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Tanti motivi PER CREDERE

Ultimo Aggiornamento: 26/09/2009 21:41
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22/09/2009 15:26
 
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PERCHE’ CREDERE

SPUNTI DI APOLOGETICA

Introduzione

Quante volte coloro che non credono in Dio hanno rivolto a noi cattolici domande che riguardano le ragioni della nostra Fede? Quante volte a scuola, sul lavoro, in famiglia, tra amici, ci è stato chiesto perché siamo così sicuri che Dio esiste, che quella cristiana è la sola vera reli­gione, che la Chiesa cattolica e non altre è l'unica fondata da Gesù Cri­sto? E con quali prove, ci è stato domandato, possiamo dimostrare che quel che è scritto nei Vangeli è tutto vero?

Di fronte a queste domande, confessiamolo, il più delle volte bal­bettiamo una risposta o non sappiamo nemmeno dire una parola.

Ai più sensibili tra noi spiace che la nostra ignoranza ci abbia fatto perdere un'occasione per suscitare nell'interlocutore qualche dubbio riguardo alle sue convinzioni. La coscienza ci fa capire che qualche infor­mazione in più sul perché crediamo in Dio e siamo cattolici non ci farebbe male, ma poi passa il tempo, incombono altre preoccupazioni, e fino alla prossima occasione non ci torna in mente il dovere di imparare a rendere ragione della speranza che è in noi.

Le pagine che seguono vogliono offrire un primo rimedio a questa mancanza. Mancanza grave, perché chi ci rivolge queste domande, anche se talvolta sembra provocarci o deridere le nostre convinzioni religiose, in realtà si trova ben disposto ad ascoltare, attraversa un momento di ricerca del senso della sua vita, della verità su Dio, la Chiesa, l'uomo e il mondo. E la nostra ignoranza può essere causa di una sua mancata ade­sione alla vera Fede e alla vera Chiesa. Data la posta in gioco, questa ignoranza va decisamente estirpata.

Questo è un manuale di apologetica elementare. L'apologetica espone le ragioni della Fede e difende la Verità dalle obiezioni e dall'er­rore. È materia fuori moda, disciplina dimenticata, osteggiata da molti anche in casa cattolica, quando tenta timidamente di riemergere. Ma tutto questo non ci importa.

L'apologetica è sempre un contributo per accrescere le certezze di chi crede e per eliminare dubbi e timori di chi non crede, per vincere gli attacchi alla Fede e alla Chiesa cattolica, per provocare discussioni e per ribattere luoghi comuni.

Questo è un manuale destinato ad ogni cattolico stanco di sentirsi dire che ragione e Fede non possono andare d'accordo, che scienza e Fede sono avversarie irriducibili e inconciliabili, che i Vangeli sono rac­conti mitologici, che l'uomo moderno, con la sua cultura, ha risolto una volta per tutte il problema di Dio, catalogandolo come affare per igno­ranti, superstiziosi e bigotti. Niente di più falso di queste ingiustificate convinzioni e chi legge queste pagine, lo speriamo, se ne potrà render conto.

Perché credere (spunti di apologetica) è un libro destinato a tutti. Preferibilmente, ma non esclusivamente, ai giovani che frequentano le superiori, dove accade non di rado che quanto studiano sia loro inse­gnato per schernire la Fede cattolica e svalutare la cultura che ne deriva. E quando scelgono di avvalersi dell'insegnamento della Religione catto­lica, si trovano, anche in questo caso non di rado, ad avere insegnanti nella cui mente i dubbi sulla Fede superano le certezze.

Questo manuale vuole fornire ai Cattolici argomenti per convin­cersi della ragionevolezza della Fede e per convincere di questo chi non crede. Un manuale che è destinato a credenti e a non credenti.

Se qualche ateo, pertanto, ne volesse scorrere le pagine, noi cre­diamo che non mancherà di ricavarne benefici. Siamo sinceri: sono pagine scritte con lo scopo di provocargli dubbi, di suscitargli interesse per la Fede, affinché la sua conversione a Dio - che non dipende solo da questo manuale, s'intende - sia più facile. Questo è il nostro proponi­mento; quanto alle probabilità di successo staremo a vedere.

Qualche cosa queste pagine possono dire anche ai Cristiani non cattolici, specie a quanti si richiamano alle confessioni protestantiche. Questi hanno il dono della Fede nell'unico Dio, Padre Figlio e Spirito Santo, ma nel Vangelo non sembrano scorgere alcunché di positivo circa la Chiesa cattolica. Anche loro preavvertiamo: confidiamo che le pagine che seguono suscitino il desiderio di scoprire la bellezza e la verità della Chiesa cattolica-romana e portino ad un ripensamento delle loro errate convinzioni.

Per ottenere questi obiettivi, ecco delineato il percorso che affron­teremo.

Oggi, nelle nostre scuole, salvo benemerite eccezioni, uno stu­dente si sente dire che la ragione dell'uomo non può dire nulla di certo su Dio. Dopo Kant (1724-1804), viene insegnato che le prove dell'esi­stenza di Dio di san Tommaso (1224-1274) sono definitivamente tra­montate. La ragione si è arresa, ha alzato bandiera bianca. Siamo giunti al trionfo del pensiero debole. E così, studenti che credono in Dio si ten­gono per sé la loro Fede - in qualche caso sarebbe meglio parlare di fideismo - quando non la perdono, e nulla hanno da dire ai loro coetanei non credenti. La Fede sembra dipendere da un incidente dell'evoluzione biologica, dal caso: c'è chi l'ha e chi no, come i capelli biondi.

Il Cattolico pensa esattamente il contrario. Si può dimostrare l'esi­stenza di Dio, perché la ragione umana è capace, anche senza l'ausilio della Fede, della Rivelazione e della Chiesa, di giungere alla certezza intellettuale che esiste un Essere superiore, Dio.

Per giustificare tale convinzione, questo manuale ci fornirà qualche elementare nozione di filosofia. Il lettore non si spaventi di fronte a que­sta parola: le pagine che seguono sono di facile lettura, adatte a tutti, non sono per specialisti i quali, anzi, vi troveranno ragionamenti troppo scarni, molto modesti, carenti e certo poveri, banalmente semplificati. Ma è proprio ciò che vogliamo: offrire le nozioni più elementari, anche a costo di apparire superficiali; vogliamo proporre un manuale di primo intervento per discussioni, per confronti, per scontri di opinioni diverse su Dio, sui Vangeli e sulla Chiesa, sui rapporti tra scienza e Fede, una specie di pronto soccorso ai cattolici per sostenere a spada tratta la ragio­nevolezza della Fede cattolica. Nulla vieta a chi lo desidera di sviscerare gli argomenti trattati rivolgendosi ad altri testi. Anzi, confidiamo ferma­mente che il nostro lavoro susciti desiderio di approfondimento.

Nell'opera di promozione della ragionevolezza della Fede, ci darà una mano anche la scienza. Sì, proprio la scienza, cioè le conclusioni cui giungono gli scienziati nei loro studi. Oggi sono sempre più numerosi quelli convinti che l'immensa bellezza dell'universo, l'ordine meravi­glioso che regna nel macro e nel microcosmo e il finalismo intrinseco della natura non si possono attribuire al cieco caso. Al contrario: tutto postula l'esistenza di un progetto, di un progettista, di Dio. Oggi la scienza è una finestra spalancata su Dio, anche se essa non si occupa fon­damentalmente di Lui. A scuola tutto ciò non viene insegnato. Queste pagine, invece, lo evidenziano.

La parte di questo manuale che tratta dell'esistenza di Dio è un'arma culturale nelle mani di ogni cattolico, specialmente se studente. Un'arma che va usata, avendo il coraggio di alzare la mano davanti a quel professore infatuato del pensiero debole, o esplicitamente ateo, per dirgli con spontanea e giovanile franchezza che le sue idee non sono ragionevolmente condivisibili. Forse il professore, dall'alto della sua sapienza, non cambierà subito parere. Ma forse, nell'intimo della sua coscienza, comincerà a riflettere, a interrogarsi sulle sue apodittiche cer­tezze, e già questo potrebbe essere un primo passo sulla via di un ripen­samento. Senza contare le reazioni che potranno essere suscitate nella mente dei compagni di classe. Anche questa è opera di evangelizzazione, è militanza cattolica.

Ovviamente, Perché credere (spunti di apologetica) tornerà utile anche a quei professori, specialmente di religione ma non solo, che svol­gono il loro lavoro come deve essere svolto da ogni cattolico autentico, cioè come fosse una missione, un'opera di evangelizzazione, di promo­zione della Fede e della cultura cattolica. Quando discuteranno con i loro studenti, magari per ribattere affermazioni di colleghi agnostici che i ragazzi non sono in grado di valutare criticamente, potranno utilmente usufruire di qualche argomentazione che qui si trova.

Un'altra parte di questo manuale tratta dell'esistenza storicamente accertata di Gesù di Nazareth. Talvolta, qualcuno la mette in dubbio. L'Enciclopedia Sovietica di impostazione marxista affermava che il Fon­datore del Cristianesimo è un personaggio mitologico. Un noto studioso italiano, Paolo Flores D'Arcais, intervistato nel corso di un famoso pro­gramma televisivo ("Credere non credere", curato dal giornalista Sergio Zavoli), si lasciava sfuggire un'espressione di questo tipo: "abbiamo frammenti che probabilmente ci dicono che è esistito Gesù", subito ripreso a ragione dal cardinale Tonini, che era presente. Vedremo che Gesù Cristo è realmente esistito e lo confermano prove storiche convincenti, altro che frammenti.

Non solo Gesù Cristo è un personaggio storico. Anche i Vangeli sono documenti storici attendibili, autentici, integri e veritieri, con buona pace di quegli esegeti e di quei teologi che ancora oggi ne conte­stano lo spessore storico, minando alle basi - speriamo inconsapevol­mente - la solidità e soprattutto il contenuto della Fede cattolica. "Stia­mo molto attenti - dichiarava Jean Guitton a Vittorio Messori nel bel li­bro "Inchiesta sul Cristianesimo" - quasi sempre la perdita della Fede ha le sue radici nei primi dubbi sulla storicità dei Vangeli" (Oscar Monda­dori, 1993, p. 68). Questo è un monito che ogni cattolico, la cui vita è spesa nel combattimento per la Fede, deve ricordare. Questo manuale offrirà utili elementi per convincersi della storicità dei Vangeli.

E quando avremo mostrato l'attendibilità storica dei Vangeli, non ci sarà difficile esporre il fondamento del Primato di Pietro e la credibilità della Chiesa cattolica. Anzi, anche qui lasciamo da parte ogni diploma­tico pudore: questo manuale sostiene che soltanto la Chiesa cattolica, e non altre, ha le carte in regola per dichiararsi fondata da Gesù Cristo. Non sarà un discorso troppo ecumenico, dirà qualcuno. Noi pen­siamo proprio il contrario: quando c'è di mezzo la Verità non sta a noi fare troppi calcoli e di questa franchezza se ne gioveranno cattolici e non cattolici. Altri diranno che il nostro intendimento di guadagnare con­sensi alla Fede cattolica è una spudorata forma di proselitismo. Rispon­diamo loro: avete capito tutto e bene: vogliamo fare proseliti, guada­gnare consensi alla causa del Vangelo e della Chiesa e lo dichiariamo apertamente. "Fate discepoli" ci è stato ordinato due millenni addietro da un certo Gesù di Nazareth (Mt 28, 19). E un cattolico prende queste parole alla lettera.

Queste pagine sono solo un contributo, certo modesto, ma un contributo che va proprio nella direzione di aiutare chi non crede a con­vertirsi e chi non è cattolico a diventarlo. Abbiamo fatto ciò che è in nostro potere, il resto spetta a Dio e agli interlocutori.

Un modo di impiegare bene queste pagine potrà utilmente essere quello di sfruttarle come traccia da seguire in corsi di formazione e di catechesi che si tengono in parrocchie o presso le sedi di gruppi, di asso­ciazioni e di movimenti. Nel mondo nostro, quello cattolico, quello delle parrocchie, degli oratori, dei gruppi e delle associazioni, ci si lamenta spesso che dopo erculei sforzi per organizzare incontri, corsi, dibattiti e lezioni, i nostri giovani non sanno che farsene della Fede e cercano altrove le ragioni e il senso della loro vita.

Ecco una proposta: perché non far loro studiare queste pagine, perché non organizzare un corso elementare di apologetica, perché non "inchiodarli" alla sedia, quando frequentano corsi e riunioni, mostrando la ragionevolezza della Fede, invece di riempir loro il cervello di "pro­getti educativi" di stampo sociologico e psicologico di cui non sanno che farsene.

Quello che ci vuole, anche e soprattutto per i nostri giovani, è il rilancio della tanto vituperata apologetica. Se non si insegna loro le ragioni della Fede, non avranno ragione di conservarla.

Qui parliamo per esperienza. Il nostro lavoro raccoglie la prima parte di un corso di formazione apologetica tenuto nei mesi scorsi, prima di dar vita al Centro Cattolico "IL TIMONE". Oltre 50 giovani ascoltavano la dimostrazione dell'esistenza di Dio. Una buona dozzina si dichiarava atea. Posso assicurare che l'interesse era elevatissimo, le domande numerose e tutte pertinenti, anche le contestazioni ben poste, perché l'esistenza di Dio è ancora il tema più affascinante per i giovani.

L'apologetica, allora, non solo è necessaria ma è anche avvincente e capace di conquistare anime.

Se qualcuno ne fosse convinto, queste pagine sono per lui.

L'esistenza di Dio: il pensiero cattolico

'Ora, si dà il fatto che io conosca, per un caso straordinario, la verità sulla più dibattuta delle cause e sul più antico dei processi: Dio esiste, io l'ho incontrato'.

(ANDRÉ FROSSARD, Dio esiste. Io l'ho incontrato, SEI, Torino 1994, p. 12)

 

l. Ogni cattolico crede fermamente che Dio esiste. Egli è chia­mato non solo a motivare questa certezza, ma anche a difenderla dall'at­tacco di quanti la contestano. Affinché la difesa abbia successo, è necessa­rio confutare le opinioni avverse, respingerle, mostrandone punti deboli e incoerenze. Ma prima è bene che ogni cattolico, specie se militante, conosca le ragioni delle proprie convinzioni. Ecco perché questo capitolo è dedicato al pensiero cattolico riguardante l'esistenza di Dio.

 

2. Dio esiste! Lo rivela la Sacra Scrittura, lo afferma la Sacra Tradi­zione e lo insegna infallibilmente il Magistero della Chiesa. Per questa ragione, nessun cattolico, se intende conservare tale titolo e rimanere in comunione con la Chiesa, può dubitare dell'esistenza di Dio.

 

3. Dedicato principalmente, ma non esclusivamente, ai cattolici, questo capitolo potrà interessare come documentazione anche agli atei e agli agnostici.

 

L'insegnamento della Sacra Scrittura

 

4. Che Dio esiste lo afferma in primo luogo ogni pagina della Sacra Scrittura, che per un cattolico è Parola di Dio. La Bibbia insegna che la sua esistenza è conoscibile anche con le sole forze dell'intelletto umano, e chi osa negarla è definito "stolto". Così leggiamo nel primo versetto del Salmo 13: "Lo stolto pensa: non c'è Dio" e nel primo versetto del Salmo 52. "Lo stolto pensa: Dio non esiste".

 

5. Per il noto Dizionario Biblico di John McKenzie, nell'Antico Testamento lo stolto è "una persona senza intelligenza", colpevole dinanzi a Dio perché rifiuta consapevolmente di riconoscerne la presenza e l'azione (v. voce "stolto", pp. 953-954).

 

6. Quanti negano l'esistenza di Dio sono detti stolti anche nel Libro della Sapienza: "Davvero stolti per natura tutti gli uomini che vive­vano nell'ignoranza di Dio, e dai beni visibili non riconobbero Colui che è, non riconobbero l'Artefice, pur considerandone le opere" (13, 1).

 

7. In questo importante passo biblico viene indicato il percorso che la ragione umana, anche senza l'ausilio della Rivelazione divina, può e deve compiere per scoprire l'esistenza di Dio: partire dalla considera­zione delle cose create per giungere al loro Creatore; dall'esame delle perfezioni del creato per contemplare le perfezioni del Creatore.

 

8. Per san Paolo, anche i pagani sono in grado di conoscere che Dio esiste. Scrive l'apostolo delle genti: "Ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'in­telletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità" (Rm 1,19-20).

 

9. Se l'esistenza di Dio è naturalmente conoscibile dalla ragione umana, quanti la negano per colpa propria, sono "(...) inescusabili, per­ché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria, né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa" (Rm 1, 21).

 

10. Forte del pensiero di san Paolo, il cattolico non apprezza cul­turalmente quelle filosofie che negano l'esistenza di Dio. Evidentemente, ogni cattolico deve amare anche quanti si dichiarano atei, pregare e lottare perché la loro mente si apra alla luce della Fede e si convertano. Ma conserva tutta la consapevolezza che sulle cose che contano - Dio, immortalità dell'anima, natura dell'uomo, senso della vita, scelte morali - il pensiero ateo non ha nulla da insegnare a chi crede.

 

11. Oggi, questa ferma convinzione urta la suscettibilità anche di non pochi credenti. Persone importanti, titolate, distintesi in svariati campi dell'agire umano, talvolta con merito, non mancano di esternare la loro incredulità con inflessibile sicurezza: Dio non esiste, sentenziano. Dinanzi alle loro opinioni, molti cattolici si sentono disarmati e si rifu­giano in un difensivistico relativismo: a ciascuno il suo pensiero, comun­que meritevole di apprezzamento e di rispetto, anche se non condivisi­bile. In materia di Fede questo atteggiamento ci pare errato. Il cattolico è confortato da quanto insegna, a ragione, il cardinale Giacomo Biffi: "Non dobbiamo preoccuparci troppo di ciò che dicono sulle cose importanti uomini famosi, premi Nobel, atleti e cantanti, perché su queste tematiche possono essere analfabeti" (in Avvenire, 18.4.1997).

 

12. Per concludere: la Sacra Scrittura insegna che Dio esiste certis­simamente e ogni uomo, anche chi non crede, con la sua ragione può risalire al Creatore, contemplando le perfezioni del creato.

 

L'insegnamento dei Santi Padri

 

13. Fin dall'antichità cristiana, 'padre' era considerato colui che, insegnando i contenuti della Fede, generava figli spirituali, cioè nuovi credenti. San Paolo scrive: "Potreste infatti avere anche diecimila pedago­ghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il Vangelo" (1 Cor 4,15). Di seguito esponiamo il pensiero di alcuni dei Santi Padri. È bene che i cattolici, soprattutto i militanti, ne conoscano il contenuto ai fini della loro opera evangelizza­trice.

 

14. Clemente Alessandrino (Atene 150ca. - 212 ca.), uomo col­tissimo, convertito fin da giovane, padre della filosofia cristiana, direttore di una delle migliori scuole di teologia, quella di Alessandria, scriveva: “La Divina Provvidenza si manifesta alla semplice vista delle cose visibili, tutte fatte con arte e sapienza e svolgentisi con ordine e con ordine manife­stantisi” (Stromata, 5).

 

15. Tertulliano (Cartagine 160-220), il primo grande teologo della Chiesa latina, strenuo avversario dell'eresia gnostica, prima di ab­bracciare, purtroppo, quella montanista, scriveva nel suo celebre Apolge­ticur. "(...) e questo è il massimo delitto di quelli che non vogliono conoscere Colui che non possono ignorare. Volete una conferma delle tante e sì mera­vigliose sue opere, da cui siamo conservati, sostentati, ricreati e magari anche atterriti?" (L'Apologetico, Paoline, Roma 1950, p. 104).

 

16. Lattanzio (Numidia 250 ca. Treviri 325 ca), ritenuto da san Girolamo l'uomo più colto del suo tempo, precettore del figlio dell'im­peratore Costantino, scriveva nel Liber de vita beata: "Dio è conoscibile da noi non congli occhi, o con altro fragile senso corporeo; ma lo si deve mirare con gli occhi della mente vedendo le sue opere splendide e meravigliose" (Liber de vita beata, 9).

 

17. S. Agostino (350 - 430), uno dei più grandi pensatori di tutti i tempi, scriveva: "Interroga la bellezza della terra, del mare, dell'aria rarefatta e dovunque espansa; interroga la bellezza del cielo... interroga tutte queste realtà. Tutte ti risponderanno: guardaci pure e osserva come siamo belle. La loro bellezza è come un inno di lode. Ora, queste creature, così belle ma pur mutevoli, chi le ha fatte se non uno che è bello in modo immutabile?" (Sermo 241).

 

18. Riguardo l'esistenza di Dio, il pensiero cattolico ci offre un se­condo dato: i Santi Padri insegnano che le realtà visibili sono una traccia che rimanda all'Invisibile Dio. A questo proposito, l'esortazione di s. Agostino ad interrogare il creato suona come un esplicito invito a do­mandare la causa, la ragion d'essere del creato - e questo è compito della filosofia - per giungere ad affermare l'esistenza di un Creatore.

 

19. Il cattolico fa tesoro della dottrina dei Santi Padri e la espone anche a quei fratelli nella Fede che, errando, sostengono posizioni similari al pensiero debole, secondo il quale la ragione umana nulla può dire con certezza su Dio.

 

L'insegnamento del Magistero ecclesiastico

 

20. La Costituzione Dei Filius, approvata nel Concilio Vaticano I (1869-1870), dichiara: "La Santa Madre Chiesa tiene e insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza col lume naturale della ragione umana attraverso le cose create".

 

21. Questa verità è talmente vincolante per ogni cattolico che è prevista la scomunica per coloro che la contestano: "Se qualcuno dirà che Dio uno e vero, Creatore e Signore nostro, non può essere conosciuto con cer­tezza col lume naturale della ragione umana per mezzo delle cose che sono state fatte, sia anatema" (Concilio Vaticano 1, Canone 1). Qui anatema equivale a scomunica.

 

22. Affermando che la ragione umana, basandosi solo sulle sue capacità, è in grado di giungere alla certezza intellettuale dell'esistenza di Dio, il Concilio non intende per ciò stesso sostenere che questo sia un compito facile. E nemmeno intende dire che tutti gli uomini, di fatto, arrivano con la sola ragione alla certezza dell'esistenza di Dio. Il Concilio si limita a dichiarare solo il potere che ha la ragione.

 

23. Nel giuramento antimodernista del 1910, san Pio X insegna: "E in primo luogo: professo che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere certamente conosciuto, e perciò se ne può dimostrare l'esistenza, con il lume naturale della ragione ‘attraverso le cose create’ (cf Rm 1,20), cioè attraverso le opere visibili della Creazione, come causa attraverso gli effetti".

 

24. Pio XII scrive nell'Enciclica Humani generis del 12 agosto 1950: "Tutti sanno quanto la Chiesa apprezzi il valore della ragione umana, alla quale spetta il compito di dimostrare con certezza l'esistenza di un solo Dio personale".

 

25. II Concilio Vaticano II (1962-1965) riprende gli insegna­inenti del Magistero e li conferma ulteriormente: "Dio il quale crea e con­serva tutte le cose per mezzo del Verbo offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di Se" (Dei Verbum, n. 3).

 

26. E ancora: "Il Sacro Sinodo professa che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza col lume naturale dell'u­mana ragione dalle cose create" (Dei Verbum, n. 6).

 

27. Anche Paolo VI, in una delle catechesi del Mercoledì, inse­gnava: "Come si fa, come si fa a conoscere Dio? Questa è la grande que­stione che tormenta lo spirito moderno (...). Dovremo rinunciare a tale con­quista? L'ateismo moderno risponde: dobbiamo rinunciare (..) invece la Chiesa non rinuncia alla conquista di Dio. Diciamo: non nega alla mente umana la capacità di arrivare alla conoscenza di Dio" (27.11.1968).

 

28. Riguardo l'esistenza di Dio il pensiero cattolico ci offre un terzo dato: l'insegnamento dei concilii e dei Papi conferma che la ragione umana è in grado di giungere alla certezza intellettuale dell'esi­stenza di Dio partendo dalla riflessione sulle cose create.

 

29. Il cattolico, ai fini della sua battaglia apologetica, memore di questo insegnamento della Chiesa, registra l'accadere, ancora una volta, di quello strano fenomeno che alcuni definiscono "eterogenesi dei fini". Ricorda che l'epoca moderna è sorta a partire dal dogma illuministico della onnipotenza della ragione, ritenuta in grado di vincere le supersti­zioni religiose e di mandare definitivamente a riposo ogni credo, dunque anche il Cattolicesimo, ritenuto dogmatico e pertanto non ragionevole. Dopo due secoli di lotta alla Religione, l'epoca moderna, di fronte ai colossali fallimenti, si è ormai conclusa con la resa della ragione e l'affer­mazione del pensiero debole. A difendere la dignità ed il potere della retta ragione è rimasta solo la Chiesa cattolica e la cultura che deriva dalla Fede.

 

30. Abbiamo tracciato i punti fondanti del pensiero cattolico in merito all'esistenza di Dio. Evidentemente, quelle che abbiamo ricordato sono certezze che non valgono per chi non crede, perché nascono dalla Sacra Scrittura, dall'insegnamento dei Santi Padri e da quello del Magi­stero ecclesiastico. Tuttavia, abbiamo ritenuto utile presentarle per due motivi:

- perché non sono pochi i cattolici che in questa materia hanno opinioni confuse, spesso vicine proprio al pensiero debole;

- perché ogni confutazione delle posizioni avverse alla Fede, missione imprescindibile di ogni cattolico, presuppone una conoscenza almeno elementare della fondatezza delle proprie convinzioni.

 

31. Ovviamente, il cattolico ha ottimi strumenti per dimostrare la fondatezza delle sue convinzioni anche a chi non crede. Per dimostrare che Dio esiste si servirà del potere della ragione, comune anche ai non credenti.

 

"Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell'uomo, per­ché l'uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l'uomo e soltanto in Dio l'uomo tro­verà la verità e la felicità che cerca senza posa". (CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, n. 27)

[Modificato da (Teofilo) 22/09/2009 15:28]
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La negazione dell'esistenza di Dio

 

"Il faticoso lavoro per cercare di convinceregli altri che Dio non esiste, in realtà molto spesso non è altro che un costante ricordo di Dio. Dio resta un enigma e un problema continuo, che alla fine trova la sua soluzione in un amore travolgente o in un odio selvaggio". (Cardinale STEFAN WYSZYNSKI, Uva pezzo di pane, Paoline, Alba 1982, p. 124)

 

l. Dovendo attrezzarsi per la battaglia culturale al fine di promuo­vere la ragionevolezza della Fede, per contribuire alla conversione di chi non crede e per difenderla dagli attacchi di quanti la contestano, ogni cattolico deve conoscere almeno le più elementari nozioni che riguar­dano l'ateismo.

 

2. Ateismo (a-Theos = senza Dio) significa negazione di Dio, per­ciò ateo è chi afferma che non esiste Dio.

 

3. È bene ricordare che l'ateismo diventa fenomeno di massa solo nell'epoca moderna, a partire dalla Rivoluzione francese. Mai, in passato, sono esistite civiltà o culture atee. Certamente esistevano singoli atei, ma le loro idee non influenzavano i popoli e le culture.

 

4. Nato in epoca moderna, l'ateismo è già in declino. La società post-moderna, nella quale il cattolico è immerso e dove svolge la sua opera di evangelizzazione, sta riscoprendo la dimensione religiosa. Sono sempre di più i delusi dal materialismo rozzo e volgare e si cercano nuove forme di religiosità, nuovi approcci al divino. Questo è un dato certamente positivo, da considerare attentamente per una proficua opera evangelizzatrice, anche se il cattolico constata, con preoccupazione, una esplosione di nuove religioni che con la vera Fede non hanno niente a che fare.

 

5. Stando ai dati forniti dallo studioso Massimo Introvigne, oggi esistono più di 20.000 nuove religioni. A queste si possono sommare oltre 30.000 confessioni che si definiscono cristiane.

 

6. Torniamo all'ateismo perché, sebbene in declino, non sono rari quelli che negano l'esistenza di Dio. Esso può presentarsi sotto forme diverse. Le principali sono tre:

- ateismo speculativo, o teoretico, o filosofico: è un sistema di pen­siero che nega esplicitamente o implicitamente l'esistenza di Dio.

- ateismo pratico: è un atteggiamento tipico di quanti vivono facendo completamente a meno di Dio, pur non negandone in linea di principio l'esistenza.

- ateismo militante: è una negazione di Dio che sfocia nella lotta violenta contro la Religione ed i suoi rappresentanti. In questo secolo l'esempio più manifesto di ateismo militante si è incarnato nel Comuni­smo, che ha provocato la morte di milioni e milioni di credenti e la distruzione di innumerevoli chiese ed altri edifici religiosi, educando intere generazioni all'ateismo.

 

7. Capita spesso di incontrare persone che si dichiarano atee, che negano l'esistenza di Dio. Come risponde un cattolico a queste forme di ateismo? Innanzitutto, sempre con la preghiera, implorando da Dio la con­versione di chi non crede. Una preghiera elevata a Dio con estrema fiducia, sapendo delle innumerevoli conversioni registrate nel corso della storia. Sol­tanto in questo secolo, per fare qualche esempio tra i più noti, hanno abbandonato l'ateismo uomini del calibro di Alexander Solzenicyn, di André Frossard, di Gilbert Keith Chesterton e di Vittorio Messori.

 

8. Poi il cattolico si attrezzerà per rispondere in modo mirato. All'ateismo teoretico, che è di pochissime persone, quelle che filosofano, bisogna opporsi mostrando la possibilità della ragione, quindi della vera filosofia, di giungere alla certezza intellettuale che Dio esiste. È quanto faremo nei prossimi capitoli.

 

9. All'ateismo pratico, oggi piuttosto diffuso, specialmente tra i giovani, il cattolico risponde mostrando l'insanabile contraddizione che esiste quando si è disposti ad affermare l'esistenza di Dio ma poi non si tiene conto di Lui nella vita di tutti i giorni. Dal punto di vista culturale, questa posizione non merita alcun apprezzamento.

 

10. All'ateismo militante si risponde con il combattimento corag­gioso, denunciando senza mai stancarsi tutto il male che ne deriva all'uomo e i crimini che hanno sempre accompagnato la sua storia. Il Nazional-socialismo ed il Comunismo, due delle più grandi tragedie del nostro secolo (la più grande, almeno per quanto concerne il numero delle vittime, è quella dell'aborto) sono la dimostrazione evidente dei frutti mortali dell'ateismo militante.

 

11. Poiché l'ateismo militante, specialmente quello di stampo marxista, sebbene ormai in declino in tutto il mondo, esercita ancora una certa attrazione, specialmente tra giovani e studenti che ad esso si richia­mano spesso senza conoscerne teoria e metodi, riteniamo opportuno dedicargli uno dei prossimi capitoli, per fornire al cattolico utili argo­menti per la sua battaglia culturale.

 

Agnosticismo

 

12. Agnostico è colui che ritiene la ragione umana incapace di cogliere verità certe su Dio e sull'anima. È un atteggiamento che sfocia, molto spesso, nell'ateismo pratico.

 

13. Immanuel Kant (1724-1804) va sostanzialmente considerato un agnostico, sebbene ammettesse l'esistenza di Dio. Egli però sosteneva che i poteri della nostra conoscenza non possono affermare nulla di sicuro in merito a Dio e all'anima. Sostanzialmente agnostica è anche la posizione dei fautori del cosiddetto "pensiero debole" (per es., Gianni Vattimo), i quali affermano che la ragione non è in grado di raggiungere nessuna verità certa né riguardo l'esistenza di Dio né in merito a valori morali assoluti.

 

14. L'agnosticismo è piuttosto diffuso. Il cattolico gli si oppone facendo ricorso alla ragione e difendendone la capacità di dimostrare l'e­sistenza di Dio.

 

Indifferenza religiosa

 

15. L'indifferenza religiosa è l'atteggiamento di quanti attribui­scono a tutte le religioni lo stesso valore e, nei fatti, finiscono con non seguirne alcuna. Essa sfocia spesso nell'ateismo.

 

16. È un atteggiamento molto diffuso ai nostri giorni. Un certo tipo di inconsapevole indifferenza religiosa lo registriamo anche in ambiente cattolico. Qui, una errata concezione dell'ecumenismo porta molti a credere che essere cattolici, musulmani, ebrei, buddisti o induisti non è poi così decisivo per la salvezza dell'uomo, essendo sufficiente cre­dere in Dio. La Chiesa ha sempre condannato questa posizione. Oltre­tutto, essa disarma le ragioni dell'opera di evangelizzazione che va indi­rizzata non solo verso quanti non credono, ma anche nei confronti di coloro che, pur credendo in Dio, non conoscono la vera religione.

 

17. L'indifferenza religiosa può essere "pratica", cioè di chi non pratica nessuna religione, o "teorica", cioè di chi considera false, dannose e inutili tutte le religioni, pur non escludendo l'esistenza di Dio.

 

18. Come risponde un cattolico all'indifferenza religiosa? Difficil­mente il cattolico può combattere discutendo di Dio e mostrando la ragionevolezza della Fede, perché l'indifferente non si occupa - quindi non trova interessante discutere - di Religione. La battaglia contro l'in­differenza religiosa va affrontata ricorrendo in primo luogo a mezzi spiri­tuali (la preghiera, i Sacramenti, l'offerta di digiuni e sacrifici). Tuttavia, forse uno spiraglio esiste: se l'indifferente si interessa di argomenti secon­dari (antropologia, filosofia, scienza, etc.), si potrebbe tentare di partire dai suoi interessi per giungere alla vetta di Dio.

 

Empietà

 

19. L'empietà è l'atteggiamento di chi nega l'esistenza di Dio, ma giunge fino all'odio e alla bestemmia della divinità.

 

20. Sono purtroppo molti coloro che bestemmiano Dio, ma assai pochi quelli che fanno pubblico elogio della bestemmia. Tra questi segnaliamo Manlio Sgalambro che ha scritto un Trattato dell'empietà.

 

21. Il cattolico, specialmente il militante, combatte l'empietà con mezzi spirituali (preghiera, i Sacramenti, digiuni e sacrifici), evitando lo scontro verbale con l'empio perché spesso gli si dà occasione di bestem­miare ulteriormente. Naturalmente l'empio è un miserabile ed un vigliacco e il cattolico non teme di considerarlo tale: bestemmia Dio che sta nei cieli e possiede infinita pazienza, ma solitamente si guarda bene dal combattere i potenti ed i forti di questa terra, capaci di restituire pan per focaccia. L'empio fa soltanto pena e non merita alcuna stima.

 

Le cause dell'ateismo

 

22. Lo studioso Battista Mondin, nel suo magistrale volume "Dio: chi è?" (editore Massimo), che ha fatto da guida alla nostra esposizione in questo capitolo, elenca alcuni tra i motivi per i quali l'uomo sceglie la via dell'ateismo.

 

23. Il cattolico li deve conoscere a fondo, per dotarsi degli stru­menti necessari alla battaglia contro l'ateismo e per la conversione di chi non crede.

 

24. Alcuni scelgono l'ateismo perché non credono possibile conci­liare l'esistenza di un Dio infinitamente buono con la presenza del male, soprattutto quello sofferto dagli innocenti, nel mondo.

 

25. Il cattolico sa che il male resta sostanzialmente un mistero per l'uomo, anche se il credente riceve dalla Fede risposte chiarificatrici (dopo la Croce viene la risurrezione; molto del male esistente è frutto dei peccati; vi è l'opera del demonio, etc.) e dalla sana filosofia risposte parzialmente soddisfacenti. Ma sa distinguere il male che è mistero (per esempio la sofferenza di innocenti) dal male che è provocato dalla cattiveria umana (per esempio le guerre, la fame, la povertà in genere e molte delle sofferenze sopportate da innocenti), male - quest'ultimo - che troppo comodamente viene attribuito all'indifferenza di Dio per le sorti dell'uomo.

 

26. Altri scelgono l'ateismo perché non sanno conciliare l'esistenza di Dio con la libertà dell'uomo. Se Dio esiste - essi affermano - l'uomo non è libero, e dunque preferiscono eliminare Dio. A costoro si risponde illustrando che cosa sia la vera libertà e mostrando che essa è dono di quel Dio che intendono negare. A questo scopo il cattolico potrà servirsi dell'Enciclica Veritatis splendor, di Giovanni Paolo Il, che offre abbon­danza di argomenti.

 

27. Altri invocano a sostegno del loro ateismo il "cattivo esempio" dei cattolici e della Chiesa. In questo caso, i cattolici, specialmente i mili­tanti che non rifuggono la battaglia culturale per l'affermazione della verità, dopo un serio esame di coscienza e decisi propositi di non peccare più, abbiano il coraggio di smascherare le falsità storiche che vengono promosse dalla cultura laicista dei tempi nostri e non temano di chiedere conto a chi li attacca delle loro opere.

