e non procedono più secondo i dettami della carne. Essi si spogliarono della vecchia natura umana e ne assunsero una nuova, creata secondo Dio. Ormai sono divenuti innocenti, immacolati, puri, incolpevoli, cari a Dio (sess. 5,5).

182. Lo stimolo della concupiscenza non è soppresso


Ma nel medesimo punto il Concilio ribadisce autorevolmente che nei battezzati sussiste ancora il fomite della concupiscenza. Esso però non possiede alcun carattere di peccato. Secondo la sentenza dello stesso sant'Agostino i pargoli sono nel Battesimo assolti dal reato della concupiscenza, ma questa rimane per lo svolgimento della lotta morale. E altrove scrive:Il reato della concupiscenza è cancellato col Battesimo; l'infermità rimane. Infatti la concupiscenza, che deriva dal peccato, altro non è che il moto dell'animo naturalmente in contrasto con la ragione. Ma questa tendenza è del tutto immune da peccato, se non reca con sé l'assenso volontario o una negligenza di sorveglianza. E quando S. Paolo scrive: Avrei ignorato la concupiscenza, se la Legge non mi avesse imposto di non aver cupidigie (Rm 7,7), intende parlare non del vigore della concupiscenza, ma del vizio della volontà.

San Gregorio formulo la stessa dottrina, scrivendo: Nessuna teoria è più anticristiana di quella che sostiene la sola superficiale scomparsa dei peccati nel Battesimo. Il sacramento della fede trae l'anima all'adesione con Dio, libera radicalmente dai vincoli del peccato (lib. 11, Leti. 45). E a sostegno della sua dichiarazione invoca le parole del Salvatore: Chi è lavato, non ha bisogno di lavarsi che i soli piedi, ed è tutto puro (Jn 13,10).

Chi vuole un'immagine espressiva e limpida di questa verità, rifletta alla storia del lebbroso Naaman siro. Narra la Scrittura che, bagnatosi sette volte nel Giordano, guarì cosi completamente della sua lebbra, che la sua carne sembrava la carne di un fanciullo (2R 5,1).

Perciò l'effetto specifico del Battesimo è il perdono di tutti i peccati, contratti per vizio di origine, o per nostra colpa. Tralasciando ogni altra testimonianza, ricorderemo come il Principe degli apostoli dichiari esplicitamente che appunto per questo esso fu istituito dal nostro Signore e Salvatore: Pentitevi e ognuno di voi sia battezzato nel nome di G. Cristo, per ottenere il perdono dei peccati (Ac 2,38).

183. Condono delle pene dovute ai peccati


Col Battesimo non solo vengono rimessi i peccati, ma vengono pure benignamente condonate da Dio tutte le pene dovute alle colpe. Infatti se tutti i sacramenti sono mezzi, mediante i quali viene comunicata l'efficacia della passione di G. Cristo, del solo Battesimo l'Apostolo disse che, ricevendolo, moriamo e siamo sepolti con G. Cristo (Rm 6,3). In base a ciò la Chiesa ha sempre sostenuto che non è possibile, senza grave offesa al sacramento, imporre al battezzando quelle opere di pietà, che con parola corrente i santi Padri chiamarono opere satisfattorie. Né ciò è in contrasto con l'uso dell'antica Chiesa, la quale un tempo imponeva agli Ebrei che chiedevano il Battesimo un digiuno di quaranta giorni. Con questa imposizione infatti la Chiesa non intendeva far compiere un'opera di soddisfazione, ma semplicemente ammonire gli aspiranti al Battesimo a concepire venerazione per la dignità del sacramento, dedicandosi per un periodo di tempo ad assidui digiuni e preghiere.

È certo dunque che il Battesimo condona le pene dei peccati. Nessuno però viene esentato dalle pene, cui sia stato condannato in virtù di sentenze civili, per qualche grave delitto. Chi è degno di morte, non sfuggirà, in vista del Battesimo, alla pena fissata per legge. Ma sarà sempre degna della più ampia lode la mitezza religiosa di quei sovrani, i quali, per aggiungere decoro alla gloria di Dio nei sacramenti, faranno grazia in tal caso ai rei e ai condannati.

Inoltre il Battesimo ci libera, dopo il corso di questa vita, da tutte le pene inflitte per il peccato di origine. Noi infatti acquistammo il diritto a questa liberazione in virtù della morte del Signore. Ora, nel Battesimo, come abbiamo detto, noi moriamo con lui. Se, come dice l'Apostolo, siamo stati innestati in lui nella somiglianza della sua morte, lo saremo anche in quella della resurrezione (Rm 6,5).

184. Nessuna esenzione dalle miserie della vita


Potrà chiedere qualcuno: perché subito dopo il Battesimo non siamo liberati, anche in questa vita, dai mali scaturiti dalla colpa, e reintegrati in quel perfetto stato di vita goduto da Adamo, primo padre degli uomini, antecedentemente al peccato? Perché non compie questa trasformazione quel santo lavacro? Due ragioni possono addursi in risposta.

La prima è questa: noi, congiunti mediante il Battesimo al corpo di Cristo e divenuti suoi membri (Ep 5,30), non potevamo essere insigniti di una dignità maggiore di quella, che è stata conferita al nostro capo. Ora N.S. G. Cristo, per quanto in possesso fin dalla nascita di ogni pienezza di grazia e di verità (Jn 1,14), tuttavia non depose la fragilità della natura umana, da lui assunta, prima di avere affrontato i tormenti della passione e la morte, risorgendo poi alla gloria della vita immortale. E allora, qual meraviglia se i fedeli, già in possesso della grazia della celeste giustizia in virtù del Battesimo, continuano ad essere rivestiti di un corpo fragile e caduco; e sono costretti ad affrontare copiose sofferenze per Cristo, a subire la morte e aspettare il ritorno in vita, per essere degni di godere con lui in sempiterno?

Ed ecco la seconda ragione per cui in noi rimangono anche dopo il Battesimo la debolezza del corpo, le malattie, il sentimento del dolore, i moti della concupiscenza. Ci si volle lasciare un'abbondante messe di possibili meriti, per conseguire più ricco frutto di gloria e più magnifici premi. Quando infatti tolleriamo con pazienza gli incomodi della vita e con l'aiuto di Dio sottoponiamo i malvagi istinti del nostro essere al giogo della ragione, dobbiamo farci forti della speranza che se avremo combattuto come l'Apostolo la buona battaglia, se avremo compiuto la corsa e conservata la fede, il Signore, giusto giudice, ci darà la preparata corona della giustizia nel giorno destinato (2Th 4,7).

Così del resto il Signore tratto i figli di Israele. Li libero dalla servitù degli Egiziani, sommergendo nel mare il Faraone e il suo esercito; ma non li introdusse subito nella terra beata della promessa; anzi, li sottopose in antecedenza a molte e amare prove (Ex 14,24). E anche dopo averli messi in possesso della terra promessa, pur scacciando dalla loro dimora i primi abitanti, lascio qualche popolo che non fu possibile distruggere, perché così non mancasse mai al popolo di Dio l'occasione di esercitare la sua fortezza e il suo coraggio bellico (Jg 9,1).

Inoltre, se attraverso il Battesimo, oltre i doni celesti che fregiano l'anima, venissero elargiti anche beni corporali, si potrebbe sospettare che molti l'avrebbero chiesto più per i vantaggi della vita presente, che per la sperata gloria della vita futura (2Co 4,18). Il Cristiano invece deve avere sempre dinanzi agli occhi non i falsi e caduchi beni sensibili, ma i veri ed eterni, che sono invisibili.

Del resto anche l'attuale vita, satura com'è di miserie e di dolori, non manca di gioie e di soddisfazioni. Dopo che il Battesimo ci ha innestati a Cristo come tralci al ramo (Jn 15,5), non c'è nulla di più dolce e desiderabile che prendere volenterosamente la croce sulle spalle e seguire le sue orme. Nulla di più degno che superare coraggiosamente fatiche e pericoli, per conseguire con ogni sforzo il premio della divina chiamata. Essa sarà per alcuni l'alloro della verginità, per altri la corona della dottrina e della predicazione, la palma del martirio, o l'insegna trionfante di qualsiasi altra virtù (Ap 7,9,14; Da 12,3). Simili titoli d'onore non potrebbero essere distribuiti, se in antecedenza non avessimo attraversato questa vita di amarezze e combattuto vittoriosamente l'aspra battaglia.

185. Effetti del Battesimo:
infusione della grazia santificante e delle virtù


Per tornare agli effetti del Battesimo, i Pastori dovranno far comprendere come, in virtù di questo sacramento, non solo siamo liberati da quei mali, che veramente sono i più gravi, ma siamo anche arricchiti di singolari privilegi e favori. Infatti l'anima viene ricolmata della grazia che ci solleva alla dignità di giusti, di figli di Dio, di eredi dell'eterna salvezza. Sta scritto: Chi avrà creduto e sarà battezzato, si salverà (Mc 16,16). E l'Apostolo dichiara che la Chiesa è purificata nel lavacro dell'acqua, accompagnato dalla parola di vita (Ep 5,26).

Si tratta di una grazia, che, secondo la definizione del concilio Tridentino, sanzionata dalla pena della scomunica, non solo rimette i peccati, ma inerisce, come proprietà divina, all'anima, e, simile ad uno splendore di luce che distrugge tutte le macchie delle anime nostre, le rende più belle e più rilucenti (Sess. 6,7). La Scrittura del resto lo fa intendere, quando dice che la grazia viene effusa (Rm 5,5), e la definisce pegno dello Spirito santo (2Co 1,22).

Si aggiunge il nobilissimo corteggio di virtù, che accompagna divinamente l'ingresso della grazia nell'anima. Scrive l'Apostolo a Tito: Ci salvo mediante l'abluzione rigeneratrice e rinnovatrice dello Spirito santo, diffuso copiosamente in noi per Gesù Cristo nostro Salvatore (Tt 3,5). E sant'Agostino, commentando le parole: diffuso copiosamente, le interpreta appunto come allusive al perdono delle colpe e all'infusione delle virtù.

Per il Battesimo siamo congiunti intimamente con Cristo, come membra col capo. Orbene, dal capo emana l'energia che muove le singole membra del corpo al compimento delle rispettive funzioni. Così dalla pienezza di Cristo rifluiscono nei giustificati quella divina virtù e quella grazia, che ci rendono idonei a tutti i doveri della pietà cristiana.

Non desti sorpresa il fatto che, nonostante si copioso sussidio di doni, non possiamo iniziare e compiere azioni pie e rette senza penose difficoltà e sforzo intenso. Ciò non significa che non ci siano state concesse, per beneficio divino, le virtù da cui scaturiscono le azioni. Si deve dire piuttosto che anche dopo il Battesimo è restata la possibilità dell'irriducibile duello fra la carne e lo spirito. Ma esso non deve piegare o spezzare il coraggio del cristiano. Fiduciosi nella misericordia divina, dobbiamo piuttosto sperare che, nell'esercizio quotidiano del retto vivere, riusciamo a ritenere facile e piacevole quanto è onesto, giusto, santo (Ph 4,8), pensandoci volentieri, uniformandovi le nostre azioni, affinché il Dio della pace sia con noi (2Co 13,11).

186. Effetti del Battesimo: il carattere


Inoltre il Battesimo imprime nell'anima un carattere, che non potrà più essere cancellato. Non ci diffonderemo molto in proposito: basterà applicare quanto sopra è stato già detto, trattando dei sacramenti in genere.

Però, ad evitare ogni equivoco, i Pastori ricorderanno spesso e diligentemente ai fedeli che, appunto in base alla natura e alla forza del carattere, la Chiesa ha definito che il sacramento del Battesimo non può mai essere ripetuto. L'aveva già insegnato l'Apostolo dicendo: un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo (Ep 4,5). E scrivendo ai Romani, li esorta a far si che morti col Battesimo in Cristo, non perdano la vita da lui ricevuta: Morendo per il peccato, Cristo è morto una volta sola (Rm 6,10). In altre parole, com'egli non può morire una seconda volta, neppure a noi è dato morire di nuovo col Battesimo. Per questo la santa Chiesa proclama nettamente di credere nella unicità del Battesimo, la quale del resto risponde alla logica e alla realtà; poiché il Battesimo è una rinascita spirituale. Ora come per virtù naturale siamo generati e nasciamo una sola volta; cosicché secondo la frase incisiva di sant'Agostino, non ci è dato di ritornare nell'utero materno, così unica deve essere pure la rinascita spirituale; quindi il Battesimo non deve essere mai ripetuto.

187. Il Battesimo sotto condizione


Non si consideri però come una ripetizione del Battesimo l'uso ecclesiastico di battezzare di nuovo, quando vi sia il sospetto che chi si presenta sia stato già battezzato, usando la formula: Se sei stato battezzato, non ti ribattezzo; ma se non sei stato ancora battezzato, ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Non si tratta qui di un Battesimo ripetuto, ma di un'amministrazione sacramentale fatta con le giuste cautele. In proposito i Pastori baderanno ad alcuni particolari, sui quali si manca pressoché ogni giorno, con gravissima irriverenza al sacramento. Vi sono ministri che credono di non commettere nulla di male, battezzando indifferentemente tutti con quella clausola. Quando viene loro presentato un fanciullo, non si curano affatto di sapere se sia già stato battezzato, e senz'altro amministrano il Battesimo. C'è di peggio: pur sapendo che il sacramento è già stato conferito in casa, non esitano a rinnovare il Battesimo condizionato in chiesa con solenne cerimonia. Non possono farlo senza incorrere in un sacrilegio e in quella indegnità, che i teologi chiamano irrego1arità. In base ad un decreto di papa Alessandro 3, quella formula battesimale è consentita solo quando, fatte le dovute inchieste, rimane qualche dubbio che sia stato ricevuto il Battesimo valido. Altrimenti non è mai lecito ribattezzare, neppure condizionatamente.

188. Ultimo effetto del Battesimo: apre le porte del cielo


Infine, oltre gli altri vantaggi conseguiti col Battesimo, ve n'è uno, per ultimo, che sembra riassumerli tutti. Per esso a ciascuno di noi viene riaperto l'ingresso del paradiso, già serrato dal peccato. Tutto quello che la virtù del Battesimo opera in noi, può desumersi agevolmente da quanto accadde, secondo il racconto evangelico, in occasione del Battesimo del Salvatore. Si aprirono allora i cieli, e apparve in forma di colomba lo Spirito santo, discendendo su G. Cristo nostro Signore (Mt 3,16 Mc 1,10 Lc 3,22). Il miracolo significava che ai battezzati sono elargiti i divini carismi e sono spalancate le porte dei cieli; non perché v'entrino senz'altro nell'ora del Battesimo, ma perché al momento opportuno conseguano la gloria, e, immuni da quelle miserie che sono incompatibili con la beatitudine, raggiungano l'immortalità, al posto della mortalità. Questi, dunque, sono i frutti del battesimo; e, se guardiamo il sacramento in sé stesso, non si può dubitare che vengano da tutti egualmente percepiti; se poi si riguardano le disposizioni, con le quali i singoli individui si accostano a riceverlo, bisogna pur confessare che alcuni li ricevono in maggiore, altri in minore abbondanza.

189. Le cerimonie del Battesimo


Ricordiamo infine brevemente ma chiaramente quel che deve essere insegnato circa le preci, i riti, le cerimonie che accompagnano questo sacramento. L'avvertimento dell'Apostolo a proposito del dono delle lingue: " E completamente inutile parlare, senza farsi intendere dai fedeli ", può essere opportunamente applicato ai riti e alla liturgia, che sono il simbolo e il segno di quanto nel sacramento si opera; se il popolo credente ignora la forza e l'efficacia di quei segni, non sarà grande in verità l'utile delle cerimonie. I Pastori perciò curino assiduamente che i fedeli le comprendano, rendendoli persuasi che esse, per quanto non strettamente necessarie, devono ad ogni modo essere tenute in altissima stima e in grande onore. Ciò risulta dall'autorità di chi le istituì, e precisamente dagli apostoli e dal fine che presiedette alla loro istituzione. Così si ottenne infatti che il sacramento fosse amministrato con maggiore pietà e venerazione e che mettendo dinanzi agli occhi gli insigni doni che racchiude, gli infiniti benefici del Signore colpissero più efficacemente l'animo dei fedeli.

Affinché i Pastori possano in questa spiegazione seguire un certo ordine e i loro insegnamenti rimangano maggiormente impressi nella memoria del loro gregge, sarà bene distribuire in tre classi le cerimonie e le preci, che la Chiesa usa nell'amministrazione battesimale. La prima abbraccia quelle che si praticano prima di accostarsi al sacro fonte; la seconda quelle usate nell'atto stesso del Battesimo; la terza quelle che lo seguono.

190. Prima del Battesimo


Innanzi tutto occorre preparare l'acqua necessaria al sacramento. Perciò viene consacrato il fonte battesimale, mescolandovi l'olio della mistica unzione. Non è lecito farlo in qualsiasi momento; ma secondo la consuetudine dei nostri padri, bisogna attendere determinati giorni festivi, giustamente ritenuti i più santi e solenni (Pasqua e Pentecoste). Nelle loro vigilie si prepara l'acqua del santo Battesimo. Nei medesimi giorni, a meno che le circostanze non avessero imposto diversamente, secondo l'uso dell'antica Chiesa, veniva amministrato il Battesimo. Oggi, dati i rischi della vita normale, la Chiesa non ha conservato tale consuetudine. Ad ogni modo continua a rispettare col massimo ossequio i giorni di Pasqua e di Pentecoste, come destinati alla consacrazione dell'acqua battesimale.

A questa consacrazione devono seguire altri riti sempre preliminari al Battesimo. Portati o condotti alla soglia della chiesa coloro che devono essere presentati al Battesimo, se ne vieta loro recisamente l'ingresso. Sono infatti indegni di entrare nella casa di Dio, prima di avere gettato via il giogo della più degradante schiavitù, e si siano consacrati totalmente a N. S. G. Cristo e al suo santo dominio.

Allora il sacerdote chiede loro che cosa vogliano dalla Chiesa. Avuta la congrua risposta, li istruisce subito intorno alla dottrina della fede cristiana, che devono professare nel Battesimo, e questo si pratica con alcune domande di Catechismo. Nessuno può mettere in dubbio che questa regola sia originata dal Salvatore stesso. Poiché comando agli apostoli: Andate in tutto il mondo e istruite tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro a osservare tutto quanto v'ho comandato (Mt 28,19 Mc 16,15). Da queste parole si arguisce che il Battesimo non può essere amministrato, prima che si siano spiegati almeno i capisaldi della nostra religione. E poiché è essenziale che la catechesi risulti di una serie di domande, se colui che viene istruito è adulto, risponderà di persona alle interrogazioni; se è un bambino, vuole il rito che il padrino risponda e faccia solenne promessa in sua vece.

Segue l'èsorcismo, composto di parole e preci sacre e religiose, destinato a cacciare via il demonio e ad abbatterne la potenza. Infine si svolgono altre cerimonie, tutte mistiche, ognuna delle quali racchiude uno speciale significato.

Si introduce così il sale nella bocca del battezzando; e ciò vuole indicare, evidentemente, che egli sarà arricchito della dottrina della fede e del dono della grazia, affinché si liberi dalla putredine della colpa; e, assaporando il gusto delle buone opere, si delizi nel pascolo della sapienza divina.

Sono inoltre segnati col segno della croce la fronte, gli occhi, il petto, le spalle, le orecchie. Così è simboleggiato l'irrobustirsi dei sensi del battezzato, compiuto mediante il battesimo, perché egli possa ricevere Dio, intenderne e rispettarne i comandamenti.

Infine gli vengono umettate di saliva le narici e le orecchie, e subito dopo è introdotto nel fonte battesimale, come avvenne al cieco del Vangelo, cui il Signore comando di lavarsi nell'acqua di Siloe gli occhi imbrattati di fango, per riacquistare la vista (Jn 9,7). Così ci viene insinuato che la sacra abluzione possiede la capacità di conferire all'intelligenza la virtù visiva, necessaria per cogliere le verità celesti.

191. Al fonte battesimale


Dopo di ciò si va al fonte battesimale, per compiere altre cerimonie e altri riti, da cui è possibile arguire il compendio della religione cristiana. Il sacerdote interroga a tre riprese il battezzando: Rinunzi a Satana, alle sue opere, alle sue seduzioni? E il battezzando, o il padrino per lui, risponde invariabilmente: Rinunzio. Così colui che sta per arruolarsi nel servizio di Cristo promette in primo luogo, con sentimento di viva pietà, di abbandonare il diavolo e il mondo, di detestarli per sempre e continuamente quali nemici implacabili.

Allora il sacerdote, collocatolo dinanzi al fonte, continua l'interrogatorio: Credi in Dio Padre onnipotente? Ed egli risponde: Credo. Interrogato così via via sugli altri articoli del Simbolo, fa solennemente professione della sua fede. In queste due dichiarazioni si riassumono in verità la forza e la disciplina della legge cristiana.

E ormai il momento di amministrare il Battesimo; il sacerdote domanda al battezzando se voglia essere battezzato; e, ricevutane risposta affermativa, o direttamente dal padrino, immediatamente lo bagna con acqua salutare, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo.

Come l'uomo, infatti, fu giustamente condannato dopo aver volontariamente obbedito al serpente; così il Signore vuole solamente dei volontari nel novero dei suoi fedeli, perché spontaneamente docili ai divini precetti, raggiungano l'eterna salvezza.

192. Dopo il Battesimo


Compiuto il rito battesimale, il sacerdote unge col crisma il vertice del capo del battezzato. Questi deve così comprendere che da quel momento è congiunto con Gesù Cristo come un membro alla testa; che è innestato al suo corpo, e che il nome di Cristiano gli deriva da Cristo, come quello di Cristo deriva da crisma. Il significato del crisma poi risulta, come attesta S. Ambrogio, dalle preghiere stesse che in questo momento il sacerdote pronuncia.

Quindi il sacerdote riveste il battezzato di una candida veste, dicendo: Ricevi la veste bianca che porterai immacolata al tribunale di nostro Signor Gesù Cristo, per avere la vita eterna. Però ai piccoli, che non usano ancora vesti, è data con queste parole un fazzoletto bianco. Secondo i santi Padri, esso sta ad indicare e la gloria della resurrezione, cui sono introdotti di diritto i battezzati, e il nitido fulgore di cui s'irradia l'anima del battezzato, purificata dalle macchie della colpa; e l'innocenza che il battezzato deve difendere per tutto il corso della vita.

Poi gli mette in mano un cero acceso, per indicare che la fede ardente di carità, ricevuta nel Battesimo, deve essere alimentata e accresciuta con lo zelo per le buone opere.

Infine è imposto un nome al battezzato. Esso sarà sempre preso da una persona, che l'insigne virtù e la profonda religiosità hanno introdotto nel novero dei santi. Così la somiglianza del nome inciterà facilmente all'emulazione della virtù e della santità. Studiandosi di imitare il santo di cui porta il nome, il fedele lo pregherà e spererà di averlo tutore della propria salute corporale e spirituale. Sono perciò degni di biasimo coloro che vanno a cercare, per imporli ai bambini, nomi di pagani, anzi di personaggi che furono tra i più scellerati. Bella stima mostrano costoro della pietà cristiana, compiacendosi tanto nella memoria di individui empi, e adoperandosi a tutta forza perché alle orecchie dei fedeli risuonino da ogni parte nomi profani!

193. Riassunto


Quando i Pastori avranno spiegato tutto questo, potranno sentirsi tranquilli di non aver tralasciato quasi nulla di ciò che è necessario per una conveniente conoscenza del sacramento del Battesimo. Fu spiegato infatti il significato del nome; fu esposta la natura e la sostanza del Battesimo; ne furono indicate le parti. E stato detto chi lo istituì, quali sono i suoi ministri necessari, quali padrini devono essere scelti per corroborare la debolezza del battezzato. E stato mostrato a chi deve essere amministrato il Battesimo, e in qual modo disposto l'animo di chi lo riceve. Ne sono state segnalate la virtù e l'efficacia. Infine sono state sufficientemente descritte le cerimonie liturgiche che devono accompagnarlo. I Pastori non dimenticheranno che tutti questi insegnamenti costituiscono il pascolo permanente delle anime dei fedeli, affinché mantengano fede alle sante e pie promesse del Battesimo, menando una vita in armonia con la veneranda professione del nome cristiano.
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26/08/2010 16:16

PARTE SECONDA: I SACRAMENTI


LA CRESIMA



194. Il nome


Se fu sempre doverosa cura dei Pastori spiegare il sacramento della Confermazione, oggi lo è più che mai. Molti, nella santa Chiesa di Dio, lo trascurano; pochissimi si sforzano di ricavarne, come dovrebbero, il verace frutto della grazia divina. I fedeli perciò dovranno essere istruiti intorno alla natura, all'efficacia, alla nobiltà di questo sacramento, sia nel giorno della Pentecoste, specialmente designato per la sua amministrazione, sia in altri giorni; che ai Pastori appariranno adatti. Occorre che i fedeli apprendano come la Cresima, non solo non deve essere trascurata, ma ricevuta con devozione e pietà religiosa, affinché per loro colpa e per loro grande disgrazia lo straordinario beneficio divino non sia conferito loro invano.

Cominciamo dal nome. La Chiesa ha chiamato Confermazione questo sacramento per il motivo seguente: quando il battezzato è unto dal vescovo col sacro crisma e vengono pronunciate le solenni parole: Io ti segno col segno della croce e ti confermo col crisma della salvezza, in nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito santo, se nulla impedisce l'efficacia operativa del sacramento, il battezzato acquista il vigore di una nuova virtù e comincia ad essere perfetto soldato di Gesù Cristo.

195. Natura della Cresima


La Chiesa cattolica riconobbe sempre nella Confermazione la natura vera e propria di un sacramento. Lo dichiarano apertamente il papa Melchiade e parecchi altri pontefici di singolare antichità e santità. San Clemente specialmente non avrebbe potuto confermare la verità di questa dottrina con parole più esplicite: Tutti si devono affrettare per rinascere senza indugio a Dio, e per ricevere, col sigillo del vescovo, la grazia settiforme dello Spirito santo; né può essere assolutamente Cristiano perfetto chi di proposito, e non per necessità, dimentica questo sacramento. Lo abbiamo imparato da san Pietro e da tutti gli altri apostoli, che ne ricevettero il comando dal Signore (Presso Isid. Lett. 4). Tale dottrina corroborarono con la propria autorità, come può ricavarsi dai loro decreti, i pontefici romani Urbano, Fabiano, Eusebio, che, avvivati dal medesimo Spirito, diedero il sangue per Gesù Cristo.

Possiamo aggiungere la concorde testimonianza dei santi Padri, tra cui segnaliamo Dionigi l'Areopagita, vescovo di Atene, il quale difende cosi la preparazione e l'uso del sacro unguento: I sacerdoti ricoprono il battezzato con la veste appropriata alla sua purezza, e lo conducono al vescovo, il quale segnandolo con l'unguento sacro e pressoché divino, lo chiama a far parte della santissima comunità (Della ger. eccl. cap. 2, § 7 e cap. 4). Eusebio di Cesarea attribuisce cosi notevole importanza a questo sacramento da dire: L'eretico Novato non poté conseguire lo Spirito santo, perché, essendo stato battezzato durante una grave malattia, non ricevette il sigillo del crisma (Stor. Eccl. 6,43).

Altre esplicite dichiarazioni cogliamo in proposito da sant'Ambrogio, nel libro da lui consacrato agli iniziati, e da sant'Agostino nell'opera destinata a confutare le lettere del donatista Petiliano. L'uno e l'altro stimarono cosi superiore a qualsiasi dubbio la verità di questo sacramento, da ritenerla confermata anche dalla S. Scrittura. Ritengono infatti che si devono attribuire alla Confermazione, il primo le parole dell'Apostolo: Non vogliate contristare il santo Spirito di Dio, nel quale siete stati segnati (Ep 4,30); l'altro la frase del Salmo: Come l'unguento sparso sul capo, che scende sulla barba di Aronne (Ps 132,2), e la sentenza dell'Apostolo: La carità divina si è diffusa nei nostri cuori, mediante lo Spirito santo, che ci è stato conferito (Rm 5,5).

196. La Cresima è distinta dal Battesimo


Sebbene papa Melchiade dica che il Battesimo è strettamente congiunto con la Cresima, non dobbiamo pensare che siano il medesimo sacramento. La diversità delle grazie che ciascuno di essi comunica, i segni sensibili che le significano, mostrano che si tratta di due sacramenti del tutto diversi e distinti. La grazia del Battesimo fa nascere gli uomini a nuova vita; col sacramento della Confermazione i rinati divengono adulti, eliminando tutto ciò che rivelava la puerizia (1Co 13,11). La stessa distanza quindi che corre nella vita naturale fra la generazione e lo sviluppo, corre pure fra il Battesimo, ricco di capacità rigenerativa, e la Cresima, in virtù della quale i fedeli crescono e raggiungono la perfetta maturità dell'anima. Inoltre, a ogni nuova difficoltà che l'anima incontra, era conveniente fosse disposto un nuovo e distinto sacramento. Perciò, mentre la grazia del Battesimo ci occorre per infondere nell'anima la fede, un'altra grazia deve corroborarla in modo che nessun pericolo o timore di pene, di supplizio, di morte l'allontani dalla professione della vera fede. E poiché questo è appunto l'effetto del sacro crisma, dovrà dirsi che la natura della Cresima non è quella del Battesimo. Lo stesso papa Melchiade delimita esattamente la differenza fra l'uno e l'altro, scrivendo: Nel momento del Battesimo l'uomo è arruolato, nell'atto della Cresima riceve le armi per la lotta. Al fonte battesimale lo Spirito santo da la pienezza dell'innocenza, mentre con la Cresima perfeziona nella grazia. Col Battesimo rinasciamo alla vita; cresimati, siamo preparati alla lotta. Ci laviamo nel Battesimo, dopo il Battesimo ci irrobustiamo; la rinascita salva per sé stessa nella pace i battezzati, la Cresima arma e addestra al combattimento. Tutto ciò è stato definito, dopo altri Concili, principalmente dal sacro Concilio Tridentino, sicché non è più lecito ad alcuno dissentire, o minimamente aver dubbi in proposito.

197. Istituzione della Cresima


Come sopra abbiamo mostrato, di tutti i sacramenti è necessario insegnare l'istituzione; quindi anche della Confermazione. Perciò, affinché i fedeli siano più profondamente colpiti dalla santità di questo sacramento, i Pastori spiegheranno come non solo nostro Signor Gesù Cristo fu l'istitutore di questo sacramento, ma secondo la testimonianza di san Fabiano pontefice di Roma, impose anche il rito del crisma e le parole adoperate dalla Chiesa nell'amministrarlo. Non troveranno difficile provarlo a coloro che ammettono il carattere sacramentale della Cresima. Tutti i sacri misteri non superano le capacità della natura umana? Da nessuno dunque possono aver origine, se non da Dio.

198. Materia della Cresima


Occorre spiegare ancora gli elementi della Cresima, e, in primo luogo, la sua materia, che si chiama crisma. Questa parola greca, sebbene negli scritti profani significhi qualsiasi genere di unguento, tuttavia dal l'uso comune ecclesiastico fu circoscritta a indicare quello speciale unguento, che il vescovo consacra solennemente mescolando olio e balsamo. Cosi due sostanze materiali accoppiate offrono la materia alla Cresima. Tale mescolanza, mentre raffigura la molteplice grazia dello Spirito santo, esprime pure la dignità del sacramento. La santa Chiesa e i Concili costantemente insegnarono che questa è la materia del sacramento. San Dionigi poi, e con lui numerosi autorevolissimi Padri, tra cui primeggia san Fabiano papa, confermano che gli apostoli ricevettero dal Signore l'ordine di preparare il crisma e a noi ne tramandarono il precetto.

Nessun'altra materia, in verità, poteva concepirsi più adatta a simboleggiare l'effetto del sacramento. L'olio, materia grassa e lentamente diffusiva, esprime la pienezza della grazia che rifluisce da Gesù Cristo, nostro capo, mediante lo Spirito santo, e si diffonde, come l'unguento che scende sulla barba di Aronne, fino all'orlo della sua veste (Ps 132,2). Infatti Dio ha versato l'olio della gioia sul proprio Figlio più copiosamente che sugli altri (Ps 49,8), e noi tutti traemmo beneficio dalla sua pienezza (Jn 1,16). Il balsamo poi, dal profumo graditissimo, vuole esprimere questo fatto: che i fedeli, tratti a perfezione dal sacramento della Cresima;, emanano quell'effluvio odoroso di virtù, che li autorizza a ripetere con l'Apostolo: Noi siamo al cospetto di Dio il profumo di Gesù Cristo (2Co 2,15). Inoltre il balsamo ha la virtù di preservare dalla putrefazione. Che cosa, dunque, di più adatto per simboleggiare l'efficacia del nostro sacramento, la grazia celeste del quale, riempiendo le anime, le difende dal contagio del peccato?

Il crisma viene consacrato dal vescovo con una liturgia solenne. Papa Fabiano, cosi illustre per santità e gloria di martirio, riferisce che ciò fu insegnato dal nostro Salvatore nell'ultima cena, quando raccomando agli apostoli la maniera di prepararlo. Del resto si può anche dimostrare che tale consacrazione è quanto mai ragionevole. A proposito infatti di altri sacramenti, Gesù Cristo designo la materia, conferendole il potere santificante. Non solo volle, per esempio, che l'acqua fosse l'elemento del Battesimo, dicendo: Chi non rinascerà per acqua e Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio (Jn 3,5); ma ricevendo egli stesso il Battesimo fece si che l'acqua fosse d'allora in poi dotata di virtù santificatrice. Il Crisostomo ben disse: L'acqua battesimale non potrebbe cancellare i peccati dei credenti, se non fosse stata santificata dal contatto col corpo del Signore (Presso Graz. p. 3, dist. 4, e. 10). Ma poiché il Signore non consacro la materia della Cresima direttamente usandola di persona, è necessario che sia consacrata mediante pie e sante preci. Né tale consacrazione può spettare ad altri fuori del vescovo, che è il ministro ordinario di questo sacramento.

199. Forma della Cresima


Dovrà poi essere spiegata la seconda parte del sacramento, cioè la formula usata nella sacra unzione. I fedeli devono essere esortati ad eccitare l'animo loro, mentre ricevono il sacramento, sopra tutto mentre sono pronunziate le parole di rito, a sentimenti di pietà, di fede, di religione, affinché nulla ostacoli il cammino radioso della grazia celeste.

Questa quindi è la forma della Cresima: Io ti segno col segno della croce e ti confermo col crisma della salute, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Del resto essa potrebbe essere comprovata col sussidio della ragione. La forma infatti di un sacramento deve contenere quanto è necessario a spiegarne la natura e la sostanza. Ora, nella Cresima devono essere ponderati tre coefficienti: la potenza divina, la quale opera nel sacramento come causa principale; l'energia del cuore e dello spirito, instillata nei fedeli attraverso la sacra unzione, per raggiungere la salvezza; infine il segno impresso su chi sta per affrontare l'agone cristiano. Ebbene, il primo è espresso dalle parole finali: Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo; il secondo, dalle altre: Ti confermo col crisma della salute; il terzo dalle parole iniziali: Ti segno col segno della croce. Anche se questa dimostrazione razionale non fosse valida, rimarrebbe sempre l'autorità della Chiesa cattolica, dal cui magistero fummo sempre istruiti che questa è la vera e assoluta forma del sacramento; e nessun dubbio è lecito in proposito.

200. Il ministro della Cresima


I Pastori devono ancora indicare le persone, a cui l'amministrazione di questo sacramento è principalmente affidata. Come dice il profeta, molti corrono, senza che nessuno li abbia mandati (Jr 23,21). E quindi necessario determinare quali siano i veri e legittimi ministri, affinché il popolo fedele possa partecipare al sacramento della Cresima e conseguirne la grazia.

La Scrittura mostra che il solo vescovo riveste l'ordinaria potestà di amministrarlo. Leggiamo negli Atti degli apostoli, che avendo la Samaria accolto la parola del Signore, furono colà mandati Pietro e Giovanni, che pregarono per i nuovi fedeli, perché potessero ricevere lo Spirito santo, il quale non era ancora disceso in alcuno di loro; erano stati infatti semplicemente battezzati (Ac 8,14). Traspare da ciò che colui il quale aveva battezzato, essendo semplice diacono, non aveva alcun potere di cresimare, e che questo potere era riservato a ministri più alti: gli apostoli. Lo stesso può osservarsi dovunque la Scrittura fa menzione di questo sacramento. Non mancano, poi, a conferma, testimonianze nettissime dei santi Padri e pontefici Urbano, Eusebio, Damaso, Innocenzo, Leone, contenute nei loro decreti. Sant'Agostino dal canto suo deplora vivamente l'irregolare consuetudine degli Egiziani e degli Alessandrini, tra i quali i sacerdoti semplici osavano amministrare il sacramento della Cresima.

