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Del gran mezzo della Preghiera (di sant'Alfonso Maria de Liguori)

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 17:48
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05/09/2009 17:48

Anche i peccatori debbono aver fiducia

Ma io sono peccatore, dice taluno, e nella Scrittura si legge: Iddio non esaudisce i peccatori (Gv 9,31). Risponde S. Tommaso con Sant'Agostino che ciò fu detto dal cieco, il quale parlava allorché non era stato illuminato ancora perfettamente, e perciò non fa autorità (2, 2.ae, q. 83, art. 16. ad 1). Per altro, soggiunge l'Angelico, che ciò sta ben detto, parlando della domanda che fa il peccatore, in quanto è peccatore, cioè quando egli domanda per desiderio di seguitare a peccare: per esempio, si chiedesse aiuto per vendicarsi del suo nemico, o per seguire altra sua prava intenzione. E lo stesso dicesi di quel peccatore che prega Dio a salvarlo, senza avere alcun desiderio di uscire dallo stato di peccato... Vi sono alcuni infelici che amano le catene, con le quali il demonio li tiene legati da schiavi. Le preghiere di costoro non sono esaudite da Dio, perché sono preghiere temerarie e abominevoli. E qual maggior temerità di colui che domanda grazia ad un principe, che non solo ha più volte offeso, ma che pensa di seguitare ad offendere? E così s'intende quel che dice lo Spirito Santo, esser detestabile e odiosa a Dio, la preghiera di colui che volta le orecchie per non ascoltare ciò che Dio comanda (Pro 28,9). A questi tali dice il Signore: Non occorre che voi mi preghiate, perché io volterò gli occhi da voi, e non vi esaudirò (Is 1,15). Tale era appunto l'orazione dell'empio re Antioco, che pregava Dio, e prometteva grandi cose, ma fintamente, e col cuore ostinato nella colpa, pregando solo per sfuggire il castigo che lo sovrastava: perciò il Signore non diede orecchio alle sue preghiere, ma lo fece morire roso dai vermi (2 Mc 9,13).

Altri poi che peccano per fragilità, o per impeto di qualche gran passione, o gemono sotto il giogo del nemico e desiderano di rompere quelle catene di morte ed uscire da quella misera schiavitù, e perciò domandano aiuto a Dio; l'orazione di costoro, se ella è costante, ben sarà esaudita dal Signore il quale dice, che ognuno che domanda, riceve, e chi cerca la grazia, la ritrova (Mt 7,8). Ognuno, spiega l'autore dell'opera imperfetta, o giusto sia o peccatore (Homil. XVIII). Ed in san Luca, parlando Gesù Cristo di colui che chiede tutti i pani che aveva all'amico, non tanto per l'amicizia, quanto per la di lui importunità disse: Vi dico che quando anche non si levasse a darglieli per la ragione che quegli è un suo amico, si leverà almeno a motivo della sua importunità, e gliene darà quanti gliene bisogna (Lc 11,8). Sicché la preghiera perseverante ottiene da Dio la misericordia anche a coloro che non sono suoi amici. “Quel che non si ottiene per l'amicizia, dice il Crisostomo, si ottiene per la preghiera”. Anzi dice lo stesso Santo che “vale più appresso a Dio l'orazione, che l'amicizia; e che l'orazione compie ciò che l'amicizia non aveva compiuta” (Hom. Non esse desp.). E S. Basilio non dubita, che “anche i peccatori ottengono quel che chiedono, se sono perseveranti in pregare” (Const. Monast. c. i.). Lo stesso dice S. Gregorio: “Alzi le grida anche il peccatore, e la sua orazione giungerà a Dio” (In Ps. 6, Paenitent.).