 

28. È quanto suggerisce di fare un agnostico onesto, Leo Moulin. Ecco le sue parole, che andrebbero imparate a memoria dai cattolici: "Date retta a me, vecchio incredulo che se ne intende: il capolavoro della propaganda anti-cristiana è l'essere riusciti a creare nei cristiani, nei cat­tolici soprattutto, una cattiva coscienza, a instillargli l'imbarazzo, quando non la vergogna, per la loro storia. A furia di insistere dalla Riforma sino ad oggi, ce l'hanno fatta a convincervi di essere i responsa­bili di tutti o quasi tutti i mali del mondo. Vi hanno paralizzati nell'au­tocritica masochistica, per neutralizzare le critiche di ciò che ha preso il vostro posto.

Femministe, omosessuali, terzomondiali e terzomondisti, esponenti di tutte le minoranze, contestatori e scontenti di ogni risma, scienziati, umanisti, filosofi, ecologisti, animalisti, moralisti laici: da tutti vi siete lasciati presentare il conto, spesso truccato, senza quasi discutere. Non c'è problema, o errore, o sofferenza della storia che non vi siano stati addebi­tati. E voi, - così spesso ignoranti del vostro passato, avete finito per crederci, magari per dar loro man forte. Invece io (agnostico, ma storico che cerca di essere oggettivo) vi dico che dovete reagire, in nome della verità. Spesso, infatti, non è vero. E se talvolta del vero c'è, è anche vero che, in un bilancio di venti secoli di Cristianesimo, le luci prevalgono di gran lunga sulle ombre. Ma poi: perché non chiedete a vostra volta il conto a chi lo presenta a voi? Sono forse stati migliori i risultati di ciò che è avve­nuto dopo? Da quali pulpiti ascoltate, contriti, certe prediche?" (VITTO­RIO MESSORI, Pensare la storia, Paoline, Cinisello Balsamo [MI] 1992, pp. 23-24).

 

29. Certi giungono all'ateismo perché convinti che la scienza ed il progresso tecnologico abbiano finalmente eliminato le superstizioni reli­giose. Grazie alle conquiste della scienza, l'uomo non teme più la natura, non la divinizza come accadeva in epoche passate, ma ne è diventato padrone. L'uomo avrebbe così scoperto che nella natura non vi è alcuna traccia di Dio ma solo leggi che la governano e che sono totalmente comprensibili alla ragione umana.

 

30. Il cattolico risponde invitando tutti i sostenitori di queste tesi ormai obsolete ad aggiornarsi. Da un lato, la cronaca ci informa che pro­prio nei Paesi a maggiore sviluppo tecnologico e scientifico si registra oggi un'esplodere di nuove religioni, segno che il bisogno di Dio è un dato insito nella natura umana, anche nell'uomo della civiltà tecnologica. D'altro lato, proprio la scienza moderna, mentre continua la sua inda­gine sulla natura e arricchisce il suo bagaglio di informazioni, scopre in essa un ordine ed un finalismo che non si riesce a spiegare con le sole conoscenze scientifiche e che rimandano a Dio come loro autore. Pro­prio di questo argomento parleremo in un prossimo capitolo.

 

31. Altri giungono all'ateismo grazie al loro benessere materiale che li induce a dimenticarsi di Dio e a preoccuparsi solo dei propri interessi. Dal punto di vista culturale, questo ateismo non merita alcuna stima. A tutti costoro il cattolico saprà spiegare le ragioni della Fede.

 

32. Altri, infine, scelgono la via dell'ateismo perché consapevol­mente o inconsapevolmente intendono fuggire dalle respopsabilità che derivano dall'ammettere l'esistenza di Dio. Questo è un atteggiamento di viltà, che si vince praticando la virtù e superando le proprie paure. Anche a questi, il cattolico dovrà mostrare le ragioni della Fede, attra­verso una necessaria opera di evangelizzazione.

 

"L'ateismo non è soltanto macchinoso e raro, è anche un fenomeno recente, una bizzarria sostenuta da pochi e da poco tempo nel solo ambiente di certa intelligencija occi­dentale".

(JEAN GUITTON, tratto da VITTORIO MESSORI, Inchiesta sul Cristianesimo Oscar Mondadori, 1993, p. 72)

 

Dio, il male, la libertà

 

"Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". (Gv. 8, 31-32)

 

1. Tra le varie cause che conducono all'ateismo, elencate nel prece­dente capitolo, due di esse meritano una qualche riflessione, preavver­tendo che, anche qui, ci obblighiamo a semplificazioni che a qualcuno potranno apparire persino azzardate.

 

2. La prima della cause che portano alcuni a negare l'esistenza di Dio deriva dalla presenza del male nel mondo.

 

3. Perché, ci si domanda, se Dio è infinitamente e sommamente buono permette che nel mondo si compia il male, perché tollera la soffe­renza degli innocenti, non impedisce le malattie e non ferma gli sconvol­gimenti della natura (terremoti, inondazioni, cataclismi, eruzioni vulca­niche, etc.) che seminano morte e distruzione, colpendo indifferente­mente buoni e reprobi? Perché permette lo svolgimento delle guerre e ogni altra forma di violenza che causano danni spaventosi e atroci dolori anche agli innocenti?

 

4. La seconda delle cause che portano alcuni a negare l'esistenza di Dio riguarda la presunta incompatibilità tra la libertà dell'uomo e la pre­scienza di Dio.

 

5. Se Dio ha previsto l'accadere di tutte le cose, se Dio sa, prima che accada, come mi comporterò, ne consegue che io non sono real­mente un uomo libero. Infatti, Dio non può sbagliarsi, quindi deve cer­tamente accadere quello che Lui sa prima. Ma se deve accadere, vuol dire che è già stabilito, che non sono io a deciderlo, dunque non sono vera­mente libero.

 

6. Un esempio: se Dio conosce, prima che accada, che io commet­terò un delitto, e se è impossibile che Egli si sbagli, quel delitto deve necessariamente accadere e io non sono realmente libero di commetterlo o di evitarlo. Lo dovrò commettere necessariamente.

 

7. Questi due argomenti sono tra i più sfruttati da quanti, negando l'esistenza di Dio, cercano di dare una giustificazione razionale del loro ateismo. È dunque necessario che ogni cattolico sappia come si può rispondere a chi avanza queste obiezioni.

 

Dio e il male

 

8. Per chi non crede in Dio, il male, per lo meno un certo tipo di male, resta un mistero totalmente insondabile, capace anche, talvolta, di condurre alla disperazione.

 

9. Perché ci sono bambini che nascono con gravi handicap o sono colpiti da gravi malattie e sofferenze, mentre altri non lo sono? Perché uomini che tutti considerano buoni, che hanno speso una vita com­piendo gesti di vera e propria generosità verso il prossimo e addirittura verso il nemico, tuttavia soffrono e penano? Perché la morte ha il potere di spezzare crudelmente giovani vite, mentre altri vivono a lungo? Per­ché la povertà, la miseria, la fame colpiscono milioni e milioni di uomini, mentre altri vivono nell'abbondanza e nel lusso?

 

10. Dov'è Dio? Se Egli realmente esistesse, e fosse infinitamente buono, perché non interviene? Per l'ateo la presenza del male non ha ri­sposte. Invece, per chi crede nel Dio dei cristiani, si apre uno spiraglio di comprensione, e anche se il male nella sua complessità resta pur sempre un mistero per il lume della ragione, questo non esclude che la ragione illuminata dalla Fede ne scorga parzialmente il senso, il significato.

 

11. La Fede cristiana dà alcune risposte allo scandalo del male. Dio è infinitamente buono e non può fare né volere il male, sicuramente il male morale, il peccato, che è una offesa fatta a Dio disobbedendo alla sua legge.

 

12. Allora, chi è causa del male? Dobbiamo precisare: il male morale, il peccato, è sempre originato da creature libere, dagli uomini e dagli angeli ribelli, che sono capaci di volerlo e di compierlo. Queste creature libere sono anche responsabili di gran parte del male fisico (guerre, violenze, etc).

 

13. Dio ha creato l'uomo libero, lo ha dotato di libero arbitrio. Proprio in questa libertà risiede uno dei caratteri che fa l'uomo "imma­gine e somiglianza di Dio" (cf. Gn 1,26).

 

14. Ora, l'uomo, abusando della sua libertà, è capace di fare il male. È vero che Dio potrebbe impedirglielo, ma al prezzo di togliergli la libertà, di contraddirsi, di annullare un carattere dell'umanità che Egli stesso ha voluto, eliminando un dato che rende l'uomo immagine e somiglianza di Dio. In altre parole: Dio dovrebbe correggere la sua opera creatrice e quindi ammettere implicitamente di essersi sbagliato. Smetterebbe, con questo, di essere Dio.

 

15. Dio non può contraddire se stesso, privando angeli e uomini della loro libertà. Egli tollera che questi possano fare il male, ma nella sua infinita bontà Egli ha deciso di ricavare il bene anche dal male. Suc­cede, talvolta, che un dolore, una malattia, un'esperienza traumatica tra­sformino un uomo e lo facciano avvicinare a Dio, permettendogli in tal modo di conoscere e amare Dio e di ottenere la vita eterna.

 

16. Dunque: il male morale, il peccato, è sempre colpa dell'uomo il quale è colpevole anche di molto del male fisico che esiste nel mondo. Non si può comodamente attribuire a Dio la causa delle guerre, della fame del mondo, dell'ingiustizia. Se l'uomo si comportasse secondo i Comandamenti di Dio e imparasse ad amare il prossimo (e lo può fare, purché lo voglia) le guerre diminuirebbero e la fame verrebbe mitigata.

 

17. Dio consente che l'uomo guerreggi e distribuisca malamente le risorse della terra, per citare solo due mali fisici, perché vuole conservare l'uomo libero (anche di fare il male) e vuole ricavare dal male anche del bene.

 

18. Sentiamo il Catechismo della Chiesa Cattolica: "Dal più grande male morale che mai sia stato commesso, il rifiuto e l'uccisione del Figlio di Dio, causata dal peccato di tutti gli uomini, Dio, con la sovrab­bondanza della sua grazia, ha tratto i più grandi beni: la glorificazione di Cristo e la nostra Redenzione" (n. 312).

 

19. Ma, nonostante questo, insegna il Catechismo "con ciò, però, il male non diventa un bene" (n. 312).

 

20. Riguardo il male, sia fisico (anche quello che non dipende dal­l'uomo, come certe malattie che colpiscono gli innocenti, per fare un solo esempio) che morale, la Fede insegna che esso scomparirà del tutto solo in Paradiso. Il male è entrato nella storia dell'uomo e del mondo con il peccato originale e sparirà solo nella vita eterna.

 

21. Ora, chi non crede in Dio, non può accettare questa spiegazio­ne, che è una verità rivelata da Dio. Tuttavia, nei confronti di chi si di­chiara ateo o agnostico, è opportuno procedere prima dimostrando, con la sola ragione, che Dio esiste e che i Vangeli dicono cose vere; poi, da qui, sarà certamente più facile fidarsi (dunque aver Fede) delle promesse di Gesù Cristo riguardanti la eterna felicità cui siamo destinati nel Paradiso.

 

22. In una prospettiva di Fede, il male fisico assume un significato profondo, un senso, diventa perfino strumento per acquisire meriti davanti a Dio. Ma tutto questo lo si potrà comprendere, anche se parzialmente, solo quando avremo aperto l'intelligenza e la volontà alla Parola di Dio.

 

23. Concludendo: il male fisico e il male morale restano pur sem­pre un mistero. Chi non crede si ferma dinanzi alla constatazione della loro presenza distruttrice di anime e di corpi. Invece, in una prospettiva di Fede, si sa che il male accompagna solo la condizione della vita ter­rena. Per quanto concerne il male morale, il peccato, certamente non può essere voluto da Dio ed è da attribuire solo agli uomini e agli angeli ribelli. Invece, riguardo al male fisico: "Dio non permetterebbe il male, se dallo stesso male non traesse il bene, per vie che conosceremo pienamente nella vita eterna" (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 324).

 

Dio e la libertà

 

24. Posto che Dio esista e sia infallibile, posto che sia onnisciente, dunque che tutto conosca, ne dobbiamo trarre la conseguenza che Egli sa tutto senza mai sbagliarsi.

 

25. Se Dio sa tutto, sa anche che una certa persona si salverà in pa­radiso o si dannerà all'inferno. E non solo: Egli sa persino se questa de­terminata persona commetterà o meno un delitto. E poiché non può sbagliarsi, sarà necessario, obbligatorio, che quella persona vada in Para­diso se Dio lo ha previsto o all'inferno se ha previsto il contrario. E sarà anche necessario, obbligatorio, che commetta o meno un delitto, se Egli ha previsto che questo debba accadere o non.

 

26. Così sarà per ogni azione, per ogni pensiero, per ogni pur pic­colo desiderio di qualunque uomo: se Dio ha previsto una cosa e non può sbagliarsi, questa cosa deve necessariamente accadere.

 

27. Ma il risultato di tutto questo, se fosse vero che Dio esiste e sa tutto, è che l'uomo non è libero di scegliere. Tuttavia, poiché si constata nei fatti che l'uomo è libero (può fare una cosa o non farla, può prendere una decisione o un'altra, etc.) ne consegue che Dio non può sapere tutto con infallibile certezza, dunque non esiste alcun Dio onnisciente.

 

28. Vediamo come un cattolico può rispondere a questa obiezione.

 

29. Dio, onnisciente, sa certamente tutto. Ma non lo sa prima che accada. Sottolineo quel "prima" che accada. Dio non vede prima tutto quello che accadrà dopo, e qui sottolineo "dopo".

 

30. "Prima" e "dopo" sono avverbi di tempo e riguardano solo l'uomo e il creato che vivono nel tempo, con un passato, un presente ed un futuro.

 

31. Dio è fuori del tempo. Egli non sa prima, Egli sa e basta. Egli non vede prima, vede e basta. La libertà dell'uomo è salvaguardata, cia­scuno di noi può decidere di fare una cosa o non farla, può scegliere una cosa piuttosto che un'altra e può sperimentare questa sua libertà.

 

32. Ma riguardo a Dio il discorso è diverso. Egli "non anticipa il futuro, come noi facciamo, perché dinanzi a Lui non sussistono né il passato né il presente né il futuro, ma tutta la successione sia pure infinita del tem­po con un atto d'intuizione omogeneo alla sua semplice natura" (LUCA ORBETELLO, Introduzione a SEVERINO BOEZIO, La consolazione della filosofa. Gli opuscoli teologici, Rusconi, Milano 1979, p. 65).

 

33. La prescienza di Dio è certamente la conoscenza infallibile di tutto, di tutti gli eventi, di tutti i pensieri, di tutti i desideri, di tutti i moti dell'anima, ma soltanto per noi questi sono futuri, per noi che viviamo nel tempo; non per Dio che vive eternamente fuori del tempo.

 

34. Allora, l'obiezione: Dio sa prima ciò che accadrà dopo, dunque l'uomo non è libero di scegliere; è mal posta e viene a cadere, perché "prima" e "dopo" non si possono dire di Dio, ma solo di noi uomini e del creato intero.

 

35. L'esistenza di Dio e la sua prescienza non pregiudicano affatto la libertà dell'uomo.

"Dal più grande male morale che mai sia stato com­messo, il rifiuto e l'uccisione del Figlio di Dio, causata dal peccato di tutti gli uomini, Dio, con la sovrabbon­danza della sua grazia, ha tratto i più grandi beni: la glorificazione di Cristo e la nostra Redenzione". (CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, n. 312)

 

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22/09/2009 15:30
 
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Cattolici e comunismo ateo

 

"Noi ci moltiplichiamo tutte le volte che siamo falciati da voi: il sangue dei Cristiani è seme". (TERTULLIANO, Apologetico, L, 13)

 

I. Dedichiamo un capitolo al comunismo ateo. Esso è all'origine della persecuzione religiosa più feroce che la storia abbia registrato. Cio­nonostante, immemori dell'insegnamento della storia, non pochi, per­sino cattolici, ritengono possibile un compromesso tra la dottrina catto­lica ed il pensiero marxista, magari depurato degli elementi ritenuti più negativi, per la costruzione di una utopistica civiltà migliore.

 

2. In realtà, ogni cattolico dovrebbe sapere molto bene che tra cat­tolicesimo e marxismo non vi sono punti in comune, essendo il marxi­smo sorto in primo luogo per abbattere il Cristianesimo, una religione considerata nemica dell'uomo.

 

3. Con l'intento di offrire ai cattolici utili strumenti per la battaglia culturale, che vede nella lotta all'ateismo un suo punto di forza, daremo qui solo le nozioni più elementari su:

- la dottrina marxista riguardo Dio e la Religione;

- la dottrina della Chiesa riguardo il Comunismo;

- la tragedia del comunismo.

 

La dottrina marxista

 

4. Il marxismo è la filosofia che ha motivato e giustificato l'espe­rienza storica dei Paesi social-comunisti. Esso è una visione completa del­l'uomo e del mondo, una filosofia della natura elaborata con la pretesa di rispondere definitivamente a tutte le domande ultime dell'uomo: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, perché siamo al mondo, ecc.

 

5. Poiché il marxismo è una dottrina che ritiene di spiegare il senso definitivo della nostra esistenza, da molti è stato giudicato una "religione".

 

6. Il marxismo prende il nome da Karl Marx (1818-1883). Egli, nel formulare il suo pensiero, ha subìto in modo determinante le dot­trine di due filosofi che lo hanno preceduto: Hegel e Feuerbach.

 

7. Per G. W. Friedrich Hegel (1770-1831) l'unica realtà esistente è lo Spirito, è l'Idea. Questa Idea è eterna; non è propriamente ciò che noi intendiamo per Dio ma, in un certo senso, gli si avvicina molto. Secondo Hegel, le cose che vediamo, tutte le cose materiali che vediamo, tutto ciò che esiste è manifestazione di questa Idea.

 

8. Poiché per Hegel tutto è idea, la sua filosofia fu detta "Idealismo".

 

9. Ma l'Idea non è statica. Grazie alla sua forza interiore, essa è in continuo movimento. Questo movimento viene chiamato "movimento dialettico": una idea (tesi.), evolvendosi, dà origine al suo contrario (anti­tesi) con il quale entra in conflitto. Da questo conflitto nasce una nuova fase (sintesi) la quale, a sua volta, dà vita evolvendosi al suo contrario (antitesi) con il quale entra in conflitto generando una nuova sintesi. E così in eterno. Questo movimento dialettico spiega, secondo Hegel, l'o­rigine di tutte le cose che esistono.

 

10. L'altro filosofo che influenzò Carlo Marx è Ludwig Feuer­bach (1804-1872). Egli rovescia la dottrina hegeliana. Non "tutto è idea", come credeva Hegel, ma "tutto è materia", insegna Feuerbach. Per questa ragione, egli è considerato il padre del materialismo moderno.

 

11. Nell'elaborare la sua dottrina, Marx rifiuta l'idealismo hege­liano, ma di Hegel ritiene accettabile l'idea del movimento dialettico. Da Feuerbach accoglie il materialismo e, così facendo, dà vita al "materiali­smo dialettico".

 

12. Sulla scorta di questi dati, il cattolico deve essere in grado di comprendere i tratti essenziali del pensiero marxista riguardo la reli­gione.

 

13. Si è detto che per Marx tutto è materia. Tutto ciò che esiste è materia. Esiste soltanto la materia. Questa materia è eterna, cioè esiste da sempre ed esisterà eternamente. Non vi è un inizio della materia né vi sarà mai una fine.

 

14. Una convinzione di questo genere - lo si comprende bene - porta inevitabilmente ad escludere l'esistenza di Dio, dell'anima, dei valori spirituali che trascendono l'uomo. Dio e l'anima, poiché non sono realtà materiali, semplicemente non esistono. In tal modo, cominciamo a intrave­dere perché il marxismo sia in netta contrapposizione al Cristianesimo.

 

15. Quanto all'affermazione che la materia è eterna, ogni cattolico la potrà confutare facendo appello proprio alla scienza moderna. Stando alle ricerche più aggiornate, tutto l'universo, quindi tutta la materia, una volta semplicemente non esisteva. Ha avuto inizio tra i dieci e i venti miliardi di anni fa. Il marxismo, quindi, si fonda su una convinzione totalmente gratuita e falsa anche dal punto di vista scientifico.

 

16. Friedrich Engels (1820-1895), strettissimo collaboratore di Marx, con il quale stese nel 1848 il "Manifesto del Partito Comunista", scriveva: "Ammettere l'esistenza di un Essere supremo (cioè ammettere Dio) è una contraddizione in termini" (Sul materialismo storico, Editrice de L'Unità, Roma 1945, p. 10).

 

17. Sempre Engels: "Noi abbiamo dichiarato guerra alla religione e poco importa se ci chiamano atei" (Catechismo dei Comunisti, Gentile, Milano 1945, p. 159).

 

18. Per il marxismo tutta la storia, tutta l'avventura umana è inter­pretata escludendo a priori l'esistenza di Dio. Tutto ciò che esiste si spiega grazie al movimento dialettico: una volta vi era la materia pura, materia inorganica e minerale; evolvendosi, questa ha dato origine alla materia vegetale; dalla materia vegetale, per evoluzione, sarebbe nata la materia animale e da questa la materia umana. La vita è sorta dalla mate­ria per necessaria evoluzione della materia stessa. In tutto questo fanta­sioso processo evolutivo, Dio non ha alcun ruolo. Il marxismo è un atei­smo radicale.

 

19. Non solo. Mentre Feuerbach, pur dichiarandosi ateo e mate­rialista, riconosceva alla Religione un certo ruolo positivo (per esempio: secondo Feuerbach, è l'uomo che crea Dio proiettando in quell'Essere Supremo tutte le sue qualità migliori; ma, così facendo, l'uomo prende coscienza delle sue proprie qualità, e già questo è un dato positivo), per Marx, al contrario, la Religione è un danno incalcolabile per ogni uomo e dunque va combattuta ferocemente e violentemente.

 

20. Per Marx, la Religione impedisce all'uomo di prendere coscienza della sua dignità. Aspettandosi un Paradiso celeste, l'uomo rinuncia al Paradiso terrestre, a lottare per raggiungere su questa terra giustizia ed uguaglianza. Ammettere l'esistenza di Dio, pertanto, è dan­neggiare la sete di giustizia dell'uomo. Dio diventa nemico dell'uomo perché lo distoglie dal suo unico scopo: la lotta di classe per l'instaura­zione della società comunista. Ecco per quale ragione la Religione è "oppio del popolo" (C. Marx, Oeuvres philosophiques - Costes, Paris 1946, vol. 1, p. 84) e va decisamente estirpata.

 

21. Anche Vladimir Lenin (1870-1924), il promotore della Rivoluzione bolscevica del 1917, dichiarava che "La base filosofica del marxismo è il materialismo dialettico [..], materialismo incontestabil­mente ateo e risolutamente ostile ad ogni religione" (Sulla religione, Ed. Rinascita, Roma 1949, p. 48) ed esortava i comunisti a "Lottare contro la religione: questo è l'abicì di ogni materialismo e quindi anche del Marxi­smo" (ibidem, p. 24).

 

La risposta della Chiesa

 

22. La risposta della Chiesa si è articolata in una serie pressoché costante di denunce e di condanne della dottrina e della prassi marxi­sta/comunista.

 

23. Nel 1846, due anni prima della pubblicazione del "Manifesto del Partito Comunista", il Papa Pio IX pubblica l'Enciclica Qui pluribus nella quale si condanna "quella dottrina funesta e più che mai contraria al diritto naturale, che chiamano comunismo, una volta ammessa la quale si abbatterebbero completamente in diritti, i patrimoni, le proprietà e persino la società umana".

 

24. Quanto fossero profetiche queste parole lo constatano molti, soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino (1989).

 

25. Lo stesso Pontefice definisce socialismo e comunismo "pesti­lenziali dottrine" nel Sillabo del 1864.

 

26. Papa Leone XIII condanna gli attacchi alla famiglia, al diritto di proprietà e alla Chiesa scagliati dal socialismo e dal comunismo nel­l'Enciclica Quod Apostolici muneris (1878) e nella Enciclica Rerum Novarum condanna la collettivizzazione della proprietà propugnata dal socialismo.

 

27. Papa Pio XI esprime un giudizio circostanziato ed una severa condanna del comunismo nell'Enciclica Quadragesimo Anno (1931). Il Pontefice denuncia che il comunismo "insegna e persegue due punti (…) con tutti i mezzi, anche i più violenti: la più accanita lotta di classe e l'abo­lizione assoluta della proprietà privata. E nel perseguire i due intenti non v'ha cosa che esso non ardisca, niente che rispetti; e dove si è impadronito del potere, si dimostra tanto crudele e selvaggio, che sembra cosa incredibile e mostruosa. Di che sono prova le stragi spaventose e le rovine ch'esso ha accu­mulato sopra vastissimi paesi dell'Europa orientale e dell'Asia. Quanto poi sia nemico dichiarato della santa Chiesa e di Dio stesso, è cosa purtroppo dimostrata dall'esperienza e a tutti notissima"

 

28. Vedremo, più avanti in questo stesso capitolo, quanta ragione aveva Pio XI di attribuire al Comunismo ateo "stragi spaventose e rovine", purtroppo dimenticate da molti cattolici che con esso, e con i suoi eredi, frettolosamente intendono sottoscrivere accordi.

 

29. Nella Enciclica Divini Redemptoris (1937), il Papa Pio XI con­dannava nuovamente "il comunismo bolscevico ed ateo, che mira a capovol­gere l'ordinamento sociale e a scalzare gli stessi fondamenti della civiltà cri­stiana".

 

30. Nella medesima Enciclica, il Pontefice denunciava il comuni­smo definendolo "un sistema pieno di errori e di sofismi, contrastante sia con la ragione sia con la rivelazione divina; sovvertitore dell'ordine sociale, perché equivale alla distruzione delle sue basi fondamentali, misconoscitore della vera origine della natura e del fine dello Stato, negatore dei diritti della personalità umana, della sua dignità e libertà".

 

31. Anche Papa Pio XII non mancò di far sentire la sua voce di condanna per il comunismo ateo, intervenendo coraggiosamente in dife­sa delle Chiese orientali, denunciando la persecuzione alla quale erano sottoposte dal comunismo e difendendo a spada tratta l'eroico cardinale ungherese Mindszenty.

 

32. Papa Paolo VI, nell'Enciclica Ecclesiam Suam, del 6 agosto 1964, riteneva doveroso "condannare i sistemi ideologici negatori di Dio e oppressori della Chiesa, sistemi spesso identificati in regimi economici, socia­li e politici, e tra questi specialmente il comunismo ateo".

 

33. Infine, non poteva mancare il Papa Giovanni Paolo II, polacco, profondo conoscitore della dottrina e della prassi comunista, avendo vissuto per decenni in Polonia. Durante il viaggio nella allora unita Repubblica Cecoslovacca, nell'aprile del 1990, il Pontefice definì il comunismo "uno dei più gravi tentativi di privare l'uomo della libertà alla quale per sua stessa natura è destinato e chiamato" (in SERGIO TRASATTI, La croce e la stella, Mondadori, Milano 1993, p. 326).

 

34. Alla luce di queste limpide denunce della intrinseca perversità dell'ideologia marxista, in nome della quale si sono costruiti i sistemi social-comunisti e si sono giustificati i regimi totalitari che ne sono nati, non si capisce come un cattolico possa ritenere compatibile la visione cri­stiana di Dio, dell'uomo, della storia e della società con il pensiero marxista e la prassi social-comunista.

 

La realtà della storia

 

35. Ogni buon manuale di storia moderna può fornire informa­zioni utili circa la nascita e l'espandersi del comunismo in numerosi paesi, a partire dal 1917, anno della rivoluzione bolscevica in Russia. Il cattolico si impossesserà di quelle nozioni storiche necessarie al compi­mento della sua missione evangelizzatrice. Per quanto ci riguarda, a noi interessa qui far notare soltanto alcune dimensioni della tragedia sof­ferta dall'umanità che ha conosciuto la triste realtà del comunismo.

 

36. Abbiamo ricordato, poco sopra, che Pio IX, nell'Enciclica qui Pluribus, definiva il comunismo "dottrina funesta". Era l'anno 1846, due anni dopo veniva steso il "Manifesto del Partito Comunista" di Marx ed Engels.

 

37. Dunque il comunismo è una dottrina funesta. Funesta perché portatrice di morte. La storia ha confermato questa previsione di Pio IX. I dati che esporremo ora dovrebbero essere utilizzati da ogni cattolico nel mondo del lavoro, a scuola, tra gli amici, per illuminare quanti - e sono ancora molti - ritengono il comunismo conciliabile con il cattolice­simo e per smascherare la falsità di questa convinzione.

 

38. Secondo i calcoli forniti dal professore di statistica Ivan Furga­nov, emigrato negli USA, nella sola Unione Sovietica, negli anni compresi tra il 1917 ed il 1959, le perdite umane dovute alle deportazioni nei campi di sterminio, alle condanne ai lavori forzati, alle fucilazioni di massa, alle carcerazioni e alle torture, alle carestie che seguivano le deportazioni di milioni di contadini e alla collettivizzazione forzata delle terre, si aggirano intorno ai 66 (sessantasei) milioni di persone (in ALEXANDER SOLZE­NICYN, Arcipelago Gulag, vol. II, Mondadori, Milano 1975, p. 12).

 

39. Stando a quanto afferma Alexander Solzenicyn, il più grande scrittore russo di questo secolo, il numero delle vittime causate dal comunismo in Russia si aggira sui 60.000.000

 

40. Purtroppo non spetta al comunismo sovietico il triste primato del numero delle vittime. L'ex ambasciatore italiano a Mosca, Luca Pie­tromarchi, studioso del comunismo, calcola che dal 1949 al 1958, per cause non naturali, quindi a motivo della repressione, sono morte nella Cina comunista almeno 50.000.000 di persone (EUGENIO CORTI, Il comunismo realizzato, Edizioni Nuova Colibrì, p. 105).

 

41. Nello stesso arco di tempo venivano deportati nei campi di concentramento almeno 30.000.000 di contadini. Iniziava una terribile carestia che, stando ai dati forniti da Laslo Ladany, il più grande cono­scitore di cose cinesi del nostro tempo, provocò la morte di altre 50.000.000 di persone.

 

42. Un calcolo globale sul numero delle vittime provocate dal comunismo in Cina, sebbene impreciso per difetto, è stato pubblicato nel 1974 dalla rivista specializzata Population. Uno studio statistico di Paul Paillat e di Alfred Sauvy rivelava che la popolazione cinese era inferiore di almeno 150.000.000 di abitanti rispetto a quella che avrebbe dovuto essere statisticamente, in base al tasso di crescita. Questa era la cifra delle vittime, di coloro che avevano perso la vita non per cause naturali (EUGENIO CORTI, op. cit. p. 109).

 

43. Nel 1975, in un minuscolo paese del Sud-Est asiatico, la Cam­bogia, i famigerati Khmer rossi, guerriglieri comunisti appoggiati dai cinesi, prendevano il potere e lo conservavano per tre anni.

 

44. In questo breve spazio di tempo, i comunisti sterminavano per ragioni ideologiche il 30% dell'intera popolazione, vale a dire quasi due milioni di abitanti. Una tragedia senza precedenti, stando alla percen­tuale del numero delle vittime.

 

45. Questi dati spaventosi sono ai più sconosciuti. Essi mostrano di che cosa sia capace chi tenta di costruire una società senza Dio. Il catto­lico faccia tesoro di queste indicazioni fornite dall'esperienza storica e le utilizzi per la battaglia culturale e l'opera di evangelizzazione.

 

Conclusione

 

46. Possiamo sintetizzare quanto sopra esposto:

- il marxismo è una dottrina disumana, nel senso che non considera 1' uomo per ciò che esso è, ma intende trasformarne la natura;

- la Chiesa aveva visto giusto, condannando senza mezzi termini la dot­trina marxista e i sistemi social-comunisti che ne derivano, preavvertendo dei pericoli cui si andava incontro nel caso di una sua affermazione;

- la storia ha tragicamente confermato questi timori e questi avvertimenti manifestati dalla Chiesa;

- alla luce di questi dati, ogni cattolico non può non fare della lotta all'a­teismo, e al comunismo in particolare, un momento fondamentale della sua battaglia per la gloria di Dio, la salvezza delle anime e il bene della società umana.

"Il comunismo, che il Papa ha definito «inguaribile» muta sì la sua tattica, ma giammai il suo satanico in­tento finale: la negazione di Dio (...) l'annientamento di ogni religione. Per questo il comunismo è un pericolo mortale per il regno di Dio". (P. WERENFRIED VAN STRAATEN, fondatore dell'associa­zione Aiuto alla Chiesa che Soffre, in La donna e il dragone, Roma 1977, p. 5).

 

L'esistenza chi Dio: doverose premesse

 

"La fède cerca, l'intelligenza trova; per questo il profèta dice: se non crederete non compren­derete (Is. 7,9)... Dunque, per questo l'uomo deve essere intelligente, per cercare Dio". (S. AGOSTINO, De Trinitate, XV, 2, 2)

 

l. Sebbene siano in diminuzione, gli atei esistono. I cattolici han­no a che fare con loro negli ambienti in cui vivono. Talvolta, professori che si dicono atei, convincono alunni sprovveduti ed impreparati della bontà e della ragionevolezza dell'ateismo. Gli studenti cattolici, imprepa­rati quanto i loro colleghi, non sanno opporre argomentazioni. Gli atei, è noto, negano l'esistenza di Dio e non danno alcun valore alle testimo­nianze offerte dalla Sacra Scrittura, dalla Sacra Tradizione e dall'insegna­mento della Chiesa.

 

2. Il cattolico lotta con tutti i mezzi leciti per la loro conversione. Uno degli strumenti che possono contribuire a mettere in dubbio le convinzioni di chi non crede è quello di mostrargli che la ragione umana è in grado di giungere alla certezza intellettuale che Dio esiste.

 

3. Se questa dimostrazione avrà successo, tutte le "ragioni" dell'a­teismo cadranno perché assolutamente irragionevoli e illogiche.

 

4. La dimostrazione razionale della esistenza di Dio è un argo­mento fondamentale della battaglia culturale di ogni cattolico. È il pro­blema più difficile e più dibattuto nella storia del pensiero umano. Cer­cheremo di semplificarlo, sapendo di lasciare scoperto il fianco a osserva­zioni che meriterebbero ben altro approfondimento. Tuttavia preferiamo correre questo rischio, per limitarci a fornire solo le nozioni più elemen­tari, che ogni cattolico potrà utilizzare, senza precludersi la possibilità di approfondirle personalmente.

 

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Scienza e Fede

 

5. L'indagine che condurrà la ragione umana ad affermare che Dio esiste va impostata correttamente. Cominciamo con il dire che il ramo del sapere umano che si occupa di indagare sulla esistenza di Dio e di fornirne le prove è la filosofia. Solo la filosofia si occupa del "tutto", dell'«intero» e dunque essa soltanto (e la teodicea, cioè la difesa raziona­le della esistenza di Dio) può indagare lecitamente sull'esistenza di Dio.

 

6. Questo dato è importante. Esso comporta che la scienza, qua­lunque essa sia, poiché per sua natura si occupa sempre e solo della "parte", di una parte della realtà, non ha titoli per svolgere un discorso completo sull'esistenza di Dio.

 

7. Su questo punto, il cattolico deve possedere idee molto chiare. Capita ancora oggi che qualche professore di materie scientifiche insegni ai suoi alunni che la scienza ha definitivamente escluso l'ipotesi Dio dal reale. Il cattolico si oppone a questa errata convinzione, perché sa che nessuno scienziato, in quanto tale, cioè sulla base delle sole cognizioni scientifiche, può dire l'ultima parola sull'esistenza di Dio. Non è argo­mento che gli compete.

 

8. Tuttavia, va pur detto che le risposte offerte dalla scienza a domande di sua stretta competenza possono dare un contributo impor­tante al filosofo, cioè all'uomo che si pone domande che riguardano l'e­sistenza di Dio. Per fare un solo esempio: dedicheremo un capitolo ad interrogare scienziati, credenti e non credenti, riguardo la possibilità che il "caso" sia all'origine di tutto ciò che esiste. Le risposte di questi scien­ziati, fondate sulle loro conoscenze scientifiche, che escludono il caso, devono essere utilizzate dai cattolici per la loro battaglia culturale in difesa della dimostrazione razionale dell'esistenza di Dio.

 

9. Che le discipline scientifiche non si occupino direttamente di Dio lo confermano gli stessi scienziati, anche quelli che si dichiarano atei.

 

10. Uno di loro, Alfred Kastler, premio Nobel per la Fisica nel 1966, alla domanda: "Sul piano scientifico, le constatazioni non giustificavo in nulla le affermazioni dell'ateismo? Esse non rifiutano in nulla l'i­dea di un Dio", risponde con un semplice "No" (CHRISTIAN CHABA­NIS, Dio esiste? No, rispondono..., Mondadori, 1974, p. 33).

