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Vado a vivere a Cuba

Ultimo Aggiornamento: 30/03/2013 17:49
28/05/2009 07:36
 
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Il centro di calcolo

In questo benedetto centro di calcolo di Niquero avrei dovuto lavorarci a tempo pieno ma l’attesa
della residenza stava complicando la cosa: infatti non potevano ancora assumermi regolarmente e
quindi non potevo iniziare l’attività. Jorge, il direttore del centro di Niquero, mi propose comunque
di stabilirmi lì e di iniziare a fare qualcosa. Io accettai di buon grado, anche se sapevo che non avrei
avuto diritto a nessuna retribuzione, così mi prepararono una scrivania in un ufficio insieme ad altri
futuri colleghi, anzi colleghe: Maria Emilia, responsabile del settore informatico, Aleyda e Yasira la
figlia di Jorge. Avevano solo un vecchio PC con il Dos che usavano per sviluppare dei programmi
di gestione della contabilità che avrebbero poi distribuito ad alcune imprese locali; l’arrivo del mio
PC con Windows 3.1 attirò subito l’attenzione, perché nessuno aveva ancora mai visto quel
“nuovo” sistema operativo, anche se tutti ne avevano sentito parlare. Poi avevo anche altri
“miracolosi” strumenti tecnologici come un modem e uno scanner manuale; il primo non è che
servisse molto perché il collegamento internet non era disponibile ai comuni mortali (e chissà
quando lo sarà); il secondo, invece, fu usato diverse volte per riprodurre dei documenti e stamparli
poi sulla stampante, surrogando così una normale fotocopiatrice.
Per essere precisi il centro non si occupava solo di informatica, ma anche di riparazioni
elettroniche; a lato del nostro ufficio, infatti, stava il laboratorio dove lavoravano altre persone:
Obel il responsabile, Pepito, Felipe... A differenza del nostro ambiente di lavoro, dove si aveva
un’impressione di tranquillità e di ordine, con l’arredamento ridotto al minimo indispensabile,
Aleyda e Emilia assorbite silenziosamente nel loro lavoro disturbato solo dal ronzio di sottofondo
dell’aria condizionata, al di là del muro il clima era piuttosto diverso: banconi pieni di
apparecchiature aperte e di pezzi di ricambio sparsi, un via vai di clienti che portavano qualcosa a
riparare, i colleghi che parlavano e ridevano ad alta voce, spesso anche la radio accesa e, quando
Jorge non era in sede, a volte una bottiglia di rum passava di mano in mano...
Io cominciai a seguire Emilia nel suo lavoro, che in quei giorni consisteva nell’installare una
nuova versione di un antivirus 100% cubano presso i clienti locali che avevano già installata la
precedente versione. Così andammo in visita alla Tienda Panamericana e al Central Azucarero dove
fui presentato come il nuovo collaboratore del centro di calcolo. Quello che mi colpì fu la
semplicità e la sobrietà di quei luoghi: tutta la gestione amministrativa era demandata ad un
semplice PC con un solo addetto il quale con un software piuttosto antiquato portava avanti tutta la
baracca. Nella mia mente mi ero già raffigurato qualcosa di nuovo da realizzare e da proporre a
questi clienti per migliorare e rinnovare i loro sistemi, assolutamente fattibile con i mezzi e il
software che possedevo e che avevo messo a disposizione del centro di calcolo: il bello
dell’informatica è che non hai bisogno di molta materia prima per creare, basta solo avere delle idee
e del tempo da impegnare. Ne avevo parlato sia con Maria Emilia che con Jorge e avevano
apprezzato l’idea; ne era anche scaturito uno studio di massima che avevo consegnato a Jorge, ma
che purtroppo era destinato a rimanere per sempre chiuso nel suo cassetto.
Mi resi conto, infatti, man mano che passava il tempo, che al centro di calcolo c’era come una
misteriosa forza esteriore che tratteneva ogni tentativo di innovazione e di proporre cose nuove;