Lo stesso scrive san Girolamo, dicendo che anche il peccatore può chiamare Iddio suo Padre, se lo prega ad accettarlo di nuovo per figlio, con l'esempio del figlio prodigo, che lo chiamava padre. Padre, ho peccato, ancorché non fosse stato ancora perdonato (Epist. ad Damas. De filio prod.). “Se Dio non esaudisse i peccatori, disse sant'Agostino, invano il Pubblicano avrebbe domandato il perdono (In Io. tract.). Ma ci attesta il Vangelo, che il Pubblicano col pregare, ben ottenne il perdono (Lc 18,15). Ma sopra tutti esamina più a minuto questo punto il Dottore Angelico (2, 2.ae, q. 83, c. 16), e non dubita di asserire, che anche il peccatore è esaudito, se prega; dicendo, che sebbene la sua orazione non è meritoria, ha nondimeno la forza d'impetrare; poiché l'impetrazione non si appoggia alla giustizia, ma alla divina bontà. Così appunto pregava Daniele: Porgi, Dìo mio, il tuo orecchio e ascolta... poiché sulla fidanza non della nostra giustizia, ma delle molte tue misericordie, queste preci umiliamo davanti alla tua faccia (Dn 9,18). Allorché dunque preghiamo, dice S. Tommaso, non è necessario l'essere amici di Dio, per impetrarne le grazie che cerchiamo; la stessa preghiera ci rende suoi amici (Comp. Theol. p. 2, c. 2). Inoltre aggiunge S. Bernardo una bella ragione, dicendo che tal preghiera del peccatore di uscire dal peccato, nasce dal desiderio di tornare in grazia di Dio; or questo desiderio è un dono che, certamente non gli viene dato da altri, che da Dio medesimo. A che dunque, dice poi il Santo, darebbe Iddio al peccatore un tal desiderio, se non volesse esaudirlo? E ben di ciò ve ne sono tanti esempi nelle stesse divine Scritture, di peccatori che pregando sono stati liberati dal peccato. Così fu liberato il re Acab (1 Re 21). Così il re Manasse (1 Sam 33). Così il re Nabucco (Dn 6). Così il buon ladrone.

Gran cosa e gran valore della preghiera! Due peccatori muoiono sul Calvario accanto a Gesù Cristo, uno perché prega (ricordati di me) (Lc 23,42), si salva; l'altro perché non prega, si danna! Insomma dice il Crisostomo (Hom. De Moyse): “Nessun peccatore pentito ha pregato il Signore e non ha ottenuto quanto ha desiderato”. Ma che servono più autorità e ragioni a ciò dimostrare, mentre Gesù medesimo dice: Venite a me tutti voi che siete affaticati e aggravati, e io vi ristorerò'? (Mt 11,28). Per aggravati, s'intendono comunemente, secondo S. Gìrolamo, S. Agostino ed altri, i peccatori che gemono sotto il peso delle loro colpe, i quali ricorrendo a Dio ben saranno da lui, giusta tal promessa, ristorati e salvati colla sua grazia. Ah! che non tanto noi, dice S. Giovanni Crisostomo, desideriamo d'esser perdonati, quanto anela Dio di perdonarci! (In act., Hom. 36). Non vi è grazia, soggiunge il Santo, che non si ottenga colla preghiera, ancorché questa si faccia da un peccatore il più perduto che sia, se ella è perseverante (Hom. 33 in Matth.). E notiamo quel che dice San Giacomo: Se alcuno è bisognoso di sapienza, la chieda a Dio, che dà a tutti abbondantemente, e nol rimprovera (Gc 1,5). Tutti coloro adunque che ricorrono coll'orazione a Dio, egli non lascia d'esaudirli e di colmarli di grazie: dà a tutti abbondantemente. Ma si faccia special riflessione alla parola che segue: e nol rimprovera. Ciò significa che non fa Iddio come fanno gli uomini, che quando viene a domandare loro qualche favore, taluno, che prima in qualche occasione li ha offesi, subito gli rimproverano l'oltraggio da lui ricevuto. Non fa così il Signore con chi lo prega, fosse anche il maggior peccatore del mondo, quando gli domanda qualche grazia utile alla sua eterna salute, non gli rimprovera già i disgusti che ha dati, ma come se non l'avesse mai offeso, subito l'accoglie, lo consola, l'esaudisce, e abbondantemente l'arricchisce dei suoi doni. Sopra tutto per animarci a pregare, il Redentore dice: In verità, in verità vi dico, che qualunque cosa voi domandiate al Padre nel nome mio, ve la concederà (Gv 16,23). Come dicesse: Orsù peccatori, non vi disanimate, non fate che i vostri peccati vi trattengano di ricorrere al mio Padre, e di sperare da esso la vostra salute, se la desiderate. Voi non avete già i meriti di ottenere le grazie che chiedete, ma solo avete demeriti per ricevere castighi; fate così, andate al Padre in nome mio, per i meriti miei chiedete le grazie che volete, ed io vi prometto e vi giuro, in verità, in verità vi dico (dice sant'Agostino esser questa una specie di giuramento), che quanto domanderete, il mio Padre vi concederà. O Dio! e qual maggior consolazione può avere un peccatore dopo le sue rovine, che sapere con certezza che quanto chiederà a Dio in nome di Gesù Cristo, tutto riceverà? Dico, tutto, circa la salute eterna, perché intorno ai beni temporali già abbiamo detto di sopra che il Signore, anche pregato, alle volte non ce li concede, vedendo che tali beni ci nuocerebbero all'anima. Ma in quanto ai beni spirituali la sua promessa di esaudirci non è condizionata, ma assoluta; e perciò esorta S. Agostino che quelle cose che Dio assolutamente promette, noi dobbiamo domandarle con sicurezza di riceverle (Serm. 354, E. B.).

