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Animali, anche l’Italia diventa un po' più civile

Ultimo Aggiornamento: 26/08/2009 10:04
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Se la civiltà di un Paese si misura anche dal diritto al benessere che godono gli animali, allora l’Italia figura tra i fanalini di coda.
La piaga drammatica dell’abbandono di cani e gatti e il conseguente fenomeno del randagismo, la fioritura di canili lager gestiti dalla mafia talora sotto le mentite spoglie dell’ennesima associazione animalista, il vergognoso fenomeno del trasporto di animali vivi per uso alimentare (si pensi ai cavalli!) costretti ad approdare, dopo viaggi d’ineffabile crudeltà in mattatoi dove il gesto del macellaio non è una carezza e le bestemmie d’impazienza rotolano nel sangue, i combattimenti tra cani con tanto di scommesse illecite, i palii spaccaossa per cavalli e asini ad onorare il santo (denaro) di turno, tutto ciò, aveva fatto del nostro Paese una vergogna mondiale.
Per fortuna, negli ultimi mesi, politici illuminati e sensibili dell’attuale maggioranza, quali Francesca Martini, Michela Brambilla, Franco Frattini, Daniela Santanchè, spesso appoggiati trasversalmente da membri dell’opposizione con analoghe sensibilità zoofile, stanno rivoluzionando questo quadro fosco e lavorano sodo perché le varie ordinanze, talvolta dettate dall’urgenza degli eventi, si coagulino finalmente in una legge quadro che vada a tutelare non tanto i nostri sentimenti nei confronti degli orrori che l’uomo commette, quanto il diritto degli animali, quali «esseri senzienti», a non doverli mai più subire.
Le lunghe battaglie di quelli che i detrattori chiamano «animalai» (sono stato insignito dai senesi di tale ambìto titolo) assieme alle crociate di certa stampa sensibile a questi problemi, hanno costretto anche la madre di tutti i Palii a dotarsi di regole che sembrano cominciare a tutelare seriamente cavalli e fantini. L’onorevole Martini ha poi recentemente emanato norme severe che dovrebbero portare alla scomparsa di scene dell’orrore riassunte nell’immagine del cavallo che, al palio di Ferrara, avanza su una pista sconnessa con le zampe anteriori spezzate. Sui cosiddetti cani «aggressivi» la stessa Martini ha voluto imporre l’opinione che tutte le razze di cani sono uguali e che è sempre il padrone a sbagliare. È un errore, perché vi sono razze di cani che hanno una «reattività neuronale» completamente diversa e tradizioni secolari di combattimenti che li hanno trasformati in soggetti più pericolosi di altri. Sbagliate l’educazione di un setter inglese e vi troverete davanti una pistola ad acqua. Sbagliate quella di un rottweiler e vi troverete davanti un kalashnikov con i colpi in canna. Bene invece che sia stata presa in considerazione la responsabilità del proprietario, perché, razze a parte, il grilletto lo preme lui. Quindi paghi.
Ottima l’introduzione di norme severe e standard di qualità per i canili, a evitare il fenomeno diffuso del business sulla pelle dei cani, eccellente la carta etica del cavallo dove finalmente ci si rende conto che maltrattamenti e doping si sprecano oggigiorno dal primo dei destrieri all’ultimo dei ronzini. L’obbligo dei microchip e l’informatizzazione dell’anagrafe canina a livello nazionale, assieme alle sterilizzazioni «di massa», sono altri capisaldi per il contenimento del randagismo, mentre lodevole è il divieto di certa mala chirurgia estetica. A tal proposito avrei un suggerimento ulteriore, ma abbiamo tutto il tempo. L’importante è che quanto bolle in pentola giunga nei piatti, assieme alle adeguate sanzioni senza le quali ogni norma, nel nostro bel Paese, è vana.



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