 

11. Ancora Kastler, di fronte alla domanda: "Se lei non afferma l’ipotesi di Dio, neppure la nega. In ogni caso, lei rifiuta di fondare una nega­zione sulla conoscenza scientifica?" risponde con un altrettanto semplice "Si" (ibidem, p. 33).

 

12. Un altro scienziato ateo, un biologo di fama mondiale, François Jacob, i cui lavori scientifici sono stati coronati nel 1965 con il Premio Nobel assegnato all'equipe di ricercatori di cui era membro, di fronte alla domanda: "In quale misura la disciplina che lei pratica potrebbe apportare prove della non esistenza di Dio?", risponde intelligen­temente: "Non è possibile fornire la prova di una non esistenza. La disci­plina che io pratico [la biologia] si disinteressa totalmente di questo pro­blema. È un problema che non le appartiene" (ibidem, p. 70).

 

13. Claude Lévi-Strauss, ateo, antropologo di fama mondiale, di fronte alla domanda: "Secondo lei, un ateismo che giustificasse se stesso su basi scientifiche è sostenibile?", risponde in questi termini: "No, penso di no. Mi sembrerebbe infatti assurdo perché implicherebbe il fatto che la scienza fosse in grado di rispondere a tutti i problemi. E in effetti essa non è ingrado di farlo e non lo sarà mai" (ibidem, p. 87).

 

14. Che la scienza abbia dato il colpo definitivo alla Fede religiosa è una convinzione che trova sempre meno sostenitori. Uno dei maggiori fisici nucleari del nostro tempo, l'italiano Antonino Zichichi, afferma: "La cultura dominante [..] pretende di far passare per verità assolute una serie di menzogne. Questa cultura dice: 'La scienza è nemica della fede'. L'antitesi scienza fede è la più grande mistificazione di tutti i tempi. La scienza studia l'immanente, le cose che si toccano. Come ha già detto Gali­lei, l'immanente non entrerà mai in conflitto con il trascendente che appartiene alla fede. Mondo materiale e mondo spirituale hanno la stessa origine dal Creatore. I valori della scienza non possono in alcun modo sosti­tuire quelli della verità rivelata. Se vivessimo davvero nell'era della scienza, questa verità sarebbe alla portata di tutti. Ma viviamo nell'era delle mistificazioni culturali e questa verità non è ancora evidente" (tratto da CARLO FIORE, scienza e fede, Elle Di Ci, Torino 1986, p. 5).

 

15. Dunque, non tocca alla scienza il compito di dimostrare l'esi­stenza di Dio e non può essere la scienza a negarne l'esistenza. Chi si occupa della esistenza di Dio è la filosofia. Il cattolico si faccia forte di questa fondata convinzione e sappia opporsi a quanti, specialmente inse­gnanti di materie scientifiche, sostengono il contrario.

 

Dio non è evidente

 

16. Perché si deve dimostrare l'esistenza di Dio? Per una semplice ragione: Dio non è immediatamente evidente. Se fosse evidente saremmo tutti credenti. Non dovremmo ragionare sulla esistenza di Dio, dovremmo solo constatarla.

 

17. Ancora una precisazione, forse pignola, ma necessaria per impostare bene la nostra indagine.

 

18. Per chi nega l'esistenza di Dio, la stessa parola "Dio" potrebbe non avere alcun significato, potrebbe non essere diversa dalla parola "abracadabra". Questo vuol dire che, a rigor di logica, non possiamo partire dalla domanda "Esiste Dio?", perché, per chi non crede, potrebbe essere equiparata alla domanda "Esiste abracadabra?". Una domanda, dunque, priva di senso.

"Se si sottopone ogni cosa alla ragione, la nostra reli­gione non avrà nulla di misterioso e soprannaturale. Se si rifiutano i principi della ragione, la nostra religione sarà assurda e ridicola". (BLAISE PASCAL, Pensieri, in Pensieri. opuscoli, lettere, introd. e note di Adriano Bausola, Rusconi, Milano 1984, p. 399)

 

19. Per convincere chi nega l'esistenza di Dio dell'infondatezza delle sue convinzioni e per dimostrare che Dio esiste, si dovrà seguire un'altra via. Essa parte da un dato che credenti e non credenti possono avere in comune. Eccolo: ciò che esiste. Il dato comune a credenti e non credenti è dato da ciò che si vede, quindi è evidente, che si può toccare.

 

20. Di fronte a ciò che esiste è possibile porre una domanda:."La realtà che mi circonda, di cui ho esperienza, che è immediatamente evi­dente a tutti e non solo a me, è la sola realtà che esiste, oppure vi è qual­cos'altro?". Questa è una domanda che ogni uomo, anche chi non crede in Dio, si pone naturalmente, in forza della sua intelligenza. Da questa domanda parte l'indagine della ragione sulla esistenza di Dio.

 

21. Se la realtà che esiste si presenta alla nostra osservazione con i caratteri di una traccia, di un'impronta lasciata da qualcun'altro, se non si spiega da sola, se non si giustifica da sola, se rimanda a qualcos'altro che non è immediatamente evidente (come un'orma impressa sulla sabbia rimanda a chi vi è passato e l'ha lasciata), solo in questo caso è possibile avanzare un'altra domanda: "Quali caratteri deve necessariamente avere chi ha lasciato la traccia che noi vediamo?".

 

22. Se si scopre, attraverso l'uso della ragione, che l'autore della traccia deve necessariamente possedere quei caratteri che comunemente si attribuiscono a Dio, allora possiamo affermare con la nostra ragione che Dio esiste.

 

23. Lo studio attento del mondo che ci circonda porta ad osser­vare numerose impronte che rimandano alla presenza di Dio. Per sempli­ficare il più possibile questo lavoro, soffermeremo la nostra attenzione su due tracce molto evidenti: il finalismo presente nella natura e l'ordine presente nell'universo. Vedremo che esse ci condurranno a Dio.

 

24. Percorreremo questa strada solo con l'aiuto della ragione. Non chiederemo sostegno né alla Fede né alla Chiesa. I nostri interlocutori, infatti, in questo caso i non credenti, non danno alcun valore alla Rivela­zione divina, quindi alla Sacra Scrittura, né alla Chiesa.

 

25. Poiché nella dimostrazione della esistenza di Dio riconosce­remo autorità solo alla ragione umana, la strada che conduce alla dimo­strazione della esistenza di Dio può essere percorsa da ogni uomo, anche da chi non crede.

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Il mondo è finalizzato, dunque Dio esiste

 

"Diciamo dunque che Dio è vivente, eterno e ottimo; cosicché a Dio appartiene una vita perennemente continua ed eterna: questo è, dunque, Dio".

(ARISTOTELE, Metafisica, XII, 1072 b 30)

 

I. Il Concilio Vaticano II, confermando il bimillenario insegna­mento della Chiesa cattolica, afferma che "Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza col lume naturale dell'umana ragione dalle cose create" (Dei Verbum, n. 6). Questo è tenuto a credere ogni cattolico. Ma anche chi non crede, se ragiona bene, può giungere a condividere l'insegnamento del Concilio. Vediamo come.

 

2. Il punto di partenza di questa via che conduce alla esistenza di Dio è una semplice constatazione, così evidente che chiunque, anche chi non crede, può fare propria. Eccola: intorno a noi ci sono cose (enti, nel linguaggio filosofico) che non sono intelligenti.

 

3. Queste cose prive di intelligenza sono i corpi della natura: un fiore, una cellula, gli organi umani non intelligenti, il fegato, lo stomaco, l'intestino, gli animali, etc.

 

4. Dopo questa prima constatazione, il cattolico condividerà con chi non crede un secondo dato di fatto, innegabile: queste cose non intelligenti si comportano intelligentemente. Sono cose prive di intelli­genza, sono prive di conoscenza intellettiva, ma si comportano come se fossero intelligenti.

 

5. Perché diciamo che si comportano intelligentemente? Perché - come insegna san Tommaso d'Aquino - agiscono costantemente per rag­giungere uno scopo, un obiettivo. E questo fine è identificato in ciò che per queste cose non intelligenti è il loro meglio. Vedremo, poco oltre, che per raggiungere costantemente un fine è necessaria una operazione intelligente.

 

6. Ripetiamo che questo punto di partenza dell'indagine sull'esi­stenza di Dio è un dato di fatto, è una semplice constatazione. Esso non dipende dalla Fede religiosa, ma dalla osservazione della realtà umana o della natura che ci circonda. Facciamo un esempio, prendendo un organo del corpo umano: l'occhio.

 

7. È un organo complicatissimo. Il fisiologo statunitense George Wald, premio Nobel nel 1967 per la medicina, sostiene: "Che sul fondo di ciascun nostro occhio vi siano oltre 100 milioni di antennine riceventi, lascia tutti noi sorpresi e sgomenti. È un prodigio della natura che supera ogni più ardita fantasia" (tratto da DOMENICO E. RAVALICO, La Creazione non è una favola, Paoline, VI ed., Milano 1987, p. 133). La scienza moderna non è ancora capace di riprodurlo, di ricostruirlo, non è ancora in grado di risolvere definitivamente il problema della cecità, costruendo occhi nuovi ed efficienti per sostituirli a quelli che non fun­zionano.

 

8. È facile osservare come l'occhio sia costituito in modo tale da raggiungere sempre o quasi sempre il suo scopo: vedere. Tutti sanno che esso non è intelligente, ma adempie un compito - il vedere, appunto - intelligentissimo. E non solo: il nostro stupore aumenta quando consta­tiamo (un'altra constatazione, un altro dato di fatto) che anche fuori dal­l'occhio ci sono cose non intelligenti che esistono con lo scopo di colla­borare con l'occhio, di permettergli di vedere (la luce) o di essere visti (gli oggetti colorati). Queste cose non intelligenti, la luce e gli oggetti colorati, permettono all'occhio di svolgere la sua funzione, di raggiun­gere il suo obiettivo.

 

9. Come è possibile che cose non intelligenti (l'occhio, la luce e gli oggetti colorati) collaborino tra di loro in modo estremamente intelli­gente per consentire il raggiungimento di uno scopo, di un fine, il vedere appunto? È una domanda che possono avanzare tanto credenti quanto non credenti. Teniamo, per ora, in sospeso la risposta.

 

10. Facciamo un secondo esempio. Pensiamo ad un'altra realtà non intelligente: una cellula, una semplice (si fa per dire) cellula. Essa è l'ele­mento base della vita, dice la scienza. Tutti sanno che una cellula non è intelligente tanto nel suo insieme quanto negli elementi che la compon­gono: la membrana plasmatica o cellulare, il citoplasma, il nucleo con il suo nucleolo, la membrana nucleare, il reticolo endoplasmatico, il mito­condrio, l'apparato di Golgi, i centrioli, il lisosoma, il vacuolo e i ribosomi.

 

11. Ora, che cosa possiamo constatare con immenso stupore? Tutti questi elementi non intelligenti, posti uno accanto all'altro, invece di fare confusione come logica vorrebbe, interagiscono con mirabile organizza­zione e distribuzione di compiti. In un certo senso possiamo dire che si accordano tra loro, quindi compiono una operazione intelligentissima, per raggiungere un fine, uno scopo: dare vita ad una struttura complessa, la cellula, capace di conservarsi, di moltiplicarsi, di riprodursi e di ripa­rarsi quando si registrano danni.

 

12. E non solo. Le cellule, che singolarmente considerate sono tutte realtà non intelligenti, invece di fare confusione, si accordano mira­bilmente all'interno del corpo di un essere vivente per raggiungere uno scopo: dare vita ad organi complessi, così complessi da svolgere funzioni che nemmeno i più sofisticati computers inventati dall'uomo sono in grado di imitare.

 

13. Perché miliardi di cellule si organizzano per raggiungere lo scopo di dare vita ad organismi complessi? Anche qui lasciamo in sospeso la risposta.

 

14. Facciamo un terzo ed ultimo esempio. In ciascun uomo esi­stono organi non intelligenti, che tuttavia si comportano in modo straor­dinariamente intelligente: l'occhio opera per vedere, lo stomaco agisce per digerire, il cuore si contrae per pulsare il sangue, le vene e le arterie canalizzano il sangue e lo trasportano, etc.

 

15. Che cosa ci offre una semplice osservazione degli organi che compongono il nostro corpo? Ci fa vedere che tutti questi organi messi insieme in un corpo umano, invece di fare confusione, si coordinano (dunque fanno una cosa intelligente) per raggiungere uno scopo gene­rale. Scopo generale che in noi uomini, e in tutti gli esseri viventi, è la conservazione in salute della vita.

 

16. Dunque, il cattolico, per dimostrare l'esistenza di Dio, parte da un punto fermo: in natura vi sono cose/enti non intelligenti che ope­rano intelligentemente per raggiungere un fine. Tutto questo viene chia­mato "finalismo della natura non intelligente".

 

17. Prima di domandarci chi sta all'origine di questo finalismo, è bene interpellare anche la scienza, che studia i fenomeni della natura. Essa conferma che la natura non intelligente è finalizzata.

 

18. Jacques Monod (1910-1976), biologo francese, pioniere della genetica molecolare, Premio Nobel per la fisiologia e la medicina, dichia­ratamente ateo, scrive in un'opera divenuta celebre: "Una delle proprietà fondamentali di tutti i viventi, nessuno escluso, [è] quella di essere oggetti dotati d i un progetto, rappresentato nelle loro strutture e, al tempo stesso, realizzato mediante le loro prestazioni [...]. È indispensabile riconoscere questa nozione come essenziale alla definizione stessa degli esseri viventi [...]. A questa nozione daremo il nome di teleonomia" (JACQUES MONOD, Il caso e la necessità, Mondadori, Milano 1970, p. 21). Teleo­nomia, dal greco "telos" = fine. Teleonomia è la legge finalistica.

 

19. Sentiamo ancora Monod, a pag. 38 del suo libro più famoso: "L'oggettività ci obbliga a riconoscere il carattere teleonomico degli esseri viventi, ad ammettere che nelle loro strutture e nelle loro operazioni realiz­zano e perseguono un progetto".

 

20. Le osservazioni di questo scienziato dichiaratamente ateo, additato come modello da tutti coloro che negano l'esistenza di Dio e rimandano al caso e alla necessità per spiegare quanto esiste, andrebbero utilizzate anche da ogni cattolico. Monod, infatti, ritiene che tutti gli esseri viventi, e non solo le cose non intelligenti delle quali ci stiamo occupando in questo capitolo, sono dotate di un progetto, sono proget­tate ed operano per raggiungere uno scopo.

 

21. In ogni caso, ciò che per ora conta è che il dato della nostra esperienza è confermato dalla scienza. La natura non intelligente opera per raggiungere un fine, uno scopo: è finalizzata. Da questo dato, acces­sibile a tutti gli uomini, credenti in Dio o meno, parte la nostra rifles­sione. Proprio su questo dato di esperienza, che nessuno, credente o non credente, può negare senza cadere nel ridicolo e nell'assurdo, noi impo­stiamo un ragionamento.

 

22. Ci aiuta san Tommaso d'Aquino. Egli afferma che le cose non intelligenti, i corpi della natura non intelligente che tuttavia si com­portano intelligentemente per raggiungere un fine, non possono essersi dato questo fine da soli.

 

23. San Tommaso aveva perfettamente ragione. Perché non posso­no essersi dato un fine da soli? Per un semplice motivo, che anche chi non crede in Dio può facilmente condividere: perché per raggiungere un fine sono necessarie due operazioni che possono essere compiute solo da realtà intelligenti:

- la prima: conoscere il fine che si vuole raggiungere, ma che ancora non c'è. È dunque necessario, in un certo senso, "anticipare" il fine, "pre­vedere" il fine;

- la seconda: predisporre i mezzi per raggiungere il fine.

 

24. Ora, si è ben compreso qual è la chiave di volta della nostra riflessione, che un cattolico esporrà con chiarezza a chi non crede: solo un essere intelligente può conoscere e pre-vedere (vedere prima) il suo fine. Solo un essere intelligente può conoscere uno scopo da raggiungere prima che sia stato raggiunto, dunque uno scopo che esiste solo nella mente. E solo un essere intelligente è dotato di una mente, di una intelligenza e grazie ad essa può predisporre (ordinare, disporre prima di uti­lizzarli) i mezzi necessari per raggiungere un obiettivo.

 

25. Un occhio, una cellula, ma anche un fiore e tutti i vegetali, gli animali, gli organi di un corpo vivente, proprio perché non sono intelligenti, non conoscono il loro fine, nulla sanno dei loro compiti, non sono in grado di decidere da soli e di predisporsi alla collaborazione con altre realtà non intelligenti con le quali operare per raggiungere uno scopo. Ma, ciononostante, questo è quello che accade costantemente in natura. Come è possibile?

 

26. Se le cose della natura non intelligente si comportano intelli­gentemente, e si comportano intelligentemente - lo abbiamo visto - per­ché raggiungono un fine, e se non possono essersi date da sole questo fine proprio perché non sono intelligenti, domandiamoci: "Da dove viene questo finalismo? da dove viene questo progetto della natura non intelligente?" In altre parole: "Chi ha finalizzato la natura non intelli­gente? Chi l'ha dotata di un progetto?".

 

27. Questa è la domanda alla quale chi non crede nell'esistenza di Dio non sa e non può rispondere.

 

28. Infatti, abbiamo visto come sia del tutto impossibile che la natura si sia finalizzata da sola perché essa non è intelligente.

 

29. È altrettanto impossibile che la natura si sia finalizzata per caso, per opera di un caso. Il caso, per definizione, è cieco, incostante e irripetibile. Invece, le operazioni intelligenti compiute dalla natura non intelligente per raggiungere il suo fine si ripetono costantemente, ed essendo ripetitive non possono avere origine dal caso.

 

30. Tuttavia, poiché il caso è la risposta maggiormente utilizzata da chi nega l'esistenza di Dio, e nell'immaginario collettivo ha ancora un certo diritto di cittadinanza, anche se infondato, gli dedicheremo un ap­posito capitolo.

 

31. È impossibile che sia stato l'uomo a finalizzare la natura non intelligente. È vero che l'uomo è un essere intelligente, che è capace di porsi un fine e di preordinare i mezzi per raggiungerlo. Ma chi di noi può vantarsi di avere predisposto anche un solo organo di cui è compo­sto per raggiungere un fine?

 

32. Vi è chi risponde affermando che sono le leggi della natura a far sì che i corpi non intelligenti si comportino necessariamente così (in modo intelligente) per raggiungere il loro fine. Ma questa non è una ri­sposta alla domanda che ci siamo posti. Infatti, resta aperta la questione: e chi ha dato alla natura non intelligente queste leggi intelligentissime?

 

33. L'unica risposta ragionevole, logica, che soddisfa la ragione umana, anche quella di coloro che non credono, ci conduce ad ammette­re l'esistenza di un altro Essere intelligente, che non sia l'uomo "dal quale tutte le cose naturali sono ordinate ad un fine" (san Tommaso d'Aquino).

 

34. Ora, questo essere intelligente è colui che ha finalizzato l'uni­verso intero, ha predisposto i mezzi della natura tutta intera. Una simile intelligenza è solo quella di Dio.

 

35. Dunque, Dio esiste e ha lasciato una traccia evidente della sua opera intelligente: il finalismo della natura non intelligente. La ragione umana, anche quella di chi si dichiara ateo, osservando con attenzione il finalismo della natura e domandandosi l'origine di questo dato, di questa traccia, non può non giungere ad ammettere l'esistenza di un Finalizza­tore dell'universo intero: Dio.

 

“La filosofia può rispondere alla domanda: Esiste Dio? Il vangelo risponde all'interrogativo: chi è Dio? La Ri­velazione ci fa entrare all'interno, svelandocene essenza e segreti, di quel Dio di cui la ragione ha ammesso l'esi­stenza”. (JEAN GUITTON, tratto da VITTORIO MESSORI, Inchiesta sul Cristianesimo, Oscar Mondadori, 1993, pp. 72-73)

 

Il mondo è ordinato, dunque Dio esiste

 

"L'ultimo passo della ragione è di riconoscere che ci sono infinite cose che la sorpassano". (BLAISE PASCAL, Pensieri, in Pensieri, opuscoli, lettere, introd. e note di Adriano Bausola, Rusconi, Milano 1984, p. 582)

 

I. Un'altra strada, simile ma non identica a quella percorsa nel capitolo precedente, può condurre chi non crede a dubitare del proprio ateismo. Il cattolico deve conoscerla bene e proporla in termini com­prensibili ed accettabili a coloro che negano l'esistenza di Dio, sperando di contribuire, con questo, alla loro conversione.

 

2. Il punto di partenza di questa via è costituito da una dato di esperienza, da un dato di fatto innegabile. Anche chi non crede lo può facilmente verificare.

 

3. Ecco il dato: se osserviamo la realtà che ci circonda, l'universo intero e la natura, possiamo constatare che è costantemente (o quasi costantemente) ordinata.

 

4. Nel capitolo precedente, abbiamo riscontrato, confortati dalle osservazioni scientifiche, che la natura non intelligente è finalizzata. Ora osserviamo che la stessa natura non intelligente è ordinata.

 

5. Perché diciamo che la natura è sostanzialmente ordinata? Perché le cose che la compongono sono disposte in maniera tale da poter rag­giungere uno scopo. Ma dire che sono disposte è quanto dire che sono ordinate. Facciamo qualche esempio, di facile comprensione.

 

6. Troviamo un ordine meraviglioso nella disposizione delle com­ponenti di un fiore. Un fiore non è intelligente, è composto da cose non intelligenti (le radici, il gambo, i petali, la corolla, il pistillo) le quali si compongono in un ordine straordinariamente complesso e certamente dettato da una intelligenza.

 

7. C'è ordine nella disposizione delle parti che formano un essere vivente. Anche in questo caso vale lo stesso ragionamento. Cuore, pol­moni, arterie e vene, stomaco e fegato, scheletro e articolazioni non sono intelligenti. Eppure, svolgono funzioni assai complesse, che una intelligenza come quella dell'uomo ancora non sa riprodurre perfetta­mente. E non solo: all'interno di un corpo, queste realtà si compon­gono, si coordinano (dunque sono ordinate) per interagire, collaborano tra di loro per svolgere il loro compito.

 

8. Ci sono cose non intelligenti che appartengono a regni diversi: regno minerale, vegetale ed animale. Queste cose hanno dei rapporti tra di loro e interagiscono in modo straordinariamente ordinato. Facciamo un esempio:

a. la terra, con i suoi minerali e con con l'acqua appartiene al Regno mi­nerale;

b. essa, che non è intelligente, sa interagire con un seme per permettere, attraverso un processo straordinariamente intelligente, complesso ed ordinato, la nascita di un fiore. Il fiore appartiene al Regno vegetale;

c. il fiore, che non è intelligente, fornisce il polline alle api, che apparten­gono al Regno animale;

d. giungiamo così anche all'uomo, che consuma il miele prodotto dalle api e che si nutre degli animali (Regno degli animali intelligenti).

 

9. Dati che riguardano la straordinaria complessità, l'infinita bel­lezza e la splendida armonia che regnano nelle realtà sopra ricordate sono accessibili a chiunque sfogli un manuale di scienza della natura. E le stesse straordinarie, complesse ed ordinate interazioni possiamo osservare nel macrocosmo, nell'universo, tra pianeti con le loro orbite, le stelle, la forza di gravità, etc. Anche in questo caso, basta sfogliare un semplice manuale di astronomia per rendersi conto delle meraviglie del creato.

 

10. Per dimostrare l'esistenza di Dio, a noi è sufficiente constatare l'ordine che regna nella natura non intelligente. Ci conforta il fatto che anche la scienza conferma questo dato della nostra esperienza.

 

11. Stephen Hawking, astrolìsico inglese di fama mondiale, dichiaratamente ateo, nato nel 1942, scrive: "L'intera storia della scienza è stata una graduale presa di coscienza del fatto che gli eventi non acca­dono in modo arbitrario (sta dicendo - si noti bene - che gli eventi non accadono per caso, ma su questo punto ci soffermeremo in un apposito capitolo), ma che riflettono un ordine sottostante" ("citato in EUGENIO CORTI - GIANCARLO CAVALLERI, scienza e Fede, Mimep - Docete, Pessano 1995, p. 16).

 

12. Per lo scienziato ateo Hawking, la scienza scopre un "ordine sot­tostante" gli eventi che accadono nell'universo. Dello stesso parere è un al­tro scienziato, questa volta un credente, il fisico italiano Carlo Rubbia, na­to nel 1934, premio Nobel per la Fisica nel 1984. Ecco le sue parole: "credo che sia più evidente in noi che in altri l'esistenza di un ordine prestabilito nelle cose" (CARLO FIORE, scienza e fede, Elle di ci, Torino 1986, p. 23).

 

13. Se a qualcuno non bastasse, ecco una terza testimonianza. La fornisce il francese Jean Dorst, professore di zoologia dei mammiferi e degli uccelli, già direttore del Museo Nazionale di Storia Naturale: "L'ecologia indica come il diverso assortimento delle specie non si è stabi­lito a caso (anche qui, per il momento, tralasciamo il discorso sul caso che riprenderemo più avanti), ma che procede, invece, da un ordine pre­stabilito [...]. Non meno evidente appare l'ordine che riscontriamo nel mondo vivente [ ... ]. Il costituirsi del mondo vivente, nel corso di qualche miliardo di anni, non è concepibile senza un disegno" (tratto da: RENÉ LAURENTAIN, Dio esiste ecco le prove. [Le scienze erano contro. Ora conducono a Lui], Piemme, Casale M.to 1997, p. 53).

 

14. Dunque, scienziati credenti e non credenti confermano che la natura è sostanzialmente ordinata, che il mondo, meglio: l'universo intero, è sostanzialmente ordinato.

 

15. Questo è il punto di partenza della riflessione che condurrà la ragione umana ad ammettere l'esistenza di Dio. A quanti non credono in Dio va posta la seguente domanda: da dove viene l'ordine presente nella natura non intelligente e nell'universo non intelligente? In altre parole: chi ha ordinato il mondo?

 

16. A prima vista, sembra siano possibili 6 risposte non contraddit­torie, non immediatamente irragionevoli, che dobbiamo esaminare, sep­pur brevemente:

- la prima: il mondo si è ordinato da solo;

- la seconda: il mondo è sempre stato ordinato così;

- la terza: il mondo si è evoluto ed evolvendosi si è dato una legge natu­rale che ha ordinato le cose non intelligenti che lo compongono e conti­nua ad ordinarle;

- la quarta: l'uomo ha ordinato il mondo, perché l'uomo è un essere intelligente capace di ordinare;

- la quinta: il caso. Il mondo si è ordinato per caso;

- la sesta: il mondo è stato ordinato da una Intelligenza ordinatrice, che è Dio.

 

17. Esaminiamo la prima risposta: "il mondo si è ordinato da solo". Questa risposta è da escludere categoricamente, perché contrasta invinci­bilmente con la ragione umana. Infatti, tutti sanno che il mondo è com­posto da cose non intelligenti (ad eccezione dell'uomo) e tutti sanno che cose non intelligenti non sono in grado di comportarsi in modo intelli­gente. Questo significa che non sono capaci di ordinarsi, perché ordi­narsi è una operazione intelligente. Se non ci fosse la ricerca di un fine (che è operazione intelligente, come abbiamo visto nel precedente capi­tolo) non ci sarebbe ragione del perché il mondo sia strutturato in que­sto modo ordinato piuttosto che diversamente. Se non ci fosse l'obiet­tivo di vedere, non ci sarebbe ragione del perché l'occhio sia strutturato in questo modo piuttosto che in un altro. Questa risposta va, pertanto, scartata.

 

18. Poniamo attenzione alla seconda risposta: "il mondo è sempre stato ordinato così". Anche questa risposta è da respingere categorica­mente per due ragioni:

- la prima: si tratta di una risposta gratuita, dogmatica. Quali prove? Non ne esistono.

- la seconda: lo nega la scienza. L'universo non è sempre stato così. Una volta, in un tempo che gli scienziati calcolano tra i 10 e i 20 miliardi di anni fa, l'universo era tutto compresso in un punto infinitesimale e solo con il famoso Big Bang ha cominciato ad espandersi. E, secondo qualche scienziato, l'universo potrebbe avere anche una fine (la teoria del Big Crunch). Anche in nome della scienza, oltre che della logica, questa risposta risulta essere inaccettabile.

 

19. Osserviamo la terza risposta: "il mondo si è evoluto ed evolvendosi si è dato una legge naturale che ha ordinato le cose non intelligenti che lo compongono e continua ad ordinarle". Secondo questa teoria., la materia si sarebbe evoluta fino a produrre l'ordine che vediamo. La materia avrebbe leggi necessarie che devono per forza produrre l'ordine che constatiamo.

 

20. Secondo questa teoria, l'occhio vede perché è fatto in modo tale che non potrebbe non vedere e il serpente striscia per terra perché la sua struttura fisica è tale che esso può solo strisciare per terra, e non cam­minare o volare. In altre parole:

- l'occhio non è costruito per vedere (finalismo),

- ma vede perché è costruito così e non potrebbe fare altro che vedere (necessità).

 

21. Pensiamoci bene. Questa teoria non risponde alla nostra do­manda che riguarda la ragione dell'ordine presente nell'universo non in­telligente. Infatti, anche ammesso che le cose stiano come afferma questa teoria, cioè che l'ordine sia sorto dall'evoluzione della materia e che si con­servi grazie ad una ferrea legge naturale, resta pur sempre un quesito da sciogliere: chi ha programmato intelligentemente questa legge della natura? E ancora: perché l'occhio è fatto in maniera tale che può soltanto vedere e non è fatto in un altro modo? Chi ha intelligentemente predispo­sto una legge della natura grazie alla quale, necessariamente, l'occhio vede?

 

22. In realtà, è molto più ragionevole credere che l'occhio sia fatto come è fatto proprio perché deve raggiungere un fine, il suo scopo pre­ciso, che è quello di vedere. Se l'occhio avesse un altro fine, non sarebbe strutturato come noi lo vediamo. Tutte le sue parti, infatti, sono coordi­nate, dunque ordinate, in modo tale da rendere possibile la vista. Ripe­tiamo: se non ci fosse la ricerca di un fine (cioè il vedere), non ci sarebbe ragione del perché l'occhio è fatto così e non diversamente. Che la natura non intelligente, quindi anche l'occhio, sia finalizzata lo afferma la scienza e noi lo abbiamo visto nel precedente capitolo.

 

23. Passiamo alla quarta risposta: "l'uomo ha ordinato il mondo". L'uomo è un essere intelligente, capace di darsi un fine e di ordinare, e preordinare, i mezzi per raggiungerlo. Ma affermare che l'uomo, con la sua intelligenza, ha ordinato l'universo intero, tutta la natura è semplice­mente ridicolo ed assurdo.

 

24. Giungiamo alla quinta risposta: "Il caso. Il mondo si è ordinato per caso". Finalmente eccoci giunti alla risposta più frequentemente uti­lizzata quando si vuole negare a tutti i costi l'esistenza di Dio. Piuttosto che ammettere l'esistenza di un Essere intelligente che ha ordinato e finalizzato l'universo intero, si attribuisce tutto l'ordine che la scienza scopre nel macro e nel microcosmo al caso.

 

25. Il cattolico deve essere in grado di distruggere culturalmente questa pseudo-risposta, anche quando, per esempio a scuola, la propon­gono professori di materie scientifiche o insegnanti di filosofia. Poiché si tratta della risposta più utilizzata da chi non crede, le dedicheremo il capitolo che segue, spendendo poche parole nostre e chiedendo, invece, il parere ad illustri scienziati, atei o credenti indifferentemente.

 

26. Qui ci basti soltanto riflettere un momento: come può il caso dare origine all'ordine? Come si può pitturare a caso una tela e dar vita alla Gioconda di Leonardo da Vinci? Come si può chiudere in una sca­tola un quadrante, due lancette, un bottone di carica, un albero di carica, una ruota a corona, un bilanciere, molle e quant'altro, capovol­gere la scatola un paio di volte e sperare che, a caso, si sia composto un orologio, che è uno strumento funzionante solo se le parti che lo com­pongono sono ordinate? Il caso come origine dell'ordine è una risposta che ripugna alla ragione umana. Ormai sono sempre meno gli scienziati che ritengono il caso autore delle leggi complesse che regolano l'uni­verso.

 

27. Contestando la posizione di Jacques Monod, che riteneva essersi formata per caso la prima molecola di DNA, la molecola fonda­mentale della vita vegetale, Guido Sommavilla scrive: "Ma già il Dna è una molecola abbastanza complessa (circa dieci volte la molecola a tre atomi dell'acqua), sebbene al Monod sia sembrata semplice al punto da poterla pensare formabile per puro caso: come a dire un trenterno al lotto. E dunque se per caso un Dna (così ragionava Monod), per caso anche tutti i Dna, e per caso anche tutto il resto che se ne sviluppa: per caso le cel­lule, per caso gli organi, per caso gli organismi strutture di organi. E avanti via: sempre per caso tutte le fittissime interrelazioni tra organismi e tra regni: vegetale, animale, umano, e di nuovo minerale. Come avviene, per esempio, tra occhi e luci, colori, tra api e fiori, animali e vari loro habitat, uomini e mondo. Come a dire che, formatosi a caso un accordo di tre note (può succedere) o magari di trenta (già impossibile) si sviluppano poi ugualmente per puro caso da questo (come da causa o seme) le fasi, i tempi (allegro, adagio), i leitmotiv musicali e l'intera sinfonia. Ma non solo: anche accordi tra sinfonie e sinfonie a non finire. E senza mai un Mozart da nessuna parte a combinare mai niente. Ma no: perfino al lotto (che è a caso), quando escono dei terni a ripetizione, chi non è sciocco già al terzo o al quarto deve pensare al trucco, cioè all'intel­ligenza consapevole" (GUIDO SOMMAVILLA, Dio: una sfida logica, Rizzoli, Milano 1995, pp. 57-58). Ci sembra, quella dello studioso Sommavilla, una risposta del tutto condividibile e assolutamente ragio­nevole.

 

28. Siamo prossimi alla conclusione del nostro ragionamento. Dobbiamo escludere anche il caso come ragione dell'ordine presente nell'universo. Non ci è rimasta che una sola risposta: l'ordine viene da una Intelligenza. L'universo è ordinato, ma non si è ordinato da solo, non è sempre stato ordinato così, non è stato ordinato dall'uomo e non si è ordinato per caso.

 

29. Deve dunque esistere un Ordinatore, straordinariamente intel­ligente e infinitamente potente: noi chiamiamo Dio questo ordinatore onnipotente. Solo Dio ha tanta intelligenza e tanta potenza da riuscire ad ordinare tutto l'universo. Dio esiste e ha lasciato una traccia evidente della sua opera nell'ordine presente nell'universo.

 

30. La stessa logica che abbiamo fin qui seguito ci conduce inequi­vocabilmente ad ammettere l'esistenza di Dio anche percorrendo una terza strada. Vediamo intorno a noi esistere delle cose, vediamo che esi­ste l'universo intero. Domandiamo: "chi ha fatto il mondo,".

 

31. Siamo ora in grado di rispondere:

- non lo ha fatto l'uomo, perché lo nega l'esperienza.

- Il mondo non si è fatto da solo, perché avrebbe dovuto esistere prima di cominciare ad essere, e questo è contraddittorio.

- L'universo non può essere stato fatto per caso, perché è ordinato.

- Non ci resta che ammettere l'esistenza di Dio, che è Creatore, Causa Prima di tutto quello che esiste.

 

32. Dunque Dio esiste.

"Ho cercato di mostrare, insomma, che, se la “critica” può allontanare dalla fede, la “critica della critica” può ricondurvi. O, come diceva il cardinal Newman: Se un po' di cultura allontana da Dio, molta cultura lo fa riscoprire". (JEAN GUITTON, in VITTORIO MESSORI, Inchiesta sul Cri­stianesimo, Oscar Mondadori, 1993, p. 66)

 

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22/09/2009 15:34
 
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Ma quale caso?

 

"Da una trentina d'anni, la teoria dell'informazione ha stabilito questo (...): un messaggio che implica un significato viene sempre da una intelligenza". (CLAUDE TRESMONTANT, in RENÉ LAU­RENTAIN, Dio esiste ecco le prove, Piemme, Casale M.to 1997, p. 77)

 

1. Quando - costi quel che costi - non si vuole ammettere l'esi­stenza di Dio, quando non si vuole riconoscere l'opera di un Essere intelligente che ha ordinato l'universo e finalizzato la natura non intelli­gente, ecco spuntare il caso. Domandate a chi non crede in Dio quale sia la causa dell'ordine mirabile che osserviamo nel creato ed ecco comparire la "magica", irragionevole risposta: il caso.

 

2. Tutto ha avuto origine per caso, l'ordine è nato per caso e per caso si mantiene tuttora.

 

3. Questa pseudo-risposta è di una miseria culturale assoluta, anche se sostenuta da studiosi (sono sempre meno, in verità) di materie scientifiche o filosofiche, e il cattolico deve rendersene conto. Quanto sia irrazionale rifarsi al "caso" per spiegare l'universo, lo lasciamo dire ad illustri scienziati, anche non credenti. Vedremo che sono proprio loro i primi ad escludere che il caso possa essere all'origine della bellezza, della complessità, dell'armonia del micro e del macrocosmo che essi studiano approfonditamente.