E come mai, scrive il Santo, può negarci qualcosa il Signore, allorché noi lo preghiamo con confidenza, quando desidera più esso di dispensarci le sue grazie, che noi di averle? (Serm. 105). Dice il Crisostomo che il Signore si adira con noi solo quando noi trascuriamo di cercargli i suoi doni (In Matth., Hom. 23). E come mai può succedere che Iddio non voglia esaudire un'anima, che gli cerca cose tutte di suo gusto? Quando l'anima gli dice: Signore, io non vi cerco beni di questa terra, ricchezze, piaceri, onori; ma solo vi domando la grazia vostra, liberatemi dal peccato, datemi una buona morte, datemi il Paradiso, datemi il Santo amor vostro (ch'è quella grazia, come dice san Francesco di Sales, che deve chiedersi a Dio sopra tutte le altre), datemi rassegnazione nella vostra volontà; com'è possibile che Dio non voglia esaudirla? E quali domande mai, dice sant'Agostino, esaudirete voi, mio Dio, se non esaudirete queste che sono tutte secondo il vostro cuore? (De Civ. Dei, LXXII. c. 8). Ma sopra tutto deve ravvivarsi la nostra confidenza, allorché chiediamo a Dio le grazie spirituali, ciò che disse Gesù Cristo. Se voi, dice il Redentore (Lc 11,13), che siete così cattivi, così attaccati ai vostri interessi, perché pieni d'amor proprio, non sapete negare ai vostri figli ciò che vi domandano; quanto più il vostro Padre celeste, che vi ama più d'ogni padre terreno, vi concederà i beni spirituali, allorché voi lo pregherete?

V. - PREGARE CON PERSEVERANZA

Necessità della perseveranza


E' necessario dunque che le nostre preghiere siano umili e confidenti; ma ciò non basta per conseguire la perseveranza finale e con quella la salute eterna. Le preghiere particolari otterranno bensì le particolari grazie che a Dio si chiederanno, ma se non sono perseveranti, non otterranno la perseveranza finale, la quale, perché contiene il cumulo di molte grazie insieme, richiede moltiplicate preghiere, e continuate sino alla morte. La grazia della salute non è una sola grazia, ma una catena di grazie, le quali tutte poi si uniscono con la grazia della perseveranza finale. Ora a questa catena di grazie deve corrispondere un'altra catena, per così dire, delle nostre preghiere. Se noi trascurando di pregare spezziamo la catena delle nostre preghiere, si spezzerà ancora la catena delle grazie che ci devono ottenere la salute e non ci salveremo. E' vero che la perseveranza finale non si può da noi meritare, come insegna il Concilio di Trento, dicendo: “Non può ottenersi da nessun altro, se non da Colui che ha la potenza di rendere stabile quello che sta, acciocché perseverantemente stia” (Sess. VI. c. 13). Nulladimeno, dice S. Agostino, che questo gran dono della perseveranza in qualche modo ben può meritarsi con le preghiere, cioè pregando impetrarsi (De dono persev. e. 6). E soggiunge il P. Suarez, che chi prega infallibilmente l'ottiene. Ma per ottenerlo e salvarsi, dice san Tommaso, è necessaria una perseverante e continua preghiera (P. 3. q. 39, a. 5). E prima lo disse più volte il nostro medesimo Salvatore: Bisogna sempre orare, né mai stancarsi (Lc 18,1). Vegliate adunque in ogni tempo, pregando di essere fatti degni di schivare tutte queste cose che debbono avvenire; e di star con fiducia dinanzi al Figliolo dell'Uomo (Lc 21,36).

