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GESU' E' VERAMENTE ESISTITO

Ultimo Aggiornamento: 02/09/2009 11:20
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02/09/2009 10:55

Pubblichiamo il testo della conversazione che Gianpaolo Barra, direttore de “il Timone”, ha tenuto a Radio Maria il 7 dicembre 2000, durante la “Serata Sacerdotale”, condotta da don Tino Rolfi. Conserviamo lo stile colloquiale e la divisione in paragrafi numerati, utilizzata per i suoi appunti dall'autore.

1. In questa conversazione ci interroghiamo sulla esistenza storica di Gesù Cristo.
2. Si tratta di un tema importante per la credibilità storica del Cristianesimo. Infatti, se Gesù non fosse esistito, la nostra fede sarebbe costruita su un mito, senza basi storiche.
3. Noi non abbiamo dubbi sull'esistenza di Gesù; ma ci chiediamo se questa certezza vale anche per chi non crede in Dio. È vero che la Sacra Scrittura è esplicita in proposito, e non mancheremo di interrogarla, ma chi non crede chiede di esaminare altri documenti. Documenti che non nascono, per esempio, in ambiente cristiano.
4. È vero che fino al XVIII secolo nessuno, nemmeno i nemici più agguerriti del Cristianesimo, aveva mai negato l'esistenza di Gesù. Ma in tempi recenti essa è stata ritenuta mitologica e fantastica. Dalla Grande Enciclopedia sovietica, per esempio.
5. Oggi le cose sono mutate e la caduta di quel Muro di Berlino, vergogna del nostro tempo perché simbolo di quel regime comunista che ha tentato di costruire una civiltà senza Dio, ha trascinato con sé anche le sicurezze di quella Enciclopedia.
6. Veniamo alla nostra riflessione e ricordiamo la prima fonte di carattere storico sulla esistenza di Gesù Cristo.
7. Se diamo retta da un ex esattore delle tasse (Matteo), ad un medico (Luca),  ad un giovane  segretario dell'Apostolo Pietro (Marco) e ad un altro testimone oculare di Gesù (Giovanni), tutti vissuti in Palestina nel primo secolo, l'esistenza di Gesù di   Nazareth  deve  considerarsi  un dato di fatto incontestabile.
8. Questi testimoni hanno messo per iscritto nei Vangeli la storia di ciò che è accaduto 2.000 anni orsono in Palestina, lasciandoci così le testimonianze più preziose, più ricche di dati e più attendibili riguardo l'esistenza storica di Gesù.
9. Ma qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di testimonianze in qualche modo interessate.
10. E allora vogliamo concentrare la nostra  attenzione sulle tracce  che provengono da ambienti non cristiani.
11. I riferimenti a Gesù nelle fonti documentarie non cristiane dei primi secoli sono rari. Il mondo romano lo ha sostanzialmente ignorato e quello ebraico  lo ricorda raramente e lo fa con disprezzo e con offese.
12. Questa scarsità di informazioni storiche che provengono da ambienti non cristiani è comprensibile. Ricordiamo che 2000 anni fa nessuno immaginava a quale straordinario sviluppo sarebbe andato incontro il Cristianesimo. In effetti, la fine ingloriosa del Fondatore del Cristianesimo non suscitava l'interesse degli storici pagani di quell'epoca.
13. Tuttavia, alcuni dei cronisti dell'Impero, sebbene solo con cenni e spesso con intenzioni non benevole, di Cristo e dei Cristiani qualche cosa dicono. I loro ricordi, pochi e talvolta superficiali, meritano attenzione.
14. Una prima traccia non cristiana della esistenza di Gesù la troviamo in Flavio Giuseppe. Nato a  Gerusalemme verso il 37\39, quindi pochissimi anni dopo la morte di Gesù, questo storico ebreo mostra di conoscere bene i fatti di cui parla, per averli vissuti in prima persona.
