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Il Magistero Pontificio su Santa Caterina da Siena

Ultimo Aggiornamento: 29/04/2012 21:53
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13/02/2009 08:32

LETTERA APOSTOLICA
AMANTISSIMA PROVIDENTIA
DEL SOMMO PONTEFICE
PAPA GIOVANNI PAOLO II
PER IL VI CENTENARIO
DEL TRANSITO DI S.CATERINA DA SIENA


                                               

Venerati fratelli e diletti figli,
salute e apostolica benedizione.

INTRODUZIONE

L'amabile provvidenza divina si manifesta in vari modi protagonista della storia, accendendo sempre nuove luci sul cammino dell'uomo. Spesso sceglie per questo delle persone apparentemente disadatte e ne eleva talmente le facoltà native, da renderle capaci di azioni assolutamente superiori alla loro portata. E questo fa non tanto per confondere la sapienza dei sapienti (1Cor 1,19), quanto per mettere in luce la sua opera, che non ha bisogno di sostegni umani, e per indicare più chiaramente agli uomini a quale dignità li eleva la sua grazia e a quali grandezze ancora maggiori può e vuole condurli la sua guida.

Ciò è particolarmente evidente nella vita e nelle opere di santa Caterina da Siena, di cui quest'anno si celebra il sesto centenario della pia morte. Sono lieto per questo di additarla nuovamente all'esempio dei fedeli, non solo d'Italia, ma del mondo intero. In lei infatti il divino Spirito fece risplendere meravigliosi arricchimenti di grazia e di umanità, per mezzo dei doni di sapienza, d'intelletto e di scienza, coi quali la mente umana diventa estremamente sensibile alle divine ispirazioni, «nella conoscenza delle cose divine e delle umane» (S.Thomae «Summa Theologiae», I-IIae, q. 68, a. 5 ad 1).

A lei si possono perciò applicare le parole del salmista: «Hai spianato la via ai miei passi, i miei piedi non hanno vacillato» (Sal 17 ). E ancora: «Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio cuore» (Sal 118 (119),32).

L'esperienza umana e divina

1. Le condizioni d'Italia e dell'Europa non erano felici, quando venne alla luce in Siena, nel 1347, la piccola Caterina. Già si profilava all'orizzonte la tristemente famosa «peste nera», che l'anno dopo infierì dovunque e seminò la desolazione e la morte in ogni paese e quasi in ogni famiglia.

Altri mali funestavano il mondo civile, come le guerre, particolarmente quella dei cento anni tra Francia e Inghilterra, e le incursioni delle compagnie di ventura. Nel mondo religioso tutto quel secolo è riempito, per tre quarti, dal soggiorno dei Papi in Avignone, e poi dal grande scisma d'occidente, che si prolungò fino al 1417. La storia della mantellata senese s'inserisce vivamente in queste situazioni e vi fa anche da protagonista.

Figlia di un tintore di panni, penultima di 25 nati, Caterina prese molto presto coscienza dei bisogni del mondo e, attratta dall'ideale apostolico domenicano, volle entrare nelle file del terz'ordine o, come allora si diceva in Siena, tra le mantellate, le quali, pur non essendo suore né vivendo in comunità, portavano l'abito bianco e il mantello nero dell'ordine dei predicatori. Giovanissima, già si distingueva per la carità verso i poveri e gli ammalati, la pazienza nel sopportare le maldicenze degli uomini e le battaglie interiori col demonio, la saggezza e l'umiltà degli atteggiamenti e dei pensieri.

Intanto si esercitava in un coraggioso programma ascetico, basato su criteri efficienti, che avrebbe più tardi inculcati ai suoi discepoli: «Non lasciar passare i movimenti (della natura disordinata) che non siano corretti» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 73, p. 161; cfr. c. 60; «Epistulae», passim).

Le si raggruppava poi intorno una varia accolta di discepoli d'ogni ceto, attratti dalla sua pura fede e dalla schietta accoglienza della parola di Dio, senza mezzi termini e senza compromessi. Erano laici, mantellate e religiosi di vari ordini, alcuni conquistati da fatti prodigiosi. Tutti ricevevano da lei una singolare assicurazione, di cui spesso sperimentavano la validità: quella d'assisterli dovunque fossero e di pagare anche per i loro errori (cfr. S.Catharinae Senensis «Epist.» 99).

Il Signore la istruiva, come un maestro con la sua alunna, e le scopriva a grado a grado «quelle cose che sarebbero state utili all'anima sua» (Raimundi Capuani «Legenda Maior» [in «Acta Sanctorum», Apr.]).

Il progresso spirituale culminò con lo sposalizio nella fede, che poteva sembrare il sigillo di una vita votata all'isolamento e alla contemplazione. Invece il Signore, nel darle l'anello invisibile, intendeva unirla a sé nelle imprese del suo regno (Raimundi Capuani «Legenda Maior» [in «Acta Sanctorum», Apr.], par. 115). La popolana ventenne vedeva ciò in termini di separazione dallo Sposo celeste, ma egli invece la rassicurava che intendeva stringerla di più a sé «mediante la carità del prossimo» (Raimundi Capuani «Legenda Maior» [in «Acta Sanctorum», Apr.], par. 115), cioè contemporaneamente sul piano della mistica interiore e su quello dell'azione esteriore o della mistica sociale, com'è stato detto (J.Leclercq «La mystique de l'apostolat», 1922-1947).

Fu come un'impennata verso più ampi spazi, che s'aprivano davanti alla sua mente e alla sua iniziativa. Passò dalla conversione di singoli peccatori alla riconciliazione tra persone o famiglie avversarie; alla rappacificazione fra città e repubbliche. Non ebbe paura di passare tra le fazioni in armi né s'arrestò di fronte al dilatarsi degli orizzonti, che da principio l'avevano spaventata fino al pianto. L'impulso del maestro divino svelò in lei come un'umanità d'accrescimento. Per lei, figlia d'artigiani e donna senza lettere, cioè senza scuola né istruzione, la visione del mondo e dei suoi problemi superò enormemente i limiti del suo quartiere, fino a progettare la sua azione in termini mondiali. Al suo ardire non c'eran più limiti, né alla sua ansia per la salvezza degli uomini. Un giorno, racconta lei stessa, il Signore le dette «la croce in collo e l'ulivo in mano», da portare all'uno e all'altro popolo, il cristiano e l'infedele, come se Cristo la sollevasse alle proprie dimensioni universali della salvezza (S.Catharinae Senensis «Epist.» 219 vel LXV).

Per renderla più conforme al suo mistero di redenzione e prepararla al suo indefesso apostolato, il Signore concesse a Caterina il dono delle stigmate. Ciò avvenne nella chiesa di Santa Cristina, a Pisa, il 1° aprile 1375.

Caterina ha 29 anni ed è giunta al punto di rendersi conto della grandezza del suo compito: «ricomporre l'equilibrio della cristianità» (G.La Pira, in Comm. «Vita Cristiana», 1940, p. 206). Da anni propugnava il «santo passaggio», cioè la crociata per la liberazione dei luoghi santi, sia per distogliere le armi cristiane dalle guerre fratricide (cfr. S.Catharinae Senensis «Epist.» 206, vel LXIII), sia per dare «il condimento della fede» agli infedeli (S.Catharinae Senensis «Epist.» 218 vel LXXIV).

Nella stessa maniera, e se possibile anche più appassionata, incoraggiava il Papa alla riforma morale della Chiesa, cominciando con l'elezione di buoni pastori. Su questo tema trovava gli accenti più infiammati, perché per lei «la Chiesa non è altro che esso Cristo» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 171 vel LX). Ella rimprovera e denunzia i disordini, ma con animo tutto accorato, manifestando per la Chiesa una tenerezza materna, accoppiata a virilità di proposte, quando scrive a Gregorio XI: «Andate tosto alla sposa vostra, che vi aspetta tutta impallidita, perché gli poniate il colore» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 231 vel LXXVII). «Reponetele il cuore, che ha perduto, dell'ardentissima carità: ché tanto sangue le è succhiato per l'iniqui devoratori che è tutta impallidita» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 206 vel LXIII).

Ormai s'avvicina il momento della sua impresa più gloriosa. Nel giugno 1376 si recò ad Avignone, come mediatrice di pace tra la santa Sede e Firenze. La questione era difficile: si sarebbe risolta due anni dopo, non senza una sua nuova mediazione. Ma Caterina aveva a cuore cose anche più grandi. S'era fatta precedere dal suo confessore fra Raimondo da Capua, affidandogli la lettera ora citata, in cui espone al pontefice «da parte di Cristo crocifisso» le tre principali cose che egli deve fare per avere pace in ogni direzione: piantare degni pastori, innalzare il gonfalone della croce per la crociata, e riportare la sede papale a Roma.

Le sue parole risuonano di una forte eco profetica, specialmente quando tocca il tasto della povertà della Chiesa e del danno che le porta la cura dei beni temporali. Sul ritorno del vicario di Cristo alla sua sede non ha titubanza: «Rispondete allo Spirito Santo che vi chiama. Io vi dico: venite, venite, venite». E, dopo averlo esortato a venire «come agnello mansueto», per ridare forza al suo messaggio, aggiunge con rispettosa franchezza: «siatemi uomo virile e non timoroso» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 206 vel LXIII). La pena della lunga attesa e della rovina delle anime le strappa dal cuore, in una lettera successiva, questo grido: «Oimé, Padre, io muoio di dolore e non posso morire» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 196 vel LXIV).

Giunta ad Avignone il 18 giugno, poté far valere a voce, anche in incontri diretti col Papa, il senso improrogabile del dovere, parlandogli senza presunzione né timidezza. Il pio pontefice che tardava a prendere l'ultima decisione dovette convincersi che per bocca di lei parlava realmente il Signore e lo certificava della sua volontà. Gregorio XI lasciò definitivamente Avignone il 13 settembre 1376 ed entrò in Roma fra un delirio di popolo festante il 17 gennaio 1377.


Più tardi dopo una lunga missione in Valdorcia Caterina riprese in mano la questione della pace coi fiorentini, corse anche pericolo, in uno dei tumulti dell'estate 1378, di essere uccisa; e lei, che s'era vista a un punto dal martirio, scriveva poi quasi delusa: «Lo Sposo eterno mi fece una grande beffa» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 295).

Purtroppo quell'anno, scomparso Gregorio XI ed eletto tra burrascosi incidenti Urbano VI, uomo devoto all'austerità dei costumi e all'ideale della riforma morale, scoppiò il grande scisma, che doveva turbare l'unità della Chiesa per quasi quarant'anni. La santa, che pur l'aveva previsto, sentì penetrare nella sua carne la ferita della Chiesa. Ormai era da abbandonare ogni altro pensiero e dedicarsi con tutte le forze a lottare per l'unità del corpo mistico e per l'unico vero Papa. D'ora in poi le sue lettere infocate si potranno chiamare messaggi dell'unità cristiana. L'amore per il Papa e la Chiesa brucia la sua anima.

Naturale che all'invito d'Urbano accorresse a Roma: doveva agire sul cuore stesso della Chiesa. Suggerì e incoraggiò la raccolta intorno al «dolce Cristo in terra» di uomini di puro spirito, per assisterlo col consiglio, la preghiera e il prestigio della vita santa. La sua abitazione in via del Papa (significativo!) diventò un centro d'attività diplomatica. Lettere e messaggeri partivano per ogni dove: ai potenti d'Italia e ai regnanti d'Europa, ai Cardinali ribelli e ai servi di Dio da rincuorare. Animava i soldati che combattevano per Urbano, placava il popolo romano tumultuante, frenava gli impeti del pontefice, andava con fatica a pregare sulla tomba dell'apostolo in san Pietro. Fu un anno e mezzo d'attività logorante e di spasimanti orazioni: «O Dio eterno, ricevi il sacrificio della vita mia in questo corpo mistico della santa Chiesa» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 371). Così, tra invocazioni e desideri struggenti, si spense a Roma la domenica 29 aprile 1380, a trentatré anni come il suo Sposo crocifisso.

Il suo corpo fu sepolto nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva, a Roma, dove si venera sotto l'altare maggiore; mentre il capo fu inviato a Siena, dove fu accolto trionfalmente dal clero e dal popolo, presente anche la madre di Caterina, Lapa, e conservato nella Chiesa di San Domenico.

