QUESTO FORUM E' CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO... A LUI OGNI ONORE E GLORIA NEI SECOLI DEI SECOLI, AMEN!
 
Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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PRIMA DI APRIRE LA BIBBIA

Ultimo Aggiornamento: 09/09/2009 21:09
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Prima di aprire … LA BIBBIA

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Introduzione

Il termine Bibbia deriva dall’espressione greca Biblìa (“i libri”). Furono gli antichi autori cristiani che iniziarono a chiamare Biblìa la raccolta delle Sacre Scritture: il più antico documento al riguardo è una lettera scritta intorno al 150 d.C. da Clemente Alessandrino, uno dei primi Padri della Chiesa. Il nome divenne così il titolo della raccolta dei testi sacri dell’Antico e del Nuovo Testamento.


Cosa racconta la Bibbia?

La Bibbia narra la storia dell’amicizia tra Dio e l’uomo, iniziata con la creazione del mondo e dell’uomo, un’amicizia a cui Dio, anche quando l’uomo con il peccato l’ha tradita, non è mai venuto meno. Dio sceglie di rivelarsi, di manifestare il suo amore attraverso la “parola", proprio perché questa è lo strumento principale con cui gli esseri umani, a differenza di tutti gli altri esseri creati, comunicano se stessi. E’ mediante la parola che noi possiamo trasmettere agli altri i nostri pensieri, esprimere le nostre ansie, comunicare i nostri sentimenti. Dio si è voluto servire, quindi, dello strumento più usato dall’uomo, la parola, per comunicare Se stesso, il suo amore, la sua intimità.

La parola di Dio è l’espressione di una potenza che continuamente crea. E’ significativo che tra le prime parole con cui ha inizio la Bibbia ci sia proprio: “Dio disse” (Gen. 1,3).

La parola di Dio “è stabile come il cielo”; nel rivelarsi illumina”; essa “è dolce al mio palato: sono solo alcune delle espressioni con cui il Salmo 119 descrive la parola di Dio. E’ una parola, quella di Dio, che raggiunge ogni uomo e lo provoca a una risposta.

Dio, infatti, cerca continuamente il dialogo, il confronto, proprio come un amico che non si arrende mai, anche quando il colloquio si fa impegnativo e difficile.

La parola di Dio è “parola di verità(2 Sam. 7, 28), che in Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio, si è fatta carneed è venuta ad abitare in mezzo a noi. Cristo rende presente e operante tutta intera la storia della salvezza iniziata dal Padre con la creazione del mondo, portata avanti con il messaggio profetico e sapienziale.

Una storia della salvezza, che con la venuta di Cristo giunge al suo compimento.

Gesù, quindi, è la Parola di Dio unica, definitiva e irripetibile.


Divisione della Bibbia

I libri che compongono la Bibbia non sono stati raccolti casualmente. Un lungo processo di maturazione e di verifica, non senza incertezze e dubbi, portò le comunità ebraiche e quelle cristiane a ritenere alcuni libri, e solo questi “testi sacri e ispirati da Dio”. Così nasce quello che gli esperti chiamano il “canone” (dal greco kanòn che significa “regola, norma”) della Bibbia, vale a dire l’elenco ufficiale dei testi biblici.

Ogni tradizione religiosa vive in genere due forme intrecciate tra loro: una trasmissione orale, spontanea, vitale e di una successiva codificazione scritta. Un popolo ai suoi inizi, proprio come un bambino, non comincia la sua storia scrivendo libri, prima vive, poi, fatta esperienza, scrive per ricordare e far ricordare alle nuove generazioni ciò che ha vissuto. Anche il Popolo d’Israele, prima ha vissuto una Storia, poi ha cominciato a trasmettere il ricordo di padre in figlio (tradizione orale) e infine ha anche fissato tale storia in una memoria scritta.

Distinguiamo il canone dell’Antico Testamento da quello del Nuovo Testamento. La parola “Testamento” è la traduzione latina dell’ebraico berìt che significa “alleanza ”, “patto ”.

Gli Ebrei hanno in comune con i cristiani la quasi totalità dei libri dell’Antico Testamento.


La Bibbia ebraica. Nel II secolo a.C. esisteva già un canone ebraico (“canone palestinese”) che comprendeva 39 libri, scritti originariamente in ebraico e tutti appartenenti all’Antico Testamento. La formazione di questa raccolta è progressiva: i primi testi a ottenere un riconoscimento ufficiale sono quelli della Torah(1) (il Pentateuco), nell’epoca immediatamente successiva all’esilio (VI sec. A.C.). Fanno seguito i testi dei Profeti attorno al IV secolo a.C. Più tardi, nel II secolo a.C. si aggiungono gli Scritti(2). Ma gli ebrei che vivevano al di fuori della Palestina e parlavano greco consideravano anche altri 7 testi in aggiunta a quelli compresi nel canone palestinese: Tobia, Giuditta, 1-2 Maccabei, Sapienza, Siracide e Baruc. Questi testi furono detti “deuterocanonici”(3) (cioè del secondo canone) e l’elenco è indicato come “canone alessandrino”, da Alessandria d’Egitto, dove viveva una numerosa comunità di ebrei e dove, a partire dal III secolo a.C. fu incominciata la traduzione in greco della Bibbia ebraica nota come “Bibbia dei Settanta”(4) (LXX). Alla base del rifiuto dei libri deuterocanonici da parte degli ebrei più intransigenti vi era la motivazione che si dovevano ritenere ispirati solo i libri scritti in ebraico e sul suolo palestinese.

La Bibbia cristiana, riprende la Bibbia ebraica, estendendo la storia della salvezza nei testi del Nuovo Testamento. La figura di Gesù è centrale ed è alla luce del suo insegnamento e della sua persona che i cristiani rileggono e interpretano tutta la storia di Israele e tutto l’Antico Testamento. I 46 libri dell’Antico Testamento vengono raggruppati in modo diverso rispetto alla Bibbia ebraica(5).

I 27 libri del Nuovo Testamento, accettati anche dai Protestanti, hanno una storia più travagliata. Nella lista più antica in nostro possesso (180 d.C.), quella di Ireneo vescovo di Lione, sono assenti, la lettera di Giacomo, 1 Pietro, 2 Giovanni. Anche nel frammento muratoriano(6) un elenco ufficiale dei testi biblici del 190 d.C. mancano 5 delle 7 lettere cattoliche(7). I 27 libri sono riconosciuti nel suo insieme solo nel 367 d.C. in una lettera di Atanasio, padre e dottore della Chiesa, mentre l’elenco ufficiale di tutti i libri biblici viene confermato in modo definitivo e solenne dai Concili di Firenze (1431) e di Trento (1546).



NOTA 1 Gli Ebrei con il nome di Torah o “Legge” indicavano i primi cinque libri della Bibbia (Genesi, Esodo, Levitico, Deuteronomio, Numeri), cioè il Pentateuco (dal greco “cinque rotoli o “libri”). Questi libri, infatti, contengono tutta la

legislazione d’Israele, ecco perché vengono considerati una unità. La parte più estesa del Pentateuco è composta di Leggi (di qui l’appellativo ebraico: “Torah” o “Legge”).


NOTA 2 : La Bibbia ebraica, come scrive il prologo del Siracide (190-180 a.C.), è composta da libri della:

1. Legge(Il Pentateuco).

2. Profetidetti “anteriori”, corrispondenti ai libri di Giosuè, Giudici, 1-2 Samuele e 1-2 Re. I Profeti posteriori (Isaia, Geremia, Ezechiele e 12 profeti minori, da Osea a Malachia).

