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La spilla nel bosco

Ultimo Aggiornamento: 26/03/2009 15:03
26/03/2009 15:03
 
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sborone
Avevo 8 anni, quando abitavo con la mia famiglia in fondo alla valle in una piccola baita fatta di legno di abete rosso. Avevamo un piccolo prato, che degradava sul limitar del grande bosco,che i ladini, così si chiama la gente di quei luoghi, chiamava Arnheim.
Si narravano molte leggende su quel bosco, ormai quasi dimenticate, custodi di un tempo che fu, che solo i vecchi ricordano. Si diceva che quel bosco era lo porta tra due mondi, il nostro e quello appunto di Arnheim, un mondo fatato. Ma la storia che mi impressionava sempre più, che mio nonno mi raccontava per farmi impaurire, e che le fate che custodivano l’entrata catturassero i bambini che si avventuravano soli per poi portarli nel loro mondo e farle diventare come loro.

Quando ero piccolo non oltrepassavo mai l’ostacolo, rimanevo sempre nel mio giardinetto, al sicuro. Qualche volte, come fare un dispetto al bosco, mi avvicinavo più possibile alle prime fronde degli alberi sbirciavo, e poi via più veloce della luce verso casa.

A quell’età’, avevo un amica, Eleonora. Me lo ricordo come una bambina piena di grazia, coi capelli rossicci lisci, una carnagione chiara un po’ pallida, e duo occhi azzurro chiaro, come i cieli dopo una tempesta. Passavamo interi pomeriggi insieme, a giocar a palla e altri giochi.
Mi ricorderò sempre il giorno che, ormai infatuato di lei, di come si può essere innamorati a quell’età’, gli feci un regalo, e a lei piacque tantissimo, che mi diede un bacio sulla guancia.


Un giorno di ottobre, giunse la notizia della scomparsa di Eleonora. Era andata a fare una gita con i suoi, sopra i monti. Tornando a casa la bambina, a detta dei genitori si era allontanata, perché aveva visto un coniglietto al limitare del bosco di Arnheim. L’avevano lasciata correre, perché credevano che si stancasse subito e non ci hanno più badato. Dopo un po’ che non la sentivano, hanno cominciato a cercarla, ma invano. Le ricerche sono andate avanti giorni settimane, mesi, anni finché non ci fu più speranza di ritrovarla… In quelle sere, piangevo , di notte, sotto il cuscino e guardando fuori dalla finestra il bosco, lo maledicevo, finche con gli anni il ricordo di lei si affievolì, fino a sopirsi.


Una sera, di quelle sere di ottobre dove l’estate ripiega su se stessa per dare accoglienza ai cieli chiari di ottobre, fatti di luci tenue e orizzonti immensi e dove le prime avvisaglie dell’inverno arrivano su dolci venti, stavo ridiscendendo lungo il sentiero che si snodava tra i pascoli dell’alpe , una terrazza verde su cattedrali di roccia.

Camminavo in fretta, perche il giorno stava facendo posto alle prime brume. Avevo uno zaino pieno di vestiti appallottolati, come solo noi ragazzi sappiamo fare, così da risultare di qualche chilo più pesante.

Giunsi così al limitar di Armhein

Non avevo tanta voglia di passarci, ma l’altro sentiero, che faceva il giro intorno, era troppo lungo; avrei impiegato un ora un più.
Deciso , mi avvicinai alle prime fronde degli alberi, intorno come una corona, vette di montagne colore rosa, sembravano giardini di rose pietrificate al calar della sera.
Entrai, passando sopra le radici, saltellando qua e là, come se avessi paura di toccare il suolo, di non disturbare, guardando per terra per non inciampare. Il bosco si faceva sempre più fitto, e la sera chinava il suo manto sempre più velocemente. Presto si fece buio e cominciai a fatica a distinguer le sagome degli alberi.
Persi l’orientamento, mi affannavo sempre più a cercare la strada, ma non capivo dove ero. Quella parte di bosco non la conoscevo, mi ero perso. Impaurito di non riuscire a tornare a casa, procedevo sempre più speditamente, finché non inciampai e caddi per terra. Rimasi fermo qualche secondo, tempo sufficiente per accorgermi, di un rumore sommesso, ma facilmente distinguibile. Mi rialzai e a piccoli passi mi avvicinai a quel rumore. Mi fermai dietro a dei cespugli di biancospino,rimasi fermo una manciata di secondi, per poi alzare la testa e veder scorrere un ruscello tumultuoso, che finiva poi in un piccolo laghetto. Rimasi incantato dalla bellezza del posto. Davanti a me un piccolo prato si stagliava, come una bella dama, che addormentata, avesse chiuso gli occhi ai cieli aperti. Sembrava che i campi del paradiso si eran dispiegati intorno al prato, circondato da innumerevoli fiori luminosi.
Le scintille di rugiada e i fiordalisi tutt’intorno parevano stelle luccicanti nell’oscurità.


