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Riscoprire oggi l'insegnamento di Santa Caterina da Siena

Ultimo Aggiornamento: 05/05/2013 23:14
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25/04/2009 19:10

Che cosa è il “Dialogo della Divina Provvidenza”?

Che cosa può insegnare ancora oggi a noi, santa Caterina da Siena?

 

Piena l’anima di conforto per la pace ottenuta, Caterina fa ritorno a Siena e si ritira in preghiera e meditazione.

Trascorre così alcuni mesi di tranquillità durante i quali Caterina visse in profonda comunione con Gesù attraverso ripetute estasi e divini rapimenti mistici.

Coloro che stavano con lei riportano sovente di quanto fosse commovente l’udirla parlare durante questi rapimenti e di come spesso piangesse con il Divino Sposo esprimendo parole come queste:

 

“O Amore, o Amore – ella gridava – Tu sei la più dolce cosa che ci sia, tu fai a noi gustare un principio dei beni e dei gaudii che speriamo di godere con sazietà non mai sazia nell’eterna vita.

O Eterna bellezza, per quanti secoli rimanesti al mondo incognita!

O Eterna Carità, dammi la consolazione di vedere spezzati tutti i cuori dalla forza del Tuo Amore!

Voglio che Tu illumini i miei diletti figliuoli: Signore, getta a terra quel muro che si frappone fra Te e loro, acciocchè ti amino senz’altro mezzo! “

 

Nella varietà del Dialogo santa Caterina dirige le sue parole ora all’Eterno Padre, talora al Verbo Incarnato, talora esprimendo la potenza trasformatrice dello Spirito Santo che la mette in condizione di parlare in modo altamente dottrinale e, riportano le cronache: e vedavasi spesso mutar colore, ora il viso si faceva bianco come la neve e tutta risplendeva, ora infuocato quando si esprimeva in dottrina, e a chiunque la vedeva traeva dagli occhi lacrime di sincera devozione.

 

Fu assistita a quel tempo alternativamente da quattro suoi più consueti segretari: il Neri di Landoccio; Barduccio Canigiani, Stefano Maconi e Cristoforo di Gano, che dalle sue labbra raccolsero un vero tesoro di insegnamenti, che uniti in un libro mirabile e che ancora ci resta è comunemente conosciuto come “Il Dialogo”.

Il libro fu terminato il 13 ottobre del 1378 e, nello scriverlo, non furono impiegati che circa tre mesi.

Gran parte del Libro venne dettato dalla santa senese durante le sue estasi nella cappellina dove si recava sovente a pregare non lontano dalla città.

Qui vi abitava  un certo Fra Santi, servo di Dio conosciuto per la sua carità; e il padre Tommaso Caffarini certifica d’aver visto più volte in quella pacifica dimora la santa vergine senese rapita in Dio nel mentre i suoi discepoli raccoglievano tempestivamente i suoi detti.

In quest’eremo furono raccolse le ultime pagine del Dialogo.

Il prezioso volume ben presto si rivelò come opera uscita da un anima degna di attenzione e che sovente stava di continuo alla presenza di Dio.

E’ appunto chiamato Dialogo perché durante la trascrizione gli stessi discepoli  si resero subito conto che Caterina non stava facendo un monologo, ma che si trattava di un continuo dialogare in estasi d’Amore fra la Santa senese e Dio e che Caterina immediatamente faceva comprendere come Dio le rispondesse sopra molte dottrine spirituali in modi davvero sublimi.


Disse il Tommaseo: questo Dialogo è un monumento di Sapienza, è il monumento della Divina Sapienza!


Monumento perché deve tenersi in conto che senza alcuna preparazione di studi, una Donna illetterata (quale era santa Caterina da Siena), giungesse a tale altezza di dottrine quale non si scorge in uomini sapienti dopo aver per tanti anni studiato attorno a quella difficile materia che è la “dottrina dello Spirito”, ciò è solo spiegabile attraverso un particolare intervento di Dio.


Papa Pio II ebbe a dire che la dottrina dettata da santa Caterina da Siena “non fu acquistata, ma infusa”, poiché Iddio solo potè dare all’umile vergine una conoscenza così alta e perfetta delle sue divine perfezioni, e rivelare a lei tante cose sublimi sull’eccellenza della virtù, e sul modo di giungere in terra al perfetto amore di Dio.

 

Questo mirabile Libro, insieme colle Lettere, meritò a Caterina un posto elevato fra i Dottori di mistica e i più grandi Maestri di cristiana perfezione.


Tutti i Sommi Pontefici hanno sempre sostenuto che “non fu parola d’uomo la sua, ma parola ispirata di Dio attraverso la diretta opera dello Spirito Santo che tutta l’aveva in pienezza; né altra dottrina poteva essere in lei che quella direttamente sgorgata dalle sorgenti della Divina rivelazione, poiché ella nulla potè vedere, né altro potè dirci la Santa se non quello che vide con limpido occhio, durante tutta la sua vita prodigiosa, nel pelago immenso di Luce a cui Iddio la elevò per diletto volere”.

 

Iddio la volle destinata a vantaggio della Chiesa, Ella è guida incomparabile di anime ed eccellente maestra anche cogli scritti attraverso i quali, ancora oggi, Ella continua nei secoli la missione di sostenere i Sommi Pontefici, di illuminare i Pastori, di correggere i sacerdoti e di consolare i Laici nella perseveranza dell’eccelsa Verità.

 (Da me tratto liberamente da: Vita di S. Caterina da Siena – Terziaria Domenicana – scritta da mons. Lodovico Ferretti dei Predicatori, vescovo di Colle Val d’Elisa, 1.4.1940 )


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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25/04/2009 19:15

Breve riepilogo significativo di alcuni interventi significativi di alcuni Pontefici....

Così scrisse il B. Giovanni XXIII il 20 luglio 1961 nella sua Lettera al Maestro dei Domenicani per il Quinto Centenario della Canonizzazione di Santa Caterina da Siena:


 
“Si possono opportunamente applicare a santa Caterina da Siena le parole dell’apostolo san Paolo: “Dio ha scelto ciò ch’è debole nel mondo per confondere ciò ch’è forte”.
Sebbene infatti ella non potesse menar vanto della nobiltà di stirpe né, della conoscenza delle cose umane e divine acquisita dagli uomini, né del favore dei potenti, nata umile da famiglia umile, fiorente della potenza della grazia divina, l’obbedienza verso la quale fu per lei sempre legge, fu elevata talmente in alto, che le opere da lei compiute furono narrate per iscritto tra il popolo e tra i principi, e le cose che lei, da ignorante, insegnava conquistavano l’ammirazione degli eruditi.
(…),inoltre le sue lettere e l’opuscolo dal titolo Dialogo della divina provvidenza con i quali, mentr’era ancora in vita, condusse a sé a frotte uomini e donne desiderosi di beneficiare dei suoi mistici insegnamenti, sono e saranno anche per i posteri una sorta di amenissimo giardino di Dio, nel quale stillano quali balsami i segreti del cielo, altissime virtù, delicate esortazioni.

Da queste opere si deduce chiaramente con quanto zelo religioso ella abbia venerato la ss. Eucaristia, quanto intensamente abbia meditato le sofferenze e i dolori di Gesù Cristo, le cui stimmate potrò impresse, in quanto onore abbia tenuto il sacratissimo Cuore di Gesù e il suo prezioso sangue, e quante ricchezze di devoti pensieri ne abbia tratto a proprio beneficio..”
 

 

Il 29 aprile del 1980, per il VI Centenario della morte di Santa Caterina, così diceva nell’omelia Giovanni Paolo II:


 
“Una innumerevole schiera di “vergini sagge” come quelle lodate dalla parabola evangelica che abbiamo ascoltato, hanno saputo, nei secoli cristiani, attendere lo Sposo con le loro lampade, ben fornite d’olio, per partecipare con lui alla festa della grazia in terra, e della gloria in cielo. Tra di esse, oggi splende dinanzi al nostro sguardo la grande e cara santa Caterina da Siena, splendido fiore d’Italia, gemma fulgidissima dell’ordine domenicano, stella di impareggiabile bellezza nel firmamento della Chiesa, che qui onoriamo nel VI centenario della sua morte, avvenuta un mattino di domenica, circa l’ora terza, il 29 aprile 1380, mentre si celebrava la festa di san Pietro martire, da lei tanto amato.(..)È una donna prodigiosa, che in quella seconda metà del Trecento mostra in sé di che cosa sia resa capace una creatura umana, e - insisto - una donna, figlia di umili tintori, quando sa ascoltare la voce dell’unico pastore e maestro, e nutrirsi alla mensa dello Sposo divino, al quale, da “vergine saggia”, ha generosamente consacrato la sua vita. Si tratta di un capolavoro della grazia rinnovatrice ed elevatrice della creatura fino alla perfezione della santità, che è anche realizzazione piena dei fondamentali valori dell’umanità.

