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Le Impiccate

Ultimo Aggiornamento: 14/04/2009 17:12
16/08/2008 16:17
 
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...eh lo so che dal titolo si rimane un attimo "così"... [SM=g27825] [SM=g27824] ma volevo riportare questo pezzo tratto (chi indovina? [SM=g27828] ) da Dioniso e le Donne, sul significato delle Divinità che alla fine della loro storia mitica si "impiccano".
Di Dee ce ne sono molte che vivono questa fine/inizio, per esempio Arianna, secondo una delle versioni della sua storia, oppure Aletis, l'Errante, della quale si celebrava la fine della lunga ricerca nelle Aiora, una festa in cui le Vergini si dondolavano in altalena per richiamare all'impiccagione della fanciulla. La sua impiccagione era la fine del suo errare, ovvero l'inizio di qualcosa di più elevato.

"Molte sono le Dee, prima tra tutte Artemide, la Dea vergine per eccellenza, che si sono nel mito impiccate, il che potrebbe avere il senso di un mutamento totale della prospettiva da cui si guarda la vita e quello di un distacco dal suolo, dalla terra, ovvero un allontanamento dalla normale materialità. Impiccarsi era anche, simbolicamente, lasciarsi dondolare in onore della Grande Dea e l'incanto del dondolio, come quello dell'altalena, era associato alla gioia e all'estasi."

(non fatelo però nè?? [SM=g27825] è una cosa simbolica!! [SM=g27828] )
Violet




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17/08/2008 01:28
 
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Riporto un lungo brano da Furio Jesi, «Il simbolismo dell’impiccagione», in «Comunità», Anno XXVI, n. 167, Settembre 1972, , pp. 196-197.

«Nella mitologia greca la morte per impiccagione (generalmente suicidio) è attribuita a un certo numero di figure femminili. Innanzitutto Fedra, almeno secondo la tradizione documentata per la prima volta dall’“Ippolito portatore di Corona” di Euripide e sopravvissuta in età ellenistica e romana. Anche la sorella di Fedra, Arianna, moriva impiccata, e impiccate erano sia Giocasta sia Antigone, secondo le versioni accolte da Sofocle nell’“Edipo re” e nell’“Antigone”. L’eventualità del suicidio per impiccagione, se non il suo reale compimento, si trova prospettata da Clitemnestra nell’“Agamennone” di Eschilo, e dalle Danaidi nelle “Supplici”. Impiccata era pure, a Rodi, Elena “dendritis”, e presso Caphie in Arcadia il platano e la sorgente sacri a Menelao si trovavano vicini al santuario di Artemide “apanchemone” (“impiccata”). Suicide per impiccagione, infine erano due figure tra loro analoghe: Erigone e Charila. Erigone, in seguito alla mporte del padre, Icario (che aveva introdotto il culto di Dionisio e l’uso del vino), si era impiccata, e successivamente l’Attica era stata colpita da una carestia e da un’epidemia di suicidi: le fanciulle ateniesi si impiccavano come Erigone aveva fatto. L’oracolo di Apollo predisse che quei flagelli sarebbero cessati quando gli uccisori di Icario fossero stati puniti e gli ateniesi avessero istituito un sacrificio espiatorio; in occasione della festa dell’“Aiora”, che ricordava la vicenda di Erigone, si appendevano bambole ai rami degli alberi. Abbastanza simile era una tradizione connessa con la festa delfica dei “Charila”: al tempo di una carestia, la fanciulla Charila, offesa dal re del paese che le rifiutava aiuto, si era impiccata suscitando l’ira divina; era stato quindi istituito un sacrificio espiatorio, durante il quale si impiccava a un albero un manichino e poi lo si seppelliva nel luogo presunto della tomba della suicida.

«Oltre alla morte per impiccagione, tutte le figure femminili che abbiamo citato sembrano avere in comune la natura di “donna portatrice di morte”, e spesso di “donna malefica”’. Tutte, cioè, paiono riflettere in forma alterata l’originaria funzione dell’antica figura mitica femminile greca (“kore”) posta sul limitare dell’aldilà e simboleggiante la morte iniziatica. Col decadere o col trasformarsi dei più antichi istituti iniziatici, quei simboli femminili di morte acquistarono anche aspetti negativi (uccisione, anziché passaggio iniziatico nell’aldillà), e si definirono le figure delle donne “malefiche” che conducono alla morte gli eroi.»