3. Scritti(Salmi, Proverbi, Giobbe, Cantico dei Cantici, Daniele, Rut, Qoelèt, Ester, Esdra, Neemia, 1-2 Cronache, Lamentazioni). Questi 39 libri che vanno sotto il nome di “Canone Ebraico o Palestinese” furono tutti scritti in ebraico e sono riconosciuti dagli Ebrei e dai Protestanti.

NOTA 3  Anche nel N.T. ci sono libri deuterocanonici”: Lettera agli Ebrei, Lettera di Giacomo, II lettera di Pietro, II e III Lettera di Giovanni, Lettera di Giuda, Apocalisse.

NOTA 4 La prima traduzione in greco dell’Antico Testamento è chiamata: Bibbia dei Settanta”. Il suo nome è legato a una lettera dello Pseudo Aristea (II sec. a.C.) secondo la quale il Re d’Egitto Tolomeo Filadelfo (285-247), desiderando arricchire la celebre biblioteca di Alessandria con un esemplare della legge mosaica, radunò nella città “Settanta” dotti ebrei provenienti da Gerusalemme, i quali tradussero in altrettanti giorni (“Settanta”) tutto l’Antico Testamento.

Certamente si tratta di una leggenda, ma sembra accertato che proprio al tempo di Tolomeo sia cominciata una traduzione d’équipe in greco dell’A.T. per soddisfare le esigenze dei numerosi ebrei della diaspora (provenienti cioè dall’esilio), che non parlavano più l’ebraico. Il N.T. fu scritto interamente in greco, sappiamo però, che la prima redazione del Vangelo di Matteo, fu scritta in ebraico o aramaico, ma a noi è giunta solo la redazione in greco.


NOTA 5 I 46 libri dell’A.T. della Bibbia Cristiana vengono così disposti:

1. Pentateuco (che corrisponde alla Torah ebraica).

2. Libri storici (che narrano la storia di Israele a partire dall’ingresso nella Terra Promessa).

3. Libri sapienziali (opere di riflessione, poesie e preghiere).

4. Libri profetici (che comprendono Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele e i 12 profeti minori).

NOTA 6  Chiamato muratoriano”, da colui che lo scoprì nel 1740, lo storico: Ludovico Antonio Muratori, il quale pubblicò un documento da lui rinvenuto nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. E’ un testo latino del VI secolo, che contiene l’elenco dei libri “canonici”, cioè approvati sin da allora dalla Chiesa.

NOTA 7  Le sette Lettere cattoliche (Giacomo, 1 e 2 Pietro, 1, 2 e 3 Giovanni, Giuda) sono così chiamate perché indirizzate in origine non a un singolo o a una comunità ma a tutti i credenti.

[Modificato da (Gino61) 09/09/2009 21:09]
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BIBBIA EBRAICA E BIBBIA CRISTIANA

BIBBIA EBRAICA (39 LIBRI)

1. La Torah (Pentateuco)

2. I Profeti a) anteriori (Giosuè, Giudici, 1-2 Samuele, 1-2 Re)

b) posteriori (Isaia, Geremia, Ezechiele e i 12 profeti minori).

3. Gli altri scritti : Salmi, Proverbi, Giobbe, Cantico dei Cantici, Daniele, Rut,

Qoèlet, Ester, Esdra, Neemia, 1-2 Cronache, le Lamentazioni.

BIBBIA CRISTIANA (73)

ANTICO TESTAMENTO (46 libri)

1. Il Pentateuco (corrisponde alla Torah ebraica: Genesi, Esodo, Levitico,

Numeri, Deuteronomio)

2. I Libri storici (Giosuè, Giudici, Rut, 1-2 Samuele, 1-2 Re, 1-2 Cronache,

Esdra, Neemia, Tobia, Giuditta, Ester, 1-2 Maccabei)

3. Libri sapienziali (Giobbe, Salmi, Proverbi, Qoèlet, Cantico dei Cantici,

Sapienza, Siracide).

4. Libri profetici

maggiori (Isaia, Geremia, le Lamentazioni, Baruc, Ezechiele, Daniele)

minori (Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc,

Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia).

NUOVO TESTAMENTO (27 libri)

1. Vangeli (Matteo, Marco, Luca, Giovanni)

2. Atti degli Apostoli

3. Lettere (Romani, 1-2 Corinti, Galati, Efesini, Filippesi, Colossesi 1-2

Tessalonicesi, 1-2 Timoteo, Tito, Filemone, Ebrei, Giacomo, 1-2 Pietro, 1-2-3

Giovanni, Giuda)

4. Apocalisse


Formazione della Bibbia

I. IL PENTATEUCO

Il Pentateuco era attribuito dalla tradizione ebraica a Mosé, questa è stata l’opinione prevalente fino al secolo scorso; ma grazie a studi biblici assai più accurati si è avanzata un’altra spiegazione che risulta più attinente al testo biblico.

L’esegesi moderna ha messo in risalto alcune contraddizioni, presenti nel Pentateuco, che ne rendevano impossibile l’attribuzione a un solo autore.

Queste contraddizioni si possono così riassumere:

- doppioni (due racconti della Creazione: Gen. 1, 1-2,4a e Gen. 2,4b-24);

due racconti della vocazione di Mosè (Esodo 3, 1-4,17 e Esodo 6, 2-7,7);

due testi del Decalogo (Es. 20, 1-17 e Deut. 5, 6-21),

quattro calendari liturgici (Es. 23, 14-19; Es. 34, 18-23; Lev. 23; Deut. 16, 1-16).

- forme parallele nei brani legali e narrativi;

- criteri di stile; vocabolario; pensiero teologico.

Tutto ciò fa concludere che nella formazione del Pentateuco ci sono state varie Tradizione distinte (gli esegeti parlano di quattro tradizioni) che si svilupparono all’interno della storia del popolo ebraico. Esse sono così denominate: Jahwista, Eloista, Deuteronomista, Sacerdotale (questa ultima tradizione è indicata con la lettera P, perchè in tedesco “Priester” significa “sacerdote”).

Queste Tradizioni sono racconti indipendenti (Gen. 26, 6-11); narrazioni cultuali (Gen. 28, 10-22); canti primitivi (Gen. 4, 23-24); oracoli (Numeri 23-24); spiegazioni etimologiche (Gen: 25, 22-26); leggende (Gen. 6, 1-4).

Tutto questo materiale storico, forse in forma poetica, venne trasmesso oralmente fin dall’epoca dei Giudici (tra il 1225 e il 1040 circa a.C.), ma ricevette la sua forma definitiva in vari periodi dal X al VI sec. a.C.

1. La Tradizione Jahwista (Y) diventa tradizione scritta intorno al X secolo a.C. durante il periodo di Davide e Salomone. Così chiamata perché utilizza il nome divino Jahwè = Dio. E’ caratterizzata da uno stile vivace e ricco di immagini, con espressioni antropomorfiche (Dio fabbrica tuniche per Adamo ed Eva, Dio chiude la porta dell’arca, ecc…). Un esempio di documento Jawista è il secondo racconto della creazione, quello che parla dell’uomo plasmato dal fango e della donna tratta dalla costola dell’uomo Gen 2, 4b-25).

2. La Tradizione Eloista (E) è riconducibile agli ambienti del Regno di Israele dell’VIII secolo a.C. Così denominata perché usa il termine Eloìm per indicare Dio. Evita gli antropomorfismi e recupera la trascendenza di Dio (Dio parla all’uomo nei sogni o dalle nubi o in mezzo al fuoco o per mezzo degli angeli).

Questa tradizione sottolinea inoltre i temi dell’elezione e dell’alleanza: ad essa, infatti, si attribuisce il Decalogo.