 
(..) La sua grande sensibilità per i problemi della Chiesa del suo tempo si trasforma così in una comunione col “Christus patiens” e con la “Ecclesia patiens”. Questa comunione è all’origine della stessa attività esteriore, che a un certo momento la santa è spinta a svolgere prima con l’azione caritativa e con l’apostolato laicale nella sua città, e ben presto su di un piano più vasto, con l’impegno a raggio sociale, politico, ecclesiale. In ogni caso Caterina attinge a quella fonte interiore il coraggio dell’azione e quella inesauribile speranza che la sostiene anche nelle ore più difficili, anche quando tutto sembra perduto, e le permette di influire sugli altri, anche ai più alti livelli ecclesiastici, con la forza della sua fede e il fascino della sua persona completamente offerta alla causa della Chiesa. In una riunione di Cardinali alla presenza di Urbano VI, stando al racconto del beato Raimondo, Caterina “dimostrò che la divina Provvidenza è sempre presente, massime quando la Chiesa soffre”; e lo fece con tale ardore, che il pontefice, alla fine, esclamò: “Di che deve temere il vicario di Gesù Cristo, se anche tutto il mondo gli si mettesse contro? Cristo è più potente del mondo, e non è possibile che abbandoni la sua Chiesa!” (Vita, n. 334).

5. Era quello un momento eccezionalmente grave per la Chiesa e per la sede apostolica. Il demone della divisione era penetrato nel popolo cristiano. Fervevano dappertutto discussioni e risse. A Roma stessa c’era chi tramava contro il Papa, non senza minacciarlo di morte. Il popolo tumultuava.
Caterina, che non cessava di rincuorare pastori e fedeli, sentiva però che era giunta l’ora di una suprema offerta di sé, come vittima di espiazione e di riconciliazione insieme con Cristo. E perciò pregava il Signore: “Per l’onore del tuo nome e per la santa tua Chiesa, io berrò volentieri il calice di passione e di morte, come sempre ho desiderato di bere; tu ne sei testimone, da quando, per grazia tua, ho cominciato ad amarti con tutta la mente e con tutto il cuore” (
Ivi, n. 346).

 
Da quel momento cominciò a deperire rapidamente. Ogni mattina di quella quaresima 1380, “si recava alla chiesa di san Pietro, principe degli apostoli, dove, ascoltata la messa, rimaneva lungamente a pregare; non ritornava a casa che all’ora di vespro”, sfinita. Il giorno dopo. di buon mattino, “partendo dalla strada detta via del Papa (oggi di santa Chiara), dove stava di casa, fra la Minerva e Campo dei Fiori, se ne andava lesta lesta a san Pietro, facendo un cammino da stancare anche un sano” (Ivi, n. 348; cf. Lettera 373).

(..)
 Ora lasciate che vi consegni un ricordo finale, che vuol essere un messaggio, una esortazione, un invito alla speranza, uno stimolo all’azione: lo traggo dalle parole che Caterina rivolgeva al suo discepolo Stefano Maconi e a tutti i suoi compagni di azione e di passione per la Chiesa: “Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutta Italia...” (Lettera 368); anzi, io aggiungo: in tutta la Chiesa, in tutto il mondo. Di questo “fuoco” ha bisogno l’umanità anche oggi, ed anzi forse più oggi che ieri. La parola e l’esempio di Caterina suscitino in tante anime generose il desiderio di essere fiamme che ardono e che, come lei, si consumano per donare ai fratelli la luce della fede ed il calore della carità “che non viene meno” (1Cor 13,8)”.

 


Nella Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II “Amantissima Providentiae”  sempre per il VI Centenario del Transito di Santa Caterina, così lasciò scritto:



 
“E' nella vigna universale che è piantata l'unica vite vera, Gesù Cristo, sulla quale ogni altra dev'essere innestata per riceverne vita (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 24). In essa il principale lavoratore è il Papa, «Cristo in terra, il quale ci ha a ministrare il sangue» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 313 et 321); da lui ogni altro lavoratore dipende, per obbedienza e perché lui «tiene le chiavi del sangue dell'umile Agnello» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 339; cfr. «Epist.» 309 et 305).
Immagini trasparenti del primato di Pietro - primato di magistero e di governo voluto dalla «prima dolce Verità» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 24 vel X) - che salda istituzione e carisma in Cristo, unica fonte di essi.
A tale logica si è ispirata tutta l'azione di questo angelo tutelare della Chiesa a pro del pontificato romano.


Il ruolo eccezionale svolto da Caterina da Siena, secondo i piani misteriosi della provvidenza divina, nella storia della salvezza, non si esaurì col suo felice transito alla patria celeste. Ella, infatti, ha continuato ad influire salutarmente nella Chiesa sia con i suoi luminosi esempi di virtù, sia con i suoi mirabili scritti. Perciò i sommi pontefici, miei predecessori, ne hanno concordemente esaltata la perenne attualità, proponendola continuamente all'ammirazione ed all'imitazione dei fedeli.


Il sommo pontefice Pio II, nella bolla di canonizzazione, la chiamò con parole quasi profetiche: «Illustris et indelebilis memoriae virginem» (Pii II «Misericordias Domini: Bullar. Roman.», V, a. 1860, p. 165)”
.

  


Così si espresse  il Pontefice Paolo VI  nell’Omelia del 3 ottobre 1970 durante la Messa per la proclamazione a Dottore della Chiesa di Santa Caterina da Siena:



Che diremo dunque dell’eminenza della dottrina cateriniana? Noi certamente non troveremo negli scritti della Santa, cioè nelle sue Lettere, conservate in numero assai cospicuo, nel Dialogo della Divina Provvidenza ovvero Libro della Divina Dottrina e nelle «orationes», il vigore apologetico e gli ardimenti teologici che distinguono le opere dei grandi luminari della Chiesa antica, sia in Oriente che in Occidente; né possiamo pretendere dalla non colta vergine di Fontebranda le alte speculazioni, proprie della teologia sistematica, che hanno reso immortali i Dottori del medioevo scolastico. E se è vero che nei suoi scritti si riflette, e in misura sorprendente, la teologia dell’Angelico Dottore, essa vi compare però spoglia di ogni rivestimento scientifico.

Ciò invece che più colpisce nella Santa è la sapienza infusa, cioè la lucida, profonda ed inebriante assimilazione delle verità divine e dei misteri della fede, contenuti nei Libri Sacri dell’Antico e del Nuovo Testamento: una assimilazione, favorita, sì, da doti naturali singolarissime, ma evidentemente prodigiosa, dovuta ad un carisma di sapienza dello Spirito Santo, un carisma mistico.

Caterina da Siena offre nei suoi scritti uno dei più fulgidi modelli di quei carismi di esortazione, di parola di sapienza e di parola di scienza, che S. Paolo mostrò operanti in alcuni fedeli presso le primitive comunità cristiane, e di cui volle che fosse ben disciplinato l’uso, ammonendo che tali doni non sono tanto a vantaggio di coloro che ne sono dotati, quanto piuttosto dell’intero Corpo della Chiesa: come infatti in esso - spiega l’Apostolo - «unico e medesimo (è) lo Spirito che distribuisce i suoi doni a ciascuno come vuole» (1 Cor. 12, 11) così su tutte le membra del mistico organismo di Cristo deve ridondare il beneficio dei tesori spirituali che il suo Spirito elargisce (Cfr. 1 Cor. 11, 5; Rom. 12, 8; 1 Tim. 6, 2; Tit. 2, 15).

«Dottrina eius (scilicet Catharinae) non acquisita fuit; prius magistra visa est quam discipula» (Proc. Castel., 1. c.): così dichiarò lo stesso Pio II nella Bolla di Canonizzazione. Ed invero, quanti raggi di sovrumana sapienza, quanti urgenti richiami all’imitazione di Cristo in tutti i misteri della sua vita e della sua Passione, quanti efficaci ammaestramenti per la pratica delle virtù, proprie dei vari stati di vita, sono sparsi nelle opere della Santa! Le sue Lettere sono come altrettante scintille di un fuoco misterioso, acceso nel suo cuore ardente dall’Amore Infinito, ch’è lo Spirito Santo.