Caterina fu canonizzata dal sommo pontefice Pio II con la Bolla «Misericordias Domini», del 29 giugno 1461. Ella venne così solennemente additata alla Chiesa universale come modello di santità, esempio di una sublime grandezza, cui una semplice donna può giungere con la grazia dell'Onnipotente.






                            

Gli scritti

2. Letterariamente santa Caterina è un caso singolare. Non è mai andata a scuola, né sapeva leggere e scrivere, se non forse molto tardi e imperfettamente. Eppure ha dettato un complesso di scritti, che ne fanno un classico di notevole rilievo nella letteratura trecentesca italiana e tra gli scrittori mistici, tanto da meritarle il titolo di dottore della Chiesa, conferitole da sua santità Paolo VI il 4 ottobre 1970.

Sono rimaste di lei 381 «Lettere», dirette ad ogni genere di persone, umili e grandi. E' un epistolario di ricca spiritualità, specchio di un'anima che vive intensamente ciò che esprime, e trova accenti schietti e toni di toccante eloquenza, spesso anche poetici. Vi arde una costante passione per l'uomo immagine di Dio e peccatore, per Cristo redentore, per la Chiesa che è il campo in cui il salvatore fa fruttificare il tesoro del suo sangue nella salvezza dell'uomo.

Vive in esse uno spirito sensibile a tutti i travagli dell'umanità, un'immaginazione fervida, una fede che arroventa la parola nel denunziare i vizi, ma l'addolcisce fino alla tenerezza nell'ammonire i tiepidi e nel sollevare i deboli. Non c'è niente di falso e di convenzionale, ma schietto vigore anche nella pietà.

Inoltre santa Caterina, tra il 1377 e 1378, dettò in varie riprese un libro, che viene ordinariamente intitolato «Dialogo della Divina Provvidenza o della Divina dottrina», nel quale l'anima di lei, in colloquio estatico col Signore, riferisce ciò che l'eterna verità le dice, rispondendo alle sue domande riguardo al bene della Chiesa e dei suoi figli e del mondo intero. Il libro è caratterizzato da accento profetico, da equilibrio di pensiero e da lucidità d'espressione. Tocca i misteri più augusti della nostra religione e i problemi più ardui dell'ascetica e della mistica. Il pensiero vigile e implorante è rivolto ai fratelli del mondo, che vede perdersi nei sentieri del peccato e che cerca di scuotere dal torpore mortale: mentre con fine intuizione psicologica getta fasci di luce sulla via della perfezione, esaltando l'elevazione dell'uomo il quale, nella sequela di Cristo obbediente, trova la via sicura verso la Trinità beata. Ampiezza di prospettive, aderenza di analisi esperienziali e fiammeggiare d'immagini e di concetti, fanno di quest'opera «uno dei gioielli della letteratura religiosa italiana» (E. Underhill, «Mysticism.», p. 467).

Infine ci sono le «Orazioni», raccolte dalle sue labbra negli ultimi anni di vita, quando la santa effondeva la sua anima e la sua ansia, nel parlare con immediatezza al Signore. Sono autentiche improvvisazioni, che salgono spontanee dalla mente immersa nella luce divina e dal cuore dolente per le miserie degli uomini, senza banalità di concetti o di petizioni, ma con tono passionale e confidente, e con espressioni spesso ardite ma di assoluta ortodossia.

L'immagine più espressiva e ampia di questa maestra di verità e d'amore è quella del ponte, una costruzione simbolica che anticipa in qualche modo la «Salita del monte Carmelo» di san Giovanni della Croce. L'allegoria descrive, in succinta e fine analisi psicologica, il cammino dell'uomo che sale dal peccato al vertice della perfezione. La caratterizza un'accentuazione cristologica. su cui s'appoggia tutta la struttura. Infatti il ponte è Gesù Cristo, sia con la figura del suo corpo innalzata sulla croce, sia con la sua dottrina, sia con la sua grazia.

Sul baratro invalicabile aperto dal peccato e solcato dal fiume vorticoso della corruzione mondana, fu gettato a ricongiungere la terra col cielo, quando il Figlio di Dio s'incarnò, unendo in sé la natura divina con la natura umana (S.Catharinae Senensis «Dialogus», cc. 21-22; cfr. S.Catharinae Senensis «Epist.» 272). E' l'unica via per coloro che vogliono veramente giungere alla vita eterna. Ogni uomo, seguendo l'attrazione della grazia di Cristo (trarrò tutto a me), si libera gradatamente dal peccato, dal timore imperfetto o servile e dall'amor proprio sia sensibile che spirituale, fino ad essere spoglio d'ogni imperfezione.

Contemporaneamente si attua il cammino in ascesa, ch'è tutto nel segno dell'amore. Caterina infatti è con san Tommaso e coi migliori teologi, nel pensare che la perfezione «sta nella virtù della carità» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 11); e concorda anche col Concilio Vaticano II («Lumen Gentium», 5), sia in questo, sia nell'universalità della chiamata alla santità (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 53). Perciò segna su Cristo-ponte tre gradi (da lei detti «scaloni») di ascensione spirituale, che significano tanto le tre potenze dell'anima tratte in alto dall'amore, quanto i tre stati progressivi dello spirito: imperfetti, perfetti, perfettissimi (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 26)

Si ha quindi un ponte-scala, col primo grado che è l'amore di servo, il secondo che è l'amore di amico, il terzo che è l'amore di figlio (S.Catharinae Senensis «Dialogus», cc. 56-57). La divisione ternaria non è puramente schematica e tradizionale, ma è didatticamente accompagnata da annotazioni particolari, caratterizzanti i gradi dell'evoluzione verticale e il modo di superare le tappe inferiori, con un'aderenza psicologica fondata sull'osservazione dell'esperienza spirituale.

Anche i seguenti capitoli del «Dialogo» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», cc. 87-96), che si usa chiamare «Trattato delle lacrime», procedono su una medesima via ascendente ma con assoluta originalità di schema, che dimostra nella santa una maestra dalla personalità propria e dalla didattica matura e precisa, pur nell'improvvisazione del dettato.

Tuttavia il progresso spirituale non è limitato all'ambito personale. Santa Caterina è troppo compresa dell'esistenza degli altri e dell'importanza del prossimo; e molto insiste sulla inscindibilità dell'amore del prossimo dall'amore di Dio, come del resto mette in evidenza lo stesso Concilio Vaticano II («Lumen Gentium», 5). Di lei è la sorprendente affermazione, messa in bocca al Signore: «Io ti fo sapere che ogni virtù si fa col mezzo del prossimo, e ogni difetto» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 6).

Caterina intende dire che, per la comunione della carità e della grazia, il prossimo è sempre coinvolto nel bene e nel male che facciamo (cfr. T.Deman, «La parte del prossimo nella vita spirituale secondo il "Dialogo"», in «Vita Cristiana», 1947, n. 3, pp. 250-258). Ma il suo pensiero va più in là: il prossimo è il «mezzo» per eccellenza per la carità in atto, il luogo dove ogni virtù si esercita necessariamente, se non esclusivamente.

Dice l'eterno Padre: l'anima, «come in verità m'ama, così fa utilità al prossimo suo;... e tanto quanto l'anima ama me, tanto ama lui, perché l'amore verso di lui esce di me. Questo è quello mezzo, che Io v'ho posto acciò che esercitiate e proviate la virtù in voi, che non potendo fare utilità a me, dovetela fare al prossimo» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 7).

Questo principio, ribadito innumerevoli volte, fa del prossimo il terreno su cui si esprime, si esercita, si prova e misura la carità fraterna, la pazienza, la giustizia sociale. Nel contatto con gli altri, gli stessi contrasti diventano mezzo di verifica delle azioni virtuose (S.Catharinae Senensis «Dialogus», cc. 7-: restando fermo il confronto esistenziale con l'amore di Dio: «Con quella perfezione con cui amiamo Dio, con quella amiamo la creatura ragionevole» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 263; cfr. «Dialogus», cc. 7 et 64).

L'insistenza sul principio di solidarietà serve anche a dimostrare la radice profonda della fraternità umana insegnataci da Cristo. Gli uomini vivono questa realtà: ognuno è quasi complemento degli altri. La provvidenza li ha creati dotandoli di qualità fisiche e morali differenziate da individuo a individuo, sicché ognuno ha bisogno degli altri, «acciò che abbiate materia, per forza, d'usare la carità l'uno con l'altro» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 7) e siano tutti legati dal bisogno dell'aiuto reciproco, come le membra nel corpo (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 148).

Similmente nella Chiesa universale c'è solidarietà tra settore e settore. Ciò è figurato nell'allegoria delle tre vigne: la personale, quella del prossimo e quella universale del Popolo di Dio. Le prime due sono tanto unite, «che niuno può fare bene a sé che non facci al prossimo suo, né male che no 'l facci a lui» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 24). Ma nella solidarietà con la terza vigna sta il senso dell'equilibrio e dell'ordine cateriniano. E' nella vigna universale che è piantata l'unica vite vera, Gesù Cristo, sulla quale ogni altra dev'essere innestata per riceverne vita (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 24). In essa il principale lavoratore è il Papa, «Cristo in terra, il quale ci ha a ministrare il sangue» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 313 et 321); da lui ogni altro lavoratore dipende, per obbedienza e perché lui «tiene le chiavi del sangue dell'umile Agnello» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 339; cfr. «Epist.» 309 et 305).

Immagini trasparenti del primato di Pietro - primato di magistero e di governo voluto dalla «prima dolce Verità» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 24 vel X) - che salda istituzione e carisma in Cristo, unica fonte di essi.

A tale logica si è ispirata tutta l'azione di questo angelo tutelare della Chiesa a pro del pontificato romano.

CONCLUSIONE

Il ruolo eccezionale svolto da Caterina da Siena, secondo i piani misteriosi della provvidenza divina, nella storia della salvezza, non si esaurì col suo felice transito alla patria celeste. Ella, infatti, ha continuato ad influire salutarmente nella Chiesa sia con i suoi luminosi esempi di virtù, sia con i suoi mirabili scritti. Perciò i sommi pontefici, miei predecessori, ne hanno concordemente esaltata la perenne attualità, proponendola continuamente all'ammirazione ed all'imitazione dei fedeli.

Il sommo pontefice Pio II, nella bolla di canonizzazione, la chiamò con parole quasi profetiche: «Illustris et indelebilis memoriae virginem» (Pii II «Misericordias Domini: Bullar. Roman.», V, a. 1860, p. 165). Pio IX la proclamò (1866) seconda patrona di Roma. San Pio X la propose come modello alle donne di Azione Cattolica, nominandola loro patrona. Pio XII proclamò san Francesco d'Assisi e santa Caterina da Siena primari patroni d'Italia, con la lettera apostolica «Licet Commissa» del 18 giugno 1939; e, nel memorabile discorso in onore dei due santi, tenuto nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva il 5 maggio 1940, il Papa tributò alla santa senese questo splendido elogio: «In questo servizio della Chiesa voi ben comprendete, diletti figli, come Caterina precorra i nostri tempi, con un'azione che amplifica l'anima cattolica e la pone al fianco dei ministri della fede, suddita e cooperatrice nella diffusione e difesa del vero e della restaurazione morale e sociale del vivere civile» (Pio XII «Discorsi e Radiomessaggi», II [1949] 100). Né meno palpitanti di attualità sono state le ripetute lodi che alla figura e all'attività apostolica di Caterina, tributò il sommo pontefice Paolo VI, in occasione della festa annuale di lei. Mi sembrano, fra le altre, altamente significative per i tempi nostri le seguenti parole del mio venerato predecessore. «Santa Caterina, disse egli il 30 aprile 1969, ha amato la Chiesa nella sua realtà che, come sappiamo, ha un duplice aspetto: uno mistico, spirituale, invisibile, quello essenziale e fuso con Cristo redentore glorioso, il quale non cessa di effondere il suo sangue (chi ha parlato tanto del sangue di Cristo, quanto Caterina?), sul mondo attraverso la sua Chiesa; l'altro umano, storico, istituzionale, concreto, ma non mai disgiunto da quello divino. V'è da chiedersi se mai i nostri moderni critici dell'aspetto istituzionale della Chiesa siano capaci di cogliere questa simultaneità» («Insegnamenti di Paolo VI, VII [1969] 941). Ma Paolo VI testimoniò con ancor maggiore autorità la sua stima per il perenne valore della dottrina ascetica e mistica di santa Caterina, allorché la elevò, insieme a santa Teresa d'Avila, alla dignità di dottore della Chiesa e ne celebrò la sovrumana sapienza nella Basilica di san Pietro, il 4 ottobre 1970 («Insegnamenti di Paolo VI, VIII [1970] 982-988)

Nella vita e nell'attività, sia letteraria che apostolica, di santa Caterina da Siena si è in realtà verificato quanto ho avuto l'occasione di ricordare a un gruppo di Vescovi nella loro visita «ad limina». «Lo Spirito Santo è attivo nell'illuminare le menti dei fedeli con la sua verità, e nell'infiammare i loro cuori col suo amore. Ma queste intuizioni di fede e questo «sensus fidelium» non sono indipendenti dal magistero della Chiesa, che è uno strumento dello stesso Spirito Santo ed è assistito da lui. Solo quando i fedeli sono stati nutriti della parola di Dio, fedelmente trasmessa nella sua purezza ed integrità, i loro carismi propri diventano pienamente operativi e fecondi» (cfr. Ioannis Pauli PP. II «Allocutio Indorum Episcoporum coetui habita, occasione oblata eorum visitationis "ad limina"», die 31 maii 1979: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», II [1979] 1354-1358).

