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Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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"A TE, Seminarista" parole al cuore del cardinale Giuseppe Siri

Ultimo Aggiornamento: 08/09/2009 09:09
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Sesso: Femminile
03/09/2009 15:34

LA GIOIA [SM=g27998]

Cari seminaristi, il Signore nel Suo ultimo discorso disse ai discepoli questa parola: «La vostra gioia sia piena» (Gv. 16, 24). Poco dopo, nella grande orazione sacerdotale, pregò così: «Ma ora vengo a Te (Padre) e questo dico nel mondo, affinché abbiano la pienezza della mia gioia in se stessi» (Gv. 17, 13).

Il discorso era certamente rivolto agli Apostoli, ma, per la nostra partecipazione alla loro dignità soprannaturale e al loro mandato apostolico, era rivolto anche a tutti noi, a voi.

Gesù vuole la gioia. Egli stesso, per il mistero sublime della unione ipostatica, la ebbe nel momento della Sua passione.

Perché vi scrivo sulla gioia Ecco le ragioni:

- Anzitutto mantengo una promessa. Quando scrissi a voi la mia prima lettera pastorale, dissi che, dopo avere indicato i motivi del vostro allenamento alla vita sacrificata del sacerdote, vi avrei scritto sul rovescio della medaglia.

- In secondo luogo perché dovete ora allenarvi anche alla gioia. - La gioia vi renderà più facile tutto e vi aprirà nel ministero tante porte, che diversamente sarebbero per voi chiuse.

- Essa vi permetterà di rendere testimonianza obiettiva che nella Casa del Signore, comunque vadano le cose, si sta sempre bene. - La vostra gioia aiuterà le vocazioni. Forse, sul piano comune, nulla aiuta i germi di vocazione posti dal Signore come il frequentare sacerdoti gioiosi del proprio stato, ossia del servizio di Dio e dei fratelli.

- Tra le «illuminazioni radiose», che possono cambiare col loro splendore la «giornata della nostra vita», c'è la gioia.

- La vita di un sacerdote può conoscere, avere e godere la soprannaturale gioia in tutte le sue età, ben più che lo stato laicale. Che cosa è la gioia

Cominciamo col dire quello che «non è».

1. La gioia non è l'allegria; anche se può con questa coesistere, ed anzi ne è la più genuina fonte, l'allegria indica più un fatto esterno. La gioia è essenzialmente un fatto interiore.

Per lo stesso motivo ed a maggior ragione la gioia non è il «ridere», il divertimento, il chiasso, la capacità di scherzare, anche se può entrare in tutto questo, per dare a tutto un fondamento autentico, genuino e moderatore contro ogni eccesso.

Ecco ora quello che è. Si tenga ben presente che intendo parlare della gioia cristiana, pertanto soprannaturale, la sola - penso - che possa resistere a tutte le stagioni e a tutte le inevitabili prove.

2. La gioia è uno stato dell'anima in pace con Dio, con se stessa, con gli altri. Non è solo «pace», essa ha un altro elemento fondamentale: fruisce di una luce della quale gode e che spande su tutto l'ambiente, al quale (anche se repellente in se stesso) dà una imperturbabile festosità. È dunque certamente un fatto interno, sottratto di sua natura - quando è vera - ai conturbanti movimenti esterni. Ma di che «luce» si parla? Si tratta della «luce» di Fede, che riflette costantemente su tutto il suo illuminante splendore, rendendo bello il sacrificio e il dolore per il loro valore redentorio; rende moderate ed anche contenute le attrattive umane; dà il valore di messaggio paterno divino a tutto il cosmo ed a tutte le vicende contenute; trasforma la esistenza in una sorta di grande «antifona» del cantico eterno. Parlo della luce, che tra le ostinate nubi erranti nel nostro cielo arriva, anche a sole lame, sulla nostra terra. Parlo del riflesso indistruttibile che, con la Fede, ha l'Eternità sul pellegrinaggio terreno. È uno sfondo che può diventare costante quando si adoperano gli strumenti per rendere sempre attivamente presente all'anima la nostra Fede.

Tale gioia coesiste benissimo con la serietà dell'aspetto, con la espressione del dolore e della preoccupazione, ma arriva sempre più facilmente al sorriso, quando il rapporto con gli altri, sciogliendo i legami, chiama al tratto esterno, al contatto, alla azione.



Come si fa ad averla?
Meglio sarebbe dire «come si fa a conquistarla». Perché la gioia, nelle vie ordinarie della ascesi, è una grande conquista. Costa piuttosto caro.

Ecco alcuni pratici consigli per averla e farne una irresistibile forza. Sì, una irresistibile forza. Essa è il mistero della attrazione soave e del fascino che emana da talune persone. Tutti ne incontriamo. Dio ve ne faccia incontrare molte, soprattutto nei momenti di prova!