(…) essa fu l’esaltatrice della virtù redentivi del Sangue adorabile del Figliuolo di Dio, effuso sul legno della Croce con larghezza di amore per la salvezza di tutte le umane generazioni (Cfr. Dialogo, c. CXXVII, ed. cit., p. 325). Questo Sangue del Salvatore, la Santa lo vede fluire continuamente nel Sacrificio della Messa e nei Sacramenti, grazie al ministero dei sacri ministri, a purificazione ed abbellimento dell’intero Corpo mistico di Cristo. Caterina perciò potremmo dirla la mistica del Corpo mistico di Cristo, cioè della Chiesa.
D’altra parte la Chiesa è per lei autentica madre, a cui è doveroso sottomettersi, prestare riverenza ed assistenza: «Ché - Ella osa dire - la Chiesa non è altro che esso Cristo» (Lettera 171, a cura di P. Misciatelli, III, 89).

Quale non fu perciò l’ossequio e l’amore appassionato che la Santa nutrì per il Romano Pontefice! Noi oggi personalmente, minimo servo dei servi di Dio, dobbiamo a Caterina immensa riconoscenza, non certo per l’onore che possa ridondare sulla nostra umile persona, ma per la mistica apologia ch’ella fa dell’ufficio apostolico del successore di Pietro. Chi non ricorda? Ella contempla in lui «il dolce Cristo in terra» (Lettera 196, ed. cit., III, 211), a cui si deve filiale affetto ed obbedienza, perché : «Chi sarà inobediente a Cristo in terra, il quale è in vece di Cristo in cielo, non partecipa del frutto del Sangue del Figliuolo di Dio» (Lettera 207, ed. cit., III, 270).

E quasi anticipando, non solo la dottrina, ma il linguaggio stesso del Concilio Vaticano II (Lumen gentium, 23), la Santa scrive al Papa Urbano VI: «Padre santissimo . . cognoscete la grande necessità, che è a voi e alla santa Chiesa di conservare questo popolo (di Firenze) alla obbedienza e reverenza della Santità Vostra, perocché qui è il capo e il principio della nostra fede» (Lettera 170, ed. cit., III, 75).

Ai Cardinali, poi, a molti Vescovi e sacerdoti, essa rivolge pressanti esortazioni, né risparmia forti rimproveri, sempre però in tutta umiltà e rispetto per la loro dignità di ministri del Sangue di Cristo. Né Caterina poteva dimenticare di essere figlia di un Ordine religioso, e tra i più gloriosi ed attivi nella Chiesa. Essa, quindi, nutre stima singolare per quelle che chiama le «sante religioni», che considera quasi vincolo di unione tra il Corpo mistico, costituito dai rappresentanti di Cristo (secondo una qualificazione sua propria), ed il corpo universale della religione cristiana, cioè i semplici fedeli. Esige dai religiosi fedeltà alla loro eccelsa vocazione, attraverso l’esercizio generoso delle virtù e l’osservanza delle rispettive regole.

Non ultimi, nella sua materna sollecitudine, sono i laici, a cui indirizza vivaci e numerose lettere, volendoli pronti nella pratica delle virtù cristiane e dei doveri del proprio stato, animati da ardente carità per Iddio e per il prossimo, poiché anch’essi sono membra vive del Corpo mistico; ora, dice la Santa, «ella (cioè la Chiesa) è fondata in amore, ed è esso amore» (Lettera 103, a cura di G. Gigli).

Come poi non ricordare l’opera intensa, svolta dalla Santa per la riforma della Chiesa? È principalmente ai sacri Pastori che essa rivolge le sue esortazioni, disgustata di santo sdegno per l’ignavia di non pochi di loro, fremente per il loro silenzio, mentre il gregge loro affidato andava disperso ed in rovina. «Ohimé, non più tacere! Gridate con cento migliaia di lingue, scrive ad un alto prelato. Veggo che, per tacere, il mondo è guasto, la Sposa di Cristo è impallidita, toltogli il colore, perché gli è succhiato il sangue da dosso, cioè il Sangue di Cristo» (Lettera 16 al card. di Ostia, a cura di L. Ferretti, I, 85).
 
E che cosa intendeva essa per rinnovamento e riforma della Chiesa? Non certamente il sovvertimento delle sue strutture essenziali, la ribellione ai Pastori, la via libera ai carismi personali, le arbitrarie innovazioni nel culto e nella disciplina, come alcuni vorrebbero ai nostri giorni. Al contrario, essa afferma ripetutamente che sarà resa la bellezza alla Sposa di Cristo e si dovrà fare la riforma «non con guerra, ma con pace e quiete, con umili e continue orazioni, sudori e lagrime dei servi di Dio» (Cfr. Dialogo, cc. XV, LXXXVI, ed. cit., pp. 44, 197). Si tratta, quindi, per la Santa di una riforma anzitutto interiore, e poi esterna, ma sempre nella comunione e nell’obbedienza filiale verso i legittimi rappresentanti di Cristo.

Fu anche politica la nostra devotissima Vergine? Sì, indubbiamente, ed in forma eccezionale, ma in un senso tutto spirituale della parola. Ella, infatti, respinse sdegnosamente l’accusa di politicante, che le muovevano alcuni dei suoi concittadini, scrivendo ad uno di loro: «. . . E i miei cittadini credono che per me o per la compagnia ch’io ho meco, si facciano trattati: elli dicono la verità; ma non la cognoscono, e profetano; perocché altro non voglio fare né voglio faccia chi è con me, se non che si tratti di sconfiggere il dimonio e toglierli la signoria che egli ha presa dello uomo per lo peccato mortale, e trargli l’odio del cuore, e pacificarlo con Cristo Crocifisso e col prossimo suo» (Lettera 122, ed. cit., II, 253).

La lezione pertanto di questa donna politica «sui generis» conserva tuttora il suo significato e valore, benché oggi sia più sentito il bisogno di far la debita distinzione tra le cose di Cesare e quelle di Dio, tra Chiesa e Stato. Il magistero politico della Santa trova la più genuina e perfetta espressione in questa sua lapidaria sentenza: «Niuno stato si può conservare nella legge civile e nella legge divina in stato di grazia senza la santa giustizia» (Dialogo, c. CXIX, ed. cit., p. 291).

 

E nella Lettera Apostolica MIRABILIS IN ECCLESIA DEUS  con la quale Paolo VI pone ufficialmente per iscritto  il Dottorato della Chiesa a Santa Caterina da Siena con data 4.10.1970, così scrive:


 
“Caterina, difatti, senza aver avuto nessun maestro umano, fu così riccamente riempita da Dio di doni «di sapienza e di scienza» (1 Cor 12, 8), da diventare efficacissima maestra di verità. Inoltre altamente consapevole del suo compito di annunziare la verità e di far crescere la carità fra gli uomini, avanzò a grandi passi, donando liberamente i benefici dei carismi ricevuti ai cittadini del suo tempo abbattuti o nati in miserevoli condizioni.
Con queste premesse, s'intende facilmente la ragione per cui Noi, dopo che il Nostro predecessore Pio II, Pontefice Massimo, le ebbe decretato l'aureola dei santi, fummo presi da uguale desiderio di onorarla col titolo di Dottore della Chiesa universale. Abbiamo ancora la lieta speranza che quest'onore attribuito al suo valore giovi meravigliosamente alla Chiesa di questo nostro tempo e faccia sì che la dottrina di Caterina, il suo modo armonioso di ragionare, infiammino la carità nei cuori dei cristiani e, consolidando l'unità della Chiesa stessa, suscitino negli uomini un più ardente desiderio della santità, con la guida e il magistero del Vicario di Cristo”.

(..) La Vergine Senese considerò sempre il Romano Pontefice cοme «il dolce Cristo in terra» (Lett. 196), al quale si deve sempre amore e obbedienza; e chi non obbedisce a questo Cristo terrestre, che è una cosa sola cοl Cristo celeste (cf Lett. 207), non partecipa al frutto del Sangue del Figlio di Dio. Quello poi che Caterina insegna della comunione che passa tra ognuno di noi e gli altri membri del Corpo mistico, e anche del sacro ordine dei Sacerdoti i quali prestano la loro opera a Cristo» come «ministri del sangue» (Dial., c. 117) e infine quello che dice riguardo a tutti i fedeli di Cristo, tutto ciò è perfettamente conforme a quanto insegna il Concilio Vaticano II (cf Cost. Lumen gentium n. 23).

Né si può tacere di quanto s'affaticò per la riforma dei costumi della Chiesa, e prima di tutti tra i sacri pastori, che essa con insistenza ammonisce di non permettere che per la loro incuria il gregge perisca: «Ohimé, non più tacere! Gridate con cento migliaia di lingue. Veggo che, per tacere, il mondo è guasto, la Sposa di Cristo è impallidita, tòltοgli è il colore, perché gli si è succhiato il sangue da dosso, cioè il sangue di Cristo» (Lett. 16 al Cardinale Vescovo di Ostia). Non con le guerre si può restituire ad essa la primitiva bellezza, ma con una riconciliazione di pace e di quiete, con umili e incessanti preghiere e con sudori e lacrime dei servi di Dio (cf Dial, c. 15, 86).