Possa, dilettissimi fratelli e figli, l'esempio di santa Caterina da Siena, la cui vita fu così mirabilmente attiva e feconda per la sua patria e la Chiesa, perché docile all'«instinctus» dello Spirito Santo e guidata dal magistero della Chiesa, suscitare in moltissime anime una più viva ammirazione e desiderio;o di imitazione delle sue eroiche virtù. Avremo così una nuova conferma che la sua morte fu veramente - ed è tuttora - «preziosa al cospetto del Signore», com'è «la morte dei suoi santi» (Sal 116,15).

Con tali sentimenti nostro animo, a voi, venerabili fratelli e figli diletti d'Italia, nonché a tutti coloro che ovunque nel mondo ricordano tale ricorrenza centenaria del transito di santa Caterina da Siena, e in particolare all'ordine dei frati predicatori e alle monache e sorelle consacrate a Dio secondo la regola di vita della sua famiglia religiosa, imparto benevolmente la benedizione apostolica.

Dato a Roma, in san Pietro, il 29 aprile, nella memoria di santa Caterina da Siena, vergine e dottore della Chiesa, nell'anno 1980, secondo del nostro Pontificato.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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13/02/2009 09:53

SANTA MESSA NEL VI CENTENARIO DELLA MORTE
DI SANTA CATERINA DA SIENA


OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II


Basilica di San Pietro, 29 aprile 1980

  

1. Una innumerevole schiera di “vergini sagge” come quelle lodate dalla parabola evangelica che abbiamo ascoltato, hanno saputo, nei secoli cristiani, attendere lo Sposo con le loro lampade, ben fornite d’olio, per partecipare con lui alla festa della grazia in terra, e della gloria in cielo. Tra di esse, oggi splende dinanzi al nostro sguardo la grande e cara santa Caterina da Siena, splendido fiore d’Italia, gemma fulgidissima dell’ordine domenicano, stella di impareggiabile bellezza nel firmamento della Chiesa, che qui onoriamo nel VI centenario della sua morte, avvenuta un mattino di domenica, circa l’ora terza, il 29 aprile 1380, mentre si celebrava la festa di san Pietro martire, da lei tanto amato.


Felice di potervi dare un primo segno della mia viva partecipazione alla celebrazione del centenario, saluto cordialmente voi tutti, cari fratelli e sorelle, che per commemorare degnamente la gloriosa data vi siete raccolti in questa Basilica vaticana, dove sembra aleggiare lo spirito ardente della grande senese. Saluto in modo particolare il maestro generale dei frati predicatori, padre Vincenzo de Couesnongle, e l’Arcivescovo di Siena, monsignor Mario Ismaele Castellano, principali promotori di questa celebrazione; saluto i membri del terz’ordine domenicano e dell’associazione ecumenica dei caterinati, i partecipanti al congresso internazionale di studi cateriniani, e voi tutti, cari pellegrini, che avete percorso tante strade d’Italia e d’Europa per unirvi in questo centro della cattolicità, in un giorno di festa così bello e significativo.


2. Noi guardiamo oggi a santa Caterina anzitutto per ammirare in lei ciò che immediatamente colpiva quanti l’avvicinavano: la straordinaria ricchezza di umanità, per nulla offuscata, ma anzi accresciuta e perfezionata dalla grazia, che ne faceva quasi un’immagine vivente di quel verace e sano “umanesimo” cristiano, la cui legge fondamentale è formulata dal confratello e maestro di Caterina, san Tommaso d’Aquino, col noto aforisma: “La grazia non sopprime, ma suppone e perfeziona la natura” (S. Tommaso, Summa Theologiae, I, q. 1, a. 8, ad 2). L’uomo di dimensioni complete è quello che si attua nella grazia di Cristo.

Quando nel mio ministero insisto nel richiamare l’attenzione di tutti sulla dignità e i valori dell’uomo, che oggi bisogna difendere, rispettare e servire, è soprattutto di questa natura uscita dalle mani del Creatore e rinnovata nel sangue di Cristo redentore che io parlo: una natura in sé buona, e quindi risanabile nelle sue infermità e perfettibile nelle sue doti, chiamata a ricevere quel “di più” che la rende partecipe della natura divina e della “vita eterna”.

Quando questo elemento soprannaturale s’innesta nell’uomo e vi può agire con tutta la sua forza, si ha il prodigio della “nuova creatura”, che nella sua trascendente elevatezza non annulla, ma rende più ricco, più denso, più saldo tutto ciò che è schiettamente umano.


Così la nostra santa, nella sua natura di donna dotata largamente di fantasia, di intuito, di sensibilità, di vigore volitivo e operativo, di capacità e di forza comunicativa, di disponibilità alla donazione di sé ed al servizio, viene trasfigurata, ma non impoverita, nella luce di Cristo che la chiama ad essere sua sposa e ad identificarsi misticamente con lui nella profondità del “conoscimento interiore”, come anche ad impegnarsi nell’azione caritativa, sociale e persino politica, in mezzo a grandi e piccoli, a ricchi e poveri, a dotti e ignoranti. E lei, quasi analfabeta, diventa capace di farsi ascoltare, e leggere, e prendere in considerazione da governatori di città e di regni, da príncipi e prelati della Chiesa, da monaci e teologi, da molti dei quali è venerata addirittura come “maestra” e “mamma”.


È una donna prodigiosa, che in quella seconda metà del Trecento mostra in sé di che cosa sia resa capace una creatura umana, e - insisto - una donna, figlia di umili tintori, quando sa ascoltare la voce dell’unico pastore e maestro, e nutrirsi alla mensa dello Sposo divino, al quale, da “vergine saggia”, ha generosamente consacrato la sua vita.

Si tratta di un capolavoro della grazia rinnovatrice ed elevatrice della creatura fino alla perfezione della santità, che è anche realizzazione piena dei fondamentali valori dell’umanità.


3. Il segreto di Caterina nel rispondere così docilmente, fedelmente e fruttuosamente alla chiamata del suo Sposo divino, si può cogliere dalle stesse spiegazioni e applicazioni della parabola delle “vergini sagge”, che essa fa più volte nelle lettere ai suoi discepoli. In particolare in quella inviata a una giovane nipote che vuol essere “sposa di Cristo”, essa fissa una piccola sintesi di vita spirituale, che vale specialmente per chi si consacra a Dio nello stato religioso, ma è di orientamento e di guida per tutti.

“Se vuoi essere vera sposa di Cristo - scrive la santa - ti conviene avere la lampada, l’olio e il lume”.

“Sai che s’intende con questo, figliola mia?”.


Ed ecco il simbolismo della lampada: “Con la lampada si intende il cuore, che deve assomigliare ad una lampada. Tu vedi bene che la lampada è larga di sopra, e di sotto è stretta: e così è fatto il nostro cuore, per significare che dobbiamo averlo sempre largo di sopra, mediante i santi pensieri, le sante immaginazioni e la continua orazione; con la memoria sempre rivolta a ricordare i benefici di Dio e massimamente il beneficio del sangue dal quale siamo stati ricomperati...”.

“Ti ho anche detto che la lampada è stretta di sotto: così è pure il nostro cuore, per significare che deve essere stretto verso queste cose terrene, non desiderandole né amandole disordinatamente, né appetendole in maggiore quantità di quanto Dio ce ne voglia dare, ma dobbiamo ringraziarlo sempre, ammirando come dolcemente egli ci provvede, sicché non ci manca mai nulla...” (Lettera 23).

Nella lampada ci vuole l’olio. “Non basterebbe la lampada se non ci fosse l’olio dentro. E per l’olio s’intende quella dolce virtù piccola della profonda umiltà... Quelle cinque vergini stolte, gloriandosi solamente e vanamente della integrità e verginità del corpo perdettero la verginità dell’anima, perché non portarono con sé l’olio dell’umiltà...” (Ivi).


“Occorre infine che la lampada sia accesa e vi arda la fiamma: altrimenti non basterebbe a farci vedere. Questa fiamma è il lume della santissima fede. Dico la fede viva, perché dicono i santi che la fede senza le opere è morta...” (Ivi; cf. Lettere 79, 360).


Nella sua vita, Caterina ha effettivamente alimentato di grande umiltà la lampada del suo cuore, e ha mantenuto acceso il lume della fede, il fuoco della carità, lo zelo delle buone opere compiute per amore di Dio, anche nelle ore di tribolazione e di passione, quando la sua anima raggiunse la massima conformazione a Cristo crocifisso, finché un giorno il Signore celebrò con lei le mistiche nozze nella piccola cella dove abitava, resa tutta splendente da quella divina presenza(cf. Vita, nn. 114-115).

Se gli uomini d’oggi, e specialmente i cristiani, riuscissero a riscoprire le meraviglie che si possono conoscere e godere nella “cella interiore”, e anzi nel cuore di Cristo! Allora, sì, l’uomo ritroverebbe se stesso, le ragioni della sua dignità, il fondamento di ogni suo valore, l’altezza della sua vocazione eterna!


4. Ma la spiritualità cristiana non si esaurisce in un cerchio intimistico, né spinge ad un isolamento individualistico ed egocentrico. L’elevazione della persona avviene nella sinfonia della comunità. E Caterina, che pur custodisce per sé la cella della sua casa e del suo cuore, vive fin dagli anni giovanili in comunione con tanti altri figli di Dio, nei quali sente vibrare il mistero della Chiesa: con i frati di san Domenico, ai quali si unisce in spirito anche quando la campana li chiama in coro, di notte, per il mattutino; con le mantellate di Siena, tra le quali è ammessa per l’esercizio delle opere di carità e la pratica comune della preghiera; con i suoi discepoli, che vanno crescendo per costituire intorno a lei un cenacolo di ferventi cristiani, che accolgono le sue esortazioni alla vita spirituale e gli incitamenti al rinnovamento e alla riforma che essa rivolge a tutti nel nome di Cristo; e si può dire con tutto il “corpo mistico della Chiesa” (cf. Dialogo, can. 166), col quale e per il quale Caterina prega, lavora, soffre, si offre, e infine muore.
 

La sua grande sensibilità per i problemi della Chiesa del suo tempo si trasforma così in una comunione col “Christus patiens” e con la “Ecclesia patiens”. Questa comunione è all’origine della stessa attività esteriore, che a un certo momento la santa è spinta a svolgere prima con l’azione caritativa e con l’apostolato laicale nella sua città, e ben presto su di un piano più vasto, con l’impegno a raggio sociale, politico, ecclesiale.


In ogni caso Caterina attinge a quella fonte interiore il coraggio dell’azione e quella inesauribile speranza che la sostiene anche nelle ore più difficili, anche quando tutto sembra perduto, e le permette di influire sugli altri, anche ai più alti livelli ecclesiastici, con la forza della sua fede e il fascino della sua persona completamente offerta alla causa della Chiesa.


In una riunione di Cardinali alla presenza di Urbano VI, stando al racconto del beato Raimondo, Caterina “dimostrò che la divina Provvidenza è sempre presente, massime quando la Chiesa soffre”; e lo fece con tale ardore, che il pontefice, alla fine, esclamò: “Di che deve temere il vicario di Gesù Cristo, se anche tutto il mondo gli si mettesse contro? Cristo è più potente del mondo, e non è possibile che abbandoni la sua Chiesa!” (Vita, n. 334).


