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da "autobiografia di un lupo-cane" - cap.7

Ultimo Aggiornamento: 09/01/2009 10:25
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09/01/2009 10:25
 
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CAP.7

ULTIMI SCAMPOLI D’ESTATE – PAURE INGIUSTIFICATE – “CHIOSA” SUI CACCIATORI


Sì, nel periodo estivo il mio stile di vita rimaneva pressoché invariato, sostanzialmente, pur con qualche punta di piccante in più. Com’è ovvio, perdevo di vista il gruppetto delle mie amiche bipedi camminatrici-ammiratrici capeggiato dalla mia vicina di casa. Non che mi mancassero, anzi, le dimenticavo quasi. Era tutto così stimolante nella mia nuova, temporanea collocazione! Tuttavia, inaspettatamente, un giorno le vidi passare davanti alla grande casa sui loro mezzi-biciclette, dirette verso il mare, e mi invase una grande gaiezza: mi accorsi che in realtà non le avevo affatto scordate e corsi loro incontro manifestando tutto il mio piacere di rivederle, infatti mi accostai ai loro mezzi- con-ruote e corremmo insieme (trattenni lo sprint, non volevo seminarle). Non passavano di lì per me, ma furono talmente contente di rivedermi (anche loro non mi avevano dimenticato, forse aspettavano che tornassi), ancora più felici di me, da prorompere in festose grida di gioia alla mia vista, alle quali seguirono subito le tenere coccole di rito. Tra tutti gli umani miei amici, loro venivano forse subito dopo il mio capobranco…. perché erano particolarmente affettuose con me; inoltre, ero ormai legato a loro dalle varie passeggiate che avevamo condiviso, non le sentivo mai infastidite dalla mia presenza, avevamo stabilito un vincolo un po’ speciale al punto che, se mi capitava di rivederle quando rientravano dalla spiaggia, le accompagnavo, sempre correndo loro accanto, fino alla mia prima casa, quella invernale. Stavano diventando un piccolo riferimento, anche se secondario (ancora!), perché non avevo disimparato che durante il resto dell’anno erano loro a dedicarmi più tempo di tutti, per passeggiare in compagnia. E poi, sapevo che al mio ritorno, passata l’estate, le avrei ritrovate, molto spesso disponibili per me… soprattutto le mie vicine di casa, la grande e la piccola, sempre piene di premure per me. Così, le incontrai parecchie volte anche durante la stagione calda, si ripetè sempre il festoso rituale dell’incontro, nel caso ci rinfrescammo la memoria e si rinsaldò ulteriormente il nostro vincolo. Loro mi aspettavano, mentre molti altri miei amici o ammiratori andavano e venivano, sparivano e non li rivedevo più.
Ci incontrammo casualmente anche in un assolato pomeriggio estivo: passeggiavo tranquillamente nel mio regno, il canneto lungo il fiume, al quale potevo accedere direttamente dal retro della mia “grande casa” estiva. Sicché a un certo punto, sbucando all’improvviso da dietro un grosso cespuglio, mi trovo di fronte la mia vicina umana in compagnia dell’altra piccola umana e della mia amichetta canina (erano un trio inscindibile, allora). Come mi vedono, le due prorompono in rumorose esplosioni verbali di gioia, quasi mi si avvinghiano al collo e pronunciano ripetutamente il mio nome, con tono di voce molto alto e quasi commosso… sollevato, mi sembra. Sul momento resto un po’ sorpreso: d’accordo, sono contente di rivedermi, è da un po’ che non ci vediamo, ma queste effusioni, queste espressioni di esultanza