c’erano molte idee e si facevano tanti bei discorsi, ma alla fine tutto rimaneva come prima. Eppure
questo non era nemmeno dovuto alle difficoltà economiche (i mezzi c’erano, come dicevo prima):
era invece qualcosa di meno tangibile e più perentorio. Capii in seguito che il centro di calcolo di
Niquero non era altro che una succursale “stupida” della sede centrale di Bayamo, senza nessuna
autonomia decisionale, destinato quindi ad un’eterna dipendenza totale da essa, alla quale doveva
obbedire rispettando tutti i doveri, ma senza poter rivendicare diritti.
Nell’area amministrativa lavorava anche, come dissi all’inizio della storia, mia cognata Maria
Elena; lei era sempre impegnata in antipatici e noiosi calcoli contabili fatti un po’ a mano e un po’
con la calcolatrice, così quando le feci vedere quali meraviglie si potessero realizzare con il
computer rimase sorpesa ed entusiasta, perché scoprì che poteva risparmiare un sacco di tempo. Le
preparai alcuni fogli elettronici ed ogni fine mese la aiutavo a riempirlo (lei, infatti, non ebbe mai
tempo per imparare ad usarlo).
Un’altra “stregoneria” che realizzai fu quella di riprodurre dei moduli amministrativi che si erano
esauriti e che dal ministero non mandavano più (tantomeno si poteva pensare di fotocopiarli perché
a Niquero non esistevano fotocopiatrici): con un banale word processor in Windows fu un gioco da
ragazzi creare un modello e stamparlo quante volte si voleva. L’unica stampante ad aghi disponibile
non era proprio il massimo, ma il risultato era buono.
Le settimane trascorsero così allegramente, senza nessun rompicapo o stress particolare, cosa a
cui in Italia ero purtroppo sottoposto quotidianamente. Con i colleghi e le colleghe si andava
pienamente d’accordo, il clima era disteso e familiare. Non guadagnavo nemmeno un peso, è vero,
ma mi era stato assicurato che i giorni di presenza che avevo maturato mi sarebbero stati
riconosciuti anche in seguito, per esempio come ferie o permessi (firmavo il registro delle presenze
tutti i giorni).
Un giorno successe un fatto che davvero mi lasciò amareggiato. Correva voce che dalla sede
centrale di Bayamo stessero seriamente pensando di rinnovare il look dei dipendenti dotandoli di
uniforme (camicia, pantaloni e scarpe); anche a noi sarebbe toccata la stessa sorte, così Maria Elena
passò da ciascuno per annotare la taglia e la misura delle calzature, nonché per incassare i 10 pesos
di contributo dovuto. Anch’io diedi la mia parte e mai avrei pensato cosa sarebbe avvenuto qualche
giorno dopo: venne da me Maria Elena con aria sconcertata e mi restituì i soldi, riferendomi che da
Bayamo le avevano detto che io non avevo diritto ad alcunché, poiché ufficialmente non ero un
membro dell’azienda... Non fui il solo a rimanerci male, anche i colleghi (io sì li consideravo tali
anche se “ufficialmente” non lo erano) espressero la loro solidarietà nei miei confronti. Non ero
triste perché non avrei avuto l’uniforme, ovviamente, quanto perché fino a quel momento pensavo
che la fiducia reciproca fosse stata alla base di quel rapporto di lavoro, anche se informale.
Così cominciai a dare molta più importanza al fatto che stavo lavorando praticamente gratis, e
anche il fatto che comunque una volta assunto non avrei guadagnato più di 250 pesos (circa 10
dollari) cominciava a farsi sentire, cosa che invece prima non avevo per niente considerato come
importante.
Intanto la residenza non era ancora arrivata, così andai a parlare con Jorge per dirgli che forse era
meglio se per un po’ avessi sospeso la mia attività. Lui fu d’accordo. Ai primi di aprile riportai il
mio PC a casa, in attesa di tempi migliori.
Ma il tempo passava, la vita cambiava, e al centro di calcolo, purtroppo o per fortuna, ero
destinato a non tornarci più.


CONTINUA.....
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