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[Modificato da Caterina63 25/04/2009 19:16]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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27/04/2009 11:28

Alcuni passi significativi dalle Lettere di Santa Caterina da Siena



“Voi sapete bene, che Cristo lasciò il vicario suo, e questo lasciò per rimedio dell'anime nostre; perché in altro non possiamo avere salute, che nel corpo mistico della santa Chiesa, il cui capo è Cristo, e noi siamo le membra. E chi sarà inobediente a Cristo in terra, il quale è in vece di Cristo in cielo, non partecipa il frutto delFigliuolo di Dio; perocché Dio ha posto che per le sue mani ci sia communicato e dato questo sangue e tutti li sacramenti della santa Chiesa, li quali ricevono vita da esso sangue. E non possiamo andare per altra via, né entrare per alta porta; però che disse la prima Verità: «Io sono Via, Verità, e Vita». Chi tiene dunque per questa via, va per la verità, e non per la menzogna. E questa è, una via d'odio del peccato, e non d'amor proprio di sé medesimo; il quale amore è cagione d'ogni male. Questa via ci dà amore delle virtù, le quali danno vita all'anima;onde essa riceve un'unione e dilezione col prossimo suo; ché innanzi elegge la morte che offendere il prossimo suo. E bene vede che, se egli offende la creatura, egli offende il Creatore. Adunque bene è via di verità. Parmi ancora, che sia porta onde ci conviene entrare poiché abbiamo fatta la via. Così disse egli: «Niuno può andare al Padre, se non per me»
(…)
Perocché noi non siamo Giudei né Saraceni, ma siamo Cristiani battezzati, e ricomperati del sangue di Cristo. Non dobbiamo dunque andare contra al capo nostro per neuna ingiuria ricevuta; né l'uno cristiano contra all'altro; ma dobbiamo fare questo contra agl'Infedeli. Perocché ci fanno ingiuria; però che possedono quello che non è loro; anco, è nostro.

Or non più dormite (per l'amore di Dio!) in tanta ignoranzia e ostinazione. Levatevi su, e correte alle braccia del padre nostro (il Papa ndr), che vi riceverà benignamente. Se 'l farete, averete pace e riposo spiritualmente e temporalmente, voi e tutta la Toscana: e tutta la guerra che, è di qua, anderà sopra gl'Infedeli, rizzandosi il gonfalone della santissima croce. E se non facesse di recarvi a buona pace, avrete il peggiore tempo, voi e tutta la Toscana che avessino mai e' nostri antichi. Non pensate che Dio dorma sopra l'ingiurie che sono fatte alla Sposa sua, ma veglia. E non ci paia altrimenti perché vediamo andare la prosperità innanzi; perocché sotto la prosperità è nascosta la disciplina della potente mano di Dio.

Poiché Dio è disposto a porgerci la misericordia sua, non state fratelli miei, più indurati; ma umiliatevi ora, mentreché avete il tempo. perocché l'anima che s'umilia, sarà sempre esaltata (così disse Cristo); e chi si esalta,sarà umiliato con la disciplina e co' flagelli e con battiture di Dio.”.
(Lettera 207 –CCVII- ai Signori di Firenze)




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Proemio, di Niccolò Tommaseo alla Lettera 24:
Il ministro di Dio sia fiore nello spirituale giardino. I sacerdoti rei danno puzza di sensualità, d'avarizia che vende i doni di Dio, di superbia suntuosa. Il Pievano svella le male barbe; non si faccia egli bruto. Le opere ree sono giudici nostre alla morte. Dolce ai giusti la morte.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

  “ A voi reverendissimo e carissimo padre mio in Cristo Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' Servi di Gesù Cristo scrivo a voi, e raccomandomivi nel prezioso sangue di esso Figliuolo di Dio; con desiderio di vedervi vero ministro suo, e che seguitiate sempre le vestigie sue. Siate, siate quel fior odorifero che dovete essere, e che gittate odore nel cospetto dolce di Dio. Sapete bene, che il fiore quando è stato molto nell'acqua, non gitta odore, ma puzza. Così pare a me veramente, padre, che voi e gli altri ministri dobbiate essere. Ma questo fiore quando è messo nell'acque delle iniquitadi e immondizie de' peccati e miserie del mondo, non rende odore, ma puzza. Oh quanto è misero e miserabile colui che è posto come fiore nella Chiesa Santa, a rendere ragione de' sudditi suoi! chè sapete, che Dio richiede nettezza e purità in loro. Oimè oimè, venerabile padre, egli si trova tutto il contrario; si e per siffatto modo che non tanto che siano eglino i puzzolenti, ma ancora sono guastatori di tutti coloro che s'accostano a loro. Levatevi dunque su, e non più dormite. Assai tempo abbiamo dormito, e morti state allo stato della Grazia. Non ci è più tempo, perocchè egli è sonato a codennagione; e siamo condannati alla morte. O dolcissimo padre, ragguardate un poco il pericoloso stato nostro, in quanto pericolo è annegato in questo mare amaro de' peccati mortali. Or non crediamo avere noi a giungere a questo punto della morte? Non dubitiamo; chè non è creatura che per ricchezza nè per gentilezza la possa schivare. Oh quanto sarà misera e miserabile allora quell'anima, la quale si è posto per specchio le dilezioni carnali, nelle quali si è involta, come porco nel loto. Onde di creatura razionale diventa animale bruto; involto ancora in quella putrida avarizia sua; tanto che spesse volte per avarizia e cupidità vende le grazie spirituali e doni. Enfiati per superbia; e tutta la vita loro si spende in onori e in conviti, e in molti servitori, e in cavalli grossi, quello che si dee ministrare a' poveri.

Queste sono quelle operazioni le quali al punto della morte si presentano per giudizio, e per giustizia dinanzi all'anima tapinella. Credeva l'anima misera avere fatto contro Dio, ed ella ha fatto contro a sè medesima; e è stata giudice, che ha condannato sè medesima, e èssi fatta degna della morte eternale. Or non siamo più semplici; perochè grande stoltizia è, che l'uomo si faccia degno della morte colà ond'egli può avere la vita.

   Poi, dunque, che sta a noi di eleggere o la vita o la morte, per lo libero arbitrio che Dio ha dato a noi; pregovi carissimamente e dolcissimamente, quanto so e posso, che voi siate quel dolce fiore che gittiate odore dinanzi a Dio e negli sudditi vostri. E siccome pastore vero, ponete la vita per le pecorelle vostre, se bisogna; correggendo il vizio, e confermando le virtù nelli virtuosi. Il non correggere infracida, siccome fa il membro corrotto nel corpo corrotto dell'uomo. Abbiate dunque l'occhio sopra di voi, e sopra li sudditi vostri. E non vi paia duro a divellere queste barbe; perocchè molto vi sarà più dolce il frutto, che la fadiga amara. O padre carissimo,ragguardate allo ineffabile amore che Dio ha alla salute nostra: aprite l'occhio a vedere gli smisurati beneficii e doni suoi. Ora è egli maggiore amore, che ponere la vita per l'amico suo? molto dunque maggiormente è da commendare colui che ha posta la vita per li nemici suoi. Or non si difendano più i cuori nostri; ma traggansi la durizia, e non sieno sempre pietra a uno modo. Rompasi questo legame e catena, col quale il dimonio spesse volte ci tiene legati; ma la forza del santo desiderio, e il dispregiamento dei vizii, e l'amore delle virtù romperà tutti questi legami. Innamoratevi dunque delle virtù vere, le quali il contrario fanno de' vizii; perocchè, come il peccato dà amaritudine, così la virtù dà dolcezza, e in questa vita si gusta vita eterna. E quando verrà ildolce tempo delle morte, la virtù adopererà; risponde per lui, e difendelo dal giudizio di Dio, e dàgli sicurtà; etollegli confusione, e educelo nella vita durabile, dove ha vita senza morte, sanità senza infirmità, ricchezze senza povertà, onore senza vituperio, signoria senza servitudine. Perocchè tutti vi sono signori; e tanto quanto l'uomo è stato minore in questa vita, tanto è maggiore di là; e quanto maggiore vorrà essere in questa vita, tanto sarà minore nell'altra.