mi paiono un po’ eccessive. A un tratto percepisco in loro un senso di paura, sfumato alla mia sola vista. Mi guardo intorno e penso di comprenderne il motivo: sotto il ponte, a poca distanza, c’è un gruppetto di umani fermi, che ci stanno guardando (Io li avevo già visti… embè?). Intuisco all’improvviso: si tratta proprio di quelli che, dal punto di vista umano (ormai ho acquisito un po’ d’esperienza) hanno un’aria un po’ strana, forse, un’aria… come la definiscono, gli umani? “losca”, mi pare. Ne vedevo spesso, sul lungofiume, specialmente sotto i ponti, ma non ci avevo mai fatto caso più di tanto. Per me erano umani come gli altri; mi ignoravano, e io ignoravo loro, non rappresentavano una minaccia, per me. L’umana grande, invece, ha forse temuto un’aggressione, in quel posto isolato: il canneto è nel periodo del suo massimo rigoglio, le canne sono altissime e molto folte, non c’è che un sentierino ad attraversarle, insomma è il luogo ideale per un agguato. (Tra gli umani a volte succede, per motivi che noi non riusciamo mai a comprendere.) Loro due sono in minoranza, e più deboli. Sento che ha temuto soprattutto per la piccola, è molto protettiva nei suoi confronti (infatti la piccola non è che un cucciolone umano). E la cagnolotta non avrebbe certo potuto difenderle, troppo piccola (anche se grassoccia e forte, per la sua taglia). Un cane dall’aspetto lupesco, invece, anche se non enorme, fa’ sempre il suo bell’effetto su potenziali “malintenzionati”. Può fungere un po’ da “deterrente”, può scoraggiare eventuali “male-intenzioni”, per l’appunto. Ecco il perché di quelle “feste” esagerate. L’umana grande sapeva bene che, in caso di aggressione, io, pur essendo loro amico, non sarei intervenuto per difenderle (non avrei potuto farlo: la Legge parla chiaro in proposito). Lei ormai mi conosceva, e si era anche documentata sugli husky. Ma sapeva anche che non tutti gli umani ne sono al corrente, aveva sperato che quelli non lo fossero. Non successe nulla, quel gruppetto non si mosse da dov’era, si limitò a guardare e io mi accodai alle mie amiche che proseguivano la passeggiata. Un gradito incontro non previsto. Non so se quegli umani avessero intenzioni aggressive, a me non pareva ma non avrei potuto giurarci: non sempre azionavo le “antenne” per captare gli intenti umani sotto forma di vibrazioni; quando ero rilassato, per i fatti miei, prendevo un po’ come un dato di fatto ciò che mi stava intorno. Non mi era chiaro, inoltre, il meccanismo dei messaggi corporei degli umani: non scodinzolano, per ovvii motivi, non mostrano i denti per avvertire che stanno scattando, non ringhiano, ecc… (Anzi, se scoprono i denti, non significa che stanno per aggredire, no, tutt’altro: sorridono… sono amichevoli, dunque; o almeno, tali vogliono apparire ai propri simili… )
Riguardo agli umani dalla famosa aria “losca”, i malintenzionati, pareva che molti cani li sapessero distinguere, alcuni addirittura a distanza, ma non ho mai capito in base a che cosa… forse a determinate caratteristiche estetiche, o a un odore “diverso”… beh, se era quello il criterio, si trattava di una facoltà che non possedevo. Forse per il solito motivo: io ero un cane particolare, mezzo selvatico; io non badavo a certe cose, ne coglievo altre, della natura umana. Ad ogni modo, non cercai mai di carpire il segreto ai colleghi: era una questione che non mi riguardava e non m’interessava.
