L’inquietudine come desiderio irrisolto di una mancanza di fondo, come insopprimibile esigenza umana di ciò che è straordinario e maestoso: l’Infinito.
L'inquietudine, come modo instabile di abitare il mondo, è sentimento di una mancanza, desiderio di un “qualcosa” che non possediamo. L'analisi di Locke sull’inquietudine coglie nel segno: « Il disagio che un uomo avverte per l'assenza di una cosa qualunque la cui presenza attuale porta con sé l'idea di piacere, è ciò che chiamiamo desiderio».
Inquietudine e desiderio per Locke, dunque, si identificano, poiché anche il bene più grande, pur riconosciuto come tale, non muove la volontà finché il nostro desiderio non ci abbia reso inquieti per la sua effettiva mancanza. Non a caso, un altro grande filosofo, Condillac, parla di inquietudine o tormento, insomma di indicibile sofferenza, quando c'è privazione di qualcosa che desideriamo fortemente; se, di contro, il desiderio s'appunta su una mancanza di poco conto c'è solo “malessere o leggero dispiacere”.
Inquietudine e desiderio della mancanza rinviano ad una sorta di angoscioso struggimento per un amore non corrisposto da parte della vita, di questa vita, che vorremmo totalizzante, appagante, espressiva di un'assoluta pienezza di senso che, in realtà, non le appartiene.
Insomma, la volontà è strutturalmente inquieta, poiché spera nell'introvabile; ama ciò che è straordinario, maestoso; partecipa dell'infinito; cerca in ciò che non le è noto quello che non trova nelle cose comuni, quotidiane.
[Modificato da sissy66 04/09/2006 15.14]