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PER "L'OPINIONE" MASTELLA INCONTRA GLI AVVOCATI 'SBAGLIATI'

Ultimo Aggiornamento: 26/05/2006 21:44
26/05/2006 21:44
 
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L'OPINIONE
Edizione 114 del 26-05-2006

Un’inutile passerella presso il Consiglio nazionale forense per placare gli animi
Mastella incontra gli avvocati sbagliati le Camere penali gli dichiarano guerra
di Dimitri Buffa


Oggi Mastella si è fatto un giro per Campo de’ Fiori ed è andato a via del Governo vecchio al Consiglio nazionale forense a fare un omaggio istituzionale a un ente pressochè inutile e del tutto non rappresentativo per la categoria degli avvocati. Lui così crede di avere ottenuto due piccioni con una fava: da una parte far vedere che non è solo “a disposizione” delle toghe che accusano e giudicano, dall’altra operare un maldestro tentativo di scavalcare l’agguerrittissima Unione delle camere penali italiane che già è sul piede di guerra dopo le marce indietro annunciate sulle riforme. In realtà sarebbe bastato che fosse sceso un paio di piani a via Arenula e si sarebbe imbattuto nella sede principale del Cnf. Peccato che non possano essere quei signori del Consiglio nazionale forense a garantire alcunchè a Mastella. Oggi i lettori de “L’opinione” potranno farsi un’idea di ciò che bolle in pentola dalla lettera aperta del presidente delle Camere penali Ettore Randazzo pubblicata in prima pagina [1] . Ma al di là di ciò, come spiega ironicamente il segretario dell’Unione delle camere penali Valerio Spigarelli, “non sono le dichiarazioni ai giornali a preoccupare gli avvocati, ma i fatti che eventualmente seguiranno”. “Nessuno di noi difende la riforma di Castelli in toto - spiega – anzi è ampiamente modificabile, ma i due punti su cui indietro non siamo disposti a tornare sono la separazione delle funzioni, che anzi noi vogliamo estendere alle carriere dei magistrati, e l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione e in genere tutto il giusto processo già contenuto nella Costituzione”.

Non si illuda quindi Mastella di fare giochetti con gli avvocati perché il piattino che gli si sta preparando potrebbe persino fargli rimpiangere la guerra dichiarata a Castelli negli ultimi tre anni. “L’astensione dalle udienze non è l’ultima istanza ma la prima – spiega infatti Spigarelli – se Mastella si fa dettare l’agenda delle contro riforme dall’Anm.. ieri in realtà ha detto che incontrerà anche noi e noi lo aspettiamo qui ansiosi.” Peraltro Mastella, se volesse, potrebbe operare un ben più incisivo “divide et impera” tra i magistrati invece che andare cercando come farlo tra gli avvocati. Mastella dovrebbe infatti tenere conto che recentemente il Consiglio superiore della magistratura per le nomine dei nuovi magistrati di Cassazione ha anticipato l'applicazione dei decreti delegati, spaccando in due il fronte dei “togati”. Basti pensare che Unicost, che è la corrente di maggioranza relativa, ha votato applicando le nuove norme mentre la sinistra, con Magistratura democratica in testa, si è opposta, ma senza alcun esito.

Il compito del nuovo ministro potrebbe quindi essere in questo senso molto più facile perchè non si troverebbe a dover contrastare il no dell'intera magistratura, ma solo di una parte che in questo momento non rappresenta forse neppure la maggioranza all'interno dell'Anm. Solo che, se ogni giorno che Dio manda in terra i giustizialisti della sinistra mandano avvertimenti ancora più sinistri, il povero Clemente da Ceppaloni farà la fine del famoso asino tra i suoni. Ieri, solo per fare un esempio, l’Unità titolava trionfalmente in prima, in pratica ci apriva il giornale, sul fatto che Mastella ha in animo di congelare la riforma di Castelli. Lo strillo era questo: “Stop alla legge contro i giudici”. L’Associazione nazionale dei magistrati sta cercando di far rinviare l’entrata in funzione delle nuove disposizioni e conta di convincere il governo a presentare un decreto per “differire l’efficacia delle nuove norme”. E la strada non sembra facile: il nuovo decreto, infatti, per entrare in funzione dovrebbe essere controfirmato dal capo dello Stato riscontrata la “necessità e urgenza”. E quale necessità e urgenza c’è nel non distinguere le funzioni tra requirenti e giudicanti o nel non volere promuovere scuole di formazione professionale per giudici o, ancora, nell’impedire lo svolgimento di concorsi pubblici per fare carriera in maniera non automatica?

A ben vedere Mastella si troverà presto schiacciato da una vera e propria guerra in atto tra due corporazioni. Una, quella delle toghe di attacco, non vuole vedere diminuito il proprio potere di pressione e di influenza sulla politica italiana conquistato a colpi di mandati di cattura dopo il 17 febbraio 1992, giorno cui per comodità si fa risalire l’inizio dell’inchiesta “mani pulite”, dopo l’arresto di Mario Chiesa. L’altra, quella delle toghe di difesa, vorrebbe evitare che l’Italia precipitasse di nuovo nel Termidoro giustizialista degli anni ’90, anche perché, in caso contrario, perderebbe la propria ragione di essere , limitandosi a dovere suggerire ai propri clienti di confessare al più presto venendo incontro alle esigenze dei pm come suggeriva di fare un noto studio penalista milanese nella prima metà degli anni ’90.