 

4. Le dichiarazioni che di seguito riportiamo andrebbero memo­rizzate da ogni cattolico e utilizzate senza risparmio di energie nel corso di discussioni e dibattiti, a scuola, nel mondo del lavoro e tra amici, con lo scopo di mostrare come sia molto più ragionevole ammettere l'esi­stenza di Dio che rifarsi al "caso" per negarla.

 

5. Cominciamo da uno scienziato competente e molto famoso, il fisico italiano Carlo Rubbia, premio Nobel 1984. Ecco le sue parole: "Parlare di origine del mando porta inevitabilmente a pensare alla crea­zione e, guardando la natura, si scopre che esiste un ordine troppo preciso che non può essere il risultato di un 'caso', di scontri tra 'forze' come noi fisici continuiamo a sostenere. Ma credo che sia più evidente in noi che in altri l'esistenza di un ordine prestabilito nelle cose. Noi arriviamo a Dio percorrendo la strada della ragione, altri seguono la strada dell'irraziona­le" (in CARLO FIORE, scienza e fede, Elle di ci, Torino 1986, p. 23).

 

6. Prestiamo attenzione alle parole di Rubbia che abbiamo sottoli­neato. Egli parla da osservatore, da scienziato che sta "guardando la na­tura". Non sta facendo un discorso di Fede, nemmeno enuncia verità fi­losofiche. Egli, da scienziato che studia il creato, si accorge che l'ordine in esso esistente è a tal punto così complesso (la scienza è in grado, solo parzialmente, di misurarlo e di coglierne l'intrinseca perfezione, ma non certamente di dar vita a nulla di simile) che non può essere attribuito al cieco caso.

 

7. Sentiamo un altro scienziato, questa volta un non credente, 1'a­strofisico Stephen Hawking: "Le leggi della scienza quali le conosciamo oggi contengono molti numeri fondamentali, come la grandezza della carica elettrica dell'elettrone e il rapporto della massa del protone a quella dell'elettrone [...]. Il fatto degno di nota è che i valori di questi numeri sembrano essere stati esattamente coordinati per rendere possibile lo sviluppo della vita" (Dal big -bang ai buchi neri, Rizzoli 1992, p. 147).

 

8. Hawking non crede in Dio. Tuttavia, come scienziato constata che le leggi della scienza contengono numeri che “sembrano essere stati esattamente coordinati”. Da chi, domandiamo noi? Non certamente dal caso, perché il caso non coordina alcunché, cioè non mette in ordine ele­menti disparati come quelli che troviamo nel creato. Perché non ammet­tere molto più ragionevolmente l'esistenza di un Coordinatore onnipo­tente, cioè di Dio?

 

9. Dello stesso Hawking riprendiamo un'affermazione che abbiamo ricordato nel precedente capitolo: "L'intera storia della scienza è stata una graduale presa di coscienza del fatto che gli eventi non acca­dono in modo arbitrario, ma che riflettono un ordine sottostante" ("citato in EUGENIO CORTI - GIANCARLO CAVALLERI, scienza e Fede, Mimep - Docete, Pessano 1995, p. 16).

 

10. Se gli eventi non accadono in modo arbitrario, cioè se non acca­dono a caso, perché "riflettono un ordine sottostante", non resta che am­mettere l'esistenza di un Essere intelligente, cioè di Dio, che li ha ordinati.

 

11. Grichka Bogdanov è laureato in fisica teorica. Con suo fra­tello Igor, astrofisico, e il filosofo francese Jean Guitton è autore di un best-seller intitolato "Dio e la scienza" (Bompiani 1992). Sentiamo che cosa dice a proposito del caso: " Una cellula vivente è composta di una ventina di aminoacidi che formano una 'catena' compatta. La funzione di questi aminoacidi dipende a sua volta da circa duemila enzimi specifici... I biologi giungono a calcolare che la probabilità che un migliaio di enzimi si raggruppi per caso in modo ordinato fino a formare una cellula vivente (nel corso di un'evoluzione di diversi miliardi di anni) è dell'ordine di 10100 (uno seguito da mille zeri) contro 1" (pp. 41-42).

 

12. I dati forniti dal fisico Grichka Bogdanov sono illuminanti. Se il calcolo degli scienziati esclude che il caso sia l'autore dell'ordine esi­stente tra gli enzimi che compongono una sola cellula, come è possibile credere che l'ordine regnante nell'universo intero sia frutto del caso? Davvero, negare Dio quale autore del creato e attribuire al "caso" l'or­dine e la complessità dell'universo è del tutto irragionevole.

 

13. Sentiamo ancora le parole di Grichka Bogdanov: "Affinché la formazione dei nucleotidi porti "per caso" all'elaborazione di una molecola di RNA (acido ribonucleico) utilizzabile, sarebbe stato necessario che la natura moltiplicasse i tentativi a casaccio nello spazio di almeno 1015 anni (vale a dire 1 seguito da 15 zeri, cioè un milione di miliardi di anni), il che è un tempo centomila volte più esteso dell'età complessiva del nostro uni­verso" (ibidem, p. 44).

 

14. Credenti e non credenti devono riflettere di fronte a questi dati. Se, come afferma la scienza, per costruire a caso una sola molecola di RNA non può bastare l'età complessiva del nostro universo, come si sarebbe potuto generare "per caso" l'intero creato?

 

15. Sempre riferendosi al caso, il professor Bucci, del Campus Bio­medico di Roma, parlando ad un congresso internazionale che aveva per tema "La probabilità nelle scienze" riportava un paragone che andrebbe obbligatoriamente memorizzato tanto è illuminante, semplice e decisivo: "Supponiamo che io vada in una grotta preistorica e vi trovi incisa, su una parete, una scritta, per esempio: 'Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura chè la dritta via era smarrita', e che io dica ai miei colleghi: in quella grotta, a causa dell'erosione dell'acqua, della soli­dificazione dei carbonati e dell'azione del vento, si è prodotta, per caso, la prima frase della Divina Commedia. Non mi prenderebbero per matto? Eppure non avrebbero nulla da ridire se dicessi loro che si è formata per caso la prima cellula vivente, che ha un contenuto di informazioni equivalente a 5000 volte l'intera Divina Commedia" (tratto da EUGENIO CORTI - GIANCARLO CAVALLERI, scienza e Fede, Mimep-Docete, Pessano 1995, p. 13).

 

16. Un altro esempio riguardante l'impossibilità e l'irragionevo­lezza del caso ci è offerto dallo scienziato John Carew Eccles, neurofi­siologo australiano di fama mondiale, premio Nobel 1963 per la fisiolo­gia e la medicina. Ascoltiamo le sue parole: "Supponiamo l'esistenza di un magazzino immenso di pezzi aeronautici, tutti nelle loro casse o sugli scaf­fali. Un edificio enorme, mettiamo di mille chilometri per lato. Arriva un ciclone che, per centomila anni, fa roteare e scontrare tra loro quei pezzi. Quando finalmente si placa, dove c'era il magazzino c'è una serie di quadrimotori, già con le eliche che girano... Ecco: stando proprio alla scienza, le probabilità che il caso abbia creato la vita sono più o meno quelle di questo esempio. Con, pergiunta, un'aggravante: da dove vengono i materiali del magazzino?" (tratte da: VITTORIO MESSORI, Inchiesta sul Cristiane­simo, Mondadori, Milano 1993, p. 174).

 

17. Sempre riferendosi al caso, lo scienziato astronomo e matema­tico Fred Hoyle, nato nel 1915, diceva: "Ma è davvero possibile che il caso abbia prodotto, nel brodo primordiale di cui si favoleggia, anche sol­tanto gli oltre duemila enzimi necessari al funzionamento del corpo umano? Basta una piccola serie di calcoli al computer per rendersi conto che la probabilità che questo sia avvenuto casualmente è pari alla probabi­lità di ottenere sempre 12, per 50.000 volte di fila, gettando due dadi sul tavolo (due dadi non truccati, ovviamente, aggiungiamo noi). Più o meno la stessa probabilità, insomma, del vecchio esempio della scimmia che, bat­tendo su una macchina da scrivere, finirebbe con lo sfornare tutta intera la Divina Commedia, con capoversi e punteggiatura al punto giusto. E que­sto, ripeto, solo pergli enzimi, perché l'improbabilità raggiunge livelli ben più pazzeschi se ci si allarga a tutte le innumerevoli condizioni necessarie alla vita: tutti 'numeri' usciti dal cilindro del caso? Se si risponde sì, si esce dalla ragione" (tratto da: VITTORIO MESSORI, cit., pp. 174-175).

 

18. Chi di ragione se ne intende, Hoyle e gli scienziati che abbiamo fin qui ricordato, non teme di considerare "irragionevole" chi ricorre al caso per spiegare l'origine del creato e l'ordine che vi regna. I cattolici dovrebbero mostrare maggiore fermezza e superare ogni com­plesso di inferiorità culturale, giovandosi, nel difendere la ragionevolezza della esistenza

di Dio, anche delle affermazioni che abbiamo riportato.

 

19. Il fisico Alfred Kastler (1902-1984), premio Nobel 1966, dichiaratamente ateo, interrogato sulla possibilità che il caso sia all'orgine di quanto, come fisico, era oggetto dei suoi studi, rispondeva: "Suppo­niamo che nel corso di uno dei prossimi voli lunari venga esplorata la faccia sconosciuta della Luna, cioè quella che ci è opposta e che non vediamo mai, ma che gli astronauti possono raggiungere. Fino ad oggi, essi sono sempre atterrati sulla parte visibile della Terra perché le comunicazioni via radio rimangono possibili mentre non lo sono più quando ci si trova sull'altra faccia.

Supponiamo che essi abbiano la sorpresa di scoprire una fabbrica automa­tica che produce alluminio: esistono attualmente sulla terra fabbriche com­pletamente automatiche.

Essi vedrebbero da un lato delle pale che scavano il suolo e raccolgono l'allu­mina; dall'altro le barre di alluminio che ne escono. Essi vi troverebbero apparecchiature tipiche della fisica, processi di elettrolisi, poiché l'alluminio viene prodotto mediante elettrolisi di una soluzione di allumina nella crio­lite.

In altre parole, dopo aver esaminato questa fabbrica, essi constaterebbero solo il verificarsi di normali fenomeni fisici perfettamente spiegabili con le leggi della causalità.

Essi ne dovrebbero forse concludere che il caso ha creato tale fabbrica, oppure che degli esseri intelligenti sono discesi sulla Luna prima di essi e l'hanno costruita?

Ambedue queste possibilità di spiegazione sono reali. Ma pongo la domanda: sarebbe logico ritenere che il caso ha unito le molecole in modo tale da creare siffatta fabbrica automatica? Nessuno accetterebbe questa interpretazione.

Ebbene, in un essere vivente troviamo un sistema infinitamente più complesso di una fabbrica automatica. Voler ammettere che il caso ha creato tale essere mi sembra assurdo. Se esiste un programma, non posso ammettere programma senza programmatore: del quale però non voglio costruirmi un'immagine" (Alfred Kastler in CHRISTIAN CHABAN1S, Dio esiste? No, rispondono..., Mondadori, Milano 1974, pp. 28-29).

 

20. È, quella di Kastler, una posizione per certi versi strana. Egli ammette l'esistenza di un "programmatore", dunque di un Essere intelli­gente - perché per programmare bisogna essere intelligenti - ma la sua riflessione si ferma qui. Non lo vuole chiamare Dio, e così il suo ateismo è salvo, anche se al prezzo di fare a pugni con la logica. Tuttavia, per il cattolico basta sottolineare come ogni scienziato onesto non può fare a meno di ammettere che l'ordine del creato, "il programma", non può esistere senza "programmatore", cioè non può essersi creato per caso. Di fronte a chi non crede, il cattolico avrà buon gioco nel mostrare che il "programmatore" di cui parla Kastler - è evidente - non può che essere una Intelligenza straordinaria, infinita, tanto grande da poter programmare, cioè creare e ordinare, l'universo intero. Noi diciamo che questo Programmatore è Dio.

 

21. Un altro non credente, uno scienziato famoso, Jean Rostand, naturalista: "Dal punto di vista scientifico manca qualcosa alla spiega­zione mediante il caso. E difficile ingoiare il fatto che l'uomo sia apparso sulla terra in virtù di questi lapsus molecolari" (p. 51). E ancora: "Ho detto no a Dio [...], ma la domanda ritorna a porsi in ogni momento. Mi dico: è possibile? Per esempio, a proposito del caso mi ripeto: non può essere il caso a combinare ali atomi. Ma allora che cosa è?" (p. 46). Infine, a p. 59: "Disgraziatamente non riesco a immaginare altro che il caso. Ma bio­logicamente sembra difficile spiegare anche un fiore mediante il caso" (Jean Rostand, in CHRISTIAN CHABANIS, Dio esiste? No, rispon­dono..., op. cit.).

 

22. Quanta palese e sofferta riflessione in queste parole. Rostand è ateo e deve negare l'esistenza di Dio ad ogni costo. Ma quando si domanda chi può aver dato vita all'ordine esistente in un minuscolo fiore - immaginarsi nell'universo intero - deve ricorrere, per balbettare una risposta che non sta in piedi, all'immaginazione: "disgraziatamente non riesco ad immaginare altro che il caso". Invece, "biologicamente", cioè scientificamente, egli sa bene che il caso non spiega nemmeno un fiore. Come sarebbe più ragionevole ammettere l'esistenza di Dio.

 

23. Riprendiamo un'affermazione che abbiamo ricordato nel pre­cedente capitolo. Ce la offre Jean Dorst, professore di zoologia dei mammiferi e degli uccelli, già direttore del Museo Nazionale di Storia Naturale. Ecco le sue parole: "L'ecologia indica come il diverso assorti­mento delle specie non sì è stabilito a caso" (tratto da RENE LAUREN­TAIN, Dio esiste ecco le prove [Le scienze erano contro. Ora conducono a Lui], Piemme, Casale M.to 1997, p. 53).

 

24. Una negazione decisa del caso come autore dell'armonia e del­l'assortimento delle varie specie esistenti in natura. Negazione ribadita più avanti, con altre parole: "Il costituirsi del mondo vivente, nel corso di qualche miliardo di anni, non è concepibile senza un disegno" (p. 53). Dunque, per spiegare la bellezza del creato ci vuole un disegnatore, quindi un Essere intelligente, infinitamente intelligente. E questo essere è Dio.

 

25. L'astrofisico americano Trinh Xuan Thuan, di origine vietna­mita: "[...] l'universo è regolato con estrema precisione. Occorre poco più di una decina di numeri per descriverlo: la forza di gravitazione, la velocità della luce, la cifra che misura la dimensione degli atomi, la loro massa, la carica degli elettroni, ecc. Ora, basterebbe che uno di questi numeri fosse diverso e l'universo non esisterebbe (noi compresi, di conseguenza). Si tratta di un congegno a orologeria assai delicato, poiché, con lo scarto di qualche decimale, nulla accadrebbe e l'universo risulterebbe sterile. Il Big-Bang ori­ginale doveva possedere una certa densità; le stelle, produrre carbone; la terra, trovarsi a una certa distanza dal sole; l'atmosfera, avere una buona composizione. Era necessario tutto questo perché comparisse la vita. Erano possibili migliaia di altre combinazioni. I fisici le ricreano in laboratorio, ma nessuna ha originato la vita. Questo concorso di circostanze è troppo straordinario perché il caso ne sia il solo responsabile. Ecco perché sono certo che c'è un Creatore" (tratto da RENÉ LAURENTAIN, Dio esiste ecco le prove [Le scienze erano contro. Ora conducono a Lui], cit. p. 70).

 

26. Finalmente sentiamo il parere di una studiosa di filosofia, Sofia Vanni Rovighi, che commenta alcuni dati scientifici forniti da E. Poli, nel volume Homo Sapiens, il quale afferma che la sostanza del cervello "è un complicatissimo feltro di cellule e fibre, dotato di straordinarie capacità operative che nell'uomo ci sono 12 miliardi di neuroni "dei quali il 95% si trova nella corteccia cerebrale. Si calcola che una grossa cellula del midollo spinale (gatto) sia in contatto con 30.000 giunti interneuronici [...]. In to­tale, nel fèltro neuronico dell'atomo esisterebbe un milione di miliardi di collegamenti ecc... [ ... ]. In confronto - è stato detto - i più perfezionati cal­colatori non fanno alcuna impressione"

 

27. Poli sostiene che tutto questo è frutto di un'evoluzione durata milioni di anni senza che ci fosse un progetto, un fine da raggiungere, un piano operativo. Ma il filosofo, la Vanni Rovighi in questo caso, si domanda: ma è mai possibile che il caso, sia pure durante un'evoluzione durata milioni di anni, abbia prodotto questa incredibile organizzazione, questo complicatissimo intreccio ordinato?

 

28. E prosegue: "Tutti abbiamo sentito il paragone: è possibile che buttando innumerevoli volte a casaccio il contenuto di una sacco pieno di lettere dell'alfabeto ne venga fuori l'Iliade o la Divina Commedia? Si può rispondere: non è contraddittorio che ciò avvenga, ma quale uomo ragione­rebbe così?" (SOFIA VANNI ROVIGHI, La filosofia e il problema di Dio, Vita e pensiero, Milano 1986, p. 74).

 

29. Questo capitolo è giunto al termine. Mi pare che siano stati raccolti elementi sufficienti per affermare la totale irrazionalità, la più completa irragionevolezza, la più straordinaria assurdità del caso, mentre abbiamo confermato la ragionevolezza e la logicità di chi afferma che all'origine dell'universo ordinato, che ciascuno di noi - confortato dalle osservazioni scientifiche - vede, non può esserci che una Intelligenza ordinatrice infinita: Dio.

 

30. Sono dati raccolti dal mondo della scienza, sui quali è possibile un'ultima riflessione di carattere filosofico, offerta dallo studioso Batti­sta Mondin: "assumere il caso come spiegazione di qualcosa di estrema­mente e profondamente razionale quale è la teleonomia è cadere in patente contraddizione, perché si afferma e si nega allo stesso tempo la razionalità. Nella teleonomia la razionalità è incarnata, è reale. Rifugiarsi nel caso che è un non ente, un nulla per spiegarla, significa sconfessare apertamente quanto si era già apertamente riconosciuto" (BATTISTA MONDIN, Dica chi è? Massimo, Milano 1990, p. 232).

 

31. Se il caso, dunque, a detta degli stessi scienziati, non può essere ritenuto la causa dell'ordine e del finalismo presenti nel cosmo, ne consegue la necessità di ammettere l'esistenza di un Essere ordinatore e finalizzatore, dunque intelligente: questo Essere è ciò che chiamiamo Dio.

 

"... l'universo ha un asse, o meglio ancora, un senso. Questo senso profondo si trova al saio stesso interno, sotto la forma di una causa trascendente. (..) La presenza evidente di questa intelligenza nel cuore della materia mi allontana per sempre da una concezione secondo cui l'universo sarebbe apparso per caso, avrebbe prodotto la vita per caso e l'intelligenza ugualmente per caso". (JEAN GUITTON, in JEAN GUITTON, GRICHKA BOGDA­NOV, IGOR BOGDANOV, Dio e la scienza, IV ed., Bompiani, Milano 1992, p. 41)

 

Il mondo c'è, dunque Dio esiste

 

"Di quanto la religione si allontana da noi, di altrettanto si allontana la ragione". (GILBERT KEITH CHESTEKTON, Ortodossia, IX ed.; Morcelliana, Brescia 1980, p. 48)

 

l. Partendo dalla osservazione di un dato di fatto, cioè dall'ordine e dal finalismo presenti nella realtà che ci circonda, abbiamo percorso con la nostra ragione una delle vie, la quinta, che san Tommaso ha trac­ciato per giungere a Dio.

 

2. In questo capitolo ci proponiamo di mostrare un altro percorso, fondato sulla seconda delle cinque vie di san Tommaso, affinché si possa dimostrare la straordinaria capacità di ogni uomo di cogliere le tracce della presenza e dell'opera di Dio nella realtà che lo circonda.

 

3. Dobbiamo ricordare che il nostro discorso è estremamente sem­plificato, quindi è certo che non tutte le osservazioni, non tutti i pro­blemi, non tutte le domande troveranno una risposta nella nostra esposi­zione. Ma abbiamo volutamente scelto di esporre solo le nozioni ele­mentari, le più comprensibili perché il nostro vuole essere un testo offerto a tutti, qualunque sia il loro grado di istruzione.

 

4. Veniamo a quest'altra prova che dimostra l'esistenza di Dio. Come nelle prove precedenti, anche questa parte da una constatazione, da un dato di fatto innegabile, che tutti, anche quelli che si dichiarano atei o agnostici, possono osservare.

 

5. Il dato è questo: tutto ciò che esiste intorno a noi e di cui abbiamo esperienza concreta ha una o più cause. Possiamo osservare intorno a noi una concatenazione di cause ed effetti. Anche ciascuno di noi è un anello di questa concatenazione.

 

6. Qualche esempio ci aiuterà a comprendere meglio quello che stiamo affermando.

 

7. Osserviamo un fiore. Qualche tempo fa abbiamo piantato un seme in un vaso colmo di terra. Lo abbiamo innaffiato ed esso è cre­sciuto. Il nostro fiore non esisterebbe senza il seme che abbiamo inter­rato e da cui è nato.

 

8. Ora il nostro fiore è un "effetto" di quel seme che avevamo piantato. Il seme è stato la "causa" del fiore che è cresciuto.

 

9. Ma anche il seme ha avuto una sua causa, cioè un precedente fiore da cui deriva; e anche il fiore che ha dato origine al seme è nato da un precedente seme, e quest'ultimo da un precedente fiore, e così via in una lunghissima concatenazione di cause e di effetti.

 

10. Ci rendiamo conto di aver semplificato al massimo, perché si dovrebbe spendere una parola anche sulle cosiddette "concause" che contribuiscono alla nascita del nostro fiore: pensiamo alla terra fertile, all'acqua, ai minerali presenti, alla luce del sole, tutti elementi dei quali possiamo avere esperienza, che, coordinandosi mirabilmente, contribui­scono al nascere del fiore. Tutti elementi che consentono al seme di essere la causa principale del suo effetto, il fiore.

 

11. Un altro esempio lo possiamo ricavare considerando ciascuno di noi. È certo che noi, una volta, non eravamo, non esistevamo. Siamo venuti all'esistenza a causa dei nostri genitori. Noi siamo un "effetto" dei nostri genitori, e i genitori sono la nostra "causa".

 

12. Ma anche i nostri genitori sono stati "causati" dai loro geni­tori, i nostri nonni. Anche qui possiamo constatare una concatenazione di cause ed effetti, una catena della quale siamo parte e che, molto pro­babilmente, si estenderà anche nel tempo futuro, se daremo vita ai nostri figli.

 

13. Quanto abbiamo detto è un dato di fatto che ogni uomo può osservare, indipendentemente dalle sue convinzioni religiose.

 

14. Proprio da questa osservazione, parte una riflessione, un ragio­namento che condurrà ad ammettere l'esistenza di Dio.

 

15. A pensarci bene, a ragionare, dobbiamo ammettere che in que­sta concatenazione di cause e di effetti, di cui abbiamo esperienza, non è possibile logicamente, razionalmente, risalire la serie senza mai giungere ad una Causa prima, ad una Causa che ha dato il via alla concatenazione che osserviamo e che, proprio perché Causa prima, non è stata causata da alcunché.

 

16. In altre parole: stiamo dicendo che, vista e sperimentata l'esi­stenza della concatenazione di cause ed effetti, deve per forza esistere una Causa prima, e questa Causa prima è chiamata da tutti Dio.

 

17. Abbiamo il compito di provare, di giustificare ciò che abbiamo appena detto. Perché affermiamo che bisogna necessariamente, logica­mente, razionalmente, ammettere l'esistenza di una Causa prima, cioè di Dio? Per due ragioni.

 

18. La prima ci sembra più facile da comprendere. Intorno a noi, nella realtà che ci circonda, ci sono soltanto cose finite. Noi abbiamo esperienza solo di cose limitate, determinate o determinabili, misurate o misurabili con gli strumenti in nostro possesso o con altri che saranno costruiti.

 

19. Gli scienziati misurano la grandezza dell'universo e stabili­scono, anche se con una certa approssimazione, la data della sua nascita. Essi conoscono e misurano anche le infinitesimali grandezze del micro­cosmo e le loro ricerche sono destinate ad ottenere sempre nuovi risul­tati, a raggiungere sempre nuovi traguardi.

 

20. Nell'universo, nel macro e nel microcosmo, esistono solo cose finite, già misurate o misurabili. Questo è un dato della scienza, che non si può negare, pena il ridicolo.

 

21. Ecco la prima ragione che ci porta ad ammettere l'esistenza di Dio: poiché esistono solo cose finite, dobbiamo obbligatoriamente ammettere che anche la concatenazione di cause ed effetti, di cui parla­vamo, deve essere finita, deve avere un limite.

 

22. Infatti, la concatenazione è composta di singoli anelli (ogni singola causa ed ogni singolo effetto), ciascuno limitato e finito. La con­catenazione deve essere necessariamente finita, limitata, perché essa non è altro che la somma di singoli anelli, tutti finiti e limitati.

 

23. Come tutto ciò che la compone, anche la concatenazione di cause ed effetti, globalmente intesa, una volta non esisteva, dunque ha avuto un inizio, dunque è stata causata.

 

24. Ma attenzione! Evidentemente, la concatenazione ha avuto inizio da una Causa che, proprio perché ha causato tutto ciò che esiste, non ha avuto una sua propria causa, non può essere un effetto di qual­cosa che esisteva prima, altrimenti non sarebbe la causa di tutto.

 

25. Ne consegue che, poiché questa Causa è prima, cioè non è stata causata da alcunché, essa esiste da sempre. Questa causa è ciò che chiamiamo comunemente Dio. Dunque Dio, come Causa prima di tutto, esiste.

 

26. La seconda ragione ci sembra più difficile da spiegare, ma non è meno vera logicamente, razionalmente, della prima. Anche qui ci obblighiamo ad un pericoloso ma necessario sforzo di semplificazione.

 

27. Tutto quello che ci circonda è soltanto l'ultimo anello della concatenazione di cause ed effetti che lo ha preceduto. Il nostro fiore, di cui si parlava, è solo l'ultimo anello di una concatenazione che com­prende il seme da cui ha avuto origine, un altro precedente fiore dal quale si è costituito il seme, un altro precedente seme dal quale è nato quest'ultimo fiore, e così via.

 

28. Proviamo a riflettere. Se la strada che, percorsa in retromarcia, conduce dagli ultimi anelli di questa concatenazione (gli effetti che vediamo) alla Causa prima fosse infinita, cioè non avesse mai fine, non giungesse mai alla Causa prima (perché non esiste Dio), dovremmo logicamente ammettere che anche il percorso inverso, quello che giunge fino a noi, deve essere infinito, deve non finire mai, deve non giungere mai fino a noi.

 

29. Ma in questo caso saremmo costretti ad ammettere che la provvisoria fine della concatenazione di cause ed effetti, cioè il nostro fiore, non dovrebbe esserci, non dovrebbe esistere. E nemmeno noi, che siamo la fine di una concatenazione, avremmo dovuto esistere. Invece, sia il fiore sia ciascuno di noi, effetti provvisoriamente finali di una conca­tenazione, esistiamo. Quindi deve esserci una Causa prima, deve esserci Dio.

 

30. Chiedendo aiuto a san Tommaso, potremmo ragionare anche in questo modo: tra noi e la Causa prima ci sono delle cause intermedie.

 

31. Se non ci fosse la Causa prima (Dio), non dovrebbero esistere nemmeno le cause intermedie. Ma se non ci fossero le cause intermedie, non dovremmo esserci nemmeno noi, che siamo gli effetti di queste cause. Invece noi ci siamo e questo significa che le cause intermedie esi­stono e questo vuol dire che esiste la Causa prima, cioè che esiste Dio, Causa prima non causata.

 

32. Sentiamo san Tommaso: "In una serie di cose collegate tra loro, non si può assolutamente negare la prima, perché da essa dipendono tutte le altre, e se quella si toglie, tutte vengono meno" (Summa theologiae, I-II, q. 1 a 4).

 

33. Quanto dice san Tommaso ci pare logicamente evidente.

 

34. Possiamo aggiungere un'altra considerazione logica, un altro ragionamento. La concatenazione di cause e di effetti, della quale noi siamo gli ultimi anelli, e di cui abbiamo esperienza, non può essersi origi­nata da sola. Deve per forza essere stata causata.

 

35. Infatti, per originarsi da sola, avrebbe dovuto esistere prima di cominciare ad essere. Come causa di se stessa, avrebbe dovuto esistere prima di se stessa come effetto. Ma se diciamo questo cadiamo nella più palese contraddizione, nell'irragionevolezza più totale, nell'assurdo. Dunque tutta la concatenazione di cause ed effetti, che ha preceduto quello che oggi esiste e di cui abbiamo esperienza, certamente è stata causata da Qualcuno che sta fuori dalla concatenazione, da una Causa che chiamiamo Prima, cioè da Dio.

 

36. Un'altra considerazione logica: la concatenazione di cause ed effetti, di cui noi siamo gli ultimi anelli e di cui abbiamo esperienza, non può essere sempre esistita. Deve avere avuto necessariamente un inizio.

 

37. Infatti, tutte le singole unità (cause ed effetti) che la compon­gono sono finite, nascono e muoiono, sono imperfette e limitate. Ora, anche sommando tutte le cause-effetti che ci hanno preceduto, si giun­gerà ad una quantità enorme, immensa quanto si voglia, ma in ogni modo finita, limitata. Ricordiamo che tutto ciò che esiste, l'universo intero, non esisteva venti miliardi di anni fa, dice la scienza. E nell'uni­verso si è dispiegata tutta la concatenazione di cause e di effetti che, al pari dell'universo, ha avuto un inizio, una data di nascita, dunque non può essere sempre esistita.

 

38. Concludendo: con la nostra ragione, senza l'ausilio della Sacra Scrittura e dell'insegnamento della Chiesa, giungiamo ad ammettere che, poiché tutto ciò che esiste ha avuto un inizio e poiché non può essersi generato da solo, deve per forza esistere una Causa di tutto.

 

39. Questa Causa prima è una realtà che non ha avuto inizio (altri­menti non sarebbe prima), che esiste da sempre, che è non è stata cau­sata: è Dio.

 

40. Come si è visto, la ragione dell'uomo, partendo da una consta­tazione elementare, cioè dall'esistenza di una serie di cause ed effetti, giunge ad ammettere come necessaria e ragionevole l'esistenza di una Causa prima, di Dio.

 

41. Dunque Dio esiste.

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22/09/2009 15:35
 
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L'esistenza storica di Gesù Cristo

 

"E il Verbo si fèce carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, glo­ria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità" (Gv 1,14).

 

1. Fino a questo punto, la nostra indagine ci ha condotto all'acqui­sizione di un dato importante, che il cattolico non mancherà di utilizzare per contribuire alla conversione di chi non crede in Dio: la ragione umana è in grado di giungere alla certezza intellettuale della esistenza di Dio creatore.

 

2. Le vie che conducono la ragione ad entrare in possesso di que­sta certezza sono numerose. Noi abbiamo proposto soltanto le più facili, la quinta e la seconda di san Tommaso d'Aquino. Abbiamo preferito for­nire solo argomenti elementari, alla portata di tutti, facilmente utilizza­bili nell'opera di evangelizzazione.

 

3. Ma il cattolico, che non disdegna il confronto e lo scontro di opinioni, non deve mancare di approfondire la sua conoscenza delle vie che la ragione umana può percorrere per dimostrare l'esistenza di Dio.

 

4. Ora, mostrando che Dio esiste abbiamo fatto solo il primo passo. Il cattolico, grazie alla Rivelazione e all'insegnamento della Chiesa, sa che il Cristianesimo è la vera Religione, l'unica che ci svela il vero Dio e ci indica la strada per il Paradiso.

 

5. Chi non crede in Dio, o chi vi crede senza essere Cristiano, potrebbe chiedere ragione delle convinzioni del cattolico. È necessario, pertanto, focalizzare l'attenzione sul Cristianesimo. E’ doveroso indagare sulla credibilità di questa Religione, che ha avuto un ruolo straordinaria­mente importante sia nella storia dell'Occidente che in quella del mondo intero. Il cattolico deve conoscere i motivi di credibilità delle sue convinzioni religiose ed essere in grado di proporli, con chiarezza e semplicità, a quanti non professano la sua stessa Fede.

 

6. Il Cristianesimo ci informa che il suo fondatore, Gesù Cristo, è morto per salvare l'umanità intera da un pericolo mortale, altrimenti irri­mediabile, l'inferno, al quale tutti eravamo destinati dopo il peccato di Adamo e di Eva. Inoltre, il Cristianesimo annuncia che Gesù Cristo è stato ucciso, crocifisso, ma poi è risorto ed è tornato a vivere. Anche ad ogni uomo - stando al Cristianesimo - toccherà di risorgere, quindi di affrontare un giudizio da parte di Dio per essere destinato alla gioia o alla disperazione eterna.

 

7. A queste, e ad altre verità rivelate, il Cristianesimo chiede ad ogni uomo una adesione pressoché totale. Ora, può accadere che qual­cuno, prima di dare il suo consenso, specialmente se questo comporta un mutamento radicale nella vita e nel modo di pensare, voglia accertarsi della bontà dei fatti cui è chiamato a dare ragione.

 

8. Se questo accadesse, e può accadere, il cattolico che opera per la conversione di chi non crede, o di chi crede ma non è cristiano, non deve trovarsi impreparato. Torna utile, allora, accertarsi che i fatti narrati dal Cristianesimo, a cominciare dalla esistenza storica di Gesù Cristo, siano credibili. E dobbiamo verificare anche lo spessore storico dei Van­geli, indagando sulla loro autenticità, integrità e veridicità.

 

9. I limiti della nostra indagine sono presto dichiarati: intendiamo riconoscere autorità solo alla ragione umana, quindi ai risultati della ricerca storica. Né la Sacra Scrittura, né la dottrina della Chiesa saranno interpellate, perché chi non crede, o chi non è cristiano, non è disposto a riconoscerle come autorevoli.

 

10. Ne consegue che, per mostrare la credibilità del Cristianesimo, anche i Vangeli saranno trattati alla stregua di comuni documenti, il cui valore storico deve essere ancora accertato. E, per meritare di essere cre­duti, devono superare positivamente qualche interrogativo. Non daremo per scontato nemmeno il fatto che Gesù sia realmente esistito e per cere­dere che duemila anni fa questo figlio di un carpentiere abbia realmente visto la luce in terra di Palestina avremo bisogno della conferma di docu­menti storici.

 

11. Evidentemente i Cristiani non nutrono alcun dubbio riguardo l'esistenza storica di Gesù; ma questa certezza vale anche per chi non crede in Dio? Si dirà che la Sacra Scrittura è molto esplicita in proposito, e non mancheremo di interrogarla su Gesù Cristo, ma chi non crede chiede di vedere, conoscere, esaminare altri documenti storici. Docu­menti che non nascono, per esempio, in ambiente cristiano e che, quindi, non destano sospetti di parzialità.

 

12. Il cattolico potrà utilmente ricordare a chi non crede che fino al XVIII secolo a nessuno, nemmeno ai nemici più agguerriti della Reli­gione cristiana, era mai venuto in mente di negare l'esistenza storica di Gesù. Ma viviamo nel XX secolo e non scordiamo che, in tempi più recenti, l'esistenza di Cristo è stata definita da qualcuno puramente mitologica, fantastica, inventata. L'Enciclopedia Sovietica, per fare un esempio, si schierava su questa posizione. E così anche qualche "intellet­tuale" di casa nostra, l'italiano Umberto Galimberti, che in diversi arti­coli pubblicati su quotidiani nazionali paragonava Gesù Cristo al perso­naggio mitologico Mitra.

 

13. In verità, oggi le cose sono profondamente mutate e la caduta di quel muro di Berlino che è stato il simbolo della vergogna del nostro secolo ha trascinato con sé anche le sicurezze dell'Enciclopedia succitata. Infatti, grazie ad una documentazione sempre più rigorosa e ricca, oggi nessuno studioso degno di questo nome, a qualunque fede appartenga, oppure si professi semplicemente ateo, nega che l'esistenza storica di Gesù è abbondantemente documentata.

 

Documenti storici

 

14. Se diamo retta da un ex esattore delle tasse (Matteo), ad un medico (Luca), ad un giovane che per qualche tempo fu segretario del­l'Apostolo Pietro (Marco) e ad un anziano che fu tra i pochi ad ascoltare le parole di Gesù in croce (Giovanni), tutti vissuti nel primo secolo, l'esi­stenza di Gesù di Nazareth deve considerarsi un dato incontestabilmente accertato dal punto di vista storico.