3. La Tradizione Deuteronomista (D) risale al VII secolo a.C. nell’ambiente del regno del Sud, e comprende il libro del Deuteronomio e altre parti. Dimostra grande attenzione al culto intorno al Tempio, unico santuario rimasto in Israele.

 4. La Tradizione Sacerdotale (P) sarebbe stata scritta durante l’esilio babilonese (VI-V secolo a.C.) e nel periodo immediatamente successivo. Sarebbe opera di un gruppo di sacerdoti e questo spiega lo stile solenne e l’attenzione posta alle leggi, al culto, alle prescrizioni. Un esempio di documento sacerdotale è il primo racconto della creazione, quello in cui Dio crea il mondo nell’arco di una settimana. Il testo presenta le caratteristiche di un inno e di un poema (Gen 1, 1- 2,4a). Lo schema della Tradizione sacerdotale contribuì alla redazione finale di tutto in Pentateuco (la maggior parte della seconda metà dell’Esodo, l’intero Levitico e gran parte dei Numeri, appartengono a questa tradizione).

In conclusione, la 4 Tradizioni ricevettero forma definitiva, in vari periodi: dal X secolo al VI secolo a.C.

Come si arriva alla redazione definitiva del Pentateuco?

Allo stato attuale degli studi, la storia della formazione del Pentateuco si può riassumere in alcune tappe.

La tradizione orale, (trasmessa durante il periodo del nomadismo, quando il popolo ebraico era in cerca di una terra), è fondata su fatti realmente accaduti (come l’Esodo, la conquista di Cannan), ma che nel tempo sono stati ampliati semplificati, e sono diventati oggetto di riflessione, predicazione, celebrazione e tradizione. Il tutto avveniva nell’ambito della famiglia, presso i santuari, durante gli spostamenti da un luogo all’altro, in occasione di feste e celebrazioni veniva mantenuto vivo il ricordo degli avvenimenti accaduti.

Durante l’insediamento nella terra di Canaan, le tribù si uniscono e prendono coscienza di essere un popolo unito. Le diverse tradizioni incominciano a fondersi, si ampliano e nascono piccoli cicli di tradizioni che sono sentiti come patrimonio comune di tutti i gruppi. Non si tratta ancora di una vera storia unitaria, ma di singoli frammenti.

A partire dall’epoca monarchica (X sec a.C.) l’unità del popolo è considerata un bene irrinunciabile: in particolare con Davide il popolo si sente unito e rievoca il suo passato iniziando un lavoro di sintesi storica. Durante il regno di Salomone si sviluppa presso gli intellettuali della corte un’intensa attività letteraria, con la composizione di una sintesi storica che, partendo da alcune tradizioni sull’origine del mondo, collegava ad essa la storia di Israele: questa sintesi storica viene denominata appunto tradizione Jahwista. Anche in ambienti differenti nascono degli scritti, che confluiscono nelle tradizioni jahwista e eloista.

Verso la fine dell’epoca monarchica nasce il Deuteronomio. Distrutto il regno del Nord (722 a.C.), alcuni rifugiati al Sud, presso il Tempio, durante il lungo regno del re idolatra Manasse, avrebbero raccolto e scritto in segreto le regole e le leggi religiose e morali. Questo nucleo dell’attuale Deuteronomio, corrisponderebbe al rotolo ritrovato al Tempio nel 621, al tempo del re Giosia (cfr. 2 Re 22). Alle idee tipiche del Deuteronomio si sarebbero ispirati i redattori della storia deuteronomista, che lavorarono in particolare ai testi di Giosuè, Giudici, 1-2 Samuele, 1-2 Re, dove si interpreta la storia di Israele come una storia di fedeltà e infedeltà all’Alleanza e al decalogo.

 Durante l’esilio, i sacerdoti del Tempio, deportati in terra straniera, compongono gran parte dei testi della tradizione Sacerdotale (VI-V secolo a.C.) e inseriscono nell’impostazione della loro tradizione scritta tutti i testi e le tradizioni preesistenti. Al tempo di Esdra (inizi del IV secolo a.C.) il Pentateuco è completato ed è uguale a quello che oggi possediamo.


II. I LIBRI PROFETICI: la letteratura profetica

Oltre al Pentateuco, l’Antico Testamento comprende anche i testi profetici.

Il profetiamo non compare all’improvviso in Israele. Esso scaturisce, come nelle altre religioni, dal bisogno dell’uomo di essere sorretto dalla voce di Colui che può tutto, che ha creato l’universo e lo sostiene. Da qui, nel corso dei millenni, si sviluppano le diverse forme di divinazione, estasi, responsi e oracoli.

Ci sono tuttavia alcuni tratti essenziali che sono tipici dei profeti biblici:

La loro vocazione, intesa come un “mandato” ricevuto o imposto da Dio per il bene del popolo.

Il loro monoteismo, con il quale da un lato sottolineano la trascendenza divina e dall’altro la presenza costante e gratuita di Dio nella storia umana.

Una forte sollecitudine per l’uomo, che li pone intercessori e mediatori tra Dio e il popolo, fino al punto di addossarsi il peccato della propria gente e di condividerne il castigo.

Il richiamo costante all’Alleanza perché l’uomo, nel suo rapporto con Dio, non ricada nell’idolatria o nell’ipocrisia perdendo così quel legame autentico che lo fa vivere.

Un forte senso di giustizia sociale, senza alcun timore di denunciare apertamente anche le più alte cariche politiche e religiose del loro tempo.

Il primo grande profeta è Mosé, descritto come colui che “parlava con Dio faccia a faccia”. Alla sua figura si ispirano gli altri:

- nei secoli XI e X a.C. Samuele, Achia, Semeia e Natan,

- nel IX secolo Canani (Anan), Elia, Eliseo e Michea ben Imla,

- nel secolo VIII, Amos, Osea, Isaia e Michea,

- nel VII-VI secolo: Geremia e Sofonia,

- durante l’esilio babilonese (586-553 a.C.): Ezechiele e il Deutero-Isaia,

- nel post-esilio (538-450 a.C.): Aggeo, Zaccaria, Gioele, Malachia, Trito-Isaia, Abdia, Giona.

Così il Signore ha accompagnato la storia del suo popolo, lungo numerosi “esodi” e verso nuove “terre”.

Isaia e Zaccaria: due libri ma…quanti profeti?

Il libro di Isaia è uno solo, ma gli studiosi lo suddividono in tre parti ben distinte l’una dall’altra:

- la prima (Is 1-39) appartiene a un profeta dell’VIII secolo a.C.

- la seconda (Is 40-55) avrebbe come autore un profeta anonimo del tempo esilico

- la terza (Is 56-66) sarebbe una collezione anonima del periodo post-esilico.

 

Questo conferma l’importanza di conoscere almeno a grandi linee lo sfondo storico e letterario dei testi biblici, per coglierne più correttamente il messaggio. Lo stesso si verifica per il libro di Zaccaria in cui sono riconoscibili tre grosse redazioni:

- Zc 1-8 ambientata nel periodo post-esilico durante la costruzione del tempio,

- Zc 9-11 da collocarsi al tempo della conquista di Alessandro Magno (334 a.C.)

- Zc 12-14 di poco posteriore, caratterizzata da oracoli messianici che spingono lo sguardo verso gli ultimi tempi.

I profeti non scrissero i loro oracoli o scrissero assai poco: essi erano i portavoce di Dio che li aveva scelti e inviati. La composizione scritta della loro predicazione è opera dei loro discepoli, a volte anche dilazionata nel tempo.