5. Era quello un momento eccezionalmente grave per la Chiesa e per la sede apostolica. Il demone della divisione era penetrato nel popolo cristiano. Fervevano dappertutto discussioni e risse. A Roma stessa c’era chi tramava contro il Papa, non senza minacciarlo di morte. Il popolo tumultuava.
 

Caterina, che non cessava di rincuorare pastori e fedeli, sentiva però che era giunta l’ora di una suprema offerta di sé, come vittima di espiazione e di riconciliazione insieme con Cristo. E perciò pregava il Signore: “Per l’onore del tuo nome e per la santa tua Chiesa, io berrò volentieri il calice di passione e di morte, come sempre ho desiderato di bere; tu ne sei testimone, da quando, per grazia tua, ho cominciato ad amarti con tutta la mente e con tutto il cuore” (Ivi, n. 346).

Da quel momento cominciò a deperire rapidamente. Ogni mattina di quella quaresima 1380, “si recava alla chiesa di san Pietro, principe degli apostoli, dove, ascoltata la messa, rimaneva lungamente a pregare; non ritornava a casa che all’ora di vespro”, sfinita. Il giorno dopo. di buon mattino, “partendo dalla strada detta via del Papa (oggi di santa Chiara), dove stava di casa, fra la Minerva e Campo dei Fiori, se ne andava lesta lesta a san Pietro, facendo un cammino da stancare anche un sano” (Ivi, n. 348; cf. Lettera 373).


Ma alla fine d’aprile non riuscì più ad alzarsi. Raccolse allora intorno al letto la sua famiglia spirituale. Nel lungo addio, dichiarò a quei suoi discepoli: “Rimetto la vita, la morte e tutto nelle mani del mio Sposo eterno... Se gli piacerà che io muoia, tenete per fermo, figlioli carissimi, che io ho dato la vita per la santa Chiesa, e questo lo credo per grazia eccezionale che mi ha concesso il Signore” (Ivi, n. 363).

Poco dopo morì. Non aveva che 33 anni: una bellissima giovinezza offerta al Signore dalla “vergine saggia” che era giunta al termine della sua attesa e del suo servizio.


Noi siamo qui raccolti, a seicento anni da quel mattino (Ivi, n. 348), per commemorare quella morte e soprattutto per celebrare quella suprema offerta della vita per la Chiesa.


Miei cari fratelli e sorelle, è consolante che voi siate accorsi così numerosi a glorificare e ad invocare la santa in questa fausta ricorrenza.

È giusto che l’umile vicario di Cristo, al pari di tanti suoi predecessori, vi ispiri, vi preceda e vi guidi nel tributare un omaggio di lode e di ringraziamento a colei che tanto amò la Chiesa, e tanto operò e soffrì per la sua unità e per il suo rinnovamento. Ed io l’ho fatto con tutto il cuore.


Ora lasciate che vi consegni un ricordo finale, che vuol essere un messaggio, una esortazione, un invito alla speranza, uno stimolo all’azione: lo traggo dalle parole che Caterina rivolgeva al suo discepolo Stefano Maconi e a tutti i suoi compagni di azione e di passione per la Chiesa: “Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutta Italia...” (Lettera 368); anzi, io aggiungo: in tutta la Chiesa, in tutto il mondo. Di questo “fuoco” ha bisogno l’umanità anche oggi, ed anzi forse più oggi che ieri. La parola e l’esempio di Caterina suscitino in tante anime generose il desiderio di essere fiamme che ardono e che, come lei, si consumano per donare ai fratelli la luce della fede ed il calore della carità “che non viene meno” (1Cor 13,8).

 


(S.Francesco d'Assisi e Santa Caterina da Siena Patroni d'Italia)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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18/03/2009 23:39

  IOANNES PP. XXIII

EPISTULA AD MICHAËLEM BROWNE,
ORDINIS FRATRUM PRAEDICATORUM
MODERATOREM GENERALEM,
QUINTO EXEUNTE SAECULO,
EX QUO SANCTORUM CAELITUM HONORES
PIUS PP. II S. CATHARINAE SENENSI DECREVIT

HOC ANNO*

 

Dilecte fili,
salutem et Apostolicam Benedictionem.

Hoc anno quinque explentur saecula, postquam Catharina Senensis a Pio II Sanctorum Caelitum fastis ascripta est. Insueta magnificentia hoc in Vaticana Basilica contigit, rite peracto, ut translaticius mos poscit, iudicio, quod Venetiis — id meminisse Nobis perquam suave — feliciter incohatum fuerat. Quae omnia devoto cum obsequio recolere Ordinis Fratrum Praedicatorum et munus et gaudium erit, siquidem, S. Dominici affiatu spirituque mire incensa motaque, haec sacra virgo religiosae familiae, cui praees, decori est eximio et ornamento nunquam deciduo. Nec dubitamus, quin, hortatu et instituto tuo, dilecte fili, congruentia commemorando eventui consilia sapienter et fructuose perficiantur.

Sanctae Catharinae Senensi apte accommodari possunt S. Pauli Apostoli verba: Infirma mundi elegit Deus, ut confundat fortia (1). Quamvis enim non claritatem generis, non adeptam ab hominibus humanarum divinarumque rerum cognitionem nec favorem procerum iactare sibi posset, humilis ex humilibus nata, caelestis gratiae florens vigore, cui semper obsequi ipsi lex fuit, in celsum adeo evecta est, ut ea quae fecit narrarentur in scripturis populorum et principum (2), et quae indocta docuit raperent admirationem sapientium. Turbulentissimis temporibus ipsa Apostolicae Sedis potestatem fortiter asseruit, atque ut Romanus Summus Pontifex, Avenione relicta, Romam peteret, strenue annisa est; fuit inter civilia bella pacis nuntia et sequestra; epistulae autem et opusculum, cui inscriptio Dialogus super Divina Providentia, quibus, adhuc ea vivens, viros ac mulieres suis mysticis praeceptis uti cupientes gregatim ad se deduxit, etiam post futuris sunt eruntque velut amoenissimus Dei hortus, in quo secreta caelestia, praecelsae virtutes, amabiles hortationes opobalsama stillant. Ex iis operibus liquido eruitur, quanto religionis studio ipsa SS. Eucharistiam coluerit, quantopere et Iesu Christi, cuius impressa tulit stigmata, cruciatus et dolores meditata sit, et Sacratissimum Cor Iesu Sanguinemque pretiosum in honore habuerit, indeque quot divitias piarum cogitationum sibi hauserit.

Si apud Deum Sancta Catharina tantum deprecando valuit, si tot beneficia suae aetatis hominibus contulit, si animus eius virili quadam firmitate tot calamitatibus et malis frangi non potuit, ex eo contigit, quod, vere mulier fortis, muneribus divinae gratiae abunde praedita fuit et caritate flagravit, cui nil erat impervium, nil intentatum relictum, ut aeterni Conditoris gloria ex animorum salute et pulchritudine enitesceret.

Ex Apostolicis Litteris sub plumbo datis Canonizationis causa hoc manifesto deducitur : « Arguebat peccatores, et blandissimis verbis ad paenitentiam revocabat. Praecepta salutis omnibus laeta dabat. Quid sectandum, quid fugiendum esset, alacri vultu ostendebat. Dissidentes summo studio componebat. Multa extinxit odia et mortales sedavit inimicitias ... Duobus Pontificibus Gregorio XI et Urbano VI acceptissima fuit, adeo ut legationibus fungeretur, multisque spiritualibus gratiis ab eis donaretur » (3).

Iure igitur meritoque a Romanis Pontificibus in Ecclesiae candelabro apertius usque imposita, ut luceret omnibus qui in domo sunt (4), sibi creditam tutelam accepit eorum, quae ipsis magnopere cordi erant: a Pio IX ea declarata est caelestis Patrona Urbis Romae, a S. Pio X mulierum ab Actione Catholica in Italia, a Pio XII Italiae, ab eodem Pio XII Italicarum infirmorum ministrarum.

Expedit quidem ut anniversaria huiusmodi celebrentur saecularia sollemnia, praesertim studio et cura Dominicianae religiosae familiae. Huius beatae caelitis revolvantur fasti, replicentur annales. Iuvenes et virgines, senes cum iunioribus, omnis coetus et aetas, primores et populares cives, cumprimis Senenses qui merito gloriantur eam sibi civem esse, quam maxime per Italas oras, sidus amicum suspiciant, eius demirentur decora et ornamenta sanctitudinis inclitae, benignam deprecentur opem, ut, vitiis et erroribus repulsis, mitis aevi felicia tempora illucescant.

Caeleste invocantes auxilium, ut haec omnia in catholicae fidei incrementum et profectum sapienter cogitetis et valide perficiatis, tibi, dilecte fili, sodalibusque tuis, et universis, qui gesta S. Catharinae Senensis, quinque abhinc saecula Sanctorum fastis insertae, piae mentis obsequio recolent, Apostolicam Benedictionem peramanter impertimus.

Datum Romae, apud Sanctum Petrum, die XX mensis Iulii, anno MCMLXI, Pontificatus Nostri tertio.

 

IOANNES PP. XXIII

*************************

                                  


Lettera di Giovanni XXIII a Michele Browne, 
Maestro Generale dell’Ordine dei Frati Predicatori,
nel quinto centenario dalla canonizzazione
di santa Caterina da Siena
decretata da Pio II.

Figlio caro, salute e apostolica benedizione.

Quest’anno si compiono cinque secoli da quando Caterina da Siena è stata iscritta nell’albo dei santi da Pio II. Con inusuale magnificenza si compie nella basilica vaticana, dopo che è stato celebrato il giudizio secondo il modo richiesto dalla tradizione, ciò che si era prosperamente iniziato a Venezia (ricordarlo è per noi assai dolce). Festeggiare tutto ciò con devoto ossequio sarà il dovere e la gioia dell’ordine dei Fratelli Predicatori, se è vero che questa vergine, mirabilmente infiammata e mossa dallo spirito e dal carisma di san Domenico, è splendido decoro e ornamento drstinato a non tramontare mai della famiglia religiosa della quale tu sei a capo.

Né dubitiamo che, per tua esortazione e decisione, figlio diletto, si prenderanno in maniera saggia e feconda iniziative acconce per commemorare questo anniversario. Si possono opportunamente applicare a santa Caterina da Siena le parole dell’apostolo san Paolo: “Dio ha scelto ciò ch’è debole nel mondo per confondere ciò ch’è forte”.

Sebbene infatti ella non potesse menar vanto della nobiltà di stirpe né, della conoscenza delle cose umane e divine acquisita dagli uomini, né del favore dei potenti, nata umile da famiglia umile, fiorente della potenza della grazia divina, l’obbedienza verso la quale fu per lei sempre legge, fu elevata talmente in alto, che le opere da lei compiute furono narrate per iscritto tra il popolo e tra i principi, e le cose che lei, da ignorante, insegnava conquistavano l’ammirazione degli eruditi.

Durante tempi assai tormentati ella proclamò con forza l’autorità della Sede apostolica, e insistette con pervicacia affinché il sommo romano pontefice, abbandonata Avignone, si stabilisse a Roma; fu proclamatrice e garante di pace nelle guerre civili; inoltre le sue lettere e l’opuscolo dal titolo Dialogo della divina provvidenza con i quali, mentr’era ancora in vita, condusse a sé a frotte uomini e donne desiderosi di beneficiare dei suoi mistici insegnamenti, sono e saranno anche per i posteri una sorta di amenissimo giardino di Dio, nel quale stillano quali balsami i segreti del cielo, altissime virtù, delicate esortazioni.

Da queste opere si deduce chiaramente con quanto zelo religioso ella abbia venerato la ss. Eucaristia, quanto intensamente abbia meditato le sofferenze e i dolori di Gesù Cristo, le cui stimmate potrò impresse, in quanto onore abbia tenuto il sacratissimo Cuore di Gesù e il suo prezioso sangue, e quante ricchezze di devoti pensieri ne abbia tratto a proprio beneficio.