15. Alla fine del primo secolo Flavio Giuseppe scrive le Antichità giudaiche, cioè la storia del popolo ebraico dalle origini fino al 66 d.C. In questa opera, troviamo tre riferimenti importanti a Gesù e ai Cristiani: il primo riguarda la morte di Giovanni Battista (XVIII, 116-119); il secondo la morte di  Giacomo, che  Flavio Giuseppe qualifica come “fratello di Gesù chiamato il Cristo” (XX, 200); il terzo, il più noto, è conosciuto come “Testimonium  Flavianum” e ci interessa particolarmente.
16. Sentiamo che cosa ha scritto Flavio Giuseppe: “Ora, ci fu verso questo tempo Gesù, un  uomo sapiente, seppure bisogna chiamarlo uomo: era infatti facitore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità.  E attirò a sé molti Giudei,  e anche molti dei Greci. Costui era il Cristo. E avendo  Pilato,  per denuncia  degli uomini principali fra noi, punito lui di croce, non cessarono coloro che da principio  lo  avevano amato. Egli infatti comparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già detto i divini profeti queste e migliaia d'altre cose mirabili riguardo a lui. E ancora adesso non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati i Cristiani” (Antichità giudaiche, XVIII, 63-64).
17. Se stiamo a questa testimonianza   antichissima,  Flavio Giuseppe sarebbe stato a conoscenza non solo della esistenza di Gesù, ma anche dei suoi poteri, della sua funzione messianica e della sua risurrezione dai morti.
18. Va  detto  che  tutto  questo  è apparso eccessivo a molti studiosi, che considerano improbabile anche il tono elogiativo nei confronti di Gesù usato da un ebreo. Per questa ragione, si pensa che questo passo sia stato  manipolato da una ignota mano cristiana prima di giungere a Eusebio di Cesarea, il grande storico della Chiesa del IV secolo, che lo riporta nella sua celeberrima Historia Ecclesiastica (I, II).
19. In ogni caso, quello che a noi interessa, per ora, è un dato: questo ebreo del primo secolo ha sentito parlare di Gesù e, da storico, non mette in dubbio la sua esistenza. E tutto questo - ricordiamolo - in ambiente non cristiano.
20. C'è un'altra notizia interessante. Qualche anno fa, uno studioso ebreo è riuscito a scoprire la probabile versione originale del Testimonium Flavìanum. Ce ne ha dato notizia Vittorio Messori, nel suo capolavoro intitolato “Ipotesi su Gesù”.
21.  Nel 1972, il prof. Shlomo Pinès, professore  all'Università  Ebraica  di Gerusalemme, ha scritto un articolo sul quotidiano International Herald Tribune intitolato significativamente “Gli ebrei portano le prove dell'esistenza di Gesù”.
22. Pinès aveva scoperto per primo che del testo di Giuseppe Flavio c'era un'altra versione, diversa da quella giudicata   inquinata   dagli   storici. Questa versione è contenuta in un'opera araba del X secolo, la Storia Universale di  Agapio,  vescovo  di Hierapolis in Siria. Agapio riporta il Testimonium Flavianum senza quelle espressioni elogiative che lo facevano rifiutare dagli studiosi.
23. Ora, il professore Pinès osserva che sembra impossibile che un vescovo cristiano abbia minimizzato volontariamente il testo di Flavio Giuseppe, togliendogli (se c'erano) i termini elogiativi su Gesù. Allora, possiamo pensare che il professore ebreo contemporaneo ha davvero scoperto la versione originale della testimonianza di Flavio. Se è così, dice Pinès, “abbiamo qui la più antica testimonianza scritta, di origine non cristiana, che riguardi Gesù”.
24. Ecco il brano di Flavio Giuseppe, così com'è riportato da Agapio, nella versione  dell'Università ebraica  di Gerusalemme; “A quell'epoca viveva un saggio di nome Gesù. La sua con dotta era buona, ed era stimato per la sua virtù. Numerosi furono quelli che, tra i Giudei e le altre nazioni,divennero suoi discepoli.  Pilato lo condannò ad essere crocifisso e a morire. Ma coloro che erano divenuti suoi discepoli non smisero di seguire il suo insegnamento. Essi raccontarono che era apparso loro tre giorni dopo la sua crocifissione e che era vivo. Forse era il Messia di cui i profeti hanno raccontato tante meraviglie” (V. Messori, Ipotesi su Gesù, XV edizione,   SEI,  Torino   1977,   pp.   238-239).
