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Giovani: veramente liberi?

Ultimo Aggiornamento: 11/12/2007 21:29
11/12/2007 11:02
 
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Ha bruciato la tessera
www.repubblica.it/2007/02/rubriche/bussole/generazioni-giovani/generazioni-giov...

Una generazione in libertà vigilata
di ILVO DIAMANTI

Alcune settimane fa ho dedicato una "mappa" alle "città universitarie". Prendendo spunto - ma solamente lo spunto - dall'omicidio di Perugia. Sottolineavo come tendano a diventare delle "società artificiali" Abbandonate dai residenti, "affittate" agli studenti, i quali vivono fuori "controllo" per le famiglie e le istituzioni. Perché la città "diventa" loro, anche se non "è" loro. E non lo sarà mai, del tutto. Visto che costituiscono una "popolazione in affitto". Di passaggio. Vi trascorreranno alcuni anni, poi andranno altrove. Da ciò l'insicurezza che pervade un luogo dove l'autorità e le istituzioni sono deboli; o meglio: latitano. Restano sullo sfondo. Dove gli studenti, alla fine, rischiano di diventare quasi degli "apolidi". "Non-cittadini" di una "non-città".

Alcuni hanno inteso queste mie annotazioni come un atto di accusa contro i giovani. In particolare: contro gli studenti. Infine, contro il "programma Erasmus", che promuove l'esperienza degli "scambi" internazionali fra università, permettendo agli studenti di svolgere una parte del loro itinerario di studi in altri Paesi.

Chiaramente, non è così.

In primo luogo, ritengo gli anni dell'università fra i più importanti nella formazione non solo culturale e professionale, ma anche personale, dei giovani. E penso, inoltre, che si debbano trascorrere "lontano da casa". Ormai, i giovani vivono in una condizione quasi simbiotica con la loro famiglia. Il che ne allunga la dipendenza e, quindi, i tempi della "maturità". Intesa come "autonomia" e "responsabilità". A trent'anni, mostrano le inchieste dello Iard, circa i due terzi dei giovani risiedono ancora con i genitori. A trentacinque, circa un terzo. Studiare "lontano" da casa, dalla famiglia, diventa, quindi, una delle poche possibilità di "sperimentare" l'autonomia. Non solo per le donne, sottoposte, da sempre, a maggiori "controlli" da parte dei genitori. Anche per gli uomini, dopo l'abolizione del servizio di leva obbligatorio. A prescindere da specifiche valutazioni di merito: occasione di vita comune con altri giovani, di altre regioni, lontano dagli occhi dei genitori. Per questo ho assistito con fastidio alla proliferazione di sedi universitarie in tutta Italia.

Non solo perché ha prodotto dequalificazione. Ma anche perché ha indotto molti giovani e molte famiglie a scegliere l'Ateneo in base alla "comodità". Il corso di laurea prêt-à-porter, nell'Università fuori-porta. Accentuando ulteriormente il vizio italiano del familismo. Oltre a scoraggiare la ricerca di opportunità ed esperienze formative in base alla "qualità". Che non sempre si trova dietro casa. E raramente si incontra in piccole sedi, prive di storia e tradizione.

In secondo luogo, considero, a maggior ragione, l'Erasmus un'esperienza innovativa e importante, per l'Università e per gli studenti.

Dal punto di vista della formazione: favorisce il contatto con atenei di altri Paesi. In alcuni casi, prestigiosi. Impone l'uso - e quindi favorisce l'apprendimento - di una lingua straniera. Che non dovrebbe essere più tale. Nel senso che dovrebbe risultare "normale", per tutti, ma soprattutto per i giovani.

Dal punto di vista della crescita personale: abitua i giovani a vivere con altri giovani, di altri Paesi; ad "arrangiarsi". Sottraendosi, per qualche tempo, ai controlli esercitati - ma anche ai servizi offerti - dai genitori. Di più: credo che, al di là dell'opportunità offerta dall'Erasmus, i giovani dovrebbero progettare una parte, almeno, del percorso universitario fuori dal proprio Paese. Affrontare una laurea specialistica, un corso di perfezionamento, un master nella sede di un altro stato europeo, negli Usa o altrove.