La scomparsa della profezia in Israele avvenne nel silenzio come il suo inizio; sarebbe impossibile determinare chi fu l’ultimo profeta dell’AT. Negli ultimi 200 anni prima di Cristo gli scrittori sapienziali continuarono coscientemente la tradizione ereditata dalla profezia (cfr. Siracide 24,31; Sapienza 7,27), senza però pretendere di possedere uno spirito profetico.


III. GLI ALTRI SCRITTI: la letteratura sapienziale

Da sempre, in Israele come altrove, gli uomini hanno sviluppato una propria tradizione sapienziale per tentare di penetrare il mistero dell’universo e dell’uomo. Così nascono i maestri di sapienza che si propongono di capire la realtà nel suo senso più profondo: parlano della grandezza di Dio, dell’abilità del semplice artigiano, della scaltrezza di chi stringe affari, della prudenza nella vita pratica, della conoscenza di enigmi nascosti… ma l’obiettivo è sempre lo stesso: individuare la ragione profonda e la trama nascosta dietro gli eventi della vita. Questa sapienza universale si perde nella notte dei tempi e, all’origine, è profondamente umana. In Israele essa inizia con le prime tradizioni patriarcali. Trasmessa quindi oralmente, si insinua negli scritti dell’Antico Testamento, dove assume una dimensione religiosa e monoteistica. Nei libri storici essa appare sotto forma di sentenze, proverbi, epigrammi satirici. Poi lentamente, va specificandosi, assumendo quei tratti che ritroviamo nei singoli libri: Giobbe, Salmi, Proverbi, Qoelet, Cantico dei Cantici, Siracide (190-180 a.C.) e Sapienza (ultimo testo in ordine temporale che risente gli influssi della cultura ellenistica).

[Modificato da (Gino61) 06/09/2009 07:48]
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06/09/2009 07:53

L’Ispirazione

Perché questi libri e non altri sono riconosciuti ispirati da Dio? Come abbiamo visto finora i libri che compongono la Bibbia non sono stati raccolti casualmente. Un lungo processo di maturazione e di verifiche, non senza incertezze e dubbi, portò le comunità ebraiche e quelle cristiane a ritenere alcuni libri, e solo questi “testi sacri e ispirati da Dio”. Così nasce quello che gli esperti chiamano il “canone” della Bibbia, vale a dire l’elenco ufficiale dei testi biblici.

Dietro i testi, però, non c’è solo la riflessione umana: ogni libro porta l’impronta dello Spirito di Dio e il suo contenuto viene considerato “ispirato”. Questo non significa che Dio (come ritengono i testimoni di Geova), abbia “dettato” i testi agli autori sacri come farebbe un capoufficio con la sua segretaria. Ogni autore mantiene la propria personalità,

il proprio modo di esprimere la rivelazione divina. La sapienza dell’uomo e il soffio dello Spirito si intrecciano senza costrizioni, infondendo una sapienza ispirata che rende le parole della Scrittura, vive ed efficaci.

La “Dei Verbum” al numero 11 è illuminante a questo proposito: “Le verità divinamente rivelate, che nei libri della Sacra Scrittura sono contenute ed espresse, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo. La Santa Madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i Libri sia dell’Antico Testamento che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tale sono stati consegnati alla Chiesa.

Per la composizione dei Libri Sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo Egli in essi e per loro mezzo, scrivessero, come veri autori tutte e soltanto quelle cose che Egli voleva fossero scritte. Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono, è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, è da ritenersi anche, per conseguenza, che i Libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore, la verità che Dio, per la nostra salvezza volle fosse consegnato nelle Sacre Lettere. Pertanto: “Ogni Scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per convincere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto, addestrato a ogni opera buona” (2 Tim. 3, 16-17).

Come è possibile distinguere un testo “canonico” da un testo “apocrifo (8) ”?

NOTA 8

Il termine “apocrifo” deriva dal verbo greco kryptein “nascondere, tenere segreto”. Nel vocabolario biblico sotto la categoria dei “libri apocrifi” vengono raccolti tre gruppi distinti di scritti:

Gli scritti della “gnosi”, una corrente filosofica e religiosa del I secolo, considerata eretica dalla Chiesa delle

origini.

Gli scritti che hanno un linguaggio e uno stile simili a quello biblico e che sovente vengono anche attribuiti a

un personaggio significativo della storia sacra.

I sette scritti che la versione greca dei Settanta ha aggiunto ai 39 del canone ebraico, per i quali noi preferiamo il nome di “deuterocanonici”.

 

Perché, ad esempio, la comunità cristiana ha accolto nel canone il Vangelo di Marco e non il vangelo apocrifo di Tommaso? Quali criteri hanno presieduto a tale selezione? Prima di rispondere a questi interrogativi è opportuna una distinzione. In modo molto sommario, possiamo dire che per l’Antico Testamento la Chiesa ha accolto i testi presenti nella versione greca dei “Settanta”. Per il Nuovo testamento la scelta è stata più complessa.

Tre sono, comunque, i criteri di fondo che hanno presieduto alla definizione del canone.

1. Il primo criterio è quello dell’apostolicità. Nell’accogliere un Vangelo, la comunità cristiana delle origini ha voluto assicurare il legame stretto tra quella testimonianza e gli apostoli. I Vangeli di Matteo e Giovanni vennero accolti perché ritenuti apostoli e testimoni di Gesù Cristo. Mentre Marco e Luca erano discepoli di Pietro e di Paolo (Dei Verbum 18).

2. Il secondo criterio è quello della fedeltà agli insegnamenti di Gesù. Le prime generazioni cristiane erano molte gelose nel conservare e trasmettere gli insegnamenti del Maestro. Chi “usciva dal seminato”, forzando l’attendibilità dei fatti o accentuando i tratti prodigiosi, non veniva scartato, ma riceveva un peso minore. Questo lo si comprende bene nel quadro storicamente complesso che fa da sfondo alla stesura dei Vangeli: uno dei problemi a cui le giovani comunità dovevano far fronte era infatti il sorgere di eresie e il diffondersi di deviazioni nell’interpretazione del lieto annuncio di Gesù.

3. Il terzo criterio è quello liturgico. Furono i testi più citati, commentati, usati nelle comunità cristiane dei primi secoli ad essere poi accolti come “testi sacri”. Si tratta pertanto di pagine non solo ispirate dallo Spirito, ma anche impreziosite dalla preghiera e dalla riflessione dei discepoli della prima ora.

La maggior parte dei testi apocrifi risale al periodo intertestamentario, vale a dire al periodo che scorre tra il II secolo a.C. e il II secolo d.C. Tra gli scritti intertestamentari vanno ricordati i testi di Qumran, le tradizioni orali dei farisei (che vennero raccolte nella Mishnah e suddivise in sei grandi trattati), gli scritti di Giuseppe Flavio (storico ebreo del I secolo) e quelli attribuiti a Filone Alessandrino (filosofo ebreo vissuto tra il I secolo a.C. e il I sec. d.C.).


Ma la Bibbia può sbagliarsi?

La Bibbia non è, né un libro di storia, né un libro di scienza. Essa non è stata posta nelle mani dell’uomo per risolvere tutti gli interrogativi che possono sorgere nel suo cuore (“Perché il dolore e la morte di bambini innocenti?” Gesù non ha svelato il mistero del dolore ma lo ha preso su di sé, e questo ci basta). Non deve stupire, neanche, il fatto che i testi sacri contengano concezioni di carattere scientifico superate o inesattezze dal punto di vista storico.