25. Anche in questa versione, non manipolata da mano cristiana, risulta che l'ebreo Flavio Giuseppe dava per scontato l'esistenza storica di Gesù.
26. Il dato è di fondamentale importanza, perché ci è offerto da uno storico quasi contemporaneo a Gesù e proviene da un ambiente che è sicuro dell'esistenza di Cristo, anche se non ne accoglie il messaggio: è quindi un ambiente non interessato a mentire, inventandosi l'esistenza di Cristo.
27. Proseguiamo la ricerca e giungiamo ad un documento antichissimo, datato verso il 112 d.C. Proviene da Plinio il Giovane, console e governatore della Bitinia, in Turchia, il quale è autore di  una  lettera  indirizzata all'imperatore Traiano.
28. In  questa  lettera  non  si  parla direttamente di Gesù ma dei cristiani i quali, scrive Plinio il Giovane erano “abituati a radunarsi prima del levare del sole, per cantare un carme a Cristo come a un Dio” (X, 96).
29. Plinio chiede consigli su come deve comportarsi con i cristiani. Ci informa che sono numerosi nelle città e nelle campagne, ritiene innocue le loro riunioni, sa che con giuramento si obbligano a non commettere furti, a non commettere adulterio, a restituire i prestiti e a non tradire la Fede.
30. La lettera di Plinio all'imperatore Traiano “è la più antica testimonianza pagana sulle assemblee liturgiche dei Cristiani primitivi e sull'Eucaristia” (Marta  Sordi, I cristiani e l'impero romano, Jaca Book, Milano 1984, p.67).
31. La risposta di Traiano non si fa attendere e costituisce il “più antico documento ufficiale sui rapporti fra il Cristianesimo  e  lo stato  romano” (Marta Sordi, op cit., p 67).
32. Traiano dispone che i Cristiani non  devono  essere  ricercati  dalle autorità, ma possono essere perseguitati solo se denunciati da qualcuno, purché non anonimo, salvo che, sacrificando agli dei dell'impero, non rinneghino la loro fede.
33. La lettera di Plinio impone una riflessione. Nei primi anni del II secolo vi erano Cristiani che si radunavano per rendere gloria a Cristo come a Dio. Riflettiamo: se anche l'esistenza di Gesù fosse stata  inventata, tale invenzione doveva risalire almeno al 1° secolo, quindi in epoca assai vicina alla  presunta  esistenza  terrena  del Nazareno, quando potevano insorgere molti testimoni in grado di smascherare l'inganno.
34. Invece, di questi  non abbiamo notizia. Plinio da per scontato quello che ai suoi tempi era pacificamente accettato:  un certo Gesù era realmente esistito qualche decennio prima e aveva lasciato dei discepoli e seguaci.
35. La storia ci offre un'altra antichissima traccia della esistenza di Gesù. Cinque anni dopo, nel 117, lo storico Tacito scrive nei suoi Annali che Nerone, per evitare di essere accusato dell'incendio di Roma del 64 d.C, “ne presentò come rei e colpì con supplizi raffinatissimi coloro che il volgo, odiandoli per i loro delitti, chiamava Crestiani. L'autore di questa denominazione, Cristo, sotto l'impero di Tiberio (imperatore dal 14 al 37 d.C), era stato condannato al supplizio dal Procuratore Ponzio Pilato; ma, repressa per il momento, l'esiziale superstizione erompeva di nuovo, non solo per la Giudea, origine di quel male, ma anche per l'Urbe, ove da ogni parte confluiscono tutte le cose atroci e vergognose” (Annales, XV, 44).
