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Bush sfida il Congresso: più truppe per evitare il disastro

Ultimo Aggiornamento: 11/01/2007 17:02
11/01/2007 17:02
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Bush sfida il Congresso: più truppe per evitare il disastro


Il presidente: «Errori in Iraq, invieremo 20mila soldati. Affronteremo Siria e Iran: aiutano i nostri nemici»
NEW YORK
È tremata, in avvio, per un istante la voce al presidente degli Stati Uniti George W. Bush che la scorsa notte, per la prima volta in maniera piena e inequivocabile ha ammesso in un messaggio a reti unificate che «errori sono stati commessi in Iraq» e che la colpa è tutta sua. È lo stesso presidente che due anni fa nella sua campagna per la rielezione a Washington giurava di non avere alcun rimpianto e di non avere commesso errori dal giorno del suo arrivo a Washington.

A dar retta alla nuova maggioranza democratica del Congresso questa notte Bush ha ammesso un errore e contemporaneamente ne ha commesso un altro, annunciando agli americani, nell’ora di massimo ascolto televisivo, che «servono almeno 20.000 soldati in più in Iraq per vincere la guerra». Più di sei americani su dieci sono convinti che sia una cattiva idea. Ma Bush non vede alternative: «il fallimento in Iraq - dice - sarebbe un disastro per gli Stati Uniti».

Partiranno altri 21.500 militari americani per la precisione, 4.000 nell’Anbar dove si annida al Qaida, 17.500 per spezzare la resistenza delle squadre della morte di Baghdad. E questa volta gli americani non freneranno per il bene della distensione tra i gruppi etnici iracheni: entreranno in tutti i quartieri della capitale. Il presidente non lo dice esplicitamente ma il messaggio è chiaro: neppure Sadr City, la roccaforte del leader sciita Muqtada al Sadr, non è più off limits.

«Inaccettabile» fino ad oggi è stata la gestione dell’insurrezione armata, dopo la caduta del regime di Saddam Hussein. Lo è stata «per gli americani» e lo è stata anche per Bush. «I nostri sforzi di ristabilire la sicurezza a Baghdad sono falliti» perché «non c’era un numero sufficiente di militari iracheni e americani» sul campo. Parole che pesano come il piombo, che i critici della guerra hanno ripetuto per anni e per anni la Casa Bianca ha respinto. Il presidente ha chiesto ancora una volta «pazienza, sacrifici e determinazione» agli americani ma ha espressamente detto agli alleati iracheni «che l’impegno delle forze statunitensi non è a tempo inteterminato». Dovranno mostrare risultati.

La promessa della vittoria, nonostante il mea culpa, c’è anche questa volta, ma Bush ha sottolineato come questa vittoria sarà diversa da quelle ottenute dagli Stati Uniti in passato: non ci saranno rese del nemico e ci vorrà molto tempo per vedere gli effetti di un Iraq «imperfetto ma in grado di combattere i terroristi anziché ospitarli». «Non esiste una formula magica per ottenere il successo in Iraq», ha ammesso.

Quella lanciata da Bush questa notte non è solo una sfida contro gli insorti e gli estremisti nell’area di guerra, è una battaglia che dovrà combattere soprattutto con i democratici del Congresso, con le critiche dell’opinione pubblica, con il dissenso profondo che si è già manifestato nel partito repubblicano. Due i principali elementi di dissenso che emergono: l’incremento annunciato da Bush è troppo limitato e tardivo: ventimila soldati in più non cambieranno il corso della guerra; il discorso di Bush sarebbe stato adeguato nel 2005, non nel 2007.

Per i democratici «la nuova strada di cui parla Bush è in realtà la strada sbagliata» e in questo modo il presidente ignora l’indicazione data il 7 novembre scorso dagli elettori, che hanno severamente punito la strategia della Casa Bianca e la politica del partito repubblicano. La senatrice della California Dianne Feinstein lo dice con una battuta: «Quelle parole mi hanno spezzato il cuore», l’escalation militare non porterà a nulla.

Gli iracheni? «Nel 2006 la violenza è stata più forte della politica», ma il nuovo piano messo a punto dal governo di Baghdad, secondo il presidente, non fallirà. Del resto non ci sono alternative. Bush ha detto di avere ascoltato «con grande attenzione» le raccomandazioni di chi vorrebbe l’inizio del ritiro delle truppe americane dall’Iraq. Ma di averle respinte. «La riduzione della nostra presenza avrebbe l’effetto di far crollare il governo iracheno, farebbe a pezzi il Paese, porterebbe a assassini di massa di proporzioni inimmaginabili. Tutto questo costringerebbe le nostre truppe a rimanere in Iraq ancora più a lungo e renderebbe ancora più letale la guerra con il nemico».

Secondo Bush l’incremento delle truppe annunciato consentirà di «avvicinare il giorno in cui le truppe americane cominceranno a tornare a casa». Nel discorso c’è spazio anche per Iran e Siria. A chi chiedeva l’avvio di un dialogo il presidente ha risposto picche. Siria e Iran come due delle cause della gravità della situazione, non parte della soluzione. E Bush promette di affrontare «il problema».



da: www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200701articoli/16463gi...


vanni
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