Scrive invece Anita Seppilli («Poesia e magia», Torino, Einaudi, 1971, p. 415):

«È indubbio che Elena era collegata con la vegetazione. A Rodi essa godeva di un tempio, ed era chiamata Elena dendritis, e si sarebbe impiccata ad un albero dopo la morte di Menelao. L’impiccagione si riferisce, ben lo sappiamo, a particolari del culto. […] Anche ad Elena era sacro un platano. Nell’epitalamio ad Elena, di Teocrito, è detto che una volta le fanciulle cantavano di voler sospendere una ghirlanda di loto sul platano sacro, di versarvi olio, e scrivere sulla corteccia: “io sono l’albero di Elena”. Iscrivere il proprio nome sull’albero sarà stato, si crede, un vero rito matrimoniale spartano».

In nota (p. 549, nota 130), Seppilli aggiunge:

«L’impiccagione, come l’altalena rituale, è un rito di fecondità. In Messenia, Creta, Mesopotamia, ecc., si trovarono figurine su altalena; statuette della Dea-Madre, bambole, maschere, si sospendevano all’albero. Il movimento verso l’alto dovveva favorire magicamente la crescita».





E sempre il vento e l’ombra misuravano il tempo,
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17/08/2008 23:00
 
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Ho letto tempo fa riguardo alla festa ateniese dell Aiora (detta anche festa delle Altalene), e mi aveva molto affascinato la storia di Erigone. Questa antica festa origina dal appunto dal mito di questa amante di Dioniso, chiamata anche Aletis, che si impicca nel bosco dopo aver trovato il cadavere del padre, ucciso da sconosciuti. Si narra che a seguito di questo avvenimento molte Vergini e Donne greche scelsero di porre fine alla loro vita mortale imitando Erigone. Si narra che corressero nel bosco per giorni, stremate, fino a trovare pace alle proprie pene impiccandosi, gettandosi nel vuoto o annegando.
Vista così, sembrano proprio più simili a rituali di rinascita spirituale più che follia suicida di menti disperate. Impiccarsi dondolando nel vento, ascoltando gli ultimi sussurri della Madre nel profondo della foresta, o gettarsi fra le sue braccia, o sciogliersi nel suo grembo, nell acqua.. per rinascere più vicini a Lei..
Forse la festa dell Aiora fu istituita per ricordare quelle Vergini, o forse per scongiurare quella follia collettiva (o saggezza?), sperando che con questo rito tutto ciò non torni nei villaggi, dove ogni primavera le fanciulle ondeggiano sulle altalene, per onorare la suicida Erigone..


la zia Artemisia






Quando le Donne non parlano,
la voce della Donna Selvaggia si tace.
E tace il naturale e il selvaggio nel mondo.
Tacciono i canti e le danze e le creazioni.
Tacciono l'amore, e le voci della consapevolezza.
CPEstes
)O(
17/08/2008 23:27
 
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E questo si ricollega anche al fatto che Aletis significhi "l'Errante" e che si festeggiava "la fine del suo errare". L'errare è forse il ricercare. Lei era accompagnata dalla sua cagna in questo errare, Maira, ovvero "la splendente".
Si festeggiava la fine della ricerca, che coincide con il raggiungimento di ciò per cui si errava... si ricercava...
Bellissime cose avete riportato, tu Zia, e Alessandro. [SM=g27838]




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25/08/2008 02:33
 
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Ancora qualcosina sulle Impiccate lo riporto da quel libro magnifico quale è Eterno Femminino Mediterraneo, di Uberto Pestalozza:

"le divinità femminili appese (...) non sono originariamente divinità datesi la morte col laccio, ma divinità sospese agli alberi nei loro simulacri con o senza altalena(...); e il significato della dea sospesa e messa in rapido movimento era quello di un rito magico di fecondità, che spingendo verso l'alto la dea, movesse simpaticamente la crescita e lo sviluppo del mondo vegetale; oppure quella di un rito apotropaico, cioè catartico, inteso mediante i moti rapidi del simulacro a purificare l'atmosfera circostante, disperdendone ogni malefico influsso"

Secondo Leda Bearnè, però, non sarebbe corretto ciò che molti studiosi dicono, ovvero che tali riti fossero atti solamente alla fecondità, poichè questi potevano anche essere atti alla "fecondità spirituale" e non solo materiale, ed alla gioia. Infatti:
"le Vergini (...) dovevano dondolarsi in altalena, per diffondere all'esterno la potente e pura energia nascosta nei loro centri femminili".