36. È una testimonianza straordinaria. Tacito è uno storico, e aveva nei confronti dei Cristiani e della loro religione una pessima opinione. Ma questo non è sufficiente per accusare i Cristiani di essersi inventati l'esistenza di Cristo. Eppure, ricordiamolo, questa accusa sarebbe valsa a screditare definitivamente quella  “esiziale superstizione”.
37. Tacito offre un altro dato interessante: già nell'anno 64 a Roma vivevano seguaci di quel Gesù che era morto poco più di 30 anni prima.
38. Riflettiamo: se l'esistenza di Cristo fosse stata inventata, qualcuno l'avrebbe contestata e a Tacito di tale inganno sarebbe giunto l'eco. Invece, significativamente, lo storico non ne fa notizia.
39. Un altro storico, Svetonio, verso l'anno 120, ci lascia una indicazione sui Cristiani i quali, a suo dire, come aveva  rilevato Tacito, sotto Nerone furono  “sottoposti a supplizi (...), razza di uomini d'una superstizione nuova e malefica” (Nero, 16).
40. Il giudizio di Svetonio è negativo e sprezzante. Avrebbe avuto buon gioco a svergognare quella “superstizione nuova e malefica” se avesse saputo che era fondata su un personaggio mai esistito. Invece, non troviamo accuse siffatte. 
41. Svetonio ci informa che durante l'impero di Claudio (41-54), predecessore di Nerone, furono “espulsi da Roma i Giudei i quali, ad impulso di Cresto, facevano frequenti tumulti” (Claudius, 25). Con tutta probabilità, l'espulsione citata da Svetonio avvenne tra il 49 e il 50 d.C.
42. A noi, qui, interessa la conferma di un dato storico: meno di 20 anni dopo la morte di Gesù, a Roma vi è già una comunità di suoi seguaci. È passato  troppo poco tempo per inventare  l'esistenza  di un Messia senza rischiare di essere scoperti e denunciati.
43. Andiamo avanti. Qualche tempo fa è emerso un altro documento. È una lettera che uno storico siriaco, di nome Mara Bar Sarapion, indirizza a suo figlio nell'anno 73 d.C. In essa viene ricordato come i Giudei avrebbero messo a morte il loro “saggio re”, dove il riferimento a Gesù, del quale non si fa il nome, sembra essere di una evidenza lampante.
44. Anche gli avversari più accaniti del Cristianesimo antico non contestarono l'esistenza storica di Gesù. Ricordiamo il filosofo Celso.
45. Tra il 178 e il 180, Celso mise mano ad  uno scritto polemico  nei confronti del Cristianesimo. Egli accusa i cristiani di ignoranza, di fanatismo, di superstizione e Gesù di essere stato un ciarlatano, in possesso di arti magiche con le quali si spiegherebbero i miracoli che gli vengono accreditati.
46. Nonostante  questa  avversione, Celso non mette in dubbio l'esistenza storica di Cristo.
47. Per attaccare i cristiani, egli si avvale di tutti gli argomenti a sua disposizione, ma non dell'unico che avrebbe  avuto  valore  ultimamente definitivo:  l'invenzione dell'esistenza di Cristo.
48. Bene, la storia conferma che duemila anni fa è vissuto un uomo chiamato Gesù. Per noi è il Figlio di Dio, nato, vissuto, morto in croce per salvarci e risuscitato.
49. Grazie e a risentirci, a Dio piacendo, la prossima volta.

Bibliografia
Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano.
Giuseppe Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, Mondadori, Milano
Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù, SEI, Torino.
Marta Sordi, I cristiani e l'impero romano, Jaca Book, Milano 1983.
Gianpaolo Barra, Perché credere, Ed. Kolbe, Seriate (BG) 1999.




IL TIMONE – Marzo/Aprile 2001 (pag. 62-63-64)
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La lettera di Mara Bar Serapion
Autore: Ilaria RAMELLI

Una testimonianza antichissima, del primo secolo, sulla reale esistenza storica di Cristo. Viene da ambiente non cristiano. E’ una lettera in cui si parla del “re saggio” dei Giudei, messo a morte ingiustamente.