 

15. I quattro testimoni hanno messo per iscritto i ricordi di quanto accaduto 2.000 anni orsono, lasciandoci così con i Vangeli le prove più preziose riguardo l'esistenza di Gesù. Ma, fino a questo momento, noi non abbiamo ancora esaminato il valore storico di questi documenti e quindi dobbiamo lasciarli da parte, per ora.

 

16. Altri riferimenti alla persona di Gesù sono molto rari nelle fonti documentarie non cristiane dei primi secoli. Il mondo romano lo ha sostanzialmente ignorato e quello ebraico, se talvolta lo ricorda, lo fa con disprezzo e con offese; ma, più spesso, non se ne è occupato.

 

17. La scarsità di informazioni provenienti da ambienti non cristiani non deve preoccupare ed è perfettamente comprensibile: in quell'epoca nessuno poteva immaginare a quale incredibile sviluppo andasse incontro il Cristianesimo. Oltre a ciò, la fine ingloriosa del suo Fondatore, crocifisso con l'infamante accusa di avere bestemmiato perché si era fatto uguale a Dio, non suscitava certo l'interesse degli storici pagani dell'epoca.

 

18. Tuttavia, i cronisti dell'Impero, le cui opere ci sono pervenute, sebbene solo con cenni e spesso con intenzioni non benevole, di Cristo e dei Cristiani qualche cosa dicono. I loro ricordi sono pochi e talvolta superficiali, segno che non conoscevano bene questo nuovo personag­gio, tuttavia meritano la massima attenzione.

 

19. Una prima traccia la troviamo in Flavio Giuseppe, storico giu­deo nato a Gerusalemme verso il 37/39 d.C. Capo della rivolta antiro­inana dell'anno 66, sconfitto, decise di passare al nemico, divenendo fedele servitore del comandante romano Vespasiano, futuro imperatore. Flavio Giuseppe mostra di conoscere bene i fatti di cui parla, per averli vissuti in prima persona. Gli studiosi lo accreditano come storico sostan­zialmente attendibile.

 

20. Alla fine del primo secolo scrive le Antichittà giudaiche. In quest'opera troviamo tre riferimenti a Gesù e ai Cristiani:

- il primo tratta della morte onorevole di Giovanni Battista (Antichità giudaiche, XVIII, 116-119);

- il secondo informa della morte di Giacomo, che Flavio Giuseppe quali­fica come "fratello di Gesù chiamato il Cristo" (ivi, XX, 200);

- il terzo, il più noto, è conosciuto come "Testimonium Flavianum".

 

21. Riportiamo il Testimonium Flavianum perché è sommamente importante ai fini del nostro discorso: "Ora, ci fu verso questo tempo Gesù, un uomo sapiente, seppure bisogna chiamarlo uomo: era infatti facitore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità. E attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei Greci. Costui era il Cristo. E avendo Pilato, per denuncia degli uomini principali fra noi, punito lui di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti comparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già detto i divini profeti queste e migliaia d'altre cose mirabili riguardo a lui. E ancora adesso non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati i Cristiani" (Antichità giudaiche, XVIII, 63-64).

 

22. Come emerge da questa testimonianza, Flavio Giuseppe, alla fine del primo secolo, sarebbe stato a conoscenza non solo dell'esistenza di Cristo, ma anche dei suoi poteri, della sua funzione messianica e di quello straordinario avvenimento che va sotto il nome di risurrezione dai morti.

 

23. Tutto questo, in realtà, è apparso eccessivo a molti studiosi, cui non è piaciuto anche il tono elogiativo nei confronti di Gesù; tono che difficilmente un giudeo non cristiano avrebbe usato nei confronti del Nazareno. Ecco perché alcuni storici ritengono che questo passo sia stato interpolato da una ignota mano cristiana prima di giungere a Eusebio di Cesarea, il grande storico della Chiesa del IV secolo, che lo riporta nella sua celeberrima Historia Ecclesiastica (I, II).

 

24. In ogni caso, pur sfrondando il testo di tutti i toni elogiativi ed apologetici, resta il fatto che Flavio Giuseppe ha sentito parlare di Gesù, dei cristiani e, da storico, ne scrive senza mettere in dubbio la sua esi­stenza.

 

25. Ma qualche anno fa, uno studioso ebreo è riuscito a scoprire la probabile versione originale del Testimoniurn Flavianum. Ce ne dà notizia Vittorio Messori: "Nel 1971, una scoperta forse decisiva è venuta dal prof. Shlomo Pinès dell'Università Ebraica di Gerusalemme. Come titolò il suo articolo il 14 febbraio del 1972 il quotidiano International Herald Tribune «Gli ebrei portano le prove dell'esistenza di Gesù». Il prof. Pinès, infatti, notò per primo che del testo su Cristo nelle antichità si possedeva un'altra versione, diversa da quella giudicata inquinata delle edizioni classiche. Quella versione è contenuta in un'opera araba del X secolo, la Storia Uni­versale di Agapio, vescovo di Hierapolis in Siria. Agapio riporta il Testimo­nium Flavianum senza quelle espressioni di fede che lo facevano rifiutare dagli studiosi. Ora, osserva tra l'altro Pinès, sembra incredibile che un vescovo cristiano abbia minimizzato il testo di Flavio Giuseppe, togliendogli (se c'erano) i termini lusinghieri su Gesù. Inoltre, varie testimonianze di autori antichi (Origene, Girolamo, Michele il Siriano) sembrano confer­mare che il professore ebreo contemporaneo avrebbe davvero scoperto la ver­sione originale della testimonianza di Flavio. Se è così, dice Pinès, "abbiamo qui la più antica testimonianza scritta, di origine non cristiana, che riguardi Gesù". (...)

Ecco il brano di Flavio Giuseppe, così com'è riportato da Agapio, nella versione dell'Università Ebraica di Gerusalemme: "A quell'epoca viveva un saggio di nome Gesù. La sua condotta era buona, ed era stimato per la sua virtù. Numerosi furono quelli che, tra i Giudei e le altre nazioni, divennero suoi discepoli. Pilato lo condannò ad essere crocifisso e a morire. Ma coloro che erano divenuti suoi discepoli non smisero di seguire il suo insegnamento. Essi raccontarono che era apparso loro tre giorni dopo la sua crocifissione e che era vivo. Forse era il Messia di cui i profeti hanno raccontato tante meraviglie" (VITTORIO MESSORI, Ipotesi su Gesù, XV edizione, SEI, Torino 1977, pp. 238­239).

 

26. Anche in questa versione, purificata dalle interpolazioni dell'i­gnota mano cristiana, risulta evidente che Flavio Giuseppe non poneva in discussione l'esistenza reale di Gesù. Il dato è di fondamentale impor­tanza, perché ci è offerto da uno storico non cristiano e proviene da un ambiente che, se è certo dell'esistenza di Cristo, non ne accoglie il mes­saggio: è quindi un ambiente non interessato.

 

27. Questa testimonianza segna un punto a favore della reale esi­stenza storica di Cristo. Ve ne sono altre.

 

28. Due decenni dopo, verso il 112 d.C., il governatore Plinio il Giovane scrive una lettera all'imperatore Traiano. In essa non si parla di Gesù, ma si accenna ai cristiani i quali, in Bitinia (Turchia), regione posta sotto il suo comando, erano "abituati a radunarsi prima del levare del sole, per cantare un carme a Cristo come a un Dio" (Epist., X, 96).

 

29. Plinio chiede lumi all'imperatore riguardo l'atteggiamento da tenere nei confronti dei cristiani. Sa che, in base alla legge, vanno con­dannati con l'accusa di empietà, perché rifiutano di credere nella reli­gione ufficiale dell'impero e mancano di rispetto verso l'imperatore. Denuncia, inoltre, che i Cristiani sono in gran numero nelle città e nelle campagne, ma reputa innocue le loro riunioni e sa che con giuramento si obbligano a non commettere furti, a non commettere adulterio, a resti­tuire i prestiti e a non tradire la Fede.

 

30. La lettera di Plinio all'imperatore Traiano "è la più antica testi­monianza pagana sulle assemblee liturgiche dei Cristiani primitivi e sul­l'Eucaristia" (MARTA SORDI, I cristiani e l'impero romano, Jaka Book, Milano 1984, p. 67).

 

31. La risposta di Traiano non si fa attendere. Noi la conosciamo ed abbiamo così fra le mani il "più antico documento ufficiale sui rapporti fra il Cristianesimo e lo stato romano" (MARTA SORDI, op cit., p 67). L'imperatore dispone che i Cristiani non devono essere ricercati, ma pos­sono essere perseguitati solo se denunciati da qualcuno purché non ano­nimo, salvo che, sacrificando agli dei dell'impero, non rinneghino la loro Fede.

 

32. La lettera di Plinio ci impone qualche riflessione. Nei primi anni del II secolo vi erano Cristiani che si radunavano per rendere gloria a Cristo come a Dio. Se anche l'esistenza di Gesù fosse stata solo una invenzione mitologica, ebbene questa doveva risalire almeno al I secolo, quindi in epoca molto vicina alla vita del Nazareno, quando potevano insorgere molti testimoni in grado di smascherare il pericoloso inganno.

 

33. Invece di questi non abbiamo notizia e anche Plinio non fa alcun cenno di presunte invenzioni. Al contrario dà per scontato ciò che ai suoi tempi era pacificamente accettato: un certo Gesù era effettiva­mente esistito qualche decennio prima.

 

34. Qui dobbiamo registrare un secondo punto a favore della documentata storicità dell'esistenza di Cristo, mentre il cartellino su cui marcare le testimonianze a sfavore segna ancora zero.

 

35. Cinque anni dopo i fatti sopra ricordati, nel 117, lo storico Tacito scrive nei suoi Annali che Nerone, per evitare sospetti che pote­vano colpirlo a causa dell'incendio di Roma avvenuto nel 64 d.C., "ne presentò come rei e colpì con supplizi raffinatissimi coloro che il volgo, odiandoli per i loro delitti, chiamava Cristiani. L'autore di questa deno­minazione, Cristo, sotto l'impero di Tiberio (imperatore dal 14 al 37 d.C.,), era stato condannato al supplizio dal Procuratore Ponzio Pilato; ma, repressa per il momento, l'esiziale superstizione erompeva di nuovo, non solo per la Giudea, origine di quel male, ma anche per l' Urbe, ove da ogni parte confluiscono tutte le cose atroci e vergognose" (Annales, XV 44).

 

36. Come è facile notare, Tacito aveva nei confronti dei Cristiani e della loro religione una pessima opinione ed un atteggiamento marcata­mente ostile. Ma questo non è sufficiente per spingerlo ad accusare i Cri­stiani di essersi inventati l'esistenza di Cristo. Eppure, niente al pari di questa accusa, se provata, sarebbe valso a screditare defintivamente quella "esiziale superstizione".

 

37. Ma Tacito ci fornisce anche un dato molto interessante. Stando a lui, che è uno storico, nel 64 a Roma vi era gente che si profes­sava cristiana, dunque seguace di quel Cristo che era morto poco più di 30 anni prima. Nulla ci vieta di pensare che qualcuno della comunità romana, prima di trasferirsi dalla Palestina all'Urbe, abbia conosciuto personalmente Gesù. È questo, tra gli altri, il caso di Simon Pietro. Ma a noi interessa sottolineare che se l'esistenza di Cristo fosse stata inventata, qualcuno a Roma l'avrebbe certamente contestata e a Tacito, di questa falsificazione, ne sarebbe giunta l'eco. Invece, significativamente, non ci dà alcuna notizia di simili contestazioni.

 

38. Segnamo un terzo punto a favore della esistenza storica di Gesù, ma la nostra ricerca non è ancora giunta al termine.

 

39. Lo storico Svetonio, verso l'anno 120, ci lascia una indica­zione precisa sui Cristiani i quali, a suo dire, e come aveva rilevato Tacito, sotto Nerone furono "sottoposti a supplizi (...), razza di uomini d'una superstizione nuova e malefica" (Nero, 16).

 

40. Il giudizio di Svetonio sui Cristiani è fortemente negativo ed espresso con tinte di spregevole disprezzo. Egli avrebbe avuto buon gioco a svergognare la loro "superstizione nuova e malefica" se appena avesse saputo che era fondata su un personaggio mitologico, mai esistito. Invece, anche in questo caso, non troviamo accuse di questo genere.

 

41. Non solo. Egli ci informa che durante l'impero di Claudio (imperatore dal 41 al 54), predecessore di Nerone, furono "espulsi da Roma i Giudei i quali, ad impulso di Cresto, facevano frequenti tumulti" (Claudius, 25). Con tutta probabilità, l'espulsione citata da Svetonio avvenne tra il 49 e il 50 d.C. Tutti gli studiosi concordano nel ritenere che quel "Cresto" altri non sia che il Cristo e Svetonio, conoscendo troppo poco i Cristiani, lo crede presente a Roma.

 

42. A noi, però, interessa un dato: meno di 20 anni dopo la morte di Cristo, a Roma vi è già una comunità di suoi seguaci. È certamente passato troppo poco tempo per inventare l'esistenza di un Messia senza rischiare di essere scoperti e denunciati.

 

43. Segnamo un ulteriore punto, il quarto, a favore dell'esistenza storica di Gesù. Nessuna delle testimonianze storiche, non uno dei docu­menti che ci sono pervenuti, provenienti da ambienti non cristiani dei primissimi decenni dopo la morte di Cristo, contesta l'esistenza di Gesù.

 

44. Qualche decennio fa è stato scoperto un altro documento. È una lettera che uno storico siriaco, di nome Mara Bar Sarapion, indirizza a suo figlio nell'anno 73 d.C. In questa lettera viene ricordato come i Giu­dei avrebbero messo a morte il loro "saggio re", dove il riferimento a Gesù, del quale non si fa tuttavia il nome, è comunque di una evidenza lampante.

 

45. Anche gli avversari accaniti del Cristianesimo non contestano l'esistenza storica di Gesù. Tra questi, merita di essere ricordato un filo­sofo di nome Celso, vissuto nel Il secolo, autore di scritti polemici con­tro la nuova religione. Ciò che conosciamo di lui proviene da Origene, che scrisse un'opera per confutarlo (Contra Celsum).

 

46. Tra il 178 e il 180, Celso mise mano ad uno scritto, forse pub­blicato in due libri, fortemente polemico nei confronti del Cristianesimo. Egli mostra di conoscere bene la Bibbia e la letteratura cristiana apologe­tica dei primi secoli. Parlando dei Cristiani non conosce mezzi termini: li accusa di ignoranza, di fanatismo, di superstizione. Accusa Gesù di essere stato un ciarlatano, in possesso di arti magiche con le quali si spieghereb­bero i miracoli che gli vengono accreditati.

 

47. Per la sua violenza verbale, Celso può essere considerato il Vol­taire del Il secolo; tuttavia, nonostante questa avversione, non ha mai messo in dubbio l'esistenza storica di Gesù Cristo.

 

48. Per attaccare i Cristiani, Celso si serve di tutti gli argomenti a sua disposizione, ma non dell'unico che avrebbe avuto valore ultima­mente definitivo: quello di essersi inventati l'esistenza di Cristo. E anche questo dato, che va ad aggiungersi ai precedenti, deve essere tenuto in debita considerazione.

 

49. Siamo giunti alla fine di questo capitolo. Ogni cattolico non può dubitare che il Cristianesimo è una Religione fondata su un perso­naggio realmente esistito. Il grosso delle testimonianze storiche sulla vita e le opere di Gesù è contenuto in quattro libretti, i Vangeli. Dovremo ri­volgere verso di loro la nostra attenzione e sottoporli a qualche interro­gativo per verificare se meritano di essere considerati autentici documenti storici. È quanto faremo nei prossimi capitoli.

 

"Se noi diminuiamo la personalità di Gesù storicamente, dobbiamo poi spiegare da dove sia venuto il cristianesimo". (MONS. ENRICO GALBIATI, in STEFANO ALBERTO la cura di], Vaiagclo e storicitta. Un dibattito, BUR, Milano 1995, p. 44)

 

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22/09/2009 15:36
 
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Autenticità dei Vangeli

 

"(...) se l'originale dei vangeli è davvero ebraico o aramaico è perché sono stati scritti subito, tra il 30 (anno probabile della morte di Gesù) e il 50, o poco più. In ogni caso, ricolto prima che, con la distruzione del 70, il vecchio Israele sia travolto e scompaiano gli intinti testimoni di ciò che è raccontato in quei testi". (VITTORIO MESSORI, Patì sotto Ponzio Pilato?, SEI, Tosino 1992, p. 297)

 

1. La nostra indagine sulla credibilità del Cristianesimo ha affron­tato, nel capitolo precedente, il problema della esistenza di Gesù Cristo e abbiamo visto, grazie alla documentazione in nostro possesso, che si tratta di un dato storicamente accertato.

 

2. Ora, tra i documenti che abbiamo preso in considerazione non abbiamo incluso i quattro Vangeli. E ciò non perché essi non siano da considerarsi storici, ma soltanto perché non abbiamo ancora esaminato il loro spessore di testimonianze affidabili, di documentazione attendibile. È ciò che cominceremo a fare ora.

 

3. Il cattolico sa che: "La santa madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e costanza massima che i quattro Vangeli, di cui afferma senza alcuna esistnza la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza" (Dei Verbum, 19). Sulla scorta di que­sta definizione, tratta da una Costituzione dogmatica del Concilio Vati­cano II, il cattolico non nutre alcun dubbio che i Vangeli siano docu­menti storici autentici e veritieri.

 

4. Poiché quanto insegnato dalla Dei Verbum ha valore normativo solo per i cattolici, per accertare l'attendibilità storica dei Vangeli, e convincere di ciò chi la contesta, il cattolico deve percorrere altre strade, quelle tracciate dalla ricerca storica.

 

5. Molto semplificando, possiamo dire che la disciplina storica, quando incontra un documento scritto che riporta fatti accaduti in pas­sato, solitamente percorre queste strade:

- in primo luogo, ne accerta l'autenticità;

- poi verifica l'integrità del contenuto;

- quindi esamina quanto è scritto per accertare se corrisponde a fatti real­mente accaduti.

 

6. Ora, per mostrare a chi non crede che i Vangeli sono documenti storici, che riportano con fedeltà fatti realmente accaduti, il cattolico per­corre la stessa strada indicata dallo storico.

 

7. Che cosa significa indagare sull'autenticità dei Vangeli? Vuol dire appurare in primo luogo che essi risalgano effettivamente all'età apostolica, ossia al I secolo, e poi che siano stati scritti realmente dagli autori cui sono attribuiti.

 

8. Che cosa significa indagare sull'integrità dei Vangeli? Vuol dire accertarsi che i Vangeli oggi in nostro possesso, quelli che abitualmente leggiamo, corrispondano nel contenuto esattamente a quelli che hanno redatto Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Sarà necessario, dunque, sgomberare il campo da ogni possibile sospetto di manomissione, di mutilazione e di correzione del testo evangelico originale.

 

9. Che cosa significa indagare sulla veridicità dei Vangeli? Vuol dire:

- in primo luogo, controllare che i Vangeli siano stati scritti in epoca vicina ai fatti che narrano (e qui riprenderemo il discorso sull'autenticità dei Vangeli).

- poi, recuperare informazioni sui loro autori, perché interessa sapere se sono persone meritevoli di fiducia, competenti in materia e testimoni attendibili dei fatti che raccontano.

- infine, e questa è forse la parte più importante, accertare che i fatti nar­rati siano realmente accaduti.

 

10. Il cattolico sa che il problema relativo alla datazione dei Van­geli è molto importante. Vi sono certe correnti di pensiero, sostenute anche da qualche teologo e da qualche biblista, stando alle quali tra il Cristo della storia, cioè quello che è realmente vissuto, e la composizione dei Vangeli sarebbero intercorsi lunghi periodi di tempo, da 30 fino a 70 anni.

 

11. Quanti negano pieno valore di documentazione storica ai Van­geli ritengono che in questo lungo arco di tempo la Chiesa primitiva, mentre era in fase di organizzazione e con lo scopo di guadagnare nuovi fedeli, avrebbe divinizzato la persona di Gesù, attribuendogli parole ed opere che in realtà Egli non avrebbe mai pronunciato o compiuto.

 

12. Una vera e propria manipolazione, una autentica falsificazione della verità, quella compiuta dalla Chiesa primitiva nel redigere i Vangeli. Per rimediare, teologi, biblisti e studiosi, a partire da quelli di confes­sione protestantica, hanno dato il via ad un processo cosiddetto di "demitizzazione", con l'intento di eliminare dal testo dei Vangeli, e quindi dalla vita di Gesù Cristo, ogni parola e ogni episodio che non sarebbe razionalmente comprensibile.

 

13. Riguardo la scelta tra le parole e i fatti da conservare e quelli da eliminare nel testo evangelico, ogni studioso ha personali opinioni. Per alcuni, espressioni come "Io e il Padre siamo una cosa sola" sono puramente inventate. Impossibile che un uomo, un giudeo, abbia mai pronunciato queste parole che lo fanno uguale a Dio. Ma è anche impos­sibile che abbia camminato sulle acque, sfamato migliaia di persone con pochi pani e pesci, guarito all'istante ciechi, sordi e storpi, risuscitato il figlio della vedova di Nain, comandato alle forze della natura e che, dopo la morte, sia anche risuscitato. Tutto questo ripugna, secondo alcuni "studiosi", alla ragione umana. Nei Vangeli vi sarebbe stato aggiunto da mani ignote e interessate a tutto tranne che a trasmettere fedelmente la vita di Gesù Cristo.

 

14. Che cosa rimanga della vita di Gesù che meriti qualche inte­resse, dopo averla depredata di quanto abbiamo sopra ricordato, non è dato di capirlo bene. Per quanto ci riguarda, solo se le nostre tre piste di ricerca - autenticità, integrità, veridicità dei Vangeli - dovessero condurci a risultati positivi, solo in questo caso noi saremo autorizzati a trattare i Vangeli come documenti storici atendibili, credibili, meritevoli della nostra considerazione.

 

15. E se i Vangeli sono documenti storici attendibili, il cattolico li proporrà con schiettezza e semplicità a chi non crede, perché si renda conto dell'irragionevolezza delle sue convinzioni e si disponga, con l'aiuto della grazia di Dio, a convertirsi.

 

I Vangeli sono documenti del primo secolo

 

16. Una tradizione bimillenaria, giunta ininterrottamente fino a noi, attribuisce i Vangeli a quattro autori di nome Matteo, Marco, Luca e Giovanni, tutti vissuti - si dice - nel I secolo d.C. Come possiamo veri­ficare la fondatezza di questa tradizione?

 

17. Il punto di partenza della nostra ricerca è un dato storico indi­scutibile, perché di esso possediamo molte testimonianze. Subito dopo la morte di Gesù, il Cristianesimo si diffonde in numerose e vaste regioni dell'Impero di Roma. Proprio di questa capillare presenza rimangono molte tracce, anche archeologiche, che perfino un turista distratto può facilmente notare solo che viaggi in Terra Santa o in Asia Minore.

 

18. A Cipro, a Tessalonica, ad Atene, a Efeso, a Corinto (Grecia), in certe zone dell'Asia Minore (Panfilia, Pisidia, Galazia, Iconio e Colossi), Paolo fonda comunità cristiane che presto diventano fiorenti e si dotano, fin dal I secolo, di una certa struttura gerarchica e di una organizzazione.

 

19. A Gerusalemme, a Cesarea, ad Antiochia, a Joppe (Giaffa) e in Samaria, Pietro fonda altre comunità cristiane. Anche a Rorna, probabil­mente fu Pietro il fondatore della locale comunità cristiana.

 

20. Altri Apostoli fondano comunità in Egitto, nella Cappadocia, in Armenia e in zone dell'Asia Minore (Porto, Frigia, Bitinia).

 

21. Una presenza così numerosa di focolai di Cristianesimo è atte­stata da fonti storiche non cristiane. Abbiamo ricordato, nel capitolo pre­cedente, la lettera di Plinio il Giovane (anno 112) all'imperatore Traiano, nella quale si legge: "Il Cristianesimo è professato da un gran numero d'ambo i sessi, di ogni età e classe sociale" e nella quale si dice che questa nuova Religione è ormai diffusa non solo nelle città ma anche nei villaggi e nelle campagne.

 

22. Queste comunità cristiane sono tra loro assai distanti e soprat­tutto sono spesso indipendenti una dall'altra. Tra alcune di esse non mancheranno scontri e rivalità che sfoceranno, talvolta, in dure lotte di carattere dottrinale, fino a giungere successivamente a dolorose separa­zioni.

 

23. Ma su di un punto esse concordano sempre: nel ritenere gli scritti di Matteo, di Marco, di Luca e di Giovanni i soli autentici Vangeli, realmente scritti dai quattro personaggi suddetti, tutti vissuti nel I secolo d.C.

 

24. Questo è un primo dato che gioca a favore dell'autenticità dei Vangeli, da prendere in seria considerazione. Ma ve ne sono altri.

 

25. Tra il 95 ed il 150 d.C. visse Papia, che fu anche vescovo di Gerapoli, in Asia Minore. Papia fu discepolo di un altro grande della Chiesa, san Policarpo, vescovo di Smirne. E san Policarpo fu amico e discepolo di san Giovanni Apostolo, l'autore del quarto Vangelo.

 

26. Nelle sue "Spiegazioni dei detti del Signore", di cui ci parla lo storico Eusebio di Cesarea (Historia Ecclesiastica, III, 39), Papia scrive: "Questo diceva il Presbitero: Marco, divenuto interprete di Pietro, scrisse con accuratezza, ma non con ordine, tutto ciò che ricordava delle parole o dei fatti del Signore. Egli, infatti, non aveva udito il Signore né era stato suo discepolo, ma più tardi, come dicevo, aveva accompagnato Pietro, il quale impartiva le sue istruzioni secondo i bisogni, ma senza fare esposizione ordi­nata dei detti del Signore, cosicché non commise colpa Marco scrivendo alcune cose così come le ricordava. Egli ebbe una sola preoccupazione, di non omettere nulla di quanto aveva inteso e di non introdurre alcun errore...

Quanto a Matteo, egli in lingua ebraica ordinò i detti del Signore e cia­scuno l'interpretò come era capace di fare".

 

27. Nella testimonianza di Papia si fa cenno ad un "Presbitero". A detta degli studiosi si tratta proprio di san Giovanni apostolo, le cui parole furono riferite a Papia probabilmente proprio da quel Policarpo discepolo dell'autore del quarto Vangelo.

 

28. Siamo davanti ad una testimonianza preziosa, la cui fonte potrebbe risalire, con la mediazione di san Policarpo, nientemeno che ad Lui Apostolo del Signore, autore di un Vangelo. Papia parla solo di un Vangelo di Matteo e di uno di Marco; tace sugli altri due e così facciamo, - per ora, anche noi. Segnala che Marco era "interprete di Pietro" e "aveva accompagnato" il Principe degli Apostoli. Pertanto, Marco è certamente vissuto in età apostolica e il suo Vangelo va datato al I secolo.

 

29. La documentazione storica ci offre altre testimonianze impor­tanti a conferma dell'autenticità dei Vangeli.

 

30. Nell'anno 185, Ireneo, vescovo di Lione (Gallia), scrive: "Matteo fra gli Ebrei nella propria lingua di essi produsse un Vangelo, nel tempo in cui Pietro e Paolo predicarono a Roma e vi fondarono la Chiesa. Quindi, dopo la dipartita di costoro, Marco, discepolo e segretario di Pietro, ci trasmise anch'egli per iscritto le cose predicate da Pietro. A sua volta, Luca, compagno di Paolo, compose in un libro il Vangelo predicato da quello. Infine, Giovanni, il discepolo del Signore, quello che riposò pure sul petto di Lui, anch'egli pubblicò un Vangelo, mentre dimorava in Efeso d'A­sia... Esistono dunque solo quattro Vangeli né più né meno. Come quattro sono le parti del mondo e quattro i venti principali (...) È manifesto quindi che il Verbo ci ha dato il Vangelo quadriforme, permeato da un solo spirito" (Adversus Haereses, III, 1, 1).

 

31. Dunque, al tempo di Ireneo, sul finire del II secolo, è assodato che gli unici Vangeli ai quali la Chiesa attribuisce valore sono quelli di Matteo, di Marco, di Luca e di Giovanni. Ireneo ci offre una datazione dei Vangeli ancora generica, ma molto significativa: Matteo scrive "nel tempo in cui Pietro e Paolo predicarono a Roma e vi fondarono la Chiesa", quindi prima del 64/67 d.C., anno della loro morte. Ci informa, inoltre, che Luca, autore del terzo Vangelo, era compagno di Paolo mentre Gio­vanni, autore del quarto, era apostolo di Gesìi. Dunque, tutti uomini vis­suti nel primo secolo, che scrissero i Vangeli certamente in età apostolica.

 

32. La testimonianza di Ireneo è preziosa sia per l'autorevolezza della fonte, perché egli fu uomo di profonda cultura e di grande presti­gio e autorità nella Chiesa primitiva, sia perché, sebbene giovanissimo, conobbe personalmente san Policarpo, discepolo dell'Apostolo Giovanni.

33. Un altro testimone che conferma l'autenticità dei Vangeli è Clemente Alessandrino (Atene 150 ca. - 212 ca.), di cui ci siamo già occupati quando abbiamo esaminato il pensiero cattolico riguardo l'esi­stenza di Dio. Uomo coltissimo, educato nel paganesimo, conosceva perfettamente i filosofi greci e il Nuovo ed Antico Testamento, citati nei suoi scritti per almeno 3.500 volte.

 

34. Ricordando le sue Ipotiposi, una raccolta in otto libri di appun­ti sulla Sacra Scrittura, Eusebio di Cesarea scrive: "In questi stessi libri Clemente espone, circa la serie dei Vangeli, la tradizione degli antichi pre­sbiteri che è questa. Egli dice che sono stati scritti dapprima i Vangeli che contengono le genealogie del Salvatore (Matteo, Luca), e che quello secondo Marco ha avuto la seguente origine. Avendo Pietro predicato pubblicamen­te a Roma la Parola di Dio ed esposto il Vangelo in virtù dello Spirito San­to, i molti che erano stati presenti esortarono Marco come colui che l'aveva seguito da gran tempo e si ricordava delle cose dette, di mettere per iscritto le cose pronunciate. Avendo fatto ciò, Marco consegnò il Vangelo a quelli che l'avevano pregato. Pietro risaputo ciò non volle esplicitamente né impe­dire né incitare. Ultimo, pertanto, è Giovanni: vedendo che negli Evangeli precedenti erano state manifestate le cose corporee (ea quae ad corpus Chri­sti pertinent), spinto dagli amici, divinamente portato dallo Spirito Santo, produsse un Vangelo spirituale" (Historia Ecclesiastica, VI, 14).

 

35. Come si può notare, anche Clemente Alessandrino attesta i nomi degli Evangelisti e l'epoca in cui furono scritti, certamente il I secolo, offrendoci un ulteriore dato storico in favore della loro autenti­cità.

 

36. Un altro testimone in favore dell'autenticità dei Vangeli è un discepolo di Clemente Alessandrino, suo successore, a partire dall'anno 203, nella Scuola di Alessandria. Stiamo parlando di Origene, autore di un Commentario in Matteo, in cui scrisse: "Ecco quanto appresi dalla tra­dizione intorno ai quattro Vangeli, che sono gli unici ammessi senza contro­versia dalla Chiesa di Dio. Dapprima fu composto il Vangelo secondo Mat­teo, il quale una volta era pubblicano e in seguito divenne Apostolo di Gesù Cristo. Egli pubblicò il Vangelo in lingua ebraica per i Giudei convertiti alla fede. Il secondo è quello composto da Marco dietro quantogli aveva espo­sto Pietro... Il terzo è quello secondo Luca, il Vangelo raccomandato da Paolo, scritto a favore dei Gentili. L'ultimo quello secondo Giovanni" (Euse­bio di Cesarea, Historia Ecclesiastica, VI, 25).

 

37. Un'altra testimonianza è quella di Tertulliano, autore del Libro contro Marcione, scritto intorno al 200. Egli scrive: "Abbiamo stabilito prima di tutto che lo strumento evangelico ha per autori gli Apostoli ai quali il Sitgnore stesso diede l'incarico di promulgare il Vangelo. Quando ne furono autori dei discepoli, non rimasero però isolati, bensì in comunione con gli Apostoli; poiché la predicazione dei discepoli potrebbe essere sospettata di una gloria, se non fosse garantita dall'autorità dei maestri, anzi dall'auto­rità di Cristo che conferì il magistero agli Apostoli. Così, tra gli Apostoli, Gioranni e Matteo ci hanno comunicato la fede; tra i loro discepoli, Luca e Marco la rinnorano" (Adversus Marcionem, IV 2).

 

38. Fino ad ora abbiamo esaminato una serie di testimonianze molto antiche, tutte concordi sull'autenticità dei quattro Vangeli. Dob­biamo ricordare che queste testimonianze provengono da uomini auto­revoli, prestigiosi, di grande cultura anche se diversi tra loro per sensibi­lità e formazione. Tutti però attestano che la Chiesa primitiva riteneva ispirati, dunque canonici, solo i Vangeli di Matteo, di Marco, di Luca e di Giovanni, che furono scritti nel I secolo.

 

39. A questa serie di documenti ne possiamo aggiungere un altro di incomparabile valore. Si tratta del celebre Canone Muratoriano, un rammento datato verso la metà del II secolo d.C., scoperto dallo storico Ludovico Antonio Muratori (1672 - 1750) nella Biblioteca Ambrosiana di Milano e reso pubblico nell'anno 1742.

 

40. È un frammento incompleto. Contiene il catalogo dei Libri del Nuovo Testamento, ma è privo dell'inizio e della fine. Pur così mutilato, esso esordisce affermando"... il terzo Vangelo è di Luca, medico, compa­gno di Paolo,... il quarto è di Giovanni, uno dei discepoli".

 

41. In realtà, prima dell'esordio sopra ricordato, vi sono alcune parole che concludono una frase precedente, della quale non si ha l'ini­zio, andato perso. Gli studiosi concordano che si riferisca al Vangelo di Marco. Ma a noi importa notare come il Codice Muratoriano enumera i Vangeli di Luca e di Giovanni, definendoli rispettivamente "il terzo" e "il quarto".

 

42. Non è proprio difficile credere, anche sulla base delle altre testimonianze che abbiamo ricordato, che i primi due Vangeli, dei quali certamente il Codice Muratoriano riferiva, dovevano essere quelli di Matteo e di Marco.

 

43. A questo punto della nostra ricerca si impone una conclusione. Tutti i dati storici che abbiamo riferito concordano nel ritenere i Vangeli scritti nel primo secolo e proprio dai noti quattro Evangelisti. Dunque, la loro autenticità è pienamente confermata. Nello stesso secolo in cui Cri­sto era vissuto, dopo la sua morte e risurrezione, vi sono testimoni che hanno messo per iscritto ciò che avevano visto o udito. Il dato è di straordinaria importanza.

 

44. Quelle che abbiamo ricordato fino ad ora sono prove che gli studiosi definiscono "esterne" ai Vangeli. Vi sono anche prove "interne", cioè prove che possiamo ricavare da un attento esame del testo evange­lico. Qui ne proponiamo soltanto due.

 

45. La prima. Se si pone attenzione alla Chiesa così come è descritta nei Vangeli, essa ci appare certamente dotata di un "Capo" ("Tu sei Pietro") e di una primitiva scala gerarchica, occupata dagli Apostoli. Ma nei Vangeli non vi è alcun cenno di quella struttura gerar­chica più complessa, che nasce subito ma che ci è ricordata da altri scritti del Nuovo Testamento, composta di Vescovi, presbiteri e dia­coni.

 

46. Questa mancanza si spiega solo se si ammette che i Vangeli sono stati scritti prima che la Chiesa si strutturasse completamente, quindi in un tempo estremamente vicino alla morte del Signore, avve­nuta nel 30 d.C.

 

47. La seconda. Stando ai Vangeli, gli unici avversari che incontra Gcsù Cristo sono Farisei, Sadducel e Scribi. Manca qualsiasi riferimento ai primi terribili avversari del Cristianesimo primitivo: Gnostici, Doceti, Montanisti, etc. Neppure si trova nei Vangeli alcun riferimento alle per­secuzioni scatenate periodicamente dalle autorità dell'Impero di Roma che ebbero, però, una notevole ripercussione sulla vita delle prime comu­nità cristiane.

 

48. Questo silenzio su eventi che sconvolsero la vita della Chiesa primitiva si spiega solo ammettendo che i Vangeli sono stati scritti quando le eresie e le persecuzioni sopra ricordate non erano ancora avve­nute, quindi proprio a ridosso della vita terrena di Gesù di Nazareth.

 

49. La nostra ricerca sull'autenticità dei Vangeli andrebbe comple­tata esaminando più a fondo la data della loro composizione. Fino ad ora, abbiamo visto che furono scritti nel I secolo, ma possiamo essere più precisi.

