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Elisabetta: il mio angelo

Ultimo Aggiornamento: 10/08/2009 18:39
Cri74
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06/08/2009 15:49
 
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Ciao a tutte, mi chiamo Cristina e ho 35 anni e da poco ho scoperto questo meraviglioso sito. Avete avuto un’idea straordinaria: se fosse esistito nel 2000 quando la mia piccola Elisabetta è volata in cielo… E invece, sbattuta fuori dall’ospedale, ho trovato solo il vuoto… Ho letto alcune delle Vostre storie e ho pianto tanto perché mi sono ritrovata in tutti quei sentimenti di dolore, confusione, rabbia, incomprensione, abbandono che ho provato per tanto tempo (e che, in certe circostanze, ritornano fuori ancora oggi). Ma ora vi racconto del mio piccolo angelo. Sono rimasta incinta ad agosto 1999, subito dopo il ritorno da un viaggio con mio marito in Terra Santa. Quell’anno è stato il più bello della mia vita: il matrimonio, la terra di Gesù, la gravidanza; non potevo essere più felice di così. Poi arriva il 2000 e comincia il calvario: all’inizio dell’anno a mia mamma viene diagnosticato un tumore maligno al seno e inizia una serie di visite ed interventi. Nel frattempo l’ecografia di Elisabetta mostra che la bimba ha un lieve ritardo di crescita, ma la ginecologa mi tranquillizza, prescrivendomi solo dei controlli molto ravvicinati. Verso il settimo mese improvvisamente mi “esplode” la pancia diventando, in 15 giorni, delle dimensioni da fine nono mese. Al controllo la ginecologa mi diagnostica un polidramnios, cioè un eccesso di liquido amniotico, associato ad un ritardo di crescita della bimba e mi manda in ospedale per fare un’ecografia con delle apparecchiature un po’ più sofisticate. E lì inizia la vera angoscia. Dopo un’eco infinita il ginecologo mi dice che Elisabetta non deglutisce e quindi non “beve” il liquido amniotico. Suppone un’ostruzione dell’esofago e mi annuncia che alla nascita la bimba dovrà probabilmente subire un intervento. Io sono ubriaca, mio marito non c’è, la mente è totalmente annebbiata, mi stringo la pancia per abbracciare Elisabetta più che posso… ma ancora non mi rendo conto di cosa voglia dire. La mia sciocca mente mi dice che, in fondo è “solo” un intervento, e dopo sarà tutto ok… Continuo a fare avanti e indietro dall’ospedale. Intanto mia madre viene ricoverata d’urgenza il 15 maggio perché, nell’ultimo intervento subito, non hanno cucito bene un’arteria che si è rotta e rischia la vita. Ma almeno lei, grazie a Dio, ce la fa ed oggi è ancora qui con me, in piena salute. Il 18 maggio vengo di nuovo ricoverata, faccio un’eco e tre tracciati al giorno, ma nessuno si degna di dirmi nulla. Fino alla terribile notte di sabato 19 maggio. Alle 23,30 mi portano a fare l’ennesimo tracciato. Elisabetta si muove pochissimo, l’ostetrica deve continuamente spostare la cintura perché il battito è flebile (ma naturalmente non me lo dice). Dopo un’ora e mezza compare un ginecologo che mi fa, con una freddezza incredibile, una domanda stupida: ha mai pensato ad un cesareo? Io lì per lì non capisco; gli chiedo se possiamo aspettare la mattina seguente il Dott. Orsini (che mi aveva seguito in ospedale) per parlare con lui. Questo ginecologo, cambiando completamente tono, mi dice che non si può aspettare perché la bimba è in grave sofferenza. Da lì non capisco più nulla, comincio a tremare come una foglia, ho le formiche alle mani, ogni parola che mi dicono mi rimbomba a vuoto nella testa. Chiamano mio marito che arriva poco prima che io entri in sala parto, mi stringe la mano, mi fa coraggio... In sala parto, in mezzo a mille mascherine verdi, un volto amico: la mamma di una mia amica che fa la ferrista ed è di turno proprio quella notte. Elisabetta nasce il 20 maggio 2000 alle 02,10 ed è subito trasportata d'urgenza in neonatologia... in sala parto mi sveglia la mamma della mia amica e con gli occhi lucidi mi dice solo una parola: coraggio. Ricado nell'intontimento dell'anestesia e mi risveglio in reparto con un dolore atroce al ventre. Arriva un'infermiera dolcissima, Alberta, che subito mi dà un calmante e mi dice di non esitare a chiamarla se avessi bisogno di qualunque cosa. Non so quanto tempo passa, è ancora buio quando arriva mio marito e mi dice che Elisabetta è in terapia intensiva con una grave malformazione alle vie respiratorie, non si sa se ce la farà perchè non riescono ad intubarla. Io piango, urlo, mi fa male il ventre ma soprattutto il cuore. Mio marito resta poco: torna un attimo da Elisabetta e poi va a casa; non riesce a sopportare la vista di noi due sofferenti... Lo chiamano alle 8,30 del mattino: Elisabetta è salita in cielo alle 08,25. Ora deve dare la notizia a me: credo che non abbia mai fatto niente di più doloroso in tutta la sua vita. Io comincio ad urlare come una pazza, mi sente tutto il reparto, arriva l'infermiera e mi dà una dose da cavallo di calmante, così ricado nell'oblio, tra incubi, dolore, vuoto... Mi sembra che mi abbiano strappato il cuore: è una sensazione fisica oltre che psicologica e continuerò a provarla per mesi dopo il parto...
Vedo finalmente Elisabetta all'obitorio mercoledì 24 maggio: il suo visino tondo, le sue manine, i suoi capelli fini e castani... il mio angelo... sono mamma!!! Vorrei prenderla in braccio e non andare mai più via di lì... Al funerale le stringo la manina gliela accarezzo finchè non si scalda... mi sembra viva... non chiudete quella bara... non portatemi via la mia bambina... la voglio a casa con me !!! Le ultime mie lacrime “in pubblico”. Purtroppo nella mia famiglia d'origine i sentimenti di dolore si “dovevano” tenere nascosti; mio marito invece non riusciva ad accogliere e “sopportare” il mio dolore; intorno a me non c'erano persone, o strutture, o siti internet che potessero accogliere i mie sentimenti; e così li ho soffocati dentro di me, piangevo solo quando ero sola e sicura che nessuno potesse suonare alla mia porta. Solo voi care amiche potete capire di cosa sto parlando.
Poi passa il tempo e piano piano, a fatica, si ritorna a vivere. Io ho trovato un po' di pace quando ho deciso di mettere la foto di Elisabetta scattata all'obitorio, in un ciondolo che porto sempre al collo. Da quel momento mi è sembrato di averla sempre accanto a me. E le parlo tanto, tantissimo, come quando era nella mia pancia.
E ora le liete notizie: Elisabetta ha due fratellini: Jacopo di 7 anni e mezzo e Francesco di 4 e mezzo. Sul mobile in sala c'è la foto mia e di Cristian quando ci siamo sposati e davanti le foto dei nostri tre bimbi, tutti e tre. Chi entra in casa nostra e non conosce la nostra storia a volte fa domande, altre volte tace con sguardo interlocutorio; io non mi vergogno di quella foto e anzi sono orgogliosa di dire che quella è la nostra bimba più grande, anche se qualche volta ancora mi prende un groppo alla gola... Un caro saluto a tutte e grazie di avermi permesso di esprimere finalmente i miei sentimenti.
Cristina mamma di Elisabetta

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