Sovente, di fronte a versioni diverse dello stesso episodio, ci si chiede come sia possibile conciliare la verità storica con testi tanto divergenti. Allo stesso modo, alcuni restano perplessi di fronte a pagine di violenza, presentati per lo più come precisi ordini di Dio o come conseguenza di un suo castigo. Che dire poi di guerre, vendette, frasi che sembrano approvare la pena di morte, posizioni di intolleranza verso altrui usi e altre religioni?

Il Concilio Vaticano II ha affrontato con cura tali questioni, spiegando come l’infallibilità della Scrittura sia legata alla verità salvifica da essa comunicata, non agli altri dati.

Da quanto detto, possiamo trarre alcuni principi orientativi che possono aiutare a chiarire la questione.

La verità della Scrittura deve essere intesa in senso dinamico: essa non concerne tanto le singole affermazioni (così inteso, il riferimento alla verità della Scrittura potrebbe portare al fondamentalismo), ma la rivelazione di Dio nella sua globalità, la visione della storia non come pura sequenza di fatti, ma come storia salvifica, abitata da Dio e da lui condotta.

Non si possono valutare i testi antichi partendo semplicemente dalla nostra mentalità. E’ sempre necessario uno sforzo interpretativo che tenga presente il contesto in cui le pagine della Scrittura sono nate, i generi letterari in esse impiegati, i condizionamenti che hanno inciso su diversi autori.

Il lettore deve avere la pazienza di distinguere ciò che è importante da ciò che è marginale, il filo rosso della rivelazione, dall’involucro che la custodisce.

L’infallibilità è nascosta in questo filo rosso che scorre intatto lungo i secoli, non perdendo la carica di salvezza in esso racchiuso.

 

L’Interpretazione

Il messaggio della salvezza, di cui si fa portavoce la Bibbia, viene proposto ed espresso nei testi sotto svariate forme: si passa dai racconti storici a testi teorici, da canti di vittoria a lamentazioni profetiche, da testi giuridici a inni liturgici, dalle parabole alle genealogie, da brani dogmatici a esortazioni fraterne.

Queste diverse tecniche espressive vengono chiamate dagli studiosi “generi letterari”. Si tratta di antiche forme linguistiche legate alle differenti funzioni del linguaggio: i racconti storici, ad esempio, hanno la funzione di informare; i canti di vittoria di coinvolgere; i codici legali di mettere ordine. Facendo una classificazione sommaria, possiamo distinguere due grandi generi letterari, all’interno dei quali vengono raccolti altri generi minori: i testi in poesia e quelli in prosa.

I testi in forma poetica. Tra questi testi vanno distinti i poemi d’amore (come il Cantico dei Cantici), le benedizioni, i canti di ringraziamento, le suppliche, le lamentazioni, gli inni di lode, gli oracoli profetici, ecc… Ogni genere adotta uno specifico linguaggio che va decifrato alla luce del contesto in cui è collocato: un brano poetico tratto dal Cantico dei Cantici è diverso da una lamentazione profetica. A questo genere appartiene anche la letteratura sapienziale il cui obiettivo è quello di trasmettere alle generazioni future la riflessione e l’esperienza dei saggi, essa si esprime attraverso detti popolari, sentenze, poemi tematici, piccoli trattati.

I testi in prosa. Per questi testi la classificazione è più complessa e varia: vi troviamo documenti di carattere storico come gli annali, le cronache, le genealogie, i vangeli; narrazioni didattiche come le parabole; le lettere, come quelle scritte da Paolo, Pietro, Giacomo, Giovanni, Giuda; i discorsi profetici dove i singoli messaggeri, in nome di Dio, si rivolgono a precisi destinatari con allocuzioni, vaticini, parole forti; i racconti di miracolo; i racconti dell’infanzia.

L’importanza dei generi letterari.

La preziosità del genere letterario si nasconde dietro la sua funzione, che è quella di comunicare un preciso messaggio attraverso l’arte del linguaggio.

Esso influisce prima di tutto sull’oggetto in questione. Anche quando il tema è lo stesso, di esso può parlarne il filosofo, il poeta, lo storico, lo scienziato. Ognuna di queste figure si esprime con uno specifico linguaggio, che influisce sul tema, conferendo a esso una particolare sfumatura. Ad esempio: all’uomo posto di fronte alla possibilità di scegliere tra il bene e il male, possiamo proporre la pagina di Gen. 3 oppure le raccomandazioni che Dio affida a Mosè in Deut 30, 15-20, o ancora il Salmo 1. Il tema è lo stesso, ma il contenuto si differenzia a motivo del diverso genere impiegato.

La scelta del genere letterario produce degli effetti anche sul soggetto. Una cosa è esprimere un giudizio in forma categorica, un’altra attraverso un semplice suggerimento, un’altra ancora avanzando una opinione personale. Gesù può affrontare il tema dell’incredulità con un rimprovero diretto o con una parabola o con un insegnamento: il contenuto è lo stesso, ma cambia la modalità espressiva e ciò segna il rapporto tra Gesù e chi lo ascolta.

Infine, la scelta del genere letterario è legata anche agli elementi del contenuto che si desidera sottolineare: in una favola, ad esempio, è la conclusione morale che viene proposta al lettore, mentre il resto serve per portare al contenuto morale; in un racconto storico invece è il fatto in sé ad essere importante. Si tratta di piccoli indizi da non sottovalutare… per imparare l’arte della scrittura e della lettura.

Per completare il discorso sull’interpretazione della Bibbia è necessario fare un accenno sui “sensi” della Bibbia.

Secondo un’antica Tradizione (ripresa dal Catechismo della Chiesa Cattolica), si possono distinguere due sensi della Sacra Scrittura: il senso letterale e quello spirituale; quest’ultimo è suddiviso in : senso morale, senso anagogico e senso allegorico.

Il senso letterale: è “ciò che gli autori sacri hanno realmente inteso significare” (Dei Verbum n. 12), E’ il significato delle parole della Scrittura trovato attraverso l’esegesi, che segue le regole della retta interpretazione (cioè i generi letterari).

Il senso letterale si può dividere a sua volta in:

- Senso letterale proprio: si verifica quando le parole vengono utilizzate dall’agiografo nel loro significato proprio; per esempio: “Gesù si diresse verso il Mare di Galilea” (Mt. 15, 29).

- Senso letterale traslato: si ha quando le parole vengono intese dallo scrittore in senso figurato, per esempio: “Poiché mi rallegri, Signore, con le tue meraviglie, esulto per l’opera delle tue mani” (Salmo 92, 5); dove è evidente che la parola “mani” non indica la parte terminale del braccio, ma la potenza misericordiosa di Dio.

A volte il senso traslato riguarda una sola parola, in questo caso abbiamo la “metafora”, altre volte un intero discorso, come nel caso della “ parabola”.

Il senso spirituale: rivela il significato soggettivo per la fede del credente; è ciò che Dio ha voluto dire attraverso l’agiografo. Il senso spirituale è contenuto nel senso letterale, ma lo supera, poiché si ricollega con il disegno salvifico di Dio, autore primario della Bibbia, e può essere studiato solo alla luce di una rivelazione ulteriore. L’esistenza del senso spirituale ci induce, perciò, a riconoscere nelle Bibbia una profonda unità, determinata dal fatto che tutta la Rivelazione ha come centro la figura di Cristo, attraverso il quale si orienta tutto l’insegnamento biblico. Il senso spirituale si divide, a sua volta, in:

- Senso morale: gli avvenimenti narrati nella Scrittura possono condurci ad agire rettamente “Sono stati scritti per ammonimento nostro” (1 Cor. 10,11).

- Senso anagogico: permette di leggere gli eventi narrati, come segni anticipatori di   avvenimenti futuri, che ci conducono (in greco “anagoghè”) verso la nostra Patria. Così la Chiesa sulla terra è segno della Gerusalemme celeste.