Tutto ciò, però, nulla ha a che vedere con il fenomeno (la deriva) di cui mi ero occupato tempo addietro. La tendenza a "cedere" quartieri e, talora, intere città agli studenti. I quali vengono trattati, i questo modo, da consumatori. Essi stessi, anzi, diventano un "consumo", un'attrazione. La "città dei giovani", abitata da "giovani", abbandonata ai "giovani". Punteggiata di paninoteche, pub, fast-food, club, pizzerie. Dove si celebrano feste e meeting ludici, la notte. Non sono città. Non sono campus. Perché nelle città, come nei campus, la presenza dell'autorità è visibile. Scandite da norme, regole, controlli. Limiti. Che si possono o meno rispettare: ma esistono. Nelle città, in particolare, i residenti sono in larga misura "cittadini". Titolari di diritti e di doveri. Coinvolti nel "governo" del territorio e della società. Ciò che non avviene nelle "città universitarie". Dove gli studenti sono quasi esclusivamente - ripetiamo - consumatori. "Irresponsabili". Tuttavia, non intendo neppure "demonizzare", in modo generico, questi luoghi. Spesso, nelle città universitarie (io insegno e vivo parte della mia vita in una di queste, peraltro bellissima) gli studenti riescono a "vivere e studiare bene". Soprattutto se i residenti non la svuotano e non la riducono a un centro residenziale. In affitto. Si tratta, comunque, di contesti nei quali è più facile il contatto e il rapporto con i docenti. Dove, infine, si formano amicizie importanti e forti. Che durano una vita.

Tuttavia, queste realtà mi sembrano significative ed esemplari del modo in cui è "concepita" e "trattata" la gioventù, oggi. Cioè: come una "minoranza protetta". Una specie in via di estinzione. Accudita, ma, al tempo stesso, "isolata" dalla società adulta. I giovani, vivono in una condizione di "dipendenza dorata" sempre più a lungo. In apparenza liberi, nella realtà molto meno. Perché la loro residenza, il loro progetto formativo, il loro lavoro (precario) e, in definitiva, la loro "sopravvivenza", dipendono dal sostegno dei genitori.

Né li rende "liberi" il fatto che gli ambiti e le figure accanto a cui crescono abbiano perso gran parte della loro autorità: la famiglia, la scuola, le istituzioni locali e nazionali. Al contrario: è, per essi, motivo di ulteriore condizionamento. Perché non si può apprendere il valore della libertà se non ci sono "autorità" con cui relazionarsi, misurarsi; a cui opporsi. Da cui "liberarsi".

Non sono i giovani, né gli studenti, il problema. Il problema siamo noi: genitori, professori, adulti, che abbiamo trasformato la giovinezza in un recinto. Un perimetro chiuso. Da cui i giovani usciranno solo quando saranno talmente vecchi da non mettere in discussione il nostro "potere".

(10 dicembre 2007)
_________________________

Spesso non sono d'accordo con Ilvo Diamanti, ma questa volta lo sottoscrivo in pieno. Mi è parso di vedere spesso dei giovani che erano diposti ad assumersi delle responsabilità, ma che i "matusa" non erano diposti a dar loro per non vedere diminuite le proprie. E magari poi erano questi i primi a sputare sentenze contro il disimpegno dei giovani, la loro inaffidabilità, il fatto che ricerchino sempre e solo il divertimento ecc.