Una similitudine soccorrerà in buon punto i Pastori per dimostrare quanto giustamente tale potestà sia stata riservata ai vescovi. Nell'innalzare un edificio i muratori, ministri inferiori, preparano e dispongono il cemento, la calce, le travi e ogni altro materiale; ma la direzione definitiva dell'opera è riservata all'architetto. Ebbene, anche questo sacramento col quale l'edificio spirituale è condotto a perfezione, deve essere amministrato esclusivamente dal sommo sacerdote.

201. Il padrino della Cresima


Come nel Battesimo, anche qui è necessario il padrino. Chi affronta un combattimento alla spada, ha bisogno di uno che lo assista con la propria perizia e il proprio consiglio, indicando i colpi e le parate che lo conducano ad abbattere l'avversario, rimanendo incolume. A maggior ragione i fedeli che, corazzati e muniti dalla Confermazione di affilatissime armi, si presentano sull'arena spirituale, che ha per posta la salvezza eterna, hanno bisogno di una guida e di un consigliere. Opportunamente dunque anche nell'amministrazione di questo sacramento saranno scelti dei padrini, con i quali si contrae immediatamente quell'affinità spirituale, che impedisce legittimi vincoli matrimoniali, come dicemmo parlando dei padrini nel Battesimo.

202. Somma utilità della Confermazione


Accade spesso però che i fedeli siano troppo precipitosi, o troppo tardi, o negligenti nell'accostarsi a questo sacramento. Non è il caso, si intende, di parlare di coloro, i quali giunsero a tal segno di empietà da di sprezzarlo. I Pastori dovranno perciò conoscere quale età e quali disposizioni religiose debbano avere i cresimandi.

Innanzi tutto s'insista nel dire che questo sacramento non è di una tale necessità, che chi non l'ha ricevuto, non possa salvarsi. Ma si ricordi pure bene, che per quanto non sia necessario, da nessuno però deve essere trascurato. Bisogna invece badare con ogni cura a non cadere in alcuna negligenza in cose cosi ricolme di santità, e che portano una cosi larga concessione di doni divini.

Tutti devono desiderare con fervore quel che Dio offre generosamente per la loro santificazione. Ora san Luca, descrivendo la mirabile effusione dello Spirito santo, dice: All'improvviso venne dal cielo un fragore, come si fosse levato un vento gagliardo, e riempi tutta la casa dove abitavano. E poco dopo: Furono tutti ripieni di Spirito santo (Ac 2,2-4). Poiché quella casa raffigurava la santa Chiesa, dalle parole di san Luca è lecito arguire che il sacramento della Confermazione, di cui quel giorno segno l'inizio, appartiene a tutti i fedeli indistintamente. Il che risulta del resto senza difficoltà dalla natura stessa del sacramento. Chiunque abbia bisogno di spirituale sviluppo, chiunque debba ascendere alla perfetta formazione cristiana, deve essere confermato col sacro crisma. Ora tutti sono in questa condizione. La natura esige che ogni nato cresca, si sviluppi, giunga all'età perfetta, per quanto non sempre tocchi la mèta. Allo stesso modo la comune madre di tutti, la Chiesa Cattolica, ardentemente desidera che nei rigenerati mediante il Battesimo, si perfezioni la figura del cristiano. E poiché questo fine è raggiunto col sacramento dell'unzione mistica, è evidente che tutti i fedeli vi si devono accostare.

203. Quando si deve ricevere la Cresima


Il sacramento della Confermazione può essere amministrato a tutti i fedeli battezzati. Ma non conviene amministrarlo ai bambini non ancora pervenuti all'uso di ragione. Pur non essendo necessario attendere il dodicesimo anno di età, è bene ad ogni modo differire il sacramento per lo meno fino al settimo. La Cresima non fu istituita come necessaria alla salvezza; fu data perché, ben rafforzati dalla sua virtù, ci trovassimo pronti a combattere per la fede di Cristo. Ora nessuno riterrà che i bambini ancora privi dell'uso di ragione siano atti a simile genere di lotta.

Ne segue che i cresimandi già adulti, se vogliono conseguire la grazia e i privilegi di questo sacramento, non solo devono essere ricchi di fede e di pietà, ma devono anche pentirsi dei peccati gravi commessi. Sarà bene anzi che li confessino in antecedenza e siano dai Pastori esortati a digiunare e a compiere altre opere di pietà, seguendo la lodevole consuetudine della Chiesa antica, secondo la quale si doveva andare digiuni alla Cresima. Non sarà arduo persuadere di ciò i fedeli, prospettando i doni e gli effetti straordinari di questo sacramento.

204. Effetti della Cresima:
aumento e integrazione della grazia battesimale


I Pastori insegneranno che la Cresima, a somiglianza degli altri sacramenti, conferisce a chi la riceve, qualora questi non le ponga ostacoli, una nuova grazia. Infatti tutti i sacramenti, come abbiamo mostrato, sono mistici e sacri segni, che significano e producono la grazia.

Ma oltre questa proprietà che è comune agli altri sacramenti, la Cresima ha questo di proprio: perfeziona innanzi tutto la grazia battesimale. Coloro che sono divenuti cristiani nel Battesimo, sono simili a bambini appena nati, teneri e delicati. Col sacramento del Crisma divengono più robusti contro ogni possibile assalto della carne, del mondo, del demonio. Il loro animo ne è rassodato nella fede, reso pronto a confessare senza reticenze il nome di nostro Signor Gesù Cristo: da ciò appunto l'appellativo di Confermazione dato al sacramento. Non è vero, come taluno, non meno ignorante che empio, penso, che il termine di Confermazione sia stato ricavato dalla circostanza che una volta, coloro che erano stati battezzati da fanciulli, pervenuti all'età adulta, erano condotti alla presenza del vescovo, perché riconfermassero la fede cristiana accettata nel Battesimo. Cosi la Confermazione non sarebbe affatto diversa dalla semplice catechesi. Tale consuetudine non può in alcun modo dimostrarsi. Invece questo sacramento ricava il suo nome dal fatto, che per sua virtù Dio rafforza in noi l'iniziale operazione del Battesimo e ci innalza alla perfetta stabilità della professione cristiana, non solo confermandola, ma sviluppandola. Lo attesta cosi il Papa S. Melchiade: Lo Spirito santo, disceso con azione salvatrice sulle acque battesimali, conferisce al fonte la pienezza dell'innocenza; nella Cresima da l'aumento della grazia; però non la sviluppa semplicemente, ma le da un vigore veramente ammirabile. La Scrittura espresse eloquentemente il fatto con l'immagine del rivestimento. Alludendo appunto alla Cresima, il nostro Salvatore disse: Trattenetevi in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto (Lc 24,49).

Volendo poi spiegare chiaramente l'efficacia divina di questo sacramento per commuovere gli animi dei fedeli, i Pastori non dovranno fare altro che raccontare quel che accadde agli apostoli. Prima e nell'ora stessa della passione erano cosi fiacchi e spaventati, che non appena il Signore fu catturato, si abbandonarono a precipitosa fuga (Mt 26,56). Dal canto suo Pietro, che era stato designato quale pietra e fondamento della Chiesa, e aveva ostentato una singolare costanza e forza d'animo, atterrito alle parole di una donnicciuola, nego, non una o due volte, ma ben tre volte, di essere discepolo di Gesù Cristo (Mt 26,33 Mt 26,35 Mt 26,51 Mt 26,69). Anche dopo la resurrezione tutti se ne stettero tappati in casa, per paura degli Ebrei (Jn 20,19). Invece nel giorno della Pentecoste furon tutti cosi efficacemente colmati della virtù dello Spirito Santo (Ac 2,4), da spargere liberamente e audacemente il Vangelo loro affidato, non solo sulla terra degli Ebrei, ma in tutto il mondo, e da ritenere come il colmo della felicità essere fatti degni di subire disprezzi, carcere, tormenti, e croce, per il nome di Cristo (Ac 5,41).

205. Ancora gli effetti della Cresima: il carattere


Inoltre la Cresima ha la capacità di imprimere il carattere. Per questo non può essere ripetuta. Lo abbiamo già osservato a proposito del Battesimo, e lo spiegheremo con maggiore ampiezza parlando del sacramento dell'Ordine. Se i Pastori spiegheranno spesso e con cura queste verità, necessariamente i fedeli, riconosciuta la dignità e l'utilità del sacramento, cercheranno di riceverlo piamente e con la più degna preparazione.

206. Le cerimonie della Cresima


Dobbiamo dire infine brevemente qualcosa a proposito dei riti e delle cerimonie, che la Chiesa adopera nell'amministrazione di questo sacramento. I Pastori capiranno senz'altro l'importanza del tèma, ricordando quel che abbiamo detto sopra.

I cresimandi col sacro crisma sono unti sulla fronte, proprio perché in questo sacramento lo Spirito santo viene infuso nelle anime dei fedeli per accrescerne l'energia e la tenacia, onde combattano virilmente le battaglie del Signore e oppongano ai malvagi avversari fiera resistenza. Con tale unzione si ricorda che nessun timore e nessuna vergogna, dei quali sentimenti la prima traccia suole apparire sulla fronte, devono mai trattenere i fedeli dalla libera e alta confessione del nome cristiano. Sulla fronte inoltre, la più nobile parte del corpo, deve essere impressa quella caratteristica, che distingue il Cristiano da tutti gli altri uomini, come le insegne distinguono il soldato.

Vige nella Chiesa di Dio la consuetudine, scrupolosamente rispettata, di amministrare questo sacramento soprattutto nel di di Pentecoste, perché proprio in questo giorno gli apostoli furono rafforzati e confortati dall'effusione dello Spirito santo. Cosi ricordando il grande fatto, i fedeli potranno riflettere meglio sui grandi misteri, che a proposito di questa sacra unzione vanno considerati.

Quindi il Vescovo colpisce leggermente con la mano sulla guancia colui che è stato unto e confermato, per ricordargli che, quale coraggioso atleta, deve essere disposto a sopportare ogni avversità con animo invitto per il nome di Cristo. Infine gli viene data la pace, perché capisca di avere ottenuto quella pienezza della grazia celeste e quella pace, che oltrepassano ogni immaginazione (Ph 4,7). Ecco la sintesi di quel che i Pastori dovranno spiegare intorno alla Cresima, non tanto con semplici parole, quanto con infiammato zelo e pietà, affinché penetri nel più profondo pensiero dei fedeli.
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26/08/2010 16:17

PARTE SECONDA: I SACRAMENTI


L'EUCARISTIA




207. Dignità dell'Eucaristia desunta dall'istituzione


Fra tutti i sacri misteri che N.S. Gesù Cristo ci ha elargito quali infallibili strumenti della grazia, non ce n'è uno che possa paragonarsi al santissimo sacramento dell'Eucaristia; ma appunto perciò non v'è colpa per cui i fedeli abbiano più a temere di esser puniti da Dio, che il trattare senza sacro rispetto un mistero cosi pieno di ogni santità, un mistero, anzi, che contiene lo stesso autore e fonte della santità. L'Apostolo lo ha sapientemente capito e ci ha chiaramente ammonito intorno a questo punto, quando dopo aver mostrato l'enorme delitto di quelli che non distinguono il corpo del Signore, soggiunge: Per questo molti tra voi sono infermi e senza forze, e molti dormono (1Co 11,30). Pertanto, affinché i fedeli possano ritrarre maggior frutto e fuggire la giusta ira di Dio, dopo aver ben compreso quali onori divini si debbano tributare a questo sacramento, i Parroci dovranno con somma diligenza esporre tutto quanto può meglio illustrare la maestà dell'Eucaristia.

A questo scopo, seguendo l'esempio di san Paolo che dichiaro di avere trasmesso ai Corinzi quel che aveva appreso dal Signore, i Parroci spiegheranno innanzi tutto l'istituzione di questo sacramento, la quale, secondo la bella testimonianza dell'Evangelista, avvenne come segue. Avendo il Signore amato i suoi, li amo fino alla fine (Jn 13,1); e, per dare un pegno mirabilmente divino di questo amore, sapendo giunta l'ora di passare da questo mondo al Padre, per non allontanarsi mai dai suoi, compi con ineffabile consiglio un mistero che supera ogni ordine e limite di natura. Celebrata coi discepoli la cena dell'agnello pasquale, affinché la figura cedesse il luogo alla verità e l'ombra al corpo, prese il pane, e dopo aver reso grazie a Dio, lo benedisse, lo spezzo e lo distribuì ai discepoli dicendo: " Prendete e mangiate: questo è il mio corpo che sarà immolato per voi. Fate questo in memoria di me ". E cosi prese il calice, dopo cenato, dicendo: " Questo calice è il nuovo patto nel sangue mio: fate questo, ogni volta che lo berrete, in memoria di me " (Mt 26,26 Mc 14,22 Lc 22,19 1Co 11,24).

208. Vari nomi dell'Eucaristia


Nome. Gli scrittori ecclesiastici sapendo di non poter riuscire ad esprimere con una sola parola la dignità e l'eccellenza di questo mirabile sacramento, hanno tentato di esprimerla con vari nomi. L'hanno chiamata talora Eucarestia, che si può tradurre: grazia eccellente, o azione di grazie. E veramente è una grazia eccellente, in quanto prefigura la vita eterna di cui sta scritto: Grazia di Dio è la vita eterna (Rm 6,23), e in quanto contiene in sé Gesù Cristo, vera grazia e fonte di tutti i carismi. Con eguale verità si chiama azione di grazie, perché, immolando questa purissima ostia, rendiamo ogni giorno infinite grazie a Dio per tutti i suoi benefici; e innanzi tutto per l'ottimo beneficio della sua grazia che ci elargisce in questo sacramento. Ma il nome stesso conviene benissimo anche alle azioni che Cristo ha compiuto istituendo questo sacramento, quando prese il pane, lo spezzo e rese grazie (Lc 22,19 1Co 11,24). Anche Davide, contemplando la grandezza di questo mistero, prima di prorompere nel verso: " Ha reso memorabili le sue meraviglie il Signore clemente e misericordioso: egli provvede il cibo a coloro che lo temono ", giudica opportuno premettere l'azione di grazie col dire: " Ogni sua azione è gloriosa e magnifica " (Ps 110,3-5).

Questo sacramento è chiamato spesso anche sacrificio, e di ciò in seguito parleremo più a lungo.


Ed è chiamato pure comunione, il quale vocabolo è preso dal passo dell'Apostolo:Il calice di benedizione, cui noi benediciamo, non è forse comunione del sangue di Cristo? e il pane che noi spezziamo, non è forse partecipazione del corpo del Signore? (1Co 10,16). Infatti, come spiega il Damasceno, questo sacramento ci unisce a Cristo, ci fa partecipi della sua carne e della sua divinità, e in lui ci concilia e congiunge, quasi cementandoci in un unico corpo (Della fede ortod. 4,13).

Ecco perché questo sacramento è detto anche sacramento di pace e di carità, per fare intendere quanto siano indegni del nome cristiano quelli che alimentano inimicizie, e come si debbano sterminare quale orribile peste gli odi, i dissidi e le discordie, tanto più che nel sacrificio quotidiano professiamo di serbare sopra tutto la pace e la carità.

Spesso è chiamato anche viatico dagli scrittori ecclesiastici, sia perché è il cibo spirituale che ci sostenta nel pellegrinaggio della vita, sia perché spiana la via alla gloria e felicità eterna. Per questo è antica e fedele tradizione della Chiesa cattolica che nessuno dei fedeli parta da questa vita senza questo sacramento.

I Padri più antichi, seguendo l'Apostolo (1Co 11,20), hanno talora chiamato l'Eucaristia anche cena, perché fu istituita da Cristo durante il salutare mistero dell'ultima Cena. Non per questo però si deve concluderne che sia permesso consacrare o ricevere l'Eucaristia dopo aver mangiato o bevuto; che anzi, secondo la testimonianza degli antichi scrittori, gli Apostoli stessi hanno introdotto la salutare consuetudine che l'Eucaristia sia ricevuta soltanto da chi è digiuno.

209. L'Eucaristia è un vero sacramento


Spiegato il valore del nome, si deve insegnare che l'Eucaristia è un vero sacramento: uno di quei sette, che la santa Chiesa ha sempre devotamente riconosciuto e venerato: tanto è vero che, alla consacrazione del calice, è detto mistero della fede. Inoltre, per omettere le quasi infinite testimonianze di scrittori sacri, che hanno sempre ritenuto doversi l'Eucaristia porre tra i veri sacramenti, possiamo dimostrare l'assunto, partendo dalle proprietà e dalla natura stessa di questo sacramento. Infatti esso consta di segni esterni e sensibili; significa e produce la grazia, ed è stato istituito da Cristo, come gli evangelisti e l'Apostolo lo hanno affermato in maniera indubbia. Ora, essendo questi appunto i requisiti che concorrono a confermare la verità di un sacramento, è chiaro che non v'è bisogno di altri argomenti.

Ma i Parroci osserveranno con cura che in questo mistero molte sono le cose a cui gli scrittori ecclesiastici hanno dato il nome di sacramento. Talora infatti hanno chiamato sacramento la consacrazione, l'atto della comunione, e, spesso, lo stesso corpo e sangue del Signore che si contiene nell'Eucaristia. Dice infatti sant'Agostino che questo sacramento risulta di due cose: l'apparenza visibile degli elementi e la carne e sangue invisibili di N.S. Gesù Cristo (vedi in Lanfranco e. Bereng.; cfr. Grat. p. 3, dist. 2, e. 48). E appunto in questo medesimo senso noi affermiamo che bisogna adorare questo sacramento, intendendo cioè il corpo e il sangue del Signore. Ma è chiaro che tutte queste cose sono dette sacramenti solo impropriamente. Tale nome, invece, in senso stretto spetta solo alle specie del pane e del vino.

210. In che cosa l'Eucaristia differisce dagli altri sacramenti


Si rileva facilmente in che cosa l'Eucaristia differisca dagli altri sacramenti. Questi si compiono con l'uso della materia, cioè durante il tempo in cui vengono amministrati. Cosi il Battesimo diviene sacramento proprio nell'istante in cui l'individuo viene lavato; mentre, per fare l'Eucaristia, basta la consacrazione della materia, che non cessa di essere sacramento, rimanendo conservata nella pisside. Di più, nel fare gli altri sacramenti non si verifica mutazione della rispettiva materia in un'altra sostanza; l'acqua del Battesimo infatti o l'olio della Cresima non perdono la loro originaria natura di acqua e di olio; mentre nell'Eucaristia quel che era pane e vino prima della consacrazione, diviene, dopo quella, la sostanza vera del corpo e del sangue del Signore.

Ma pur essendo due gli elementi, il pane e il vino, che servono a costituire il sacramento integrale della Eucaristia, dobbiamo credere, ammaestrati dall'autorità della Chiesa, che essi formino un solo sacramento; altrimenti non si potrebbe mantenere il numero settenario dei sacramenti, com'è stato sempre insegnato e confermato dai concili Lateranense, Fiorentino e Tridentino. Infatti se la grazia di questo sacramento fa dei fedeli un solo corpo mistico, bisogna che esso sia uno in se stesso, appunto, perché armonizzi con l'effetto che produce. Ed è uno, non perché consta di un solo elemento, ma perché significa una sola cosa. Come infatti il mangiare e il bere, che sono due cose diverse, sono adoperati per ottenere un unico effetto, cioè il ristoro delle forze del corpo, cosi era conveniente che ad essi corrispondessero quei due elementi materiali del sacramento, i quali significano il cibo spirituale, che sostenta e ricrea l'anima. Perciò Cristo disse: La mia carne è davvero cibo, e il sangue mio è davvero bevanda (Jn 6,56).

211. Triplice significato dell'Eucaristia


Importa anche spiegare con cura che cosa significhi il sacramento dell'Eucaristia; affinché i fedeli, guardando con gli occhi del corpo i sacri misteri, pascano l'animo con la contemplazione delle cose divine.

Tre sono le cose significate da questo sacramento. La prima è un avvenimento passato: la passione del Signore, come Egli stesso ci ha insegnato: Fate questo in memoria di me (Lc 22,19); e l'Apostolo attesta: Ogni volta che mangerete questo pane e berrete questo calice annunzierete la morte del Signore, fino a quando egli venga (1Co 11,26).

La seconda è una realtà presente, cioè la grazia divina e celeste, che questo sacramento ci dona per nutrire e conservare le anime nostre. Come il Battesimo ci genera a nuova vita, e la Cresima ci fortifica perché possiamo respingere il demonio e confessare apertamente il nome di Cristo, cosi l'Eucaristia ci nutre e ci sostenta.

La terza è un preannunzio del futuro: cioè il frutto dell'eterna gloria e felicità, che riceveremo nella patria celeste, secondo la promessa di Dio. Queste tre cose però riferentisi al passato, al presente e al futuro, sono espresse cosi bene dal mistero dell'Eucaristia, che tutto intero il sacramento, pur constando di due specie diverse, serve a indicare ciascuna di esse quale distinti significati di un'unica realtà.

212. Materia dell'Eucaristia: "il pane di grano"

I parroci dovranno prima di tutto ben conoscere la materia di questo sacramento, sia per effettuarlo debitamente, sia per illustrarne il simbolismo ai fedeli, onde accenderli allo studio e al desiderio della sua sacrosanta realtà. La materia di questo sacramento, dunque, è duplice: la prima di cui parliamo subito è il pane di grano, dell'altra si dirà poi. Gli evangelisti Matteo, Marco e Luca narrano che Cristo prese in mano il pane, lo benedisse e lo spezzo dicendo: Questo è il mio corpo (Mt 26,26 Mc 14,22 Lc 22,19). In san Giovanni il Redentore chiama sé stesso pane dicendo: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo (Jn 6,41).

Vi sono varie specie di pane, sia che differiscano nella materia: pane di grano, pane di orzo, pane di legumi o d'altri prodotti della terra, sia che differiscano nella qualità: pane fermentato, pane senza lievito. Le parole del Salvatore mostrano che il pane deve essere di grano, giacché nel linguaggio ordinario la parola pane indica senz'altro quello di grano. Ciò viene confermato anche da una figura del vecchio Testamento, dove il Signore ordina che i pani di proposizione, che prefiguravano l'Eucaristia, fossero fatti di fior di frumento (Lv 24,5).

Ma come il solo pane di grano deve esser considerato materia dell'Eucaristia, conforme alla tradizione apostolica e all'insegnamento della Chiesa, cosi è facile convincersi, da quanto Gesù stesso fece, che questo pane deve essere senza lievito. Egli infatti istitui questo sacramento nel primo giorno degli azimi, quando non era lecito ai Giudei tenere in casa nulla di fermentato. Né vale opporre l'autorità di san Giovanni evangelista, che afferma essere queste cose avvenute prima della festa di Pasqua (Jn 13,1). La risposta è facile. La festa degli azimi cominciava la sera della quinta feria; e appunto in questa sera il Salvatore celebro la Pasqua. Ma mentre gli altri evangelisti chiamano questo il primo giorno degli azimi, san Giovanni lo chiama antecedente alla Pasqua, perché considera il giorno naturale che comincia con il levare del sole. Perciò anche san Giovanni Crisostomo chiama primo giorno degli azimi quello, alla sera del quale si dovevano mangiare gli azimi (In Mt omil. 81,1).

Inoltre la consacrazione del pane azzimo conviene assai a quell'integrità e purezza di cuore, che i fedeli devono recare a questo sacramento, come insegna l'Apostolo: Purificatevi dal vecchio lievito, onde siate una pasta nuova, senza lievito, come siete di fatto; poiché la nostra Pasqua, che è Cristo, è stata immolata. Celebriamo dunque la festa, non con vecchio lievito né con lievito di malizia e di malvagità, ma con gli azimi della purità e della verità (1Co 5,7-8).

Tuttavia tale qualità del pane non è cosi necessaria che senza di essa il sacramento non possa sussistere: poiché tanto l'azimo quanto il fermentato hanno ugualmente il nome e la natura vera del pane. Ma a nessuno è lecito, con privata autorità, o piuttosto temerità, mutare il lodevole rito della Chiesa; molto meno ai sacerdoti Latini, ai quali i sommi Pontefici hanno ordinato di consacrare il pane azimo.

Basti questo per la prima parte della materia eucaristica. Dobbiamo però notare che non è stata mai determinata una quantità precisa di pane da consacrare, non potendosi fissare il numero di coloro, che vogliono e possono partecipare ai sacri misteri.

213. Il vino di uva


Veniamo cosi all'altra materia, o elemento dell'Eucaristia: si tratta del vino spremuto dal frutto della vite, con l'aggiunta di un po' d'acqua. La Chiesa cattolica ha sempre ritenuto e insegnato che il nostro Signore e Salvatore nell'istituire questo sacramento uso il vino, avendo egli stesso detto: Non berrò d'ora in poi di questo frutto della vite fino a quel giorno (Mt 26,29 Mc 14,25). Si parla di frutto della vite, dice a questo proposito il Crisostomo, che produce certamente vino e non acqua (In Mt omilia LXXXII,2), quasi volendo confutare in antecedenza l'eresia di coloro, che ritennero doversi in questo sacramento usare soltanto l'acqua.

La Chiesa poi ha sempre mescolata l'acqua al vino; primo, perché ciò fu fatto da Cristo stesso come si prova con l'autorità dei Concili e la testimonianza di san Cipriano (Epist. LXIII); secondo, perché con questa mescolanza si rinnova la memoria del sangue e dell'acqua sgorgati dal suo costato aperto; terzo, perché le acque significano i popoli (Ap 17,15); perciò l'acqua mescolata al vino significa la congiunzione del popolo fedele con Cristo suo capo. Quest'uso del resto è di tradizione apostolica e la Chiesa l'ha sempre osservato.

Ma sebbene i motivi della mescolanza siano tanto gravi che questa non si può omettere senza peccato mortale, il sacramento può sempre sussistere, anche senza di essa. Avvertano poi i sacerdoti che devono si infondere l'acqua nel vino, ma poca; poiché a giudizio degli scrittori ecclesiastici, essa deve convertirsi in vino. Scrisse papa Onorio: Nel tuo paese si è introdotto il pernicioso abuso di usare più acqua che vino nel sacrificio, mentre invece, secondo la ragionevole consuetudine della Chiesa universale, si deve adoperare molto più vino che acqua (Decretai. lib. 3, tit. 41, e. 13).

Soltanto due dunque sono gli elementi di questo sacramento; e a buon diritto la Chiesa ha proibito con molti decreti di offrire altra cosa che il pane e il vino, come taluni avevano la temerità di fare.

214. Convenienza della materia eucaristica


Bisogna ora vedere come i due segni del pane e del vino siano atti ad esprimere quelle realtà che la fede ci presenta come sacramenti. Innanzi tutto essi significano Cristo, la vera vita degli uomini, avendo egli stesso detto: La mia carne è davvero cibo e il mio sangue è davvero bevanda (Jn 6,55). Se, dunque il corpo di N. S. Gesù Cristo da in realtà nutrimento di vita eterna a chi con purezza e santità lo riceve, giustamente l'Eucaristia ha per materia quegli elementi, che servono a sostenere la vita terrena; cosi i fedeli potranno agevolmente intendere che, grazie alla Comunione del corpo e del sangue di Cristo, l'anima loro potrà esser satollata. Secondo, questi elementi servono anche a convincere gli uomini che nell'Eucaristia c'è realmente il corpo e il sangue del Signore; giacché vedendo noi ogni giorno, per virtù della natura, il pane e il vino trasformarsi in carne e sangue umano, più facilmente siamo condotti a credere che la sostanza del pane e del vino si converta nella vera carne e nel vero sangue di Cristo, in virtù della celeste consacrazione. Terzo, questa mirabile mutazione di elementi aiuta a raffigurarci quello che avviene nell'anima. Come la sostanza del pane e del vino si cambia realmente nel corpo e nel sangue di Cristo, sebbene non vi sia alcuna visibile trasmutazione esterna, cosi noi, ricevendo nell'Eucaristia la vera vita, interiormente sorgiamo a nuova vita, pur non apparendo in noi mutamento alcuno. Quarto, come l'unione di molti membri costituisce l'unico corpo della Chiesa, cosi nulla, degli elementi del pane e del vino può farla meglio risplendere. Come, infatti, il pane risulta da molti grani di frumento e il vino si sprema da molti grappoli d'uva, cosi noi, pur essendo molti, per virtù di questo divino mistero veniamo strettamente collegati e quasi cementati in un solo corpo.

215. Forma della consacrazione del pane


Veniamo ora a trattare della forma per la consacrazione del pane, non perché si debbano insegnare ai fedeli questi misteri, senza necessità - che anzi non è necessario istruire in proposito chi non è negli Ordini sacri -, ma affinché i sacerdoti non errino gravemente nel consacrare, per ignoranza della forma.

I santi evangelisti Matteo e Luca insieme con l'Apostolo ci insegnano che la forma è questa: "Questo è il mio corpo". Poiché sta scritto: Mentre essi cenavano, Gesù prese il pane, e lo benedisse, lo spezzo, e dandolo ai suoi discepoli, disse: Prendete e mangiate: Questo è il mio corpo (Mt 26,26 Mc 14,22 Lc 22,19 1Co 11,24). Tale forma, perché adoperata dal Signore stesso, è stata sempre conservata dalla Chiesa Cattolica.

Tralasciamo qui le testimonianze dei santi Padri, che sarebbe lungo citare, e il decreto del Concilio di Firenze a tutti ben noto, tanto più che le parole del Salvatore: Fate questo in memoria di me (Lc 22,19), ne sono una conferma. Infatti l'ordine dato dal Signore deve riferirsi non solo a quel che egli aveva fatto, ma anche a quel che aveva detto, e specialmente alle parole che aveva pronunciato, sia per produrre, sia per significare l'effetto del sacramento. Del resto anche il ragionamento porta alla stessa conclusione. Infatti la forma è la formula che esprime quel che si opera in questo sacramento. Ora, le parole in questione significano e dichiarano quel che viene operato, cioè la conversione del pane nel corpo del Signore. Dunque esse sono la forma del sacramento. A questa conclusione portano pure le altre parole dell'evangelista: Benedisse il pane, come se avesse detto: Preso il pane lo benedisse dicendo: Questo è il mio corpo (Mt 26,26). E sebbene l'evangelista premetta la frase: Prendete e mangiate, è chiaro che quest'ultima non riguarda la consacrazione, ma l'uso della materia. Perciò, pur dovendosi tassativamente pronunciare dal sacerdote, non è necessaria per operare il sacramento, come non è necessaria la congiunzione: poiché (enim) nella consacrazione del corpo e del sangue. Altrimenti l'Eucaristia non si dovrebbe, né si potrebbe consacrare qualora non ci fosse nessuno cui amministrarla; mentre è certissimo che il sacerdote, una volta pronunziate secondo l'uso e il rito della Chiesa le parole del Signore, consacra veramente la materia del pane, anche se poi non si dovesse amministrare a nessuno.

216. Forma della consacrazione del vino


Per la medesima ragione, sopra ricordata, è necessario che il sacerdote conosca bene anche quanto si riferisce alla consacrazione del vino, che è l'altra materia di questo sacramento. Si deve ritener per fede che essa è costituita dalle parole (Decretai, lib. 3, tit. 41, e. 6): " Questo è il calice del sangue mio, della nuova ed eterna Alleanza (mistero della fede!) il quale per voi e per molti sarà sparso a remissione dei peccati ". Molte di queste parole sono prese dalla Scrittura; le altre la Chiesa le ha ricevute dalla tradizione apostolica. Infatti, Questo è il calice, si trova in san Luca (Lc 22,20) e in san Paolo (1Co 11,25); del sangue mio, o il mio sangue della nuova Alleanza, che per voi e per molti sarà sparso in remissione dei peccati, si trovano in san Luca (ivi) e in san Matteo (Mt 26,28); le parole: eterno e mistero della fede, ci vengono dalla tradizione, interprete e custode della cattolica verità. Qualora si richiami quel che abbiamo detto sopra a proposito della consacrazione del pane, nessuno potrà dubitare di questa forma. Essa consta di quelle parole che significano il cambiamento della sostanza del vino nel sangue del Signore. Ma poiché le parole ricordate esprimono appunto questo, è chiaro che non vi può essere altra forma per la consacrazione del vino.

Esse esprimono, inoltre, taluni mirabili frutti del sangue del Signore, sparso nella passione; frutti che appartengono in modo tutto particolare a questo sacramento. Il primo è l'accesso all'eredità eterna a cui ci da diritto il nuovo ed eterno Testamento. Il secondo è l'accesso alla giustizia mediante il mistero della fede. Infatti Dio ha preordinato Gesù propiziatore mediante la fede nel suo sangue, per mostrare insieme che egli è giusto ed è fonte di giustizia, per chi ha fede in Gesù Cristo (Rm 3,25-26). Il terzo è la remissione dei peccati.

Ma occorre esaminare con più diligenza le parole della consacrazione del vino, che sono piene di misteri e convengono perfettamente al loro soggetto. Le parole: Questo è il calice del sangue mio, significano: questo è il mio sangue contenuto in questo calice. Ed è con ragione che mentre si consacra il sangue in quanto è bevanda dei fedeli, viene menzionato il calice; poiché il sangue di per sé non significherebbe una bevanda, se non fosse presentato in una coppa. Seguono le parole: della nuova Alleanza, per farci intendere che il sangue del Signore viene offerto agli uomini nella nuova Alleanza, ma in realtà non in figura, come nella vecchia Alleanza, di cui san Paolo scrivendo agli Ebrei ha detto che non fu stipulata senza sangue (He 9,18). Perciò l'Apostolo ha scritto: Gesù Cristo è mediatore della nuova Alleanza, affinché avvenuta la sua morte per riscattare le trasgressioni commesse sotto la prima Alleanza, i chiamati ricevano l'eterna eredità, loro promessa (He 9,15).

L'aggettivo eterna si riferisce all'eterna eredità, che a buon diritto ci è pervenuta per la morte del Cristo eterno testatore. Mentre le parole, mistero della fede, non tendono a escludere la verità della cosa, ma indicano che bisogna credere con ferma fede quel che rimane occulto e remotissimo agli occhi nostri.

Il senso di questa frase è diverso qui da quello che riveste applicata al Battesimo. Qui infatti diciamo mistero di fede in quanto vediamo solo cogli occhi della fede il sangue di Gesù Cristo, nascosto sotto le specie del vino; mentre il Battesimo è chiamato sacramento di fede, e dai Greci mistero di fede, in quanto comprende l'intera professione della fede cristiana. Chiamiamo il sangue del Signore mistero di fede, anche perché la ragione umana trova molta difficoltà e grande fatica ad ammettere quel che le propone la fede: che cioè N.S. Gesù Cristo, vero figlio di Dio, vero Dio e vero uomo, abbia per noi sofferto la morte, la quale viene appunto significata dal sacramento del sangue. Ecco perché, a preferenza che nella consacrazione del corpo, viene fatta qui menzione della passione del Signore con le parole: che sarà sparso in remissione dei peccati. Il sangue infatti, consacrato separatamente, ha più forza ed efficacia per mettere sotto gli occhi di tutti la passione del Signore, la sua morte e la natura delle sue sofferenze.

Le parole: per voi e per molti, prese separatamente da Matteo (Mt 26,28) e da Luca (Lc 22,20), sono riunite dalla santa Chiesa, ispirata da Dio, per esprimere il frutto e l'utilità della passione. Infatti se consideriamo l'efficace virtù della passione, dobbiamo ammettere che il sangue del Signore è stato sparso per la salute di tutti; ma se esaminiamo il frutto che gli uomini ne hanno ritratto, ammetteremo facilmente che ai vantaggi della passione partecipano non tutti, ma soltanto molti. Perciò dicendo: per v o i, ha voluto significare i presenti, con cui parlava, eccetto Giuda, oppure gli eletti del popolo Ebreo, quali erano i discepoli. Ed aggiungendo: per molti, ha voluto intendere gli altri eletti, Ebrei e i Gentili. Con ragione dunque non è stato detto: per tutti, trattandosi qui soltanto dei frutti della passione, la quale apporta salute soltanto agli eletti. In questo senso bisogna intendere anche le parole dell'Apostolo: Gesù Cristo fu offerto una sola volta per togliere i peccati di molti (He 9,28); e quelle del Signore: Prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che mi hai dati, perché sono tuoi (Jn 17,9).

Molti altri misteri sono ancora nascosti in queste parole della consacrazione: i Pastori li scopriranno da sé, con l'aiuto di Dio, mediante un'assidua e diligente meditazione delle cose divine.