Lo stesso sta detto prima nel Vecchio Testamento: Nessuna cosa ti ritenga dal sempre orare (Ecli 18,22). Benedici Dio in ogni tempo e pregalo, che regga i tuoi andamenti (Tb 4,20). Quindi l'Apostolo inculcava ai suoi discepoli, che non lasciassero mai di pregare: Orate senza interruzione (1 Ts 5,17). Siate perseveranti nell'orazione, vegliando in essa (Col 4,2). Bramo adunque che gli uomini preghino in ogni luogo (1 Tm 2,8). Il Signore certamente vuole dare la perseveranza, e la vita eterna. Ma dice S. Nilo, non vuol concederla se non a chi perseverantemente gliela domanda (De orat., c. XXXII). Molti peccatori con l'aiuto della grazia giungono a convertirsi a Dio, ed a ricevere il perdono; ma poi perché lasciano di cercare la perseveranza, tornano a cadere e perdono tutto.

Occorre chiedere di continuo la perseveranza finale

Né basta, dice il Bellarmino, chieder la grazia della perseveranza una volta o poche volte; dobbiamo cercarla sempre, in ogni giorno sino alla morte, se vogliamo ottenerla. Chi la cerca in un giorno, per quel giorno l'otterrà; ma se non la cerca nel domani, domani cadrà. E ciò è quel che vuole darci ad intendere il Signore nella parabola di quell'amico, che non volle dare i pani a colui che glieli domandava, se non dopo molte ed importune richieste, dicendo: Quando anche non si levasse a darglieli per la ragione, che quegli è suo amico, si leverà almeno a motivo della sua importunità, e gliene darà quanti gliene bisogna (Lc 11,8). Ora se un tale amico, dice S. Agostino, solo per liberarsi dell'importunità di lui, gli darebbe anche contro sua voglia i pani che chiede; quanto più Dio, ch'essendo bontà infinita ha tanto desiderio di comunicarci i suoi beni, ci donerà le sue grazie, quando gliene cerchiamo? (Serm. 61). Tanto più che Egli stesso ci esorta a chiederle, e gli dispiace se non le domandiamo. Ben vuole dunque il Signore concederci la salute e tutte le grazie per quella, ma vuole che noi non lasciamo di continuamente domandargliele sino all'importunità. Dice Cornelio a Lapide sul citato Evangelo: Dio vuole che perseveriamo nell'orazione sino a renderci importuni. Gli uomini della terra non possono sopportare gli importuni, ma Dio non solo ci sopporta, ma ci desidera importuni in cercargli le grazie, e specialmente la santa perseveranza. Dice S. Gregorio, che Dio vuole che gli si faccia violenza con le preghiere, poiché una tal violenza non già lo sdegna, ma lo placa (In Ps. 6, Poenit.).

Sicché per ottenere la perseveranza, bisogna che ci raccomandiamo sempre a Dio, la mattina, la sera, nella Meditazione, nella Messa e nella Comunione. E specialmente in tempo di tentazione, con dire, e replicare: Signore, aiutami, tienimi le mani sopra, non mi abbandonare, abbi pietà di me. Vi è cosa più facile di questa, che dire: Signore, aiutami, assistimi? Sulle parole del Salmista: Meco avrò l'orazione a Dio, che è mia vita (Sal 41,8), dice la Glossa: Taluno dirà: non posso digiunare. fare elemosina. Ove gli si dica, prega; non può similmente rispondere; perché non v'è cosa più facile che il pregare. Ma bisogna che non lasciamo mai di pregare, bisogna che continuamente facciamo, per così dire, forza a Dio, affinché ci soccorra, ma forza che gli è cara e gradita. Questa violenza è grata a Dio (Apol. c. 29), scrisse Tertulliano. E S. Girolamo disse, che le nostre preghiere, quanto sono più perseveranti ed importune tanto più sono accette a Dio (Hom. in Matth.). Beato quell'uomo, dice Dio, che mi ascolta, e vigila continuamente alle porte della mia misericordia (Pro 7,34). Ed Isaia dice: Beati coloro che sino alla fine aspettano pregando, la loro salute dal Signore (Is 30, 18). Perciò nel Vangelo ci esorta Gesù Cristo a pregare, ma in qual modo? Chiedete, e vi sarà dato: cercate, e troverete: picchiate, e vi sarà aperto (Lc 11,9). Bastava aver detto chiedete: che serviva aggiungere quel cercate, e picchiate? Ma no, che non fu superfluo l'aggiungerli; con ciò ha voluto il Redentore insinuarci, che noi dobbiamo fare, come fanno i poveri che vanno mendicando: questi se non ricevono l'elemosina che chiedono e sono licenziati, non lasciano di domandarla, e di tornarla a chiedere, e se più non comparisse il padrone della casa, si mettono a bussare le porte, sino a rendersi molto importuni e molesti. Ciò vuole Dio che facciamo ancor noi: che preghiamo, e torniamo a pregare, e non lasciamo mai di pregare che ci assista, che ci soccorra, che ci dia luce, ci dia forza, e non permetta che mai abbiamo a perdere la sua grazia.