"Nonostante la loro tendenza a costruire Morti Nere, mi sono sempre considerato un tipo da Impero" - Sheldon Cooper, da The Big Bang Theory
11/12/2007 17:21
 
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Mh...in molti punti non sono d'accordo con l'autore, specie sui punti riguardanti la vita universitaria (e in particolar modo sulle piccole sedi, semmai necessarie visto che il numero di iscritti aumenta sempre di più).
Ma anche sul fatto che i giovani sarebbero tenuti in un recinto. macchè, mi sembra che la società odierna delebri dappertutto il mito della giovinezza, allontanando ad esempio la riflessione sulla vecchiaia.
Anzi sono proprio i "matusa" a non accettarsi come "vecchi"...a partire dallo stile di vita di ogni giorno per finire al continuo crescere deggli interventi chirurgici cd antinvecchiamento.
Nulla da eccepire del ritardo di crescita in una società che, però, va riconosciuto, diventa sempre più complessa, ma anche che diffonde implicitamente il modello del vincente non come quello che si fa un mazzo così ma come quello che può consumare a cuor leggero.




il sonno della ragione genera mostri

caro m'è il sonno, e il più l'esser di sasso
mentre che 'l danno e la vergogna dura
Non veder, non sentir m'è gran ventura.
però non mi destar; deh, parla basso!

Ne plurimi valeant plurimum (Cicero)
11/12/2007 18:29
 
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Ha bruciato la tessera
Re:
DarkWalker, 11/12/2007 17.21:


Ma anche sul fatto che i giovani sarebbero tenuti in un recinto. macchè, mi sembra che la società odierna delebri dappertutto il mito della giovinezza, allontanando ad esempio la riflessione sulla vecchiaia.
Anzi sono proprio i "matusa" a non accettarsi come "vecchi"...a partire dallo stile di vita di ogni giorno per finire al continuo crescere deggli interventi chirurgici cd antinvecchiamento.


Per me sono proprio questi "falsi giovani" che tengono lontani dai posti-chiave i giovani veri!




"Nonostante la loro tendenza a costruire Morti Nere, mi sono sempre considerato un tipo da Impero" - Sheldon Cooper, da The Big Bang Theory
11/12/2007 20:48
 
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Salvatiiii!!!
il giovane è sin troppo celebrato, tutti li cercano, tutti vogliono esserlo (ogni riferimento a cosa o nani realmente esistenti è puramente casuale) e così i giovani veri, che avrebbero solo bisogno di crescere, sono messi in ombra.







Fra 30 anni l'Italia non sarà come l'avranno fatta i governi, ma come l'avrà fatta la TV
In amore bisogna essere senza scrupoli, non rispettare nessuno. All'occorrenza essere capaci di andare a letto con la propria moglie.
Gli italiani corrono sempre in aiuto del vincitore


Ennio Flaiano
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Ma a me sembra piuttosto la amturità a essere emssa in ombra.
Ibnsomma tutti hanno l'idea del giovane, della spensieratezza etc. Ma quello che viene dopo, cioè la resposnbilità, la maturità? Io non le vedo rappresentate da nessuna parte.
Vabeh che ho una ottica un po' parziale qui dall'alto dei miei 21 anni^^



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Salvatiiii!!!
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Re:
DarkWalker, 11/12/2007 21.01:

Ma a me sembra piuttosto la amturità a essere emssa in ombra.
Ibnsomma tutti hanno l'idea del giovane, della spensieratezza etc. Ma quello che viene dopo, cioè la resposnbilità, la maturità? Io non le vedo rappresentate da nessuna parte.
Vabeh che ho una ottica un po' parziale qui dall'alto dei miei 21 anni^^




che tristezza la maturità,ci credo che non la rappresentano!





« Al futuro o al passato, a un tempo in cui il pensiero è libero, quando gli uomini sono differenti l'uno dall'altro e non vivono soli...
a un tempo in cui esiste la verità e quel che è fatto non può essere disfatto."
George Orwell


"Credi tu, gli chiesi, che io abbia ragione o torto?
Lei ha ragione...
E allora perchè dovrei fuggire?"
Emilio Lussu "Marcia su Roma e dintorni"







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Re: Re:
Pius Augustus, 11/12/2007 21.25:




che tristezza la maturità,ci credo che non la rappresentano!




appunto [SM=x751525]



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