Ricordo qualche meravigliosa passeggiata con le mie amiche-vicine di casa, sullo stile di quelle che facevo col capobranco (da “cane-trial”); venivano appositamente a chiamarmi e mi accodavo alle loro biciclette, destinazione “pista ciclabile”: si trattava di percorrere un bel tratto di lungofiume spingendosi molto all’interno, in piena campagna. Per loro era sì una cosa divertente, ma anche parecchio faticosa, a quel che vedevo. Parlavano di 17 chilometri circa sola andata, più altrettanti al ritorno; non avevo la minima cognizione delle distanze misurate in termini umani, so solo che per me era uno scherzo. Loro, invece, anche se allegramente, sbuffavano per lo sforzo, per la fatica, al punto che ogni tanto dovevano fare una sosta per riposarsi. Io le distanziavo sempre, e di parecchio anche, stando però attento a non perderle: ogni tanto mi fermavo e le aspettavo, oppure tornavo indietro per ritrovarle e incitarle. Troppo lente! E, in avanscoperta, non sempre mi tenevo sulla pista, spesso ne uscivo ed esploravo i dintorni selvaggi, sfogando come sempre la mia vitalità dirompente e la mia insaziabile smania di libertà nella natura. Durante le soste che le mie amiche erano costrette a fare (ormai avevo fatto l’abitudine alla mancanza di resistenza degli umani, li guardavo dall’alto della mia benevolenza), io, ero talmente impaziente di riprendere la corsa, che le spronavo con lo sguardo, in piedi, ansioso di proseguire. E loro capivano, sorridevano, ammettevano simpaticamente la mia superiorità, si rialzavano e ci rimettevamo in marcia. Quelle zone erano molto frequentate, incrociavamo spesso umani, a piedi o sulle biciclette, e cani. Fu in una di queste gite che ebbi l’occasione d’imbattermi in una particolare razza di esemplare umano: il cacciatore. Alcuni esponenti fermarono la mia amica umana, la grande, e intavolarono una discussione. Io in quel momento mi trovavo fuori pista, quando me ne accorsi mi fermai per curiosità e mi avvicinai un po’: volevo capirci qualcosa. Era una piccola disputa, avviata da un cacciatore, e mi ci volle poco per arguire che proprio io ne ero l’oggetto. Non so perché ma l’avevo subito intuito. Non compresi le parole, capii soltanto che a quel cacciatore e ai suoi compari non garbava la mia presenza lì. Avvertii una forte corrente d’ostilità tra la mia amica e il cacciatore. Soprattutto da parte di lei. Eppure la mia amica era un umano mite e gentile verso tutti, ormai la conoscevo abbastanza! Ciò nonostante sentivo che la sua avversione verso i cacciatori era ben più forte di quella dell’altro, era quasi un senso di repulsione: l’altro, in fin dei conti, trovava semplicemente da ridire sul fatto che lei mi avesse condotto in quel luogo, per di più senza guinzaglio. Motivo? Chiarissimo, per me: i cacciatori umani si ritrovavano tra i piedi un temibilissimo concorrente, che rischiava ogni minuto di rovinare loro la festa: nientemeno che un lupo! Lasciato scorazzare liberamente. Logico che non fossero affatto contenti. Ma niente di personale verso di lei. Sentivo invece che lei ce l’aveva proprio con loro in quanto tali, in quanto “cacciatori”, non solo perché non mi volevano intorno… I toni della contesa si mantennero calmi, ci allontanammo e non scoppiò nessun litigio fra loro, ma io avvertivo che l’umore della mia amica umana si era un po’ guastato, e non capivo perché… rimasi un po’ perplesso, e fu l’inizio delle mie… captazioni dei suoi sentimenti, dei suoi umori (raramente esprimeva i suoi sentimenti in parole), che mi sconcertavano sempre di più e al tempo stesso mi avvicinavano a lei, inspiegabilmente, oltre ad incuriosirmi….