Verso la fine del 10 secolo lo storico Mara Bar Serapion, educato nella filosofia greca, scriveva in siriaco al figlio studente una lettera in cui gli raccomandava di apprendere anch'egli con diligenza la cultura greca. Tale lettera è conservata in un manoscritto del British Museum di Londra, dei secoli VI-VII, contenente anche il Liber legum regionum o De fato, attribuito a Bardesane di Edessa, un'Apologia di Melitone in siriaco e gli Ipomnémata di Ambrogio, versione siriaca di una breve apologia greca attribuita a s. Giustino: tutti testi in cui la fede cristiana si unisce a temi filosofici e letterari della cultura greca.
La datazione del documento di Mara è discussa, tanto che alcuni lo hanno posto al III secolo.
Ma la lettera non può risalire a molto dopo il 73 d.C., poiché parla della fuga dei cittadini di Samosata verso Seleucia e del loro auspicato ritorno, con allusione alla deposizione del re Antioco IV di Commagene da parte dei Romani nel 73; l'ex re esulò da Samosata occupata dagli invasori, insieme con molti altri concittadini di Mara, il quale esprime la fiducia che i Romani lascino ritornare in patria i suoi connazionali e si rendano conto della loro lealtà. Quindi una datazione dal 73 alla fine del 1 o secolo è accettata da vari studiosi, fra cui Blinzler, Mazzarino e Averincev, e anche da me, che ho cercato di addurre elementi in suo favore.
Gli insegnamenti di Mara al figlio sono improntati all'idea, tipica del neostoicismo, che la filosofia, intesa come perseguimento di saggezza, è elemento costitutivo della libertà umana. Essi si collocano in una cornice storico-culturale che vede in Siria, tra primo e secondo secolo, la predicazione del neostoico Musonio Rufo, il pensiero dell'apologista Taziano, discepolo del cristiano platonico Giustino, il medioplatonico e neopitagorico Numenio, che, pur pagano, interpretava allegoricamente l'Antico e il Nuovo Testamento, il filosofo cristiano Bardesane.
Tra le topiche filosofiche della lettera, interessante è quella della persecuzione dei saggi, con conseguente ricompensa del saggio e punizione dei persecutori, poiché "passano le vite degli uomini dal mondo: ma le loro lodi e virtù restano in eterno". Mara cita i casi di Socrate, di Pitagora e del "re saggio dei Giudei" a dimostrazione che Dio punisce i persecutori e ricompensa la virtù. I tre saggi hanno acquisito, con diverse vie, l'immortalità: "I saggi vengono trattati con violenza dai tiranni e la loro saggezza è fatta prigioniera dalla calunnia ed essi, nella loro intelligenza, sono oppressi... che cosa hanno ricavato gli ateniesi dall'uccisione di Socrate, in punizione della quale ricevettero carestia e pestilenza, o il popolo di Samo dall'avere arso Pitagora, poiché in un'ora sola la loro terra fu interamente coperta dalla sabbia? O i Giudei dall'uccisione del loro re saggio, dato che da quel tempo il loro regno fu eliminato? Con giustizia infatti Dio ha ricompensato la saggezza di quei tre, poiché gli ateniesi morirono di fame, il popolo di Samo senza scampo fu ricoperto dal mare, e i Giudei dopo essere stati abbattuti e cacciati dal loro regno sono dispersi in ogni terra. Non è morto Socrate, grazie a Platone; e nemmeno Pitagora, in virtù della statua di Era; né il re saggio, grazie alle nuove leggi che egli ha promulgato".
Mara, riferendosi dopo il 73 alla sciagura dei Giudei, alla perdita del regno e alla loro dispersione, si riferisce ai drammatici eventi del 70, con la distruzione di Gerusalemme ad opera dell'esercito di Tito e i fatti che ne seguirono. Mara intende la catastrofe come punizione dei Giudei per l'uccisione di Gesù: anche il giudeo Flavio Giuseppe (BI VI 30-31 e passim) interpretava i tragici fatti della caduta di Gerusalemme come una punizione divina del popolo giudaico, che aveva accettato un falso messia e per questo aveva insistito con protervia nella resistenza antiromana.