D’un tratto insieme al rumore dell’acqua scrosciante, distinsi una dolce nenia, triste, ma dolcissima.
Sentivo la sua voce accarezzare il mio animo, come l’ala di un uccello sfiora una finestra oscura. Una voce conosciuta, di un tempo lontano. Lasciai cadere lo zaino, mi avvicino sempre più, finché scorgo tra le foschie un figura che passava stancamente tra i rami.
Lasciava,ogni tanto, cadere dolcemente le sue mani a terra, raccogliendo piccoli fiori bianchi, in un movimento quasi solenne. Le sue vesti bianche facevan un tutt’uno con i fiori che raccoglieva e nella foschia senza colore, non si riuscivo a distinguere la sua esile figura con la natura circostante. Sembrava un sogno, ma ella era là con i capelli sciolti, giocava sinuosamente con le nebbie. Intorno farfalle che alla luce della luna danzavano.
Feci qualche passo verso di lei e ogni passo tasselli di una memoria soffocata riempivano spazi vuoti. La sua cantilena si fece più chiara, più dolce; sapeva di innocenza e di grazia e tutto sembrava possedere un senso di pace. D’un tratto ella si girò, e i nostri sguardi si incrociarono. Era una bella ragazza. Era una ninfa dei boschi, era quello che stavo pensando continuamente, era Eleonora…..
I suo occhi erano azzurri come allora, ma diversi, profondi e vuoti allo stesso tempo.
Tremai davanti a tanta bellezza, non capivo,il mio cuore batteva più forte, mi sentii un po’ stordito, fissai i lembi di notte sopra di me, sembra che mi voglia dire qualcosa, ma non so cosa.
Una lacrima si stacca dal mio viso, dove la cascata si stacca dalla roccia. Dentro me si scontravano felicità e tristezza, gioia e perdizione, innocenza e peccato.
Lei sorrise, forse si ricordava di me. Ma fu tutto.
Con un gesto quasi involontario della mano feci quello che non dovevo:cercai di toccarla, cercai di toccare un mondo che non era il mio.
In quel mentre i suoi occhi divennero lucidi e grandi, una lacrima discese sul quel volto angelico, e poi un'altra ancora, finché sentii mille grida provenienti dagli antri più scuri del bosco.

In quel momento il mio sguardo si eclissò, insieme al suo pianto.

Mi rialzai, alle prime luci dell’alba, al confine di Arnheim, a pochi passi da casa. Non sapevo come ci ero arrivato lì. Entrai in casa, i miei con gli occhi lucidi, mia madre disperata mi abbracciò. Avevano cominciato le ricerche tre giorni fa. Tutta la valle si era mobilitata. Io stupito, dissi, che era stato via solo una notte, loro ribatterono che questo era il quarto giorno, dalla mia partenza per le montagne. Non capii, ne avevo voglia di farlo. Sapevo che ero stato in quel bosco, e il fiume, e la radura e….. Eleonora. Non dissi nulla, non lo dissi mai. Salii in camera mia, mi spogliai . D’un tratto sentii cadere qualcosa per terra. Mi chinai e vidi il regalo che feci anni fa ad Eleonora. Che ci faceva lì, da dove mi era caduto, e chi me l’aveva dato, forse….
Piansi, molto, quella sera. Non mangiai, e andai a letto presto. I miei credevano per il fatto che fossi molto stanco, ma non era affatto per quello.
Guardai per molte notti, intere ore, il bosco, fuori dalla mia finestra, scostando un poco la tendina. Guardavo il salice piangente, nel mezzo del mio giardino, che mi ha visto giocare da bambino, e piangere da adolescente. Lo guardavo immaginando che quelle sere, Eleonora giocasse con i suoi elisi rami d’orati, giostrando tra un fiore e un altro, e aspettavo l’alba che mi ridestasse da questo sogno.
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