Quanto ai cacciatori, posso esprimere liberamente quelli che erano i miei pensieri in merito? Sì che posso, dal momento che ho avuto questo rarissimo ed impagabile privilegio, io, povero cane a cui è stato fatto il dono, per una volta, in via del tutto eccezionale, di usufruire del linguaggio verbale, esclusiva del genere umano…. e di cui noi non-umani non sentiamo affatto la necessità, tra l’altro. Quindi, come al solito, la mia richiesta di permesso era faceta: sto parlando io, e non chiedo permessi a nessuno. Dunque, i cacciatori. Ah ah! Ah ah, sì, perché se fossi un umano sarebbe questa la reazione che condensa la mia opinione dei cacciatori umani. Li ho visti diverse volte all’opera, e forse solo in quei casi mi sono rammaricato di non possedere il corpo di un umano, perché avrei voluto “sbellicarmi” dalle risate sotto i loro occhi. Gli umani non sono bravi cacciatori; secondo me non sono nati per cacciare. Penso che mi si debba almeno in questo campo una certa considerazione per il mio parere: se non è di mia competenza l’argomento caccia, di chi altri può esserlo? Io sono (-ero) un cacciatore nato. La Grande Madre mi ha voluto e progettato così, io e gli altri come me. Noi siamo i predatori per eccellenza, secondi forse solo ai gatti, altri formidabili cacciatori (metodo diverso: assolutamente incompatibile con i metodi umani; naturale, loro sono gli “splendidi indomabili”). Quindi il mio è senz’altro un parere autorevole, me lo si conceda. E non si discuta! Sarò anche presuntuoso, eccessivamente orgoglioso della mia natura semi-lupesca, quasi altezzoso e via dicendo, un pallone gonfiato, va bene?, ma stavolta sto affermando qualcosa che altro non è che un dato di fatto, neppure un merito. I cacciatori umani? La natura non li ha dotati delle armi indispensabili per cacciare, né fisicamente,né …. già, proprio così, neanche psicologicamente. Eh!, la sa lunga il lupaccio a metà! Li riconoscevo subito, con addosso quelle micidiali quanto ridicole canne d’acciaio sputafuoco. Micidiali, perché sapevo benissimo che davano la morte (per fortuna non erano destinate a me!), e ridicole nel contempo, perché a me risultava inconcepibile che esseri così scarsamente dotati da madre natura cercassero di sopperire alla mancanza di armi proprie, “incorporate”, munendosi di armi artificiali, esterne al proprio corpo. Sbagliatissime anche le loro tecniche (mi lancio nella polemica fino in fondo: non rischio niente, nessuno può venire a cercarmi per tirarmi una schioppettata, non più… ): non è certo quello il modo giusto di muoversi quando si caccia, un vero cacciatore non ha di sicuro quel passo pesante, quei movimenti bruschi, spesso agitati, nervosi, quasi scomposti (come può pensare di riuscire a tendere un agguato alla preda in cotal maniera?), quell’andirivieni insensato ai miei occhi esperti (a volte frenetico). Ogni minimo movimento ha una sua precisa ragione e deve essere assolutamente calcolato, non può sfuggire a caso alcuna minima mossa. Inoltre, costui deve avere una percezione degli odori, di “ogni” odore della natura, che gli umani neanche si sognano, almeno quelli che ho osservato io. Poi, mancano di quelle che sono forse le doti principali di un bravo cacciatore: la pazienza, una pazienza pressoché infinita, che in questo caso vuol dire assoluta mancanza di fretta, e una concentrazione che non ammette distrazioni di alcun genere. Grande tensione ed estrema calma al tempo stesso: questi i veri punti di forza. Tutte caratteristiche che, in tutta onestà, non ho davvero mai riscontrato in alcun esemplare della specie suddetta, perché parlo di un tipo di pazienza e concentrazione ad essa completamente sconosciuta. Infatti, quasi ogni cacciatore si faceva aiutare da uno o più cani, addetti, cioè “addestrati” allo scopo; lo