   Siate dunque piccolo per vera e profonda umiltà; e ragguardate Dio, che è umiliato a voi uomo: e non vi fa indegno di quello che Dio v'ha fatto degno; cioè, del prezioso sangue del Figliuolo suo, del quale con tanto ardentissimo amore sete ricomperato. Noi siamo servi ricomperati; e non ci possiamo più vendere. Ma quando noi siamo nelli peccati mortali, noi ciechi ci vendiamo al dimonio. Pregovi dunque per amore di Cristo crocifisso, che noi esciamo di tanta servitudine. Non dico più; ma tanto vi dico, che li miei difetti sono infiniti; e promettovi cosi, di pigliare li miei e vostri, e faronne un fascio dimira, e porrommelo nel petto per continuo pianto e amatitudine: la quale amaritudine fondata in vera carità ci fa pervenire alla vera dolcezza e consolazione della vita durabile. Perdonate alla mia presunzione e superbia. Raccomandatemi, e benedicetemi tutta la famiglia in Cristo Gesù. Prego lui che vi doni quella sua dolce e eterna benedizione; e sia di tanta fortezza, che rompa e spezzi tutti li ligami che vi tollessero lui. Permanete nellasanta e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce. Gesù amore”.
(Lettera di S. Caterina da Siena a Biringhieri degli Arzocchi Pievano d'Asciano -Lettera 24 –XXIV)



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Lettera 16 (XVI) di Santa Caterina da Siena al card. Di Ostia,  citata da Paolo VI nella Proclamazione della Santa a Dottore della Chiesa il 4.10.1970:
Santa Caterina alterna, nella prima parte della lettera, brevi dialoghi fra lei e il Cristo Gesù che condivide così all’alto prelato a conferma dei suoi moniti per il bene delle anime e della Chiesa che non risparmia nella seconda parte della Lettera con suppliche ed insistente richiesta.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

   Reverendo e carissimo padre in Cristo Gesù, io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo crocifisso, scrivo a voi nel prezioso sangue suo: con desiderio di vedervi affamato del cibo della creatura per onore di Dio; imparando dalla prima dolce verità, che per fame e sete che egli ha della nostra salute, muore. Non pare che questo Agnello immacolato si possa saziare; grida in croce satollato da obbrobri, e dice che ha sete. Poniamochè corporalmente esso avesse sete, ma maggiore era la sete del santo desiderio che egli aveva della salute dell'anime. O inestimabile dolcissima Carità, e' non pare che tu dia tanto, dandoti a tanti tormenti, che non rimanga maggiore il desiderio che egli aveva della salute dell'anime di più voler dare tutto. N'è cagion l'amore. Non me ne maraviglio: chè l'amore tuo era infinito, e la pena era finita. E però gli era maggiore la croce del desiderio, che la croce del corpo.

   Questo mi ricordo che il dolce e buono Gesù manifestava una volta ad una serva sua. Vedendo ella in lui la croce del desiderio e la croce del corpo, ella dimandava: «Signore mio dolce, quale ti fu maggiore pena, o la pena del corpo, o la pena del desiderio?». Egli rispondeva dolce e benignamente, e diceva: «Figliuola mia, non dubitare: chè io ti fo sicura di questo; che veruna comparazione si può fare dalla cosa finita alla cosa infinita. Così ti pensa che la pena del corpo mi fu finita; ma il santo desiderio non finisce mai. Però io portai la croce del santo desiderio. E non ti ricorda, figliuola mia, che una volta, quando ti manifestai la mia natività, tu mi vedevi fanciullo parvolo, nato con la croce al collo? Perch'io ti fo sapere, che come io, Parola incarnata, fui seminata nel ventre di Maria, mi si cominciò la croce del desiderio ch'io avevo di fare l'obbedienzia del Padre mio, e d'adempire la sua volontà nell'uomo; cioè che l'uomo fusse restituito a Grazia, e ricevesse il fine pel quale egli fu creato. Questa croce m'era maggiore pena che veruna altra pena ch'io portassi mai corporalmente. E però lo spirito mio esultò con grandissime letizie, quando mi vidi condotto all'ultimo; e specialmente nella cena del Giovedì santo. E però dissi: con desiderio ho desiderato di fare questa pasqua; cioè di fare sacrificio del corpo mio al Padre. Grandissima letizia e consolazione avevo, perchè vedevo apparecchiare il tempo disposto a tormi questa croce del desiderio; cioè che quanto più mi vidi giugnere a' flagelli e a'tormenti corporali, tanto mi scemava più la pena. Chè con la pena corporale si cacciava la pena del desiderio; perchè vedevo adempito quello che io desideravo». Ella rispondeva e diceva: «O Signor mio dolce, tu dici che questa pena della croce del desiderio ti si partì in croce. In che modo fu? Or perdesti tu il desiderio di me?». Ed egli diceva: «Figliuola mia dolce, no. Chè, morendo io in su la croce, terminò la pena del santo desiderio ad un'ora con la vita; ma non terminò il desiderio e la fame che io ho della salute vostra. Che se l'amore ineffabile che io ebbi e ho all'umana generazione fusse terminato e finito, voi non sareste. Perocchè, come l'amore vi trasse dal seno del Padre mio, creandovi con la sapienza sua; così esso amore vi conserva: che voi non sete fatti d'altro che d'amore. Se ritraesse a sè l'amore con quella potenzia e sapienzia con la quale egli vi creò, voi non sareste. Io, unigenito Figliuolo di Dio, sono fatto uno condotto che vi porge l'acqua della Grazia. Io vi manifesto l'affetto del Padre mio: perocchè quello affetto che egli ha, e io ho; e quello che ho io, egli ha: perchè sono una cosa col Padre, e il Padre è una cosa con meco; e per mezzo di me ha manifestato sè. E però dissi io: ciò che io ho avuto dal Padre, io ho manifestato a voi. D'ogni cosa n'è cagione l'Amore».

(da qui Caterina parla direttamente al card. di Ostia) 

   Adunque ben vedete, reverendo padre, che il dolce e il buono Gesù amore, egli muore di sete e di fame della salute nostra. Io vi prego per l'amore di Cristo crocifisso che voi vi poniate per obietto la fame di questo Agnello. Questo desidera l'anima mia, di vedervi morire per santo e vero desiderio, cioè che per l'affetto e amore che voi arete all'onore di Dio, salute dell'anime ed esaltazione di santa Chiesa, ho volontà di vedervi tanto crescere questa fame, che sotto questa fame rimaneste morto. Chè, come il Figliuolo di Dio (come detto abbiamo) di fame morì: così voi rimagnate morto a ogni amore proprio di voi medesìmo; e a ogni passione sensitiva rimanga morta la volontà e l'appetito; a stati e delizie del mondo, al piacere del secolo e di tutte le pompe sue. Non dubito che se l'occhio del cognoscimento si volge a ragguardare voi medesimo, cognoscendo voi non essere, troverete l'essere vostro dato a voi con tanto fuoco d'amore. Dico che il cuore e l'affetto vostro non potrà tenersi che non si spasmi per amore: non cì potrà vivere amore proprio; non cercherà sè per sè per propria sua utilità, ma cercherà sè per onore di Dio, nè 'l prossimo per sè, per utilità propria, ma amerallo e desidererà la salute sua per loda e gloria del nome di Dio.

Perchè vede che Dio sommamente ama la creatura; e questa è la cagione che subito li servi di Dio amano tanto la creatura, perocchè veggono che sommamente l'ama il Creatore; e la condizione dell'amore è d'amare quello che ama colui che io amo. Dico che non amano Dio per sè, ma amalo in quanto è somma ed eterna Bontà degno d'essere amato. Veramente, padre, che costoro hanno messo a uscita la vita, perchè non pensano di loro più. Egli non vogliano altro che pene, strazii, tormenti e villanie: elli hanno in dispregio tutti li tormenti del mondo: tanto è maggiore la croce e pena che portano di vedere l'offesa e il vituperio di Dio, e la dannazione delle creature; ed è sì grande questa pena, che dimenticano il sentimento della vita propria. E non tanto che fuggano le pene, ma essi se ne dilettano e vannole cercando. Accordansi con quello dolce innamorato di Paolo che si gloriava nelle tribolazioni per l'amore di Cristo crocifisso. Or questo dolce banditore voglio e pregovi che seguitiate.

   Oimè, oimè, disaventurata l'anima mia! Aprite l'occhio e ragguardate la perversità della morte che è venuta nel mondo, e singolarmente nel corpo della santa Chiesa. Oimè, scoppi il cuore e l'anima vostra a vedere tante offese di Dio. Vedete, padre, che 'l lupo infernale ne porta la creatura, le pecorelle che si pascono nel giardino della santa Chiesa; e non si trova chi si muova a trargliele di bocca. Li pastori dormono nell'amor proprio di loro medesimi, in una cupidità e immondizia: sono sì ebbri di superbia, che dormono e non si sentono, perchè veggano che il diavolo, lupo infernale, se ne porti la vita della Grazia in loro e anco quella de' sudditi loro. Essi non se ne curano: e tutto n'è cagione la perversità dell'amore proprio.   