[1]
Lettera aperta al Ministro Mastella sulle riforme
di Ettore Randazzo

Onorevole Ministro,
all’indomani della Sua designazione al dicastero della Giustizia, l’Unione delle Camere Penali Italiane ha espresso l’augurio che ciò fosse il segno tangibile di una rinnovata stagione di dialogo sui temi della giustizia. Un dialogo scevro da tentazioni egemoniche da parte di ognuna delle componenti del mondo giudiziario come si addice ad una materia che trova nella Costituzione regole e principi ispiratori. Gli oltre ottomila avvocati penalisti associati all’Unione delle Camere Penali Italiane, del resto, hanno sempre posto alla base della propria attività associativa il metodo del dialogo nelle battaglie che, da oltre venti anni e talvolta con significativi risultati, hanno compiuto in difesa del Giusto Processo. Battaglie, Onorevole Ministro, che l’avvocatura penale italiana ha combattuto talvolta in solitudine, e che mai hanno avuto ad oggetto interessi di categoria ma solo ed esclusivamente il rispetto dei diritti, dei singoli e della collettività.

Ed allora, con la stessa franchezza e con lo stesso rispetto già espresso per la Sua persona e per l’alto ministero da Lei ricoperto, l’avvocatura penale non può che esternare disagio di fronte alle notizie che si susseguono in questi giorni; dalle quali si trae l’impressione, certamente errata rispetto alle Sue intenzioni ma non meno allarmante per chi sappia leggere le cose della politica, che il dialogo che si sta inaugurando consista in primo luogo nell’omaggio alle posizioni della magistratura associata, nel riconoscimento - finanche istituzionale – delle sue articolazioni interne e, soprattutto, nell’accettazione acritica delle posizioni della medesima. Negli anni scorsi l’avvocatura italiana ha condotto una dura battaglia in difesa dello spirito e della lettera della Costituzione, che inascoltata invoca una “terzietà” del giudice ancora inattuata, così come in difesa della libertà della giurisdizione, e per tale motivo non può essere certamente confusa tra gli acritici difensori della riforma dell’ordinamento giudiziario recentemente approvata. Altro è, tuttavia, ragionare sul da farsi, altro recepire istanze, in taluni casi soltanto corporative di rappresentanze sindacali. Altro è il rispetto per la libertà di associazione, altro è il privilegio, negli incarichi istituzionali, dell’articolazione correntizia. Altro è il confronto dialettico, altro l’appiattimento culturale e politico ad una idea del processo come strumento di difesa sociale che, purtroppo, larga parte della magistratura associata coltiva.

La materia della Giustizia non appartiene a nessuno, se non al popolo in nome del quale essa viene amministrata. Così come fummo acerrimi avversari delle clave agitate contro la magistratura, saremo sulla stessa trincea in difesa dell’autonomia della funzione legislativa. Se con un tratto di penna si cancellassero quelle parti della riforma dell’ordinamento giudiziario che, sia pure in forma insufficiente, sottolineano la distinzione delle funzioni tra giudici e pm, ovvero sanciscono una potestà disciplinare fino ad oggi del tutto virtuale, il messaggio che se ne trarrebbe sarebbe fin troppo chiaro, ed inaccettabile. Se, per le pulsioni solo corporative della magistratura, il percorso appena abbozzato verso la conquista di una posizione realmente equidistante del giudice rispetto alle ragioni dell’accusa e della difesa venisse sacrificato, l’avvocatura dovrebbe prendere atto che persino i propositi programmatici della coalizione di Governo - che certo non contemplavano draconiane idee di azzeramenti legislativi - sono rinunciabili in nome di una politica priva di principi. Se, in omaggio a diktat esternati in forma preventiva da alti vertici della magistratura, venissero cancellati principi validi, come quelli introdotti dalla riforma delle impugnazioni recentemente varata, il mondo dei giuristi comprenderebbe che il dibattito sulle cose della giustizia sarebbe degradato a questione di apparati burocratici più blanditi che rispettati dalla politica.

Non sono questi i segnali di dialogo di cui si avverte la necessità, non è questo il metodo per cambiare con il contributo e con il consenso di chi nel mondo della giustizia opera. Si parta dai principi, Signor Ministro, si scelga in base a quelli, e il dialogo, quello vero e profondo di una società matura, arriverà con chi è disposto a dialogare sul serio. L’avvocatura penale, a questo fine, è pronta a rappresentarLe le istanze di cambiamento e ammodernamento del sistema che da anni discute. Al tempo stesso l’Unione delle Camere Penali è pronta a illustrarLe anche gli attacchi, che da qualche tempo si ripetono con preoccupante frequenza, alle garanzie ed alla libertà della difesa. Attacchi che talvolta colpiscono gli avvocati, talvolta si rivolgono alla giurisdizione, ma sempre finiscono per travolgere i principi della Carta Fondamentale. Siamo certi, signor Ministro, che la franchezza delle nostre idee faciliterà la possibilità del dialogo, in mancanza del quale l’avvocatura penale non potrà che tornare sulla trincea della difesa della legalità costituzionale, con la forza e la chiarezza che già ebbe a dimostrare sia nella scorsa legislatura, sia negli anni novanta di fronte agli attacchi ai principi del giusto processo.

Ettore Randazzo
L’autore è presidente dell’Unione delle Camere penali italiane



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