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26/08/2010 16:18

217. Tre cose da distinguere nell'Eucaristia


È tempo di riprendere la spiegazione di taluni punti di dottrina, che i fedeli non devono in nessun modo ignorare. E poiché l'Apostolo insegna che coloro che non distinguono il corpo del Signore (1Co 11,29) commettono un grave delitto, i Parroci dovranno innanzi tutto esortare i fedeli a fare ogni sforzo per elevare il loro spirito e la loro mente al di sopra dei sensi. Se i fedeli pensassero che nel mistero dell'Eucaristia si contiene solo ciò che vi scorgono i sensi, commetterebbero fatalmente la grande empietà di credere che in questo sacramento c'è soltanto il pane e il vino; perché cogli occhi, col tatto, con l'odorato e col gusto non si scorge altro che l'apparenza del pane e del vino. Bisogna che la loro mente, per quanto è possibile, astragga dal giudizio dei sensi e si ecciti a contemplare l'immensa virtù e potenza di Dio.

Tre sono sopratutto le cose mirabili e degne di considerazione, che in questo sacramento avvengono in forza della consacrazione, come la fede Cattolica senza alcun dubbio crede e confessa. La prima è che nell'Eucaristia si contiene il vero corpo di N. S. Gesù Cristo; quello medesimo che nacque dalla vergine Maria e ora siede in cielo alla destra del Padre. La seconda è che non resta in essa nulla della sostanza degli elementi, sebbene ciò sembri opposto e contrario alla testimonianza dei sensi. La terza, che si ricava facilmente dalle due precedenti e che viene positivamente espressa dalle parole della consacrazione, si è che, per una disposizione inesplicabile e miracolosa, gli accidenti che si vedono con gli occhi o che si percepiscono con gli altri sensi, rimangono senza il loro sostrato o soggetto. Certo, si vedono tutti gli accidenti del pane e del vino; ma essi non si appoggiano ad alcuna sostanza, ma sussistono da sé: essendosi la sostanza del pane e del vino mutata nel corpo e nel sangue del Signore, la stessa sostanza cessa di esistere.

218. La presenza reale dimostrata dalla Scrittura


Prima di tutto i Parroci spieghino quanto siano chiare e perspicue le parole del Signore, che dimostrano la reale presenza del suo corpo nell'Eucaristia: Questo è il mio corpo; Questo è il mio sangue. Nessuno, che sia sano di mente, può fraintendere il loro significato, massime trattandosi qui della natura umana, che fu reale in Cristo, come la fede ci impone di credere. Tanto che il santo e dottissimo Ilario ha scritto in proposito non esservi luogo al dubbio, avendo Gesù Cristo medesimo dichiarato, e la fede ce lo conferma, che la sua carne è veramente cibo (Della Trinità, 8,14).

Dovranno qui i Pastori spiegare un altro passo, da cui chiaramente si deduce che nell'Eucaristia sono contenuti il vero corpo e sangue del Signore. L'Apostolo infatti, ricordata la consacrazione del pane e del vino da parte di Cristo e la distribuzione dei sacri misteri agli apostoli, soggiunge: Provi perciò l'uomo se stesso, e cosi mangi quel pane e beva quel calice. Poiché chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve la sua condanna, perché non riconosce il corpo del Signore (1Co 11,28). Se in questo sacramento, come pretendono gli eretici, non vi fosse da venerare che la memoria e il simbolo della passione del Signore, perché ammonire si gravemente i fedeli a esaminare se stessi? Invece, con la terribile parola: condanna, ha voluto l'Apostolo dichiarare che è nefando crimine quello di chi, ricevendo indegnamente il corpo del Signore, latente nell'Eucaristia, mostra di non distinguerlo dalle altre specie di cibo. Egli stesso più ampiamente lo spiega nella medesima lettera: Il calice di benedizione che noi benediciamo, non è una comunione del sangue di Cristo? E il pane che spezziamo, non è una partecipazione del corpo di Cristo? (1Co 10,16). Parole che mostrano chiaramente la vera sostanza del corpo e del sangue del Signore.

219. Dalla dottrina dei Padri


I Pastori spieghino tutti questi passi scritturali e rilevino prima di tutto che in essi non c'è nulla di dubbio o d'incerto, massime dopo l'interpretazione della sacrosanta autorità della Chiesa di Dio, a conoscere la quale possiamo giungere in due modi.

Primo, interrogando i Padri fioriti nella Chiesa in tutte le epoche fin dai suoi primordi, e che sono i migliori testimoni della sua dottrina. Essi con unanime consenso hanno insegnato chiaramente la verità di questo dogma. E poiché sarebbe troppo lungo addurne le singole testimonianze, basterà notarne poche, o meglio additare quelle, da cui più facilmente si potrà giudicare le altre. Venga primo sant'Ambrogio, che nella sua opera sugli Iniziandi ai Misteri attesta, come articolo incontestabile di fede, che nell'Eucaristia si riceve il vero corpo di Cristo, come realmente fu formato nel seno di Maria Vergine (Dei Misteri, 9); e altrove insegna che prima della consacrazione vi è il pane, ma dopo, vi è la carne di Cristo (Dei Sacram. 4,4). Venga il Crisostomo, teste di non minore fede e gravita. Egli professa ed insegna in molti luoghi la medesima verità, ma specialmente nell'Omilia 60 su quelli che partecipano indegnamente ai misteri, e nelle Omelie 44 e 45 su san Giovanni, dove dice: Obbediamo a Dio; né osiamo contradirgli anche quando sembri dire cose contrarie alla ragione o ai sensi; la sua parola è infallibile, mentre il nostro senso facilmente c'inganna.

Con essi concorda in tutto e sempre sant'Agostino, propugnatore validissimo della fede cattolica, ma specialmente nel commento al titolo del Salmo 33: Portare se stesso nelle proprie mani è impossibile all'uomo; può competere solo a Cristo, il quale si portava nelle sue stesse mani quando offrendo il suo corpo disse: Questo è il mio corpo (Nel Ps 33,1,10). E san Cirillo (omettiamo Giustino e Ireneo) afferma cosi apertamente, nel libro 4 su san Giovanni, la verità della carne di Cristo nell'Eucaristia, che le sue parole non possono esser volte ad interpretazioni capziose e fallaci. Desiderando i Parroci altre testimonianze, potranno citare i santi Dionigi, Ilario, Girolamo, il Damasceno ed altri innumerevoli, le cui gravissime sentenze intorno a questo argomento si possono leggere dovunque, essendo state raccolte insieme dall'industre lavoro di uomini dotti e pii.

220. Dalla proscrizione degli eretici

Altra via per conoscere la dottrina della Chiesa in materia di fede è la condanna di dottrine e opinioni contrarie. Ora è noto a tutti che la realtà del corpo di Cristo nell'Eucaristia è stata sempre cosi diffusa in tutta la Chiesa e accettata concordemente da tutti i fedeli, che quando, or sono cinquecento anni, Berengario oso negarla, affermando non esservi che un simbolo, fu subito condannato per unanime sentenza nel concilio di Vercelli convocato per ordine di Leone 9, ed egli medesimo lancio anatema alla propria eresia. Quando più tardi ricadde nello stesso empio errore, fu di nuovo condannato da tre altri concili, uno a Tours e due a Roma; questi ultimi convocati rispettivamente da Nicolo II e Gregorio VII.

Queste decisioni furono confermate da Innocenzo III nel concilio ecumenico Lateranense: in seguito i concili generali di Firenze e di Trento più apertamente hanno dichiarato e stabilito la fede di tale verità.

Se i Pastori esporranno tutto ciò con diligenza, potranno, non diciamo far rinsavire coloro che accecati dall'errore nulla odiano più della luce della verità, ma confermare i deboli e riempire di grandissima letizia le anime dei buoni; tanto più che la fede in questo dogma, come deve essere evidente per tutti i fedeli, è connessa con gli altri articoli della dottrina Cristiana. Perché chiunque crede e confessa che Dio è onnipotente, deve anche credere che a lui non manca il potere di operare l'immenso prodigio che ammiriamo e adoriamo nell'Eucaristia. E chi crede la santa Chiesa cattolica deve anche ammettere la verità di questo sacramento nel senso spiegato.

221. Dignità dell'Eucaristia


Quel che mette il colmo alla letizia e all'edificazione delle anime pie è il contemplare la dignità sublime di questo sacramento. Esse intendono innanzi tutto quanto sia grande la perfezione della legge Evangelica, cui è stato concesso di possedere nella realtà quel che era stato solo adombrato in simboli e figure nella legge Mosaica. A tale proposito fu detto mirabilmente da san Dionigi che la nostra Chiesa sta in mezzo tra la Sinagoga e la Gerusalemme celeste, partecipando dell'una e dell'altra (Della Gerarch. eccl. 5,1). E certo mai i fedeli ammireranno abbastanza la perfezione della santa Chiesa e l'altezza della sua gloria, poiché un solo gradino la separa dalla beatitudine celeste. Infatti, con i beati abbiamo in comune la presenza di Cristo, Dio e uomo; mentre ne differiamo per il fatto che essi, come a lui presenti, godono della visione beata; noi invece veneriamo, con ferma e costante fede, Cristo presente, ma invisibile agli occhi e coperto dal mirabile velame dei sacri misteri.

Inoltre i fedeli, in grazia di questo sacramento, sperimentano l'immenso amore di Cristo Salvatore nostro. Infatti conveniva assai alla sua bontà il non privarci mai di quella natura, che da noi aveva assunta, ma anzi rimanere, per quanto possibile, con noi, affinché si avverassero quelle parole: E mia delizia stare coi figli degli uomini (Pr 8,31).

222. Cristo tutto intero è contenuto nell'Eucaristia


I Parroci devono spiegare che nell'Eucaristia si contiene non soltanto il vero corpo di Cristo e tutto quanto appartiene a un vero corpo, come le ossa e i nervi, ma Cristo tutto intero; ed insegnare che Cristo è un termine che indica insieme Dio e l'uomo, cioè una sola persona in cui sono unite le nature divina ed umana; perciò possiede entrambe le sostanze e tutto quello che a queste consegue, cioè la divinità e la natura umana tutta intiera: l'anima, le varie parti del corpo, e il sangue. Dobbiamo credere che nell'Eucaristia sono contenute tutte queste realtà. In cielo l'umanità di Cristo è unita alla divinità in una sola persona ed ipostasi; sarebbe pertanto empio supporre che il corpo di Cristo, presente nell'Eucaristia, sia separato dalla divinità.

Ma i Pastori avvertiranno che non tutte le realtà sopra accennate sono contenute nell'Eucaristia allo stesso modo e per lo stesso motivo. Alcune vi si trovano in virtù della consacrazione. Si sa che le parole della consacrazione producono quel che significano, e i teologi dicono che una cosa è contenuta nel sacramento in forza del sacramento, quando è espressa dalla forma; di guisa che se potesse avvenire (per ipotesi) che una cosa fosse del tutto separata dalle altre, si ritroverebbe nel sacramento soltanto quella espressa dalla forma e non il resto. Altre vi si trovano in quanto sono congiunte realmente con quanto è espresso dalla forma. Cosi, poiché la forma adoperata per la consacrazione del pane significa il corpo del Signore secondo le parole: " Questo è il mio corpo ", in virtù del sacramento, sarà nell'Eucaristia il corpo stesso di Cristo. Ma poiché al corpo sono congiunti il sangue, l'anima e la divinità, anche queste si ritroveranno nel sacramento, non in forza della consacrazione, ma in quanto sono in realtà inseparabilmente congiunte al corpo di Cristo; cioè, in altre parole, per concomitanza. Dal che segue che il Cristo è tutto intero nell'Eucaristia, perché data una unione di questo genere tra due cose, dov'è l'una è necessario che sia anche l'altra. Dunque il Cristo è contenuto tutto intero nelle specie del pane e del vino; di modo che come la specie del pane contiene non solo il corpo, ma anche il sangue e il Cristo tutto intiero, cosi nella specie del vino si contiene non solo il sangue, ma anche il corpo e tutto intero Gesù Cristo.

Sebbene i fedeli debbano esser certi e persuasi che questa è la verità, giustamente è stato stabilito di fare separatamente le due consacrazioni; primo, per meglio esprimere la passione del Signore, nella quale il sangue fu separato dal corpo, ed è per questo che nella consacrazione si menziona l'effusione del sangue; secondo, perché era convenientissimo che questo sacramento, destinato a nutrir le anime, fosse istituito sotto forma di cibo e di bevanda, poiché queste due cose costituiscono l'alimento completo del nostro corpo.

Né si dimentichi che il Cristo si trova tutto intero non solo in ciascuna specie del pane e del vino, ma anche nella minima particella di ciascuna specie. Al quale proposito ha scritto sant'Agostino: Ciascuno riceve il Signore Cristo, il quale è tutto intero nelle singole particelle, né si fraziona nei singoli, ma si offre intero a ciascuno (Della Consecr. dist. 2). Ciò si ricava facilmente anche dai testi evangelici. Poiché non si deve credere che il Signore abbia separatamente consacrato ciascuno dei pezzi di pane, che distribui agli apostoli: che anzi egli con un'unica consacrazione consacro tutto il pane necessario per fare il sacramento e per distribuirlo agli apostoli. Ciò appare evidentemente a proposito del calice, quando disse: Prendete e dividetelo tra voi (Lc 22,17). Quanto è stato detto fin qui serve ai Pastori per dimostrare al popolo che nel sacramento dell'Eucaristia si contiene il vero corpo e sangue di Cristo.

223. Prove della transustanziazione: dalla Sacra Scrittura


Come secondo punto, i Pastori insegneranno che dopo la consacrazione nulla resta della sostanza del pane e del vino nell'Eucaristia. Per quanto ciò possa sembrare prodigioso, è una necessaria conseguenza di quanto è stato più sopra spiegato. Perché, se dopo la consacrazione si trova sotto le specie del pane e del vino il vero corpo di Gesù Cristo, che prima non c'era, bisogna che ciò avvenga o per mutazione di luogo, o per creazione, o per cambiamento di sostanza. Ora, non può essere che il corpo di Cristo venga a trovarsi nel sacramento per mutazione di luogo, perché ne seguirebbe che non si trova più in cielo; infatti nulla può muoversi da un luogo all'altro, senza allontanarsi dal luogo da cui muove. Né può ammettersi, anzi neppure è lecito pensarlo, che il corpo di Cristo vi sia creato. Rimane dunque che esso si trovi nell'Eucaristia per cambiamento di sostanza, e perciò nulla più vi resti della sostanza del pane.

Persuasi i Padri di questa verità, l'hanno chiaramente confermata nei concili ecumenici Lateranense e Fiorentino; e il Tridentino l'ha più formalmente definita in questi termini: Se qualcuno dirà che nel sacramento dell'Eucaristia rimane la sostanza del pane e del vino insieme col corpo e col sangue di Cristo, sia scomunicato (Conc. Trid. sess. 13,4).

E' facile dimostrare questo assunto con testi scritturali. Prima di tutto con quello che il Signore stesso disse istituendo il Sacramento: " Questo è il mio corpo ". La forza della parola questo consiste appunto nell'indicare tutta intera la sostanza della cosa presente; tanto che se la sostanza del pane ancora rimanesse, il Signore non avrebbe potuto dire con verità: Questo è il mio corpo. Di più, il Signore medesimo in san Giovanni dice:Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo (Jn 6,52); ove chiama sua carne il pane. E poco dopo aggiunge: Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita (ibid., 54); e ancora: La mia carne è davvero cibo, e il sangue mio è davvero bevanda (ibid., 56). Chiamando quindi con parole si chiare e formali la sua carne vero pane e vero cibo, e il suo sangue vera bevanda, ha voluto certamente dichiarare che nel sacramento non rimane sostanza alcuna del pane e del vino.

224. Dal consenso dei Padri


Percorrendo i santi Padri sarà facile rilevare che questa è sempre stata la loro dottrina. Sant'Ambrogio scrive: Tu forse dirai: Questo è il mio solito pane; ma io ti rispondo, che è certamente pane prima della consacrazione, però dopo diviene carne di Cristo (De Sacrarti. 4,4). E a meglio chiarirlo adduce vari esempi e similitudini. Altrove, commentando il versetto:Il Signore ha fatto tutte le cose che ha voluto, cosi in cielo come in terra (Ps 134,6), osserva: Quantunque si veda la figura del pane e del vino, si deve credere che, dopo la consacrazione, vi è solo la carne e il sangue di Cristo. Sant'Ilario ha adoperato quasi le medesime parole per illustrare la stessa verità, insegnando che nell'Eucaristia ci sono realmente il corpo e il sangue del Signore, sebbene all'esterno non si veda che il pane e il vino (Della consacr. dist. 2).

Qui i Pastori avvertano i fedeli di non meravigliarsi se si è conservato il nome di pane anche dopo la consacrazione, poiché con questo nome si uso di chiamare l'Eucaristia. Infatti esso conserva le apparenze ed anche la naturale proprietà del pane, che è di nutrire e cibare il corpo. E del resto consuetudine della S. Scrittura chiamare talora le cose secondo le loro esteriori apparenze. Per esempio nella Genesi è detto che apparvero ad Abramo tre uomini, mentre invece erano tre angeli (Gn 18,2); e negli Atti i due angeli, che apparvero agli apostoli subito dopo l'ascensione di Cristo al cielo, sono pure detti uomini (Ac 1,10).

225. Spiegazione della transustanziazione


La spiegazione di questo mistero è difficilissima. Ma i Parroci tenteranno di far capire a quelli che sono più avanzati nella cognizione delle verità della fede e delle Scritture (per i più deboli v'è a temere che restino oppressi dalla sublimità dell'argomento), come si opera questa meravigliosa conversione. Per essa tutta la sostanza del pane si converte, per divina virtù, in tutta la sostanza del corpo di Cristo; e tutta la sostanza del vino in tutta la sostanza del sangue di Cristo, senza alcuna mutazione del Signore. Infatti Cristo non è generato, non si muta né si accresce, ma rimane intatto nella sua sostanza.

Sant'Ambrogio, illustrando questo mistero, ha scritto: Osserva come sia operativa la parola di Cristo. Se essa è stata tanto efficace da chiamare all'esistenza quel che non era, cioè il mondo, quanto più non sarà efficace nel far si che le cose già esistenti abbiano un nuovo essere e siano tramutate in altre? (Dei Sacram. 4,4). Nel medesimo senso hanno scritto altri Padri antichi e di grande autorità. Sant'Agostino: Fedelmente confessiamo che prima della consacrazione vi sono il pane e il vino che la natura ha formati; ma dopo vi sono la carne e il sangue di Cristo, che la benedizione ha consacrato. E il Damasceno:Il corpo di Cristo, quello medesimo che è nato dalla S. Vergine, è veramente unito nell'Eucaristia alla divinità; non che discenda dal cielo a cui è salito, ma perché il pane e il vino sono trasmutati nel corpo e nel sangue del Signore (Della fede ortod. 4,13).

Con molta ragione ed esattezza, dunque, la santa Chiesa cattolica chiama questa mirabile conversione col nome di transustanziazione, secondo l'insegnamento del sacro concilio di Trento. Come infatti la generazione naturale può giustamente esser detta trasformazione, perché si ha un cambiamento nella forma, cosi la parola transustanziazione assai propriamente è stata foggiata dai Padri, per esprimere il cambiamento di una sostanza tutta intera in un'altra, qual'è appunto quello che si opera nell'Eucaristia.

226. Non si deve con troppa curiosità
investigare intorno alla transustanziazione


Come spesso i nostri santi Padri ripetono, si dovranno avvertire i fedeli di non ricercare con troppa curiosità come possa avvenire un tale cambiamento. Ci è impossibile comprenderlo; né possiamo trovarne immagine alcuna, né esempi nei cambiamenti della natura o nella creazione degli esseri. La fede ci insegna solo la realtà della cosa: né dobbiamo curiosamente investigare come avvenga. I Parroci useranno grande cautela nello spiegare come il corpo di Gesù Cristo nell'Eucaristia si trovi tutto intero in ogni minima particella del pane. Per quanto è possibile bisogna evitare queste disquisizioni; ma, ove la carità cristiana lo richiedesse, richiamino innanzi tutto alla mente dei fedeli quel detto: Niente è impossibile a Dio (Lc 1,37).

E poi insegnino che N. S. Gesù Cristo non è in questo sacramento come in un luogo, giacché le cose in tanto sono situate in un luogo, in quanto sono estese. Ora, noi diciamo che Gesù Cristo è nell'Eucaristia non in quanto è grande o piccolo, cioè in rapporto alla quantità: ma in quanto è sostanza, nel senso cioè che la sostanza del pane si converte nella sostanza di Cristo, non nella grandezza o quantità. Ora nessuno dubiterà che la sostanza può trovarsi in uno spazio piccolo o grande. Cosi la sostanza dell'aria è tutta intera in uno spazio grande o piccolo; la sostanza dell'acqua è la medesima in un recipiente piccolo e nel fiume. E poiché il corpo del Signore subentra alla sostanza del pane, ne segue che esso sarà nel sacramento nello stesso modo in cui vi si trovava la sostanza del pane prima della consacrazione. Ora, che questa vi si trovi in grande o piccola quantità è cosa che non ha alcuna importanza, per la realtà della sostanza stessa.

227. Le specie sacramentali


Resta ora da vedere una terza meraviglia di questo sacramento, quale più agevolmente potrà essere spiegata dai Parroci, dopo le due sopra trattate: e cioè che nell'Eucaristia le specie del pane e del vino sussistono senza essere sostenute da alcun soggetto. Infatti abbiamo mostrato che il corpo e il sangue di Gesù Cristo sono realmente presenti in questo sacramento, talché non vi resta più alcuna sostanza del pane e del vino. Ma poiché le specie, o accidenti, del pane e del vino non possono essere inerenti al corpo e al sangue di Cristo, ne segue di necessità, che, al di sopra di ogni ordine della natura, essi si sostengano da sé e non si appoggino ad altra sostanza. Questa è stata sempre la costante dottrina della Chiesa cattolica; dottrina che si può agevolmente confermare con l'autorità di quelle testimonianze, con le quali abbiam provato non rimanere nell'Eucaristia sostanza alcuna del pane o del vino.

Ma alla pietà dei fedeli sopratutto conviene che, poste da parte queste difficili questioni, si onori e si adori la maestà di questo mirabile sacramento, ammirando la somma Provvidenza di Dio, la quale ha voluto che cosi santi misteri ci venissero amministrati sotto la specie del pane e del vino; poiché, siccome alla natura umana ripugna in genere mangiare carne umana e bere sangue, con grande sapienza ha stabilito che il corpo e il sangue di Cristo ci venissero offerti sotto le specie del pane e del vino, che sono il nostro cibo giornaliero più comune e gradito. Altri due vantaggi si aggiungono: primo, che siamo al coperto dalla calunnia degli infedeli, difficilmente evitabile, se noi avessimo mangiato nostro Signore sotto la sua propria specie; secondo, che il ricevere il corpo e il sangue del Signore, senza che i nostri sensi possano cogliere la realtà loro, ci offre un efficace mezzo di aumentare la fede nelle anime nostre; poiché, come vuole la nota sentenza di san Gregorio Magno, la fede non ha merito quando la ragione dimostra sperimentalmente (Omil. 26 in Ev. I). Tutte le cose trattate fin qui è necessario spiegarle con grande cautela, secondo la capacità degli uditori e a tempo opportuno.

228. Effetti dell'Eucaristia


Invece le virtù e gli effetti di questo mirabile sacramento non v'è classe di fedeli che non debba conoscerli e apprezzarli come necessarie alla salvezza. Del resto, tutta la dottrina esposta fin qui ha l'unico scopo di far conoscere ai fedeli l'utilità dell'Eucaristia. Ma poiché l'utilità e i frutti immensi che questa racchiude non possono essere spiegati con un solo discorso, i Parroci dovranno trattar l'uno o l'altro punto, per mostrare quanto abbondante copia di beni si contenga in questi sacrosanti misteri.

Potranno raggiungere in parte il fine se, dopo aver mostrata la virtù e la natura di tutti i sacramenti, assomiglieranno l'Eucaristia alla sorgente, gli altri ai canali. Infatti l'Eucaristia è davvero la sorgente di tutte le grazie, perché racchiude in maniera mirabile Gesù Cristo, fonte delle grazie e dei doni celesti, e autore di tutti i sacramenti; da Lui come da fonte, deriva agli altri sacramenti tutto quello che hanno di buono e di perfetto. Da questo punto di vista sarà facile considerare i doni eccelsi della grazia divina, a noi concessi da questo sacramento.

Arriveremo agevolmente al medesimo fine, se considereremo bene la natura del pane e del vino, che sono i segni di questo sacramento; poiché quel che il pane e il vino arrecano al corpo, lo produce l'Eucaristia a salute e giocondità dell'anima, e in modo più perfetto. Infatti non è il sacramento che si converte, come il pane e il vino, nella nostra sostanza; ma siamo noi che, in qualche modo, ci convertiamo nella sua natura; sicché bene a proposito si può citare qui il passo di sant'Agostino: Io sono il cibo dei grandi; cresci e mi mangerai. Né tu mi muterai in te, come fai per il cibo del tuo corpo, ma piuttosto tu ti muterai in me (Confess. 7,10).

Se da Gesù Cristo sono venute la verità e la grazia (Jn 1,17) deve questa necessariamente diffondersi nell'anima quando si riceve con cuore puro e santo Colui che ha detto di sé: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui (Jn 6,57). Nessuno, infatti, può dubitare che quelli che partecipano a questo sacramento con sensi di fede e di pietà, riceveranno il Figlio di Dio in maniera da trovarsi in qualche modo innestati sul suo corpo, quasi membra vive; poiché sta scritto: Chi mangia di me, vivrà per me (Jn 6,58); e ancora:Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo (Jn 6,52). Al qual proposito san Cirillo scrive:Il Verbo di Dio, unendosi alla sua propria carne, l'ha resa vivificante. Era pertanto conveniente che egli si unisse ai nostri corpi in maniera ammirabile, per mezzo della sua sacratissima carne e del suo sangue prezioso, che riceviamo nella vivificante benedizione del pane e del vino (In Jn 4,3).

Ma i Pastori avvertano i fedeli che, quando si dice che l'Eucaristia dona la grazia, non si deve intendere che non sia necessario essere già in grazia per ricevere con frutto questo sacramento; poiché come ai cadaveri non giova il cibo naturale, cosi all'anima, morta nello spirito, non giovano i sacri misteri. Questi presentano le specie del pane e del vino appunto per significare che sono stati istituiti, non per dare, ma per conservare la vita dell'anima. Si dice tuttavia che l'Eucaristia dona la grazia, perché anche la prima grazia (necessaria per ricevere sulle labbra l'Eucaristia, senza il pericolo di mangiare e bere la propria condanna) non si da se non a chi riceve questo sacramento col desiderio e con l'aspirazione. L'Eucaristia, infatti, è il fine di tutti i sacramenti e il simbolo dell'unità associativa dei membri della Chiesa, fuori della quale nessuno può conseguire la grazia.

Inoltre, come il cibo naturale non solo conserva ma anche accresce il corpo e gli fa ogni giorno gustare nuova dolcezza e nuovo piacere, cosi il sacrosanto cibo dell'Eucaristia non solo sostenta l'anima, ma ancora le accresce le forze e fa si che lo spirito sia ogni giorno maggiormente preso dal diletto delle cose divine. Ecco perché giustamente abbiamo detto che l'Eucaristia da la grazia, potendosi a buon diritto paragonare alla mamma, nella quale si trovava la delizia di tutti i sapori.

Nessuno poi deve dubitare che l'Eucaristia rimetta i peccati leggeri, o veniali. Tutto quello che l'anima, trascinata dall'ardore della concupiscenza, aveva perduto in materia lieve, le viene reso da questo sacramento, che cancella i peccati minori; come appunto, per servirci sempre della medesima similitudine, noi sentiamo che il cibo corporale accresce e ripara quel che ogni giorno si perde e viene sottratto dal calore naturale. Perciò sant'Ambrogio ha giustamente scritto dell'Eucaristia: Questo pane quotidiano ogni giorno si riceve come rimedio delle quotidiane infermità (De' Sacram. 4,4). S'intende che tutto ciò va riferito a quei peccati il cui diletto non travolge l'anima.

Un altro effetto dell'Eucaristia è di conservarci puri ed integri dal peccato e di salvarci da ogni impeto di tentazione, immunizzando, quasi celeste farmaco, l'anima, affinché non abbia ad infettarsi o corrompersi per il veleno di mortifere passioni. Perciò, come attesta san Cipriano (Epist. LIV), quando gli antichi cristiani erano condannati dai tiranni ai tormenti e alla morte per la confessione della fede, la Chiesa volle che i Vescovi amministrassero loro il sacramento del corpo e del sangue del Signore, affinché non cedessero in quel supremo cimento, vinti dall'acerbità dei dolori. Inoltre l'Eucaristia raffrena e reprime la libidine della carne, poiché da una parte accende gli animi col fuoco della carità, dall'altra necessariamente raffredda gli ardori della concupiscenza.

Finalmente, per compendiare in una sola parola tutti i vantaggi e benefici di questo sacramento, basta dire che esso possiede una virtù somma per procurarci l'eterna gloria, avendo detto Gesù: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell'ultimo giorno (Jn 6,55). Ed invero per virtù dell'Eucaristia i fedeli, fin da questa vita, godono di una somma pace e tranquillità di coscienza; e, al momento della morte, ricreati dalla sua virtù, se ne volano verso la gloria e beatitudine eterna come Elia, il quale, per virtù del pane cotto sotto la cenere, andò fino sull'Oreb, che era il monte di Dio (3 Re, XIX,8).

Sarà agevole ai Parroci spiegare più a lungo tutti questi benefici dell'Eucaristia, sia commentando ai fedeli il cap. 6 di san Giovanni, che manifesta molti effetti di questo sacramento, sia percorrendo la mirabile serie delle opere di Cristo. Vi potranno far rilevare che se a buon diritto stimiamo beati coloro che ospitarono Gesù mortale nelle loro case, o ricuperarono la sanità toccando le sue vesti, quanto più siamo beati e fortunati noi che lo riceviamo nelle anime nostre, rivestito di gloria immortale, affinché ne risani le ferite ed a sé le unisca, dopo averle ornate di ricchissimi doni.

229. Tre modi di ricevere l'Eucaristia


Si deve poi insegnare chi siano quelli che sono in grado di ricevere i grandi frutti dell'Eucaristia ora ricordati. Ed è necessario prima di tutto spiegare che ci sono varie maniere di comunicarsi, affinché i fedeli desiderino la migliore. Sapientemente i Padri nostri, come leggiamo nel Tridentino, hanno distinto tre modi di ricevere questo divino sacramento.

Taluni, e cioè i peccatori, ricevono soltanto sacramentalmente i sacri misteri, in quanto non hanno terrore di riceverli con labbra e cuore impuri. Di costoro l'Apostolo ha detto che mangiano e bevono indegnamente il corpo e il sangue del Signore (1Co 11,29). E sant'Agostino ha scritto che colui, il quale non si trova in Cristo e Cristo in lui, non mangia certo spiritualmente la sua carne, sebbene in modo carnale e visibile stringa con i denti il sacramento del suo corpo e del suo sangue (In Jn tratt. 26,18). Coloro pertanto che, cosi mal disposti, ricevono i sacri misteri, non solo non ne traggono frutto, ma, per sentenza di san Paolo, mangiano e bevono la propria condanna (1Co 11,29).

Altri ricevono l'Eucaristia solo spiritualmente; e sono quelli che, animati dalla fede viva che opera per mezzo della carità (Ga 5,6), si nutrono di questo pane celeste con i desideri e i voti ardenti, riportandone se non tutti, certo i più grandi vantaggi.

Vi sono infine altri che ricevono l'Eucaristia sacramentalmente e spiritualmente: e sono quelli che, seguendo l'avviso dell'Apostolo, hanno prima provato se stessi e indossato la veste nuziale, per poi avvicinarsi alla sacra mensa, riportandone tutti i copiosi e utilissimi benefici sopra ricordati. E evidente però che si privano di beni immensi e celesti coloro che, pur potendosi preparare a ricevere il sacramento del corpo del Signore, si contentano di riceverlo solo spiritualmente.

230. Preparazione per ben ricevere l'Eucaristia


È tempo di dire come si debbano preparare i fedeli a ricevere il sacramento dell'Eucaristia. Prima di tutto, a rilevare la necessità di questa preparazione, giova l'esempio del nostro Salvatore; il quale, prima di dare agli apostoli il sacramento del suo corpo e del suo sangue prezioso, sebbene già fossero mondi, pure lavo loro i piedi, per mostrare che si deve adoperare ogni diligenza perché siano in noi una somma integrità e innocenza d'animo, quando ci appressiamo a ricevere questo sacramento. Di più, devono ben capire i fedeli che, come ricevendo con animo ben disposto l'Eucaristia, se ne riporta l'abbondanza dei doni celesti, cosi, ricevendola mal preparati, non solo non se ne ritrae alcun vantaggio, ma ne derivano danni gravissimi. Giacché è proprietà delle cose ottime e salutari produrre il più gran giovamento, se vengono usate a tempo opportuno, mentre riescono perniciose se sono usate malamente. Non c'è quindi da meravigliarsi, se questi immensi e ricchissimi doni di Dio, qualora siano ricevuti con buone disposizioni, giovino assai a conseguire la gloria celeste; mentre apportano la morte eterna se li riceviamo indegnamente. Abbiamo una prova di questa verità nell'arca dell'alleanza, la cosa più santa che gli Israeliti possedessero, e di cui Dio s'era spesso servito per accordare loro grandi ed innumerevoli benefici. Avendola una volta i Filistei rubata, essa attiro su loro un terribile flagello, non meno pernicioso che disonorevole (1S 5); cosi il cibo ricevuto per bocca, se scende in uno stomaco ben preparato, nutre e sostenta il corpo; ma quello che entra in uno stomaco pieno di umori morbosi, cagiona gravissime infermità.

Perciò la prima preparazione che faranno i fedeli, sarà di distinguere mensa da mensa, cioè questo convito sacro da quelli profani, questo pane celeste dal pane comune. Ciò si ottiene credendo fermamente che nell'Eucaristia è presente il vero corpo e sangue del Signore, che in cielo gli angeli adorano, al cui cenno tremano le colonne del cielo, della cui gloria sono pieni il cielo e la terra. Questo significa discernere il corpo del Signore, come vuole san Paolo: Bisogna cioè contentarsi di adorare la profonda grandezza di questo mistero, piuttosto che ricercare con curiose disquisizioni la sua altissima verità.

Una seconda disposizione, indispensabile, si è di interrogare noi stessi, per vedere se siamo in pace con tutti, se amiamo di vero cuore il prossimo: Se tu per fare l'offerta all'altare e ti viene alla memoria che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, posa la tua offerta davanti all'altare, va prima a riconciliarti col tuo fratello, e poi ritorna a fare la tua offerta (Mt 5,23-24).

Terza disposizione: esaminare diligentemente la nostra coscienza, per vedere se sia macchiata di qualche peccato mortale, di cui pentirci e mondarci mediante la contrizione e la Confessione. Il sacro Concilio di Trento ha dichiarato non essere lecito a chi ha sulla coscienza un peccato mortale e può avvicinare un confessore, di ricevere la Comunione, anche se pentito nella maniera più profonda, prima di essersi purificato mediante la confessione (Sess. XIII, cap. 7, e can. 11).

Quarta disposizione: considerare in silenzio quanto siamo indegni di ricevere un cosi eccelso beneficio del Signore e ripetere di cuore la parola del Centurione, del quale il Salvatore stesso affermo di non aver trovato nemmeno in Israele una fede cosi grande: O Signore, io non sono degno che tu entri nella mia casa (Mt 8,10).

Quinta disposizione: esaminarci se possiamo far nostre le parole di Pietro: O Signore, tu sai che io ti amo (Jn 21,17); e ricordare che colui il quale entro nel convito del Signore senza la veste nuziale, fu gettato nel carcere tenebroso a scontare pene eterne (Mt 22,11).

Però non l'anima soltanto, ma anche il corpo deve essere preparato alla sacra mensa: primo, col digiuno, che impone di non mangiare né bere nulla dalla mezzanotte antecedente fino al momento in cui si riceve l'Eucaristia; secondo, la dignità di tanto sacramento richiede ancora che i coniugati si astengano per qualche giorno dalla copula, dietro l'esempio di Davide il quale, ricevendo dal sacerdote i pani di proposizione, dichiaro di essersi astenuto per tre giorni, egli ed i suoi servi, da commercio carnale (1S 21,5).