Dice il dotto Lessio che non può esser scusato da colpa grave chi non prega stando in peccato, o in pericolo di morte; o pure chi per notabile tempo trascura di pregare, cioè (come dice) per uno o due mesi. Ma ciò s'intende fuori del tempo di tentazioni; poiché chi si ritrova combattuto da qualche grave tentazione egli senza dubbio pecca, gravemente, se non ricorre per resistere a quella, vedendo che altrimenti si mette a prossimo, anzi certo pericolo di cadere.

Motivi per cui Dio differisce di concederci la perseveranza finale

Ma dirà taluno: giacché il Signore può e vuole darmi la santa perseveranza, perché non me la concede tutta in una volta, quando gliela domando? Sono molte le ragioni che ne assegnano i santi Padri. Iddio non la concede in una volta, e la differisce: primieramente per meglio provare la nostra confidenza; inoltre, dice S. Agostino, acciocché maggiormente noi la sospiriamo. Scrive il Santo che i doni grandi richiedono gran desiderio giacché i beni presto ricevuti non si tengono poi in quel pregio, che si tengono quelli che per lungo tempo sono stati desiderati (Serm. 61). Inoltre lo fa, acciocché noi non ci scordiamo di Lui: se noi stessimo sicuri già della perseveranza e della nostra salute, e non avessimo continuo bisogno dell'aiuto di Dio, per conservarci nella sua grazia e salvarci, facilmente ci scorderemmo di Dio. Il bisogno fa che i poveri frequentino le case dei ricchi. Onde il Signore per tirarci a sé, come dice S. Giovanni Crisostomo, per vederci spesso ai piedi suoi, affinché possa così maggiormente beneficarci, a questo fine si trattiene di darci la grazia compita della salute sino al tempo della nostra morte (Hom. XXX in Gen.). Inoltre lo fa, secondo lo stesso Crisostomo, affinché noi col proseguire nella preghiera ci stringiamo maggiormente a Lui con dolci legami d'amore (In Ps. 4).

Quel continuo nostro ricorrere a Dio con le preghiere, e quell'aspettare con confidenza da Lui le grazie che desideriamo, oh, che grande incentivo e vincolo d'amore egli è, per infiammarci e legarci più strettamente con Dio! Ma sino a quando si ha da pregare? Sempre, risponde il medesimo Santo, sino che riceviamo la sentenza favorevole della salute eterna, vale a dire sino alla morte: “Non cessare (di pregare), finché non ottieni” (Hom. XXIV in Matth.). E soggiunge che colui il quale dice: Io non lascerò di pregare fintanto che non mi salvo, quegli certamente si salverà. Se dirai: se non otterrò, non cesserò (dal pregare), certamente otterrai. Scrive l'Apostolo, che molti corrono al pallio, ma quell'uomo solamente lo riceve, che giunge a prenderlo: Non sapete voi che quelli che corrono nello stadio, corrono veramente tutti, ma uno solo riporta la palma? Correte in guisa da far vostro il premio (1 Cr 9,24). Non basta dunque il pregare per salvarci, bisogna che preghiamo sempre, finché arriviamo a ricevere la corona che Dio promette, ma promette solamente a coloro che sono costanti a pregarlo sino alla fine.