(da Dioniso e le Donne, Leda Bearnè, Edizioni della Terra di Mezzo, pag. 126)

Quindi il dondolarsi, associato alla nudità, faceva effondere le magiche emanazioni delle donne sacre, le quali portavano fortuna, prosperità della vegetazione e dello spirito e benedizione.



[Modificato da stregaviolet )O( 25/08/2008 02:33]


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25/08/2008 03:50
 
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In uno dei testi che ho citato nell’intervento precedente (Furio Jesi, «Il simbolismo dell’impiccagione», in «Comunità», Anno XXVVI, n. 167, Settembre 1972) si legge anche (pp. 199-200):

«In Grecia però l’altalena non era soltanto un gioco profano, suscettibile di interpretazioni erotiche, bensì anche una pratica rituale, di cui esiste precisa documentazione. “Aiora”, il nome della festa primaverile in memoria di Erigone e di Icario, significa appunto “altalena”, e in occasione di quella festa si pratica ritualmente tanto il giuoco dell’altalena vera e propria, quanto l’ondeggiamento delle bambole appese agli alberi (forse come simulacri di Erigone, suoi sostituti espiatori, ecc.). L’interpretazione più attendibile del rituale dell’altalena in una festa dionisiaca primaverile come l’Aiora vi riconosce una pratica mirante a incrementare la rinascita della vegetazione. […] La donna impiccata e la donna sull’altalena pendono ambedue da un albero, “come i frutti dal ramo”» e la loro oscillazione allude «magicamente alla crescita della vegetazione». Così «il rituale dell’altalena» risulterebbe «limitato […] a una pratica di magia simpatetica. I testi classici, però, non accennano ad alcuna intenzione di tal genere: Probo spiega l’oscillazione delle bambole dell’“Aiora” come simbolo della vana ricerca dei cadaveri di Icario e di Erigone, e Servio suppone che le bambole oscillanti dai rami simboleggino la ricerca per l’aria delle anime dei sucidi. Le numerose testimonianze non greche circa il “volo magico” (nell’aldilà) indurrebbero ad avanzare, con tutta la cautela possibile, l’ipotesi che l’oscillazione dell’altalena rituale nel mondo classico possedesse sia un valore escatologico—di passaggio (volo?) nell’aldilà—sia un valore sessuale: l’uno e l’altro configurabili nella vicenda sacra della “kore” impiccata, che pende come un frutto dai rami dell’albero: la sua morte è un passaggio nell’aldilà e insieme un ratto sessuale».

Se la festa dell’Aiora e il rituale dell’altalena simboleggiano anche una ricerca spirituale, mi sembra che se ne possa trovare conferma nella ipotizzata concezione antica del rituale dell’altalena come volo magico nell’aldilà, soprattutto in connessione al ratto di Persefone (Kore). Anche nella Materia Bretone è rintracciabile un rapporto fra rapimento, catabasi e iniziazione.






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Come abbiamo visto, sono associate all’impiccagione Fedra e Arianna, entrambe figlie di Pasifae, figlia di Sole e Luna, sorella di Kirke. Tutte sono fra quelle figure femminili che il patriarcato, negandone o travisandone la divinità, e deformandole, ha descritto come «donne portatrici di morte» o «donne malefiche». Sono tutte sacerdotesse o divinità lunari. Pasifae e le sue figlie sono originarie di Creta, antichissima sede del culto della Luna e della Grande Madre, là conosciuta in forma arcaica come Artemide, divinità primordiale che dimorava fra i monti impervi, le foreste inestricabili, le grotte vaste e profonde, i prati roridi. Anche le sue sacerdotesse abitavano nei boschi, seminude e selvagge, accompagnate da belve addomesticate, come Kirke. Una di queste sacerdotesse era Arianna, la quale, impiccandosi a un albero, forse mediante nastri legati ai polsi, come Helena e come Hera, celebrava il rito della morte annuale della dèa, seguita dalla sua discesa dall’albero sacro al mondo infero.

(Ho ricavato queste notizie da Norma Lorre Goodrich, «Priestesses», New York & Toronto, Franklin Watts, 1989, pp. 85 ss.)






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