- Senso allegorico: possiamo giungere ad una comprensione più profonda degli avvenimenti se riconosciamo il loro significato in Cristo; così la traversata del Mar Rosso è un segno della vittoria di Cristo, come avviene anche nel Battesimo.

In conclusione occorre ricordare che l’interpretazione della Bibbia è un compito inesauribile, perché essendo Parola di Dio che interpella l’uomo, manifesta il Suo mistero che è appunto inesauribile, e chiede all’uomo la comprensione del suo valore e la sua attualizzazione nella vita personale e comunitaria. Ciò significa che alle passate interpretazioni si aggiungerà sempre lo sforzo di calare il messaggio biblici nelle situazioni nuove della vita umana.

Come esempio interpretativo riporto, qui sotto, un’immagine della concezione del mondo presso gli antichi. Il testo di Genesi 1, 1-2,4a (cioè il primo racconto della Creazione della tradizione Jahwista), rispecchia fedelmente questa concezione.

 vedi figura nel testo in pdf

 

 

La lingua

I testi originali della Bibbia rispecchiano tre orizzonti culturali molto diversi tra loro:

quello ebraico, quello aramaico e quello greco.

L’ebraico. La lingua ebraica appartiene con l’aramaico, l’ugaritico e il fenicio, alla

famiglia delle lingue semitiche (dal nome di Sem, figlio di Noè). Lingua dei

seminomadi ebrei della Palestina, documentata dal secolo X a.C. fu soppiantata

dall’aramaico intorno al VI secolo a.C. pur rimanendo in uso come lingua sacra e

colta (veniva infatti usata nelle preghiere e nelle composizioni letterarie). In

ebraico fu redatto l’Antico Testamento. L’alfabeto è composto di 22 consonanti.

Solo tra il VII e il X secolo d.C. per fissare la giusta pronunzia delle parole, alcuni

saggi chiamati masoréti completarono la scrittura aggiungendo le vocali sotto

forma di puntini, sopra e sotto le consonanti. Per tale motivo, ancora oggi, il testo

ebraico della Bibbia è chiamato anche “testo masorético”.

L’aramaico. La lingua aramaica ha una storia indipendente rispetto a quella

ebraica. Già in uso nell’VIII secolo a.C. come lingua internazionale dell’impero

assiro, l’aramaico andò progressivamente soppiantando l’ebraico come lingua

parlata. In aramaico furono scritte alcune parti dell’AT: alcuni capitoli di Daniele

(dal cap. 2 al cap. 7) e alcuni capitoli di Esdra (dal cap. 4 al cap. 6 e buona parte

del cp.7). Gesù parlava in aramaico e gli stessi Vangeli menzionano alcune sue

espressioni in questa lingua.

Il greco. La lingua greca è la grande protagonista del Nuovo Testamento. Il greco

fu diffuso in Oriente dalle conquiste di Alessandro Magno (dal 333 al 323 a.C.) e

divenne la lingua delle persone colte. La prima traduzione in greco dell’AT è la

“Bibbia dei Settanta”. Il NT fu scritto interamente in greco, sappiamo però che la

prima redazione del Vangelo di Matteo, fu in ebraico (o aramaico), ma a noi è

arrivata solo la redazione in greco.

Il latino. Per completezza, diciamo che, nel tempo cristiano, ci furono diverse

traduzioni latine della Bibbia, compreso il NT. La più famosa è quella di S.

Girolamo (347-420), in un latino elegante, che non traduce letteralmente gli

originali, ma si preoccupa di renderne il senso. Essa fu dichiarata autentica, cioè

autorevole sul piano dottrinale, dal Concilio di Trento (1563). Per il suo carattere

divulgativo tra il popolo, questa traduzione è detta “Volgata”, cioè “divulgata”.

Su che cosa e come scrivevano gli antichi?

I libri antichi avevano forma di rotoli. Si scriveva a colonne su larghe pagine, fatte di

cuoio” sottile. Queste pagine si cucivano l’una di seguito all’altra e si arrotolavano

attorno a un bastone. Così sono i “rotoli” del I sec. a. C. e d. C. scoperti negli anni 1947-

1950 a Qùmran (le grotte presso il Mar Morto). Questi “rotoli” del Pentateuco venivano

usati nelle Sinagoghe.

Invece del cuoio si usava anche il “papiro”, che gli Egiziani preparavano dal fusto della

pianta paludosa detta appunto “papiro”. I Libri del Nuovo Testamento furono scritti in

origine probabilmente su papiro.

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Papiri del N.T. che risalgono fino ai secoli II e III d. C. furono trovati in Egitto, dove il

clima secco li ha preservati dalla distruzione.

Ma le Chiese cristiane preferiscono una nuova forma di libro e cioè il “codice”, formato,

come i libri moderni, da tanti fogli legati da una sola parte.

Il materiale scrittorio, già perfezionato nel sec. II a. C. fu la “pergamena” (da Pergamo,

città dell’Asia Minore), cioè la pelle di animali ridotta a fogli sottili e solidissimi.

I codici più antichi a noi arrivati contengono tutta la Bibbia in greco, e sono: il “Codice

Vaticano” (IV sec. d. C.); il “Codice Sinaitico” (IV sec. d. C.); il “Codice Alessandrino”

(V sec. d. C.).

Chi prende in mano oggi il testo dell’Antico Testamento ha il diritto di chiedersi: su quali

fonti si basa questo testo? Sono ancora disponibili i manoscritti originali degli autori: di

Mosè, di Davide, di Isaia? In realtà di nessun libro, sia dell’Antico che del Nuovo

Testamento, possediamo il manoscritto originale.

Questo fatto a prima vista indurrebbe a dubitare della credibilità del testo biblico: esso

però si chiarisce ricordando che quel valore particolare che noi oggi, per considerazione

di carattere di antiquariato, attribuiamo al manoscritto originale, non gli era attribuito

dalla mentalità degli antichi: quando, ormai consumato dall’uso, esso non era più

utilizzabile per la lettura liturgica, veniva sostituito da una copia accuratamente eseguita e

più volte controllata col testo precedente; l’originale, ormai inutile, veniva bruciato o

murato. Di secolo in secolo si eseguirono perciò sempre nuove copie, ma esse venivano

preparate con la precisione, addirittura proverbiale, del popolo ebraico, una precisione

che scaturiva non da esigenze di scrupolosità scientifica, ma dalla venerazione per la

Parola di Dio. Una così meticolosa accuratezza è per noi un’ottima garanzia che il testo

originale non è stato alterato. Il confronto critico fra tutti i manoscritti biblici ci offre la

certezza che la Bibbia che abbiamo oggi corrisponde a quella originale.

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La storia

L’Antico Testamento cristiano è suddiviso in 4 grandi sezioni: il Pentateuco che

raccoglie i primi cinque libri della Scrittura; i libri storici che narrano le vicende

comprese tra l’ingresso nella terra promessa e l’epoca della purificazione del tempio sotto

i Maccabei; i libri profetici che fissano le parole e le vicende dei profeti che hanno

accompagnato la storia di Israele prima, durante e dopo l’esilio; infine i libri sapienziali,

la cui complessa redazione affonda le radici agli inizi della storia di Israele e termina alle

soglie del Nuovo testamento. Prima di entrare in questi quattro scenari diventa prezioso

dare uno sguardo complessivo alla storia che vi fa da sfondo, onde situare correttamente i

singoli libri.