Se santa Caterina è stata così potente presso Dio con le sue suppliche, se recò agli uomini del suo tempo così numerosi benefici, se il suo animo, con una fermezza in qualche modo maschile, non poté essere sopraffatto da tante sciagure e da tanti mali, ciò accadde per questo motivo, che, donna veramente forte, fu ricolmata abbondantemente dai doni della grazia divina e s’infiammò di carità; per lei nulla era inaffrontabile, nulla ella lasciò intentato, affinché la gloria dell’eterno Creatore acquistasse splendore dalla salvezza e dalla bellezza degli animi.

Dalla lettera apostolica riservata tutto ciò si deduce in maniera evidente: “Rampognava i peccatori, e li richiamava alla penitenza con parole delicatissime. Impartiva a tutti gioiosamente precetti di salvezza. Mostrava con volto zelante che cosa fosse da seguire e che cosa fosse da respingere. Con grandissimo impegno rappacificava i litiganti. Placò molti odî e pose termine a inimicizie mortali.. fu graditissima a due papi, Gregorio XI e Urbano VI, tanto da svolgere ambascerie per loro ed esserne ricompensata con molte grazie spirituali”.

A buon diritto dunque e meritatamente fu collocata in posizione eminente sul candelabro della Chiesa dai romani Pontefici, perché splendesse a tutti coloro che sono nella casa, assunse la tutela a lei demandata delle cose che a lei stavano più a cuore: da Pio IX ella fu dichiarata patrona celeste della città di Roma, da s. Pio X delle donne di Azione Cattolica in Italia, da Pio XII dell’Italia, dallo stesso Pio XII delle infermiere italiane.

Dunque è opportuno che si celebri questo solenne centenario, soprattutto per impegno e cura della famiglia domenicana.

Si rileggano le imprese di questa beata abitatrice del cielo, se ne esaminino gli annali.
 
Giovani e giovinette, anziani e giovani, ogni ceto e ogni età , altolocati e cittadini del popolo, in primo luogo i senesi, che meritatamente si gloriano di averla come concittadina, e soprattutto nelle regioni dell’Italia, levino gli occhî alla stella amica, contemplino in ammirazione la sua gloria e i suoi ornamenti di illustre santità, ne implorino il benevolo aiuto affinché, rifiutati i vizî e gli errori, sorgano i tempi felici di un’epoca armoniosa.

Invochiamo l’aiuto del cielo, affinché voi meditiate con saggezza tutte queste cose per l’accrescimento e lo sviluppo della fede cattolica e le compiate con energia, e a te, diletto figlio, ai tuoi confratelli e a tutti coloro che onorano con l’ossequio di una mente devota le azioni di s. Caterina da Siena, canonizzata cinque secoli or sono, impartiamo in modo permanente la benedizione apostolica.

Roma, presso San Pietro, 20 luglio 1961, nel terzo anno del nostro pontificato.

Giovanni XXIII.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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25/04/2009 18:35

LETTERA APOSTOLICA

MIRABILIS IN ECCLESIA DEUS

SANTA CATERINA DA SIENA
PROCLAMATA DOTTORE DELLA CHIESA

PAOLO PP. VI
A PERPETUA MEMORIA



1. Mirabile è Dio nella Chiesa: egli, mentre tiene nascosti ai sapienti e accorti i suoi disegni segreti, li rivela invece ai piccoli (cf Mt 11, 25; Lc 10, 21). Egli suole anche chiamare semplici e modesti discepoli, con celesti ispirazioni e stimoli a cοse eccelse, «per l'edificazione del corpo di Cristo» (Ef 4, 12), e affidar loro compiti salutari, spesso estremamente difficili e importanti.

Di ciò è testimone Paolo, il quale, usando le parοle del divino Maestro, dimostra che cοn esse si manifesta il modo di condurre le segrete cose di questo mondo da parte del sommo Dio e indica anche che a lui, ministro mandato dalla provvidenza divina per sottomettere le genti alla fede di Cristo, si riferiscono le parole: «Ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1 Cor. 1, 25).

Difatti Dio, prudentissimo in tutto, quando sceglie qualcuno lo munisce di doni superni per il compito che gli affida, in modo che la Chiesa raggiunga ciò che Cristo suo fondatore ha stabilito per la salvezza degli uomini.

E se il Signore Dio, che tutto regge col suo comando, agisce sempre cosi con gli uomini, tanto più attua i suoi voleri tra le più paurose tempeste nei pubblici eventi del mondo cristiano, sicché i cristiani, nel momento stesso che temono le avversità, imparino dall'esperienza quanto sia grande la forza di quella celeste Promessa: «Abbiate fiducia: io ho vinto il mondo» (Gv 16, 33) e cοsì assecondino i piani voluti dalla provvidenza divina, uniformandosi ad essi.

Fu questa appunto la situazione della società cristiana al tempo in cui visse la Vergine Senese santa Caterina.

Essa però, nelle tante strettezze del suo secolo, mite e candida nell'ascolto attentissimo della parola di Dio, agì sempre con saggezza e fortezza, collocando tutta la fiducia in Dio, e risollevò la speranza di tutti abbattuta, impegnandosi con tutte le forze perché il Romano Pontefice non solo godesse della sua piena autorità e libertà, ma anche ritornasse a Roma, che Dio per sua disposizione mise a capo del mondo cristiano. E non c'é da meravigliarsi che, per compiere queste opere, la divina Sapienza abbia donato alla casta e modesta Vergine dei lumi speciali, oltre quelle illustrazioni che, secondo il Concilio Vaticano II, provengono sia dalla riflessione e dalla applicazione dei credenti. quando in cuor loro confrontano i fatti e detti divini (cf Lc 2, 19 e 51), sia dall'interiore comprensione delle cose spirituali acquisita con l'esperienza (cf Cost. Dei Verbum, n. 8).

Caterina, difatti, senza aver avuto nessun maestro umano, fu così riccamente riempita da Dio di doni «di sapienza e di scienza» (1 Cor 12, 8), da diventare efficacissima maestra di verità. Inoltre altamente consapevole del suo compito di annunziare la verità e di far crescere la carità fra gli uomini, avanzò a grandi passi, donando liberamente i benefici dei carismi ricevuti ai cittadini del suo tempo abbattuti o nati in miserevoli condizioni.

Con queste premesse, s'intende facilmente la ragione per cui Noi, dopo che il Nostro predecessore Pio II, Pontefice Massimo, le ebbe decretato l'aureola dei santi, fummo presi da uguale desiderio di onorarla col titolo di Dottore della Chiesa universale. Abbiamo ancora la lieta speranza che quest'onore attribuito al suo valore giovi meravigliosamente alla Chiesa di questo nostro tempo e faccia sì che la dottrina di Caterina, il suo modo armonioso di ragionare, infiammino la carità nei cuori dei cristiani e, consolidando l'unità della Chiesa stessa, suscitino negli uomini un più ardente desiderio della santità, con la guida e il magistero del Vicario di Cristo.

2. La santa Vergine di cui parliamo vide la luce a Siena nell'anno 1347, nata da Jacopo Benincasa e da Lapa Piagenti. L'adorabile Spirato di Dio tanto precocemente l'eccitò alla santità, che mai s'allontanò, finché visse, dalla via della virtù.

Era appena di sei anni quando le fu mostrata la figura stessa di Cristo, in abiti pontificali, che la benedisse. Poi verso al suo anno ottavo, offrì con voto a Dio la sua castità, desiderando in un primo momento di seguire gli esempi degli antichi padri che vissero nella solitudine del deserto, poi di calcare le orme di san Domenico, di cui ammirava lo zelo d'insegnare il bene.

Nell'anno 1363 fu ammessa nel numero delle sante vergini che prendono il nome da san Domenico, popolarmente chiamate «Mantellate», e con esse fu assidua alle opere di pietà e di misericordia. Quando poi, illuminata da Dio, comprese in quali strettezze si dibatteva la Chiesa e che da quei mali ci si poteva guardare soprattutto con la preghiera e gli esercizi di pietà, si dedicò fino all'anno 1367 assiduamente all'orazione e alle opere di carità accompagnate sempre dalla ricerca singolare del disprezzo di sé. Questo singolare genere di vita, se si confronta col comune modo di vivere, era abbastanza inconsueto e quindi suscitò la disapprovazione di molti. Ma Caterina, come aveva insegnato Paolo (cf Rm 12, 21), rispondeva al male col bene, servendo i malati e soccorrendoli nell'ospedale di S. Maria della Scala e nel lebbrosario detto di S. Lazzaro, assistendo specialmente le sue consorelle, come era giusto, per le quali implorava la clemenza dello Spirito Santo, abisso di carità, quando esse erano di animo ingrato.

Crescendo ogni giorno nella virtù, l'anno 1370 Caterina, invitata con attrazione divina in una visione, intraprese un vero e proprio apostolato. E poiché, a quel tempo, le donne non erano ammesse a queste cose, fu quindi necessario che il Maestro generale dei frati Predicatori esaminasse ciò che la Vergine faceva. Del resto lo stesso Pontefice Gregorio XI, l'anno 1376, approvò col suo giudizio le attività di Caterina con queste parole: «Lei molto fruttuosamente si occupava della salvezza delle anime, del passaggio d'oltre mare (crociata) e d'altri affari della Chiesa».

Il primo aprile 1375, Caterina, che era impegnata nel predicare la necessità della guerra per la liberazione della Terra Santa, ricevette le piaghe di Cristo o stimmate, le quali, se diamo credito al beato Raimondo da Capua, suo confessore, «in forma di pura luce pervennero alle mani, ai piedi e al costato di lei».

Frattanto, essendo peggiorati i rapporti tra la Sede Apostolica e la Città di Firenze, la santa Vergine fece di tutto perché gli amici dei fiorentini non facessero con essi un'alleanza di guerra; e lottò con tutte le forze per riconciliare col Papa la Repubblica Fiorentina, che era stata colpita da interdetto. Avvenne dunque che Caterina, con un lungo e fastidioso viaggio, andò ad Avignone, per incontrarsi con Gregorio XI. Questi l'accolse molto liberamente, la fece benevolmente ospitare per tre mesi e dette ascolto ai prudentissimi consigli di lei, riguardo ai più grandi e difficili problemi della Chiesa. Allora fu tanta la compassione, l'impegno e la saggezza di questa Vergine, che non solo piegò il Pontefice a mitezza, ma riuscì anche a convincerlo a ritornare a Roma, sede e dimora del Vicario di Cristo. Non c'è assolutamente da dubitare che il ritorno di Gregorio XI sia dovuto più alla santità di Caterina, che non alla sua umana abilità: infatti solo per un'ispirazione divina lei aveva conosciuto il voto del Pontefice di ritornare all'Urbe, voto che nessun altro conosceva e che il capo della cristianità aveva fatto nel giorno della sua elezione.

Partito Gregorio da Avignone il 13 settembre 1376, Caterina lo seguì fino a Genova; dopo si recò a Pisa e di lì nella Val d'Orcia, per parlare delle cose di Dio e rappacificare tra loro i membri della famiglia Salimbeni.

Per la stessa causa della pace la riconciliatrice andò quindi a Firenze e, superate molte difficoltà e pericoli d'ogni genere, ne rappacificò i cittadini col Papa Urbano VI, che nel frattempo era succeduto a Gregorio XI nel governo della Chiesa il 18 luglio 1378.

Ma in quello stesso anno venne eletto Sommo Pontefice Clemente VII, che fu quindi un antipapa. Per questo acerbissimo fatto Caterina venne a Roma, chiamata da Urbano VI, parlò nel concistoro dei Cardinali, e fu tale la forza persuasiva della sua parola, da sollevare gli animi depressi, tanto che essi esclamarono allora: «Mai un uomo ha parlato così. Senza dubbio non è questa una donna che parla, ma lo Spirito Santo».

Alla fine, distrutta dalle fatiche, consumata dal dolore per le indegne condizioni della Chiesa, squassata come nave dalla tempesta, Caterina passò alla luce sempiterna il 29 aprile 1380.

Il suo corpo, santamente venerato per tanti secoli, «riposa», come vediamo scritto sull'epigrafe tombale, a Roma, nella basilica di S. Maria sopra Minerva, dove attende la risurrezione.

3. Passando ora alla sua dottrina, diremo subito che Caterina, sebbene fosse di famiglia popolana, non frequentasse nessuna scuola e a stento sapesse leggere o scrivere, lasciò tuttavia tali esempi di celeste sapienza e fu tanto lucida nel parlare, da attrarre una singolare «famiglia» di discepoli, che, attingendo da lei come figli il nutrimento dell'anima, la chiamavano col dolce nome di «Mamma», caro agli Italiani. Essi poi non solo erano pronti a prestare zelo e fatica nelle attività apostoliche o caritative, ma si facevano strumenti dello Spirito Santo che parlava in lei (cf Mc 13, 11).