Queste sono le principali disposizioni che i fedeli dovranno avere per appressarsi a ricevere con frutto i santi misteri; tutte le altre potranno facilmente ridursi a quelle sopra elencate.

231. Uso dell'Eucaristia


Per evitare che taluni diventino troppo negligenti e tardi a ricevere questo sacramento, col pretesto che la preparazione al medesimo è troppo grave e difficile, i fedeli devono essere avvertiti che tutti sono obbligati a ricevere l'Eucaristia. Anzi la Chiesa ha stabilito che coloro i quali non si comunicheranno almeno una volta l'anno, a Pasqua, siano espulsi dalla Chiesa.

Questo non significa che sia sufficiente ubbidire a questo precetto e perciò basti ricevere una volta all'anno il corpo del Signore; anzi i fedeli devono frequentare la mensa eucaristica. Non è possibile prescrivere con regola fissa per tutti se sia meglio comunicarsi ogni mese, ogni settimana oppure ogni giorno; ma si abbia sempre presente la norma sicura di S. Agostino: Vivi in maniera da poterti comunicare ogni giorno.

Toccherà al Parroco esortare spesso i fedeli che, come giudicano necessario dare cibo al corpo tutti i giorni, cosi curino ogni giorno di pascere l'anima con questo nutrimento, essendo chiaro che l'alimento spirituale è necessario all'anima quanto quello materiale al corpo. E gioverà molto richiamare gli immensi e divini benefizi che, come abbiamo detto, si acquistano dalla pratica della Comunione. Si può aggiungere l'esempio della manna, che ogni giorno si raccoglieva per ristorare le forze del corpo, e riportare l'autorità dei Padri che lodano e approvano la frequenza di questo sacramento. Non è solo sant'Agostino a dire: Ogni giorno pecchi; dunque ogni giorno comunicati. Chi vorrà leggere i Padri che hanno scritto su questo argomento, si convincerà facilmente che hanno tutti questo medesimo pensiero.

Leggiamo negli Atti (2,42-46) che un tempo i fedeli ricevevano ogni giorno l'Eucaristia. I Cristiani d'allora erano infiammati da una carità cosi profonda e sincera, che, dediti com'erano continuamente alle orazioni e alle opere di carità, si trovavano ognora pronti a ricevere il santissimo sacramento. Quando la consuetudine sembro indebolirsi, il santo papa e martire Anacleto la rinnovo in parte, ordinando che tutti i Ministri che assistevano al sacrificio della Messa, si comunicassero; affermava che ciò era stato ordinato dagli Apostoli (in Graz. par. IlI, dist. 2, cap. 10).

Duro a lungo nella Chiesa l'uso che il sacerdote, compiuto il Sacrificio e presa l'Eucaristia, si rivolgesse al popolo invitandolo alla sacra mensa con queste parole: Venite, fratelli, alla comunione. Allora quelli che eran preparati ricevevano i misteri con gran devozione. Essendosi in seguito tanto raffreddate la devozione e la carità, che i fedeli si accostavano solo raramente alla Comunione, il papa Fabiano (ib. cap. 16) decreto che tre volte all'anno, a Natale, Pasqua e Pentecoste, i fedeli si comunicassero; il che fu poi confermato da molti Concili e specialmente dal primo di Agda (can. 18). Da ultimo, essendosi giunti a tanto rilassamento, che non solo non si osservava più un precetto cosi santo e salutare, ma si differiva di molti anni la Comunione, il concilio Lateranense quarto stabili che i fedeli si accostassero alla mensa eucaristica almeno una volta all'anno, a Pasqua, vietando l'ingresso in chiesa a chi avesse trascurato di ubbidire.

232. Chi non deve comunicarsi


Quantunque la legge della frequenza, sancita dall'autorità di Dio e della Chiesa, obblighi tutti i fedeli, tuttavia ne sono eccettuati coloro, che per la tenera età non hanno ancora l'uso della ragione. Essi infatti sono incapaci di distinguere il pane eucaristico da quello ordinario, né possono avere devozione o riverenza nel riceverlo. Sembra anche opporvisi l'istituzione stessa fatta da Cristo, il quale disse: Prendete e mangiate (Mt 26,26). Ora, è chiaro che i bambini non possono prendere e mangiare. Ci fu, in taluni luoghi l'usanza di amministrare anche ai fanciullini l'Eucaristia; ma ora è stata, per ordine della Chiesa e da molto tempo, abolita, per le ragioni sopra addotte e per molte altre assai conformi alla pietà cristiana. Quanto all'età per la Comunione dei fanciulli, nessuno potrà deciderla meglio del loro padre e confessore, cui appartiene verificare se i fanciulli hanno una qualche conoscenza o gusto di questo mirabile sacramento.

Nemmeno ai pazzi, alieni durante la loro disgrazia da ogni sentimento di religione, si deve amministrare l'Eucaristia. Ma se prima di cadere in pazzia avevano mostrato sensi di religiosa pietà, sarà lecito dar loro in punto di morte la Comunione, secondo il decreto del concilio Cartaginese (4,76), purché non vi sia da temere pericolo di vomito, o di altra irriverenza, o indecenza.

233. La Comunione sotto le due specie


Per quel che riguarda il rito eucaristico, insegnino i Parroci esser proibito per legge ecclesiastica che, senza espressa autorizzazione della Chiesa, i fedeli, all'infuori dei sacerdoti che celebrano il Sacrificio, ricevano l'Eucaristia sotto entrambe le specie. Infatti, come spiega il concilio di Trento, sebbene N.S. Gesù Cristo nell'ultima cena abbia istituito questo augusto sacramento sotto le due specie del pane e del vino e lo abbia cosi somministrato agli apostoli, non ne segue che abbia ordinato di dare a tutti i fedeli il sacramento sotto le due specie. Che anzi il Redentore, quando parla di questo sacramento, il più sovente fa menzione di una sola specie: Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno;Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo (Jn 6,51).

Per molte e gravissime ragioni la Chiesa si è decisa non solo ad approvare, ma anche a sancire con la sua autorità la regola di comunicare sotto la sola specie del pane. Innanzi tutto bisognava con grande cura impedire che il sangue del Signore cadesse in terra; cosa difficile a evitare, se si deve distribuire a una massa di popolo. Secondo, dovendo l'Eucaristia esser sempre pronta per gl'infermi, c'era da temere che la specie del vino conservata a lungo s'inacidisse. Terzo, molti non possono tollerare il gusto e nemmeno l'odore del vino; era dunque conveniente che la Chiesa ordinasse la comunione sotto la sola specie del pane, per evitare che quel che si distribuisce per la salute delle anime, possa nuocere a quella del corpo; quarto, in molti paesi vi è penuria di vino, il quale vi si può trasportare solo con grandi spese e attraverso lunghe e malagevoli strade; infine, e questo è il più importante, bisognava estirpare l'eresia di coloro, che pretendevano che Gesù Cristo non è tutto intero sotto ciascuna specie, ma che quella del pane contiene il corpo senza sangue, e quella del vino il sangue senza il corpo. Affinché, pertanto, la verità della fede Cattolica fosse meglio palese a tutti, fu con savio consiglio introdotta la comunione sotto la sola specie del pane. Altre ragioni ancora sono state raccolte dagli scrittori che han trattato questa materia; i Parroci, ove lo giudicassero necessario, le potranno addurre.

234. Il Ministro dell'Eucaristia


Sebbene nessuno ne sia all'oscuro, trattiamo ora del ministro, tanto per non tralasciare nulla di quel che si riannoda a questo sacramento. Insegneranno i Parroci che soltanto i sacerdoti hanno la potestà di consacrare l'Eucaristia e di distribuirla ai fedeli. Sempre - insegna il concilio di Trento - è stata nella Chiesa osservata la consuetudine, che il popolo riceve i sacramenti dai sacerdoti, mentre questi si comunichino da sé durante la celebrazione; consuetudine che il Concilio fa risalire agli Apostoli. Esso ordina di osservarla religiosamente (Sess. XIII, cap. 8, can. 10), massime perché Gesù Cristo ce ne ha lasciato chiarissimo esempio, avendo egli stesso consacrato il suo corpo per poi distribuirlo con le sue mani agli apostoli (Mt 26,26 Mc 14,22).

Al fine di rilevare con ogni mezzo la dignità di tanto sacramento, non solo è riservata ai sacerdoti la potestà di amministrarlo, ma è proibito per legge ecclesiastica, a chi non è negli ordini sacri, di toccare o trattare i vasi sacri, i corporali e tutta la suppellettile necessaria per la consacrazione, salvo il caso di grave necessità. Cosi i sacerdoti e i fedeli intenderanno come debbano essere religiosi e santi coloro cui spetta di consacrare, amministrare, o ricevere la santissima Eucaristia.

Tuttavia si verifica anche per questo sacramento quel che abbiamo detto per gli altri; che cioè possono esser validamente amministrati anche da ministri indegni, purché siano osservate le norme spettanti alla loro struttura; giacché il loro effetto non dipende dai meriti di chi li amministra, ma dalla virtù e dalla potestà di Cristo Signor nostro. Questo è quanto si deve spiegare sull'Eucaristia come sacramento.

235. L'Eucaristia come sacrificio


Resta da considerare l'Eucaristia come sacrifizio. E cosi sarà completo quel che i Pastori, a norma del concilio di Trento, dovranno conoscere e insegnare al popolo nelle domeniche e nelle altre festività (Sess. 22, cap. Vili). Infatti l'Eucaristia non è solo il tesoro della ricchezza celeste, il cui buon uso procura la grazia e l'amore di Dio, ma possiede anche il mezzo per ringraziare Dio per gl'immensi benefici a noi elargiti. Volendo comprendere quanto sia grata ed accetta a Dio questa Vittima, quando viene immolata secondo il legittimo rito, si consideri che i sacrifici dell'antica Legge - di cui pure era scritto: Di sacrifici e di offerte tu non prendi diletto (Ps 39,7); e ancora: A te non piacciono i sacrifizi di animali: potrei offrirtene, ma l'olocausto non ti diletta (Ps 50,18) - piacquero tanto al Signore, che secondo la Scrittura Dio senti in quelli come un odore soavissimo, per significare che gli furono grati ed accetti (Gn 8,21). Ora che cosa non dobbiamo sperare noi da un sacrifizio, in cui viene immolato Colui del quale per ben due volte una voce celeste proclamo: Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto? (Mt 3,17). I Parroci esporranno dunque diligentemente questo mistero, affinché i fedeli, venendo ad assistere al sacrificio, sappiano meditare con attenzione e pietà i misteri ai quali partecipano.

Insegneranno innanzi tutto che Cristo ha istituito l'Eucaristia per due ragioni: primo, per offrire all'anima un alimento celeste, che ne conservasse la vita spirituale; secondo, affinché la Chiesa avesse un sacrifizio perpetuo, capace di soddisfare per i nostri peccati, e di piegare dall'ira alla misericordia, dalla severità di un giusto castigo alla clemenza, il Padre celeste, spesso gravemente offeso dalle nostre iniquità. Una figura di ciò la troviamo nell'agnello pasquale, che gli Ebrei immolavano e mangiavano come sacrifizio e come sacramento. Né poteva il Redentore, prima di offrire se stesso a Dio Padre sull'altare della croce, darci più chiaro pegno del suo immenso amore verso di noi, che lasciandoci questo sacrificio visibile, mediante il quale noi potessimo rinnovare l'immolazione cruenta, che egli era per consumare l'indomani, una volta per sempre, sopra la croce; e, in tal modo, la sua memoria venisse ogni giorno celebrata dalla Chiesa su tutta la terra con grandissimo frutto, fino alla fine del mondo.

236. Differenza tra sacrificio e sacramento


Ma tra i concetti di sacramento e di sacrificio vi è grande differenza. Il sacramento si effettua mediante la consacrazione, mentre l'essenza del sacrifizio sta nell'offerta immolatrice. Perciò l'Eucaristia, finché è conservata nella pisside o è portata a un infermo, ha carattere di sacramento e non di sacrifizio. Appunto, come sacramento apporta titoli di merito a coloro che la ricevono, procurando loro i vantaggi sopra ricordati. Invece, come sacrificio, possiede, oltre alla virtù di meritare, anche quella di soddisfare. Pertanto come Cristo signor nostro nella sua passione merito e soddisfece per noi, cosi quelli che offrono questo sacrificio, per il quale comunicano con noi, meritano di partecipare ai frutti della passione del Signore e quindi alla sua opera di soddisfazione.

237. Istituzione e figure del sacrificio della Messa


Il concilio di Trento ha tolto ogni dubbio circa l'istituzione di questo sacrificio, dichiarando che fu istituito da Gesù Cristo nell'ultima cena. Anatematizza poi chi afferma che a Dio non si offre un vero e proprio sacrificio nella Chiesa, ovvero che offrire non significa altro che dare in cibo ai fedeli la carne del Signore.

Né tralasciò di spiegare diligentemente che il sacrificio si offre solo a Dio; e che la Chiesa, pur celebrando messe in memoria e onore dei santi, offre il sacrificio non ad essi, ma solo a Dio, che ha coronato i santi di gloria immortale. Il sacerdote non dice mai: Offro il sacrificio a te, Pietro, o Paolo; ma, mentre immola e sacrifica solo a Dio, lo ringrazia per le insigni vittorie riportate dai martiri, e implora il loro patrocinio, affinché si degnino d'intercedere per noi in cielo, mentre facciamo memoria di loro in terra.

La Chiesa Cattolica ha appreso dalla parola stessa di Cristo quanto Egli ci ha insegnato circa la realtà del sacrificio eucaristico. Cristo, infatti, disse agli Apostoli affidando loro nell'ultima cena i sacri misteri: Fate questo in memoria di me (Lc 22,19 1Co 11,24). In quel momento li istituì sacerdoti, come insegna il concilio di Trento, ordinando ad essi e a tutti quelli che sarebbero loro succeduti nell'ufficio sacerdotale, di immolare e offrire il suo corpo. La stessa cosa è chiaramente confermata dalle parole di san Paolo ai Corinzi: Non potete bere il calice del Signore e il calice dei demoni. Non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni (1Co 10,20). Ora, come per mensa dei demoni si deve intendere l'altare su cui questi ricevevano i sacrifici, cosi per mensa del Signore si deve intendere l'altare sul quale si sacrifica a Dio; altrimenti non tornerebbe l'argomentazione dell'Apostolo.

Ricercando nel vecchio Testamento le figure e le profezie intorno al sacrificio eucaristico, troviamo prima di tutto il chiarissimo vaticinio di Malachia: Dall'oriente all'occidente grande è il mio nome fra le genti, e in ogni luogo viene sacrificata ed offerta al mio nome un'oblazione monda, perché grande è il mio nome tra le nazioni, dice il Signore degli eserciti (Ml 1,11). Questa Vittima era pure prefigurata da tutti i sacrifici offerti sia prima che dopo la promulgazione della legge mosaica; perché i benefici espressi da quelli sono tutti contenuti nell'Eucaristia, che ne è come l'apice e il compimento. Fra tutte le figure, la più espressiva è quella di Melchisedec, perché il Redentore medesimo, per ben rilevare che era stato costituito sacerdote per l'eternità secondo l'ordine di Melchisedec (He 7,3), offri all'Eterno suo Padre, nell'ultima cena, il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane e del vino.

238. Natura e valore del sacrificio della Messa


Si deve dunque riconoscere che il sacrificio della Messa e quello offerto sulla croce non sono e non devono essere considerati che un solo e identico sacrificio, come una e identica è la vittima: Cristo signor nostro, che si è immolato una sola volta sulla croce in modo cruento. Ora, la vittima cruenta e quella incruenta sono un'unica vittima e non due, il cui sacrificio, dopo il precetto del Signore: Fate questo in memoria di me, si rinnova ogni giorno nell'Eucaristia. E anche unico e identico il sacerdote, cioè Cristo medesimo, poiché i ministri celebranti non agiscono in nome proprio, ma in persona di Cristo, quando consacrano il suo corpo e il suo sangue. E provato dalle parole stesse della consacrazione, nelle quali il sacerdote non dice: Questo è il corpo di Cristo, ma: Questo è il mio corpo; appunto perché rappresentando egli, allora, la persona di Cristo, trasforma la sostanza del pane e del vino nella vera sostanza del corpo e del sangue di Lui.

Posta questa verità, bisogna con fermezza insegnare, insieme con il sacro Concilio, che l'augusto sacrificio della Messa non è soltanto un sacrificio di lode e di ringraziamento, né una semplice commemorazione di quello della croce, ma un vero sacrificio propiziatorio, col quale ci rendiamo Dio placato e propizio. Perché se con puro cuore, con fede viva, con intimo dolore dei nostri peccati immoliamo e offriamo questa Vittima sacrosanta, otterremo infallibilmente dal Signore la misericordia e la grazia al momento opportuno. Infatti il Signore tanto si compiace del profumo di questa Vittima, che ci perdona i peccati, concedendoci il dono della grazia e della penitenza. Perciò la Chiesa dice in una solenne preghiera: Quante volte si celebra la memoria di questa Vittima, altrettante si compie l'opera della nostra salvezza (Dom. 9 dopo Pent.); poiché tutti gli abbondantissimi meriti della Vittima cruenta si riversano su di noi in grazia di questo sacrificio incruento.

Insegneranno pure i Parroci che l'efficacia di questo sacrificio è tale da giovare non solo a chi l'offre e a chi lo riceve, ma a tutti i fedeli che siano ancora vivi sulla terra, o che, essendo già morti nel Signore, non siano ancora completamente purificati. Perché è certa tradizione apostolica che il sacrificio della Messa si offre utilmente anche per i morti, oltreché per i peccati, le pene, le soddisfazioni, le varie angustie e calamità dei vivi. Ne segue che tutte le messe sono sempre da considerarsi comuni, in quanto sono dirette alla comune utilità e salute di tutti i fedeli.

Il sacrificio della Messa abbraccia molti riti notevoli e solenni, nessuno dei quali si può giudicare superfluo o vano, perché tutti sono diretti a far meglio risplendere la maestà di si grande sacrificio, e a trasportare i fedeli dalla vista di cosi salutiferi misteri alla contemplazione delle cose divine, in essi celate. In queste cerimonie non è opportuno trattenerci di più, sia perché a trattare tale materia ci vorrebbe uno spazio più ampio, sia perché potranno i sacerdoti facilmente consultare i moltissimi libri e trattati composti da uomini dotti e pii intorno a questo argomento.

Basti quindi quello che fin qui abbiamo esposto, con l'aiuto di Dio, intorno ai punti principali che si riferiscono all'Eucaristia, sia come sacramento, sia come sacrificio.
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26/08/2010 16:19

PARTE SECONDA: I SACRAMENTI


LA PENITENZA


239. Si deve sovente inculcare la dottrina
intorno alla Penitenza




Essendo notissime la debolezza e fragilità della natura umana, come ciascuno può facilmente sperimentare in se stesso, nessuno può disconoscere la grande necessità del sacramento della Penitenza. Che se lo zelo dei Pastori si deve misurare dall'importanza della materia da loro trattata, bisogna concludere che essi non saranno mai abbastanza zelanti nello spiegare questo argomento. Anzi, con tanto maggior diligenza si dovrà trattare di questo in confronto col Battesimo, in quanto il Battesimo si somministra una sola volta, né si può reiterare; mentre la Penitenza si può ricevere ed è necessario riceverla ogni volta che ci avvenga di ricadere nel peccato dopo il Battesimo. Perciò il concilio di Trento ha detto che il sacramento della Penitenza è cosi necessario per la salvezza di coloro che sono caduti in peccato dopo il Battesimo, come questo è necessario a quelli che non sono ancora rigenerati alla fede (Sess. 14, cap. 2). San Girolamo ha scritto quella notissima sentenza, approvata pienamente da quelli che hanno scritto di questo argomento sacro dopo di lui, che la Penitenza è la seconda tavola di salvezza (In Is 3,8). Come, infranta la nave, rimane una sola via di scampo, quella cioè di aggrapparsi a una tavola scampata al naufragio, cosi un volta perduta l'innocenza battesimale, se non si ricorre alla tavola della Penitenza, non v'è speranza di salvezza.

Queste considerazioni si rivolgono non solo ai Pastori ma a tutti i fedeli, affinché in materia cosi necessaria non pecchino di negligenza. Convinti dell'umana fragilità, il loro primo e più ardente desiderio sia di camminare nella via di Dio, col soccorso della sua grazia, senza inciampi né cadute. Ma se inciampassero, considerando subito la somma benignità di Dio, che da buon Pastore cura le ferite delle sue pecorelle e le risana (Ez 34,16), ricorreranno senza indugio a questa saluberrima medicina della Penitenza.

240. Veri significati del termine "Penitenza"


Per entrare subito in materia, spieghiamo innanzi tutto il valore e il significato del termine penitenza, per evitare che alcuno sia indotto in errore dall'ambiguità del vocabolo. Taluni intendono penitenza come soddisfazione; altri, ben lontani dalla dottrina Cattolica, la definiscono una nuova vita, ritenendo che non abbia alcuna relazione col passato. Bisogna adunque chiarire i significati di questo vocabolo.

Innanzi tutto diciamo che prova pentimento (o penitenza) chi si rammarica di una cosa, che prima gli era piaciuta, a parte la considerazione se fosse buona o cattiva. Tale è il pentimento di coloro la cui tristezza è di carattere mondano, e non secondo Dio; pentimento che arreca non la salute, ma la morte (2Co 7,10). Altra specie di pentimento è quello di coloro che si dolgono di un misfatto commesso e di cui si erano compiaciuti non per riguardo di Dio ma di se stessi (Mt 27,3). Una terza specie si ha quando non solo ci addoloriamo con intimo sentimento del peccato commesso, o ne mostriamo anche, qualche segno esterno, ma ci rammarichiamo principalmente per l'offesa di Dio (Jl 2,12).

A tutte e tre queste specie di dolore conviene propriamente il nome di penitenza; quando invece leggiamo nella Scrittura che Dio si pente, tale parola ha un valore metaforico, adattato alla maniera umana di parlare, che la Scrittura adopera come per dire che Dio ha mutato divisamente. Infatti in questo caso Dio sembra quasi agire alla maniera degli uomini, che, quando si pentono di qualche cosa, cercano con ogni studio di mutarla. In questo senso leggiamo che Dio si penti di avere creato l'uomo (Gn 6,6) e di aver eletto re Saul (1S 15,11).

Ma v'è una grande diversità tra queste tre specie di penitenza. La prima è difettosa, la seconda è l'afflizione di un animo commosso e turbato, solo la terza è nello stesso tempo una virtù e un sacramento; e di questa propriamente qui si tratta.

241. La penitenza in quanto virtù


Trattiamo prima di tutto della penitenza in quanto è una virtù, non solo perché il popolo deve essere dai suoi Pastori istruito intorno a ogni genere di virtù, ma anche perché gli atti di questa virtù offrono la materia riguardante il sacramento della Penitenza; sicché, se non si conosce prima bene che cosa sia la virtù della penitenza, si dovrà necessariamente ignorare l'efficacia di questo sacramento.

Bisogna adunque esortare dapprima i fedeli a fare ogni sforzo per raggiungere quella interiore penitenza dell'anima che noi chiamiamo virtù e senza la quale la penitenza esteriore riuscirà di ben poco giovamento. La penitenza interna è quella per la quale noi con tutto l'animo ci convertiamo a Dio e detestiamo profondamente i peccati commessi, proponendo insieme fermamente di emendare le nostre cattive abitudini e i costumi corrotti, fiduciosi di conseguire il perdono dalla misericordia di Dio. Si associa a questa penitenza, come compagna della detestazione del peccato, una dolorosa tristezza che è una vera affezione emotiva dell'animo e da molti viene chiamata passione. Perciò parecchi santi Padri definiscono la penitenza partendo da un cosi fatto tormento dell'anima. E tuttavia necessario che nel pentito la fede preceda la penitenza, perché nessuno può convertirsi a Dio senza la fede. Da ciò segue che a ragione non si può dire che la fede sia una parte della penitenza.

Che questa interiore penitenza sia una virtù, come abbiamo detto, è chiaramente dimostrato dai molti precetti che la riguardano (Mt 3,2 Mt 4,17 Mc 1,4 Mc 1,15 Lc 3,3 Ac 2,38). Poiché la legge ordina solo quegli atti che si esercitano mediante la virtù. Del resto nessuno vorrà negare che sia atto di virtù il dolersi nel tempo, nel modo e nella misura opportuna. E tutto questo ce lo insegna a dovere la virtù della penitenza. Spesso avviene infatti che gli uomini non si pentano dei peccati quanto dovrebbero; che anzi vi sono taluni, a detta di Salomone, che si rallegrano del male commesso (Pr 2,14); mentre vi sono altri che se ne affliggono cosi amaramente, da disperare di salvarsi. Tale sembra essere stato il caso di Caino che esclamo:Il mio peccato è più grande del perdono di Dio (Gn 4,13); e tale fu certamente quello di Giuda, il quale pentito, appendendosi al laccio, perdette insieme la vita e l'anima (Mt 27,3 Ac 1,18). La virtù della penitenza ci aiuta pertanto a conservare la giusta misura nel nostro dolore.

Il medesimo si deduce anche da quanto si propone come fine chi davvero si pente del peccato. Questi, infatti, prima vuoi cancellare la colpa e lavare tutte le macchie dell'anima; secondo, vuoi dare soddisfazione a Dio per i peccati commessi; il che è evidentemente un atto di giustizia. Poiché, sebbene tra Dio e gli uomini non possano esserci rapporti di vera e rigorosa giustizia, dato l'infinito abisso che li separa, pure taluno ve n'è, nel genere di quelli che si verificano tra padre e figli, tra padrone e servi; terzo, delibera di ritornare in grazia di Dio, nella cui inimicizia e disgrazia era caduto per motivo del peccato. Tutto ciò chiaramente mostra che la penitenza è una virtù.

242. I vari gradi per giungere alla penitenza


Importa anche insegnare ai fedeli attraverso quali gradini possiamo progredire in questa divina virtù.

Innanzi tutto la misericordia di Dio ci previene e converte a sé i nostri cuori. Questo domandava al Signore il profeta quando implorava: Convertici a te, o Signore, e saremo convertiti (Treni, 5,21).

Secondo: illuminati da questa luce, ci rivolgiamo a Dio sulle ali della fede, poiché, come afferma l'Apostolo, chi si accosta a Dio deve credere che Dio esiste e che è il rimuneratore di quelli che lo cercano (He 11,6). Terzo: segue il senso del timore, quando l'anima, considerando l'atrocità delle pene, si ritira dal peccato. A questo sembrano riferirsi le parole di Isaia: Come una donna incinta, prossima al parto, si lagna e grida fra le sue doglie, tali siamo noi (Is 26,17). Quarto: si aggiunge la speranza di impetrare la misericordia di Dio, sollevati dalla quale, risolviamo di emendare la vita e i costumi. Quinto: finalmente la carità infiamma i nostri cuori, e da essa scaturisce quel filiale timore che degnamente conviene a figli probi e assennati. Per essa, non temendo più che l'offesa della maestà di Dio, abbandoniamo del tutto l'abitudine del peccato.

Questi sono i gradi attraverso i quali si giunge alla più sublime virtù della penitenza, che agli occhi nostri deve apparire tutta celeste e divina. Infatti la sacra Scrittura le promette il regno dei cieli, come si legge in san Matteo: Fate penitenza, che il regno dei cieli è vicino (Mt 3,2 Mt 4,17); e in Ezechiele: Se l'empio farà penitenza di tutti i peccati commessi e custodirà tutti i miei precetti, operando secondo il diritto e la giustizia, vivrà (Ez 18,21); e ancora: Non voglio la morte dell'empio, ma che si converta dalla sua via e viva (Ez 33,11). Le quali parole devono evidentemente riferirsi alla vita eterna e beata.

243. La Penitenza come sacramento


Circa la penitenza esteriore si deve insegnare che essa costituisce propriamente il sacramento e consiste in talune azioni esterne e sensibili, che esprimono quello che avviene nell'interno dell'anima. Innanzi tutto si deve spiegare ai fedeli perché Gesù Cristo ha messo la Penitenza nel novero dei sacramenti. Ciò è perché non avessimo più a dubitare della remissione dei peccati, da lui promessa con le parole citate: Se l'empio farà penitenza, ecc. Poiché se giustamente ciascuno deve temere del proprio giudizio sulle sue azioni, di necessità saremmo stati condotti a dubitare del nostro pentimento interiore. Ma il Signore, volendo rimediare a questa nostra ansietà, ha istituito il sacramento della Penitenza, per il quale, in virtù dell'assoluzione del sacerdote, noi fossimo certi della remissione dei nostri peccati, e la coscienza si calmasse in grazia della fede che dobbiamo avere nella virtù dei sacramenti. La parola del sacerdote che legittimamente assolve dai peccati avrà per noi lo stesso valore di quella che Gesù Cristo disse al paralitico: Confida figliuolo, che i tuoi peccati ti sono rimessi (Mt 9,2).
Inoltre poiché nessuno può conseguire la salvezza se non per Cristo e per i meriti della sua passione, era conveniente e assai utile per noi che venisse istituito questo sacramento per la cui efficacia il sangue di Cristo, scorrendo su di noi, lava i peccati commessi dopo il Battesimo, e ci obbliga cosi a riconoscere che soltanto al nostro divino Salvatore dobbiamo il beneficio della riconciliazione.

Che la Penitenza sia un vero sacramento i Parroci lo dimostreranno facilmente cosi: come è un sacramento il Battesimo, perché cancella tutti i peccati e specialmente quello originale, cosi lo è pure in senso pieno la Penitenza che toglie tutti i peccati commessi, o col desiderio, o con l'opera dopo il Battesimo. Di più (e questo è l'argomento principale), siccome gli atti esterni del penitente e del sacerdote indicano quel che avviene nell'interno dell'anima, chi vorrà negare che la Penitenza abbia vera e propria natura di sacramento? Il sacramento infatti è il segno di una cosa sacra: ora, il peccatore pentito esprime chiaramente con le parole e con gli atti di avere distaccato l'animo dal peccato. D'altra parte, dalle parole e dagli atti del sacerdote, facilmente rileviamo la misericordia di Dio che perdona quei peccati. Del resto, una prova chiara l'abbiamo nelle parole del Salvatore: Darò a te le chiavi del regno dei cieli; qualunque cosa avrai sciolto sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli (Mt 16,19). L'assoluzione pronunciata dal sacerdote esprime la remissione dei peccati che essa produce nell'anima.

Ma non basta insegnare ai fedeli che la Penitenza è un sacramento: occorre aggiungere che è uno di quelli che si possono ripetere. Infatti quando Pietro domando al Signore se doveva perdonare fino a sette volte un peccato, si ebbe per risposta: Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette (Mt 18,22). Pertanto, qualora si abbia a trattare con uomini che sembrino diffidare della somma bontà e clemenza di Dio, dovrà il loro animo esser rafforzato e sollevato alla speranza della grazia divina. Ciò sarà facile, illustrando questo ed altri passi numerosi della sacra Scrittura, e, insieme, allegando quei motivi e quelle argomentazioni, che si trovano nel trattato Sui caduti in peccato, di san Giovanni Crisostomo e in quello Sulla Penitenza, di sant'Agostino.

244. Materia della Penitenza


Ma poiché il popolo deve conoscere meglio di ogni altra cosa, la materia di questo sacramento, si dovrà insegnare che esso differisce dagli altri sopratutto perché, mentre la materia degli altri è qualche cosa di naturale, o di artificiale, della Penitenza sono quasi materia gli atti del penitente: cioè la contrizione, la confessione e la soddisfazione, com'è stato dichiarato dal concilio di Trento (Sess. 14, Della Penit. e. 3 e can. 4).

Codesti atti vengono detti parti della Penitenza, in quanto si esigono per divina istituzione, nel penitente, per ottenere l'integrità del sacramento e una piena e perfetta remissione dei peccati. Son detti: quasi materia non perché non abbiano ragione di vera materia, ma perché non sono di quel genere di materia che esteriormente si adopera, come l'acqua nel Battesimo e il crisma nella Confermazione. Né, a intender bene, hanno affermato cosa diversa coloro, che hanno detto essere i peccati la materia propria di questo sacramento: perché, come diciamo che le legna sono materia del fuoco, perché dal fuoco sono consumate, cosi a buon diritto possiamo dire che i peccati sono materia della Penitenza, perché dalla Penitenza vengono cancellati.

245. Forma della Penitenza


Né dovranno i Pastori tralasciar di spiegare la forma del sacramento, perché questa conoscenza ecciterà gli animi dei fedeli a riceverne con gran devozione la grazia che gli è propria. La forma è la seguente: " Io ti assolvo ", come si ricava non solo da quelle parole: Quanto scioglierete sulla terra, sarà sciolto nel cielo (Mt 18,18), ma anche dall'insegnamento di Gesù Cristo tramandatoci dagli Apostoli. E poiché i sacramenti significano quel che operano, le parole " Io ti assolvo ", mostrano che la remissione dei peccati avviene mediante l'amministrazione di questo sacramento. E chiaro dunque che questa è la forma perfetta della Penitenza, in quanto i peccati sono quasi lacci che tengono avvinte le anime, e da cui si liberano col sacramento della Penitenza. Si noti anzi che il sacerdote pronunzia con eguale verità la forma anche su di un penitente che, mosso da contrizione perfetta, accompagnata dal desiderio di confessarsi, abbia già ottenuto da Dio il perdono dei peccati.

Si aggiungono a queste parole varie preghiere, non necessarie alla forma del sacramento, ma dirette ad allontanare tutto ciò che potrebbe impedirne la virtù e l'efficacia per difetto di chi lo riceve.

Grazie infinite rendano dunque i peccatori a Dio che ha conferito ai suoi sacerdoti una cosi ampia potestà nella Chiesa. Oggi i sacerdoti non hanno soltanto il potere di dichiarare il penitente assolto dai peccati, come quelli del vecchio Testamento che si limitavano a testificare che il lebbroso era guarito dal suo male (L. 13), ma lo assolvono veramente, come ministri di Dio il quale opera lui stesso principalmente, essendo autore e padre della grazia e della giustizia.

I fedeli osserveranno con cura anche i riti propri di questo sacramento. Cosi avranno più altamente scolpito nell'animo ciò che hanno conseguito in questo sacramento: la riconciliazione, cioè, di loro, servi, con un Padrone clementissimo; o piuttosto, di figlioli, con un ottimo Padre; e comprenderanno meglio quel che convenga fare a coloro che vogliono (e tutti devono volerlo) mostrarsi grati e memori di tanto beneficio. Colui che si pente dei peccati, si getta con animo umile e dimesso ai piedi del sacerdote, per riconoscere, mentre compie quest'atto di umiltà, che si devono estirpare le radici della superbia, da cui hanno principio e origine tutti quei peccati che piange e detesta. Nel sacerdote, che siede come suo legittimo giudice, riconosce la persona e la potestà di Gesù Cristo, poiché il sacerdote nell'amministrare la Penitenza, come pure gli altri sacramenti, tiene il luogo di Cristo. Dopo di che il penitente enumera tutti i suoi peccati, riconoscendo di meritare le pene più grandi ed acerbe, e ne domanda supplichevole il perdono. In san Dionigi si trovano le più chiare testimonianze sull'antichità di tutte queste pratiche.

246. Effetti della Penitenza


Ma nulla gioverà tanto ai fedeli e desterà in essi il vivo desiderio di appressarsi alla Penitenza, quanto la frequente spiegazione della sua utilità fatta dal Parroco; vedranno allora quanto giustamente si possa dire della Penitenza che se sono amare le sue radici, dolcissimi ne sono i frutti.

Tutto il valore della Penitenza consiste nel restituirci alla grazia di Dio stringendoci a lui in grande amicizia. Ne segue, massime negli uomini pii che la ricevono con santa devozione, una ineffabile pace e tranquillità di coscienza accompagnate da viva gioia spirituale. Infatti non c'è colpa per quanto grave ed empia, che non si cancelli grazie alla Penitenza; e non una sola volta, ma molte e molte volte. Al quale proposito cosi parla il Signore per bocca di Ezechiele: Se l'empio farà penitenza di tutti i suoi peccati, osserverà i miei precetti e praticherà il giudizio e la giustizia, vivrà e non morrà, né io mi ricorderò delle iniquità da lui commesse (Ez 18,21). E san Giovanni: Se confessiamo i nostri peccati, Dio è fedele e giusto, e ce li perdonerà (1Jn 1,9). E poco più oltre: Se taluno avrà peccato - si noti che non eccettua nessun genere di peccato -, abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo giusto, il quale è propiziazione per i nostri peccati; né solamente per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo (I Jn 2,1,2).