scopo di non mangiarsele loro, le prede, una volta “fatte secche” dalla canna sputafuoco, ma di andarle a recuperare: raramente i cacciatori umani sarebbero stati in grado di farlo. Cani che fungevano da ausiliari all’umano, insomma, perché quasi mai erano loro a cacciare direttamente. (A dire la verità, i cani non avrebbero mai potuto predare gli uccellini sugli alberi… questo era il sostegno delle canne sputafuoco, che dava quindi all’umano un grosso vantaggio sulle capacità del cane…. bella forza, secondo me!) Ma i cani erano felici così, assecondavano i loro umani per farli contenti, anche se in tal modo sacrificavano, annullavano in parte la loro naturale abilità venatoria, si privavano di uno dei più grandi piaceri per dare la precedenza, nell’esercizio della predazione, al loro umano. Che in fin dei conti non era altro che il loro capobranco (anche se pessimo cacciatore) quindi tutto regolare: le regole del branco lupesco trasposte nei dominii umani, in versione riveduta e corretta. Anzi, un po’ “scorretta”, in verità, sempre secondo il lupaccio ribelle. Il quale, invece, tutto questo non avrebbe mai potuto accettarlo, no di certo (lo ripeto: un husky caccia solo per se stesso… come un lupo per la sua famiglia e il suo branco), nessun umano sarebbe mai riuscito a farsi aiutare da me nella caccia, ma quelli erano per l’appunto “cani da caccia”, la cui discendenza “lupesca” si era ormai talmente stemperata, dileguata, allontanata, dissolta nella notte dei tempi da renderli completamente dipendenti dall’umano, e disponibili in tutto verso di lui. Un rapporto di interdipendenza. Come in tutte le razze tranne, credo, la mia (che mi pare ormai di aver capito che non è neppure una “razza” vera e propria). Ora non sto criticando, vedevo che quei cani si divertivano da pazzi nello svolgere il loro compito, e generalmente appartenevano a quella categoria canina che ama teneramente il suo umano al punto che darebbe la vita per lui, e di un amore assolutamente esclusivo. Sentimento che in me non esisteva. Ma lo rispettavo. Qui non ci sono né colpe né meriti, semplicemente qui funziona così. (Chissà se qualche umano avrà mai provato a farsi aiutare da un gatto, nell’esercizio venatorio … solo l’idea, è un qualcosa di grottesco: troppo in gamba, quelli, parola di lupo! Figuriamoci se potrebbero mai essersi assoggettati a qualcosa del genere! Altrimenti non sarei mai stato un loro incondizionato “fans” …) Quando, girovagando da solo, mi capitava d’imbattermi per caso in una battuta di caccia, restavo ad osservare da lontano (avevo imparato a riconoscerne all’istante i movimenti. Così goffi e impacciati dal mio punto di vista), perché non sempre ero in vena di cercarmi grane, e quelle canne d’acciaio non mi “sfagiolavano” per niente, preferivo tenermene a debita distanza, non visto, per prudenza: difficilmente mi avrebbero scambiato per un uccellino, ma sapevo fin troppo bene che anche lì, la mia presenza non sarebbe stata per nulla gradita. Se avessero poi anche solo immaginato, i baldi cacciatori umani, così spavaldi, cosa pensava di loro quel lupaccio…. Che frane! Che spettacolo pietoso! Davvero una pena per i miei occhi. No, non ci siamo, non ci siamo proprio. A volte mi veniva quasi voglia di dargli io stesso qualche lezione, almeno i rudimenti, le norme più elementari. Di caccia. Il mio capobranco, come credo si evinca da miei precedenti racconti di scorribande campagnole, non era un cacciatore. Meno male, in caso contrario avrebbe perso parecchi punti ai miei occhi. Spaiati. Considerata la mia visione dei cacciatori umani… ben poco positiva, mi sarebbe molto scaduto, ma io l’avevo intuito dall’inizio che era un tipo in gamba. Non per niente, non solo per gratitudine io lo avevo eletto tale: non aveva mai cercato di dominarmi, se