[Modificato da (Gino61) 06/09/2009 08:26]
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06/09/2009 07:53

1. LA FEDE DI ABRAMO (1850 A.C.)

I primi cinque libri della Bibbia cercano di risalire la sorgente dell’identità di Israele. Si

tratta di una grande riflessione teologica e sapienziale nella quale si intrecciano memorie

di singole tribù, uomini che hanno toccato con mano il passaggio di Dio. Questa rilettura

trova due poli di unità: l’evento dell’esodo, descritto come un vero e proprio “parto” che

dà alla luce Israele con una precisa identità e missione, e la promessa rivolta ai patriarchi

Abramo, Isacco e Giacobbe, promessa di una benedizione destinata a scorrere di

generazione in generazione accanto al dono della terra e di una discendenza numerosa. In

questa prima fase è difficile distinguere i singoli fatti storici dalla ricostruzione teologica.

LA TERRA PROMESSA (1200 A.C.)

I GIUDICI (1200-1040 A.C.)

I RE (1030-931 A.C.)

Attorno al XIII secolo a.C. le dodici tribù nate dai figli di Giacobbe si trovano installate

in Palestina. Inizialmente esse mantengono la loro autonomia, poi di fronte alla minaccia

dell’espansione dei Filistei iniziano a coalizzarsi, sentendo il bisogno di avere un unico

punto di riferimento: il re.

Dopo il regno di Saul (1030-1012 a.C.), la monarchia incontra un periodo di forte

consolidamento sotto la guida di Davide (1012-972 a.C. - XI-X sec a.C.) che sa

approfittare della crisi interna all’Egitto per stringere in unità le dodici tribù di Israele. Il

punto di riferimento è una città neutrale, non appartenente a nessuna delle dodici tribù:

Gerusalemme. In poco tempo essa diventa il fulcro religioso e politico del popolo. Ma

l’avvedutezza del padre non trova riscontro nel figlio: Salomone (972-931 a.C.), descritto

dai testi come un re pacifico e saggio, non è un buon amministratore: le sue esagerate

tassazioni e le alleanze mal calibrate, gettano i semi di un malcontento che andrà

lentamente acuendosi, provocando la frattura che spezzerà in due il regno all’indomani

della sua morte. Ci si ritrova così con due regni gemelli, opposti l’uno all’altro, indeboliti

dalla divisione vicendevole.

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2. I DUE REGNI, E L’ESILIO

Alla morte di Salomone, quindi, il regno si divide in due:

Il regno del Nord (o di Israele), governato da Geroboamo (931-910 a.C.), con

capitale Samaria.

Il regno del Sud (o di Giuda), governato da Roboamo (931-913 a.C), con

capitale Gerusalemme.

Il regno del Nord reggerà alla pressione dei grandi imperi fino al 722 a.C. quando gli

Assiri (724 o 722 a.C.) conquisteranno il regno del Nord e deporteranno gli israeliti come

schiavi, favorendo l’insediamento dei propri coloni nelle terre conquistate. Così il regno

d’Israele cessa di esistere.

Il regno del Sud mantiene più a lungo la sua autonomia, fino al 587 a.C. quando i

Babilonesi, conquisteranno Gerusalemme con Nabucodonosor II (586 a.C.), verrà

distrutto il Tempio e gli ebrei deportati a Babilonia ( Sal 137, 1-71).

Il giudizio degli autori sacri sui loro re è senza appello: la forza e la debolezza dei

regnanti, come pure i successi e le sconfitte, sono frutto di una condotta morale e religiosa

sovente lontana da Dio e incapace di liberarsi dal calcolo umano. Ciononostante Dio non

si stanca di invitare alla conversione attraverso la voce dei profeti: Elia, Eliseo, Isaia (1-

39), Geremia, Amos, Osea sono portavoci di un appello doloroso e sofferto, carico di

passione e di amore… destinato, tuttavia, a restare inascoltato.

 

19

 

20

Israele si trova, ora, nel bel mezzo di una pagina buia ma estremamente preziosa. La

drammatica perdita della terra, della monarchia, del tempio, obbliga gli esuli a rientrare in

se stessi per ritrovare l’identità perduta. Nel silenzio dell’esilio, un “piccolo resto” risale

la china della storia, raccoglie le memorie dell’azione di Dio, riscrive la storia nella sua

luminosa prospettiva, fissa nel cuore degli esuli i fondamenti dell’identità e dell’elezione,

ispirando i passi futuri dei figli di Israele. Sono gli anni in cui prende forma la Torah, i

primi cinque libri della Bibbia. I profeti (Ezechiele, Deutero-Isaia) prima presenti per

scuotere, ora sono accanto per consolare, incoraggiare, ridare speranza.

Con l’avvento dell’impero persiano si apre la possibilità del ritorno. Nel 538 a.C. Ciro, re

di Persia, emana un editto che autorizza il ritorno a Gerusalemme e la ricostruzione del

tempio. Mentre alcuni preferiscono restare nei territori in cui erano stati deportati o

insediarsi in altre terre, dando così inizio al fenomeno della “diaspora”, la maggioranza

degli esuli, invece, vuole ritornare in patria. La speranza e l’entusiasmo sono grandi, ma

l’impatto con la realtà obbliga gli esuli a restare con i piedi per terra: Gerusalemme non è

pronta ad accogliere 50.000 profughi. I fratelli che durante l’esilio si sono presi cura delle

terre, non sono disposti a restituirle, mentre i governatori e i sacerdoti hanno tutto

l’interesse perché lo status quo non venga alterato. I profeti Aggeo, Zaccaria, il Trito-

Isaia (cfr Is 56-66) e Malachia sostengono il ritorno, e con loro alcuni autori sapienziali:

in questo periodo, infatti, nascono il libri di Qoélet, Siracide, Sapienza, Proverbi, Giobbe.

L’accorato appello di questi profeti preparerà il terreno per la grande riforma di Esdra e

Neemia (458 a.C.). Questa riforma prevede la riedificazione delle mura di Gerusalemme,

il ripristino del riposo sabbatico, la proibizione dei matrimoni misti, la lettura della Legge

(alcuni studiosi collocano in questo periodo la comparsa delle prime sinagoghe, per

l’impossibilità di molti di raggiungere il tempio), la regolarizzazione della classe dei

leviti. Per indicare questa nuova forma assunta dalla religione ebraica si parlerà di

giudaismo.

3. ALESSANDRO MAGNO E L’IMPERO GRECO

Nel 333 a.C. una serie di fulminee campagne militari annettono all’impero di Alessandro

Magno la Siria e la Palestina. E’ l’incontro con una nuova cultura, la sua religione, i suoi

“affascinanti” usi e costumi. Ma alla morte di Alessandro Magno (323 a.C.), l’Impero

macedone si divide e la Palestina è posta sotto il dominio dei Tolomei del regno d’Egitto.

Risale a questo periodo la famosa traduzione greca della Bibbia detta dei “Settanta”. Gli

scrittore del Nuovo Testamento quando citano i passi dell’Antico Testamento si

riferiscono a questa traduzione dei “Settanta”, che fu il testo biblico fin dai primi secoli

del cristianesimo. A questo periodo risale probabilmente l’istituzione del Sinedrio

(organo di governo religioso degli ebrei). Era composto di 71 membri, sotto la presidenza

del Sommo Sacerdote. Ne facevano parte gli anziani e i rappresentanti più in vista del

popolo, i sommi sacerdoti non più in carica e gli scribi. All’inizio aveva una competenza

assai vasta, ma poi venne fortemente ridimensionata dai dominatori romani.

Nel 198 a.C. la Palestina cadde sotto il dominio dei Seleuciti del regno di Siria. Con

Antioco III vengono riconfermati i privilegi di cui godevano gli Ebrei (amministrazione

autonoma, esenzione dalle tasse per 3 anni, contributo regio per il tempio). Ma con

21

l’avvento di Antioco IV Epifanie (nel 175-163 a.C.), le cose cambiano radicalmente.