 

50. Affronteremo questo tema nel capitolo dedicato alla "veridi­cità" dei Vangeli. Prima, dobbiamo accertare se questi documenti sono giunti fino a noi integralmente, senza alterazioni. È ciò che faremo nelle pagine che seguono immediatamente.

"Gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte tramandate a voce o già per iscritto, redigendo una sintesi delle altre o spiegandole con riguardo alla situazione delle Chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù cose vere e sincere". (Dei rerImm, 19)

 

Integrità dei Vangeli

 

"I Vangeli sono il cuore di tutte le Scritture". (CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, n. 125)

 

1. Abbiamo finora accertato che Gesù Cristo è realmente esistito e che nel I secolo furono scritti quattro Vangeli per riferirne parole ed opere. La nostra ricerca sull'attendibilità storica dei Vangeli ha fatto solo un primo passo. Altri ne restano da compiere, e il successivo deve rispon­dere a questa domanda: siamo sicuri che i Vangeli in nostro possesso, che sentiamo proclamare in Chiesa o leggiamo personalmente, siano proprio quelli scritti dai quattro Evangelisti?

 

2. E ancora: le variazioni che si trovano nelle numerose versioni, talvolte dovute a errori dei copisti o a loro indebite correzioni, hanno forse alterato irrimediabilmente gli scritti originali degli Evangelisti, tanto da renderci impossibile sapere che cosa hanno realmente scritto? E, di conseguenza, che cosa ha veramente detto e fatto Gesù Cristo?

 

3. A tutte queste domande, che sono fondamentali per accertare la credibilità storica del Cristianesimo, risponde l'indagine sulla integrità dei Vangeli.

 

Codici e frammenti

 

4. Per rispondere alle domande che abbiamo posto, dobbiamo par­tire da un dato pacificamente acquisito e facilmente verificabile da cia­scun studioso.

 

5. Il dato è questo: i Vangeli che oggi possediamo sono sostanzial­mente identici a quelli in uso nelle comunità cristiane del IV secolo dopo Cristo. I Cristiani dei nostri tempi e quelli che vivevano nell'Impero di Roma ai tempi di Costantino (280 - 337) hanno avuto tra le loro mani lo stesso, identico testo evangelico.

 

6. Siamo in grado di affermare che dal 300 d.C. sino ad oggi non sono avvenute alterazioni sostanziali di contenuto nella trasmissione del testo evangelico. Come possiamo essere così sicuri?

 

7. Dobbiamo ricordare che nell'anno 313, con il Rescritto di Milano, l'Imperatore Costantino concede la libertà di manifestare la pro­pria Fede religiosa. I Cristiani non temono più di essere perseguitati a causa della loro Fede, come era spesso accaduto fino ad allora.

 

8. Da quel momento il testo dei Vangeli comincia a circolare libe­ramente. I Vangeli vengono scritti su pergamena (pelle di agnello - pecora, montone, capra - opportunamente lavorata fino a diventare una membrana liscia e traslucida, secondo un sistema inventato a Pergamo, e usata anticamente come materia scrittoria) e relegati sotto forma di codice (libro manoscritto formato da più fogli - in contrapposizione al rotolo manoscritto e al libro stampato). Fino ad allora i Vangeli erano stati ricopiati su papiro, materiale scrittorio che aveva il pregio di essere poco costoso ma il difetto di essere deteriorabile.

 

9. Quindi, dall'inizio del IV secolo, con l'autorevole avvallo della Chiesa, i papiri sui quali è fissata la Parola di Dio vengono ricopiati in Codici e questi cominciano a circolare liberamente tra le numerosissime comunità cristiane dell'Impero.

 

10. Alcuni di questi Codici sono stati conservati e sono giunti in buono stato fino a noi. Grazie ad un semplicissimo confronto tra i nostri Vangeli e quelli riportati nei Codici possiamo acquisire la certezza, docu­mentata, che da almeno 17 secoli la Chiesa legge, conserva e trasmette lo stesso testo evangelico.

 

11. Il Codice più antico in nostro possesso è il Codice Vaticano, del IV secolo, scritto su tre colonne e contenente quasi per intero l'An­tico Testamento, i quattro Vangeli e la maggior parte delle Lettere degli Apostoli. Oggi è conservato nella Biblioteca Vaticana.

 

12. È giunto fino a noi il Codice Sinaitico, ritrovato nel Mona­stero di santa Caterina ai piedi del Monte Sinai, nella omonima penisola, in Egitto. Gli studiosi lo datano all'inizio del IV secolo. Contiene per intero il Nuovo Testamento (quindi anche i quattro Vangeli) e quasi tutto l'Antico Testamento. Oggi è conservato al Museo Britannico di Londra.

 

13. Al V secolo risale il Codice Alessandrino che contiene Antico e Nuovo Testamento, salvo qualche parte mancante. Anch'esso è conser­vato nel Museo Britannico di Londra.

 

14. Sempre del V secolo è il Codice di Efrem, conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi e contenente i quattro Vangeli e altre parti della Sacra Scrittura. Questo Codice ha una storia curiosa. Nel tardo Medioevo, il testo del Nuovo Testamento fu raschiato e la pergamena riutilizzata per scrivervi 38 omelie di Sant'Efrem di Siro. Nonostante ciò, l'antico testo dei Vangeli può essere ancora letto esponendolo alla luce dei raggi ultravioletti.

 

15. Come è facile osservare, non è mancato agli studiosi materiale abbondante e preziosissimo per valutare l'integrità dei nostri Vangeli, almeno nei confronti di quelli in uso nella Chiesa del IV e V secolo. I risultati acquisiti dopo un semplice confronto sono oggi pacificamente acquisiti: vi è piena corrispondenza. Questo è un primo dato di enorme valore documentale e storico.

 

16. A questo punto della nostra ricerca, resta ancora aperto un interrogativo, il più importante: "Siamo certi che i Codici del IV e V secolo riproducano fedelmente i testi evangelici scritti da Matteo, Marco, Luca e Giovanni e in possesso delle primitive comunità cristiane? O, al contrario, si ha qualche ragione di dubitare che, prima della stesura dei Codici, vi siano state manipolazioni dei testi originali e che questi ultimi siano andati definitivamente perduti?".

 

17. Per rispondere a questa domanda decisiva, dobbiamo ricordare che gli Evangelisti scrissero su papiro. Purtroppo, il papiro è materiale deperibile e dunque quelli su cui scrissero effettivamente i quattro autori sacri non ci sono giunti, sono andati perduti.

 

18. Ma è noto che i Vangeli originali furono ricopiati più e più volte su altri papiri, perché tutte le comunità cristiane desideravano pos­sedere questi scritti. Ora, di queste innumerevoli copie su papiro dei Vangeli originali, alcune datate pochissimi anni dopo la versione origi­nale, ne sono giunte fino a noi un centinaio, tutte frammentate, più o meno complete. E la ricerca, ovviamente, continua.

 

19. Si è dunque potuto procedere al confronto tra i testi contenuti in questi frammenti papiracei dei primissimi tempi con i testi dei Codici del IV e V secolo, che abbiamo sopra ricordato.

 

20. Il risultato è davvero stupefacente: i testi dei Codici corrispon­dono nella sostanza ai frammenti papiracei. Vi sono solo alcune margi­nali differenze, dovute spesso ad errori dei copisti facilmente identifica­bili.

 

21. Questo consente agli studiosi di affermare, con un altissimo grado di sicurezza, che i Codici del IV e V secolo riproducono fedel­mente i Vangeli in possesso dei primi cristiani, cioè quelli scritti in epoca vicinissima agli originali.

 

22. Gli esperti ormai non hanno alcun dubbio. Oggi siamo in pos­sesso dei testi evangelici così come furono scritti dagli Evangelisti. Per confermare questo dato, compiamo una breve incursione tra i frammenti papiracei dei primissimi tempi.

 

23. Nella Biblioteca John Ryland, di Manchester, si trova un anti­chissimo frammento di un Codice in papiro, il Codice Ryland, datato prima metà del II secolo. Contiene alcuni versetti del capitolo XVIII del Vangelo di Giovanni. Alcuni studiosi lo fanno risalire all'epoca dell'impe­ratore Adriano (137 - 139), altri addirittura a qualche anno prima. Fu trovato in Egitto nel 1920.

 

24. Nel 1930 furono scoperti, sempre in Egitto, alcuni papiri confluiti successivamente nella collezione Chester Beatty. Si tratta di 11 Codici in papiro, tre dei quali contengono parti consistenti del Nuovo Testamento. Tutta la collezione è oggi conservata a Dublino. I papiri sono datati III secolo.

 

25. Ancora più antico è il Codice papiraceo che si trova nella Biblioteca Bodmer di Colygny, nei pressi di Ginevra. Contiene, presso­ché intatti, i primi 14 capitoli del Vangelo di Giovanni (mancano solo 24 versetti) e frammenti dei rimanenti 7 capitoli. Sono datati II secolo, pro­babilmente intorno alla metà.

 

26. Alla collezione Bodmer appartengono anche un Codice del­l'anno 200, contenente i Vangeli di Luca e Giovanni, entrambi con molte lacune, e un altro Codice, sempre del 200, che contiene le Lettere di Pietro e Giuda.

 

27. Abbiamo ricordato solo alcuni, tra i più importanti, frammenti che ci sono materialmente giunti dai secoli precedenti i Codici del IV e V secolo. Abbiamo tralasciato volutamente i frammenti in assoluto più anti­chi: quello detto 7Q5, datato addirittura al 50 d.C., contenente solo 20 lettere greche, disposte su 5 righe e trovato a Qumran. Contiene un bre­vissimo passaggio del Vangelo di Marco. E abbiamo tralasciato tre fram­menti conservati al Magdalen College di Oxford, datati tra il 60 ed il 70 d.C. Di questi ultimi parleremo nel prossimo capitolo, quando si dovrà accertare la "veridicità" dei Vangeli.

 

28. Data la straordinaria antichità di questi frammenti, e data la straordinaria concordanza dei testi che contengono, pur essendo stati redatti in ambienti diversi, possiamo ragionevolmente presumere che chi li scrisse aveva ben presente il testo dei quattro Vangeli, in originale o in copia vicinissima all'originale.

 

29. Il dato che a noi interessa è ormai ben delineato: tutti questi frammenti, che provengono da località diverse e che sono stati scritti in epoca vicinissima agli originali, messi a confronto con il testo dei Vangeli contenuto nei Codici del IV e V secolo, ci permettono di affermare che questi ultimi riproducevano fedelmente i testi loro precedenti.

 

30. Frederic Kenyon, uno dei più prestigiosi esperti nel campo della paleografia greca e della critica testuale della Sacra Scrittura, ha scritto: "Alla fine è rassicurante trovare che il risultato complessivo di tutte queste scoperte e di tutto questo studio consiste nel rafforzare la prova di autenticità della Scrittura e la nostra convinzione che abbiamo in mano, nella sua sostanziale integrità, la vera Parola di Dio" (EG. KENYON, The story of the Bible, London 1936, p. 144, citato in FREDERYK FYVIE BRUCE, Rotoli e pergamene. Così nacque la Bibbia, Piemme, Ca­sale Monferrato 1994, p. 175).

 

31. Aggiungiamo una considerazione. L'importanza di tutti questi frammenti, così antichi e vicini nel tempo al testo originale dei Vangeli, si comprende molto meglio se si tiene conto che l'intervallo tra il testo ori­ginale dell'opera di Omero (forse IX secolo a.C.) e il manoscritto ad essa più vicino, ora in nostro possesso, è di ben 2.000 anni.

- Per Euripide (poeta tragico greco, 480 - 406 a.C.) gli anni sono 1.600.

- Per Sofocle (poeta tragico greco, 497 o 496 - 406 a.C.) sono 1.400.

- Per Platone (filosofo, 428/27 - 347 a.C.) gli anni sono 1.300.

- Per Caio Giulio Cesare (100 - 47 a.C.) sono 8/900. Le campagne di Cesare in Gallia da lui descritte nel De bello gallico sono testimoniate da pochissimi manoscritti che distano 8 secoli dall'originale.

- Per Orazio (poeta latino, 65 - 8 a.C.) gli anni sono 800.

- Per Virgilio (poeta latino, 70 - 19 a.C.) gli anni sarebbero 400 se non fosse stato trovato, nella fortezza di Masada, in Israele, un preziosissimo frammento di papiro contenente una citazione dell'Eneide, la cui data­zione risale a soli 92 anni dalla morte del grande poeta (i dati riportati sono stati tratti da: GIOVANNI GIAVINI, Verso la Bibbia, Ufficio Cate­chistico Diocesano di Milano, Milano 1974, p. 28).

 

32. Tutto questo ci porta ad affermare che di nessun'altra opera esistente siamo così certi della sua integrità e della sua fedeltà al testo ori­ginale come per i Vangeli e per la Sacra Scrittura in generale.

 

33. Se si considera poi il Nuovo Testamento, la certezza che oggi siamo in possesso del testo originale è indiscutibile. Ci sono pervenuti ben 5.000 frammenti, talvolta dal contenuto molto esteso. Una quantità di materiale enorme. Ma per comprendere il valore di questa quantità di materiale a disposizione degli studiosi, si ricordi che di Orazio ci sono pervenuti solo 250 Codici, di Omero solo 110, di Virgilio 100 e di Tacito soltanto uno (cfr. G. GIAVINI, cit., p. 28).

 

Conclusione

 

34. Ci sembra di poter dire, al termine di questo capitolo, che i Vangeli sono da considerarsi a pieno titolo documenti integralmente conservati, fedeli al loro testo originale. È ormai assodato che noi posse­diamo gli stessi scritti evangelici delle comunità cristiane primitive.

 

35. Naturalmente, tutto questo non basta per considerare i Vangeli come documenti storici attendibili. Dobbiamo affrontare e risolvere l'ultima questione, la più importante e decisiva, dalla quale dipende in gran parte una nostra ragionata risposta al problema della storicità del Cristianesimo.

 

36. Ci dobbiamo chiedere se il contenuto dei Vangeli, certamente risalente al primo secolo, certamente conservato intatto fino ai nostri giorni, può essere considerato veritiero. Inoltre, dobbiamo esaminare se sono stati scritti da persone competenti ed oneste, da testimoni affidabili dei fatti che raccontano. Dovremo anche riprendere, per entrare nei par­ticolari, il discorso sulla datazione dei Vangeli originali. Questo è il com­pito che affronteremo nel prossimo capitolo.

 

"L'intervallo tra le date originali di composizione e le più antiche testimonianze che ci sono pervenute, diventa tal­mente piccolo da risultare trascurabile e, ora, sono stati rimossigli ultimi dubbi che la Scrittura non ci sia stata trasmessa sostanzialmente come fu scritta. L'autenticità e la sostanziale integrità dei libri del Nuovo Testamento, finalmente, possono essere considerate fuori discussione". (F. G. KENYON, in FIZEDERYK F. BRUCE, Rotoli e peryaneene. Così nacque la Bibbia, Piemme, Casale M.to 1994, p. 175.)

 

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22/09/2009 15:38
 
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Veridicità dei Vangeli

 

"Un Vangelo come documento storico, degno di fede: questo concetto non può piacere a tutti coloro che preferiscono credere ai miti, alle leg­gende e alle invenzioni digruppi più tardi". (CARSTEN PETER THIEDE, intervento al Meeting per l'amicizia tra i popoli, Rimini 24/8/1995)

 

1. Il cattolico, sulla scorta dell'insegnamento della Chiesa e di un'abbondante documentazione, sa che i Vangeli sono documenti auten­tici, scritti nel I secolo da Matteo, Marco, Luca e Giovanni, giunti inte­gralmente fino a noi. Ma per essere certi della loro piena attendibilità storica, bisogna rispondere ad un'ultima domanda: i Vangeli sono anche documenti veritieri? Il loro contenuto è credibile?

 

2. Prima di offrirli alla lettura e alla meditazione di quanti si dichiarano non credenti, perché prendano atto delle parole pronunciate e dei fatti compiuti da Gesù di Nazareth - parole e fatti, specie i mira­coli, che se giudicati, anche solo dal punto di vista storico, come real­mente accaduti non possono non suscitare crepe impressionanti nell'edi­ficio delle convinzioni ateistiche - il cattolico deve dotarsi di un'ulteriore argomentazione, quella che dimostra che i Vangeli non sono pure inven­zioni.

 

3. In questo capitolo ci proponiamo:

- di sapere con più precisione quando i Vangeli sono stati scritti, se in tempi vicini ai fatti narrati o in tempi lontani.

- di verificare che i loro autori siano persone meritevoli di fiducia, com­petenti in materia, testimoni dei fatti che raccontano.

- di accertare, infine, che i Vangeli non sono favole, invenzioni, racconti fantastici e fantasiosi.

 

4. Come è noto, chi nega il valore della storicità dei Vangeli sostiene che sono stati composti parecchi decenni dopo la morte di Gesù. In questo tempo, la Chiesa primitiva, in via di formazione e di auto-organizzazione, avrebbe elaborato una propria dottrina, attri­buendo a Gesù parole mai pronunciate e miracoli mai compiuti, con lo scopo di guadagnare nuovi adepti.

 

5. Stando così i fatti, al momento della stesura dei Vangeli, i testi­moni oculari della vera vita di Gesù erano per la maggior parte già defunti. Non sarebbe stato dunque possibile un confronto tra quanto raccontato da Matteo, Marco, Luca e Giovanni e coloro che potevano confermare o negare veridicità ai racconti evangelici.

 

6. Al contrario, se i Vangeli risultassero composti in anni molto vicini agli eventi che raccontano, quando innumerevoli testimoni oculari potevano dire la loro sulle parole e i fatti attribuiti a Gesù dai Vangeli, in questo caso la possibilità di una falsificazione artificiale si sarebbe ridotta praticamente a zero.

 

Datazione dei Vangeli

 

7. Per scoprire se i Vangeli sono opera di disonesti falsificatori e di imbroglioni, cominciamo con l'affrontare il problema della loro datazio­ne.

 

8. Il dato che abbiamo già acquisito, nei capitoli precedenti, è che essi risalgono all'età apostolica, dunque al I secolo d.C. Ma possiamo essere più precisi, senza dimenticare che allo stato attuale delle ricerche nessuno è ancora in grado di datarli perfettamente, di calcolare in quale anno preciso siano stati esattamente composti.

 

9. Tutti concordano nel ritenere il Vangelo di Giovanni compo­sto per ultimo. Fino a qualche decennio fa, gli studiosi lo datavano alla fine del I secolo, intorno all'anno 100 d.C, vale a dire 70 anni dopo la morte di Gesù di Nazareth.

 

10. Ma oggi questa datazione comincia ad esser messa in discus­sione, a vacillare. Sembra che la data della sua composizione, per lo meno di alcune parti di esso, vada abbondantemente anticipata.

 

11. Julian Carròn, professore di Sacra Scrittura presso il Centro Studi teologici San Damaso di Madrid, direttore dell'edizione spagnola della rivista internazionale "Communio", in un saggio apparso sul presti­gioso trimestrale "Il Nuovo Areopago" alla fine del 1994, sostiene che il Vangelo di Giovanni contiene molti "elementi che si possono spiegare solo prima della distruzione di Gerusalemme", avvenuta, come è noto, nell'anno 70 d.C. (JULIAN CARBON, Un caso di ragione applicata. La storicità dei Vangeli, in Il Nuovo Areopago, anno 13, n. 3 [51], autunno 1994, p. 16).

 

12. A sostegno della sua tesi, Carròn cita, tra gli altri, un chiaro esempio che merita di essere riportato: "Nel racconto della guarigione del malato che aspettava per essere guarito l'agitazione delle acque nella piscina - contenuto nel Vangelo di Giovanni - si dice: "C'è (estin) in Geru­salemme, vicino alla porta delle Pecore, una piscina chiamata in ebraico Betzaetà che ha cinque portici" (Gv 5, 2). Il presente dell'indicativo in cui viene data la notizia dell'esistenza della piscina (estin), mentre tutto il racconto è scritto in aroisto (cioè al passato), come se facesse riferimento a un fatto succeduto nel passato, mostra che quando questi racconti furono scritti esisteva ancora quella piscina. E questo si poteva affermare solo prima della distruzione di Gerusalemme, nell'anno 70" (ibidem, p. 17).

 

13. Dunque, sembra ci siano buone ragioni per retrodatare almeno una parte del Vangelo di Giovanni di circa 30 anni. Ma c'è qualche stu­dioso che si spinge oltre. Il noto teologo protestante Oscar Culmann, in una intervista apparsa su "Il Sabato" del 20 febbraio 1993, sostiene che il Vangelo di Giovanni va datato intorno al 50 d.C. e promette di render pubblici i suoi calcoli.

 

14. Per la datazione del Vangelo di Giovanni a prima dell'anno 70 si sono schierati altri studiosi di prim'ordine, tra i quali Carsten Peter Thiede ("Gesù, storia o leggenda?", Bologna 1992), Hugo Staudinger ("Credibilità storica dei Vangeli", Bologna 1991), e Craig Blomberg ("Indagine su Gesù", Casale 1991).

 

15. Riguardo la datazione dei Vangeli, il dato più importante, che ha suscitato il maggior numero di discussioni, ci è offerto dal famosissimo frammento 7Q5, un minuscolo frammento di papiro trovato nella grotta n. 7 di Qumran, contenente 20 lettere disposte su 5 righe. È il frammento più antico e più prezioso. Per questa ragione, dobbiamo raccontarne la storia.

 

16. Qumran è il nome di una località situata sulla riva occidentale del Mar Morto. Ai tempi di Gesù era abitata da una fiorente comunità di monaci Esseni. Le rovine del loro monastero sono ancora oggi visibili.

 

17. Nell'anno 68 d.C. arrivano a Qumran i Romani. I monaci abbandonano precipitosamente la loro residenza, nascondendo in alcune grotte delle vicinanze i rotoli preziosissimi che conservavano nella loro biblioteca. Tra essi, interi libri della Sacra Scrittura dai quali traevano il loro nutrimento spirituale. Per quasi 1900 anni, nessuno si preoccupa di recuperare questa straordinaria documentazione.

 

18. Ma nel 1947, alcuni pastori palestinesi scoprono, casualmente, in una di quelle grotte, delle anfore piene di rotoli, proprio quelli nasco­sti dalla comunità essena. Iniziano le ricerche e in altre 10 grotte si tro­vano anfore e rotoli, contenenti la loro biblioteca, nella quale non man­cava l'Antico Testamento.

 

19. Si procede all'identificazione del materiale ritrovato. Ma un frammento, classificato con la sigla 7Q5 ("7 sta ad indicare il numero della grotta dove venne rinvenuto, "Q" sta per Qumran, "5" è il numero delle righe sulle quali sono disposte le lettere che lo compongono) non trova collocazione in alcuna parte dell'Antico Testamento. Sarebbe stato destinato a passare nel novero di quelli non identificati, se uno studioso di prim'ordine, il gesuita José O'Callaghan, papirologo di fama interna­zionale e docente del Pontificio Istituto Biblico di Roma, non avesse dato retta ad una sua intuizione: 7Q5 poteva riportare un testo del Nuovo Testamento.

 

20. Inizia ricerche accurate e nel 1972 annuncia un risultato cla­moroso: 7Q5 contiene una minuscola parte del Vangelo di Marco, pre­cisamente alcune lettere dei versetti 52 e 53 del capitolo VI.

 

21. Il mondo degli studiosi è scosso. Su O' Callaghan si abbattono le critiche violentissime dei teologi e degli esegeti, quasi tutti convinti allora che prima dell'anno 70 nessun Vangelo fosse stato scritto. Queste critiche ottengono un risultato: per 14 anni nessuno parlerà più del fram­mento 7Q5 e di José O' Callaghan.

 

22. Ma 14 anni dopo, lo studioso luterano Carsten Peter Thiede, papirologo di fama internazionale, riprende gli studi di O'Callaghan sul frammento 7Q5 e giunge agli stessi risultati.

 

23. Scoppia, come 14 anni prima, un'altra violentissima polemica, un'altra campagna di accuse, ma questa volta i tempi sono cambiati. Il numero degli esperti che attribuisce 7Q5 al Vangelo di Marco cresce enormemente: Vanhoye, Ghiberti, De La Potterie, Barsotti, Galbiati, Betz, Sordi e Montevecchi, tutti illustri studiosi, anche di discipline diverse, noti nel mondo degli specialisti. Questa volta non si ripete il ver­gognoso abbandono cui era stato lasciato José O' Callaghan.

 

24. Le ricerche prendono slancio. I paleografi Sehubart e C. H. Roberts datano il frammento 7Q5 studiandone il tipo di scrittura e il papiro, senza curarsi del suo contenuto. Il risultato delle loro ricerche è strabiliante: quel papiro è stato scritto nell'anno 50, soltanto due decenni dopo la morte di Gesù Cristo. Dunque, in un tempo estremamente vicino ai fatti narrati, circolava una testimonianza scritta dei fatti riguar­danti Gesù di Nazareth. Ma non è finita.

 

25. Il più grande conoscitore della lingua ebraica ed aramaica del nostro secolo, Jean Carmignac, recentemente scomparso, ci ricorda che il frammento 7Q5, con le sue 20 lettere in lingua greca, non è stato materialmente scritto dall'Evangelista Marco. È una copia dell'originale, che fu scritto in aramaico. 7Q5 risulta così essere una traduzione in lin­gua greca, giunta a Qumran.

 

26. Ne consegue che Marco ha scritto il suo Vangelo qualche anno prima. Sappiamo che lo scrisse a Roma sotto dettatura di Pietro, proba­bilmente nell'anno 42, quando Pietro arriva nella capitale dell'impero e comincia a predicare in città. Dunque, Marco ha scritto il suo Vangelo soltanto una dozzina d'anni dopo la morte di Gesù Cristo.

 

27. A confermare questi dati è la nota specialista di storia greca e romana Marta Sordi, che "partendo dalle scoperte del 7Q5, sostiene, con solidi argomenti tratti dalle fonti della tradizione, la tesi che il vangelo di Marco sarebbe stato scritto a Roma intorno al 42 in base alla predicazione di Pietro" (30 GIORNI, maggio 1994, pp. 40-44).

 

28. È giunto il tempo di trarre qualche considerazione. Il Vangelo di Marco è stato scritto quando innumerevoli testimoni oculari erano ancora vivi e potevano facilmente contestare i fatti narrati, se - ovvia­mente - fossero stati inventati. Ma di questa contestazione non si ha trac­cia, sebbene non mancassero i nemici di Gesù. È una contestazione che da sola sarebbe stata sufficiente a distruggere l'impianto sul quale si fon­dava la nascente Religione cristiana. Ma nessuno, tra i numerosi nemici della Chiesa, pensò mai di avanzarla.

 

29. Gesù muore crocifisso nell'anno 30. Marco scrive nel 42. Gio­vanni, lo abbiamo visto, scrive prima del 70. In mezzo a queste due date vi sono i Vangeli di Matteo e di Luca. Tre frammenti antichissimi di papiro in lingua greca, custoditi in una teca dell'Università di Oxford, contenenti brani del Vangelo di Matteo, sono stati datati dal Carsten Peter Thiede tra l'anno 60 e l'anno 70.

 

30. Anche per Matteo vale quanto si è detto per Marco. Matteo scrisse in lingua aramaica, mentre i frammenti custoditi ad Oxford sono in lingua greca. Sono dunque una traduzione, una copia. L'originale, pertanto, deve necessariamente risalire a diversi anni prima, comunque ad un tempo straordinariamente vicino agli eventi storici vissuti da Gesù di Nazareth.

 

31. È davvero estremamente improbabile che gli Evangelisti ab­biano inventato di sana pianta le storie contenute nei loro Vangeli. Han­no scritto in tempi troppo vicini ai fatti accaduti, troppi testimoni oculari potevano facilmente smentire i loro racconti, anche quelli relativi ai mira­coli, contestati oggi, purtroppo, da teologi ed esegeti perfino cattolici.

 

32. La conclusione si impone: la vicinanza cronologica tra i fatti tramandati dai Vangeli e la persona storica di Gesù Cristo, che di questi fatti era autore e protagonista, segna un punto decisivo in favore della veridicità dei Vangeli, della loro attendibilità come documenti storici.

 

Gli autori dei Vangeli

 

33. Si possono e si devono fare altre considerazioni riguardanti la veridicità dei Vangeli. Le prime riguardano i loro autori. Perché una testimonianza sia credibile, anche l'autore deve essere credibile, degno di fede, meglio se testimone oculare. Chi erano, dunque, i quattro Evange­listi.? Di tutti abbiamo notizie scarne, ma precise.

 

34. Matteo era un apostolo di Gesù. Ex esattore delle imposte, figlio di un certo Alfeo. Di lui ci parlano sia Marco che Luca, che ricor­dano diversi episodi della sua vita. Per tre anni ha seguito personalmente Gesù di Nazareth. È un testimone oculare dei fatti che racconta.

 

35. Marco abitava a Gerusalemme, dicono gli Atti degli Apostoli e altri scritti del Nuovo Testamento. Era cugino di Barnaba, è stato com­pagno di Paolo in uno dei suoi viaggi. Era con Paolo a Roma e collaborò con Pietro, divenendo suo segretario. Ha scritto il suo Vangelo ascol­tando la predicazione del Principe degli Apostoli e ha tratto dunque le sue informazioni dalla fonte più autorevole che si possa pensare fra i testimoni oculari della vita di Gesù.

 

36. Luca è stato compagno e discepolo di Paolo. Scrive di avere svolto "ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi" (Le 1,3). È una affermazione impegnativa, che apre il suo Vangelo, certo incom­prensibile e soprattutto controproducente se avesse avuto in mente di mitologizzare la figura del Maestro.

 

37. Giovanni fu apostolo di Gesù, testimone oculare dei fatti che racconta.

 

38. Dunque: due degli autori dei Vangeli sono testimoni oculari e gli altri due sono discepoli che riportano con cura, talvolta dopo ricerche accurate, quanto hanno sentito dire da altri testimoni. Vi è materia abbondante per ritenere sostanzialmente autorevoli questi "cronisti" del­l'avvenimento cristiano. Di essi ci parlano altre fonti, che abbiamo già incontrato nel capitolo dedicato all'autenticità dei Vangeli.

 

Credibilità dei racconti evangelici

 

39. A questo punto, ci resta un solo tassello da collocare nel mosaico della nostra ricerca. Sono credibili le cose che raccontano gli autori dei Vangeli?

 

40. Prima di rispondere dobbiamo ricordare che i Vangeli sono stati scritti essenzialmente per due ragioni:

- per informare tutti gli uomini di quanto era accaduto in Palestina in merito alle vicende che riguardavano Gesù di Nazareth;

- per convincere i lettori della necessità di fidarsi di Gesù, di avere fede nelle sue promesse e nei suoi insegnamenti.

 

41. I Vangeli avevano, ed hanno ancora, uno scopo preciso: guada­gnare anime a Gesù Cristo, convincere il maggior numero di uomini della necessità di credere nel Dio di Gesù Cristo per salvarsi, per ottenere la vita eterna, per guadagnarsi il Paradiso, il Regno dei Cieli.

 

42. Ora, ipotizziamo pure che gli Evangelisti avessero voluto, dopo previo accordo, falsificare la figura di Gesù. In realtà era solo un uomo, ma per renderlo interessante, degno di fede, lo avrebbero diviniz­zato, attribuendogli poteri - quello di far miracoli, per esempio - straor­dinari, unici, ma che in realtà non avrebbe posseduto.

 

43. Proprio qui sta il punto. Se gli autori dei Vangeli fossero stati disposti a mentire, per guadagnare adepti, avrebbero dovuto inventare un racconto molto diverso da quello che ci hanno tramandato. Ricordiamo che gli Ebrei si aspettavano un Messia dai tratti eroici, liberatore di popoli oppressi, Re e sovrano visibile e vincitore sul mondo. Invece, incomprensibilmente, di tutto questo nei Vangeli non vi è traccia.

 

44. In "Ipotesi su Gesù", di Vittorio Messori, è possibile trovare interi capitoli dedicati a illustrare queste stranezze: se i Vangeli, come abbiamo detto, hanno chiara funzione apologetica, vogliono convincere i lettori, soprattutto gli Ebrei, ma senza escludere i pagani, ciò che essi raccontano è quanto di meno ci si sarebbe aspettato. Questo dimostra che non possono essere stati inventati.

 

45. Come possiamo spiegare questo manifesto autolesionismo degli Evangelisti? Prima di rispondere, vediamo alcuni dei fatti che risul­tano incomprensibili se i Vangeli fossero invenzioni e non racconti di fatti realmente accaduti.

 

46. Per convincere gli Ebrei della bontà della persona di Gesù e della sua dottrina, l'ultima cosa che un falsificatore avrebbe pensato era quella di divinizzarlo. Per gli Ebrei, Dio è il totalmente "Altro" dal­l'uomo. Anche il suo nome non lo scrivono mai per intero, ma solo con il sacro tetragramma "JHWH". Ora, scrivere che Gesù di Nazareth, per quanto grande, era nientemeno che Dio fattosi uomo equivaleva letteral­mente a scrivere una bestemmia.

 

47. Scrivere che Gesù è Dio è un clamoroso autogoal. Per suscitare l'interesse degli Ebrei e guadagnarli alla causa della nuova Religione era più conveniente non divinizzare Gesù. Tuttavia, contro ogni logica di falsificazione o di invenzione, tutti gli Evangelisti concordano, senza nes­suna esitazione, nel credere alla divinità di Gesù. E lo scrivono.

 

48. Perché? Non vi è che una sola risposta plausibile. Perché avendo saputo e visto della sua divinità non potevano nasconderla, pronti anche a giocarsi il successo del loro messaggio apologetico piuttosto che mentire, falsificare, inventare.

 

49. Altri fatti risultano incomprensibili, se i Vangeli fossero una invenzione.

 

50. Gesù dice: "Bevete il mio sangue", infrangendo così uno dei tabù più rigidi dell'ebraismo. L'astensione dal sangue è un precetto ebraico. Se gli Evangelisti registrano queste parole di Gesù, pur così con­tro-producenti per la loro causa, è perché sono obbligati ad accettare un messaggio per certi versi sconvolgente e blasfemo. Obbligati, perché Cri­sto deve avere certamente pronunciato quelle parole.

 

51. Ancora. Tutto si poteva inventare per avere successo e guada­gnare discepoli tranne che la storia della morte in croce. Proprio il capo, proprio il fondatore di una nuova religione fa la fine meno invitante, che non può suscitare alcun interesse, una fine incapace di esercitare un sia pur minimo sentimento di stima per il condannato. Perché inventarla se gli Ebrei erano - sono ancora oggi - in attesa di un Messia vincitore e liberatore - e se per i Romani la morte di croce era la più ignobile?

 

52. Ancora. Tra i Cristiani era ferma convinzione che il messaggio di Gesù fosse destinato non solo agli Ebrei ma anche ai pagani. Ora, se i Vangeli fossero solo una serie di fatti inventati per motivi propagandi­stici, come si può spiegare l'incredibile autogoal causato dal maldestro tentativo di far credere che un uomo, dopo essere stato ucciso, sia anche risorto? Chi poteva credere una cosa del genere?

 

53. E infatti, quando Paolo si reca all'Areopago di Atene, i greci lo ascoltano parlare di Dio, ma lo respingono quando annuncia che i corpi risorgeranno. Per convincere i pagani, la Risurrezione non era certo argomento da mettere in campo, un evento da inventare.

 

54. Ricorda Messori: perché se si voleva a tutti i costi convincere i lettori della verità della Risurrezione, i Vangeli narrano che la prima apparizione del Risorto sia stata riservata a delle donne? Non sapevano gli Evangelisti - tutti Ebrei - che "nessuno in Israele, daigiudici di tribu­nale all'ultimo contadino, ammetteva alcun valore alla testimonianza femminile?" (VITTORIO MESSORI, Ipotesi su Gesù, XV ed., Sei, Torino 1977, p. 199).

 

55. Ecco un altro dato incomprensibile se i Vangeli fossero una invenzione. Gli Evangelisti chiedono che i lettori prestino fiducia alle loro parole. Ci raccontano che Cristo ha fondato la sua Chiesa su Pietro e questi, con il collegio apostolico, ha il compito di evangelizzare il mondo intero.

 

56. Che cosa ci si aspetta, logicalmente, a questo punto? Che i Vangeli descrivano gli Apostoli come uomini coraggiosi, virtuosi, teme­rari, forti, leaders capaci di guidare il popolo e di infondere speranze e certezze.

 

57. Invece, niente di tutto questo. Dai Vangeli emergono dati inquietanti. Pietro, il Capo degli Apostoli, la colonna della Chiesa, rin­nega per tre volte Gesù. Tutti gli altri, escluso Giovanni, scappano al momento della prova. Uno, Giuda Iscariota, scelto personalmente da Gesù, lo tradisce per denaro. Due di loro, Giacomo e Giovanni, sono scoperti a litigare fra loro per questioni futili. Infine, più volte, Cristo ha rimproverato gli Apostoli di essere gente di poca fede.

