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L’inquietudine :la sete di infinito.

Ultimo Aggiornamento: 20/08/2006 09:43
20/08/2006 09:40
 
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L’inquietudine come desiderio irrisolto di una mancanza di fondo, come insopprimibile esigenza umana di ciò che è straordinario e maestoso: l’Infinito.

L'inquietudine, come modo instabile di abitare il mondo, è sentimento di una mancanza, desiderio di un “qualcosa” che non possediamo. L'analisi di Locke sull’inquietudine coglie nel segno: « Il disagio che un uomo avverte per l'assenza di una cosa qualunque la cui presenza attuale porta con sé l'idea di piacere, è ciò che chiamiamo desiderio».

Inquietudine e desiderio per Locke, dunque, si identificano, poiché anche il bene più grande, pur riconosciuto come tale, non muove la volontà finché il nostro desiderio non ci abbia reso inquieti per la sua effettiva mancanza. Non a caso, un altro grande filosofo, Condillac, parla di inquietudine o tormento, insomma di indicibile sofferenza, quando c'è privazione di qualcosa che desideriamo fortemente; se, di contro, il desiderio s'appunta su una mancanza di poco conto c'è solo “malessere o leggero dispiacere”.

Inquietudine e desiderio della mancanza rinviano ad una sorta di angoscioso struggimento per un amore non corrisposto da parte della vita, di questa vita, che vorremmo totalizzante, appagante, espressiva di un'assoluta pienezza di senso che, in realtà, non le appartiene.

Insomma, la volontà è strutturalmente inquieta, poiché spera nell'introvabile; ama ciò che è straordinario, maestoso; partecipa dell'infinito; cerca in ciò che non le è noto quello che non trova nelle cose comuni, quotidiane.

[Modificato da sissy66 04/09/2006 15.14]

20/08/2006 09:43
 
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...continua.
L'uomo, in altri termini, si vede come un essere divaricato tra desiderio e assenza, come un essere irrisolto, frustrato, come proiezione solo ideale verso un Oltre - l’Infinito - che sempre gli sfugge, perché la natura umana è contraddistinta dal destino di abitare un mondo contingente.

Eppure, siamo al mondo per desiderare il possesso dell’impossibile, per tentare di conoscere l’inconoscibile, per articolare un discorso di senso sull’indicibile, per dare voce, insomma, all’essenza più profonda dell’inquietudine, quella religiosa.

Nelle straordinarie riflessioni di Pascal, oggetto del nostro prossimo intervento, ritroveremo tutta la dirompente vitalità esistenziale propria dell’inquietudine religiosa, in questo caso riferita al cristianesimo, ma estensibile, in un discorso più ampio, anche ad altre forme religiose.

Per il momento è sufficiente ricordare le parole di un filosofo contemporaneo, Salvatore Natoli, il cui pensiero di fondo non è certo espressivo di una concezione cristiana dell’uomo e della storia:«L’inquietudine non è un sentimento recente. Non v’è dubbio, però, che, come dice Deprun, è in prevalenza un sentimento moderno. È tra l’altro un sentimento che trova nel cristianesimo una delle sue più originarie e originali matrici. Seppure non è stato il cristianesimo a generare il sentimento d’inquietudine, di certo lo ha fortemente accentuato».

Fabio Gabrielli

[Modificato da sissy66 04/09/2006 15.15]

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