E se leggiamo nella Scrittura che alcuni non hanno ricevuto misericordia da Dio, pur avendola caldamente implorata (2M 2M 9,13 He 12,17), ciò avvenne perché essi non erano pentiti di vero cuore dei loro misfatti. Perciò quando occorrono nella Scrittura o nei Padri frasi che sembrano affermare che per alcuni peccati non c'è remissione (1S 2,25 Mt 12,31 He 6,4 He 10,26), bisogna intenderle nel senso che il loro perdono è oltremodo difficile. Come infatti una malattia viene detta insanabile quando il malato respinge l'uso della medicina, cosi c'è una specie di peccati che non si rimette né si perdona, perché rifugge dalla grazia di Dio che è il rimedio suo proprio. In questo senso sant'Agostino ha scritto: Quando un uomo, giunto alla conoscenza di Dio per la grazia di Gesù Cristo, viola la carità fraterna e invidiosamente si agita contro la grazia stessa, la macchia di tale peccato è tanta che il peccatore non riesce a umiliarsi per domandarne perdono, sebbene i rimorsi lo obblighino a riconoscere e confessare il suo fallo (Libr. I sul serm. del Sign. nel monte 22,73 e 74).

Ma per ritornare alla Penitenza, la sua efficacia nel rimettere i peccati le è in tal modo propria che senza di essa è impossibile non solo ottenere, ma neppure sperarne il perdono, essendo scritto: Se non farete penitenza, perirete tutti allo stesso modo (Lc 13,3). E vero che queste parole si applicano solo ai peccati gravi o mortali; ma anche i peccati più leggeri o veniali esigono la loro congrua penitenza. Dice infatti sant'Agostino: Quella specie di penitenza che si fa ogni giorno nella Chiesa per i peccati veniali, sarebbe certo vana se detti peccati si potessero rimettere senza di essa.

247. Le parti costitutive della Penitenza


Ma poiché in materia pratica non basta dare nozioni e spiegazioni generali, i Parroci cureranno di spiegare a parte quanto i fedeli devono sapere sulle doti di una vera e salutare penitenza. Ora, questo sacramento, oltre alla materia e alla forma, che ha in comune con gli altri sacramenti, contiene, come abbiamo già detto, tre elementi necessari a renderlo integro e perfetto: la contrizione, la confessione e la soddisfazione. Dice in proposito san Giovanni Crisostomo: La penitenza induce il peccatore a sopportare tutto volentieri: nel suo cuore è la contrizione, sulla bocca la confessione, nelle opere grande umiltà, ossia la salutare soddisfazione (In Graz. p. 2, cap. 33, q. 5, dist. 1, e. 40). Ora queste parti sono indispensabili alla costituzione di un tutto.

Come il corpo umano è formato di molte membra, mani, piedi, occhi e simili, di cui nessuna potrebbe mancare senza imperfezione dell'insieme, che diciamo perfetto solo quando le possiede tutte, cosi la Penitenza risulta delle tre suddette parti in modo tale che, sebbene la contrizione e la confessione che giustificano il peccatore, siano le sole richieste assolutamente per costituirla, nella sua assenza essa rimane tuttavia imperfetta e difettosa, quando non include la soddisfazione. Queste tre parti sono dunque inseparabili e cosi ben collegate tra loro, che la contrizione racchiude il proposito e la volontà di confessarsi e di soddisfare; la contrizione e la soddisfazione implicano la confessione; e la soddisfazione è la conseguenza delle altre due.

La ragione della necessità di queste tre parti è che noi offendiamo Dio in tre maniere: in pensieri, parole ed opere. Perciò è giusto e ragionevole che noi, sottomettendoci alle chiavi della Chiesa, ci sforziamo di placare l'ira di Dio e di ottenere da lui il perdono dei peccati con quegli stessi mezzi adoperati per offendere il suo santissimo nome. Vi è un'altra ragione. La Penitenza è una specie di compenso dei peccati, che procede dalla volontà del peccatore; ed è stabilita dalla volontà di Dio, contro cui si è peccato. Bisogna quindi da un lato che il penitente voglia dare questo compenso, e questo costituisce la contrizione; dall'altro, che egli si sottometta al giudizio del sacerdote il quale tiene il luogo di Dio, affinché si possa fissare una pena proporzionata alle colpe; ed ecco la necessità della confessione e della soddisfazione.

Ma poiché si devono insegnare ai fedeli la natura e la proprietà di ciascuna di queste parti, bisogna cominciare dalla contrizione e spiegarla con tanta maggior cura in quanto noi dobbiamo concepirla nel nostro cuore non appena i peccati commessi ci ritornano alla memoria, quando ne commettiamo dei nuovi.

248. La contrizione: sua natura


Ecco come definiscono la contrizione i Padri del concilio di Trento: La contrizione è un dolore dell'animo e una detestazione del peccato commesso con il proposito di non più peccare per l'avvenire (Sess. 14, e. 4). Parlando più oltre della contrizione, aggiungono: Questo atto prepara alla remissione dei peccati, purché sia accompagnato dalla fiducia nella misericordia di Dio e dalla volontà di fare quanto è necessario per ben ricevere il sacramento della Penitenza. Questa definizione fa ben comprendere ai fedeli che l'essenza della contrizione non consiste solo nel trattenersi dal peccare, nel risolvere di mutar vita, o nell'iniziare di fatto una vita nuova, ma anche e sopratutto nel detestare ed espiare le colpe della vita passata. Questo è chiaramente provato dai gemiti dei Santi, che cosi spesso troviamo nei Libri sacri: Io sono stanco di piangere - dice Davide -, ogni notte spargo di lacrime il mio giaciglio. Il Signore ha sentito la voce del mio pianto (Ps 6,7-9). E in Isaia: Ti darò conto, o Signore, di tutti gli anni miei, con l'amarezza dell'anima mia (Is 38,15). Queste parole, ed altre simili, sono l'espressione evidente di un odio profondo dei peccati commessi e di una detestazione della vita passata.

Dopo avere ben fissato che la contrizione è un dolore, bisogna avvertire i fedeli di non immaginarsi che esso debba esser esterno e sensibile. La contrizione è un atto della volontà; e sant'Agostino attesta che il dolore accompagna la penitenza, ma non è la penitenza stessa (Serm. CCCLI,1). I Padri Tridentini hanno espresso col termine dolore la detestazione e l'odio del peccato commesso, sia perché la Scrittura lo usa cosi (Fino a quando - dice Davide al Signore - terro in ansia l'anima mia e il mio cuore in preda al dolore notte e giorno?) (Ps 12,2); sia perché il dolore nasce dalla contrizione in quella parte inferiore dell'anima che è sede delle passioni. Non a torto, pertanto, è stata definita la contrizione come un dolore, perché produce appunto il dolore, ed i penitenti, per esprimere meglio il loro dolore, usavano mutare le vesti, come si ricava dalle parole del Signore: Guai a te, Corozain, guai a te, Betsaida; poiché se in Tiro e Sidone fossero avvenuti i miracoli compiuti presso di voi, già da gran tempo avrebbero fatto penitenza in cenere e cilizio (Mt 11,21 Lc 10,13).

La detestazione del peccato di cui parliamo ha ricevuto giustamente il nome di contrizione per esprimere l'efficacia del dolore da essa provocato, per similitudine tratta dalle sostanze corporee: come queste si frantumano con un sasso o con altra materia più dura, cosi i cuori induriti dall'orgoglio sono spezzati dalla forza della penitenza. Nessun altro dolore, che nasca per la morte del padre, della madre, dei figli, o per qualsiasi altra calamità, vien detto contrizione; ma soltanto quello che proviamo per aver perduto la grazia di Dio e l'innocenza.

Ci sono anche altri vocaboli atti ad esprimere questa detestazione. Talora essa viene chiamata contrizione di cuore, perché la Scrittura scambia sovente il cuore con la volontà: come infatti il cuore è il principio dei movimenti del corpo, cosi la volontà regola e governa tutte le potenze dell'anima. Talora i Padri la chiamano compunzione del cuore; e appunto cosi hanno intitolato i libri da loro scritti sulla contrizione. Come si aprono col ferro chirurgico i tumori per farne uscire la materia purulenta, cosi con lo scalpello della contrizione si lacerano i cuori, affinché ne esca il veleno mortifero del peccato. Anche Gioele chiama la contrizione una lacerazione del cuore, scrivendo: Convertitevi a me con tutto il vostro cuore nel digiuno, nel pianto, nei gemiti. E lacerate i vostri cuori (Gioel. 2,12).

249. La contrizione: sue qualità


Il dolore d'aver offeso Dio con i peccati deve essere veramente sommo e massimo, tale che non se ne possa pensare uno maggiore. E facile dimostrarlo con le ragioni seguenti.

Poiché la perfetta contrizione è un atto di carità che procede dal timore filiale, ne segue che la misura della contrizione dev'essere la carità. E siccome la carità con cui amiamo Dio è la più grande, ne segue che la contrizione deve portare con sé un veementissimo dolore di animo. Se dobbiamo amare Dio sopra ogni cosa, dobbiamo anche detestare sopra ogni cosa ciò che da lui ci allontana.

E qui giova notare che la Scrittura adopera i medesimi termini per esprimere l'estensione della carità e della contrizione. Dice infatti della carità: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore (Dt 6,5 Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27); e della seconda il Signore dice per bocca del profeta: Convertitevi con tutto il vostro cuore (Jl 2,12).

In secondo luogo, come Dio è il primo dei beni da amare, cosi il peccato è il primo e il maggiore dei mali da odiare. Quindi, la stessa ragione che ci obbliga a riconoscere che Dio deve essere sommamente amato, ci obbliga anche a portare sommo odio al peccato. Ora, che l'amore di Dio si debba anteporre ad ogni altra cosa, sicché non sia lecito peccare neppure per conservare la vita, lo mostrano apertamente queste parole del Signore: Chi ama suo padre o sua madre più di me, non è degno di me (Mt 10,37); Chi vorrà salvare la sua vita, la perderà (Mt 16,25 Mc 8,35). Notiamo ancora che alla carità, secondo san Bernardo, non si può prescrivere né limite né misura, perché la misura di amare Dio è di amarlo senza misura (Della dilezione di Dio, I). Perciò non si deve porre limite alcuno alla detestazione del peccato.

Oltre che massima, la contrizione dev'esser vivissima e cosi perfetta da escludere ogni negligenza e pigrizia. Sta scritto nel Deuteronomio: Quando cercherai il Signore Dio tuo lo troverai, purché lo cerchi con tutto il cuore e tutto il dolore dell'anima tua (Dt 4,29). E in Geremia: Voi mi cercherete e mi troverete purché mi cerchiate con tutto il vostro cuore, perché allora io mi faro trovare da voi, dice il Signore (Jr 29,13).

Ma quand'anche la contrizione non fosse cosi perfetta, può esser sempre vera ed efficace. Poiché avviene spesso che le cose sensibili ci commuovono più delle spirituali, sicché taluni sentono per la morte dei figli, maggior dolore che per la turpitudine del peccato. Il medesimo si dica quando l'acerbità del dolore non suscita le lacrime, le quali però nella Penitenza sono da desiderare e lodare assai, come ben dice sant'Agostino: Non hai viscere di carità cristiana tu, che piangi un corpo abbandonato dall'anima, e non piangi un'anima abbandonata da Dio (Serm. XLI,6). A questo si possono riferire le parole del Signore citate sopra: Guai a te, Corazain, guai a te, Betsaida; che se in Tiro e Sidone fossero avvenuti i miracoli compiuti presso di voi, da gran tempo avrebbero fatto penitenza in cenere e cilizio (Mt 11,21). A conferma di questa verità basti ricordare gli esempi famosi dei Niniviti (Giona, 3,5), di Davide (Ps 6,7), della Maddalena (Lc 7,37), del Principe degli apostoli (Mt 26,75), i quali tutti implorarono con lacrime abbondanti la misericordia di Dio e ottennero il perdono dei peccati.

Sarà utile ammonire i fedeli ed esortarli nella maniera più efficace a esprimere un particolare atto di contrizione per ogni peccato mortale, poiché dice Ezechia: Io ti darò conto di tutti gli anni miei nell'amarezza dell'anima mia (Is 38,15).

Dar conto di tutti gli anni significa ricercare uno ad uno tutti i peccati, per deplorarli dal fondo del cuore. Leggiamo ancora in Ezechiele: Se l'empio farà penitenza di tutti i suoi peccati, vivrà (Ez 18,21).

In questo stesso senso sant'Agostino ha detto:Il peccatore esamini la qualità del suo peccato secondo il luogo, il tempo, la specie e la persona (Della vera e falsa pen. 14).

Ma i fedeli non disperino mai della bontà e clemenza infinita di Dio, il quale, bramoso com'è della nostra salute, non tarda mai ad accordarci il perdono. Egli abbraccia con paterna carità il peccatore, appena questi, rientrato in se stesso, si ravvede, e, detestando in genere tutti i suoi peccati, si rivolge al Signore, purché intenda di ricordarli e detestarli ciascuno in particolare a tempo opportuno. Dio stesso ci comanda di sperare, dicendo per bocca del suo Profeta: Non nuocerà all'empio la sua empietà, dal giorno in cui egli si sarà convertito (Ez 33,12).

250. Quanto è richiesto per una vera contrizione


Da quanto abbiamo detto è facile dedurre le condizioni necessarie per una vera contrizione, condizioni che devono essere spiegate ai fedeli con la maggiore diligenza, affinché tutti sappiano con quali mezzi possano acquistarla, e abbiano una norma sicura per discernere fino a qual punto siano lontani dalla perfezione di essa.

La prima condizione è l'odio e la detestazione di tutti i peccati commessi. Se ne detestassimo soltanto alcuni, la contrizione non sarebbe salutare, ma falsa e simulata, poiché scrive san Giacomo: Chi osserva tutta la legge e in una sola cosa manca, trasgredisce tutta la legge (Gc 2,10).

La seconda è che la contrizione comprenda il proposito di confessarci e di fare la penitenza: cose di cui parleremo a suo luogo.

La terza è che il penitente faccia il proposito fermo e sincero di riformare la sua vita, come insegna chiaramente il Profeta: Se l'empio farà penitenza di tutti i peccati che ha commessi, custodirà tutti i miei precetti e osserverà il giudizio e la giustizia, vivrà; né mi ricorderò più dei peccati che avrà commesso. E più oltre: Quando l'empio si allontanerà dalla empietà che ha commesso e osserverà il giudizio e la giustizia, darà la vita all'anima sua. E più oltre ancora: Convertitevi e fate penitenza di tutte le vostre iniquità; cosi queste non vi torneranno a rovina. Gettate lungi da voi tutte le prevaricazioni in cui siete caduti, e fatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo (Ez 18,21 Ez 18,31). La medesima cosa ha ordinato il Signore stesso nel dire all'adultera: Va' e non peccare più (Jn 8,11); e al paralitico risanato nella piscina: Ecco, sei risanato: non peccare più (Jn 5,14).

Del resto la natura e la ragione mostrano chiaramente che vi sono due cose assolutamente necessarie, per rendere la contrizione vera e sincera: il pentimento dei peccati commessi, e il proposito di non commetterli più per l'avvenire. Chiunque si vuole riconciliare con un amico che ha offeso, deve insieme deplorare l'ingiuria fatta, e guardarsi bene, per l'avvenire, dall'offendere di nuovo l'amicizia. Queste due cose devono necessariamente essere accompagnate dall'obbedienza, poiché è giusto che l'uomo obbedisca alla legge naturale, divina e umana alle quali è soggetto. Pertanto, se un penitente ha rubato con violenza o con frode qualche cosa al suo prossimo, è obbligato alla restituzione; se ha offeso la sua dignità e la sua vita con le parole o con i fatti, deve soddisfarlo con la prestazione di qualche servizio o di qualche beneficio. E noto a tutti, in proposito, il detto di sant'Agostino: Non è rimesso il peccato, se non si restituisce il maltolto (Epist. CL3,6,20).

Né si consideri come poco importante tra le altre condizioni volute dalla contrizione, il perdonare interamente le offese ricevute, come espressamente ci ammonisce il Signore e Salvatore nostro: Se perdonerete agli uomini le loro mancanze, il vostro Padre celeste vi perdonerà i vostri peccati; ma se non perdonerete agli uomini, nemmeno il Padre vostro perdonerà a voi le vostre colpe (Mt 6,14-15).

Questo è quanto i fedeli devono osservare rispetto alla contrizione. Tutte le altre considerazioni che i Pastori potranno facilmente raccogliere in proposito, posson riuscire a render la contrizione più perfetta nel suo genere, ma non devono essere considerate come assolutamente necessarie, potendosi avere anche senza di esse una Penitenza vera e salutare.

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26/08/2010 16:19

251. Utilità e mezzi per eccitare la contrizione


Ma perché i Parroci insegnino quanto occorre alla salvezza, a che i fedeli indirizzino ad essa la vita e le opere, non trascurino di ricordare spesso con diligenza, sia l'utilità, sia l'efficacia della contrizione. Infatti le altre opere di devozione, come le elemosine, i digiuni, le orazioni ed altre simili, sono talora respinte da Dio per colpa di chi le offre; mentre la contrizione non può non essergli sempre grata ed accetta. " Tu non respingerai, o Signore - dice il Profeta - un cuore contrito e umiliato " (Ps 50,19). Che anzi, appena l'abbiano concepita nel cuore, Dio da il perdono dei peccati, come il Profeta stesso dichiara in altro luogo: Io dico: confesso il mio delitto avanti al Signore; e tu rimetti l'empietà del mio peccato (Ps 31,5). Di tale verità abbiamo come una figura nei dieci lebbrosi, che il Signore invio ai sacerdoti, e che furono guariti prima che a loro giungessero (Lc 17,14). Da ciò si rileva che la vera contrizione, di cui abbiamo fin qui parlato, possiede si grande efficacia, che per essa il Signore accorda immediatamente la remissione di tutti i nostri peccati.

Molto varrà ancora, ad accendere la pietà dei fedeli, il fornire loro un metodo per eccitarsi alla contrizione. A tale scopo sarà opportuno ammonirli di esaminare spesso la propria coscienza, e vedere se hanno fedelmente osservato i precetti di Dio e della Chiesa. Se si riconoscono colpevoli di qualche fallo, se ne accusino subito davanti a Dio e glie ne domandino umilmente perdono, scongiurandolo di accordare loro il tempo di confessarsi e fare penitenza. Sopratutto implorino il soccorso della sua grazia, per non più ricadere in quelle colpe che essi deplorano amaramente di aver commesse.

Cercheranno infine i Pastori d'ispirare nei fedeli un odio sommo contro il peccato, sia a motivo della sua immensa e vergognosa bruttezza, sia perché arreca gravissimi danni in quanto aliena da noi la benevolenza di Dio da cui abbiamo ricevuti tanti beni e tanti maggiori ce ne ripromettiamo, mentre poi ci condanna alla morte eterna con i suoi acerbi tormenti senza fine.

252. Utilità e necessità della confessione


Fin qui abbiamo trattato della contrizione; passiamo alla confessione, o accusa, che costituisce la seconda parte della Penitenza. Con quanta cura e diligenza i Parroci debbano spiegarla, s'intenderà facilmente (com'è evidente per tutti i buoni Cristiani), considerando che tutto quel che di santo, pio e religioso è piaciuto a Dio di conservare nella Chiesa ai nostri tempi, lo si deve attribuire in gran parte alla confessione. Sicché nessuno si meraviglierà, se il nemico del genere umano, che vorrebbe distruggere dalle fondamenta la fede cattolica, si stia sforzando a tutta possa, per mezzo dei suoi satelliti e ministri della sua empietà, di abbattere questa rocca della virtù cristiana.

Si insegni innanzi tutto che l'istituzione della confessione fu per noi utilissima, anzi necessaria. Pur ammettendo che la contrizione cancella i peccati, chi non sa che essa deve, in tal caso, essere cosi viva e ardente da eguagliare la grandezza del peccato? Ma poiché pochi sono capaci di giungere a un grado si alto di pentimento, ne segue che pochissimi potrebbero sperare da questa via il perdono dei peccati. Fu dunque necessario che il Signore, nella sua clemenza, fornisse un più agevole modo alla salvezza degli uomini; e lo fece in maniera mirabile, dando alla Chiesa le chiavi del regno dei cieli.

Secondo la dottrina della Chiesa Cattolica, tutti devono credere e affermare senza riserva che se uno è sinceramente pentito dei suoi peccati e risoluto di non più commetterli per l'avvenire, quand'anche non sentisse un dolore sufficiente a ottenergli il perdono, otterrà il perdono e la remissione di tutte le colpe in virtù delle chiavi, purché li confessi nel debito modo al Sacerdote. In questo senso tutto i santi Padri hanno proclamato con ragione che il cielo ci è aperto dalle chiavi della Chiesa; e il concilio di Firenze ha messo questa verità fuori dubbio, dichiarando che l'effetto della Penitenza è la remissione dei peccati (Decr. per gli Armeni).

Ma v'è un'altra considerazione che mostra l'utilità della confessione. L'esperienza prova che nulla giova tanto ad emendare i costumi di persone che menano una vita corrotta, quanto la manifestazione dei segreti pensieri del loro animo, delle loro parole ed azioni, ad un amico prudente e fedele, che li possa aiutare coi suoi servigi e consigli. Allo stesso modo dobbiamo considerare sommamente profittevole a quelli che sono turbati dal rimorso dei loro peccati, lo scoprire le malattie e le piaghe della loro anima al Sacerdote, il quale tiene il luogo di N.S. Gesù Cristo ed è sottoposto dalle leggi più severe a un perpetuo silenzio. In tal guisa troveranno pronti dei rimedi pieni di quella celeste virtù, atta non solo a sanare la presente infermità, ma ancora a disporre le anime in modo che per l'avvenire non ricadano si facilmente nella stessa malattia, o nello stesso vizio.

Né si dimentichi un altro vantaggio della confessione, che interessa vivamente la vita sociale. Tolta infatti dalla vita cristiana la confessione sacramentale, il mondo sarà inondato da occulte e nefande scelleratezze. E a poco a poco l'abitudine del male renderà gli uomini si depravati, che non si periteranno di commettere in pubblico queste iniquità ed altre ancora più gravi. Invece il pudore di doversi confessare raffrena la licenza e il desiderio del peccato, ponendo un argine alla irrompente malizia degli uomini.

253. Natura della confessione


Esposta l'utilità della confessione, i Parroci ne spiegheranno la natura e il valore. La confessione si definisce cosi: è un'accusa dei peccati, nel sacramento della Penitenza, fatta per riceverne il perdono, in virtù delle chiavi.

Innanzi tutto e a ragione è detta accusa; perché noi non dobbiamo confessare i peccati quasi con ostentazione, come fanno coloro che si compiacciono di operare il male (Pr 2,14); ovvero come una narrazione, quasi volessimo trattenerci con una persona oziosa che non avesse altro da fare; ma enumerarli con l'intenzione di confessarci colpevoli e col desiderio di punirli in noi stessi. Noi confessiamo i peccati per ottenerne il perdono; perché il tribunale della Penitenza è diverso dai tribunali umani, nei quali alla confessione del delitto è riservata la pena, non già la liberazione della colpa e il perdono dell'offesa. In questo medesimo senso, sebbene con altre parole, sembrano aver definito la confessione alcuni santi Padri. Per es., sant'Agostino: La confessione è la manifestazione di una infermità occulta, fatta con la speranza del perdono (Serra. 4 delle parole del Signore); e san Gregorio: La confessione è una detestazione dei peccati (Omil. 40). Queste due definizioni possono riportarsi a quella data di sopra, che le contiene tutt'e due.

I Parroci poi insegneranno ai fedeli, senza la minima esitazione, una verità di massima importanza: cioè che Gesù Cristo medesimo, il quale ha operato tutto bene e in vista della nostra salvezza, ha istituito questo sacramento per la sua somma bontà e misericordia. Infatti essendo gli Apostoli riuniti insieme il giorno della sua resurrezione, alito su di essi dicendo: Ricevete lo Spirito santo. Saranno perdonati i peccati a chi voi li rimetterete, e ritenuti a coloro, cui voi li avrete ritenuti (Jn 20,22). Avendo dunque il Signore concessa ai sacerdoti la facoltà di perdonare o di ritenere i peccati, è chiaro che egli li costituì giudici di quello che dovessero fare.

La stessa cosa il Signore parve volesse significare, quando agli Apostoli comando di sciogliere Lazzaro risuscitato, dalle bende in cui era avvolto (Jn 11,44). Sant'Agostino spiega cosi quel passo: I sacerdoti possono ora andare più in là, possono più abbondantemente perdonare a chi confessa, rimettendo le colpe. Infatti il Signore affido agli Apostoli l'incarico di sciogliere Lazzaro, ch'egli aveva risuscitato, mostrando che la facoltà di sciogliere veniva concessa ai sacerdoti.

Può anche invocarsi a questo proposito il comando impartito dal Signore ai lebbrosi guariti lungo la strada, di presentarsi ai sacerdoti e di sottoporsi al loro giudizio (Lc 17,14).

Poiché dunque il Signore ha conferito ai sacerdoti la facoltà di rimettere o di ritenere i peccati, evidentemente essi sono costituiti giudici in questa materia. E siccome secondo l'ammonimento sapiente del santo concilio Tridentino non è possibile pronunciare una sentenza giusta su qualsiasi argomento, né si può rispettare la regola della giustizia nell'assegnare le pene dei delitti, se la causa non sia stata ampiamente esposta e ponderata, ne segue che i penitenti nella loro confessione devono presentare ai sacerdoti tutte e singole le loro colpe.

I Parroci quindi spiegheranno minutamente quanto su ciò ha stabilito il santo concilio Tridentino e la Cattolica Chiesa ha sempre insegnato. Se leggiamo con attenzione i santi Padri, rintracceremo dovunque testimonianze esplicite, le quali confermano come questo sacramento sia stato istituito da nostro Signore G. Cristo, e come esista nel Vangelo la legge della confessione sacramentale, che essi chiamano, alla greca, exomologesi ed exagoreusi. Che se poi ci volgiamo al vecchio Testamento in cerca di immagini, ci appariranno come indubbiamente pertinenti alla confessione dei peccati quei vari generi di sacrifici, compiuti dai sacerdoti in espiazione delle varie specie di peccati.

Né basta; come occorre mostrare ai fedeli l'istituzione divina della confessione, occorre anche insegnare che per autorità della Chiesa furono aggiunti riti e cerimonie solenni, non inerenti alla essenza del sacramento, ma tali da farne maggiormente risaltare il valore, e da predisporre le anime dei penitenti, riscaldate dalla pietà, a ricevere più copiosamente la grazia del Signore. Prostrati a capo scoperto ai piedi del sacerdote, gli occhi abbassati, le mani in atto di supplica, dando prova anche in altri modi, non necessari all'essenza del sacramento, di cristiana umiltà, confessiamo i nostri peccati. Mostriamo cosi di comprendere che nel sacramento è racchiusa una forza celeste, e che doverosamente con tutto l'ardore imploriamo e cerchiamo la misericordia divina.

254. Necessità della confessione


Nessuno osi pensare che la confessione sia stata istituita dal Signore in modo che la pratica non ne sia necessaria. I fedeli sono tenuti a credere che chi ha la coscienza gravata da peccato mortale, deve essere richiamato alla vita spirituale mediante il sacramento della confessione. Vediamo che il Signore espresse questa necessità con una magnifica immagine, quando defini il potere di amministrare questo sacramento: chiave del regno dei cieli (Mt 16,19). Chi può penetrare in un luogo chiuso senza ricorrere a chi ne ha le chiavi? Cosi nessuno può entrare in cielo, se i sacerdoti, alla fedeltà dei quali il Signore consegno le chiavi, non ne dischiudano le porte. Altrimenti sarebbe assolutamente inutile l'uso delle chiavi nella Chiesa; e inutilmente chi ha questo potere potrebbe interdire l'ingresso in cielo ad alcuno, se vi fosse un'altra via per giungervi.

Bene spiego la cosa sant'Agostino, dicendo: Nessuno pretenda di far penitenza di nascosto, alla presenza del Signore, pensando: il Signore che mi deve perdonare, sa quel che è nel mio cuore. Ma allora è stato detto invano: Quel che avrete sciolto sulla terra sarà sciolto in cielo? E senza ragione sono state consegnate le chiavi alla Chiesa di Dio? (Disc. CCCXCII,3). Nel medesimo senso sant'Ambrogio scrive nel libro Sulla penitenza, combattendo l'eresia dei Novaziani, i quali riservavano soltanto a Dio la potestà di rimettere i peccati: Chi dunque presta maggiore ossequio a Dio: chi si uniforma ai suoi comandi, o chi vi resiste? Orbene: Dio ha comandato di obbedire ai suoi ministri; ciò facendo, tributiamo in realtà onore direttamente a Dio.

Non potendo esserci dubbio alcuno sull'origine e istituzione divina della legge della confessione, ne segue che occorre ricercare chi debba ad essa sottostare, in quale età e in quale tempo dell'anno. Dal canone del Concilio del Laterano, il quale comincia con le parole: "Ogni individuo dell'uno o dell'altro sesso ", risulta che nessuno è vincolato dalla legge della confessione prima dell'età in cui può avere l'uso della ragione. Tale età però non si desume da un definito numero di anni. Sicché sembra doversi ritenere genericamente che la confessione comincia ad obbligare il fanciullo quando abbia raggiunto la capacità di distinguere tra bene e male, e la sua anima sia capace di malizia. Si devono, cioè, confessare i propri peccati al sacerdote, non appena pervenuti a quella età in cui è dato di ragionare e di decidere intorno alla vita eterna, non essendoci altro modo di sperare in essa, per chi ha la consapevolezza di aver peccato.

Col medesimo canone la santa Chiesa stabiliva cosi il tempo in cui è obbligatorio fare la confessione: " tutti i fedeli devono confessare i propri peccati almeno una volta l'anno ". Vediamo però se la cura della nostra salvezza non esiga qualcosa di più. In realtà, ogni volta che sembra imminente il pericolo di morte, o iniziamo un atto impraticabile per un uomo macchiato di colpa, come quando amministriamo o riceviamo i sacramenti, la confessione non deve essere tralasciata. Lo stesso faremo quando siamo nel dubbio di avere dimenticato una colpa. Non possiamo, evidentemente, confessare peccati che non ricordiamo, ma neppure otteniamo da Dio il perdono dei peccati, se attraverso la confessione non li cancella il sacramento della Penitenza.

255. Proprietà della confessione


Nel fare la confessione si devono osservare molte prescrizioni, di cui alcune appartengono alla essenza stessa del sacramento, mentre altre non sono cosi necessarie. Il Parroco spiegherà le une e le altre. Non mancano peraltro opere e commenti, da cui è facile ricavare le spiegazioni in proposito.

Innanzi tutto i Parroci dovranno insegnare che la confessione deve essere integra ed assoluta, dovendosi manifestare al sacerdote tutti i peccati mortali. I peccati veniali invece, che non tolgono la grazia di Dio e in cui cadiamo più di frequente, sebbene si possano opportunamente e utilmente confessare, come dimostra la consuetudine dei buoni cristiani, possono però tralasciarsi senza colpa ed espiarsi in molte altre maniere. Ma, ripetiamo, i peccati mortali devono essere tutti e singoli enunciati, anche i più segreti, come quelli che violano solamente i due ultimi comandamenti del Decalogo.

Accade sovente che tali colpe feriscono l'anima più seriamente di quelle altre, che gli uomini sogliono commettere apertamente. Cosi ha definito il concilio Tridentino (Sess. 14, e. 5 e can. 7) ed ha sempre insegnato la Chiesa Cattolica, come ne fan fede le testimonianze dei santi Padri. Leggiamo, per esempio, in sant'Ambrogio: Nessuno può essere perdonato di una colpa, se non abbia confessato il suo peccato (Del parad. 14,71). Commentando l'Ecclesiaste, san Girolamo conferma la medesima verità: Chi sia stato segretamente morso dal serpente diabolico e infettato dal veleno del peccato all'insaputa di tutti, se tacerà e non farà penitenza, né scoprirà la sua ferita al fratello e al maestro, questo maestro, che ha nella lingua la capacità di curare, non potrà essergli utile (Sull'Eccl. 10). E san Cipriano, nel discorso sui Lapsi apertamente sentenzia: Sebbene costoro non abbiano commesso il peccato di sacrificare (agli idoli), o di comprare il relativo libello, se ne ebbero il pensiero, devono nel dolore confessare la colpa ai sacerdoti di Dio. Su questo punto il parere dei santi dottori è unanime.

Nella confessione si deve usare quella somma e diligentissima cura che usiamo nelle contingenze più gravi: dobbiamo mirare con tutte le energie a sanare le ferite dell'anima e a svellere le radici del peccato. Né dobbiamo limitarci a spiegare nella confessione i peccati gravi, ma anche le circostanze di ciascuno, che ne accrescono o diminuiscono notevolmente la malizia. Infatti vi sono circostanze cosi aggravanti, che da sole rendono mortale il peccato: è necessario perciò sempre confessarle. Chi abbia ucciso, dovrà dire se la vittima era laico o ecclesiastico. Chi abbia avuto rapporti carnali con una donna, dovrà spiegare se questa era nubile o coniugata, parente o consacrata a Dio con voto. Tutte queste circostanze costituiscono altrettanti generi di peccati: nel primo caso si tratta di fornicazione semplice; nel secondo di adulterio; nel terzo d'incesto; nel quarto, sempre secondo la nomenclatura dei teologi, di sacrilegio.

Anche il furto è genericamente un peccato; ma chi ruba uno scudo pecca molto più lievemente di chi ne ruba cento o duecento o, comunque, sottragga una forte somma, specialmente se sacra. Simile considerazione vale anche per il tempo e per il luogo, come appare dagli esempi ben noti addotti da tanti mai libri, che non occorre ripeterli. Tutto ciò va spiegato in confessione: però si ricordi che le circostanze non aggravanti la colpa in misura notevole possono essere taciute senza peccato.

E veramente indispensabile che la confessione sia integra e completa. Chi di proposito confessi in parte i peccati e in parte li ometta, non solo non ritrarrà alcun vantaggio dalla confessione, ma si renderà reo di una nuova colpa. Simile difettosa manifestazione di colpe non potrà meritare il nome di confessione sacramentale. In tal caso il penitente dovrà rinnovare la confessione, e in più si è fatto reo di un altro peccato, perché ha violato la santità sacramentale con la simulazione della Confessione.

Si badi però che le lacune della confessione, non volute di proposito, ma provenienti da involontaria dimenticanza, o da manchevole esplorazione della propria coscienza, pur sussistendo l'intenzione di confessare tutte le proprie colpe, non impongono che tutta la confessione sia ripetuta. Basterà in un'altra occasione confessare al sacerdote le colpe dimenticate, dopo che esse siano tornate alla memoria. Occorre badare a che l'esame di coscienza non sia troppo sommario e rapido. Se saremo stati cosi negligenti nel)'esaminarci sui peccati commessi, che possa dirsi di noi di non averli in realtà voluti ricordare, saremo tenuti a ripetere la confessione.

La confessione deve essere schietta, semplice, aperta, non artificiosamente concepita, come sogliono fare tanti che sembrano fare più la storia della loro vita, che confessare i peccati. Essa deve mostrarci al Sacerdote quali noi siamo, quali compariamo a noi stessi, dando il certo per certo, il dubbio per dubbio. Simili doti mancheranno alla confessione, se i peccati non vengono nettamente espressi, o in essa vengono mescolati discorsi estranei alla materia.

Meritano lode coloro che espongono le cose con prudenza e verecondia. Non è bene perdersi in lunghe frasi; ma succintamente, modestamente, deve dirsi quanto riguarda la natura e l'entità di ciascun peccato. Cosi il confessore come il penitente devono cercare con ogni mezzo che la loro conversazione nella confessione sia segreta. Perciò non è mai lecito confessare i peccati per mezzo di una terza persona o per lettera, non essendo questi i modi di tener segreta una cosa.

Sarà massima cura dei fedeli purificare incessantemente l'anima mediante la confessione frequente dei peccati. Nulla è più salutare per chi ha l'anima gravata da colpa mortale, in mezzo ai molti pericoli della vita, che confessare senza indugio i propri peccati. Del resto, pur potendosi ripromettere una lunga vita, è veramente riprovevole che noi, mentre usiamo tanta diligenza nel mondare il corpo e le vesti, non usiamo altrettanta diligenza nel far si che lo splendore dell'anima non sia offuscato dalle macchie di turpissimi peccati.