 
Oh quanto è pericoloso questo amore nelli prelati e nelli sudditi! S'egli è prelato ed egli ha amore proprio, egli non corregge il difetto de' suoi sudditi; perocchè colui che ama sè per sè, cade in timore servile, e però non riprende. Che se egli amasse sè per Dio, non temerebbe di timore servile; ma arditamente con virile cuore riprenderebbe li difetti e non tacerebbe nè farebbe vista di non vedere. Di questo amore voglio che siate privato, padre carissimo. Pregovi che facciate sì che non sia detta a voi quella dura parola con riprensione dalla prima verità, dicendo: «maladetto sia tu che tacesti».
Oimè, non più tacere
!

 Gridate con cento migliaia di lingue. Veggo che, per tacere, il mondo è guasto, la Sposa di Cristo è impallidita, toltogli è il colore, perchè gli è succhiato il sangue da dosso, cìoè che il sangue di Cristo, che è dato per grazia e non per debito, egli sel furano con la superbia, tollendo l'onore che debbe essere di Dio, e dannolo a loro; e si ruba per simonia, vendendo i doni e le grazie che ci sono dati per grazia col prezzo del sangue del Figliuolo di Dio. Oimè! ch'io muoio, e non posso morire. Non dormite più in negligenzia; adoperate nel tempo presente ciò che si può. Credo che vi verrà altro tempo che anco potrete più adoperare; ma ora pel tempo presente v'invito a spogliare l'anima vostra d'ogni amore proprio, e vestirla di fame e di virtù reale e vera, a onore di Dio e salute dell'anime. Confortatevi in Cristo Gesù dolce amore: chè tosto vedremo apparire i fiori.

Studiate che il gonfalone della croce tosto si levi; e non venga meno il cuore e l'affetto vostro per veruno inconveniente che vedeste venire; ma più allora vi confortate, pensando che Cristo crocifisso sarà il facitore e adempitore degli spasmati desiderii de' servi di Dio. Non dico più. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso: ponetevi in croce con Cristo crocifisso: nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso: fatevi bagno nel sangue di Cristo crocifisso.

   Perdonate, padre, alla mia presunzione. Gesù dolce, Gesù Amore.

 

 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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12/01/2011 16:21

[SM=g1740733]

Cari Amici,
quest'anno ricorre il 40° della Proclamazione di santa Caterina da Siena a Dottore della Chiesa e il 550° dalla Canonizzazione....
padre Angelo Belloni, con altri, hanno ideato questo Calendario non solo per ricordare la nostra Patrona d'Italia, ma anche come occasione per le Opere missionarie Domenicane in Guatemala con il nostro contributo....
Chi fosse interessato, clicchi qui:
www.preticattolici.it/


www.gloria.tv/?media=122603




[SM=g1740738]


[SM=g1740717] [SM=g1740720]


[SM=g1740733]


[SM=g1740733] RIEPILOGO Audio dal Dialogo della Divina Provvidenza di Santa Caterina da Siena

Dopo la breve presentazione e il primo audio con il capitolo 115 che troverete qui:
it.gloria.tv/?media=112231(1)
e dove si parla del primato petrino....

qui troverete il capitolo 116:http://it.gloria.tv/?media=112263 (2)
"chi perseguita un Sacerdote, perseguita Dio"

Seguono ora due capitoli insieme il 122 e il 123,
it.gloria.tv/?media=112470(3)
"come nei Ministri cattivi regna l'ingiustizia soprattutto nel non correggere i sudditi, Caterina spiega poi nel capi. 123 quali siano i difetti dei Ministri che maggiormente offendono Dio e il Prossimo."

Segue ora il capitolo 124
it.gloria.tv/?media=112704(4)
" santa Caterina ascolta dalla Divina Provvidenza il dolore che certi Ministri procurano con il peccato contro natura.... e narra di una visione che Caterina ebbe...."

Vi offriamo ora il capitolo 126 (5)
it.gloria.tv/?media=112956
La Divina Provvidenza spiega a santa Caterina gli effetti del peccato della lussuria all'interno dell Chiesa......

Con questo audio termina, per ora, questa Lettura
...


[SM=g1740738]

[SM=g1740750] [SM=g1740752]

[Modificato da Caterina63 12/01/2011 16:25]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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12/01/2011 19:45

Dall'amico Nicola volentieri ricevo e giro a voi il seguente LINK


ALCUNI BRANI DI CATERINA SULLA PACE


L. 209 Al santo padre papa Gregorio XI, poi che fu giunto a Roma.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e reverendissimo padre in Cristo dolce Gesù, la vostra indegna figlia Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrive a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi giunto alla pace, pacificato voi i figliuogli con voi; la quale pace Dio vi richiede, e vuole che ne facciate ciò che potete.

Oimé, non pare che voglia che noi attendiamo tanto alla signoria e sostanza temporale che non si vegga quanta è la distruzione delle anime e vituperio di Dio, lo quale segue per la guerra. Parmi che Dio voglia che voi apriate l'occhio dell'intelletto sopra la bellezza dell'anima e sopra lo sangue del Figlio suo; del quale sangue lavò la faccia dell'anima nostra, e voi ne sete ministro. Invitavi a la fame del cibo delle anime, ché colui che ha fame de l'onore di Dio e della salute delle pecorelle, per ricoverarle e trarle delle mani deli demoni egli lassa andare la vita sua corporale, non tanto che la sustanzia.

Bene che potreste dire, santo padre: «Per coscienza io sono tenuto di conservare e riacquistare quello della Chiesa». Oimé, io confesso bene che egli è la verità, ma parmi che quella cosa che è più cara, si debba meglio guardare. Lo tesoro della Chiesa è lo sangue di Cristo, dato in prezzo per l'anima - ché lo tesoro del sangue non è pagato per la sostanza temporale, ma per salute de l'umana generazione -, sì che, poniamo che siate tenuto di riacquistare e conservare lo tesoro e la signoria de le città, la quale la Chiesa ha perduta, molto maggiormente sete tenuto a riacquistare tante pecorelle che sono uno tesoro nella Chiesa, che troppo ne impoverisce quando ella le perde. Non che impoverisca in sé, ché lo sangue di Cristo non può diminuire, ma perde uno adornamento di gloria, lo quale riceve da l'anime virtuose obbedienti e suddite a lei. Meglio ci è dunque lasciare andare lo loto delle cose temporali che l'oro delle spirituali. Fate quello che si può, e, fatto lo potere, scusato sete dinanzi a Dio e agli uomini del mondo. Voi gli batterete più col bastone de la benignità, dell'amore e pace, che col bastone della guerra; e verràvi riavuto lo vostro spiritualmente e temporalmente.

Ristrignendosi l'anima mia fra sé e Dio, con grande fame della salute vostra e riformazione della santa Chiesa e bene di tutto quanto lo mondo, non pare che Dio manifesti altro remedio, né io vedo altro in lui, che quello della pace. Pace, pace, per l'amore di Cristo crocifisso! Non guardate all'ignoranza, cecità e superbia dei figli vostri; con la pace lo' trarrete la guerra e rancore del cuore e la divisione, e unireteli.

Con la virtù caccerete lo demonio.

Apritemi bene l'occhio dell'intelletto, con fame e desiderio della salute delle anime, a guardare due mali: male nella grandezza, signoria e sustanzia temporale, la quale vi pare essere tenuto di racquistare; l'altro male è di vedere perdere la grazia nell'anime, e l'obbedienzia la quale debbono avere alla Santità vostra. E così molto maggiormente sete tenuto di racquistare l'anime. Poi che l'occhio dell'intelletto ha veduto e discerne quale è lo meno male, voi, santissimo padre, che sete in mezzo di questi così grandi due mali, dovete eleggiare lo minore: scegliendo lo minore per fuggire lo maggiore, perderete l'uno male e l'altro; e amenduni torneranno in bene: cioè che avrete in pace racquistati i figli, e avarete lo debito vostro.

Mia colpa! che io non dico questo però per insegnarvi, ma sono constretta da la prima dolce Verità e dal desiderio che io ho, babbo mio dolce, di vedervi pacificato, in quiete l'anima e il corpo; ché con queste guerre e malaventura non vedo che potiate avere una ora di bene. Distruggesi quello dei poveri nei soldati, i quali sono mangiatori de la carne degli uomini, e vedo che impedisce lo santo vostro desiderio, lo quale avete della riformazione della Sposa vostra.