Conclusione: che non dobbiamo mai cessare di pregare

Sicché se vogliamo salvarci, dobbiamo fare come faceva Davide, che teneva sempre gli occhi rivolti al Signore, per implorare il suo soccorso, e non restare vinto dai suoi nemici: Gli occhi miei sono sempre rivolti al Signore: perché egli trarrà dai lacci i miei piedi (Sal 24,15). Siccome il demonio, non lascia di tenderci continue insidie per divorarci, secondo quel che scrive san Pietro (1 Pt 5,8), così dobbiamo noi continuamente star con le armi alla mano, per difenderci da un tal nemico, e dire col Profeta regale: Io non lascerò mai di combattere, sino a tanto che non vedrò sconfitti i miei avversari (Sal 17,37). Ma come potremo noi ottenere questa vittoria, così per noi importante e così difficile? Solo con le preghiere, ci risponde sant'Agostino, ma preghiere perseverantissime. E sino a quando? Sino che durerà il combattimento.

Siccome di continuo dobbiamo combattere, così, dice S. Bonaventura, di continuo dobbiamo chiedere a Dio l'aiuto per non essere vinti (De uno conf. Serm. 5). Guai, dice il Savio, a chi in questa battaglia lascia di pregare! (Ecli 2,16). Noi ci salveremo, ci avvisa l'Apostolo, ma con questa condizione: se saremo costanti a pregare sempre con confidenza sino alla morte (Eb 3,6). Diciamo dunque con lo stesso Apostolo, animati dalla misericordia di Dio, e dalle sue promesse: chi avrà da dividerci dall'amore di Gesù Cristo? Forse la tribolazione, il pericolo di perdere i beni di questa terra? le persecuzioni dei demoni o degli uomini? i tormenti dei tiranni? (Rm 8,35). No, egli diceva, niuna tribolazione, niuna angustia, pericolo, persecuzione o tormento potrà mai separarci dall'amore di Cristo: perché vinceremo tutto col divino aiuto, e combattendo per amore di quel Signore che ha data la vita per noi (Rm 8,37).

Il P. Ippolito Denazzo in quel giorno in cui risolse di lasciar la prelatura di Roma, e di darsi tutto a Dio, con l'entrare nella Compagnia di Gesù, temendo della sua infedeltà per causa della debolezza, diceva a Dio: “Signore, or che mi sono dato tutto a voi, per pietà non mi abbandonate”. Ma sentì dirsi da Dio nel suo cuore: “Tu non mi abbandonare”. Più presto, gli diceva Iddio, io dico a te che non mi lasci. E così finalmente il servo di Dio, confidato nella divina bontà e nel suo aiuto, concluse dicendo: Dunque, mio Dio, voi non lascerete me, ed io non lascerò voi. Se vogliamo in conclusione che Dio non ci lasci, non dobbiamo lasciar noi di pregarlo sempre a non abbandonarci. Facendo così certamente egli sempre ci assisterà, e non permetterà mai che lo perdiamo, e ci separiamo dal suo amore. Ed a questo fine non solamente procuriamo di chiedere sempre la perseveranza finale, e le grazie necessarie per ottenerla, ma cerchiamo nello stesso tempo la grazia di seguire a pregare.

Questo fu appunto quel gran dono che egli promise ai suoi eletti per bocca del Profeta: E spanderò sopra la casa di Davide, sopra Gerusalemme lo spirito di grazia e di orazione (Zc 12,10). Oh che grazia grande è lo spirito delle preci, cioè la grazia che Dio concede ad un'anima di sempre pregare! Non lasciamo adunque di chiedere sempre a Dio questa grazia, e questo spirito di preghiera, perché se pregheremo sempre, otterremo certamente dal Signore la perseveranza, ed ogni altro dono che desideriamo, poiché non può mancare la sua promessa di esaudire chi lo prega. Con questa speranza di sempre pregare, possiamo tenerci per salvi (Rm 8,24). “Questa speranza, diceva il Venerabile Beda, ci darà l'entrata sicura nella Città del Paradiso” (In Solemn. omn. Ss. Hom. 2).



Viva Gesù nostro Amore e Maria nostra Speranza.

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