C'erano allora in quella famiglia uomini e donne di qualsiasi origine e ordine, anche religiosi e Prelati, maestri e Teologi, che erano presi non solo dal modo umano e dalla fama dei prodigi di Caterina, ma anche e soprattutto erano supernamente illuminati dalla luce che emanava dall'animo, dall'ingegno e dai consigli di lei.

Un po' per volta brillava sempre più la sua luce e si irradiava anche oltre la sua città e regione, sicché molti le chiedevano consigli. Così naturalmente sono nate le numerose lettere indirizzate a persone d'ogni genere, che lei dettava, spesso più d'una simultaneamente, e che più scrivani raccoglievano.

Queste lettere mostrano l'ardore e il desiderio del suo animo bruciante d'amore, anche la sua fede purissima, la solidità dei principi, la maestà dell'orazione, la saggezza dei giudizi e la sottigliezza dei pensieri di natura teologica.

Qualche tempo dopo, verso il termine della sua breve vita, Caterina dettò in estasi un libro, noto come Dialogo della Divina Provvidenza, strutturato in questo modo: la sua anima presenta a Dio qualche domanda e Dio risponde ai suoi quesiti. Si ha così l'eterno Padre che spiega a Caterina molte cose circa la vita soprannaturale, sia di ogni individuo, sia di tutta la Chiesa. Nell'intessere questo dialogo è suo pregio il saper chiedere sempre quanto si svolge nell'uomo interiore e presentare anche le cose divine.

I suoi scritti, inoltre, sοnο un chiaro saggio e documento di quei carismi, che consistono nelle parole di esortazione, sapienza e scienza, che tanto fiorivano nella Chiesa primitiva, come si legge nel beatissimo Paolo; il quale, regolando il loro uso cοn ottimi ordini e suggerimenti, bene ammonì che tali doni non sono dati a beneficio dei singoli ma per l'utilità di tutta la Chiesa. E, poiché autore ne è, come dice lo stesso Apostolo, «l'unico e medesimo Spirito, che li distribuisce a ciascuno come vuole» (1 Cor 12, 11), così bisogna che sia per utilità di tutti i membri del corpo mistico di Cristo tutto ciò che viene dai celesti tesori dello Spirito Santo (cf 1 Cor 11, 5; Rm 12, 8; 1 Tm 6, 2; Tt 2, 15). Questa appunto è la ragione per cui dalle fonti che sono gli scritti e gli esempi della Vergine Senese attingano abbondantemente i contemporanei e i posteri, i dotti, i santi e i peccatori.

Se si guarda poi alle lodi di una così squisita dottrina, si trova la stessa mirabile armonia di pensieri, sicuri e ben definiti. Non tratta di cose estranee, come conviene a lei che espone «la dottrina di vita» portata agli uomini dal Verbo adorabile di Dio. Sicché si possono applicare a Caterina quelle parole del Figlio dell'eterno Padre: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato» (Gv 7,16); e anche quelle dell'Apostolo Paolo: «Io non ritenni di sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1 Cor 2, 2). Difatti non si proponeva la Vergine di comunicare la vana scienza umana (ivi, 4-9), ma la celeste sapienza, che veniva attinta dalle sacre Lettere e fatta quasi suo sangue (cf ivi, 10-13), mediante la meditazione e l'uso delle cose celesti.

Perciò quelle cose che insegnò sulla vita morale sembravano nuove, grazie al modo personale e veramente singolare con cui le ricavava dalle principali verità di fede. E bene quindi diceva: «Io v'invito a entrare in un mare pacifico per questa ardentissima carità, e in un mare profondo. Questo ho io trovato ora di nuovo (non che sia nuovo il mare, ma è nuovo a me quel sentimento dell'anima mia) in quella parola: Dio è amore» (Lett. 146).

Per la stessa ragione, i vari punti della dottrina cateriniana formano un tutt'uno ampio e compatto, derivato dai più profondi misteri della nostra religione, cioè la Ss. Trinità, e l'incarnazione del Signore, con cui il Verbo di Dio si fece carne e morì per noi. Da questi, come da un perno, scendono tutti i suoi concetti e i consigli sulle cose da fare; e a questo tende sempre l'orazione sua, che ciascuno torni al conoscimento di sé e di Dio che abita in noi. E perché sia ferma in questo umano e divino conoscimento e viva in esso come in una cella, lo stesso divino Maestro l'ammonisce.

Secondo l'insegnamento di Caterina, al primo posto bisogna mettere la potenza del sangue di Cristo e la missione della Chiesa: mediante quel sangue prezioso si è specialmente manifestata la verità del Padre (Lett. 102) e da parte di Cristo la volontà di compierla; e ancora è mostrata la via della dottrina di Cristo, aperta a tutti, che ognuno può percorrere «nel sangue della stessa verità incarnata» (Dial., c. 135).

Si ha così questo: negli scritti di Caterina l'umanità di Cristo è collocata proprio al centro di tutta la pietà cristiana, insieme con le verità di fede che nutrono la carità, come sono l'Eucaristia, le sofferenze di Cristo e il suo preziosissimo sangue.

La Chiesa, poi, per Caterina, non è altro che Cristo (Lett. 171), poiché nella carità diventa una cosa sola con Cristo, come il Padre e il Figlio sono una cosa sοla (cf Gv 17, 21). Il suo impegno per la Chiesa e per il Sommo Pontefice fu così straordinario e singolare, da farle offrire la vita a Dio come vittima per essi (cf Lett. 371), e questa determinazione fu così ferma, che nei durissimi anni del grande scisma Occidentale contribuì molto col suo prestigio ad aumentare l'amore verso il Corpo Mistico di Cristo.

La Vergine Senese considerò sempre il Romano Pontefice cοme «il dolce Cristo in terra» (Lett. 196), al quale si deve sempre amore e obbedienza; e chi non obbedisce a questo Cristo terrestre, che è una cosa sola cοl Cristo celeste (cf Lett. 207), non partecipa al frutto del Sangue del Figlio di Dio. Quello poi che Caterina insegna della comunione che passa tra ognuno di noi e gli altri membri del Corpo mistico, e anche del sacro ordine dei Sacerdoti i quali prestano la loro opera a Cristo» come «ministri del sangue» (Dial., c. 117) e infine quello che dice riguardo a tutti i fedeli di Cristo, tutto ciò è perfettamente conforme a quanto insegna il Concilio Vaticano II (cf Cost. Lumen gentium n. 23).

Né si può tacere di quanto s'affaticò per la riforma dei costumi della Chiesa, e prima di tutti tra i sacri pastori, che essa con insistenza ammonisce di non permettere che per la loro incuria il gregge perisca: «Ohimé, non più tacere! Gridate con cento migliaia di lingue. Veggo che, per tacere, il mondo è guasto, la Sposa di Cristo è impallidita, tòltοgli è il colore, perché gli si è succhiato il sangue da dosso, cioè il sangue di Cristo» (Lett. 16 al Cardinale Vescovo di Ostia). Non con le guerre si può restituire ad essa la primitiva bellezza, ma con una riconciliazione di pace e di quiete, con umili e incessanti preghiere e con sudori e lacrime dei servi di Dio (cf Dial, c. 15, 86).

Le relazioni poi che passano nella Chiesa tra gli uni e gli altri, in cui è posta la vita della Chiesa nell'insieme e nei singoli, si saldano nella carità, la cui forza e peso stringente sono di tale portata universale, che nessuno può piacere a Dio se non cerca d'essere utile al prossimo.

Propria di Caterina à poi l'immagine del «ponte», cioè l'allegoria con cui Cristo, mandato dal Padre, è raffigurato come un ponte che congiunge la riva celeste con quella terrestre, e chi passa per esso si salva.

4. Per quanto la fama e il nome onorevole passassero moltissimo di bocca in bocca dopo la sua morte, però la sua virtù specchiata le ottenne grande gloria dappertutto già da viva. E prendendo alcuni esempi dai Sommi Pontefici, Gregorio XI ebbe sempre per lei una vera venerazione e ne volle francamente vedere «i libri e gli scritti»; e Pio II nel 1461 le decretò l'eccelso onore dei Santi del cielo, scrivendo di sua mano, come egli stesso attesta, la lettera di canonizzazione Misercordias Domini, nella quale afferma: «Nessuno si accostò a lei senza ritornarne migliore e più erudito. La sua dottrina era infusa, non acquisita. Sembrava piuttosto maestra che discepola». Benedetto XIV eleva tali lodi della mirabile dottrina di Caterina, ricca di sapienza, da fargli dire che, a somiglianza di san Paolo, tale dottrina è «accesa del fuoco della carità». E ancora: Urbano VIII approvò con la sua autorità le stigmate di Caterina. Pio IX, nei suoi tempi agitati, volle porre sotto la sua protezione la Sede di Pietro. Pio XII, nell'annunziare la proclamazione di lei, con san Francesco, a patrona primaria d'Italia, la chiamava «fortissima e piissima Vergine» , «decoro e difesa della patria e della religione». E Giovanni XXIII le dette solenne testimonianza, quando, nel quinto centenario della canonizzazione di questa Vergine beata, invitò tutti i cristiani a celebrarla: «giovani e fanciulle, vecchi e giovinetti, gente d'ogni classe ed età, principi e popolani»; e al tempo di quella commemorazione meritatamente lodò i suoi scritti il Nostro predecessore, dicendo che «si elevò così in alto da strappare l'ammirazione dei dotti, lei che istruiva senz'essere stata istruita. Le Lettere e il Dialogo sοnο e saranno anche in futuro cοme un amenissimo giardino di Dio, nel quale spandono odori balsamici i celesti segreti, le eccelse virtù e le amabili esortazioni».

5. E noi, mossi da queste testimonianze, siamo giunti a quella decisione, che giù da tempo avevamo in mente e che nel mese d'ottobre 1967 comunicammo, e cioè che sarebbe bene collocare il nome di santa Caterina da Siena nel numero dei dottori della Chiesa, col quale titolo, quando pensavamo a questo, nessuna santa donna era mai stata decorata.

Trattandosi però di una questione di massima importanza, affidammo l'incarico di studiare diligentemente la cosa alla Sacra Congregazione dei Riti. Questa, dopo aver consultato uomini molto esperti, rispose affermativamente.

Quindi il 20 dicembre dell'anno 1967, in una speciale seduta, come venne chiamata, si discusse su questo dubbio: «Se si può concedere il titolo e l'onore di Dottore della Chiesa a quelle sante donne che per santità e dottrina esimia hanno contribuito molto al bene generale della Chiesa». Il dubbio fu cancellato dalla sentenza del Padri Cardinali e dei Prelati Officiati che erano presenti, i quali unanimemente affermarono che ciò si può fare. Noi stessi considerammo questa sentenza come valida e la confermammo il 21 marzo 1968 con la Nostra deliberazione.

Dopo ciò il diletto Figlio Aniceto Fernández, Maestro Generale dell'Ordine del Frati Predicatori, presentò a nome suo e di tutto l'Ordine una supplica, con cui chiedeva con grande insistenza che la Vergine Senese santa Caterina fosse annoverata tra i Dottori della Chiesa universale. Si unirono a questa anche le domande di molti Cardinali, Arcivescovi, Vescovi, Superiori generali di Ordini e Congregazioni Religiose e Rettori di Università.

Tutte queste lettere ordinammo di passarle alla Sacra Congregazione del Riti, perché le giudicasse; la quale, esaminatele con grande diligenza, considerò la cosa e stabilì che fosse istruita la causa, raccogliendo vari studi su questo argomento corredati di abbondante dottrina.

I Padri Cardinali preposti alla Sacra Congregazione per le Cause del Santi, alla quale compete il giudizio sul materiale raccolto, secondo la Costituzione Apostolica che incomincia con le parole Sacra Rituum Congregatio emanata l'8 maggio 1969, la esaminarono e, tenuto conto dell'insigne santità di vita, dell'eminente dottrina e della sua benefica efficacia sulla vita della Chiesa, richiesti se giudicavano di poter procedere alla proclamazione di santa Caterina da Siena a Dottore della Chiesa, essi, nell'adunanza plenaria della stessa Sacra Congregazione tenuta il 2 dicembre 1969 in Vaticano, dopo aver udita la diligentissima relazione del Cardinale Michael Browne, ponente di questa causa, furono concordi in questa sentenza: «Santa Caterina da Siena è degna d'essere da Noi iscritta nell'albo del Dottori della Chiesa».