Riformarla, dico, di buoni pastori e rettori; e voi sapete che con la guerra malagevolmente lo potete fare, ché - parendovi avere bisogno di principi e signori - la necessità vi parrà che vi stringa di fare i pastori a modo loro, e non vostro; bene che ella è pessima ragione che, per veruno bisogno che si veda, io metta però pastori o altri, chi si sia, nella Chiesa, che non sia tutto virtuoso e persona che non cerchi sé per sé, ma cerchi sé per Dio, cercando la gloria e loda del nome suo. E non debba essere enfiato per superbia, né porco per immondizia, né foglia che si volla al vento delle pompe ricchezze e vanità del mondo. Oimé, non così, per l'amore di Cristo crocifisso, e per la salute dell'anima vostra! Togliete via la cagione della guerra, quanto è possibile a voi, affinché non veniate in questo inconveniente di fargli secondo la volontà degli uomini, e non secondo la volontà di Dio e desiderio vostro.

Voi avete bisogno dell'aiuto di Cristo crocifisso: in lui ponete l'affetto e il desiderio, e non in uomo e aiuto umano, ma in Cristo dolce Gesù, la cui vece voi tenete, ché i pare che egli voglia che la Chiesa torni al primo dolce stato suo. O quanto sarà beata l'anima vostra e mia che io veda voi essere cominciatore di tanto bene, che alle vostre mani quello che Dio permette per forza, si facci per amore! Questo sarà lo modo a farlo: con pace, e con pastori veri e virtuosi e umili servi di Dio, ché ne troverete, se piacerà alla Santità vostra di cercargli. Ché sono due cose per che la Chiesa perde e ha perduto i beni temporali, cioè per la guerra e per lo mancamento della virtù; ché colà dove non ha virtù, sempre ha guerra col suo Creatore, sì che la guerra n'è cagione. Ora dico che, a volere riacquistare quello che è perduto, non c'è altro remedio se non col contrario di quello con che è perduto: riacquistare con pace e virtù, come detto è. A questo modo adempirete l'altro santo desiderio vostro e dei servi di Dio, e di me misera miserabile: di racquistare le tapinelle anime degl'infedeli che non participano lo sangue de lo dissanguato e consumato Agnello. Or vedete, santissimo padre, quanto è lo bene che se ne impedisce, e quanto è lo male che ne segue e che se ne fa: spero per la bontà di Dio e nella Santità vostra che, giusta al vostro potere, v'ingegnarete di ponare lo remedio detto della santissima pace. Questa è la volontà di Dio.

E dicovi, da parte dolcissima sua, che di questo e dell'altre cose che avete a fare voi pigliate consiglio da' veri servi di Dio, che vi consigliaranno in verità; e di loro vi dilettate, ché n'avete bisogno. E però sarà bene, ch'è di grande necessità, che voi gli teniate allato a voi, mettendogli per colonne nel corpo mistico della santa Chiesa. Credo che frate Iacopo da Padova, portatore di questa lettera, sia uno vero dolce servo di Dio, lo quale vi racomando; e pregovi che piaccia alla Santità vostra che lui e gli altri vi vogliate sempre vedere apresso. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Perdonate alla mia presunzione. Umilemente v'adimando la vostra benedizione. Gesù dolce, Gesù amore.


Lettera 219 al B. Raimondo

..E crescendo in me il fuoco del santo desiderio, mirando, vedevo entrare nel costato di Cristo Crocifisso cristiani e non   ; e io passavo, per desiderio e affetto d'amore, grazie a loro, ed entravo con loro in Cristo dolce Gesù accompagnata dal padre mio santo Domenico e S. Giovanni, con tutti quanti i figli miei. Allora mi dava la croce in collo e l'ulivo in mano, quasi come volesse, e così diceva, che io la portassi all'uno popolo e all'altro; e diceva a me: «Di' a loro: "Io vi annunzio una gioia grande"». Allora l'anima mia più si riempiva; abnegata era coi veri gustatori nella divina essenza, per unione e affetto d'amore. Ed era tanta la gioia dell'anima che non sentivo più la fatica passata, per le offese recate a  Dio e dicevo ancora: O felice e felice colpa!

Lettera 7 al Cardinale di Ostia

Io vi dissi che io desideravo di vedervi legato nel legame della carità; poiché voi sapete che veruna utilità di grazia né a noi né al prossimo possiamo fare senza la carità. La carità è quello dolce e santo legame che lega l'anima col suo Creatore; ella legò Dio nell’uomo, e l'uomo in Dio….Costei accorda i discordi; questa unisce i separati; ella arricchisce coloro che sono poveri della virtù, perché dà vita a tutte le virtù. Ella dona pace e toglie guerra; dona pazienza, fortezza e lunga perseveranza in ogni santa e buona opera; non si stanca mai; non si allontana mai dall'amore di Dio e del prossimo suo, né per pena né per strazio né ingiuria né scherni né villania. Non si muove per impazienza né a delizie né a piacimento, per delizie che il mondo gli potesse dare con tutte le lusinghe sue. Chi l'ha, è perseverante che giammai non si muove, perché egli è fondato sopra la viva pietra Cristo dolce Gesù; cioè, che ha imparato da lui a amare il suo Creatore, seguitando le vestigia sue. In lui ha letta la regola e la dottrina, perché egli è via verità e vita, e chi legge in lui, che è libro di vita, egli tiene per la via dritta: attende solo all'onore di Dio e alla salute del prossimo suo. Così fece esso Cristo dolce Gesù, e non ritrasse questo amore de l'onore del Padre e salute nostra né per pena, né per tormenti, né per le lusinghe che gli fossero fatte, né per ingratitudine nostra; egli persevera infine all'ultimo che egli ha compito questo desiderio, e compiuta l'opera che gli fu messa in mano dal Padre, di ricomprare l'umana generazione: così adempie l'onore del Padre e la salute nostra.


Lettera 103 a Benuccio di Piero

Io, figli miei, avendo desiderio de la salute vostra, vorrei che il coltello dell'odio fosse tolto da voi, e non faceste come gli stolti e matti; ché, volendo percuotere altrui, percuote sé, ed egli è lo primo morto, poiché colui che sta nell'odio mortale volendo uccidere lo suo nemico, egli s'ha dato prima per lo petto a sé, perché la punta dell'odio gli è fitta per lo cuore, lo quale l'ha morto a grazia. Non più guerra, per l'amore di Cristo crocifisso; non vogliate tenere in tormento l'anima e il corpo. Abbiate timore del divino giudizio, lo quale è sempre sopra di noi.


Lettera 171 a Nicolò Soderini

Prego voi, Nicolò, per quello amore ineffabile col quale Dio v'ha creato e ricomprato tanto dolcemente, che voi vi studiate, secondo il vostro potere - ché senza grande mistero non v'ha Dio posto costì -, di fare che la pace e l'unione tra voi e la santa Chiesa si faccia, affinché voi e tutta la Toscana non siate in pericolo. Non mi pare che la guerra sia sì dolce cosa che tanto la dovessimo seguire, potendola togliere. Ora vi è più dolce cosa che la pace? Certo no. Questo fu quello dolce testamento e lezione che Cristo lasciò ai discepoli suoi; così disse egli: «Voi non sarete conosciuti che siate miei discepoli per fare miracoli, né per sapere le cose future, né per mostrare grande santità in atti di fuori, ma se avrete carità e pace e amore insieme» (Gv 13,35).

Voglio dunque che pigliate l'officio degli angeli, che sono mezzo ingegnandosi di pacificarci con Dio; fatene ciò che potete, e non mirate per veruna cosa, né per piacere né per dispiacere. Attendete solo all'onore di Dio e a la salute vostra; eziandio se la vita ne dovesse andare, non vi ritragga mai di dire la verità per veruno timore che il demonio o le creature vi volessero mettere: ponetevi per scudo e per difesa il timore di Dio, vedendo che l'occhio suo è sopra di noi e guarda sempre l’intenzione e volontà dell’uomo, come ella è orientata a lui.

 Or non vogliate, per l'amore di Dio, aspettare questo tempo, ma ponete in voi la vera letizia, cioè de la pace e dell'unione. A questo modo sarete veri figli, participarete e avarete la eredità del Padre eterno. Non dico più, ché tanto è lo duolo e la pena che io ne porto per lo danno delle anime e dei corpi vostri, che, affinché questo non fosse, io sosterrei con grande desiderio di dare mille volte la vita, se tanto potesse.