256. Ministro della confessione


È tempo di parlare del Ministro di questo sacramento, che è il Sacerdote fornito della facoltà ordinaria o delegata di assolvere, come vogliono le leggi ecclesiastiche. Chi deve attendere a simile mansione, riveste non solo la potestà dell'ordine, ma anche quella di giurisdizione. Alcune parole del Signore nel Vangelo di san Giovanni offrono un'insigne testimonianza intorno a questo sacro ministero: A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; e saranno ritenuti a chi li riterrete (20,23). E evidente che queste parole non furono rivolte a tutti, ma solamente agli Apostoli, ai quali i sacerdoti succedono in questa funzione. E poiché ogni specie di grazia., impartita mediante questo sacramento, rifluisce dal capo, che è G. Cristo, nelle membra, è logico che esso sia impartito al corpo mistico di G. Cristo, vale a dire ai fedeli, solo da coloro, che hanno la potestà di consacrare sull'altare il suo corpo reale; tanto più che, in virtù di questo sacramento della Penitenza, i fedeli vengono preparati e abilitati a ricevere l'Eucaristia.

I vecchi decreti dei Padri lasciano agevolmente comprendere di quanto rispetto fosse circondata nella Chiesa antichissima la potestà del sacerdote ordinario. Essi stabilivano che nessun Vescovo o Sacerdote compisse atti di amministrazione sacramentale nella parrocchia altrui, senza l'autorizzazione di chi vi fosse preposto, o senza la giustificazione di un'estrema necessità. In sostanza la stessa cosa sanciva l'Apostolo, ordinando a Tito di porre sacerdoti in ogni città, perché nutrissero e formassero i fedeli col pascolo celeste della dottrina e dei sacramenti (Tt 1,5).

Qualora però sussista pericolo imminente di morte, né sia possibile avere pronto il proprio Parroco, affinché nessuno in tali circostanze si perda, il concilio di Trento insegna essere consuetudine della Chiesa di Dio che ogni Sacerdote possa non solamente assolvere da ogni genere di peccato, comunque riservato, ma anche sciogliere dal vincolo della scomunica.

Oltre la potestà di ordine e di giurisdizione, strettamente necessarie, il Ministro di questo sacramento sia fornito di vasta dottrina e di prudenza, poiché egli deve essere insieme giudice e medico. Non basta una scienza qualsiasi, perché tale giudice deve conoscere a fondo i peccati commessi, assegnarli alle rispettive specie, distinguere i leggeri dai gravi, secondo la qualità e il rango dei penitenti. Anche come medico ha bisogno della massima sagacia, dovendo con cura apprestare al malato quei rimedi che sembrino più acconci a risanarne l'anima, e a premunirla in avvenire dall'insidia del male. Da ciò i fedeli comprenderanno come ciascuno debba porre ogni studio nello scegliersi un sacerdote raccomandato per integrità di vita, per dottrina e chiaroveggenza; che sia capace di valutare convenientemente l'importanza gravissima del suo ufficio, quale pena convenga a ciascun peccato, chi sia da sciogliere e chi da lasciar senza assoluzione.

257. Legge del segreto


Siccome tutti desiderano ardentemente che le proprie colpe e le proprie vergogne rimangano occulte, i Pastori assicureranno i fedeli che non v'è ragione di temere che il Sacerdote riveli mai ad alcuno i peccati ascoltati in confessione, e ne possa giammai derivare alcun genere di pericolo. Le sanzioni sacre minacciano gravissimamente quei sacerdoti che non abbiano tenuti sepolti nel più inviolabile silenzio i peccati da chiunque confessati loro nel sacramento. Leggiamo fra i decreti del grande concilio Lateranense: Badi il Sacerdote a non rivelare mai con la parola, coi segni, o con qualsiasi altro mezzo, il peccatore.

258. Regole per ricevere le confessioni


L'ordine della nostra esposizione esige che dopo aver trattato del ministro, svolgiamo alcuni punti principali sull'uso e lo svolgimento della confessione. Vi sono molti fedeli ai quali par mill'anni che trascorrano i giorni dalla legge ecclesiastica stabiliti per la confessione; e sono cosi remoti dalla genuina professione cristiana, da non curarsi di ricordare bene i peccati che dovrebbero denunciare al Sacerdote, trascurando tutto ciò che può massimamente contribuire al conseguimento della grazia divina. Con tanto maggiore studio occorre quindi venire in soccorso alla loro salvezza. Perciò i sacerdoti osserveranno bene, se il penitente abbia concepito vero dolore dei suoi peccati, e se nutra deliberato proposito di non ricadérvi.

Se si accorgono che egli possiede tali disposizioni, lo esortino a ringraziare Dio di cosi singolare beneficio e a implorare incessantemente l'aiuto della divina grazia, col sussidio della quale potrà resistere vittoriosamente alle malvagie concupiscenze. Lo ammaestrino a meditare ogni giorno per un po' di tempo sui misteri della passione di nostro Signore, a imitarlo, e a riscaldare il cuore d'amore per lui. Mediante tale meditazione si sentirà ogni giorno più al sicuro dalle demoniache tentazioni. Causa vera della nostra rapida e facile disfatta dinanzi agli assalti del nemico è appunto il non cercare di attingere dalla meditazione delle verità celesti il fuoco della divina carità, capace di rinnovare e rafforzare lo spirito.

Qualora il Sacerdote comprenda che il penitente non si duole dei suoi peccati in modo da dirsi veramente contrito, si sforzi perché concepisca vivo desiderio di tale contrizione. Il desiderio ardente di tanto dono lo indurrà a invocarlo dalla misericordia divina.

Si deve però innanzi tutto reprimere la superbia di chi si sforza di scurare, o attenuare le proprie colpe. Vi sarà, ad esempio, chi, confessando i propri scatti d'ira, ne vorrà far ricadere la causa su altri, da cui si lamenterà di aver ricevuto ingiuria. Il sacerdote gli faccia osservare che qui v'è un indizio di animo superbo, che non tiene conto, o addirittura ignora l'entità della propria colpa; che simile genere di scuse finisce con l'accrescere, anziché diminuire, la gravita del male, poiché chi lo vuole spiegare cosi, lascia intendere d'essere disposto a usare pazienza solo quando non sia ingiuriato da altri. Ci potrebbe mai essere cosa meno degna di un cristiano? Avrebbe dovuto invece dolersi quanto mai per colui che lo ha ingiuriato. Invece non è colpito dallo spettacolo del male, ma si adira; e anziché cogliere l'ottima occasione per prestare ossequio a Dio con la sua pazienza, e correggere il fratello con la mitezza, trasforma un mezzo di salute in mezzo di rovina.

Più perniciosa appare la colpa di coloro che, trattenuti da uno sciocco pudore, non osano manifestare i propri peccati. Bisogna far loro animo con le esortazioni; far loro intendere che non c'è motivo di vergognarsi nel rivelare i loro vizi, e che non c'è da meravigliarsi, nell'apprendere che un uomo ha peccato. Non è questo un male universale, che rientra nella sfera dell'umana debolezza?

Vi sono altri poi che, per la poca consuetudine, o per la nessuna cura posta nell'evocare il ricordo delle loro colpe, non sanno condurre bene a termine una confessione cominciata, o non sanno neppure cominciarla. Occorre vivamente rimproverarli e insegnare che, prima di presentarsi al Sacerdote, devono con ogni cura concepire dolore dei peccati, il che è impossibile se questi non sono stati distintamente e minutamente ricordati.

Se il Sacerdote riconosce che codesti penitenti sono del tutto impreparati, li congedi cortesemente, non mancando di esortarli a prendere tempo per ricordare le proprie colpe e poi tornare. Se protesteranno di avere già posto nella preparazione ogni studio e ogni diligenza, - poiché il Sacerdote deve sempre avere timore che se respinti non tornino più, - dovranno essere ascoltati, specialmente nel caso che dimostrino sincera brama di correggere la propria vita, e finiscano con l'accusare la propria negligenza e promettere di compensarla nell'avvenire con maggiore riflessione. Però in tutto questo è necessaria una scrupolosa cautela.

Ascoltata la confessione, se il Sacerdote giudica che non mancano al penitente né la diligenza nell'esposizione delle colpe, né il dolore di averle commesse, potrà assolverlo; altrimenti, come abbiamo detto, raccomanderà maggiore attenzione nell'esame di coscienza e lo congederà colla maggiore delicatezza.

Siccome accade che qualche donna, avendo dimenticato di accusare un peccato in una confessione precedente, non osa tornare al Sacerdote, nel timore di essere tenuta dal popolo rea di singolare malvagità, o avida di lode per la sua religiosità, non sarà male insistere, in pubblico e in privato, che nessuno può vantare tale memoria, da ricordare tutti e singoli i suoi atti, i suoi detti e i suoi pensieri. Perciò i fedeli non devono in nessun modo vergognarsi di tornare al sacerdote, qualora ricordino un peccato prima dimenticato. Queste e altre simili regole dovranno essere osservate dai sacerdoti nella confessione.

259. Definizione e proprietà della soddisfazione


Veniamo alla terza parte della Penitenza, che è la soddisfazione.

Esporremo innanzi tutto il significato e l'efficacia della soddisfazione, da cui i nemici della Chiesa Cattolica hanno tratto ripetute occasioni di divergenza e discordia, con gravissimo pregiudizio del popolo cristiano.

La soddisfazione è l'integrale pagamento di quello che è dovuto: poiché è soddisfacente ciò a cui nulla manca. Sicché trattando della riconciliazione per riottenere la grazia, soddisfare significa offrire quel che a un animo irato apparisce sufficiente a vendicare l'ingiuria. In altre parole, la soddisfazione è il compenso offerto per l'ingiuria arrecata ad altri. Nel caso nostro i teologi usarono il vocabolo soddisfazione, per indicare quel genere di compenso che l'uomo offre a Dio per i peccati commessi.

E poiché in questo campo possono esserci molte gradazioni, la soddisfazione può intendersi in vari modi.

La più alta ed eccellente soddisfazione è quella con la quale, a compenso delle nostre colpe, è stato dato a Dio tutto ciò che da parte nostra gli si doveva, pur supponendo che Dio abbia voluto trattarci a rigore di diritto. Tale soddisfazione, che ci rese Dio placato e propizio, fu offerta unicamente da G. Cristo Signor nostro; che sulla croce sconto l'intero debito dei nostri peccati. Nessuna creatura avrebbe potuto sgravarci di cosi pesante onere; per questo, egli, secondo la parola di san Giovanni, si diede pegno di propiziazione per le colpe nostre e per quelle di tutto il mondo (1Jn 2,2).

Questa è dunque la piena e globale soddisfazione, perfettamente adeguata al debito contratto col cumulo di malvagie azioni commesse in tutta la storia del mondo. Il suo valore riabilita gli atti umani al cospetto di Dio; senza di esso, questi apparirebbero destituiti di qualsiasi pregio. Sembrano valere in proposito le parole di Davide che, dopo avere esclamato nella contemplazione dello spirito: Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha donato? nulla rinvenne degno di tanti e cosi grandi benefici, al di fuori di questa soddisfazione, che espresse col nome di calice: Prenderò il calice, della salvezza e invocherò il nome del Signore (Ps 115,12).

Un secondo genere di soddisfazione è detto canonico; e si compie in un determinato periodo di tempo. E antichissima consuetudine ecclesiastica che, nel momento dell'assoluzione, sia assegnata ai penitenti una penitenza determinata, il cui soddisfacimento è appunto chiamato soddisfazione.

Col medesimo nome è pure indicato ogni genere di penalità, che spontaneamente e deliberatamente affrontiamo a sconto dei nostri peccati, anche senza l'imposizione del sacerdote.

Quest'ultima soddisfazione non spetta alla natura del sacramento, di cui invece fa parte quella imposta per i peccati dal sacerdote di Dio, con unito il fermo proposito di evitare in avvenire ogni peccato. Perciò alcuni proposero questa definizione: " Soddisfare significa tributare a Dio l'onore dovuto. Ma è evidente che nessuno può tributare a Dio l'onore dovutogli, se non si proponga di evitare assolutamente ogni colpa. Quindi soddisfare è anche un recidere le cause dei peccati, non lasciare varco alla loro suggestione. Per questo altri preferiscono definire la soddisfazione come la purificazione dell'anima da ogni bruttura di peccato e l'affrancamento dalle pene temporali stabilite, i cui vincoli la stringevano.

260. Necessità della soddisfazione


Ciò posto, non sarà difficile persuadere i fedeli della necessità, in cui si trovano i penitenti, di esercitarsi nella pratica della soddisfazione.

Si deve loro insegnare che dal peccato scaturiscono due conseguenze: la macchia e la pena. Poiché perdonata la colpa, risparmiato il supplizio della morte eterna nell'inferno, non sempre accade, secondo la definizione del Tridentino, che il Signore condoni i residui dei peccati e la pena temporanea loro dovuta. Esempi significativi di questa verità si riscontrano nella sacra Scrittura. Nel terzo capitolo della Genesi, nei capi duodecimo e ventesimo dei Numeri, e altrove.

Ma l'esempio più insigne è offerto da Davide, il quale, sebbene avesse udito dal profeta Nathan le parole rassicuratrici:Il Signore ha cancellato il tuo peccato e tu non morrai (1S 12,13); pure dovette sottostare a pene gravissime, implorando notte e giorno la misericordia divina: Lavami abbondantemente dalla mia iniquità; mondami dal mio peccato; riconosco la mia colpa; ho sempre dinanzi a me il mio peccato (Ps 50,4). Cosi chiedeva al Signore di condonargli non solamente il delitto, ma anche la pena ad esso dovuta; e che lo volesse reintegrare nel primitivo stato di decoro, purgandolo da ogni residuo peccaminoso. Eppure il Signore, nonostante le sue incessanti preci, colpi Davide col tradimento e la morte del figlio adulterino e di Assalonne, il prediletto, e con altre punizioni, in antecedenza annunciate.

Anche nell'Esodo leggiamo che, sebbene il Signore, placato dalle preghiere di Mosè, avesse perdonato al popolo idolatra, pure minaccio di chiedere conto con gravi pene di cosi grande colpa; e lo stesso Mosè previde che il Signore ne avrebbe tratto severissima vendetta fino alla terza e quarta generazione (Ex 32,14-34). L'autorità dei santi Padri attesta come questi ammaestramenti siano stati sempre vivi nella Chiesa Cattolica.

Il santo concilio Tridentino spiega luminosamente la ragione, per cui non tutta la pena viene condonata nel sacramento della Penitenza, come invece accade nel Battesimo, con queste parole: L'essenza della giustizia divina esige che in modo diverso siano ricevuti in grazia coloro che per ignoranza peccarono prima del Battesimo, e coloro che, una volta affrancati dalla schiavitù del peccato e del demonio, insigniti del dono dello Spirito santo, non esitano a violare consapevolmente il tempio di Dio e a contristare lo Spirito santo. In questo caso conviene alla divina clemenza che non siano condonati i peccati senza alcuna soddisfazione, perché alla prima occasione, reputando poca cosa la colpa, disprezzando lo Spirito santo, non cadiamo in misfatti più gravi, accumulando l'ira divina per il giorno della vendetta. Senza dubbio le pene soddisfattorie trattengono efficamente dal peccato e ci stringono con un freno potente, rendendoci più cauti e vigili per l'avvenire (Sess. 14, e. 8).

Esse inoltre sono come prove documentarie del dolore concepito per i peccati commessi: sono riparazione data alla Chiesa, gravemente lesa nel suo decoro dalle nostre colpe. Scrive sant'Agostino: Dio non ripudia un cuore contrito ed umiliato; ma perché spesso il dolore di un cuore è ignorato da un altro, e non giunge a cognizione altrui con parole o con altri segni, opportunamente sono stati fissati dalla Chiesa i periodi della penitenza, affinché sia data soddisfazione alla Chiesa stessa, nel cui grembo i peccati vengono rimessi (Ench. LXV).

Si aggiunga che gli esempi della nostra penitenza insegnano agli altri come essi stessi debbano regolare la loro vita e battere la via della pietà. Scorgendo le pene imposteci per i nostri peccati, gli altri comprendono come siano necessarie nella vita speciali cautele, e come i costumi vadano corretti. Per questo la Chiesa ha saggiamente stabilito che chi ha pubblicamente peccato, sottostia a una penitenza parimente pubblica; cosi gli altri, intimoriti, sappiano più diligentemente evitare in seguito la colpa. Del resto anche per i peccati occulti s'imponeva talvolta la penitenza pubblica, quando fossero molto gravi. La regola però non ammetteva eccezione per i peccati pubblici, che non venivano assolti prima della pubblica penitenza. Frattanto i pastori pregavano Dio per il peccatore, e nel medesimo tempo lo esortavano a fare altrettanto.

Va ricordata in proposito la premura di sant'Ambrogio, le cui lacrime, a quanto è narrato, riuscirono più volte a infondere autentico dolore in anime che si erano avvicinate con molta freddezza al sacramento della Penitenza (Paolino, Vita,39). Più tardi, purtroppo, si è abbandonata la severità dell'antica disciplina, essendosi raffreddata la carità; sicché molti fedeli hanno finito col non ritenere necessari, per impetrare il perdono dei peccati, alcun dolore intimo dell'animo, né gemito del cuore; credendo sufficiente la semplice parvenza del dolore.

Infine sottostando alle debite pene, noi riproduciamo l'immagine del nostro capo Gesù Cristo, che ha affrontato la passione e la prova (He 2,18). Come ha detto san Bernardo, che cosa si potrebbe concepire di più deforme che un membro delicato, unito a un capo coronato di spine? (Serm. 5, Di tutti i Santi,9). Scrive infatti l'Apostolo che saremo coeredi con Cristo, se soffriremo con lui (Rm 8,17); vivremo con lui, se saremo morti insieme; regneremo con lui, se con lui avremo sofferto (2Tm 2,11).

Anche san Bernardo ha affermato che nel peccato si riscontrano la macchia e la piaga; la prima è cancellata dalla misericordia divina, ma a sanare la seconda è indispensabile la cura, che consiste nel rimedio della penitenza. Come nella ferita rimarginata rimangono cicatrici, che esigono esse stesse una cura, cosi nell'anima, assolta dalla colpa, rimangono tracce bisognose ancora di rimedio. Una sentenza del Crisostomo conferma questa verità, quando osserva che non basta estrarre dal corpo la freccia, ma bisogna risanarne la ferita; cosi appunto nell'anima, dopo conseguito il perdono della colpa, deve curarsi con la penitenza la piaga rimasta. Ripetutamente insegna sant'Agostino che nella Penitenza è necessario distinguere la misericordia dalla giustizia di Dio; la prima rimette le colpe e le pene eterne meritate; la seconda infligge al peccatore pene temporali (Sul Salmo L,7).

Del resto la pena penitenziale, volenterosamente accettata, previene i supplizi stabiliti da Dio, come insegna l'Apostolo. Se ci giudicassimo da noi stessi non saremmo giudicati; ma giudicati, dal Signore siamo castigati per non essere condannati con questo mondo. (1Co 11,31). Nell 'apprendere tutto ciò, i fedeli si sentiranno necessariamente stimolati ad opere di penitenza.

261. Efficacia e base della soddisfazione


Quanto grande sia l'efficacia della soddisfazione risulta dal fatto che essa scaturisce tutta dai meriti della passione di nostro Signore Gesù Cristo. In virtù della quale noi conseguiamo con le azioni virtuose i due massimi beni: il premio della gloria immortale, poiché è scritto che neppure un bicchiere d'acqua fresca dato nel suo nome mancherà di congrua mercede (Mt 10,42); e il soddisfacimento che facciamo per i nostri peccati.

Non è oscurata per questo la perfetta e sovrabbondante soddisfazione, offerta da nostro Signore Gesù Cristo. Al contrario, è resa più insigne e più luminosa. Risulta infatti più copiosa la grazia di G. Cristo per il fatto che ci vengono comunicati non solo i suoi meriti personali, ma anche quelli che, come capo, egli attua nei santi e nei giusti, che sono sue membra. Infatti solo di là le azioni giuste e oneste dei pii ricevono tanto valore e tanta importanza. Come la testa in rapporto a tutto il corpo e la vite in rapporto ai tralci (Jn 15,4 Ep 4,15), G. Cristo non cessa di diffondere la sua grazia in coloro che gli sono uniti nella carità. E questa grazia previene sempre le nostre buone azioni, le accompagna e le segue, rendendoci possibili il merito e la soddisfazione da darsi a Dio.

Ne segue che nulla manca ai giusti. Mediante le opere compiute col soccorso di Dio, essi possono soddisfare alla legge divina secondo la capacità della natura umana e mortale; e possono meritare la vita eterna, che conseguiranno se escono da questa vita ornati della grazia divina. E nota la sentenza del Salvatore: Chi avrà bevuto l'acqua che io darò, non avrà sete in eterno; e l'acqua che gli avrò dato, si trasformerà in lui in una sorgente d'acqua che sale all'eterna vita (Jn 4,13).

La soddisfazione però deve possedere due requisiti. Innanzi tutto, chi soddisfa deve essere giusto e amico di Dio. Le opere compiute senza fede e senza carità non possono essere in nessun modo gradite a Dio. In secondo luogo le opere intraprese siano tali da recare dolore e disagio; perché dovendo esse riuscire compensatrici di passati peccati, e quasi, secondo le parole di san Cipriano, redentrici del male fatto (Lett. LV), occorre assolutamente che racchiudano qualcosa di amaro, sebbene non sempre sia vero che chi si esercita in azioni onerose, per questo stesso ne senta dolore. Spesso l'abitudine del soffrire o l'ardente amore di Dio fanno si che anche pene gravissime siano appena percepite. Ciò non toglie a tali opere la capacità di soddisfazione, poiché è proprio dei figli di Dio l'essere cosi infiammati dall'amore divino, da non provare incomodo in mezzo ai più acerbi dolori, sopportando tutto con animo invitto.

262. Azioni soddisfattorie

I Parroci insegneranno che le opere capaci di valore soddisfattorio possono ridursi a tre categorie: orazioni, digiuni, elemosine, in corrispondenza al triplice ordine di beni, spirituali, corporali, ed esteriori, che abbiamo ricevuto da Dio. Si trovano qui i mezzi più atti ed efficaci a recidere le radici del peccato. Poiché infatti il mondo è impastato di cupidigia carnale, di cupidigia degli occhi, di superbia della vita, è chiaro che a queste tre cause di male vanno contrapposte tre medicine: il digiuno, l'elemosina, la preghiera. Tale classificazione appare ragionevole anche se si considerano le persone offese dai nostri peccati e che sono Dio, il prossimo, noi stessi. Ora noi plachiamo Dio con la preghiera; diamo soddisfazione al prossimo con l'elemosina; dominiamo noi stessi col digiuno.

Ma poiché fatalmente la vita è accompagnata da innumerevoli angoscie e disgrazie, ai fedeli si deve con ogni cura ricordare che tollerando pazientemente quanto a Dio piaccia di mandarci, si accumula buon materiale di meriti e di soddisfazione; mentre recalcitrando e ripugnando alla sofferenza, si perde ogni frutto di soddisfazione, esponendosi alla diretta punizione di Dio, giusto vendicatore della colpa.

Veramente degna di ogni lode e di ogni ringraziamento è la bontà clemente di Dio, il quale concesse all'umana debolezza che uno potesse soddisfare per un altro; cosa che è in modo speciale propria di questa parte della Penitenza. Se nessuno può pentirsi o fare la confessione delle colpe al posto di altri, può però, chi è in grazia, sciogliere per altri il debito contratto verso Dio; in altre parole, portare in qualche modo il carico altrui. Il fedele non può in alcun modo dubitarne, poiché nel Simbolo degli apostoli professiamo di credere nella comunione dei santi.

Infatti se tutti, lavati nel medesimo Battesimo, rinasciamo a Cristo, partecipiamo ai medesimi sacramenti, e principalmente ci alimentiamo e ci dissetiamo col medesimo corpo e sangue di nostro Signore Gesù Cristo, siamo evidentemente membra del medesimo corpo. Orbene, come il piede adempie la sua funzione per il vantaggio, non solamente proprio, ma anche, per es., degli occhi; e a sua volta la vista giova agli occhi e insieme a tutte le membra; cosi dobbiamo reputare comuni fra tutti noi le opere della soddisfazione. Vi sono però delle eccezioni, per quanto riguarda i vantaggi che da esse scaturiscono. Le opere soddisfattone infatti sono come medicine e metodi di cura, prescritti al penitente per risanare le cattive inclinazioni del suo spirito: perciò non possono partecipare della loro virtù risanatrice coloro che personalmente nulla fanno per soddisfare.

263. A chi deve negarsi l'assoluzione


Le tre parti della Penitenza: dolore, confessione, soddisfazione, devono essere abbondantemente spiegate. I sacerdoti però, ascoltata la confessione dei peccati e prima di assolvere il penitente, vedano bene se questi sia veramente reo di avere sottratto qualcosa alla sostanza o alla fama del prossimo. In tal caso dovrà riparare il danno e non potrà essere assolto, se non promette di affrettarsi a restituire. E poiché molti si dilungano nel promettere la riparazione, ma non si decidono mai ad assolvere la promessa, devono esservi assolutamente costretti, ripetendo l'ammonimento dell'Apostolo: Chi ha rubato, ormai non rubi più; lavori piuttosto con le sue mani per venire incontro alle necessità di chi soffre (Ep 4,28).

Nell'assegnare la pena soddisfattoria, i sacerdoti ricordino di non fissarla a capriccio, bensì con giustizia, prudenza, e pietà. E affinché i peccati risultino valutati secondo una regola, e i penitenti riconoscano più agevolmente la gravita dei loro misfatti, sarà bene dir loro talvolta quali pene fossero decretate dai vecchi canoni, detti penitenziali, per determinati peccati. In generale la misura della soddisfazione sarà data dalla natura della colpa. Tra tutte le forme di soddisfazione è bene specialmente imporre ai penitenti di pregare in determinati giorni per tutti, ma in modo particolare per coloro che hanno lasciato questa vita nel nome del Signore. I sacerdoti li esorteranno a ripetere spesso le medesime opere soddisfattone; a foggiare i loro costumi in modo che, pur avendo coscienziosamente compiuti tutti gli atti pertinenti al sacramento della confessione, non tralascino per questo la pratica della virtù della penitenza. Che se talora, a causa del pubblico scandalo, sarà necessario imporre una penitenza pubblica, anche se il penitente cerchi di evitarla, e per questo preghi, non gli si presti facilmente ascolto; ma è necessario convincerlo a sottostare con animo pronto a quanto riesce salutare a lui e agli altri.

Quanto siamo venuti esponendo relativamente al sacramento della Penitenza e alle sue parti, sia spiegato in modo che non solo i fedeli l'intendano perfettamente, ma anche, con l'aiuto del Signore, si sentano indotti a eseguirlo piamente e religiosamente.
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PARTE SECONDA: I SACRAMENTI


L'ESTREMA UNZIONE



264. Il pensiero dei novissimi



Gli oracoli biblici ammoniscono: Tieni presenti in tutte le tue operazioni gli estremi eventi tuoi, e non peccherai in eterno (Si 7,40). Con ciò i Parroci sono implicitamente esortati a non tralasciare occasione per inculcare al popolo fedele l'assidua meditazione della morte. E poiché il sacramento dell'Estrema Unzione è necessariamente associato all'immagine del giorno supremo, si comprende come se ne debba trattare spesso, non solo per la costante opportunità di enucleare le verità misteriose che riguardano la salvezza, ma anche perché, meditando la necessità della morte incombente su tutti, i fedeli riusciranno a comprimere le malsane cupidigie. Cosi proveranno minore angoscia nell'aspettativa della morte e scioglieranno incessanti azioni di grazie a Dio, che dopo averci aperto col sacramento del Battesimo l'adito alla vera vita, istituì pure il sacramento dell'Estrema Unzione, affinché uscendo da questo mondo, trovassimo più agevole il sentiero per il cielo.

Per seguire l'ordine adottato a proposito degli altri sacramenti, si dovrà notare innanzi tutto che esso è detto Estrema Unzione per la ragione che è l'ultima ad essere amministrata fra tutte le sacre unzioni che il Signore nostro Salvatore affido alla sua Chiesa. Perciò i nostri antenati lo chiamarono anche sacramento dell'Unzione degli infermi1 e sacramento dei partenti: termini cotesti che riconducono subito i fedeli al pensiero degli ultimi istanti.

265. L'Estrema Unzione è un sacramento


Dovrà poi essere spiegato come l'Estrema Unzione sia propriamente un sacramento. Ciò risulta da un semplice esame delle parole, con cui l'apostolo san Giacomo ne promulgo il precetto: " Si ammala qualcuno di voi? ", egli dice, " convochi i preti della Chiesa affinché preghino su di lui, lo ungano coll'olio nel nome del Signore; e la preghiera fiduciosa salverà l'infermo, e il Signore lo solleverà; se poi avrà dei peccati, gli saranno rimessi " (Gc 5,14). Affermando che i peccati vengono cosi perdonati, l'Apostolo proclama in codesto rito la virtù e la natura propria di un sacramento. Che questa sia sempre stata la dottrina ecclesiastica intorno all'Estrema Unzione, è attestato da molti concili, ma sopra tutto dal Tridentino, che lancia l'anatema contro chiunque osi pensare o insegnare diversamente. Anche papa Innocenzo I raccomando caldamente questo sacramento ai fedeli (Lett. I,8).

I Parroci insisteranno quindi nel dire che si tratta di un autentico e unico sacramento; non già di più sacramenti, per quanto sia amministrato mediante molteplici unzioni, per ciascuna delle quali sono prescritte speciali preci e una propria forma. E sacramento unico, non per la continuità di parti inscindibili, ma per la perfezione del tutto, come si conviene ad ogni cosa che sia composta di molteplici elementi. Come una casa, pur essendo composta di copiosi e vari materiali, acquista l'unità dalla forma, cosi questo sacramento, pur risultando di parecchi gesti e numerose parole, è un segno unico, e racchiude la virtù dell'unica cosa che esso significa. Inoltre i Parroci indicheranno le parti di questo sacramento, cioè l'elemento e la formula, non taciute da san Giacomo (5,14). Segnaliamo i profondi significati di ciascuna.

266. Materia dell'Estrema Unzione


L'elemento, o materia, secondo le definizioni dei Concili, e specialmente del Tridentino, è dato dall'olio, che il Vescovo ha consacrato; il liquido cioè, non ricavato da qualsiasi materia grassa, ma soltanto dai frutti

dell'olivo. In realtà questa sostanza significa molto bene l'operazione interiore della virtù sacramentale. Infatti l'olio giova assai a mitigare i dolori dell'organismo umano; cosi la virtù del sacramento attenua l'angoscia penosa dell'anima. L'olio inoltre rende la salute, conferisce splendore, alimenta la luce e rinnova mirabilmente le energie del corpo affaticato. Ebbene, tutto questo rende bene l'immagine di quello che per virtù divina l'amministrazione di questo sacramento opera nell'ammalato. E basti per quanto riguarda la materia.

267. Forma dell'Estrema Unzione


La forma del sacramento è la frase e la preghiera solenne che il Sacerdote pronuncia alle singole unzioni, dicendo: In virtù di questa santa unzione ti perdoni Iddio le mancanze commesse con gli occhi, con le narici, col tatto... San Giacomo apostolo mostra che questa è la forma vera e propria del sacramento, quando dice: Preghino sopra di lui; poiché l'orazione fatta con fede salverà l'infermo (5,14). Donde emerge che la forma deve essere dettata in modo di preghiera, per quanto l'Apostolo non ne abbia fissato positivamente i termini. Questi ci giunsero attraverso la fedele tradizione dei Padri, cosicché tutte le chiese adottarono la formula usata dalla santa Chiesa Romana, madre e maestra di tutte le altre. E se in alcuni luoghi qualche vocabolo è cambiato, e invece di dire: Ti perdoni il Signore, si usa dire, Ti rimetta, o, Ti assolva, e talora anche, Guarisca quanto commettesti, il senso sostanzialmente non cambia, e può dirsi benissimo che tutti rispettano religiosamente la medesima formula.

Nessuno si meravigli del fatto che, mentre negli altri sacramenti la forma esprime assolutamente quello che il sacramento compie (come quando è detto: Io ti battezzo; oppure: Io ti segno col segno della croce), o suoni imperativamente come nel sacramento dell'Ordine (Ricevi la potestà), soltanto nella Estrema Unzione assuma il tono di preghiera. Tale singolarità è opportunissima. Infatti questo sacramento mira non solo a infondere nei malati la grazia spirituale, ma anche a ridonare loro la salute. Ma che i malati cosi guariscano non accade sempre. Quindi è opportuno che sia concepita in forma deprecatoria la formula con cui imploriamo da Dio benigno ciò che la virtù del sacramento non opera infallibilmente.

Anche nell'amministrazione di questo sacramento sono usati riti speciali. In grandissima parte consistono in preghiere con le quali il sacerdote invoca la salute del malato; nessun altro sacramento anzi implica maggior numero di preghiere. E giustamente: perché è soprattutto quella l'ora in cui i fedeli devono essere soccorsi con pie preci. Per questo tutti i presenti, con a capo il pastore, rivolgono a Dio fervide invocazioni, raccomandando alla sua misericordia la vita e la salvezza dell'infermo.

268. Istituzione dell'Estrema Unzione


Dimostrato che l'Estrema Unzione va collocata propriamente nel novero dei sacramenti, ne segue che la sua istituzione deve riportarsi a nostro Signore Gesù Cristo; più tardi tale istituzione è stata riferita e promulgata tra i fedeli dall'apostolo san Giacomo. Il Salvatore in persona, del resto, sembra avere adombrata un'idea di questa sacra Unzione, quando mando innanzi a sé i discepoli, due a due. Di essi infatti dice l'Evangelista, che andando in giro, inculcavano di far penitenza, scacciavano numerosi demoni e ungevano con l'olio molti malati, e li guarivano (Mc 6,12,13). Dobbiamo credere che questa Unzione non rappresentasse una invenzione degli Apostoli, ma un comando e una istituzione del Signore; ricca non già di un'efficacia naturale, ma diretta misticamente a risanare le anime, più che a curare i corpi. Lo asseriscono san Dionigi, sant'Ambrogio, il Crisostomo, Gregorio Magno; sicché appare indubitabile l'obbligo di accogliere tale Unzione con sommo rispetto, come uno dei sette sacramenti della Chiesa.

269. A chi si deve amministrare l'Estrema Unzione


Ai fedeli si deve insegnare, che se tale sacramento conviene a tutti, vi sono però classi di individui a cui non deve essere amministrato.

Sono esclusi innanzi tutto i sani di corpo. L'Apostolo insegna che ad essi l'Estrema Unzione non conviene, quando premette: Se uno di voi si ammala, ecc. (Gc 5,14). La ragione lo dimostra parimente, dal momento che essa fu istituita perché fosse medicina non solo per l'anima, ma anche per il corpo. Ora solamente i malati hanno bisogno di cura; anzi è da ritenere che questo sacramento debba essere conferito a coloro che appaiono cosi gravemente malati, da far temere che incomba per loro l'ultimo giorno di vita.

Ricordiamo però che cadono in grave colpa coloro, i quali sogliono ungere i malati solo quando, svanita ogni speranza di guarigione, cominciano a perdere i sensi e la vita.

Invece è certo che a conseguire più abbondante la grazia sacramentale, giova moltissimo che al malato sia applicato l'olio santo quando ancora conserva lucida l'intelligenza, pronta la ragione, cosciente la fede e pia la volontà. I Parroci ricordino perciò di ricorrere alla medicina celeste nel momento in cui essa, sebbene sempre di per sé salutifera, potrà riuscire di tanto maggior giovamento, in quanto sarà accompagnata dalla pietà e devozione dei pazienti. Insomma il sacramento dell'Unzione non si può impartire a chiunque non sia malato gravemente, anche se sia esposto a serio pericolo di vita: come chi si accinge a perigliosa navigazione, chi affronta una battaglia per lui certamente letale, chi è tratto all'estremo supplizio.

Non possono neppure ricevere questo sacramento coloro che mancano dell'uso di ragione. Tali i fanciulli, che non hanno residui di peccati da cancellare definitivamente; i folli e i furiosi, a meno che non abbiano dei lucidi intervalli, e in uno di questi manifestino animo pio, bramoso della Sacra Unzione. Colui che dal di della nascita, mai ebbe l'uso della ragione, non può essere unto; ma può esserlo il malato, che avendo mostrato l'intenzione di ricevere il sacramento quando ancora era nel pieno uso delle facoltà razionali, sia poi caduto nella pazzia e nel furore.