Informati di tutto ciò il giorno 8 gennaio di quest'anno 1970, noi approvammo ciò che avevano valutato i Padri Porporati e lo confermammo, stabilendo che si facesse cοn rito solenne.

Oggi, dunque, con l'aiuto di Dio e il plauso di tutta la Chiesa, ciò è fatto. Nel tempio Petriano, dove una gran folla è convenuta d'ogni dove e specialmente dall'Italia, alla presenza di molti Cardinali e Presuli della Curia Romana e della Chiesa cattolica, confermando ciò ch'è stato fatto, accondiscendendo alle domande dei membri dell'Ordine dei Frati Predicatori e soddisfacendo con grande piacere i desideri di tutti gli altri supplicanti, durante il sacrificio Eucaristico abbiamo pronunziato queste parole: Con certa conoscenza e matura deliberazione e in forza della piena autorità apostolica, dichiariamo santa Caterina, Vergine Senese, Dottore della Chiesa universale.

Ciò detto e ringraziato Dio con tutti i presenti, abbiamo tenuto un discorso sulla mirabile vita e dottrina del nuovo Dottore e offerto la vittima divina all'altare maggiore del tempio.

Chiudendo ora questa Lettera, decretiamo che queste cose si osservino religiosamente e abbiano valore, sia ora che in futuro, nonostante qualsiasi cosa in contrario.

Dato a Roma, presso S. Pietro, col sigillo del Pescatore, il 4 ottobre 1970, anno ottavo del Nostro Pontificato.

PAOLO PP. VI
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/06/2009 09:34

BELLISSIMO INEDITO di Pio XII alla Basilica di Maria sopra la Minerva per proclamare Santa Caterina da Siena e san Francesco d'Assisi, Patroni d'Italia...



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29/04/2010 19:22

La prima donna dottore della Chiesa: Santa Caterina da Siena

Piccola premessa all'articolo per spiegare il titolo....
in dirittura cronologica la prima Donna ad essere prolcamata Dottore della Chiesa fu santa Teresa d'Avila, il 27 settembre 1970 mentre, santa Caterina verrà proclamata ufficialmente Dottore il 4 ottobre 1970...
quindi si tratta di pochi giorni, ma c'è l'articolo che qui segue, dell'Osservatore Romano dell'aprile 2010 che intitola proprio "Prima Donna Dottore della Chiesa" dedicato a santa Caterina mostrando questa spiegazione: Paolo vi, che ben conosceva le straordinarie doti di sapienza e i carismi di Caterina da Siena, unitamente alle alte vette di santità da lei raggiunte, parlò al terzo congresso mondiale per l'Apostolato dei laici del 15 ottobre 1967, manifestando di voler "riconoscere" alla santa senese, la quale era laica pur essendo terziaria domenicana, il titolo di dottore della Chiesa universale.
Inoltre tale primato  in quanto alla cronologia del tempo, più antica di Teresa d'Avila... e, si legge ancora nell'articolo: Paolo VI verso la fine degli anni Sessanta doveva ancora risolvere un problema, dato che tutti i trenta dottori della Chiesa fino ad allora proclamati erano solo uomini: poteva una donna essere insignita di tale titolo? Il 20 dicembre 1967 la Sacra Congregazione dei Riti, interpellata dal Pontefice per annoverare santa Caterina fra i Dottori, accettava che anche una donna potesse essere proclamata dottore della Chiesa


santa Caterina settembre

di Ludovico Cartotti Oddasso

Invita a riflettere la concessione - nell'ottobre 2010 sarà il quarantesimo anniversario - della qualifica di dottore della Chiesa a una umile popolana illetterata, Caterina da Siena, vissuta il breve periodo di 33 anni. Infatti, nei pochi anni della sua vita terrena - morì il 29 aprile 1380 - essa raggiunse le più alte vette della santità e della dottrina, unitamente a straordinari e clamorosi interventi in campo politico per la protezione del papato e per la pace fra i popoli.

Del tutto priva di educazione scolastica, popolana nel senso più schietto del termine, Caterina svolse, come noto, azioni di pace incisive e risolutive presso sovrani, uomini di governo, Pontefici. Inoltre, se si considera la sua condizione di donna nel Trecento - quando le donne non erano considerate al di fuori dei lavori domestici - l'operato della santa si configura come del tutto eccezionale. Basti pensare infatti ai clamorosi risultati ottenuti in campo politico, quali l'aver riportato a Roma da Avignone la sede papale, ponendo fine alla cosiddetta "cattività avignonese" (1308-1377) e l'aver ristabilito la pace tra Firenze e lo Stato Pontificio da tempo in guerra fra loro ed esortando alla pace i popoli europei, dilaniati dalle guerre fratricide, a unirsi nel nome di Cristo.
Non possiamo pertanto non vedere nell'operato dell'umile Caterina l'intervento straordinario della Provvidenza divina la quale, come ha scritto Giovanni Paolo ii nella sua lettera apostolica Amantissima Providentia del 29 aprile 1980, per il sesto centenario del transito di Caterina, "si manifesta in vari modi protagonista della storia, accendendo sempre nuove luci sul cammino dell'uomo", scegliendo persone apparentemente incapaci o disadatte e ne eleva talmente le facoltà naturali, da renderle "capaci di azioni assolutamente superiori alla loro portata, non tanto per confondere la sapienza dei sapienti, quanto per mettere in luce la sua opera".
Pur essendo certamente dotata di singolari doti naturali, Caterina comprendeva le verità divine e i misteri della fede in virtù del suo carisma di sapienza infusa dallo Spirito Santo, come riconosciuto da Pio ii nella bolla di canonizzazione del 29 giugno 1461, secondo cui la dottrina della santa fu infusa, non acquisita:  "Prius Magistra visa est quam discipula".

Con l'insegnamento e la sua vita esemplare, Caterina assisteva tutti coloro che a lei ricorrevano e i discepoli, che sempre più numerosi la seguivano, costituivano la sua famiglia, la "bella brigata", come veniva anche definita. Ascoltavano le sue parole non solo la comune gente del popolo, ma illustri sapienti, teologi, sovrani, governatori di città o di Stati, Papi. Caterina amava il Papa, da lei definito "il dolce Cristo in terra" e lo consigliava, come testimoniano le sue numerose lettere. Oltre a Gregorio xi che trovò in Caterina l'angelo che l'accompagnava nei terribili momenti del ristabilimento della sede papale nel "loco suo proprio", Urbano vi la volle al suo fianco per infondere coraggio ai cardinali riuniti in concistoro, terrorizzati dagli attacchi e dalle violenze degli scismatici guidati dal sanguinario Robert de Genève, divenuto poi l'antipapa Clemente vii:  alla sua appassionata preghiera viene infatti attribuita la vittoria sugli attaccanti, costretti così a fuggire da Roma.
Mirabilis in Ecclesia Deus, scriveva quarant'anni fa Paolo vi nella lettera apostolica del 4 ottobre 1970, con cui proclamava santa Caterina da Siena dottore della Chiesa:  "Egli, mentre tiene nascosti ai sapienti i suoi disegni, li rivela invece ai piccoli e suole anche chiamare semplici e modesti discepoli, con celesti ispirazioni e stimoli, a cose eccelse, per l'edificazione del Corpo di Cristo".
Paolo vi, che ben conosceva le straordinarie doti di sapienza e i carismi di Caterina da Siena, unitamente alle alte vette di santità da lei raggiunte, parlò al terzo congresso mondiale per l'Apostolato dei laici del 15 ottobre 1967, manifestando di voler "riconoscere" alla santa senese, la quale era laica pur essendo terziaria domenicana, il titolo di dottore della Chiesa universale.

Il Pontefice ha sottolineato di volersi limitare a "riconoscere" tale titolo, confermando con la sua autorità quanto già universalmente affermato fin da subito. Il termine "dottore" era già stato infatti spesso usato dai discepoli della santa, fra i quali non pochi erano noti maestri in teologia come il teologo agostiniano inglese Guglielmo Flete e il monaco vallombrosiano Giovanni dalle Celle. Tralasciando di soffermarci sul beato Raimondo da Capua e su Tommaso da Siena detto "il Caffarini", entrambi domenicani e suoi biografi, anche i laici che furono suoi discepoli lasciarono entusiastiche testimonianze sulla sapienza di lei, come il senese Stefano Maconi, di nobile famiglia, Francesco Malvolti, anch'egli di nobile famiglia senese, il notaio Cristoforo Guidini, che riteneva Caterina "migliore che niuno dottore", i poeti Nastagio da Montalcino, Giovanni da Montepulciano e Jacopo del Pecora. Anche nei secoli successivi alla morte di Caterina continuarono le testimonianze sulla di lei sapienza, dal famoso stampatore Aldo Manuzio al Capecelatro, al Tommaseo, per citarne alcuni, fino ad arrivare ai tempi a noi più vicini, a Giovanni xxiii che scolpì l'eccezionale figura della santa, nella sua lettera per il quinto centenario della canonizzazione (1961), con le parole "indocta docuit" o "quae praeclara doctrina excelluit".

A tanto numerosi e qualificati riconoscimenti dell'ortodossia dell'insegnamento di Caterina da Siena, non possiamo non ricordare la copiosa testimonianza iconografica, che raffigura la santa con in mano il libro, simbolo di magistero, o con la colomba, simbolo dell'ispirazione dello Spirito divino e, non da ultimo, seduta in cattedra con atteggiamento di dottore e maestro.

Tuttavia, pur essendo convinto del "dottorato" di Caterina, Paolo vi verso la fine degli anni Sessanta doveva ancora risolvere un problema, dato che tutti i trenta dottori della Chiesa fino ad allora proclamati erano solo uomini:  poteva una donna essere insignita di tale titolo? Il 20 dicembre 1967 la Sacra Congregazione dei Riti, interpellata dal Pontefice, accettava che anche una donna potesse essere proclamata dottore della Chiesa.
Il giorno della proclamazione di Caterina da Siena dottore della Chiesa universale vide anche l'istituzione, da parte dell'arcivescovo di Siena, Mario Ismaele Castellano, dell'Associazione ecumenica dei caterinati, continuazione di una precedente confraternita ispirata a santa Caterina, esistente in Siena, con riferimento all'antica "famiglia spirituale" della santa i cui membri, i "caterinati", la veneravano come "mamma" e "maestra". L'associazione ottenne nel 1992 il riconoscimento da parte della Santa Sede, e da allora, con la nuova denominazione Associazione internazionale dei caterinati, ha continuato a svilupparsi in vari centri in Italia, tra cui Varazze, Genova, Milano, Trieste, Firenze, Siena, Roma, e in Belgio a Bruxelles e Astenet. Nel 2001 è stata tra i promotori del Movimento Anima europae costituito dalle famiglie religiose dei patroni del continente.

I dottori della Chiesa non appartengono a una qualche università o accademia, ma fanno parte unicamente della Chiesa la quale sola, come scrisse monsignor Castellano, "li riconosce tali ed è a essi grata perché il loro insegnamento la arricchisce di sapienza e l'aiuta nella missione di salvezza. La loro dottrina nasce dalla Chiesa, si nutre della Chiesa, fa progredire la Chiesa (...) e santa Caterina da Siena ama la santa Chiesa di amore indicibile e si adopera per la sua riforma in alto e in basso, con preghiere, veglie, digiuni, lacrime e sudori. Per lei soffre unita alla passione di Gesù, fino a portarne le stimmate nel suo corpo. Poco prima di morire poté dire ai suoi discepoli:  "Ho consumato tutta la mia vita per la santa Chiesa e questo io credo per una grazia eccezionale che mi ha concesso il Signore"".

(L'Osservatore Romano - 30 aprile 2010)

santa Caterina ottobre



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[Modificato da Caterina63 08/10/2011 15:43]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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24/11/2010 12:22

Non poteva mancare la figura eccellente di santa Caterina da Siena, Dottore della Chiesa.... innamorata profondamente della Chiesa e del Sommo Pontefice che soleva chiamare affettuosamente: Babbo mio dolce; il dolce Vicario di Cristo in terra....