Lettera 218 a Gregorio XI

Spero nella smisurata bontà di Dio che riacquisterete l'infedeli e correggerete le malizie dei cristiani, poiché all'odore della croce tutti correranno, anche coloro che più sono stati ribelli a voi. O quanto diletto sarà quello, se noi vedessimo che il popolo cristiano desse lo condimento della fede all'infedele! Perché poi, avendo ricevuto il lume, verrebbe a grande perfezione, sì come pianta novella, avendo perduta la freddezza delle infedeltà e ricevendo il caldo e lume de lo Spirito santo per la santa fede, e produrrebbe fiori e frutti delle virtù nel corpo mistico de la santa Chiesa.

Sì che con l'odore delle loro virtù, aiuterebbero a spegnare i vizi e peccati, superbia e immondizia, le quali oggi abbondano nel popolo cristiano, e singolarmente nei prelati e pastori e rettori de la santa Chiesa, i quali sono fatti mangiatori e divoratori delle anime, non convertitori ma divoratori; e tutto è per l'amore proprio che hanno a loro medesimi, del quale nasce superbia e cupidità, avarizia e immondizia del corpo e della mente loro. Vedono i lupi infernali portarne i sudditi loro, e non pare che se ne curino, tanta è la cura che hanno presa in acquistare diletti e delizie, lode e piaceri del mondo. E tutto procede dall'amore proprio di sé medesimo, ché, se egli amasse sé per Dio e non sé per sé, egli attenderebbe solo all'onore di Dio e non al suo, e a utilità del prossimo e non a utilità propria sensitiva.

Oimé, babbo mio dolce, procurate e attendete sopra costoro; cercate i buoni uomini e virtuosi, e a loro date la cura delle pecorelle: questi cotali saranno agnelli e non lupi, che si nutriranno nel corpo mistico de la santa Chiesa. A noi sarà utilità e a voi sarà grande pace e consolazione: vi aiuteranno a portare le grandi fatiche che io so che voi avete.



Lettera 252 a Gregorio XI

Voglio che siate un albero d'amore innestato nel Verbo amore, Cristo crocifisso, lo quale albero, per onore di Dio e salute delle pecorelle vostre, tenga la radice nella profonda umiltà. Se voi sarete albero d'amore, radicato così dolcemente, troverete in voi, albero d'amore, nella cima il frutto della pazienza e fortezza, e nel mezzo la perseveranza coronata; e troverete nelle pene pace e quiete e consolazione, vedendovi conformare in pena con Cristo crocifisso; e così, nel sostenere con Cristo crocifisso, con gaudio verrete dalla molta guerra alla molta pace.

Pace pace, santissimo padre! Piaccia alla santità vostra di ricevere i vostri figli che hanno offeso voi, padre. La benignità vostra vinca la loro malizia e superbia. Non vi sarà vergogna d'inchinarvi per placare lo cattivo figlio, ma vi sarà grandissimo onore e utilità nel cospetto di Dio e degl'uomini del mondo.

Oimé, babbo, non più guerra per qualunque modo - conservando la vostra coscienza - si può avere la pace…. Seguitate la mansuetudine e pazienza de l'Agnello immacolato Cristo dolce Gesù, la cui vece tenete. Confido che, di questo e delle altre cose, adoperarà tanto in voi che s'adempirà lo desiderio vostro e mio - che altro desiderio in questa vita io non ho -, cioè di vedere l'onore di Dio, la pace vostra e la riformazione della santa Chiesa; e di vedere la vita della grazia in ogni creatura ragionevole.



Lettera 267 a Raimondo da Capua

Sì che io spero, per la divina bontà, che volgerà l'occhio della sua misericordia verso della Sposa di Cristo e del vicario suo, e verso di me, togliendomi i difetti e la mia ignoranza; e verso della sposa in darle refrigerio di pace e di rinnovazione, con molto sostenere - poiché in altro modo che senza fatica non si possono togliere le spine dei molti difetti, che affogano lo giardino della santa Chiesa -; e a lui farà grazia colà dove egli voglia essere uomo virile, e non volgere lo capo indietro per alcuna fatica o persecuzione che egli riceva dagl'iniqui figli; ma, costante e perseverante, non schifi il lavoro ma, come uno agnello, si getti nel mezzo dei lupi (Mt 9,16), con fame e desiderio de l'onore di Dio e della salute delle anime, lasciando e alienando la cura delle cose temporali - e attendere a le spirituali -. Facendo così - che gli è richiesto da la divina bontà -, l'agnello signoreggerà i lupi, e i lupi torneranno agnelli; e così vedremo la gloria e la loda del nome di Dio, bene pace e utilità della santa Chiesa. Per altra via non si può fare; non con guerra, ma con pace e benignità, con quella santa punizione spirituale che deve dare lo padre al suo figlio quando commette la colpa.


[Modificato da Caterina63 12/01/2011 19:46]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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05/05/2013 23:14

Santa Caterina da Siena: la donna che salvò il cattolicesimo

st catherine of siena

E’ uso comune anche nelle analisi storiche più accurate, considerare la Chiesa Cattolica Romana come un’entità ai vertici del mondo medievale, sovrana indiscussa di tutto il mondo conosciuto, inoppugnabile autorità in grado di sovrastare anche il volere di imperi.
Se da un lato effettivamente il Cristianesimo giocava un ruolo fondamentale nel quadro culturale dell’Europa medievale, dall’altro doveva molto spesso subordinarsi alla realtà politica, soprattutto se a dettarla era una superpotenza.
In questo quadro vanno inserite le infinite lotte tra Chiesa Romana e Sacro Romano Impero, lo Scisma d’Oriente e ovviamente il trasferimento del Papato ad Avignone da parte del re di Francia, nel 1309.

Se la Chiesa sopravvisse a quel settantennio di vero e proprio vassallaggio nei confronti della corona francese, lo si deve principalmente ad un eccellente operato diplomatico, di cui il più grande fautore è stata una donna. Una giovane suora domenicana, per l’esattezza: Caterina Benincasa.

Mistica e teologa (nonostante fosse semi-analfabeta), Caterina è “Dottore della Chiesa” per nomina di Paolo VI, nonché patrona d’Italia e di tutta l’Europa .
Nata nel rione di Fontebranda a Siena il 25 marzo 1347 da una famiglia molto numerosa, a soli 6 anni ha una visione di Gesù Cristo vestito con le insegne papali ed accompagnato da San Paolo e San Giovanni.
Animata fin da subito da profondo zelo, si ritiene che già a 7 anni Caterina faccia voto di castità, tanto da portarla a scontrarsi con i genitori verso i 12 anni, età in cui era maritabile.
La ragazza si taglia completamente i capelli in atto di protesta, coprendosi il capo con un velo e intensificando la condotta di vita para-monacale che già conduceva.

Avendola trovata a pregare con una colomba sulla testa, i genitori si rendono conto di quanto sia accesa la sua spiritualità e finalmente le consentono di entrare nelle “Mantellate”, terz’ordine laicale legato ai Domenicani.

Racconta poi di essersi approcciata direttamente alle Sacre Scritture, imparando miracolosamente a leggere in breve tempo.
Inoltre descrive un’altra visione, avuta al termine del Carnevale 1367, in cui Cristo, donandole un anello di rubini, la sposa a sé nella Fede.

Animata da un fervore ancora più intenso, Caterina non sopporta la situazione circostante e si attiva in prima persona per il soccorso degli infermi, dei poveri e persino dei carcerati.

Attacca poi le istituzioni e i governi, colpevoli di aver resto <<l’Italia corsa dalle compagnie di ventura e dilaniata dalle lotte intestine; il regno di Napoli travolto dall’incostanza e dalla lussuria della regina Giovanna;>>

Nel corso della “guerra fredda” tra Papato e fiorentini, viene ricevuta da Gregorio XI ad Avignone che, seppur affascinato dalla sua integrità e forza d’animo, non si fa convincere ad accettare la pace.

Caterina però non demorde e continua ad inviare lettere al papa invitandolo a liberarsi dal giogo francese e tornare a Roma.

Gli sforzi diplomatici di Caterina si concretizzano il 17 gennaio 1377 quando Gregorio XI, per la prima volta dopo 68 anni, rimette piede nella Città Eterna.

Trascorre i suoi ultimi anni cercando di pacificare i rapporti tra Firenze e Roma, e contrastando l’anti-papato di Fondi istituito dai francesi.

Caterina esala l’ultimo respiro nella sua Siena, il 29 aprile 1380 a 33 anni, stando alle fonti agiografiche dopo un’astinenza forzata dal bere dell’incredibile durata di un mese.

Papa Pio II la eleverà all’onore degli altari nel 1467.

Lorenzo Roselli

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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