Non tutte le parti del corpo devono essere unte, ma quelle soltanto che la natura diede all'uomo come strumenti di sensibilità: gli occhi per vedere, le orecchie per udire, le narici per cogliere gli odori, la bocca per gustare e parlare, le mani per il senso del tatto, che sebbene diffuso per tutto il corpo ha in quella parte il suo organo più rilevante. La Chiesa universale adotta questo rito di unzione, perfettamente rispondente alla natura del sacramento, simile ad un medicinale. E come nelle malattie corporee, sebbene tutto il corpo sia colpito dal male, è curata la parte da cui il morbo scaturisce come da fonte originaria, cosi ricevono l'unzione, non tutto il corpo, ma gli organi in cui risiede eminentemente la facoltà sensitiva, i reni, quale sede della libidine voluttuosa, e i piedi, organo del movimento.

Non va dimenticato che in una stessa malattia nel medesimo pericolo di morte, il malato non può essere unto più di una volta. Che se, ricevuta la Sacra Unzione, il malato migliora, ogni volta che poi torna ad essere in pericolo di morte, potrà sempre ricevere il soccorso sacramentale. L'unzione infatti è nel gruppo dei sacramenti che possono essere ripetuti.

270. Come deve essere ricevuta l'Estrema Unzione


Deve porsi poi ogni studio nell'eliminare tutto ciò che può essere di ostacolo alla grazia del sacramento. E poiché ad essa fa da barriera insormontabile la coscienza di qualche peccato mortale, si deve rispettare la costante consuetudine della Chiesa Cattolica, secondo la quale, prima della Estrema Unzione, vengono amministrati i sacramenti della Penitenza e della Eucaristia. Dopo, i Parroci inculcheranno al malato di ricevere l'Unzione dal sacerdote con quella fede che animava quelli che si presentavano agli Apostoli per essere sanati. Bisogna prima chiedere la salute dell'anima e poi quella del corpo, colla clausola che questa possa giovare alla gloria eterna. I fedeli non dubitino mai che saranno ascoltate da Dio le sante e solenni preghiere che il sacerdote recita, non in nome proprio, ma nel nome della Chiesa e dello stesso nostro Signore Gesù Cristo. Bisognerà inoltre esortarli caldamente perché curino di ricevere con religiosa pietà il salutare sacramento non appena si presenta la lotta più aspra e imminente il crollo delle energie fisiche e morali.

271. Il Ministro dell'Estrema Unzione


Abbiamo già appreso dallo stesso apostolo che promulgo il precetto del Signore su questo sacramento, chi sia il ministro dell'Estrema Unzione. Egli dice: Chiami i presbiteri (Gc 5,14). Con questo nome, secondo la saggia interpretazione del concilio Tridentino (Sess. 14, cap. 3), non indicava già gli avanzati in età, o coloro che occupano in mezzo al popolo la posizione più eminente, ma i sacerdoti debitamente ordinati dai Vescovi mediante l'imposizione delle mani. L'amministrazione del sacramento è dunque affidata al sacerdote. In base però alle decisioni della santa Chiesa, tale amministrazione non spetta a qualsiasi sacerdote, ma al proprio Pastore, fornito di giurisdizione, o a chi egli ne abbia dato la delega. Si tenga presente del resto che adempiendo tale compito, il sacerdote, come in tutti gli altri sacramenti, rappresenta nostro Signore Gesù Cristo e la santa Chiesa sua sposa.

272. Frutti dell'Estrema Unzione


I Pastori spieghino con cura i vantaggi di questo sacramento, di modo che, se altre considerazioni non stimolano i fedeli a riceverlo, ve l'induca almeno l'utilità, dal momento che noi quasi tutto valutiamo in base al nostro vantaggio. Diranno innanzi tutto che questo sacramento infonde la grazia che cancella i peccati più lievi che sono comunemente detti veniali. Esso infatti non è stato istituito per la remissione delle colpe mortali, che sono cancellate dal Battesimo e dalla Penitenza. Questo sacramento non è stato istituito principalmente per la remissione dei peccati più gravi che il Battesimo e la Penitenza invece effettuano per la loro virtù.

Spiegheranno poi l'utilità della sacra Unzione, che libera l'anima dal languore e dalla fragilità contratti coi peccati, e in genere da tutte le scorie dei peccati. Il momento più opportuno per simile cura spirituale è quello in cui, sui colpiti da grave morbo, incombe il pericolo della vita. Poiché per natura l'uomo nulla teme più della morte. Tale timore è accresciuto dalla memoria delle colpe passate, quando specialmente siamo sul punto di sentirci aspramente accusati dalla nostra coscienza. Sta scritto infatti: Impauriti ricorderanno le loro colpe, e le iniquità commesse si leveranno ad accusarli (Sg 4,20). Anche l'animo è angosciato dall'idea di essere vicinissimi al tribunale di Dio che deve pronunciare una sentenza giustissima su quel che ci saremo meritati.

Accade talora che, sgomenti di terrore, i fedeli cadano in preda al più profondo scoramento. Quale mezzo migliore invece, per apprestarsi tranquillamente alla morte, che rimuovere la tristezza, attendere in letizia la chiamata del Signore, pronti a rendergli quel che ci aveva affidato, non appena voglia richiedercelo? Ebbene, l'Estrema Unzione appunto fa si che lo spirito dei fedeli sia sgombrato da preoccupazioni, e l'animo venga ricolmato di pia e pura letizia.

Inoltre ne scaturisce un altro vantaggio, giustamente ritenuto il più prezioso. Sebbene, finché viviamo, l'avversario del genere umano non si astenga un istante dall'intenzione di perderci, pure mai compie più audaci sforzi per rovinarci, e possibilmente strapparci ogni fiducia nella divina misericordia, di quando si avvede che ci avviciniamo alla nostra ultima ora. Per questo con tale sacramento sono apprestate ai fedeli armi ed energie, per rintuzzare l'attacco infernale e respingerlo. Esso apre l'animo del malato alla fiducia nella bontà divina, lo conforta a sopportare più agevolmente i fastidi del male, lo addestra a eludere la perfida insidia dell'astuto demonio.

Infine c'è da attendersi pure la salute del corpo, se sarà profittevole all'anima. Che, se non sempre i malati la conseguono, non deve ciò attribuirsi ad incapacità del sacramento, ma alla debolezza della fede della maggioranza di coloro che ricevono, o amministrano l'Unzione. Attesta infatti l'evangelista che il Signore non operò più miracoli fra i suoi a causa della loro incredulità (Mt 13,58). Sebbene si possa pure ragionevolmente pensare che da quando la religione Cristiana ha messo più profondamente le sue radici nell'anima degli uomini, ha minor bisogno di quelle prove miracolose, che parvero necessarie agli inizi della Chiesa. Comunque, la fede del morente dovrà essere stimolata; perché, qualunque cosa la sapiente volontà di Dio stabilisca in rapporto alla salute corporale, i fedeli ritengano con assoluta fiducia che, mediante l'azione del sacro olio, conseguiranno la salute spirituale, e che, se morranno, coglieranno il frutto della mirabile promessa: Beati i morti che spirano nel Signore (Ap 14,13).

Se i Pastori spiegheranno con ampiezza e diligenza quanto siamo rapidamente venuti esponendo intorno al sacramento della Estrema Unzione, indubbiamente i fedeli ne ritrarranno singolari frutti di pietà.


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PARTE SECONDA: I SACRAMENTI


L'ORDINE SACRO




273. Le prerogative del sacramento dell'Ordine


Chi si ponga a considerare l'intima natura degli altri sacramenti, scorge subito che tutti poggiano su quello dell'Ordine, senza il quale non possono essere effettuati e amministrati, oppure rimangono privi di qualche solenne cerimonia, o rito sacro. E necessario quindi che i Parroci, continuando la trattazione dei sacramenti, si arrestino con particolare cura su quello dell'Ordine.

Tale spiegazione gioverà quanto mai a loro stessi, quindi anche agli altri che sono iniziati alla vita ecclesiastica, e a tutto il popolo credente: ad essi, perché insistendo nella meditazione di questo argomento, sono più intensamente mossi a risuscitare la grazia ricevuta nell'ordinazione; a quelli che sono chiamati al servizio speciale del Signore, sia perché saranno accesi dal medesimo desiderio di grazia, sia perché progrediranno in una cognizione che schiuderà loro la via a più alti gradi di vita spirituale: a tutti i fedeli, perché comprenderanno cosi di quanto onore siano meritevoli i ministri della Chiesa, e non ignoreranno quel che significhi il ministero ecclesiastico a cui tanti bramano destinare i loro figliuoli, o si sentono spinti a consacrarvisi essi stessi.

Innanzi tutto si mostri ai fedeli l'altissima nobiltà di questa istituzione, considerandone il grado più elevato: il sacerdozio. I Vescovi e i sacerdoti infatti sono come interpreti e ambasciatori di Dio, nel cui nome comunicano agli uomini la legge divina e i precetti della vita. Essi ne rappresentano sulla terra la persona. E chiaro che nessuna funzione può concepirsi più insigne della loro, e che, a ragione, sono chiamati non solo angeli, ma persino dèi: essi infatti rappresentano fra noi l'efficacia e l'azione di Dio immortale.

Sebbene i sacerdoti abbiano rivestito sempre una dignità somma, quelli del nuovo Testamento vanno per onore innanzi a tutti gli altri. La potestà ad essi conferita di consacrare e di offrire il corpo e il sangue del Signore, e quella di rimettere i peccati, oltrepassano, si può dire, l'ambito dell'intelligenza umana. Non c'è nulla di simile sulla terra.

Inoltre, come il nostro Salvatore fu inviato dal Padre, e gli Apostoli e i discepoli lo furono, per tutto il mondo, da nostro Signore Gesù Cristo, cosi ogni giorno i sacerdoti, insigniti della medesima potestà, sono mandati a perfezionare col ministero la società dei santi, edificare il corpo mistico di Cristo (Ep 4,12). Non s'imponga dunque con leggerezza a chiunque simile onere, ma soltanto a quelli che possano sostenerlo con santità di vita, con dottrina, con fede e con prudenza. Non se lo arroghi il primo venuto, ma solo chi è chiamato da Dio, come Aronne (He 5,4). In pratica sono chiamati da Dio coloro che sono chiamati dai legittimi ministri della Chiesa. A chi s'insinua indebitamente in questo ministero, si devono applicare le parole del Signore: Io non inviavo profeti ed essi accorrevano (Jr 23,21). In realtà non vi potrebbero essere individui più infelici, più miserabili, più perniciosi alla Chiesa di Dio.

E poiché in ogni impresa a cui si pone mano importa soprattutto badare al fine che ci si propone (se infatti il fine è retto, tutto ne consegue bene), a coloro che vogliono essere iniziati alla carriera sacra deve dirsi innanzi tutto che non si prefiggano nulla che sia indegno di cosi insigne funzione. Tanto più premurosamente deve essere spiegato questo punto, in quanto ai tempi nostri i fedeli sogliono in proposito mancare più gravemente.

Alcuni infatti si incamminano per questo stato per procacciarsi il necessario alla vita. Al di fuori del guadagno, costoro non vedono altro nel sacerdozio; proprio come coloro che si volgono a qualsiasi genere di sordida speculazione. E vero si, secondo la sentenza dell'Apostolo, che la natura e la legge divina vogliono che chi serve all'altare viva dell'altare (1Co 9,9); ma ascendere all'altare per lucro costituisce il più grave dei sacrilegi. Altri sono spinti alla vita sacerdotale dall'ambizione e dalla cupidigia degli onori; altri dal miraggio delle ricchezze, come prova il fatto che se non viene conferito loro un pingue beneficio, non pensano affatto alla Ordinazione sacra. Nostro Signore chiama costoro mercenari (Jn 10,12); e di essi Ezechiele disse che attendono a pascere se stessi non già le pecore (Ez 34,8). La svergognata bassezza di costoro non solamente getta un'ombra cupa sulla dignità sacerdotale, che finisce con apparire al popolo fedele abbiettissima e sprezzabilissima, ma fa si che essi stessi ricavino dal Sacerdozio solo quello che Giuda ricavo dal suo apostolato: il supplizio eterno.

Entrano veramente per la porta nella Chiesa coloro che, chiamati legittimamente da Dio, assumono gli uffici ecclesiastici con un solo scopo: servire all'onore di Dio. Non che tale scopo non valga per tutti gli uomini. Essi infatti sono stati appunto creati per onorare Dio; e lo devono fare con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze, specialmente i fedeli partecipi della grazia battesimale. Ma chi vuole essere iniziato al sacramento dell'Ordine, deve proporsi non solo di cercare la gloria di Dio in tutto (dovere cotesto comune a tutti e in particolare ai fedeli) ma anche di ottemperare santamente agli oneri del ministero ecclesiastico al quale è addetto. Come nell'esercito tutti i soldati sottostanno ai comandi del capo supremo, ma fra essi vi sono comandanti, capitani e altri che adempiono vari uffici cosi, sebbene tutti i fedeli indistintamente debbano praticare con cura la virtù e la pietà per dare ossequio a Dio, gli iniziati al sacramento dell'Ordine adempiono nella Chiesa particolari mansioni. Essi compiono i sacri riti per sé e per tutto il popolo; proclamano il valore della legge divina; esortano e insegnano ai fedeli a rispettarla con animo pronto; amministrano i sacramenti di nostro Signor Gesù Cristo, con i quali la grazia è distribuita e accresciuta. In una parola, segregati dal popolo, si esercitano nel più alto e mirabile ministero.

Spiegato ciò, i Parroci passeranno a sviluppare le proprietà del sacramento, affinché i fedeli bramosi di essere elevati al ceto ecclesiastico, comprendano il genere di ufficio a cui sono chiamati, e la potestà divinamente affidata alla Chiesa e ai suoi ministri.

274. Potestà dell'Ordine


Questa potestà è duplice: di ordine e di giurisdizione. La prima si riferisce al corpo reale di nostro Signore Gesù Cristo nella santa Eucaristia. La seconda riguarda esclusivamente il corpo mistico di Gesù Cristo, equivalendo alla facoltà di governare e guidare il popolo cristiano verso l'eterna beatitudine del cielo.

La potestà dell'Ordine però non si esaurisce nella facoltà di consacrare l'Eucaristia: ma vale a preparare e abilitare gli animi degli uomini a riceverla; e include tutto ciò che comunque si riferisce al sacramento Eucaristico. Si possono ricavare dalla Scrittura molte testimonianze in proposito. Le più nette e categoriche sono quelle di san Giovanni e di san Matteo. Dice il Signore: Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati, saranno loro rimessi; e saranno ritenuti a chi li riterrete (Jn 20,22). In verità vi dico: quanto legherete sulla terra, sarà legato nel cielo; e quanto scioglierete sulla terra, sarà sciolto nel cielo (Mt 18,18). Questi passi, che i Parroci spiegheranno sulle orme autorevoli dei Padri, potranno illuminare esaurientemente la verità.

Simile potestà supera di gran lunga quella che, per legge di natura, spetta sempre a chi amministra le cose sacre. Anche l'epoca che precedette la legge scritta dovette avere un suo sacerdozio e una sua potestà spirituale, dal momento che ebbe una sua legge. Le due cose, secondo la parola dell'Apostolo, sono cosi strettamente associate, che la soppressione dell'una importa quella dell'altra (He 7,12). E poiché l'istinto naturale porta gli uomini a riconoscere che Dio deve essere onorato, ne conseguiva che in ogni collettività ci fossero alcuni preposti all'esercizio del culto, la cui autorità deve dirsi in qualche modo spirituale.

Tale potere non manco neanche al popolo d'Israele; ma la potestà spirituale dei suoi sacerdoti, sebbene superiore a quella dei sacerdoti secondo la legge naturale, fu di gran lunga inferiore a quella della legge Evangelica. Questa è celeste; supera perfino ogni virtù angelica, e non trae origine dal sacerdozio Mosaico, ma da N.S.G. Cristo, sacerdote non secondo Aronne, ma secondo l'ordine di Melchisedec. Fornito di tutta la potestà per distribuire la grazia e rimettere i peccati, ne rilasciò il deposito alla Chiesa, circoscrivendone la virtù e vincolandola ai sacramenti.

275. Significato del nome


A esercitare simile potestà sono designati speciali ministri, consacrati con rito solenne. Questa consacrazione, appunto, è detta sacramento dell'Ordine o, con altre parole, Ordinazione sacra. I Padri vollero adottare simile denominazione molto generica, per esprimere l'eccellente dignità dei ministri di Dio. L'Ordine, a tutto rigore, è l'armonica disposizione di esseri superiori ed inferiori, coordinati e disciplinati fra loro in reciproco rapporto. Opportunamente quindi codesto termine viene applicato a un ministero che conta varie gradazioni e funzioni, tutte razionalmente distribuite e associate.

276. L'Ordine è un vero sacramento


Il santo concilio Tridentino provo che la sacra Ordinazione deve essere annoverata fra gli altri sacramenti della Chiesa con l'argomento spesso ripetuto: se il sacramento è un segno di cosa sacra, e se quanto viene esternamente operato con tale consacrazione esprime la grazia e la potestà conferite al consacrato, ne segue evidentemente che l'Ordine è un vero e proprio sacramento. Perciò il Vescovo, presentando all'ordinando il calice con vino ed acqua, e la patena col pane, dice: Ricevi il potere di offrire il sacrificio, ecc. La Chiesa insegno sempre che con simili parole, mentre viene presentata la materia, è conferita la potestà di consacrare l'Eucaristia, ed è impresso nell'anima il carattere, al quale è connessa la grazia necessaria al compimento valido e legittimo del rito '. L'Apostolo ha espresso tutto ciò con le parole: Ti esorto a rinnovare in te la grazia di Dio, a te conferita mediante l'imposizione delle mie mani. Dio, infatti, non c'infuse lo spirito del terrore, ma quello della virtù, dell'amore e della sobrietà (2Th 1,6).

L'amministrazione di cosi eccelso sacerdozio, per usare le parole del santo Concilio, è cosa divina. Era quindi logico, affinché potesse svolgersi più degnamente e in mezzo alla più profonda venerazione, che nell'ordinata disposizione ecclesiastica vi fossero varie categorie di ministri, destinati a servire al sacerdozio; e cosi disposti, una volta insigniti della tonsura clericale, ascendessero dai gradi minori ai maggiori.

I Pastori mostreranno come, secondo la perenne tradizione della Chiesa Cattolica, questi ordini sono compresi in un ciclo settenario, e hanno questi nomi: Ostiario, Lettore, Esorcista, Accolito, Suddiacono, Diacono, Sacerdote. La ragionevolezza di questo numero può essere mostrata dall'indicazione delle singole attribuzioni, necessarie per il compimento e l'amministrazione del santo sacrificio della Messa e dell'Eucaristia, in vista delle quali esse furono appunto istituite.

Di questi Ordini alcuni sono detti maggiori, o anche sacri, altri minori. I maggiori, o sacri sono: l'Ordine sacerdotale, il Diaconato e il Suddiaconato. Nella categoria dei minori rientrano gli Accoliti, gli Esorcisti, i Lettori, gli Ostiari. Dobbiamo dire qualcosa sui singoli, affinché i Parroci sappiano come istruire coloro che fossero destinati all'uno o all'altro di essi.

277. Preparazione agli ordini: la "tonsura"


Si deve cominciare dalla prima Tonsura, la quale è una preparazione a ricevere gli Ordini. Come gli uomini sogliono essere preparati al Battesimo con gli esorcismi e al Matrimonio con gli sponsali, cosi quando sono dedicati a Dio col taglio dei capelli, si vedono aperto dinanzi a sé l'adito al sacramento dell'Ordine. Il rito mostra come debba essere chi vuoi votarsi al ministero sacro.

Il nome di Chierico, che viene allora imposto, è ricavato dal fatto che il tonsurato comincia ad avere Dio per sua eredità e suo retaggio, come coloro che in mezzo al popolo ebreo erano legati al culto divino. Il Signore aveva vietato che nella terra promessa venisse loro assegnata una parte di terreno, dicendo: Io sono la tua parte e la tua eredità (Nb 18,20). Che se Dio è eredità di tutti i fedeli, è necessario che lo sia in modo speciale per coloro che si consacrano al ministero divino.

I capelli vengono tagliati in forma di corona che si dovrà poi sempre conservare; e, mano a mano che il Chierico sale ai gradi superiori, se ne amplierà la circonferenza. La Chiesa insegna che tale uso risale agli Apostoli, poiché ne parlano antichissimi e autorevolissimi padri, quali Dionigi l'Areopagita, Agostino, Girolamo. Essi narrano innanzi tutto che il Principe degli apostoli introdusse quell'uso, per ricordare la corona di spine posta sul capo del nostro Salvatore. Cosi quel che gli empi avevano progettato a vergogna e martirio di G. Cristo, venne praticato dagli Apostoli a suo onore e gloria, esprimendo anche il dovere dei ministri della Chiesa di riprodurre in tutto l'immagine e l'esempio di nostro Signore G. Cristo. Non mancano però quelli che scorgono in questo segno esteriore simboleggiata la dignità regale, spettante in particolare a coloro che sono chiamati al servizio del Signore. Cosicché il riconoscimento pronunziato dall'apostolo Pietro sul popolo fedele: Voi stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa (1P 2,9), spetta evidentemente con singolare proprietà ai ministri della Chiesa. Altri infine ritengono che la figura circolare, la più perfetta di tutte, simboleggi la professione di vita più perfetta assunta dai Chierici; oppure che il taglio dei capelli, quale superfluità del corpo umano, esprima il dispregio del mondo e la liberazione dell'anima dalle cure terrene.

278. L'Ostiario


Dopo la prima Tonsura, il primo gradino è, secondo la consuetudine, l'ordine dell'Ostiario. Suo ufficio era di custodire le chiavi e la porta del tempio, allontanandone coloro ai quali era vietato di entrare. Assisteva anche al santo sacrificio della Messa, badando che nessuno si avvicinasse più del lecito all'altare e disturbasse il Sacerdote intento al sacro rito. Anche altre religiose incombenze erano a lui affidate, come può ricavarsi dalle cerimonie della sua consacrazione. Il Vescovo, infatti, consegnandogli le chiavi prese dall'altare, dice al candidato all'Ostiariato: Comportati in modo da poter rendere a Dio ragione di ciò che è chiuso con queste chiavi. Se pensiamo a quello che nei tempi antichi soleva essere conservato nella chiesa, intendiamo subito quanto grande fosse allora la dignità di quest'Ordine. L'ufficio di tesoriere, identico a quello di custode della sacrestia, spettante agli Ostiari, è annoverato anche oggi fra le più onorifiche funzioni ecclesiastiche.

279. Il Lettorato


Il secondo grado dell'Ordine è costituito dall'ufficio di Lettore. A questi spetta leggere a voce alta nel tempio i libri del vecchio e del nuovo Testamento, specialmente quelli la cui lettura è intercalata alle salmodie notturne. Tra le sue mansioni c'era anche quella di impartire ai fedeli i primi rudimenti della religione cristiana.

Per questo il Vescovo, alla presenza del popolo, consegnando all'ordinando il libro delle lezioni, gli dice: Prendi e sii l'annunziatore della parola di Dio. Se avrai adempiuto fedelmente e proficuamente il tuo ufficio, sarai tra coloro che annunziarono efficacemente fin dagli inizi la parola del Signore.

280. L'Esorcistato


Il terzo è dato dall'ordine degli Esorcisti, ai quali è affidato il mandato di invocare il nome di Dio su coloro che sono posseduti da spiriti immondi. Per questo il Vescovo, ordinandoli, presenta un libro contenente le formule di esorcismo, e dice: Prendi, impara a memoria, e ricevi la potestà di imporre le mani sugli energumeni, tanto battezzati, che catecumeni.

281. L'Accolitato


Il quarto e ultimo grado fra i minori, che non si chiamano sacri, è l'Accolitato. Gli Accoliti devono assistere e coadiuvare i ministri maggiori, Suddiaconi e Diaconi, nel ministero dell'altare. Inoltre portano e custodiscono i lumi durante la celebrazione solenne della Messa, specialmente alla lettura del Vangelo. Per questo sono detti anche ceroferari. Il rito dell'Ordinazione, compiuto dal Vescovo, si svolge cosi: dopo l'ammonizione solenne sulla loro funzione, il Vescovo fa toccare a ciascuno un candeliere, dicendo: Prendi il candeliere col cero, e sappi che sei impegnato ad accendere i lumi della chiesa, nel nome del Signore. Quindi consegna le ampolline vuote, con cui vengono forniti l'acqua e il vino per il sacrificio, e dice: Prendi le ampolline destinate a dare il vino e l'acqua per l'Eucaristia del sangue di Cristo, nel nome del Signore.

282. Il Suddiaconato

Dagli Ordini minori e non sacri, di cui abbiamo detto fin qui, si passa ordinatamente ai maggiori e sacri. Al primo posto sta il S u d d i a e o n a t o. Come il nome stesso indica, chi ne è investito deve servire al Diacono all'altare; deve cioè preparare le sacre tovaglie, i vasi, il pane e il vino, necessari allo svolgimento del sacrificio; inoltre versa l'acqua quando il Vescovo e il Sacerdote, durante la Messa, si lavano le mani. Il Suddiacono inoltre legge l'Epistola che, una volta, era recitata dal Diacono nella Messa e, in qualità di testimone, assiste al sacro rito impedendo che il celebrante sia disturbato da qualcuno.

Il compito del ministero suddiaconale è bene adombrato nelle cerimonie solenni che accompagnano la rispettiva consacrazione. Innanzi tutto il Vescovo ricorda che a questo Ordine è connessa la legge della perpetua castità, e ammonisce che nessuno può essere introdotto nell'Ordine suddiaconale se non promette di uniformarsi ad essa. Dopo la solenne preghiera delle Litanie, enumera e commenta le mansioni e gli obblighi del Suddiacono. Dopo ciò i singoli ordinandi ricevono dal Vescovo il calice e la sacra patena; e affinché comprendano come il Suddiacono deve cooperare all'ufficio diaconale, ricevono dall'Arcidiacono le ampolline piene di acqua e di vino, insieme al bacile e al tovagliuolo con cui si asciugano le mani, mentre il Vescovo pronuncia la formula: Guardate quale ministero vi viene affidato; e perciò vi ammonisco di comportarvi in modo da piacere a Dio. Seguono altre preci. Infine, dopo aver ricoperto il Suddiacono con i sacri paramenti, per ciascuno dei quali sono prescritte speciali formule e cerimonie, il Vescovo gli offre il libro dell'Epistole, dicendo: Prendi il volume delle Epistole e ricevi la facoltà di leggerle nella santa chiesa di Dio, per i vivi e per i defunti.

283. Il Diaconato


Al secondo grado dei sacri Ordini sta il Diaconato, il cui ministero è più ampio ed è stato sempre ritenuto più santo. Al Diacono spetta seguire sempre il Vescovo, assisterlo mentre predica, stare vicino a lui e al Sacerdote, quando celebrano o amministrano altri sacramenti; infine leggere il Vangelo nel sacrificio della Messa. Una volta esortava i fedeli a partecipare più spesso alle sacre funzioni, e distribuiva anche il sangue del Signore là dove vigeva la consuetudine che i fedeli ricevessero l'Eucaristia sotto le due specie. Al Diacono era inoltre affidata la distribuzione dei beni ecclesiastici, in modo che a nessuno mancasse il necessario sostentamento. Il Diacono in più, quasi occhio del Vescovo, deve indagare chi in città viva religiosamente e chi no; chi assista quando è prescritto al sacrificio e alla predica, e chi manchi; e, informatone il Vescovo, questi possa privatamente ammonire i colpevoli, o pubblicamente riprenderli, secondo che riterrà più giovevole. Deve anche fare l'appello dei catecumeni e presentare al Vescovo coloro che devono essere elevati al sacramento dell'Ordine. In assenza del Vescovo e del Sacerdote, può anche spiegare il Vangelo, non però dall'ambone, perché si capisca che quella non è sua normale mansione.

L'Apostolo pone in luce la diligenza con cui deve precludersi agli indegni l'accesso a quest'Ordine, quando espone a Timoteo i costumi, le virtù e l'integrità del Diacono (1Tm 3,8-10). Allo stesso fine mirano i riti e le solenni cerimonie con cui il Vescovo lo consacra: preghiere più numerose e più fervide di quelle adoperate nell'ordinazione del Suddiacono, e imposizione di altri sacri paramenti. In più gli impone le mani, come leggiamo fatto dagli Apostoli, quando istituirono i primi Diaconi (Atti 6,6). Infine gli consegna il libro dei Vangeli con le parole: Ricevi la facoltà di leggere il Vangelo nella chiesa di Dio, cosi per i vivi come per i defunti, nel nome del Signore.

284. Il Sacerdozio:
inferiore (o universale) ed esteriore (o ministeriale)


Il terzo e supremo grado dei sacri Ordini è rappresentato dal Sacerdozio. Coloro che ne sono rivestiti, sogliono ricevere due nomi dai Padri antichi: talora quello di presbiteri, che in greco vuole dire anziani, non solo per la maturità degli anni, necessarissima a quest'Ordine, ma molto più per la gravita, erudizione e prudenza indispensabili, essendo scritto che la maturità veneranda non va calcolata in base al numero degli anni, perché la canizie è data dalla serietà e dalla vita immacolata (Sg 4,8); tal altra sono detti sacerdoti, sia perché consacrati a Dio, sia perché hanno l'incarico di amministrare i sacramenti e di trattare le cose divine.

Secondo le indicazioni della sacra Scrittura, occorre distinguere un duplice Sacerdozio: uno interiore ed uno esterno affinché i Pastori possano indicare di quale ora si parli.

Il sacerdozio interiore compete a tutti i fedeli non appena siano stati battezzati; ma specialmente ai giusti che posseggono lo spirito di Dio e sono divenuti, in virtù della grazia divina, vive membra di Gesù Cristo, sommo sacerdote. Essi infatti, per la fede animata dalla carità, sull'altare del loro spirito, immolano a Dio vittime spirituali che sono tutte le buone e oneste azioni, indirizzate alla gloria di Dio. Leggiamo perciò nell'Apocalisse: Cristo ci mondo dalle nostre colpe nel suo sangue, ci fece regno e sacerdoti di Dio suo Padre (Ap 1,5). Analogamente è stato scritto dal Principe degli apostoli: Come pietre vive siete posti l'uno sull'altro, quale casa spirituale, sacerdozio santo che offre vittime spirituali, a Dio accette per i meriti di G. Cristo (1P 2,5). Parimente l'Apostolo ci esorta a offrire i nostri corpi in olocausto vivo, santo, gradito a Dio, come culto nostro razionale (Rm 12,1). Infine, molto tempo innanzi, Davide aveva detto: E un sacrificio agli occhi di Dio un'anima addolorata; tu, o Dio, non disprezzerai un cuore contrito e umiliato (Ps 50,19). Tutto ciò evidentemente va applicato al sacerdozio interiore.

Il Sacerdozio esteriore invece non compete alla moltitudine dei fedeli, ma ad alcuni individui in particolare, che, consacrati colla legittima imposizione delle mani e con solenni cerimonie ecclesiastiche, sono destinati a un sacro e speciale ministero.

La distinzione dei due sacerdozi può cogliersi anche nell'antica Legge. Abbiamo visto come Davide parli di quello interiore. Tutti sanno invece quanti precetti abbia imposto a Mosè ed Aronne il Signore, per quello esterno. Egli inoltre destinava tutta la tribù Levitica al ministero del tempio, proibendo tassativamente che un altro di diversa tribù osasse introdursi in tale funzione (Num. 3,10). Perciò il re Ozia, avendo usurpato la mansione sacerdotale, fu colpito dal Signore con la lebbra, e subi cosi l'espiazione gravissima del suo arrogante sacrilegio (2 Parai. 26,18).

E poiché possiamo segnalare la medesima distinzione del Sacerdozio nella legge Evangelica, ai fedeli dovrà dirsi che noi trattiamo qui del Sacerdozio esterno, affidato a determinati individui: solo a questo si riferisce di proposito il Sacramento dell'Ordine.

Ecco gli obblighi del Sacerdote: offrire a Dio l'incruento sacrificio e amministrare i sacramenti della Chiesa. Cosi risulta dai riti della consacrazione. Quando il Vescovo consacra un Sacerdote novello, innanzi tutto, insieme ai sacerdoti presenti, gli impone le mani; quindi imponendogli sulle spalle la stola, gliela aggiusta sul petto a forma di croce. Questo gesto esprime il fatto che il Sacerdote riceve dall'alto una forza per portare la croce di nostro Signore e il soave giogo della Legge divina che egli dovrà far conoscere, non solamente colla parola, ma anche coll'esempio di una vita santamente vissuta. Quindi ne unge le mani coll'olio sacro e gli fa toccare il calice col vino e la patena con l'ostia, mentre dice: Ricevi la facoltà di offrire il sacrificio a Dio e di celebrare la Messa tanto per i vivi quanto per i defunti. Con simili riti e formule il Sacerdote viene costituito interprete e mediatore tra Dio e gli uomini: questa è la sua funzione principale. In ultimo, imponendo di nuovo le mani sul suo capo, il Vescovo dice: Ricevi lo Spirito Santo: a chi avrai rimesso i peccati, saranno rimessi; a chi li avrai ritenuti sono ritenuti. E cosi gli conferisce quella celeste facoltà di ritenere e rimettere i peccati che il Signore diede ai suoi discepoli.

285. Gradi della potestà sacerdotale


Queste sono le attribuzioni proprie e principali dell'ordine sacerdotale, il quale, sebbene sia unico, ha molti gradi di dignità e di autorità. Il primo è quello dei semplici sacerdoti, delle cui mansioni abbiamo parlato fin qui.

Il secondo è quello dei Vescovi, preposti alle singole diocesi, affinché governino non solamente gli altri ministri della Chiesa, ma anche il popolo dei fedeli, vigilando con somma cura alla loro salvezza. Per questo sono chiamati spesso nella Scrittura: Pastori delle pecore. Il loro ufficio fu descritto da san Paolo nel discorso che tenne agli Efesini e riferito dagli Atti (20,28). Anche san Pietro, principe degli Apostoli, formulo una certa regola divina del ministero episcopale (1P 5,2). Se i Vescovi cercheranno di conformarvisi, saranno, senza dubbio, e appariranno ottimi Pastori. Essi sono chiamati anche Pontefici, secondo l'uso dei pagani, che chiamavano cosi i capi dei sacerdoti.

Il terzo grado comprende gli Arcivescovi, dai quali dipendono parecchi Vescovi. Sono chiamati anche Metropoliti, perché sono i presuli di città considerate madri delle altre in una determinata provincia. Spettano ad essi di diritto onore e potere superiori a quelli dei Vescovi; ma, per quanto riguarda l'Ordinazione, non ne differiscono.

Al quarto grado appartengono i Patriarchi, i primi cioè e supremi Padri. Una volta in tutta la Chiesa, al di fuori del Sommo Pontefice Romano, si contavano soltanto quattro patriarchi e non tutti di pari dignità. Quello di Costantinopoli, sebbene avesse conseguito codesto titolo dopo gli altri, pure fu ad essi anteposto per la maestà dell'Impero. Veniva poi quello di Alessandria, chiesa fondata per comando dell'apostolo Pietro dall'evangelista Marco, quindi quello di Antiochia, prima sede del Principe degli apostoli, infine il Gerosolimitano, la cui sede fu tenuta da Giacomo, " fratello del Signore ".

Al disopra di tutti, la Chiesa Cattolica ha sempre venerato il Sommo Pontefice Romano che, nel concilio Efesino, Cirillo di Alessandria chiamava Padre e Patriarca di tutta la terra. Sedendo egli sulla cattedra che Pietro principe degli Apostoli occupo fino al termine dei suoi giorni, riveste il più alto grado di dignità e il più vasto ambito di giurisdizione, non in virtù di costituzioni sinodali, o di decreti umani, ma di una investitura divina. Per essa è padre di tutti i fedeli e di tutti i Vescovi e Presuli, qualunque sia la funzione e il potere di cui sono rivestiti; e, quale successore di Pietro, autentico e legittimo Vicario di nostro Signor Gesù Cristo, presiede alla Chiesa universale.

286. Il Ministro dell'Ordine


Cosi i Parroci mostreranno quali siano le principali mansioni degli Ordini e gradi ecclesiastici, e chi sia il Ministro di questo sacramento. Tale amministrazione spetta al Vescovo, come è facile dimostrare mediante l'autorità della Scrittura, la tradizione certissima, la testimonianza concorde dei Padri, i decreti conciliari e la consuetudine ecclesiastica. Sebbene ad alcuni Abbati sia stato concesso in determinati casi di conferire gli Ordini minori, esclusi i sacri, tuttavia nessuno dubita essere tale amministrazione un ufficio riservato al Vescovo. Egli solo, ad esclusione di tutti gli altri, può ordinare Suddiaconi, Diaconi e Sacerdoti; mentre i Vescovi, in base a una tradizione apostolica perennemente custodita nella Chiesa, sono consacrati da tre Vescovi.