Per Mara i fatti del 70 si spiegano alla luce dell'uccisione, voluta dai Giudei, del loro "re saggio", che non poteva essere avvenuta molto prima, dato lo stretto rapporto causale che egli istituisce tra gli eventi. Flavio Giuseppe nel Testimonium Flavianum (AI XVIII 3,3), esattamente come Mara, definisce Gesù "uomo saggio [sophos]", considera responsabili della sua morte i capi giudaici e ricorda che non tutto è finito con questa, grazie alla risurrezione e ai seguaci: "non cessarono coloro che sin dal principio avevano preso ad amarlo: infatti apparve loro il terzo giorno di nuovo vivo". Abgar Ucama, toparca di Edessa, destinata a divenire il centro più importante della cultura cristiana siro-aramaica, venne forse a conoscenza del fatto cristiano e sembra da rivalutare almeno il nucleo storico della sua corrispondenza con Tiberio conservata nella siriaca Doctrina Addai e databile al 35/37 d.C.: Abgar chiede a Tiberio di punire i Giudei, a suo avviso responsabili della morte di Gesù, e di destituire Pilato che aveva ceduto ad essi.
Tiberio, che secondo Tertulliano (Apol. 5,2) era stato informato degli eventi cristiani da Pilato e aveva cercato inutilmente di far riconoscere il Cristianesimo, risponde di aver già fatto destituire Pilato, ciò che avvenne ad opera di L. Vitellio, e promette di punire i responsabili. In effetti, fece deporre Caifa. Entrambi i provvedimenti, contro Caifa e contro Pilato, sono ricordati da Flavio Giuseppe (AI XVIII 89-90; 122).
L’idea di equiparare Gesù ai filosofi nacque presto anche in seno al Cristianesimo, definito “divina filosofia” da s. Giustino verso la metà del II secolo, nell’ambito si una sintesi tra la filosofia platonica e stoica e il pensiero cristiano.
La genesi può essere ricondotta, ancor prima, all’ambiente giudaico alessandrino, che ebbe il principale esponente in Filone, il quale volle creare una “filosofia mosaica”. Nel Giudeo-ellenismo si creò l’accostamento dei profeti ai filosofi e il loro confronto. Anche Giustino, poco dopo Mara, ricorda i filosofi pagani “martiri del logos seminale”, che subirono persecuzioni o la morte per rendere testimonianza al logos, manifestandosi già nella razionalità greca e poi in forma perfetta nel Cristo-Logos (un pensiero sviluppato da Clemente Alessandrino): Eraclito, Musonio, Socrate (II Apol. 8,1; 15,5-8). Oltre a Socrate, Giustino ricorda come “pilastri della filosofia” Platone e Pitagora (Tryph. Prol. 5,6; 6,1). Inoltre, Socrate e Pitagora, con Platone che pure Mara ricorda, sono i tre filosofi cui si sarebbe ispirato anche il siriano Numenio.
Mara per primo accostò loro anche Gesù, evidentemente ben noto a lui e al figlio.




Bibliografia
J. Blinzler, Il processo di Gesù, Brescia 1966, 43-48.
S. Averincev, La suggesse stoicienne de la vie vue par un Syrien instruit de l’époque préchrétienne, in La civilisation antique, Moskva 1985, 67-75.
S. Mazzarino, L’impero romano, II, Bari 1991, 887.
I. Ramelli, Stoicismo e cristianesimo in area siriana nella seconda metà del 1° sec. D.C., “Sileno” 25 (1999), 197- 212.
I. Ramelli, La lettera di Mara Bar Serpion, in stampa su “Stylos”.





IL TIMONE – Novembre 2004 (pag. 50 - 51)
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