CATECHESI DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

L’UDIENZA GENERALE, 24.11.2010


                                

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Santa Caterina da Siena

Cari fratelli e sorelle,

quest’oggi vorrei parlarvi di una donna che ha avuto un ruolo eminente nella storia della Chiesa. Si tratta di santa Caterina da Siena.

Il secolo in cui visse - il quattordicesimo - fu un’epoca travagliata per la vita della Chiesa e dell’intero tessuto sociale in Italia e in Europa. Tuttavia, anche nei momenti di maggiore difficoltà, il Signore non cessa di benedire il suo Popolo, suscitando Santi e Sante che scuotano le menti e i cuori provocando conversione e rinnovamento. Caterina è una di queste e ancor oggi ella ci parla e ci sospinge a camminare con coraggio verso la santità per essere in modo sempre più pieno discepoli del Signore.

Nata a Siena, nel 1347, in una famiglia molto numerosa, morì a Roma nel 1380. All’età di 16 anni, spinta da una visione di san Domenico, entrò nel Terz’Ordine Domenicano, nel ramo femminile detto delle Mantellate. Rimanendo in famiglia, confermò il voto di verginità fatto privatamente quando era ancora un’adolescente, si dedicò alla preghiera, alla penitenza, alle opere di carità, soprattutto a beneficio degli ammalati.

Quando la fama della sua santità si diffuse, fu protagonista di un’intensa attività di consiglio spirituale nei confronti di ogni categoria di persone: nobili e uomini politici, artisti e gente del popolo, persone consacrate, ecclesiastici, compreso il Papa Gregorio XI che in quel periodo risiedeva ad Avignone e che Caterina esortò energicamente ed efficacemente a fare ritorno a Roma. Viaggiò molto per sollecitare la riforma interiore della Chiesa e per favorire la pace tra gli Stati: anche per questo motivo il Venerabile Giovanni Paolo II la volle dichiarare Compatrona d’Europa: il Vecchio Continente non dimentichi mai le radici cristiane che sono alla base del suo cammino e continui ad attingere dal Vangelo i valori fondamentali che assicurano la giustizia e la concordia.

Caterina soffrì tanto, come molti Santi. Qualcuno pensò addirittura che si dovesse diffidare di lei al punto che, nel 1374, sei anni prima della morte, il capitolo generale dei Domenicani la convocò a Firenze per interrogarla. Le misero accanto un frate dotto ed umile, Raimondo da Capua, futuro Maestro Generale dell’Ordine. Divenuto suo confessore e anche suo “figlio spirituale”, scrisse una prima biografia completa della Santa. Fu canonizzata nel 1461.

La dottrina di Caterina, che apprese a leggere con fatica e imparò a scrivere quando era già adulta, è contenuta ne Il Dialogo della Divina Provvidenza ovvero Libro della Divina Dottrina, un capolavoro della letteratura spirituale, nel suo Epistolario e nella raccolta delle Preghiere. Il suo insegnamento è dotato di una ricchezza tale che il Servo di Dio Paolo VI, nel 1970, la dichiarò Dottore della Chiesa, titolo che si aggiungeva a quello di Compatrona della città di Roma, per volere del Beato Pio IX, e di Patrona d’Italia, secondo la decisione del Venerabile Pio XII.

In una visione che mai più si cancellò dal cuore e dalla mente di Caterina, la Madonna la presentò a Gesù che le donò uno splendido anello, dicendole: “Io, tuo Creatore e Salvatore, ti sposo nella fede, che conserverai sempre pura fino a quando celebrerai con me in cielo le tue nozze eterne” (Raimondo da Capua, S. Caterina da Siena, Legenda maior, n. 115, Siena 1998). Quell’anello rimase visibile solo a lei. In questo episodio straordinario cogliamo il centro vitale della religiosità di Caterina e di ogni autentica spiritualità: il cristocentrismo. Cristo è per lei come lo sposo, con cui vi è un rapporto di intimità, di comunione e di fedeltà. Egli è il bene amato sopra ogni altro bene.

Questa unione profonda con il Signore è illustrata da un altro episodio della vita di questa insigne mistica: lo scambio del cuore. Secondo Raimondo da Capua, che trasmette le confidenze ricevute da Caterina, il Signore Gesù le apparve con in mano un cuore umano rosso splendente, le aprì il petto, ve lo introdusse e disse: “Carissima figliola, come l’altro giorno presi il tuo cuore che tu mi offrivi, ecco che ora ti do il mio, e d’ora innanzi starà al posto che occupava il tuo” (ibid.). Caterina ha vissuto veramente le parole di san Paolo, “… non vivo io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).

Come la santa senese, ogni credente sente il bisogno di uniformarsi ai sentimenti del Cuore di Cristo per amare Dio e il prossimo come Cristo stesso ama. E noi tutti possiamo lasciarci trasformare il cuore ed imparare ad amare come Cristo, in una familiarità con Lui nutrita dalla preghiera, dalla meditazione sulla Parola di Dio e dai Sacramenti, soprattutto ricevendo frequentemente e con devozione la santa Comunione. Anche Caterina appartiene a quella schiera di santi eucaristici con cui ho voluto concludere la mia Esortazione apostolica Sacramentum Caritatis (cfr n. 94). Cari fratelli e sorelle, l’Eucaristia è uno straordinario dono di amore che Dio ci rinnova continuamente per nutrire il nostro cammino di fede, rinvigorire la nostra speranza, infiammare la nostra carità, per renderci sempre più simili a Lui.

Attorno ad una personalità così forte e autentica si andò costituendo una vera e propria famiglia spirituale. Si trattava di persone affascinate dall’autorevolezza morale di questa giovane donna di elevatissimo livello di vita, e talvolta impressionate anche dai fenomeni mistici cui assistevano, come le frequenti estasi. Molti si misero al suo servizio e soprattutto considerarono un privilegio essere guidati spiritualmente da Caterina. La chiamavano “mamma”, poiché come figli spirituali da lei attingevano il nutrimento dello spirito.

Anche oggi la Chiesa riceve un grande beneficio dall’esercizio della maternità spirituale di tante donne, consacrate e laiche, che alimentano nelle anime il pensiero per Dio, rafforzano la fede della gente e orientano la vita cristiana verso vette sempre più elevate.

“Figlio vi dico e vi chiamo - scrive Caterina rivolgendosi ad uno dei suoi figli spirituali, il certosino Giovanni Sabatini -, in quanto io vi partorisco per continue orazioni e desiderio nel cospetto di Dio, così come una madre partorisce il figlio” (Epistolario, Lettera n. 141: A don Giovanni de’ Sabbatini). Al frate domenicano Bartolomeo de Dominici era solita indirizzarsi con queste parole: “Dilettissimo e carissimo fratello e figliolo in Cristo dolce Gesù”.

Un altro tratto della spiritualità di Caterina è legato al dono delle lacrime. Le lacrime esprimono una sensibilità squisita e profonda, capacità di commozione e di tenerezza. Non pochi Santi hanno avuto il dono delle lacrime, rinnovando l’emozione di Gesù stesso, che non ha trattenuto e nascosto il suo pianto dinanzi al sepolcro dell’amico Lazzaro e al dolore di Marta e Maria, e alla vista di Gerusalemme, nei suoi ultimi giorni terreni. Secondo Caterina, le lacrime dei Santi si mescolano al Sangue di Cristo, di cui ella ha parlato con toni vibranti e con immagini simboliche molto efficaci: “Abbiate memoria di Cristo crocifisso, Dio e uomo (…). Ponetevi per obietto Cristo crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso” (Epistolario, Lettera n. 16: Ad uno il cui nome si tace).

Qui possiamo comprendere perché Caterina, pur consapevole delle manchevolezze umane dei sacerdoti, abbia sempre avuto una grandissima riverenza per essi: essi dispensano, attraverso i Sacramenti e la Parola, la forza salvifica del Sangue di Cristo.

La Santa senese ha invitato sempre i sacri ministri, anche il Papa, che chiamava “dolce Cristo in terra”, ad essere fedeli alle loro responsabilità, mossa sempre e solo dal suo amore profondo e costante per la Chiesa. Prima di morire disse: “Partendomi dal corpo io, in verità, ho consumato e dato la vita nella Chiesa e per la Chiesa Santa, la quale cosa mi è singolarissima grazia” (Raimondo da Capua, S. Caterina da Siena, Legenda maior, n. 363).

Da santa Caterina, dunque, noi apprendiamo la scienza più sublime: conoscere ed amare Gesù Cristo e la sua Chiesa. Nel Dialogo della Divina Provvidenza, ella, con un’immagine singolare, descrive Cristo come un ponte lanciato tra il cielo e la terra. Esso è formato da tre scaloni costituiti dai piedi, dal costato e dalla bocca di Gesù. Elevandosi attraverso questi scaloni, l’anima passa attraverso le tre tappe di ogni via di santificazione: il distacco dal peccato, la pratica della virtù e dell’amore, l’unione dolce e affettuosa con Dio.

Cari fratelli e sorelle, impariamo da santa Caterina ad amare con coraggio, in modo intenso e sincero, Cristo e la Chiesa. Facciamo nostre perciò le parole di santa Caterina che leggiamo nel Dialogo della Divina Provvidenza, a conclusione del capitolo che parla di Cristo-ponte: “Per misericordia ci hai lavati nel Sangue, per misericordia volesti conversare con le creature. O Pazzo d’amore! Non ti bastò incarnarti, ma volesti anche morire! ... O misericordia! Il cuore mi si affoga nel pensare a te: ché dovunque io mi volga a pensare, non trovo che misericordia” (cap. 30, pp. 79-80).


Pope Benedict XVI arrives for his weekly general audience on November 24, 2010 at the Paul VI hall at the Vatican.




[Modificato da Caterina63 24/11/2010 18:03]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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29/04/2012 21:53

Santa Caterina da Siena passione fuoco e amore

Dal film Io Caterina vi offriamo un pezzo davvero indimenticabile e di grande attualità: se sarete ciò che dovrete essere metterete fuoco in tutta l'Italia!
Amore, Sangue Divino, Croce, Maria Santissima, il libro nel quale è scritta la nostra regola. Ascoltiamo la nostra amata Patrona d'Italia.

www.gloria.tv/?media=282358



così dice Benedetto XVI all'Udienza generale del 24.11.2010:
Caterina soffrì tanto, come molti Santi. Qualcuno pensò addirittura che si dovesse diffidare di lei al punto che, nel 1374, sei anni prima della morte, il capitolo generale dei Domenicani la convocò a Firenze per interrogarla. Le misero accanto un frate dotto ed umile, Raimondo da Capua, futuro Maestro Generale dell’Ordine. Divenuto suo confessore e anche suo “figlio spirituale”, scrisse una prima biografia completa della Santa. Fu canonizzata nel 1461.

Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org


[SM=g1740717]

[SM=g1740738]


[SM=g1740717] BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 24 novembre 2010

....Da santa Caterina, dunque, noi apprendiamo la scienza più sublime:
conoscere ed amare Gesù Cristo e la sua Chiesa. Nel Dialogo della
Divina Provvidenza, ella, con un’immagine singolare, descrive Cristo
come un ponte lanciato tra il cielo e la terra. Esso è formato da tre scaloni
costituiti dai piedi, dal costato e dalla bocca di Gesù. Elevandosi
attraverso questi scaloni, l’anima passa attraverso le tre tappe
di ogni via di santificazione: il distacco dal peccato, la pratica della virtù
e dell’amore, l’unione dolce e affettuosa con Dio.
Cari fratelli e sorelle, impariamo da santa Caterina ad amare con coraggio,
in modo intenso e sincero, Cristo e la Chiesa. Facciamo nostre perciò
le parole di santa Caterina che leggiamo nel Dialogo della Divina
Provvidenza, a conclusione del capitolo che parla di Cristo-ponte:
“Per misericordia ci hai lavati nel Sangue, per misericordia volesti
conversare con le creature. O Pazzo d’amore! Non ti bastò incarnarti,
ma volesti anche morire! (...) O misericordia! Il cuore mi si affoga
nel pensare a te: ché dovunque io mi volga a pensare, non trovo
che misericordia” (cap. 30, pp. 79-80). Grazie.

www.gloria.tv/?media=283799


[SM=g1740717]

[SM=g1740738]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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