287. Soggetto dell'Ordine


Passiamo ora a spiegare chi sia atto a ricevere questo sacramento, e in particolare l'ordine sacerdotale, e quali doti debba possedere. Quando lo avremo indicato per il Sacerdozio, non sarà difficile fissare le regole per gli altri Ordini, secondo l'ufficio e la dignità di ciascuno. Che a proposito di questo sacramento si debba usare la massima cautela, appare dal fatto che mentre gli altri sacramenti infondono la grazia per la santificazione e il vantaggio di chi li riceve, gli ordinati invece partecipano alla grazia celeste, perché attraverso il loro ministero si provveda alla salute della Chiesa e quindi di tutti gli uomini. Perciò le ordinazioni si compiono solamente in determinati giorni nei quali, secondo l'antichissimo uso della Chiesa Cattolica, sono imposti solenni digiuni, affinché il popolo fedele invochi da Dio, con umili preci, ministri tali che siano atti ad esercitare, con probità e con vantaggio della Chiesa, il loro sublime ministero.

Il candidato al Sacerdozio deve innanzi tutto essere raccomandato da una vita specchiata e da costumi integri.

Chi si accosti all'iniziazione coll'animo consapevolmente macchiato di colpa mortale, cade in un'altra e più grave scelleratezza. E, poi, non deve il Sacerdote far risplendere dinanzi agli altri la lampada della virtù e della innocenza? I Pastori ricorderanno quel che l'Apostolo raccomanda a Tito e a Timoteo in proposito, e mostreranno come quei difetti corporali che nel vecchio Testamento, in virtù della prescrizione divina, allontanavano dall'altare, nel nuovo patto vanno interpretati in senso spirituale. Va perciò rispettata la santa consuetudine ecclesiastica, per cui gli ordinandi devono prima purificarsi con una diligente Confessione.

Non basta nel Sacerdote la cognizione di quanto è connesso all'uso e all'applicazione dei sacramenti: egli deve essere anche colto nelle scienze sacre, per poter insegnare al popolo Cristiano i misteri della fede e i precetti della divina legge, incitare i fedeli alla virtù e alla devozione, allontanarli dal male. Il Sacerdote infatti ha due uffici: consacrare e amministrare secondo le regole i sacramenti e istruire il popolo affidatogli sulle vie e i mezzi della salvezza eterna. Dice Malachia: Le labbra del sacerdote custodiranno la scienza e tutti apprenderanno dalla sua bocca la legge: egli è l'angelo del Signore degli eserciti (Ml 2,7). Al primo può ottemperare anche se fornito di cognizioni mediocri; ma il secondo esige indubbiamente una scienza non comune, ma raffinata. Non tutti i sacerdoti però devono essere forniti di specialissima erudizione: basta che questa sia proporzionata alle esigenze e ai doveri dell'ufficio cui sono chiamati.

Non si impartisca questo sacramento ai fanciulli e ai pazzi privi dell'uso di ragione, per quanto si debba ritenere che, se è loro amministrato, imprime nelle loro anime il carattere sacramentale. I decreti del sacro concilio di Trento hanno stabilito l'età per i singoli ordini. Sono esclusi anche gli schiavi, non potendo essere dedicato al culto divino chi non è padrone di sé, ma è costituito in altrui potere. Sono esclusi poi i sanguinari e gli omicidi che per legge ecclesiastica sono irregolari; infine i bastardi e tutti coloro, che non sono nati da nozze legittime, poiché è bene che quanti si dedicano alle funzioni sacre nulla offrano in sé che, a ragione, possa essere esposto all'altrui dileggio e disprezzo. Infine non devono essere promossi agli ordini i deformi per qualche grave vizio corporale e gli storpi. La deformità ha qualcosa di ripugnante, e questa menomazione può ostacolare l'amministrazione dei sacramenti.

288. Effetti dell'Ordine


Rimane ormai che i Pastori spieghino gli effetti di questo sacramento. Come abbiamo detto, il sacramento dell'Ordine mira principalmente al vantaggio e al decoro della Chiesa; tuttavia dona la grazia della santificazione anche all'anima dell'ordinato, in virtù della quale sarà idoneo ad esercitare rettamente il suo ufficio e ad amministrare i sacramenti, come la grazia del Battesimo abilita a ricevere gli altri sacramenti.

In secondo luogo conferisce la grazia di una speciale potestà in relazione al sacramento della santissima Eucaristia: piena, nel Sacerdote che, solo, può consacrare il corpo e il sangue di nostro Signore; maggiore o minore nei ministri degli ordini inferiori, secondo che il ministero di ciascuno si avvicina più o meno al sacramento dell'altare.

Questa seconda grazia è detta carattere spirituale perché gli iniziati si distinguono dagli altri fedeli per una nota interiore, impressa nello spirito, che li vincola al culto divino. Sembra avervi alluso l'Apostolo, quando scriveva a Timoteo: Non trascurare la grazia infusa in te per una rivelazione profetica mediante l'imposizione delle mani del presbiterio (1Tm 4,14). E altrove: Ti esorto a risuscitare la grazia di Dio, che ti è stata data con l'imposizione delle mie mani (2Th l,6). E questo può bastare per il sacramento dell'Ordine. Noi ci eravamo soltanto proposti di indicare ai Pastori i principali capi di dottrina, affinché avessero a loro disposizione i temi su cui istruire cristianamente il popolo fedele.
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26/08/2010 16:23

PARTE SECONDA: I SACRAMENTI


IL MATRIMONIO



289. Santità del Matrimonio cristiano



I Pastori devono prospettare per il popolo cristiano una vita beata e perfetta, perché potrebbero anch'essi auspicare quel che l'Apostolo diceva di desiderare, scrivendo ai Corinzi: Voglio che siate tutti come me (1Co 7,7); cioè che tutti seguissero la perfetta castità. Che cosa infatti di più alto ci può essere, per i fedeli quaggiù, di un riposo permanente dello spirito che non sia distratto da nessuna cura, ogni carnale libidine sia debellata, nell'amore della devozione e nella meditazione delle celesti verità? Ma poiché, secondo la frase del medesimo Apostolo, ciascuno riceve un proprio dono da Dio, chi in un modo chi in un altro; mentre il Matrimonio stesso è accompagnato da cosi grandi e soprannaturali beni da essere annoverato veramente e propriamente fra gli altri sacramenti della Chiesa Cattolica, da meritare che il Signore santificasse con la sua presenza una cerimonia nuziale (Jn 2,2), appare evidente l'opportunità di parlarne. Tanto più che san Paolo (Rm 7,2 1Co 7 Ep 5,22 Col 3,13) come il Principe degli apostoli (1P 3,1) in più luoghi hanno scritto intorno alla dignità e agli obblighi del Matrimonio. Illuminati dal divino spirito, essi comprendevano gli insigni vantaggi che possono ridondare sulla società cristiana, qualora i fedeli conoscano bene e rispettino la santità matrimoniale, e i danni e le calamità che invece possono piombare sulla Chiesa, qualora la ignorino e la trasgrediscano.

Si devono quindi spiegare innanzi tutto la natura e i doveri del Matrimonio; perché spesso i vizi assumono l'apparenza dell'onestà e occorre badare a che i fedeli, ingannati da un falso concetto del matrimonio, non finiscano col macchiare l'anima in turpi libidini. Per mostrare meglio la cosa, cominceremo dall'esaminare il significato dei termini.

Matrimonio è una denominazione che deriva dal fatto che lo scopo principale per cui la donna deve andare a nozze, è quello di divenire madre; oppure perché è particolare ufficio della madre concepire, partorire, educare la prole.

Coniugio poi deriva da e o n i u g a r e, in quanto la moglie legittima è sottoposta al medesimo giogo col marito. Infine il vocabolo nozze, come dice sant'Ambrogio (Di Abr. I,9), sorge dalla circostanza che le fanciulle solevano velarsi per pudore; e pare che si accennasse anche al dovere che esse fossero sottomesse e obbedienti ai loro mariti.

290. Definizione del Matrimonio


Questa è la definizione, secondo il parere concorde dei teologi:Il Matrimonio è l'unione maritale dell'uomo colla donna, contratta fra persone legittime, la quale implica una inseparabile comunanza di vita.

Affinché si possano meglio comprendere le varie parti della definizione, si deve far notare che, sebbene il Matrimonio comprenda il consenso interno, il patto espresso esternamente con la parola, l'obbligo e il vincolo che ne scaturiscono e l'accoppiamento dei coniugi con cui il Matrimonio è consumato, pure nulla di ciò costituisce l'essenza del Matrimonio, la quale consiste propriamente nell'obbligazione e nel vincolo reciproco, espresso dal vocabolo unione.

Si aggiunge il qualificativo di maritale, perché le altre convenzioni con cui si obbligano uomini e donne per prestarsi scambievole assistenza, in base a compenso o per altra ragione, sono del tutto estranee alla natura del matrimonio.

E detto poi: fra persone legittime, perché coloro che le prescrizioni legali escludono perentoriamente dalle nozze, non possono contrarre matrimonio; e se lo contraggono, è invalido. Per esempio: chi è legato da parentela dentro il quarto grado, o il giovanetto prima del suo quattordicesimo anno, e la giovanetta prima del dodicesimo (età fissata dalle leggi), non sono idonei a stringere validi vincoli nuziali.

L'ultima clausola: costituisce una inseparabile comunanza di vita, spiega la natura del vincolo indissolubile che lega marito e moglie.

Da ciò risulta che la natura e il valore del Matrimonio consistono in questo vincolo. Se le definizioni di altri illustri scrittori sembrano riporle nel consenso, dicendo, ad esempio, che il Matrimonio è il consenso dell'uomo e della donna, ciò va inteso nel senso che il consenso è la causa efficiente del Matrimonio, come insegnarono i Padri del concilio Fiorentino, non potendoci essere obbligo e vincolo reciproco, se non in virtù di un consenso, o contratto.

E assolutamente necessario che questo consenso sia espresso con parole al tempo presente. Infatti il Matrimonio non è una semplice donazione, ma un patto scambievole; non può dunque bastare all'unione matrimoniale il consenso di uno dei due coniugi, ma deve essere mutuo. Ora è evidente che ad esprimere il mutuo consenso dell'animo sono necessarie le parole. Se il Matrimonio potesse sorgere dal puro consenso interiore, senza alcun segno esterno, quando due persone lontanissime consentissero nel progetto di Matrimonio, sarebbero subito strette in vincolo matrimoniale, anche prima di manifestare per lettera o per interposta persona la loro volontà; cosa del tutto difforme dalla ragione, dalla consuetudine e dalle leggi della santa Chiesa.

Inoltre abbiamo detto che il consenso deve esprimersi con parole indicanti il tempo presente. E giustamente, perché quelle che indicano il futuro non uniscono il Matrimonio, ma lo promettono. Quel che è futuro evidentemente non esiste ancora. E quel che non esiste, non ha stabilità e concretezza. Per cui non possiede ancora diritto coniugale sulla donna chi promette semplicemente di prenderla in moglie; né sempre l'adempimento segue subito alla promessa, sebbene chi promette debba osservare la parola data, e se non lo faccia incorra nel reato di fede violata. Invece chi si unisce col vincolo matrimoniale, pur pentendosi poi, non può mutare o annullare quel che ha fatto.

Siccome l'obbligo coniugale non è una pura promessa, ma una cessione, per la quale l'uomo trasmette realmente la potestà sul proprio corpo alla donna, e questa a lui, ne segue necessariamente che il Matrimonio deve essere contratto con parole al presente, la cui forza perdura dopo che sono state pronunciate, e lega indissolubilmente marito e moglie. Al posto però delle parole possono bastare alla validità del Matrimonio gesti e segni che indichino nettamente il consenso intimo, e lo stesso pudico silenzio della fanciulla, quando parlino per essa i suoi genitori.

In complesso i Parroci insegneranno ai fedeli che l'essenza e la forza del Matrimonio risiedono nel vincolo e nell'obbligazione; e che posto il consenso, espresso nel modo indicato, non è necessario l'accoppiamento perché il vero Matrimonio sussista. Infatti i nostri progenitori, prima del peccato, quando ancora nessun contatto carnale era intervenuto tra loro, come i Padri riconoscono, erano già congiunti in vero Matrimonio. Perciò i Padri affermano che il Matrimonio consiste nel reciproco consenso, non già nella copula; come anche sant'Ambrogio ripete nel suo scritto intorno alle Vergini (6,1).

Dopo ciò, il Parroco spiegherà che il Matrimonio presenta due aspetti; si può infatti considerare o come unione naturale (l'accoppiamento infatti non è una istituzione umana, bensi un fatto naturale), o come sacramento, la cui forza oltrepassa lo stato delle realtà naturali. E poiché la grazia perfeziona la natura, e lo spirituale non è prima dell'animale, ma viceversa, la logica vuole che si tratti prima del Matrimonio nel suo aspetto di fatto naturale, e poi di ciò che lo riguarda come sacramento.

291. Istituzione e finalità del Matrimonio


Innanzi tutto i fedeli siano istruiti sulla verità che il Matrimonio fu istituito da Dio. Scrive la Genesi: Dio li creo maschio e femmina, e li benedisse, dicendo: Crescete e moltiplicatevi. E poi: Non è bene che l'uomo sia solo: facciamogli un essere simile a lui, che lo aiuti. E poco dopo: Adamo non aveva ancora un cooperatore simile a sé. Mando dunque il Signore Iddio un invincibile sonno ad Adamo, e quando si fu addormentato, gli estrasse una costa, la circondo di carne, trasformandola in donna, e la consegno ad Adamo, il quale disse: Ecco dunque, ossa delle mie ossa e carne della mia carne; sarà chiamata VIRAGO, poiché è stata tratta dall'uomo. Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre, si unirà a sua moglie, e saranno due esseri in una sola carne (Gn 1,27 Gn 2,18). Queste parole, confermate dallo stesso nostro Signore in san Matteo (Mt 19,6), mostrano come il Matrimonio sia istituito divinamente.

Dio però non si limito a istituirlo, ma, secondo le definizioni del santo concilio di Trento, lo rese vincolo perpetuo e indissolubile. Per questo il Salvatore sentenzio: L'uomo non osi dividere quel che Dio ha congiunto (Mt 19,6).

Già al Matrimonio, come semplice fatto naturale, conveniva che non potesse mai sciogliersi, quantunque tale proprietà rampolli soprattutto dalla sua natura di sacramento; esso infatti per tutte le sue proprietà naturali, raggiunge la più alta perfezione. Ad ogni modo ripugna già all'esigenza dell'educazione dei figli e agli altri beni matrimoniali la dissolubilità del vincolo.

Le parole poi del Signore: Crescete e moltiplicatevi, mirano a delucidare le cause dell'istituto matrimoniale, non già ad imporre un obbligo a tutti e singoli gli uomini. Ormai che il genere umano si è tanto accresciuto, non solamente non sussiste legge che obblighi ciascun uomo a contrarre Matrimonio; ma appare invece singolarmente raccomandata la verginità, consigliata nella Scrittura come stato superiore al Matrimonio, dotata di maggiore perfezione e santità. Insegno il Salvatore: Chi può capire, capisca (Mt 19,20). E l'Apostolo ammoni: .Non ho da comunicare un esplicito precetto del Signore intorno ai vergini: ma lo do come un consiglio, per restare fedele alla misericordia ottenuta dal Signore (1Co 7,25).

Si devono anche spiegare le ragioni dell'unione matrimoniale.

La prima è rappresentata da quella associazione, voluta dall'istinto naturale dei due sessi, che, cementata dalla speranza del reciproco sostegno ed appoggio, rende più agevole affrontare le asprezze della vita e gli incomodi della vecchiaia.

La seconda sta nel desiderio della procreazione, non tanto per lasciare eredi dei beni materiali, ma perché possano allevarsi buoni cultori della vera fede religiosa. La Bibbia mostra come questo fosse il principale proposito dei Patriarchi nello sposarsi. Ammonendo Tobia sul modo di rintuzzare la violenza del demonio, l'angelo gli dice: Ti mostrerò io quelli sui quali il demonio può prevalere. Su coloro che contraggono matrimonio per eliminare Dio dal proprio spirito, per tuffarsi nella concupiscenza, come tanti cavalli e muli privi di ragione, il demonio trionferà. E aggiunge: Tu impalmerai una vergine nel timore di Dio, spinto più dal desiderio dei figliuoli che dalla cupidigia carnale, affinché nel seme di Abramo tu possa conseguire la benedizione che è nei propri figli (Tb 6,18). Del resto fu questo l'unico motivo per cui Dio istituì agli inizi il Matrimonio. S'intende perciò quanto mostruoso sia il delitto di quei coniugi, che mediante ritrovati medici impediscono il concepimento o procurano l'aborto; questo equivale all'azione infame degli omicidi.

La terza causa del Matrimonio sopravvenne dopo il peccato originale che fece perdere la giustizia in cui l'uomo era stato creato e suscito il conflitto fra l'appetito sessuale e la ragione. Essa consiste in ciò che colui il quale, consapevole della propria fragilità, non vuole affrontare la dura lotta carnale, possa ricorrere al rimedio del Matrimonio per evitare le colpe della libidine. Scrive in proposito l'Apostolo: In vista del pericolo della fornicazione, ciascuno abbia moglie, e ciascuna marito. E poco oltre, imponendo l'astinenza temporanea dall'atto matrimoniale per fare preghiera, soggiunge: E poi ravvicinatevi l'un l'altro affinché Satana non vi tenti col pungolo della vostra incontinenza (1Co 7,2).

A qualcuno di questi motivi deve ispirarsi chi vuole contrarre Matrimonio, e lo vuoi fare piamente e religiosamente, come si conviene a figli di santi.

Non si condannano però altri moventi, non contrastanti colla santità del Matrimonio, che vengono ad aggiungersi a questi e spingono gli uomini al Matrimonio o inducono, nella scelta della moglie, a preferire questa a quella; quali la brama di lasciare eredi, la ricchezza della prescelta, la sua bellezza, la nobiltà della sua schiatta, la somiglianza del temperamento. Neppure la Bibbia infatti rimprovera al patriarca Giacobbe di aver preferito, per la sua bellezza, Rachele a Lia (Jr 29,17).

292. Il Matrimonio cristiano come sacramento


Dopo aver parlato del Matrimonio in quanto è un'unione naturale, i Pastori spiegheranno come, in qualità di sacramento, il Matrimonio assume una natura molto più nobile e volta a un fine molto più alto. Come agli inizi il Matrimonio, quale unione naturale, fu istituito per la propagazione del genere umano, cosi più tardi gli fu conferita la dignità sacramentale, affinché sorgesse un popolo nuovo, educato al culto del vero Dio e del nostro Salvatore G. Cristo.

Quando Cristo volle offrire un simbolo sensibile della sua strettissima unione colla Chiesa e della sua sconfinata benevolenza verso di noi, espresse appunto la divinità df cosi ineffabile mistero colla santa unione dell'uomo colla donna. E quanto simile scelta fosse opportuna, risalta dal fatto che fra tutte le relazioni fra esseri umani nessuna vincola più strettamente dell'unione matrimoniale; nessun amore è più forte di quello che passa fra marito e moglie. Per questo la Scrittura raffigura molto spesso l'unione divina di Cristo con la Chiesa mediante l'immagine delle nozze.

La Chiesa, sulla esplicita autorità dell'Apostolo, ritenne sempre per certa e sicura la natura sacramentale del Matrimonio. Scrive infatti san Paolo agli Efesini:Il marito deve amare sua moglie come il proprio corpo. Chi ama sua moglie, ama se stesso. Chi mai odio la propria carne? Tutti la nutrono e la custodiscono, come Cristo fa colla Chiesa; poiché siamo membri del suo corpo, parte della sua carne e delle sue ossa. Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre, e si unirà alla propria moglie, per essere due in una sola carne. Veramente grande è questo sacramento; io voglio dire in Cristo e nella Chiesa (Ep 5,28). La frase: grande è questo sacramento, va riferita indubbiamente al Matrimonio; e vuoi dire che l'unione fra l'uomo e la donna, di cui Dio è l'autore, è un sacramento, vale a dire, segno sacro di quell'ineffabile vincolo, che congiunge Cristo Signore alla Chiesa.

I Padri antichi, commentando il passo paolino, l'hanno inteso in questo senso, e il santo concilio di Trento ha definitivamente approvato simile interpretazione. Evidentemente l'Apostolo paragona il marito a Cristo e la moglie alla Chiesa; stabilisce che il marito è il capo della moglie, come Cristo lo è della Chiesa; perciò il marito deve amare la moglie, e la moglie a sua volta amare e rispettare il marito. G. Cristo amo la Chiesa, diede la propria vita per essa; e secondo lo stesso Apostolo la Chiesa è soggetta a Cristo. Il sacro Concilio dichiara inoltre che con questo sacramento è simboleggiata e anche realmente conferita la grazia, come del resto vuole l'indole stessa sacramentale. Esso dice: G. Cristo, istitutore e consumatore dei venerandi sacramenti, merito con la sua passione la grazia, atta a sublimare l'amore naturale, e a rassodarlo in una indissolubile unità. I Pastori spiegheranno perciò che per la grazia del sacramento i coniugi, stretti nel vincolo dello scambievole amore, riposano nella mutua affezione, rifuggono dagli amori illeciti ed estranei, conservando immacolato il talamo del loro connubio (He 13,4).

293. Dignità del Matrimonio cristiano


Il sacramento del Matrimonio sta molto al disopra dei matrimoni contratti prima e dopo la Legge mosaica. Sebbene anche i pagani abbiano sempre intravisto nel Matrimonio qualcosa di divino, e di conseguenza abbiano considerato gli illegali accoppiamenti come vietati da natura, e degni di punizione gli stupri, gli adulteri e simili delitti sessuali; tuttavia i loro connubi non ebbero valore sacramentale.

Presso gli Ebrei le leggi nuziali furono indubbiamente rispettate con maggiore coscienza, né possiamo negare che una più alta santità accompagnava i loro matrimoni. Depositari della promessa, secondo la quale tutti i popoli dovevano essere benedetti nel seme di Abramo (Gn 12,3 Gn 18,18), ritenevano che fosse insigne compito religioso procreare figliuoli, rampolli del popolo da cui doveva trarre origine il Cristo nostro Salvatore, per quanto naturalmente concerne la natura umana. Alle loro unioni però mancava la natura sacramentale.

Se poi ci poniamo dal punto di vista della legge, sia di natura dopo il peccato, sia di Mosè, facilmente constatiamo che la prassi matrimoniale era decaduta dal suo decoro originario. Vigendo la legge naturale riscontriamo che parecchi antichi Padri furono poligami. Più tardi la legge di Mosè permetteva che, consegnato il libello del ripudio, il marito divorziasse, in determinati casi, dalla moglie (Dt 24,1). La legge Evangelica soppresse tali abusi e restituì il Matrimonio al suo stato primitivo (Mt 19,9).

Quanto la poligamia (di cui però non tutti quei vecchi Padri devono rimproverarsi, avendo alcuni ottenuto da Dio indulgente il permesso di sposare più mogli) sia difforme dalla natura del Matrimonio, è dimostrato da quelle parole del Signore: Per questo lascerà l'uomo il padre e la madre e si unirà colla sua moglie; i due saranno una sola carne. E subito dopo: Dunque non sono più due, ma una sola carne (Mt 19,5). Cosi volle mostrare che il matrimonio fu da Dio istituito in modo da consistere nell'unione di due sole persone e non di più. Verità cotesta esplicitamente asserita anche altrove. Egli dice: Chi ripudia la moglie e sposa un'altra, è adultero. E se la moglie, ripudiato il marito, sposa un altro, è adultera (Mc 10,11). Se infatti al marito fosse lecito sposare più mogli, non si vede perché dovrebbe dirsi adultero quando, oltre la moglie che ha in casa, ne impalma un'altra, e non quando, congedata la prima, si unisce con una nuova. Tanto è vero che se un infedele, il quale secondo le consuetudine del suo popolo ha parecchie mogli, si converte alla vera religione, deve per ordine della Chiesa lasciarle tutte, ritenendo solo come per legittima la prima sposata.

294. Indissolubilità del Matrimonio cristiano


Sempre con le parole di Cristo è facile provare che il vincolo matrimoniale non può essere spezzato da nessun divorzio. Se dopo avere ricevuto il libello del ripudio la moglie fosse sciolta dalla legge maritale, le sarebbe lecito senza colpa di adulterio unirsi in matrimonio con un altro uomo. Invece il Signore sentenzio perentoriamente: Chi rimanda la propria moglie e ne prende un'altra, è adultero (Lc 16,18). Il vincolo coniugale dunque può essere spezzato solo dalla morte. Anche l'Apostolo lo afferma, quando scrive: La moglie è legata alla legge, finché il marito vive; quando questi sia morto, essa è affrancata dalla legge, e può sposare chi vuole, nel Signore (1Co 7,39). E poco prima: Non io, ma il Signore cosi comanda a coloro che sono uniti in Matrimonio: La moglie non si allontani dal marito; qualora se ne allontani, non si risposi, o cerchi di riconciliarsi col proprio marito (1Co 7,10). L'Apostolo lascia cosi alla moglie, che per una ragionevole causa abbandoni il marito, questa alternativa: che rimanga senza marito o si riconcili con lui. Né la Chiesa consente agli sposi di allontanarsi l'uno dall'altro senza gravissimi motivi.

Perché non sembri troppo dura la legge matrimoniale, che importa l'indissolubilità, se ne devono prospettare i vantaggi. Ricordino innanzi tutto gli uomini che nel concludere il matrimonio occorre tener conto della virtù e dell'affinità spirituale, molto più che delle ricchezze e della bellezza. Si potrebbe provvedere meglio di cosi al bene della comune convivenza? In secondo luogo riflettano che se il Matrimonio potesse rompersi col divorzio, non mancherebbero mai ragioni di dissidio, giornalmente messe avanti dall'antico avversario della pace e della pudicizia. Mentre se riflettono che, pur allontanati dalla convivenza coniugale, perdura l'efficacia del vincolo matrimoniale ed è sottratta la prospettiva di poter prendere un'altra moglie, i fedeli saranno molto più guardinghi dal farsi trascinare dall'ira e dalla discordia. Pur separati dall'altro coniuge, finiranno col sentirne vivo desiderio, e facilmente l'intervento degli amici porterà alla riconciliazione.

I Pastori non tralasceranno di ricordare a questo proposito l'ammonizione di sant'Agostino, il quale per indurre i fedeli a non essere troppo restii a perdonare alle mogli congedate per adulterio, purché pentite del misfatto, interrogava: Perché il marito non accoglierà una moglie che la Chiesa accoglie? e perché la moglie non perdonerà al marito adultero ma penitente, dal momento che anche Cristo gli perdono? (Dei con. adulter. 2,6). La frase biblica: E sciocco chi tiene con sé un'adultera (Pr 18,22), vale per colei che, avendo peccato, non vuole ravvedersi.

Da tutto ciò si rileva come il Matrimonio dei cristiani supera di gran lunga in nobiltà e perfezione sia quello dei pagani sia quello degli Ebrei.

295. Effetti del sacramento del Matrimonio


I Pastori insegnino ai fedeli che tre sono i beni del Matrimonio: la prole, la fede, il sacramento. Con essi sono neutralizzate quelle pene cui allude l'Apostolo con le parole: Sperimenteranno la tribolazione della carne (1Co 7,28); e le unioni sessuali, che al di fuori del Matrimonio apparirebbero giustamente riprovevoli, ne vengono nobilitate e contestate.

Il primo bene è costituito dalla prole, cioè dai figli ottenuti da una legittima moglie. Cosi importante appariva questo bene all'Apostolo, da dire: La donna sarà salvata mediante la generazione dei figli (1Tm 2,15).

Questo inciso non va inteso come allusivo alla semplice procreazione, ma anche alla formazione spirituale per la quale i figli sono educati alla pietà. Aggiunge infatti l'Apostolo: se essi permarranno nella fede.

Ammonisce poi la Scrittura: Hai dei figli? Istruiscili e piegali dai giorni della loro infanzia (Si 7,15). San Paolo riproduce il comando (Ep 6,4 Col 3,20), e nella Scrittura Tobia, Giobbe ed altri santi Padri, offrono esempi dei magnifici risultati di questa disciplina. Ma quali siano i doveri dei genitori e dei figli, sarà spiegato più diffusamente nel quarto precetto del Decalogo.

Il secondo bene è la fede, non già intesa come quell'ambito di virtù che riceviamo all'istante del Battesimo, ma come quella fedeltà in virtù della quale marito e moglie si legano tanto strettamente a vicenda da trasmettersi la potestà del proprio corpo, e da giurarsi perpetua osservanza del patto coniugale. Ciò risulta dalle parole pronunciate dal primo uomo nel momento di ricevere Eva per moglie (Gn Il,24); parole che Cristo ratifico nel Vangelo: Per questo lascerà l'uomo il padre e la madre e s'unirà colla sua moglie; e i due saranno una sola carne (Mt 19,5). E risulta pure dal passo dell'Apostolo: La moglie non ha potestà sul proprio corpo, ma l'ha il marito; parimente il marito non ha potere sul proprio corpo, ma lo ha la moglie (1Co 7,4).

Si comprendono perfettamente le gravissime minacce lanciate dal Signore nel vecchio Testamento contro gli adulteri che violano la fede coniugale (Lv 20,10). Tale fede inoltre esige che marito e moglie siano stretti da un amore particolare, puro e santo, sicché si amino non come adulteri, ma come Cristo amo la sua Chiesa. Questa è la regola dell'Apostolo: Mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la sua Chiesa (Ep 3,25) che egli predilesse con affetto inesauribile, unicamente volto al suo vantaggio.

Il terzo bene, denominato sacramento, consiste nell'infrangibile vincolo matrimoniale poiché, secondo l'Apostolo, il Signore ha imposto alla moglie di non abbandonare il marito, di restare, qualora se ne allontani, senza marito, oppure di riconciliarsi con lui; al marito comanda di non mandar via la propria moglie (1Co 7,10). Infatti il Matrimonio esprime, in quanto sacramento, l'unione di Cristo con la Chiesa, e poiché Cristo mai si separa dalla Chiesa, è necessario che, per quanto riguarda il vincolo coniugale, la moglie non possa mai separarsi dal marito.

296. Doveri coniugali


Affinché la santa società coniugale perduri più serena, devono essere inculcati i doveri del marito e della moglie, quali furono descritti da san Paolo e da san Pietro, principe degli Apostoli.

S'impone al marito l'obbligo di trattare con generosità e onore la moglie. Si ricordi che Adamo chiamo compagna, Eva: la donna che mi desti a compagna (Gn 3,12). Perciò, secondo l'insegnamento di alcuni Padri, Eva non fu tratta, ad esempio, dai piedi dell'uomo, ma dal suo fianco; né dal suo capo, affinché capisse di essere, non padrona, ma suddita del marito. Inoltre è bene che il marito sia costantemente occupato in qualche onesta professione per provvedere il necessario al sostentamento della famiglia, e per non poltrire nell'ozio, padre di tutti i vizi. Infine deve saggiamente organizzare la famiglia, correggere i costumi di tutti i membri di essa, sorvegliare su ciascuno perché adempia il suo compito.

Alla moglie incombono i doveri indicati dal Principe degli apostoli: Le mogli siano soggette ai loro mariti, sicché se alcuno di questi non crede alla parola (di Dio), sia guadagnato, senza la parola, dalla condotta esemplare della compagna, valutandone la santità unita al rispetto. Non siano loro vanto la capigliatura bene acconciata, ornamenti d'oro, sfoggio delle vesti: ma cercate piuttosto di adornare l'interno del cuore, coltivato nella integrità di uno spirito schivo e modesto, ricco al cospetto di Dio. Cosi una volta si ornavano le sante donne, ricche di speranza in Dio, soggette ai propri mariti. Cosi Sara obbediva ad Abramo, chiamandolo signore (1P 3,1-6). Sia loro somma cura educare i figli nell'amore della religione e sorvegliare l'andamento della casa. Stiano volentieri in casa, se il bisogno non le costringa ad uscire; e in tal caso chiedano sempre il permesso allo sposo. Infine - ed è qui l'essenza dell'unione matrimoniale - ricordino sempre che per volontà divina nessuno devono amare ed apprezzare più del marito, al quale obbediranno prontamente in tutto ciò che non sia in contrasto con la virtù cristiana.

297. Riti nuziali: impedimenti matrimoniali


I Parroci faranno bene a illustrare le cerimonie che accompagnano la celebrazione del Matrimonio. Non registreremo qui le regole emanate in proposito dal sacro concilio di Trento con diligenza e abbondanza. I Parroci non possono ignorare i suoi decreti. Ci limiteremo a raccomandare loro di studiare bene la dottrina del Concilio su questo punto, e di esporla coscienziosamente ai fedeli.

Insisteremo piuttosto nel ricordare loro di ammonire senza stancarsi i giovani e le ragazze, la cui età è contrassegnata da tanta leggerezza, a non iniziare, sotto illusione parvenze nuziali, rapporti di turpi amori. Proclamino solennemente che non sono veri e legittimi matrimoni quelli contratti senza la presenza del Parroco, o di altro sacerdote delegato da lui o dall'Ordinario, e di un certo numero di testimoni.

I Pastori devono poi additare con cura ciò che impedisce il Matrimonio. Molti gravi e dotti autori, che scrissero sui vizi e le virtù, si fermarono su questo tema con tale accuratezza, che a tutti sarà facile ricavarne sufficiente istruzione; tanto più che si tratta di libri che i Pastori devono aver sempre sotto mano. Leggano attentamente le prescrizioni in essi contenute, e poi quanto il santo concilio di Trento ha stabilito circa gli impedimenti che scaturiscono dalla parentela spirituale, dalla pubblica onestà, dalla fornicazione; e ne parlino poi ai fedeli.

Da quanto si è detto emerge quali sentimenti debbano animare i fedeli che contraggono Matrimonio. Non pensino di stringere un contratto umano, ma di compiere un atto divino, il quale esige speciale integrità di spirito e grande pietà, come mostrano a sufficienza gli esempi dei Padri dell'antico Patto. Essi andando a nozze, seppure non insignite di dignità sacramentale, ritennero sempre di dover portare ad esse massima riverenza religiosa e purità di cuore.

Fra l'altro si esortino specialmente i figli di famiglia a rendere ai loro genitori, e in genere a coloro da cui dipendono, l'onore di non contrarre Matrimonio a loro insaputa, o nonostante la loro opposizione. Vediamo nel vecchio Testamento come il matrimonio dei figli è sempre concertato dai genitori. Anche l'Apostolo sembra raccomandare che su questo terreno ci si attenga molto al volere del padre e della madre, quando dice: Chi congiunge in Matrimonio la propria figliuola, fa bene; e chi non la sposa fa meglio (1Co 7,38).

Rimane infine da esporre quel che riguarda l'uso del matrimonio. I Parroci ne parlino in modo che dalle loro labbra non esca parola capace di offendere le orecchie e l'animo degli ascoltatori, o di muovere a riso. Come i discorsi del Signore sono casti, cosi conviene in particolare al dottore del popolo cristiano usare parole improntate a serietà e purezza di mente.

Due ammaestramenti in proposito saranno impartiti ai fedeli: primo, che non devono usare del Matrimonio esclusivamente per voluttà libidinosa, ma per quei fini che Dio ha prescritto e che abbiamo sopra segnalato. Occorre ricordare la raccomandazione dell'Apostolo: Chi ha moglie, sia come se non l'avesse (1Co 7,39); e il detto di san Girolamo:Il saggio amerà ragionevolmente, non per istinto di passione, sua moglie: frenerà l'impeto carnale, non cercherà freneticamente l'accoppiamento. Nulla di più turpe che amare la propria moglie come una sgualdrina (Contro Jn I,49). E poiché ogni bene deve essere umilmente chiesto a Dio, il secondo ammaestramento da impartire ai fedeli riguarda l'astensione saltuaria dall'atto coniugale, per pregare Dio. Sappiano che tale norma deve principalmente osservarsi tre giorni almeno prima di ricevere la santa Eucaristia, e più spesso durante la celebrazione del digiuno quaresimale, come i nostri Padri giustamente e piamente prescrissero. Cosi i coniugi sentiranno crescere giornalmente i beni del Matrimonio, sotto l'influsso della grazia divina. E, battendo i sentieri della virtù, non solo trascorreranno serenamente la vita terrena, ma nutriranno speranza verace di conseguire, per misericordia di Dio, la beatitudine sempiterna.


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