1. La vivezza della Fede, sentita e vissuta è il primo elemento, generatore di gioia, questo mi pare risulti chiaro da quanto detto e da quanto ancora dirò. Parlo della Fede custodita dai dubbi con lo studio, alimentata soprattutto dalla orazione, dall'esercizio della volontà di Dio e della presenza di Dio, difesa da un indomito attaccamento alla Chiesa. Non si può disgiungere una vita di Fede da una vita di orazione. La Fede dona alla orazione la coralità di tutta la Comunione dei Santi. Ricordo una persona, molti anni fa, che quando si ritirava alla sera nella sua stanza diceva: «me ne vado coi miei Santi». Era vero,, perché il divino ufficio lo recitava come se la alternativa corale fosse la Comunione dei Santi. Proprio questo meraviglioso dogma, fuori di ogni fantasia e suggestione sentimen­tale, può illuminare e cambiare aspetto a tutta la vita. E non solo ...

2. L'anima pulita in grazia di Dio. Ogni peccato è un ingombro, ogni cedimento ai sensi scompiglia, ogni cattiveria avvelena. Se la bellezza affascina, bisogna ricordare il «bello infinito» al quale siamo chiamati ed avviati, dopo il fugace momento di attesa, che è la nostra vita. Se il più ignobile tenta avvinghiare, non si dimentichi che Esaù ha venduto la primogenitura per un piatto, di lenticchie. Le cose mondane illudono per qualche momento, ma poi non diventano altro che povere lenticchie e ghiande (come nella parabola del figliol prodigo, cfr. Lc. 15, 11).

Il mondo dei sensi, donde molti traggono vergogna e depressione, è invece la palestra nella quale con la rinuncia si diventa forti, dispositori di se stessi, nobilissimi sovrani.

Tutto ciò che vien dalla materia, se non è filtrato attraverso la severa volontà, uccide la pace interiore e vela ogni gioia profonda e duratura.

3. Saper perdonare: sempre, subito, in modo definitivo e irripetibile. Il perdono non è il rimedio delle grandi offese soltanto. Esso è per tutto quello che nel prossimo eccita, infastidisce, contraria, anche se il prossimo non si accorge di questo. Il perdono bisogna esercitarlo ad ogni ora del giorno, perché ad ogni ora del giorno si presenta alla nostra esperienza qualcosa, appunto, che eccita, infastidisce, contraria. E se su queste cose ci si arena, è finita la pace e la gioia. La legge del perdono bisogna accoglierla in tutte le sue versioni. Infatti, significa arrivare alla capacità di non offendersi mai; e tale capacità è utilissima nella vita a tutti gli effetti, salvaguardia la pace e la gioia. Saper perdonare vuol dire non fare questioni giuridiche, di giustizia, di prestigio per coprire la propria incapacità di donare. Il perdono è sempre un dono, che rasserena tutti, toglie le asprezze, tronca le sequele della miseria umana.

Quando si vive in una comunità, con gli altri, questa legittima versione della legge del perdono bisogna applicarla da mane a sera. Ma dopo esser perdonati da Dio e dopo aver perdonato tutti, alla sera, stanchi, si chiudono gli occhi in pace.

Una gran parte della gioia è legata all'osservanza di questo precetto evangelico. Il quale non solo ha, come si è visto, diverse versioni; ma ha anche diverse conseguenze. Questa, per esempio: elimina decisamente il malanimo contro chiunque e per qualunque ragione; brucia l'invidia e la gelosia, le quali aduggiano in tutti i moti del nostro orgoglio.

L'invidioso, il geloso non hanno pace e non conoscono la gioia. Perché si fanno esami di coscienza, se non per togliere continuamente dall'anima questo ciarpame che la tiene prigioniera? Che razza di vita spirituale abbiamo, quando essa non è in grado di togliere queste complicazioni onerose ed inutili? Come possiamo piacere a Dio se gli diciamo in modo bugiardo nel Pater Noster: «rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Lc. 11, 4)?

Purezza, libera volontà, umiltà, frutto di serena luce, perdono, epilogo della capacità di «donare», sono guardiani della nostra gioia. 4. L'umiltà risolve tutto. La più grande responsabilità delle nostre agitazioni burrascose è la nostra superbia. Se non la si contiene entro severe dighe, essa alluviona tutto e ci rende tutto amaro. Chi è umile risparmia la parte più grande dei dolori inutili. L'umiltà (bisogna intenderlo bene) costituisce la più grande furbizia.

5. « È più beato il dare che il ricevere» (At. 20, 35). È parola del Signore. Essa dà un tono di meravigliosa munificenza a tutta la vita cristiana. Essa costituisce la via di una particolare rassomiglianza con Dio (cfr. Mt. 5, 48). La generosità, né interessata, né spavalda, né in chiave di pubblicità o - peggio - di populismo, tanto più sincera quanto meno esibita, è come un sole che illumina.

Il «dare» evangelico non è soltanto una questione di borsa, ma involve tutta la persona, le sue capacità, le sue energie; diventando, senza sforzo, servizio, completamento, supplenza, pazienza, amici­zia, amore. Può essere paragonato ad una aureola: allora è la gioia.

Molti altri mezzi potrebbero essere recensiti come generatori di gioia, ma quelli esposti sono sufficienti. È facile concludere che la gioia diventa un «contenitore» di tutta la vita spirituale. Essa è facilmente comunicativa, perché ha ragioni profonde, tutte arricchi­te dalla grazia del Signore.

Appare chiaro anche il motivo per cui la vera gioia cristiana può esistere e resistere nelle più grandi prove dei dolori.



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