 

58. Come poteva incrementare la fiducia dei lettori nella Chiesa tutto ciò che è stato scritto nei Vangeli, se gli Apostoli erano uomini di tal fatta? Eppure, se i Vangeli ci parlano così di loro, rischiando l'insuc­cesso, la ragione non può che essere una sola: le cose sono andate vera­mente così e non si potevano modificare, pena - tra le altre cose - il peri­colo di essere smentiti da testimoni oculari.

 

59. Sentiamo ancora Vittorio Messori: "Nel Vangelo di Luca, nel proemio che ha giusto il compito di situare nel tempo e nei luoghi l'inizio della predicazione di Gesù, il testo enumera ben sette distinti capi religiosi e politici, tutti con i loro nomi e titoli e tutti trovati rigorosamente esatti: "L'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, essendo governatore della Giudea Ponzio Pilato, tetrarca della Galilea Erode, tetrarca dell'Itu­rea e del territorio della Traconitide suo fratello Filippo e tetrarca dell'Abi­lene Lisania, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio fu su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto..." (V. MESSORI, Ipotesi su Gesù, XV ed., Sei, Torino 1977, p. 220).

 

60. Un bel coraggio, quello di Luca, se avesse avuto in mente di raccontare una favola per pie donne, quello di storicizzare così dettagliatamente gli episodi di cui si proclama narratore. A meno che, sapendo bene di non mentire, egli non temeva di fornire dati storici che potevano tranquillamente essere verificati da chiunque lo avesse voluto.

 

Conclusione

 

61. Siamo giunti al termine di un cammino durato gli ultimi tre capitoli. Abbiamo constatato che i Vangeli sono documenti autentici, scritti nel primo secolo da testimoni attendibili, tramandati fino a noi integralmente, e soprattutto sono racconti credibili, perché veritieri, per­ché narrano fatti realmente accaduti soltanto pochi anni prima della loro redazione.

"Stando alla datazione che sinora fa testo quasi ovun­que, Marco sarebbe stato composto verso l'anno 70, data cruciale perché è quella della distruzione di Gerusa­lemme da parte dei romani, con la conseguente spari­zione di quel mondo ebraico che era stato quello di Gesù e dei suoi primi discepoli; Matteo e Luca tra l'80 e il 90; Giovanni alla fine del secolo (anche se qualcuno si era spinto addirittura sino all'anno 170...). Osservava Car­mignac (e con lui Robinson, Tresmontant ed altri ese­geti che spuntano qua e là) che già attorno all'anno 50 il cristianesimo esplode fuori dall'ambito palestinese. Dunque, a partire da allora sarebbe stato inutile, anzi dannoso, scrivere in una lingua locale i documenti della fede. Se l'originale dei Vangeli è davvero semita, è perché sono stati scritti subito, tra il 30 (data probabile della morte di Gesù) e il 50 o poco più". (VITTORIO MESSORI, Inchiesta sul Cristianesimo, Oscar Mon­dadori, 1993, p 133)

 

62. Il cattolico si deve far forte di queste argomentazioni. A chi non crede ma desidera conoscere la verità di quanto accaduto intorno alla persona di Gesù di Nazareth, a chi si definisce ateo e non vede all'o­rizzonte un esplicito atto di Fede che dia inizio alla sua conversione, il cattolico non manchi di proporre la credibilità, documentata storica­mente, del racconto evangelico.

 

63. Tutti sanno che per credere non basta il risultato positivo di una indagine sulla storicità dei Vangeli. Ma ciò non toglie che questo risultato possa fungere da stimolo per ulteriori ricerche, per nuove domande, per messe in discussione di posizioni acquisite. Tutto ciò che può contribuire alla conversione di atei ed agnostici, il cattolico lo deve utilizzare nella sua battaglia per la gloria di Dio, la salvezza delle anime e la cristianizzazione della società.

 

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22/09/2009 15:39
 
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La fondazione della Chiesa

 

"Infatti, dalla discesa del Verbo Incarnato verso di noi, tutte le Chiese cristiane sparse in ogni luogo hanno ritenuto e ritengono la grande Chiesa che è qui [a Roma] come unica base e fondamento perché, secondo le promesse del Salvatore, le porte degli inferi non hanno mai prevalso su di essa". (SAN MASSIMO IL CONFESSORE, Opuscola theologica et polemica)

 

l. Se le argomentazioni che abbiamo fin qui esposto hanno un qualche fondamento, non ci pare possibile negare ragionevolmente che Dio esiste e che i Vangeli sono documenti storici attendibili e perciò cre­dibili. Soltanto motivi personali, pregiudizi, ostinazione, ignoranza, rifiuto di ragionare e di porsi domande su Dio e sui motivi di credibilità del Cristianesimo possono giustificare chi sceglie la via dell'ateismo.

 

2. Ma il cattolico, nella sua opera di evangelizzazione, non si accontenta di combattere l'ateismo. Egli sa che nell'epoca post-moderna sono molti quelli si dicono credenti, molti quelli che abbandonano posi­zioni scettiche e agnostiche per avvicinarsi a qualche forma di religione.

 

3. Il cattolico sa, per grazia di Dio, per la Sacra Scrittura e per l'insegnamento della Chiesa, che esiste un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo e che soltanto la Chiesa cattolica ha tutte le carte in regola per trasmettere ed insegnare ciò che Dio vuole da noi uomini e quale sia la vera strada per ottenere la vita eterna. Ma sa che molti, disposti ad ammettere che Dio esiste, non sono altrettanto propensi a credere nella Chiesa cattolica, ad accettare la sua dottrina, a ricono­scere il suo ruolo. Ecco perché dobbiamo esporre i motivi di credibilità del Cattolicesimo.

 

4. Queste pagine sono dedicate ai Cristiani. Questo termine fu coniato e adoperato per la prima volta venti secoli fa, ad Antiochia, in Siria. Esso stava ad indicare i seguaci di Gesù di Nazareth, detto il Cristo. Salvo rare eccezioni (i Testimoni di Geova), i Cristiani sono coloro che credono che Gesù Cristo sia Dio, la seconda persona della Santissima Trinità.

 

5. Eppure, questa fede comune nella divinità di Gesù Cristo non è sufficiente a far sì che coloro che la professano siano anche membri di un'unica Chiesa. I Cristiani appartengono a numerose denominazioni religiose, unite dalla Fede nella divinità del Figlio di Dio ma divise per altre profonde ragioni.

 

6. Vi sono Cristiani cattolici, ortodossi, anglicani, luterani, evange­lici, battisti e protestanti di varie ed innumerevoli denominazioni, armeni, copti, valdesi, avventisti, etc.

 

7. Sorge spontanea una domanda, alla quale il cattolico deve saper rispondere: è possibile identificare, sulla base dell'analisi della documen­tazione storica, quale sia la vera Chiesa fondata da Gesù Cristo? E, a monte di questa domanda, eccone un'altra: Gesù ha veramente fondato una Chiesa?

 

8. Per rispondere a questi interrogativi, la nostra ricerca si muoverà in una direzione ben precisa:

- in primo luogo, dobbiamo accertare se Gesù ha voluto fondare una Chiesa;

- in caso di risposta affermativa, dobbiamo identificare almeno alcuni caratteri di questa Chiesa;

- infine, interrogheremo quelle Chiese che pretendono di essere state istituite da Cristo affinché mostrino di possedere questi caratteri.

 

9. Soltanto quella Chiesa che supererà i nostri esami, potrà ragio­nevolmente essere ritenuta con tutte le carte in regola per dichiararsi la vera Chiesa fondata da Cristo.

 

10. La nostra sarà soltanto una ricerca storica. Non entreremo nel mondo della teologia e neppure in quello dell'esegesi del testo evangelico. Con ciò limiteremo il nostro campo d'azione, eviteremo di riflettere sulla straordinaria bellezza di un dono così grande come quello della Chiesa, assolutamente necessaria per la nostra salvezza.

 

11. Ma la storia, l'esame delle testimonianze e dei documenti sto­rici, è terreno accessibile a tutti, è il luogo dove certe affermazioni e certe rivendicazioni possono trovare conferma o, al contrario, essere smentite. Chi ritiene la propria Chiesa essere la sola fondata da Gesù Cri­sto avrà probabilmente ragioni teologiche ed esegetiche da vendere. Ma se le sue opinioni non trovano un riscontro nella storia, la loro credibilità è irrimediabilmente minata.

 

12. Con questo limite dichiarato, iniziamo la nostra indagine per scoprire quale sia la vera Chiesa fondata da Gesù Cristo.

 

Gesù Cristo ha veramente fondato una Chiesa

 

13. È convinzione comune di tutte le denominazioni cristiane che Gesù Cristo abbia fondato una Chiesa. Esse divergono al momento di definire i caratteri di questa Chiesa, non concordano se debba trattarsi di una realtà visibile o di una istituzione solo spirituale, se debba essere strutturata gerarchicamente o meno, ma che Cristo abbia fondato una Chiesa sembra un dato pacificamente accolto.

 

14. La ragione di questo accordo la troviamo nei Vangeli. Matteo ci racconta il momento in cui Cristo rivelò l'intenzione di fondare la sua Chiesa: "Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarea di Filippo, chiese ai suoi discepoli: La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo? Risposero: Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei pro­feti. Disse loro: Voi chi dite che io sia? Rispose Simon Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. E Gesù: Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (Mt 16, 13-18).

 

15. Questo brano evangelico mostra chiaramente l'intenzione di Gesù di fondare una Chiesa: "edificherò la mia Chiesa".

 

16. Notiamo subito che vengono elencati due caratteri che Cristo volle attribuire alla sua Chiesa. Grazie ad essi, ci è possibile identificarla tra le tante oggi esistenti.

 

17. Il primo: Cristo paragona la sua Chiesa ad un edificio e lo vuole fondato su Pietro. Le sue intenzioni sono espresse chiaramente: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la vaia Chiesa". Ne consegue che quella Chiesa che avanzi la pretesa di essere la sola fondata da Cristo dovrà necessariamente avere un fondamento nella persona di Simon Pie­tro. Altrimenti, Cristo si è sbagliato, il che per i Cristiani è semplice­mente impensabile.

 

18. Il secondo: la Chiesa di Cristo non poteva essere soggetta alla morte. Infatti, l'espressione ebraica "le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" sta ad indicare che la potenza della morte non avrebbe avuto alcun potere contro la Chiesa. Ne consegue che la Chiesa fondata da Gesù deve necessariamente esistere anche ai nostri giorni.

 

19. Questo secondo carattere ci costringe ad escludere dalla nostra indagine tutte le "chiese" sorte in passato e delle quali oggi non si ha più notizia, perché non esistono più. Per queste denominazioni, la promessa "le porte degli inferi non prevarranno" non si è realizzata, non è stata mantenuta. Ne consegue che delle due l'una: o Cristo si è sbagliato (ma allora non può essere Dio), oppure esse non erano Chiese da lui fondate (e questo è più probabile).

 

20. La nostra ricerca della vera Chiesa dovrà quindi limitare il pro­prio campo d'azione alle Chiese oggi esistenti. Che, tuttavia, dovranno necessariamente dimostrare - e qui lo possono fare solo sulla base di dati e documenti storici - di essere nate in età apostolica e di essersi conser­vate fino ad oggi.

 

Quale Chiesa ha duemila anni d'età?

 

21. Il cattolico che si trovi a discutere con Cristiani di altre deno­minazioni ha dalla sua un argomento semplice ed invincibile. Questo argomento gli è offerto dalla storia.

 

22. Egli deve invitare i membri delle denominazioni cristiane ad innestare la retromarcia della storia delle loro chiese. In altri termini: queste ultime devono dichiarare - documentandolo storicamente - quali sono le loro origini, il luogo e la data della loro nascita. Si potrà dar cre­dito soltanto a quella - o quelle - denominazioni in grado di provare le proprie origini apostoliche.

 

23. È evidente che anche il cattolico deve offrire prove dell'origine apostolica della Chiesa cui appartiene. Lo farà - vedremo - senza alcun timore o preoccupazione, supportato da una abbondantissima documen­tazione.

 

24. Ora, se chiediamo alla storia di indicarci la data di nascita della chiesa anglicana essa ci risponderà con estrema precisione: anno 1534, ben quindici secoli dopo la morte di Gesù Cristo.

 

25. In quell'anno, il Re d'Inghileterra Enrico VIII, volendo rom­pere il suo matrimonio con Caterina d'Aragona (che farà poi assassinare) per sposare Anna Bolena, e non avendo ottenuto il beneplacito del Pon­tefice Clemente VII, fa approvare dal Parlamento inglese l'Atto di Supre­mazia che porta alla nascita della chiesa anglicana.

 

26. Una chiesa nuova, con un nuovo capo: il sovrano d'Inghil­terra. Da quasi cinque secoli, milioni di sudditi inglesi si dichiarano fedeli di una chiesa il cui capo è pur sempre un uomo politico, un Re o una Regina, e i cui decreti devono ottenere il placet del Parlamento e del sovrano per avere valore.

 

27. Come promesso, le nostre osservazioni non saranno di carat­tere teologico o esegetico. In queste materie, gli anglicani avranno consi­derato dei motivi a sostegno delle loro convinzioni. Ma dal punto di vista storico risulta evidente un dato: la chiesa anglicana non può vantare una data di nascita che risalga ai tempi di Gesù Cristo. Non è stata fon­data da Gesù Cristo.

 

28. In altri termini: prima del XVI secolo non è possibile dimo­strare storicamente l'esistenza di un anglicano ovunque lo si cerchi. Sem­plicemente non esistevano. Prima del XVI secolo, gli antenati degli Anglicani erano in comunione con la Chiesa cattolica e da questa sono usciti perché il Re d'Inghileterra s'era stancato di sua moglie e ne voleva un'altra.

 

29. Se chiediamo alla storia di indicarci la data di nascita delle con­fessioni religiose che si richiamano al Protestantesimo, a cominciare da quella luterana, la storia ci indicherà una data: o il 1519, quando un monaco agostiniano, quindi un Cattolico, di nome Martin Lutero rifiuta di riconoscere l'autorità del Sommo Pontefice, come peraltro aveva fatto fino ad allora; oppure l'anno 1520, quando Lutero brucia in pubblico la bolla con la quale Papa Leone X lo aveva scomunicato.

 

30. Proprio in questi e negli anni appena successivi, Lutero si inventa una nuova chiesa, mai esistita fino ad allora. Da quella, e fino ad oggi, prolificheranno altre migliaia di denominazioni religiose, tutte appartenenti alla grande famiglia della Riforma protestante.

 

31. Luterani, calvinisti, zwingliani, battisti, avventisti, metodisti, episcopaliani, evangelici, per citare le denominazioni più note: tutti avranno certamente spiegazioni teologiche e interpretazioni di versetti biblici per "giustificare" l'esistenza della loro confessione religiosa. Non entriamo, come si è detto, in questioni siffatte. Come non spendiamo una sola parola sulla buona fede di quanti appartengono a queste "chiese". Non abbiamo alcun strumento per esprimere un giudizio.

 

32. Ma la storia, quella sì che può darci elementi per giudicare. E il cattolico sa che cosa domandare alla storia: quale tra le decine di migliaia di confessioni protestantiche può dimostrare - documenti alla mano - le sue origini apostoliche? Quale di esse può vantare una esistenza bimille­naria per rivendicare in Gesù Cristo il suo fondatore?

 

33. La risposta è semplice: nessuna. Nessuna chiesa protestante è stata fondata da Gesù Cristo. Prima di Martin Lutero (1483-1546) non si trovava un Protestante a cercarlo con il lanternino anche negli angolini più nascosti dell'intero pianeta. Avranno, i Protestanti, meriti indiscuti­bili. Saranno, i fondatori delle loro chiese, persone degnissime di rispetto: tutto questo non lo vogliamo discutere, anche se non ci man­cano argomenti per avere più di un dubbio.

 

34. Ma un dato è certo: nessuno di loro può dimostrare storica­mente che Gesù Cristo ha fondato la sua chiesa. Ci sia indicato, per esempio, dove trovare un protestante nel III, nel IV, nel V secolo. Non ve n'erano. E nei secoli successivi? Neanche uno, fino a Lutero.

 

35. Nessuna confessione nata dalla Riforma ha duemila anni di vita. La promessa di Gesù, fatta alla sua vera Chiesa: "le porte degli infèri non prevarranno contro di essa" non era rivolta ad alcuna delle chiese protestanti.

 

36. Più antica di qualche secolo, troviamo la confessione valdese. I Valdesi sono un piccolo numero di Cristiani, presenti soprattutto in Italia. Il nome tradisce la loro origine: Pietro Valdo (ca 1140 - ca 1217), un mercante di Lione, che nell'anno 1174 decide di donare tutti i suoi beni ai poveri e di mettersi a predicare il Vangelo.

 

37. Se è lontano dalle nostre intenzioni ogni giudizio sulla buona fede di chi si professa valdese, non possiamo passare sotto silenzio il dato che ci fornisce la storia: prima del XII secolo, nessuno si professava val­dese, dunque questa "chiesa" non esisteva. È nata con Valdo.

 

38. Con Pietro Valdo, dice la storia, dunque non con Gesù Cristo, constatiamo noi. Tra il momento in cui Gesù promette di istituire la sua Chiesa (Matteo, cap. XVI) e la nascita del valdismo passano più di dodici secoli. Quelle parole "le porte degli inferi non prevarranno contro di essa", ormai a noi familiari, non erano, evidentemente, rivolte alla chiesa valdese.

 

39. Le Chiese che si denominano "ortodosse" meritano, dal punto di vista storico, considerazioni del tutto diverse da quelle finora svolte.

 

40. Esse vantano un'origine comune alla Chiesa Cattolica, origine che - a differenza di quanto han fatto i Protestanti - non hanno mai rin­negato. Dalla Chiesa Cattolica esse si separano nell'anno 1054, ma fino a quel momento, pur tra tensioni e scismi rientrati, le Chiese ortodosse e quella Cattolica costituivano una sola realtà, una sola Chiesa.

 

41. Con la Chiesa Cattolica esse condividono i dettami dei primi 7 Concili ecumenici, la gran parte della dottrina e del contenuto della Fede, ma soprattutto i primi undici secoli di vita. Poi la dolorosa scis­sione di metà XI secolo, non più rimediata, con reciproche scomuniche e accuse vicendevoli di aver abbandonato la vera Chiesa.

 

42. A differenza di protestanti, anglicani e valdesi, gli ortodossi possono dimostrare che l'origine delle loro chiese, grazie alla comune storia con i cattolici, risale ai tempi di Gesù Cristo.

 

43. Quanto alla Chiesa Cattolica, quella alla quale apparteniamo, essa non ha alcuna difficoltà a dichiarare, dimostrandola, la sua età: due­inila anni.

 

44. Se l'attuale Pontefice, Capo visibile della Chiesa Cattolica, innesta la retromarcia nella storia della sua Chiesa, incontrerà 263 Ponte­fici che lo hanno preceduto, il primo dei quali, Simon Pietro fu non solo il primo Vescovo di Roma, ma colui che doveva costituire il fondamento della vera Chiesa di Gesù Cristo.

 

45. Grazie alla ininterrotta successione sulla cattedra che fu di Pie­tro, del Principe degli Apostoli, del primo Vescovo di Roma, successione che può facilmente essere documentata, la Chiesa Cattolica vanta origini apostoliche.

 

46. La storia ha emanato il suo verdetto. Alla nostra domanda riguardo quale delle Chiese oggi esistenti può dimostrare - documenti storici alla mano - di avere una carta d'identità nella quale la data di nascita risale ai tempi di Gesù Cristo, la storia risponde: la Chiesa Catto­lica e le Chiese ortodosse.

 

47. Certo, questa risposta non soddisfa del tutto la nostra inda­gine. Il Vangelo narra che Gesù Cristo ha fondato una sola Chiesa, invece quelle che vantano origini apostoliche sono di più. Tuttavia, un risultato è stato ottenuto: la nostra ricerca deve proseguire, ma può leci­tamente restringere il suo campo d'azione alla Chiesa Cattolica e alle Ortodosse. Solo tra queste si "nasconde" la vera Chiesa voluta da Gesù.

 

48. Per scoprirla, per identificarla, dobbiamo porre attenzione all'altro carattere che deve necessariamente possedere la vera Chiesa: essere "edificata" su Pietro: "Tu sei Pietro, e su di te edificherò la mia Chiesa". Qui trova origine quello che "tecnicamente" gli studiosi di cose sacre chiamano "Il Primato di Pietro".

 

49. Quella, tra la Chiesa Cattolica e quelle ortodosse, che avrà conservato intatto questo "fondamento" voluto dal Signore, che avrà conservato inalterato questo "Primato" potrà vantarsi d'essere la sola Chiesa fondata da Cristo.

 

50. Prima di proseguire e giungere alla definitiva risposta, dob­biamo esaminare brevemente che cosa si intende per "Primato di Pie­tro".

 

Il Primato di Pietro

 

51. Il Primato di Pietro trova il suo fondamento in due momenti.

 

52. Il primo di questi viene indicato dagli studiosi con l'espres­sione "la promessa del Primato", che abbiamo ricordato in apertura di questo capitolo: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa" (Mt 16,18).

 

53. Leggendo il racconto di Matteo, ci si potrà accorgere che subito dopo aver pronunciato queste parole, Gesù farà un'altra promessa a Simon Pietro: "A te darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che leghe­rai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli" (Mt 16,19). Gesù sta spiegando che cosa intende per Primato. Le sue parole erano facilmente comprensibili ai suoi uditori, molto meno a noi, uomini del ventesimo secolo.

 

54. "Detenere le chiavi", nel linguaggio biblico, sta a significare il potere che ha il maggiordomo di amministrare i beni di una casa o di un palazzo, in attesa del ritorno del legittimo proprietario. Ne consegue che la Chiesa che Cristo intende edificare dovrà avere come amministratore dei suoi beni, nel periodo in cui mancherà il suo fondatore (Cristo), pro­prio Simon Pietro.

 

55. Nel linguaggio rabbinico, "legare" e "sciogliere" indicavano il potere di proibire (legare) o di permettere (sciogliere) in materia dottri­nale; invece, nel campo disciplinare e giuridico, la stessa espressione indi­cava il potere di "condannare" (legare) o di "assolvere" (sciogliere).

 

56. A Pietro, dunque, Gesù promette non solo di costituirlo come fondamento dell'edificio Chiesa, ma anche il potere di proibire o di permettere in campo dottrinale e quello di assolvere o di condannare in campo giuridico e disciplinare.

 

57. Il ruolo che Gesù intendeva dunque affidare a Simon Pietro ci è piuttosto chiaro. Ma proseguiamo.

 

58. Il secondo momento. Dalla promessa del Primato, il Vangelo ci ricorda il passaggio al "conferimento del Primato". Lo troviamo nel Vangelo di Giovanni: "Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti. Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: Simone di Giovanni mi vuoi bene tu più di costoro? Gli rispose: Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene. Gli disse: Pasci i miei agnelli. Gli disse di nuovo: Simone di Giovanni, mi vuoi bene? Gli rispose: Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene. Gli disse: Pasci le mie pecorelle. Gli disse per la terza volta: Simone di Giovanni, mi vuoi bene? Pietro rimase addolorato che per la terza voltagli dicesse: Mi vuoi bene; e gli disse: Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene. Gli rispose Gesù: Pasci le mie pecorelle" (Gv 21, 14-17).

 

59. "Pasci i miei agnelli - pasci le mie pecorelle - pasci le mie peco­relle". Per ben tre volte, Gesù affida un incarico a Simon Pietro: condur­re, guidare e governare l'intero gregge, proprio come fa un pastore. Il gregge - su questo tutti gli studiosi concordano - è la Chiesa tutta intera. Toccherà a Pietro guidare e governare la Chiesa fondata da Cristo.

 

60. Ortodossi, anglicani e protestanti non concordano parzial­mente o del tutto con la Chiesa Cattolica circa l'interpretazione da dare a queste parole, che però a noi pare molto evidente. Il Primato di Pietro, comprendente il potere di comandare sulla Chiesa e dunque il diritto di essere obbedito da chi ne fa parte, potrà anche non piacere a qualcuno, rna, stando al Vangelo di san Giovanni, nasce per esplicita volontà di Cri­sto.

 

61. Per sanare questa disparità di interpretazioni si dovrebbe affrontare un complesso discorso teologico ed esegetico. Ma noi prefe­riamo interrogare la storia. Essa dovrà dirci come è stato inteso, accolto e realizzato il Primato di Pietro fin dall'epoca della Chiesa primitiva.

 

62. Con la Chiesa primitiva dovrà confrontarsi, e misurarsi, ciascuna delle Chiese cristiane oggi esistenti. E non si potrà avanzare la pretesa di essere la sola Chiesa fondata da Cristo se sul Primato di Pietro una Chiesa odierna avesse idee sostanzialmente diverse dalla Chiesa delle origini.

 

63. Dedicheremo il prossimo capitolo ad interrogare la storia pro­prio su questo argomento.

 

64. Ancora un'ultima considerazione. La Chiesa, nelle intenzioni del suo fondatore, non avrebbe mai dovuto cessare di esistere; ne conse­gue - con tutta evidenza - che anche il suo fondamento, il suo pastore, non avrebbe mai dovuto venire a mancare.

 

65. Ma Gesù non ha promesso a Pietro il dono dell'immortalità. Anzi, al contrario, gli ha predetto il modo in cui sarebbe morto. Va da sè, dunque, che il compito di governare la Chiesa, di esserne fonda­mento e guida avrebbe dovuto perdurare nel tempo e quindi essere tra­smesso da Pietro al suo successore. E così per tutta la durata della Chiesa, cioè per sempre.

 

66. Questa conclusione è confermata dai Vangeli. Anche nell'affi­dare alla Chiesa un compito preciso, Gesù manifesta l'intenzione che essa doveva durare per sempre, nei secoli: "Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. E Gesù, avvici­natosi, disse loro: Mi è stato dato ogni potere in ciclo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti igiorni, fino alla fine del mondo" (Mt28, 16-20).

 

67. Il compito di ammaestrare ed insegnare a tutte le nazioni fino alla fine del mondo e quindi battezzarle non poteva essere assegnato solo agli Undici che ascoltavano queste parole di Gesù, perché di lì a pochi decenni di loro non ne sarebbe rimasto in vita alcuno. Invece, Gesù dice che Egli accompagnerà chi ammaestra ed insegna e battezza (la Chiesa) fino alla fine del mondo.

 

68. Quindi, il potere dato alla Chiesa, nella persona dei primi undici discepoli, sotto la guida di Simon Pietro, sarebbe stato evidente­mente trasmesso ai loro successori, e così fino alla fine dei tempi.

 

69. Abbiamo ora tutte le carte in regola per entrare nel mondo della storia e portare a termine la nostra ricerca. È ciò che faremo nel prossimo capitolo.

 

"Poiché Dio ha creato tutte le cose con estrema compiu­tezza e perfezione, non sarebbe stato concepibile che nella sua infinita sapienza, dopo aver dato la verità al mon­do, rientrasse nella sua perfetta quiete, lasciando la ve­rità stessa esposta alle ingiurie del tempo, vano oggetto delle dispute umane. Per questo concepì da tutta l'eter­nità la sua Chiesa, che risplendette nel mondo nella pie­nezza dei tempi con quella sovrana bellezza e quell'uni­ca perfezione che sempre ebbe nell'intendimento divino". (JUAN DONOSO CORTES, Saggio sul cattolicesimo, il liberali­smo e il socialismo, Rusconi, Milano 1972, p. 78)

 

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La vera Chiesa di Gesù Cristo

 

“Perché tanto ésprit catholique? “ Perché solo nella Chiesa cattolica trovo l'unione, che tanto amo, del genio e della santità. E poi perché amo la verità, perché sono tra quelli che si osti­nano ad afèrmare che due più due fà quat­tro. Ora, tra le versioni del Cristianesimo, sol­tanto quella cattolica mi pare la verità e la chiarezza: al di fuori ci sono forse delle verità, ma impazzite, non la verità piena e senza errori che sta solo nel Credo cattolico". (JEAN GUITTON, tratto da VITTORIO MES­SORI, Inchiesta sul Cristianesimo, Oscar Monda­dori 1993, p. 71)

 

1. Quanto esposto nel capitolo precedente ci ha consentito di trarre una prima, anche se non definitiva, conclusione alla nostra ricerca della vera Chiesa fondata da Gesù di Nazareth.

 

2. Né le chiese che appartengono alla prolifica famiglia della Riforma protestante, né quella anglicana, né la valdese (per citare solo le più note) possono dimostrare, con prove storiche, d'avere origini che risalgono all'età apostolica. Di sicuro, nessuna di esse è stata fondata da Gesù.

 

3. Soltanto la Chiesa cattolica e quella dell'Oriente cristiano, l'Or­todossa, hanno un'età bimillenaria. La sola, vera Chiesa istituita dal Signore non può che essere una di esse. E solo su queste due confessioni si svilupperà la nostra indagine di carattere storico.

 

4. Come facciamo a capire qual è la vera Chiesa fondata da Cristo? Ci aiuta a rispondere l'esame di un'altra caratteristica della vera Chiesa di Cristo: il Primato di Pietro.

 

5. Il Primato di Pietro, promesso da Cristo al Principe degli Apo­stoli, divide le Chiese d'Oriente dalla Chiesa cattolica. Le prime ricono­scono a Pietro, e ai suoi successori, i Vescovi di Roma, un Primato di onore, ma non di giurisdizione. La posizione del Vescovo di Roma è cer­tamente privilegiata rispetto a quella di tutti gli altri Vescovi, ma non tale da consentire al successore di Pietro di governare tutta la Chiesa. Questo è quanto credono le Chiese d'Oriente.

 

6. La Chiesa Cattolica ritiene invece che i successori di Pietro, i Pa­pi, i Vescovi di Roma, abbiano un Primato che comporti anche il go­verno di tutta la Chiesa, non solo un Primato d'onore. Chi ha ragione?

 

7. La risposta deve esserci fornita dalla storia, precisamente da quella storia che hanno in comune la Chiesa cattolica e le confessioni dell'Oriente cristiano.

 

8. In primo luogo: non si hanno dubbi che, fin dai primi decenni successivi la morte di Pietro, il suo ministero sia stato esercitato dal Vescovo di Roma. La Chiesa primitiva era comandata dal Vescovo di Roma. Ne dà testimonianza l'episodio che vede come protagonista papa Clemente, quarto Vescovo di Roma dopo Pietro, Lino e Anacleto.

 

9. Di Clemente ci è pervenuta la celeberrima lettera che egli scris­se, sul finire del I secolo, ai cristiani di Corinto. Questi ultimi avevano deposto i loro capi dando vita ad una pericolosa situazione di anarchia.

 

10. Ecco le parole con le quali Clemente interviene per condan­nare questa deposizione: "Quelli che furono da essi [Apostoli] stabiliti o dopo da altri illustri uomini con il consenso di tutta la Chiesa, che avranno servito rettamente il gregge di Cristo con umiltà, calma e gentilezza e che hanno avuto testimonianza da tutti e per molto tempo, li riteniamo che non siano allontanati dal ministero" (CLEMENTE ROMANO, Lettera ai Corinti 44,3, in I Padri Apostolici, a cura di Antonio Quacquarelli, Città Nuova, Roma 1981, p. 78).

 

11. Clemente dà un ordine: vengano reintegrati nei loro ruoli di comando quelli che la comunità della Chiesa di Corinto aveva allontanato. Giunge persino a minacciare gravi sanzioni qualora le sue disposi­zioni non siano rispettate: "Quelli che disobbediscono alle parole di Dio, ripetute per mezzo nostro, sappiano che incorrono in una colpa e in un peri­colo non lievi" (Ibid., 59, in I Padri Apostolici, cit., p. 88).

 

12. Dunque, la storia ci dice che Clemente, Vescovo di Roma, suc­cessore di Pietro:

- interviene negli affari interni di una Chiesa, quella di Corinto, che, al pari di quella di Roma, aveva origini apostoliche.

- interviene mentre è ancora vivo Giovanni, uno degli Apostoli.

- interviene minacciando sanzioni se non viene obbedito.

 

13. Come non ricordare, proprio in questo episodio, l'applicazione di quel potere di "legare e sciogliere" che Gesù aveva conferito a Pietro e che in questa occasione viene esercitato dal suo legittimo successore?

 

14. La lettera di Clemente, che rivela il ruolo preminente del Vescovo di Roma su un'altra Chiesa, viene conservata con cura dalle comunità cristiane primitive, tanto è che nell'anno 170, il vescovo di Corinto, Dionigi, scrive a papa Sotero informandolo che quello scritto era letto nella celebrazione eucaristica domenicale.

 

15. Nel I secolo, quando la Chiesa era una, sembra certo che il Vescovo di Roma esercitasse il suo "Primato" non solo dal punto di vista onorifico, ma anche e soprattutto nel governo della Chiesa. La storia ci offre altri dati.

 

16. Nel secondo secolo, il ruolo di governo e di guida del Romano Pontefice era pacificamente accettato nella Chiesa intera. Lo attesta una serie di documenti di incomparabile valore.

 

17. Per brevità citiamo soltanto Ireneo (ca 140-ca 200), vescovo di Lione, che nella sua famosissima opera Adversus haereses, scritta per confutare le dottrine eretiche, riferendosi alla Chiesa di Roma, ci lascia scritto: "Infatti, con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccel­lente, deve necessariamente essere d'accordo ogni Chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte... essa nella quale per tutti gli uomini sempre è stata conservata la Tradizione che viene dagli Apostoli" (S. IRENEO DI LIONE, Contro le eresie egli altri scritti, 111, 3) 2, a cura di Enzo Bellini, Jaca Book, Milano 1981, p. 218).

 

18. È difficile trovare un documento più chiaro riguardante le con­vinzioni dei primi cristiani in merito al Primato della Chiesa di Roma. Con questa Chiesa, cioè con la Chiesa Cattolica, deve rimanere in comu­nione ogni cristiano, da qualunque parte provenga, occidentale od orien­tale.

 

19. Sono parole che bene farebbero a leggere Protestanti, Angli­cani e anche Ortodossi, tutti allontanatisi dalla Chiesa di Roma nel corso dei secoli.

 

20. Anche nel terzo e nel quarto secolo il Primato della Chiesa di Roma non veniva posto in discussione dai Cristiani. Tra i documenti che lo attestano, ricordiamo le parole che sant'Agostino, vescovo di Ippona, rivolge a quanti, come al suo tempo i Donatisti, avevano abbandonato l'unità con la Chiesa Cattolica: "Voi sapete che cos'è la Chiesa cattolica: è la vite di cui voi siete i tralci tagliati... Perciò affrettatevi a ritornare per essere nuovamente innestati sulla vera vite. Poiché infatti la vera vite è là dove è la sede di Pietro, quella sede di cui noi conosciamo la serie autentica dei titolari. Ivi è la pietra contro la quale non prevarranno le porte dell'in­ferno" (S. AGOSTINO, Psalmus contra partem Donati, del 394).

 

21. Ai tempi di s. Agostino, quando non s'era verificata la scissione tra Cristiani d'Occidente e d'Oriente, coloro che abbandonavano la Chiesa cattolica venivano invitati a "ritornare per essere nuovamente inne­stati sulla vera vite", vera vite che coincideva con la cattedra di Pietro. Per il santo vescovo di Ippona, le parole di Cristo: "le porte degli inferi non prevarranno" erano state rivolte alla Chiesa cattolica, alla Chiesa di Roma, dov'era la sede di Pietro e dei suoi successori.

 

22. Questo invito conserva tutto il suo valore. Oggi un cattolico lo rivolge, forte della tradizione della Chiesa, a quei Cristiani che non sono in comunione con la Cattedra di Pietro, cioè con la Chiesa Cattolica.

 

23. La storia ci insegna che i Pontefici di Roma hanno esercitato il loro Primato, che comprendeva anche il governo della Chiesa, ben prima che si verificasse la scissione dolorosa del 1054, che separò l'Oriente dal­l'Occidente cristiano.

 

24. Sempre per ragioni di brevità, qui ricordiamo solo che Papa Vittore (189-199) decide di scomunicare le Chiese d'Asia che non si accordavano con la Chiesa di Roma nella definizione della data della celebrazione della Pasqua.

 

25. Il fatto è di rilevante importanza. Infatti, nessun vescovo, tranne quello di Roma, il Papa, poteva attribuire a se stesso un potere come questo: scomunicare tutte le Chiese di un'intera regione. Siamo di fronte all'esercizio di quel potere di legare e di sciogliere affidato da Gesù a Pietro e tramandato ai suoi successori. Un potere che nessuno osa contestare, quando la Chiesa era una.