non per scherzo, e non ho mai capito se sapesse o no che tanto non ci sarebbe mai riuscito; comunque fosse, lo imparò in poco tempo, che io ero un cane “impossibile” (Se per caso cercava anche lui un cane da dominare, bè… con me era cascato male). E mi accettò, mi rispettò così com’ero, anche se a volte rimpiangeva che non fossi un cane “fedele” e si lamentava con qualcuno per questo motivo, come quando esprimeva un po’ d’invidia nei confronti di un amico che aveva accanto un cane talmente dipendente e affezionato che non lo mollava un attimo; per forza!, era un “pastore tedesco”, quello che gli umani chiamano “cane-lupo”. Ma io sapevo che lo diceva così per dire; un cane del genere non sarebbe stato adatto per lui, no, troppo vincolante. Io, subordinato lo ero solo a… perché devo ripetermi? Si sa ormai a chi. E lui, il mio capobranco (senza branco, tra l’altro) mi ammirava anche per questo, mi ammirò dal momento in cui lo capì. Anche lui era, almeno in parte, uno spirito libero. Quanto ai cani “ausiliari” dei cacciatori umani, sapevo che pure a loro la mia presenza avrebbe causato un notevole disappunto: erano perfettamente consci di supportare degli incapaci che avevano la pretesa di svolgere un’attività che non gli competeva, ma la loro totale fedeltà e dedizione imponeva di assecondarli… preferivo evitare scambi d’idee anche con loro: non mi stimolava affatto la causa per cui ci saremmo battuti; si fosse trattato di risse per motivi di femmine da conquistare… oh, beh!, quelle sì!, quelle erano tutt’altra cosa!, ma rissare per i cacciatori umani… non mi pareva proprio che valesse la pena.
(Solo per conoscenza. Sempre durante un giro sulla ciclabile, mentre seguivo le mie amiche cicliste –era stagione di caccia- , arrivando nei pressi di un laghetto alla n°1 vennero di colpo i “sudori freddi” quando notò, troppo tardi, la presenza di alcune anitre sull’acqua: io venivo subito dietro a loro, lei si preparava quindi, con sgomento, a dover assistere ad una piccola strage ad opera mia… perché sapeva che niente e nessuno mi avrebbero fermato. Restò invece alquanto sorpresa vedendomi tirare dritto, senza degnare di un solo sguardo le “bestiole”. E ti credo! Erano finte. Lei se ne avvide poco dopo, con grande sollievo, io non ci ero cascato nemmeno per un attimo. Figuriamoci se io mi sarei lasciato ingannare, se proprio io non avrei saputo distinguere l’odore di preda “vera”! Ed era la prima volta che vedevo quelle imitazioni. Rimasi invece sorpreso io, al ritorno, alla vista di alcuni cani da caccia che si precipitavano nell’acqua per acchiappare quelle anitre finte… per uscirne subito dopo, delusi e sconcertati. Forse erano giovani ed inesperti, ma non mi spiegai comunque come avessero potuto cascarci, addestrati com’erano… e pensare che io non ero certamente “addestrato”, e le mie esperienze di caccia risalivano a tempi molto recenti, data l’immobilità forzata a cui ero stato sottoposto dalla nascita all’età matura… mi risultava evidente che un husky è davvero un quasi-lupo, un predatore di cui i cani che gli umani hanno voluto designare la funzione “da caccia” non possono uguagliare l’abilità venatoria. Così, almeno, mi parve di evincere dall’episodio. Quanto alle anatre finte …ma che trovata era mai, quella? Chi credevano di imbrogliare, i cacciatori umani? Le anitre vere, forse? E riuscivano ad attirarle veramente? Può darsi, se le imitazioni erano piazzate proprio là. Gli umani sono indubbiamente molto furbi, pure se, spesso, più che altro “si credono” tali… -Non presi informazioni sulle capacità sensoriali degli uccelli, non conoscevo granchè, in merito alle loro doti … a parte l’ottimo sapore della loro carne- Se era così, lo trovavo decisamente molto sleale.)


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