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Addio Ferenc Puskas

Ultimo Aggiornamento: 22/10/2012 11:15
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E' morto Ferenc Puskas, una dei più grandi calciatori di tutti i tempi, leggenda del calcio ungherese. Aveva 79 anni ed era malato da tempo. Nato il 2 aprile del 1927 a Budapest, Puskas era considerato il miglior giocatore ungherese di tutti i tempi e uno più grandi che abbiano partecipato alle fasi finali di un mondiale. Fu la figura di spicco della straordinaria nazionale che negli anni Cinquantà dominò il calcio internazionale.

Ma a questo leggendario uomo-squadra sfuggì il più ambito trofeo. Lo mancò di un soffio alla Coppa del Mondo in Svizzera nel 1954, quando l'Ungheria fu sconfitta a Berna dalla Germania Ovest per un 3-2 che ancora brucia.

Puskas, soprannoninato "il maggiore a cavallo", giocò per due nazionali: con la sua Ungheria, appunto in Svizzera, e con la nazionale di Spagna ai mondiali in Cile nel 1962.

Esordì giovanissimo nella squadra del padre, il Kispest Budapest, nel 1948 diventata la squadra dell'Esercito con il nome di Honved. A 16 anni è attaccante titolare in prima squadra dove rivelò la sua ferma determinazione e ambizione. A 18 anni l'ingresso sulla scena internazionale contro l'Austria. Era il primo appuntamento dell'Ungheria dopo la Seconda Guerra Mondiale e per Puskas fu la nascita di una carriera senza pari con la maglia della nazionale.

Piccolo e in sovrappeso, Puskas non era particolarmente forte nei colpi di testa ed era esclusivamente mancino, uno dei sinistri più potenti della storia del calcio. Ma le sue capacità erano innegabili, come dimostrano le statistische: 83 gol in 84 presenze in nazionale.


 
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omaggio a un grande campione
Una perdita, anche come testimonianza di carica umana e voglia di libertà! Una delle più grandi bocche da fuoco del calcio mondiale. [SM=x875398]

 
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[Modificato da ugo.p 11/11/2007 04:49]

 
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11/11/2007 04:50
 
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un ulteriore ricordo di lui e del suo magico tempo.
lo trovate in questo post del GF

il garfagnin fuggiasco, 2006/07/14 17:49:

.....
“Nei primi anni ’80, George Best e Denis Law allenavano le squadre giovanili in Australia. Ogni pupillo voleva naturalmente essere nel gruppo diretto personalmente da George o Denis e quindi è facile immaginare la delusione di un gruppo di ragazzini che fu posto sotto le cure di un grasso allenatore straniero, così adiposo che la pancia gli fuoriusciva dalla tuta. Già dal primo giorno lo straniero era stato soggetto della derisione dei giovani Aussies sotto la sua direzione. I ragazzi facevano rudi commenti riguardo alla sua stazza, il fatto che parlasse un inglese bastardo e ridevano quando correva dietro alla palla. Verso mezzogiorno, l’anarchia regnava nel gruppo ed i ragazzi non prestavano più alcuna attenzione all’allenatore, limitandosi a passarsi la palla tra di loro, sordi ai suoi tentativi di rimetter ordine nel gioco.
“George e Denis, che passavano nei pressi per recarsi a pranzo alla sede del club, notarono la cosa e, capita l’antifona, si unirono al gruppo. I ragazzi immediatamente si raggrupparono attorno a loro, felici di bersi ogni parola dei due. George non disse granché. Si limitò ad allineare dieci palloni a circa 20 yards (18 metri, nota mia) dalla porta, chiamò i ragazzi attorno a sé ed invitò lo straniero a colpire il primo pallone.
“OK, ragazzi, qui ci sono dieci palloni. Secondo voi, quante volte riuscirà il vostro allenatore a colpire la traversa?”
“Vari numeri furono suggeriti ma un ragazzo, particolarmente vocifero, proclamò: “Zero! Con quella pancia non è capace neanche di vedere il pallone!”
“Stendendo un braccio verso i palloni, George invitò lo straniero a tentare la fortuna. I ragazzi osservarono, a bocca aperta, un pallone dopo l’altro fracassarsi contro la traversa 20 yards più in là. Quando giunse all’ultimo pallone, l’allenatore l’alzò in aria, lo ricevette sulla fronte e ve lo lasciò per un attimo, prima di spostare la testa e coglierlo sulla spalla sinistra. Muovendo il corpo da un lato, il pallone cadde ma solo per essere colto dal tacco sinistro del piede dello straniero. Con quello lo rilanciò in aria di nuovo e produsse un tiro al volo di tale potenza che fece tremare a lungo la traversa. Dieci su dieci! I ragazzi esplosero in un applauso spontaneo.
“George e Denis si allontanarono, mentre il gruppetto di giovani Aussies circondava l’allenatore chiedendo come potesse mai fare una cosa del genere.
“What’s ya name, mate?”, come ti chiami, chiese il ragazzo vocifero.
“George si voltò sui tacchi e, puntando severamente l’indice verso il ragazzo, disse: “Per te, giovanotto, lui è Mister Puskas!” Quindi lasciò il campo per andar a pranzo con Denis.