 

26. Ma la storia ci offre anche altri dati interessanti. Essa ci con­sente di conoscere ciò che, in merito al Primato di Pietro, i predecessori degli attuali vescovi e patriarchi dell'Oriente cristiano, ora separati da Roma, confessavano prima della dolorosa scissione. Erano anch'essi con­vinti che si trattasse solo di un Primato d'onore e non invece di giurisdi­zione? A questa domanda rispondono i documenti che ci sono pervenuti dai primi Concili della Chiesa, riconosciuti come validi anche dagli attuali vescovi dell'Oriente scismatico.

 

27. I primi quattro Concili si svolgono tutti in Oriente, convocati dall'Imperatore. Il Papa non vi partecipa, ma manda suoi rappresentanti.

 

28. L'esame dei documenti approvati dai Concili non lascia alcun dubbio sul riconoscimento del Primato di Pietro, sulle prerogative di questo Primato, sul ruolo di guida, di comando e di governo dell'intera Chiesa esercitato dal Vescovo di Roma, riconosciuto ed accettato da tutta la Chiesa. Ecco qualche esempio.

 

29. Il Credo approvato dal primo Concilio ecumenico di Nicea (325), alla presenza di oltre 300 vescovi dell'Oriente, è firmato per primo da Osio, vescovo di Cordoba, e da due presbiteri romani. I tre erano i rappresentanti del papa Silvestro.

 

30. Nel terzo Concilio ecumenico, tenuto ad Efeso nel 431, il rap­presentante del Papa, il presbitero Filippo, pronuncia memorabili parole che, vera e propria esposizione dottrinale del Primato di Pietro, sono accolte in deferente silenzio da tutta l'assemblea: "Nessuno dubita, o Piuttosto è un fatto noto in tutti i secoli, che il santo e beatissimo Pietro, il pescatore e capo degli Apostoli, colonna della fede e fondamento della Chiesa cattolica, ricevette da nostro Signore Gesù Cristo, Salvatore e Redentore delgenere umano, le chiavi del regno e che a lui è stato dato il potere di legare e di sciogliere. E Pietro, fino a questo tempo e per sempre vive e Giudica nella persona dei suoi successori. Ora appunto il suo successore e sostituto legittimo, il nostro santo e beato papa Celestino, vescovo, ci ha mandato a questo Concilio per rapparesentarlo" (JOANNES DOMINI­CUS MANSI, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, vol. IV, ristampa anastatica, Graz 1960-1961, p. 1295).

 

31. Non meno significativa risulta essere la lettera inviata dal papa Celestino al suddetto Concilio: "Nella nostra sollecitudine noi abbiamo mandato i nostri santi fratelli e colleghi nel sacerdozio, i vescovi Areadio e Proietto insieme con il prete Filippo, uomini specchiatissimi e d'un solo sen­tire con noi, affinché intervengano nelle vostre discussioni ed eseguiscano ciò che già da noi è stato deciso. Siamo sicuri che la vostra santità si sentirà in dovere di uniformarsi alle loro decisioni" (Ibid., p. 1287).

 

32. Infine, ricordiamo il IV Concilio ecumenico, svoltosi a Calce­donia, in Turchia, nel 451. Il Papa Leone I Magno non vi partecipa, ma manda i suoi rappresentanti e pone come condizione che il Concilio venga presieduto da uno di essi, il vescovo Pascasino.

 

33. Alla seduta inaugurale si registra una dimostrazione del ruolo preminente del Romano Pontefice. Infatti, il rappresentante del Papa si oppone alla partecipazione al Concilio del Vescovo di Alessandria, Dio­scoro, con queste parole: "Abbiamo con noi le istruzioni del beato ed apo­stolico Vescovo della città dei Romani, il quale è capo di tutte le Chiese (qui est caput omnium Ecclesiarum), ed esse prescrivono che Dioscoro non deve partecipare al Concilio e se tenta di farlo deve essere espulso" (Ibid., vol. VI, pp. 580-581).

 

34. L'affermazione che il Vescovo di Roma è "capo di tutte le Chiese", pronunciata solennemente dinanzi a tutti dal legato pontificio, non scandalizza i presenti e nessuno la contesta, nemmeno il Patriarca di Costantinopoli, ivi presente, che, lo ricordiamo, era predecessore dell'at­tuale Patriarca di Costantinopoli che oggi non riconosce il pieno Primato di Pietro.

 

35. Abbiamo qualche argomento per trarre una conclusione. La documentazione fin qui esaminata ci porta ad affermare che, prima dello scisma di Costantinopoli dell'anno 1054, che darà vita alla Chiesa d'O­riente, il Primato di Pietro era riconosciuto da tutta la Chiesa, affermato dai Concili ai quali parteciparono i predecessori di quanti oggi lo conte­stano nella sua interezza.

 

36. La storia ci dimostra, con abbondanza di documenti, che si trattava di un Primato non solo di onore (come sarebbero disposti a rico­noscere tuttora le gerarchie della Chiesa ortodossa) ma di governo e di giurisdizione, come lo crede e lo esercita ancora oggi, come sempre ha fatto e continuerà a fare, la Chiesa Cattolica.

 

37. Ne consegue che, sulla base della documentazione storica in nostro possesso, è la Chiesa di Roma, cioè la Chiesa cattolica, che ha conservato intatta sia la dottrina sia il ruolo ed i compiti che Cristo ha affidato a Pietro e ai suoi successori.

 

38. È proprio dalla storia che ci giunge il permesso di affermare, con un notevole margine di certezza, che la sola Chiesa fondata da Cri­sto è quella cattolica, che fa capo al Vescovo di Roma.

 

39. Infatti, essa sola, tra tutte le Chiese oggi esistenti:

- ha origini che risalgono all'età apostolica, attraverso la successione dei sommi pontefici a partire da Simon Pietro, e dunque è stata fondata da Gesù Cristo;

- conserva intatto il Primato di Pietro, così come lo ha istituito il Signore e lo ha compreso ed esercitato la Chiesa primitiva. Primato non solo di onore ma di giurisdizione, cioè di governo della Chiesa intera;

- può dimostrare che questo Primato fu riconosciuto, accolto e accettato da tutta la Chiesa dell'antichità e fu sempre esercitato dai Papi.

- infine, può dimostrare che quanti negano l'esercizio del Primato di Pie­tro, quanti contestano il ruolo che ancora oggi ricopre il Papa, si sono allontanati dalla vera dottrina insegnata da Gesù Cristo, dalla sola Chiesa fondata dal Maestro e dalla consuetudine, cioè dalla Tradizione della Chiesa.

 

40. Il cattolico ha argomenti sufficienti per esporre, sostenere e difendere i motivi di credibilità della Chiesa cui appartiene.

 

"La Chiesa cattolica, considerata come istituzione reli­giosa, ha esercitato sulla società lo stesso influsso eserci­tato sul mondo dal cattolicesimo come dottrina, lo stesso influsso esercitato da nostro Signore Gesù Cristo sul­l'uomo. Infatti nostro Signore Gesù Cristo, la sua dot­trina e la Chiesa sono tre manifestazioni differenti di una stessa realtà, che è l'azione divina, che opera in maniera soprannaturale e simultanea nell'uomo e in tutte le sue facoltà, nella società e in tutte le sue istitu­zioni. Nostro Signore Gesù Cristo, il cattolicesimo e la Chiesa cattolica sono la stessa parola, la parola di Dio che risuona perpetuamente nei cieli". (JUAN DONOSO CORTES, Saggio sul cattolicesimo, il liberali­smo e il socialismo, Rusconi, Milano 1972, p. 127)

 

La vera religione

 

“L’uomo è per costituzione un animale reli­gioso”.

(EDMUND BURKE, Reflection on the Revolution in France)

 

1. È un dato di fatto che nel mondo esistono tante religioni. Può capitare che quanti si avvicinano a Dio restino sconcertati di fronte alle innumerevoli credenze, alla varietà di riti, alla diversità di convinzioni che riguardano Dio.

 

2. Naturalmente, il Cattolico sa bene che il Cristianesimo è una Religione rivelata da Dio e per questo motivo è la sola Religione vera. Ma conosce questa Rivelazione perché egli dà fiducia alla Chiesa e alla Parola di Dio, alla Bibbia. Non è così invece la posizione di quanti cre­dono in Dio ma non sono cristiani. Per questi ultimi la Bibbia e la Chiesa non hanno la stessa autorità di cui godono presso i Cattolici.

 

3. L'esistenza di numerose religioni è un fatto comprensibile. Gli uomini hanno sempre cercato di conoscere Dio, di rispettarne la volontà e soprattutto di rendergli un culto. Nel fare questo, hanno commesso errori, talvolta molto evidenti, che la stessa ragione umana può mettere in luce. L'esistenza di numerose credenze religiose è dovuta proprio a questi errori.

 

4. In questo capitolo ci proponiamo di gettare uno sguardo, molto superficiale, sui motivi di credibilità del Cristianesimo in rapporto alle altre religioni. Siamo convinti che sia possibile, dopo quanto detto nei capitoli precedenti, cogliere la ragionevolezza del Cristianesimo anche attraverso l'evidenziare gli errori delle altre credenze.

 

5. Siamo debitori, per una buona parte di questo capitolo, delle informazioni ricavate dalla serie di video-cassette apologetiche, pubblitata dall'editrice Mimep-Docete, specialmente da quella intitolata "La vera religione"

 

L'uomo religioso

 

6. È un dato ormai accertato che l'uomo è sempre stato un essere religioso. Mircea Eliade, uno dei massimi, se non il più grande, storico delle religioni della nostra epoca, scriveva che "Essere uomo significa essere religioso" e a quanti gli domandavano perché gli uomini sono religiosi rispondeva "Gli uomini sono religiosi perché sono intelligenti" (MIRCEA ELIADE, Storia delle credenze e delle idee religiose, Firenze 1983, vol. I, pag. 6).

 

7. Da quando l'uomo è apparso sulla terra, egli è sempre stato un essere religioso. La storia dei popoli ci insegna che, fino al XVIII secolo, tutte le civiltà, tutte le culture, tutte le convinzioni ed il pensiero umano - tranne in rari e singoli casi - erano innervate di profonda religiosità.

 

8. L'antropologia culturale, quella disciplina che studia le caratteri­stiche culturali dei vari gruppi umani, conferma il dato che abbiamo sopra indicato. Jean Servier, etnologo di fama mondiale, scrive: "L'idea di un Dio unico, eterno, increato, padrone della vita, origine e termine dell’avventura umana, è presente in tutte le civiltà umane" (JEAN SER­VIER, L'uomo e l'invisibile, Rusconi, Milano 1973, p. 121).

 

9. Questo dato della moderna antropologia culturale era già cono­sciuto ai tempi di Aristotele (384-322 a.C.), nella cui opera "De coelo et mondo" noi possiamo leggere: "Tuttigli uomini hanno la convinzione che esistonogli déi" (I, 3, 270b, 5-6).

 

10. È bene sapere, come ha detto il filosofo Henri Bergson, che sono esistite nel passato - e si possono trovare ancora oggi - società o gruppi umani che non hanno né scienza, né arte e nemmeno filosofia. Ma non è mai esistita alcuna società che non avesse una sua religione, cioè un rapporto con il Divino" (H. BERGSON, Les deux sources de la morale et de la religion, PUF, Paris 1995, p. 105).

 

11. Sono affermazioni supportate da dati ormai pacificamente accettati dalla paleoantropologia e dall'antropologia culturale. In Cri­mea, sul Monte Carmelo in Israele, in Uzbekistan sono state trovate molte tombe che risalgono a 50/100.000 anni prima di Cristo. Siamo nell'epoca dell'Uomo di Neandertal, quando non esisteva alcuna forma di scrittura. Siamo, pertanto, in piena preistoria.

 

12. Jean Servier ha studiato queste tombe e ci ha detto che presso i popoli preistorici "non vi è mai stato un sotterramento frettoloso di una carogna ingombrante oppure di una carcassa inutile". A quei tempi l'uomo credeva già ad una forma di sopravvivenza dopo la morte, dun­que possedeva una credenza tipicamente religiosa.

 

13. Recentemente, in Australia, sono state scoperte tracce di uomini vissuti 170.000 anni fa. Sono state ritrovate migliaia di piccole incisioni su una roccia a sud-ovest di Darwin. Gli studiosi sono convinti che avessero uno scopo di culto, cioè religioso. Ma sono stati trovati anche grani di ocra rossa, usata da tutti gli uomini preistorici per pitture rituali, segno di credenze religiose, che ritraggono i corpi dei defunti.

 

14. Non solo il mondo della preistoria, ma anche quello della sto­ria è pieno di segni e di tracce della religiosità dell'uomo. Templi, monu­menti, resti sepolcrali per giungere, attraverso millenni, fino alle nostre splendide cattedrali. Il mondo è colmo di opere che mostrano la profonda religiosità dell'essere umano.

 

15. L'ateismo, come fenomeno sociale, nasce soltanto 200 anni fa, con la Rivoluzione francese. Resta un fenomeno tipico dell'epoca mo­derna e pare sia già in declino nel mondo post-moderno, dove sta nascendo una nuova religiosità. È bene che un cattolico, impegnato nel­l'opera di evangelizzazione, sappia che la negazione di Dio è un dato relativamente recente, non è affatto naturale e scontato nella storia del genere umano, essendo l'uomo, al contrario, un essere strutturalmente religioso.

 

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Religione di Dio e religioni dell'uomo

 

16. Molti affermano che la nostra sia una società multiculturale e multireligiosa. Oggi è sempre più facile incontrare uomini che si dichia­rano religiosi ma non sono cristiani. Anche nei confronti di queste per­sone il cattolico deve svolgere opera di evangelizzazione, deve trovare i modi di far conoscere, apprezzare ed amare Gesù Cristo e la sua Chiesa.

 

17. Come possiamo identificare la vera Religione servendoci solo di argomenti razionali, dettati dalla ragione umana? Possiamo percorrere ben tre strade, come suggerisce la video-cassetta della Mimep-Docete:

- la prima: la vera Religione non deve insegnare cose che siano evidente­mente contrarie alla ragione umana, perché la ragione umana è dono di Dio e non può contrastare con la vera Fede in Dio;

- la seconda: ogni religione ha un suo fondatore. Bene, il fondatore della vera Religione dovrà mostrare una assoluta coerenza tra le sue idee e la santità della sua vita;

- la terza: quella Religione che presenta costantemente segni miracolosi, certamente attribuibili a Dio come prova della sua esistenza e della verità della Fede, è la vera Religione.

 

18. La prima prova razionale per dimostrare che una religione deriva da Dio è la sua conformità con la retta ragione umana. Infatti, la ragione umana e la vera Religione non possono essere tra loro in con­traddizione, perché discendono entrambe dallo stesso ed unico Dio.

 

19. Buddismo, Taoismo e Confucianesimo non credono all'esi­stenza di Dio creatore del mondo. Ma nei capitoli precedenti abbiamo visto come la ragione umana, anche senza l'ausilio della Rivelazione e della Chiesa, è in grado di dimostrare l'esistenza di Dio. Abbiamo osser­vato come la ragione umana, esaminando il creato, cercando la causa della sua esistenza, del suo ordine e del suo finalismo, scopre l'esistenza di una Causa prima, che è anche Ordinatore e Finalizzatore Intelligente di tutto l'universo. Scopre l'esistenza di Dio.

 

20. Ora, Buddismo, Taoismo e Confucianesimo negano proprio l'esistenza di Dio e, anche se comunemente vengono considerate religioni, risulta palese che nulla hanno a che fare con il vero Dio, che peral­tro esse stesse negano.

 

21. La dottrina dell'Induismo, nel corso della sua storia, ha avuto un certo sviluppo. In origine essa proponeva l'esistenza di 33 divinità, poi passò a identificare Dio con il mondo materiale per giungere, ai nostri giorni, a proporre ancora innumerevoli divinità tra le quali emer­gono Brahma, Visnu e Siva.

 

22. Ora, noi non entriamo nel merito della religione induista, ma ci basta osservare che la ragione umana scopre l'esistenza di un solo Dio, di una sola Causa prima; ne consegue che proporre l'esistenza di innu­merevoli divinità è del tutto contrario alla ragione, che è dono di Dio. Dunque, l'Induismo non è religione che viene da Dio.

 

23. Lo Shintoismo, la religione dei giapponesi, considera come divinità, come se fosse Dio, ogni elemento della natura. Il sole è dio, il mare è dio, la foresta è dio, il vulcano Fusjyama è dio, e così via.

 

24. Alla domanda sulla esistenza di Dio, lo Shintoismo risponde affermando l'esistenza di innumerevoli divinità. Dunque, siamo ben lon­tani dalle scoperte della ragione umana che, come ricordato sopra, sco­pre l'esistenza di una sola Causa prima, di un solo Dio.

 

25. Ebraismo ed Islam, al contrario delle religioni sopra indicate, credono all'esistenza di un solo Dio personale, creatore e signore dell'u­niverso, distinto dall'universo creato; e in questo concordano con il Cri­stianesimo. E tutte e tre queste credenze non contrastano, per quanto concerne questo punto, con l'umana ragione.

 

26. La seconda prova razionale per dimostrare che una religione deriva da Dio si concentra sulla persona del suo fondatore.

 

27. Qui ci pare di poter dire che la figura di Gesù di Nazareth non teme alcun rivale. Dopo aver dimostrato, nei capitoli precedenti, la storicità dei Vangeli, possiamo sostenere con buone ragioni che le opere compiute dal Cristo non hanno eguali, ne dimostrano veramente la sua unicità e la sua autentica divinità. E questo è un punto decisivo per la credibilità del Cristianesimo come vera religione, come unica religione voluta da Dio.

 

28. Nessun fondatore di altre religioni ha compiuto opere simili a quelle del Cristo e nessun altro fondatore ha osato definirsi, come ha fatto Gesù Cristo, Dio, pari a Dio.

 

29. Si aggiunga, per fare un primo confronto, che Maometto, fondatore dell'Islam, durante il corso della sua vita ebbe riguardo a Dio idee piuttosto confuse. Prima, in giovane età, era idolatra e politeista, poi, verso i quarant'anni, influenzato dall'Ebraismo, divenne monoteista.

 

30. Il Corano, libro sacro per l'Islam, contenente le rivelazioni che Maometto dichiarava di aver ricevuto da Dio attraverso l'Angelo Gabriele, accanto al ricordo dei grandi personaggi biblici tratti soprat­tutto dall'Antico Testamento, ha anche un contenuto che non è franca­mente condivisibile da una retta ragione umana.

 

31. Maometto, che avrebbe dettato il Corano, faceva scrivere nella IV Sura, il capitolo dedicato alle donne, che un uomo non solo può scambiare una moglie con un'altra (4,20), ma può perfino picchiare e cacciare la sua sposa (4,34). Ora, anche qui, data la dichiarata superficia­lità del nostro lavoro, non entriamo nel merito, non indaghiamo le ragioni di queste dichiarazioni. Ma ci sia soltanto consentito di dire che non si può ammettere che Dio abbia insegnato a picchiare le mogli, a scambiarle, a sposarne quattro (4,3). Ci domandiamo lecitamente se il Corano sia stato davvero dettato da Dio o non piuttosto elaborato da Maometto?

 

32. Inoltre Maometto non ebbe proprio una vita esemplarmente coerente. Mentre imponeva ai suoi correligionari di non sposare più di quattro mogli, egli ne sposò ben 11 e con 9 di quelle convisse fino alla morte. Per sposare Zàynab, moglie di un suo figlio adottivo, pensò bene di costringerla a divorziare da quest'ultimo. Inoltre, in vita sua, Maomet­to commise molti atti di violenza, razzie a carovane con uccisioni e vio­lenze. Davvero niente a che fare con la santità di vita del Cristo storico.

 

33. Per quanto concerne Budda, Lao Tzu (il suo Libro della vita e della virtù diede origine al Taoismo) e Confucio, stando alla tradizio­ne, si narra che furono uomini di non comune virtù. Ma i dati storici in nostro possesso sono molto scarsi. Per esempio, alcuni studiosi ritengono che Lao Tzu sia una figura leggendaria.

 

34. In ogni caso, nessuno di essi ha mai osato definirsi Dio, come invece ha fatto Gesù Cristo e nessuno di essi ha compiuto opere che so­no nemmeno lontanamente paragonabili alle opere del Cristo.

 

35. Circa la coerenza di vita di Gesù di Nazareth, qui non spen­diamo nemmeno una parola. I Vangeli, documenti storici attendibili, ci riportano quanto è necessario per conoscere da vicino chi era Gesù Cri­sto e alla loro lettura dobbiamo rimandare.

 

36. La terza prova razionale per dimostrare che una religione deri­va da Dio si concentra sui miracoli. San Tommaso insegna che un mira­colo "è ciò che è compiuto da Dio fuori dell'ordine di tutta la natura crea­ta" (S. Theol. I, 110, 4).

 

37. Ora, miracoli veri e propri sono presenti soltanto nella religione ebraica (nell'Antico Testamento ve ne sono diversi) e nel Cristianesimo.

 

38. Ma l'Ebraismo, rifiutando il contenuto dei Vangeli e la divinità di Gesù Cristo, rifiuta quella credibilità del Cristianesimo che ci è sem­brata dimostrabile, come abbiamo visto nei capitoli precedenti. L'Ebrai­smo è dunque una religione rivelata da Dio, ma gli Ebrei hanno rifiutato ciò che lo stesso loro Dio ha rivelato in seguito, attraverso Gesù di Naza­reth.

 

39. I miracoli sono invece assenti nelle religioni dell'estremo oriente. Camminare sui carboni accesi senza bruciarsi, sedersi su tappeti di chiodi appuntiti senza farsi male, far apparire o sparire oggetti, gesti che molti ritengono miracolosi, in realtà non sono altro che opere "pro­digiose", ma che l'uomo può compiere purché sia allenato, addestrato, perché ne ha il potere. Non sono dunque opera di Dio, ma di fachiri, di guru e di chiunque abbia voglia di imparare a compierle.

 

Conclusione

 

40. Il tema che abbiamo affrontato in quest'ultimo capitolo meri­terebbe ben altro approfondimento. Ne siamo consapevoli e suggeriamo ad ogni cattolico di conoscere a fondo le dottrine delle religioni non cri­stiane. Questo è un dato importante, sia per rafforzare la propria convin­zione circa la ragionevolezza del Cristianesimo, sia per possedere gli stru­menti per un'opera efficace di evangelizzazione rivolta ai credenti non cristiani.

 

41. Va detto che non abbiamo inteso esprimere un giudizio circa la buona fede di quanti, credendo in Dio, non lo conoscono veramente e praticano religioni che sono opera di uomini e non di Dio.

 

42. Ma va anche detto che la nostra ragione è in grado di segnalare i motivi che la portano a identificare la vera Religione, quella cristiana, e a distinguerla dalle false religioni. Abbiamo quindi argomenti da esporre a quanti, pur dichiarandosi credenti in Dio, non ritengono di apprezzare il Cristianesimo, nella speranza che la nostra esposizione contribuisca a far conoscere e a far amare Gesù di Nazareth e la sua Chiesa cattolica.

 

"La ragione umana detta all'uomo di sottoporsi a qual­che Essere superiore a causa delle deficienze che speri­menta in se stesso, nei riguardi delle quali sente il biso­gno di essere aiutato e diretto da qualche Essere supe­riore; e, chiunque esso sia, è l'Essere che presso tutti è chiamato Dio". (S. TOMMASO D'AQUINO, Somma Teologica)

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26/09/2009 21:41
 
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Da: 7978Pergamena

Aggiungo riflessioni a quelle di Paolo sul problema del tempo e del creato.


1)  Qualche esempio facile delle vie che la ragione può percorre per giungere all'esistenza di Dio

Con la scienza moderna il principio di conservazione dell'energia e della massa non sono più indipendenti. E' stato dimostrato che la massa si trasforma in energia e l'energia in massa ma non tutta l'energia si ritrasforma in massa: ogni corpo lentamente si consuma ( principio di equivalenza fra massa ed energia di Albert Einstein ).

  Inoltre l'energia si degrada cioè non è più utilizzabile per compiere lavoro. L'energia altro non è che la capacità di un corpo di compiere un
lavoro: in fisica, energia e lavoro sono termini praticamente equivalenti ( concetto di entropia di Rudolf Julius Clausius e secondo principio della termodinamica ).

  Dunque ogni corpo lentamente si consuma e ogni lavoro lentamente finisce:l'universo tutto si consuma e si spegne per arrivare al punto zero di equilibrio termodinamico.

  Se la materia muore vuol dire che essa è una realtà che nasce e finisce.
Tutto ciò che nasce non inizia da sé ma deve essere causato e questa ricerca delle cause deve arrivare, dopo una concatenazione logica, ad una realtà eterna non derivata da altre ( si tratta di una applicazione del principio di non contraddizione ).

  Non si può spiegare il mondo corporeo servendosi unicamente del mondo corporeo: occorre una causa senza causa, misteriosa, invisibile, trascendente tutto ciò che esiste, perfettamente autonoma, eterna, che
possieda l'essere in tutta la sua ampiezza ed intensità e che chiamiamo Dio.

  Solo Dio può aver fatto dal nulla le cose che un giorno sono cominciate: anche se Dio resta oscuro e misterioso, Egli resta l'unica spiegazione possibile ( la via percorsa dalla ragione, in questo caso, per giungere alla
dimostrazione di Dio, può essere chiamata via della causalità formale intrinseca o via che consiste nel passare dal possibile o contingente al necessario ).

2)   Il fisico Stephen Hawking avrebbe dimostrato che l'universo è eterno e pertanto esso non avrebbe più bisogno di Dio

Il fisico Stephen Hawking ha soltanto ipotizzato un modello di Universo finito ma senza confini, una sorta di circolo chiuso come la superficie
della terra: questo universo non avrebbe un punto d'inizio né un punto finale.

  L'inconveniente della ipotesi di Hawking è la misura del tempo immaginario che egli propone per il suo Universo. Infatti essa si fonda sulla radice quadrata dell'unità negativa, cioè su di un numero che non esiste.

  I numeri immaginari sono utili alla fisica per risolvere i problemi ma devono essere eliminati nel corso delle operazioni altrimenti il risultato
non avrebbe un significato concreto.

  Lo stesso scienziato ammette che "- (.) quest'idea che il tempo e lo spazio siano finiti ma illimitati è solo una proposta: essa non può essere dedotta da alcun altro principio" -.

( Stephen  W. Hawking, Dal Big Bang ai buchi neri, breve storia del tempo, traduzione italiana di Libero Sosio, Rizzoli, Milano, luglio 1988, p.161; cfr Carlo Cavicchioli, Hawking, un albatro muto, Avvenire 23 luglio 1988, p.11 )

  Hawking crede  che un  universo dotato di eternità temporale ( cioè di continua durata nel tempo ) non dovrebbe avere più bisogno di Dio.

  In realtà, facendo uso del principio di non contraddizione, anche se l'universo non dovesse finire mai, il mistero della contingenza rimarrebbe non risolto.

  Alcune prime domande, infatti, restano senza risposta e ripropongono subito il problema della contingenza:
se l'universo è sferico che c'è al di là della sfera e se l'universo è sferico in quale luogo si colloca questa sfera?

  Nell'universo, inoltre, niente presenta le caratteristiche di qualcosa che dovrebbe esistere sempre: i suoi stessi elementi costitutivi come la materia e l'energia sono realtà destinate a degradarsi. Uno per uno, dunque, gli enti che compongono l'universo rivelano caratteristiche di finitezza, di
relatività, di dipendenza e pertanto sarebbe ancora più misterioso se essi, tutti insieme, avessero la capacità di esistere sempre perché, per poter esistere sempre, occorre che ci sia una continua successione del prima e del
poi ( eternità temporale ). Hawking dice che, a causa della freccia del tempo termodinamica, lo stato di disordine o entropia aumenta con l'
espansione dell'universo. Egli dice che si passa da uno stato di alto ordine, come quello di una tazza integra sul tavolo, ad uno stato di
disordine, come quello della tazza rotta sul pavimento ( l'esempio è dello scienziato ).

  Le stelle, dice Hawking, esauriscono il loro combustibile, i protoni ed i neutroni in esse contenute decadono in particelle di luce e radiazione fino a giungere ad uno stato di disordine completo

  Perché ci sia una continua successione del prima e del poi occorre, dice Hawking, che la freccia del tempo termodinamica si rovesci in modo che l' universo ricominci la sua espansione a partire da uno stato omogeneo e
ordinato perché solo da tale situazione di ordine può ricominciare a muoversi.

I cocci della tazza che si è rotta, tazza che rappresenta il sistema universo, devono riunirsi insieme a ricostituire l'oggetto integro ( l'
esempio è sempre di Hawking )

( cfr Stephen W. Hawking, ibidem, pp. 166, 177 ).

  Hawking credeva che all'espansione sarebbe seguita la contrazione e - "(.) che nella fase di collasso dell'universo il disordine sarebbe diminuito. Questo perché pensavo che nel corso della contrazione l'universo dovesse tornare a uno stato omogeneo e ordinato. Ciò avrebbe significato che la fase di contrazione sarebbe stata simile all'inversione temporale della fase di espansione. Le persone nella fase di contrazione avrebbero vissuto la loro
vita a ritroso: sarebbero morte prima di nascere e sarebbero diventate più giovani al procedere della contrazione dell'universo.-"   ( Stephen W.
Hawking, ibidem, p. 173 ).

  In seguito Hawking si è reso conto di aver commesso un errore perché nelle sue ipotesi era stato portato fuori strada dall'analogia con la superficie terrestre: gli studi di Don Page della Penn State University e del suo allievo Raymond Laflamme confutarono la tesi di Hawking.

  "- Mi resi conto di aver commesso un errore: la condizione dell'assenza di ogni limite ( condizione di sfericità ndr ) implicava che il
disordine sarebbe in effetti continuato ad aumentare anche durante la contrazione. Le frecce del tempo termodinamica e psicologica non si sarebbero rovesciate quando l'universo avesse cominciato a contrarsi, e neppure all'interno dei buchi neri "-( Stephen W. Hawking, ivi, p.174 ).

  Perché ci sia una continua successione del prima e del poi, perché l'espansione e la contrazione si succedano in continuazione occorre che i cocci della tazza che si è rotta ( che rappresenta l'universo ) possano
riunirsi insieme a ricostituire l'oggetto integro per poi rompersi di nuovo, ma questa successione del prima e del poi non è possibile senza l'intervento di una causa estrinseca alla tazza -universo e al tempo stesso.

  Occorre una causa senza causa, trascendente tutto ciò che esiste, tempo compreso, la quale rimetta in moto la freccia del tempo termodinamica.
Questa causa misteriosa, al di fuori delle cose e del tempo e quindi creatrice del tempo stesso, è per definizione eterna: si tratta di una eternità in senso proprio e cioè di eternità atemporale.

  Anche per l'universo rimane valido il teorema di Godel: nel sistema universo ci sarà sempre un punto che non potrà essere spiegato con gli
elementi dell'universo stesso e cioè con la fisica, con la matematica, con l'astronomia
(  cfr  Stanley L. Jaki,  Dio e i cosmologi,    Libreria editrice Vaticana,     Città del Vaticano 1991 ).

  Infatti alla fine del suo lavoro, lo stesso Hawking, che è alla ricerca di una - teoria definitiva della fisica cioè di una teoria che spieghi definitivamente ogni particolare
dell'universo con gli elementi dell'universo stesso, non si accorge di contraddirsi dicendo che, quand'anche ci fosse una teoria definitiva,
rimarrebbero sempre delle domande a cui la scienza non può rispondere.
Hawking scrive: "- ma quand'anche ci fosse una sola teoria unificata possibile, essa sarebbe solo un insieme di regole e di equazioni.

  Che cos'è che infonde vita nelle equazioni e che costruisce un universo che possa essere descritto da esse? L'approccio consueto della scienza, consistente nel costruire un modello matematico, non può rispondere alle domande del perché dovrebbe esserci un universo reale descrivibile da quel modello. Perché l'universo si dà la pena di esistere? "-
( Stephen Hawking, ivi, p.196 ).

  L'eternità temporale dell'universo ( tempo che continua ) non è, dunque, una prova contro la creazione perché un universo che continua a durare nel tempo ha bisogno dell'intervento di una causa senza causa, estrinseca all'universo e al tempo.

  San Tommaso d'Aquino già sosteneva che l'eternità temporale del mondo non era una prova contro la creazione.

  Infatti il movimento delle cose che esistono è sempre progressivo perché presuppone l'esistenza del prima e del dopo e cioè del tempo che è la misura del movimento.

  Ma in Dio non esiste il prima e il dopo perché a Dio non compete il tempo ma l'eternità atemporale ( vita senza tempo ) e pertanto l'azione di Dio è istantanea e non progressiva.

  Se Dio agisse come agiscono le cose, noi vedremmo la creazione venire dopo Dio in ordine di tempo ma l'azione creativa è istantanea e quindi ciò che viene fatto è istantaneo a colui che fa: quindi il mondo non avrebbe un principio perché non ha un principio temporale l'atto assoluto di Dio.

  Nella natura non esiste esempio di moto istantaneo, però è possibile immaginarlo pensando all'effetto istantaneo che la propagazione di una luce, la cui sorgente è vicina, ha per la nostra vista. Per l'occhio umano l'illuminazione di una stanza non sembra venire in ordine di tempo dopo la
luce ma sembra istantanea alla luce stessa.

  In questo caso, come dice S. Agostino, sarebbe sempre esistito il mondo,
essendo sempre esistito colui che lo ha fatto.

                San Tommaso d'Aquino spiega:

1)       Dio ha fatto il mondo dal nulla non nel senso che lo ha fatto dopo il nulla ma nel senso che non è stato fatto con qualche altra cosa.

2)      Si dice che le cose furono create all'inizio del tempo non perché l'inizio del tempo sia misura dell'atto creativo di Dio, che non può essere misurato, ma perché il cielo e la terra sono stati creati insieme con il tempo ( cfr San Tommaso d'Aquino, Summa Teologica, I, q.46, a. 2 e 3  )

L'eternità temporale dell'universo, dunque, non è una prova contro l'esistenza di Dio.

  Inoltre, per giungere all'esistenza di Dio, la ragione può percorrere altre vie, diverse da quella consistente nel passare dal contingente al necessario.

  Un altro percorso della ragione per giungere a Dio è, ad esempio, quello della causalità efficiente.

  La causalità è un processo che parte da certe cose ( cause ) e influisce su altre ( effetti ). Noi chiamiamo con il nome di universo il processo
della causalità, cioè il processo per cui ogni cosa dipende da un'altra.

  Nell'universo ogni cosa agisce sull'altra, ogni cosa ha bisogno di un'altra, ogni cosa dipende da un'altra. Noi vediamo, ad esempio, che il
bicchiere è appoggiato sul piatto, quindi dipende dal piatto in quanto all'appoggio. Il piatto è appoggiato al tavolo, il tavolo al pavimento, il pavimento alla casa, la casa alla terra, la terra dipende dal mondo, il mondo dal sistema solare, il sistema solare da altri pianeti e questi da altri ancora.

  Se ogni cosa ha bisogno di un'altra cosa, se ogni universo ha bisogno di un altro universo, vuol dire che ogni universo non ha in sé la propria ragion d'essere, cioè non basta a se stesso: ogni ente che dipende da una causa non può essere causa di se stesso (applicazione del principio di non contraddizione ).

  Deve esistere, dunque, una prima causa non causata da altre, invisibile, misteriosa, perfettamente autonoma, trascendente tutto ciò che esiste e che chiamiamo Dio.

  Per evitare di giungere a riconoscere la necessità di una prima causa non causata da altre, possono essere formulati due ragionamenti sofistici cioè due ragionamenti falsi ma presentati in modo da apparire veri: queste scappatoie sofistiche consistono nella cosiddetta spiegazione circolare e nella serie infinita.

La spiegazione circolare è questa: per non arrivare alla prima causa, a chi mi domanda dove appoggia il bicchiere, rispondo che appoggia sul piatto e a chi mi domanda dove appoggia il piatto, rispondo che appoggia sul bicchiere.

  In realtà, così facendo, non fornisco alcuna spiegazione degli effetti che vedo perché sia il piatto che il bicchiere sono due enti destinati a
rimanere senza appoggio, cioè senza causa.

  La serie infinita consiste nell'aumentare all'infinito il numero delle cose soggette al processo di causalità ( aumentando, ad esempio, il numero dei pianeti o degli Universi che hanno bisogno gli uni degli altri )  in
modo da non arrivare mai  alla prima causa.

   In realtà, così facendo, non fornisco alcuna spiegazione degli effetti che vedo perché, un numero anche infinito di pianeti o di - piatti - che hanno bisogno gli uni degli altri è come una catena fatta di tantissimi  anelli che non trovano mai un primo appoggio, cioè una prima
causa.

  Una serie infinita di cose o di eventi ( infinità quantitativa o infinito numerico ) tra essi dipendenti è una serie che non basta a se stessa e quindi non trova al suo interno la propria causa. Infatti, se ogni ente di una serie di enti ha autonomia zero, l'autonomia totale della serie è ancora zero dato che la sommatoria di infiniti termini tutti uguali a zero è zero matematicamente.

( Bruto Maria Bruti )

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