Egli, infatti, tenta l’ellenizzazione forzata della Giudea, abolendo la Legge mosaica e il

culto di Jahwé, con conversioni forzate, e imponendo il culto di Giove Olimpo. Molti si

rifiutano, altri si lasciano convincere, altri ancora si compromettono per paura. I primi

pagano la loro fedeltà nel sangue. La tensione sfocia in una rivolta armata in nome della

fedeltà al Dio dei padri: essa è guidata da un sacerdote, Mattatia, e dai suoi figli. Nel 164

a.C. Giuda Maccabeo, diventa il simbolo della resistenza nazionale, riconquista

Gerusalemme e ne purifica il tempio. Ma gli anni che seguono sono travagliati e confusi:

chi guida il popolo (la dinastia degli Asmodei, discendenti della famiglia di Mattatia),

mescola la fede in Dio agli interessi politici, perdendo credibilità e autorevolezza.

Nascono su questo sfondo alcuni movimenti che si prefiggono la purificazione di Israele:

tra questi vanno menzionati i farisei che propongono una rinnovata osservanza della

Legge, e gli esseni che rifiutando il tempio ormai caduto in discredito, conducono una

vita austera in spazi deserti. Restano al potere i sadducei invischiati in interessi politici.

Nel frattempo, sulla scena, avanza l’ombra di un altro grande impero: l’impero romano.

Nel 63 a.C. Pompeo invade la regione e conquista Gerusalemme.

4. L’IMPERO ROMANO IN SIRIA-PALESTINA

La storia del Nuovo Testamento si intreccia con la storia dell’impero romano. I romani

invadono la Giudea nel 63 d.C. sotto la guida di Pompeo. Pochi anni dopo, nel 40 a.C.

Erode ottiene dal senato il titolo di “re dei Giudei”, estendendo presto il suo potere a tutta

la Palestina. Passerà alla storia come un abile politico, un grande costruttore, un re

crudele. Alla sua morte (nel 4 a.C.), il regno è diviso tra i suoi tre figli: Archelao, Erode

Antipa e Filippo, ben noti al lettore del Nuovo Testamento. Il primo eredita dal padre la

crudeltà ma non l’abilità politica e verrà deposto dallo stesso imperatore nel 6 d.C. e

sostituito con un prefetto o procuratore. Sulla lista dei procuratori figura Pilato (26-36

d.C.). E’ durante il suo mandato in Giudea (e quello di Erode Antipa in Galilea), che si

consuma la predicazione e il destino di Gesù di Nazareth.

Nel frattempo, nella dinastia di Erode si fa avanti un altro abile politico: è Erode Agrippa,

nipote di Erode il Grande. Questi riesce a riconquistare il titolo di “re” su buona parte del

territorio avuto dal nonno. Passa alla storia per aver messo a morte un apostolo: Giacomo

il maggiore. Nel 44 d.C. tuttavia, la Giudea torna nuovamente sotto la guida dei

procuratori: si tratta di uomini in gran parte violenti che al posto di mantenere la pace,

fomentano l’odio del popolo, provocandone la rivolta armata. Due di questi avranno a

che fare con l’Apostolo Paolo: Antonio Felice (52-60 d.C.) e Porcio Festo (60-62 d.C.).

L’impero, nel frattempo, dà i primi segni di debolezza: le turbolenze ne minacciano la

coesione in diverse regioni. Nella provincia di Siria-Palestina la situazione è delle

peggiori: nel 66 d.C. il popolo reagisce ai soprusi del potere occupante con un’azione

violenta. E’ l’inizio della prima rivolta giudaica. Il segnale viene lanciato dal capitano del

tempio, Eleazaro, che sospende il sacrificio quotidiano per l’imperatore. La rivolta si

protrae fino al 70 d.C. quando Tito conquista Gerusalemme e ne occupa il tempio. Nella

furia, nonostante gli avvertimenti contrari, il tempio viene dato alle fiamme e

completamente distrutto. Israele vive una delle pagine più buie e dolorose della sua storia.

22

Nel 132 d.C. scoppia la seconda rivolta giudaica che si allarga a macchia d’olio e viene

soffocata nel sangue solo tre anni dopo, nel 135 d.C. L’impero adotta misure drastiche: a

tutti i circoncisi viene proibito l’ingresso a Gerusalemme, mentre la città santa è dedicata

a Giove Olimpo con il nome di Aelia Capitolina.

Durante il periodo dell’occupazione romana vengono redatti tutti gli scritti del Nuovo

Testamento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La “lectio divina”

Come cogliere e custodire la ricchezza che la Bibbia racchiude? I Grandi Padri della

tradizione ecclesiale ci hanno lasciato alcuni consigli preziosi. Essi riprendono le tappe di

quella lettura spirituale dei testi sacri, nota come “lectio divina”.

Raccogliersi. “La mente è come un mercato di roba usata, pieno di gente.

Finché continui a restare nella testa, i pensieri continueranno a ronzarti attorno,

come la bufera di neve d’inverno o le nuvole di zanzare d’estate, e la tua lettura

rimane esteriore. Devi scendere dalla testa al cuore, raccogliere la mente nel

cuore, restare nel tuo cuore perché lì è Dio. Chiunque incontra il Signore, lo

incontra lì” (Teofane il Recluso).

Leggere. “Dedicati alla lettura delle Divine Scritture; applicati a questo con

perseveranza. Se durante la lettura ti trovi davanti a una porta chiusa, bussa e il

suo custode te l’aprirà” (Origene)

Meditare. “Ti invito a non scorazzare per le Scritture; perché la fretta e la

superficialità impediscono all’anima di diventare esperta e padrona del senso

spirituale del testo sacro. Bisogna cercare Dio percorrendo il sentiero più

breve. La meditatio di un solo versetto della Scrittura ci fa varcare tutte le

frontiere del mondo visibile” (Cassiano).

Pregare. “Non ti devi accontentare di bussare e di cercare: per comprendere le

cose di Dio ti è assolutamente necessaria la preghiera. E’ per esortarci ad essa

che il Signore ci ha detto non soltanto: “Cercate e troverete” e “bussate e vi

sarà aperto”, ma ha anche aggiunto: “Chiedete e vi sarà dato” (Origene).

Condividere. “La condivisione è superiore alla lettura individuale. Sommando

insieme i lumi e le esperienze concessi a ciascuno, si arriva più addentro nella

comprensione della Parola. Le domande, le risposte e le obiezioni stimolano

una ricerca più fervida; tutto, allora, si fa più chiaro” (Isidoro di Siviglia).

25

Indice

Prima di aprire….LA BIBBIA ......................................................................................................... 1

Introduzione .................................................................................................................................... 1

Divisione della Bibbia ...................................................................................................................... 2

Formazione della Bibbia .................................................................................................................. 5

L’Ispirazione ................................................................................................................................... 9

L’Interpretazione ............................................................................................................................ 12

La lingua ....................................................................................................................................... 15

La storia......................................................................................................................................... 17

La “lectio divina” ........................................................................................................................... 24

Bibliografia

1. Giacomo Perego, per la lettura della Bibbia - San Paolo -

2. Grande Commentario Biblico - Queriniana –

3. Concordanza pastorale della Bibbia – EDB –

4. Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento – EDB –

5. E. Galbiati-Piazza, Pagine difficili della Bibbia (Antico Testamento) – Ed. Massimo –

6. La Bibbia per la famiglia, a cura di G Ravasi – San Paolo -

 

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