Le immagini che personalmente ho del grande Puskas non sono purtroppo molte. Qualche azione nelle partite di quel mondiale e nella citata amichevole di Wembley, qualche goal con il mitico Real Madrid dei Di Stefano e Gento. Piuttosto, mi tornano sempre alla mente le sequenze della cerimonia di premiazione, dopo la finale. Oggi ci siamo abituati a giocatori che piangono se perdono, piangono se vincono, piangono se sbagliano un rigore o sono espulsi o sostituiti. Ragazzini viziati ed istupiditi dalle assurde cifre che ricevono per il poco spettacolo che producono. Quanto diverso fu il comportamento di quei campioni! Puskas che si avvicina al capitano tedesco, Fritz Walter, si liscia i capelli fradici come per rendersi presentabile, si asciuga la mano ai pantaloncini, quindi la porge, franca e virile, all’avversario, guardandolo fisso negli occhi. I suoi compagni di gioco lo imitano, uno dopo l’altro, ognuno lanciando un’occhiata furtiva e quasi imbarazzata alla coppa Rimet che il tedesco tiene in mano, quella Vittoria Alata che avrebbe dovuto volare assieme a loro verso il Danubio. Quindi salutano il pubblico ed escono a testa alta. Solo negli spogliatoi, ci viene raccontato, diede ognuno sfogo all’inconsolabile amarezza per l’irripetibile occasione fallita.
Nonostante quella sconfitta imprevista, le gesta di Puskas e soci non morirono. Un giorno, forse, le folle d’appassionati calcistici del mondo, stanchi come me del calcio senza fantasia e senza goal e dei nostri tempi (gli ultimi mondiali sono stati ancor più orrendi di quelli precedenti e con ancor meno reti), chiederanno che siano riesumati i filmati di quei tempi e le partite ritrasmesse in tv, di tanto in tanto, a ricordarci che i molti goal, lungi dall’essere sintomo di pochezza tecnica, come voleva e vuole la scuola difensivistica del (poco) compianto Gianni Brera, sono infine l’essenza stessa del calcio. Un football con tanta corsa e pochi goal è come un giardino con tante aiuole e pochi fiori. Il profumo c’è, ma non è sufficiente a far girare la testa. E forse quelle immagini insegneranno ai moderni giardinieri del calcio e produrre di nuovo tanti fiori, così come l’insegnarono ai contemporanei.
Anche se non ho potuto ammirare Puskas dal vivo, sono certo che coloro che lo fecero lo ricordano ancora così, mente galoppa libero e possente, come uno stallone selvaggio, verso l’area avversaria, il magico piede sinistro che disegna impossibili geometrie sul campo di gioco.






[Modificato da Giggirriva 05/08/2020 17:47]

 
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un po' di video...
....in inglese


 
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uno speciale....in inglese. 1...
[Modificato da jules maigret 22/10/2012 11:17]

 
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