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URANIO IMPOVERITO ANCHE IN SARDEGNA

Ultimo Aggiornamento: 29/07/2007 21:49
29/07/2005 19:46
 
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I dati, seppur parziali ed incompleti mostrano una preoccupante realtà: l’uranio impoverito “certamente” è stato usato anche nelle basi militari della Sardegna, i suoi effetti nocivi sono ben visibili in alcune zone rigorosamente protette dalle autorità militari. La commissione Sanità del Consiglio regionale ha avviato, con la prima audizione, la sua indagine conoscitiva sulla presenza, l’uso, i danni che l’uranio impoverito provoca alle persone, agli animali, alle cose anche in molte parti dell’Isola. I primi dati, “preoccupanti” per i componenti la Commissione, sono stati forniti dai responsabili nazionale e regionale dell’Unac, “una associazione d’arma non particolarmente ben vista dagli alti comandi”, e da un “esperto, che con questa associazione collabora da tempo”.

CAGLIARI - La commissione Sanità ha avviato l’indagine conoscitiva sull’uranio impoverito. Ascoltati in audizione i rappresentanti dell’UNAC. I dati, seppur parziali ed incompleti, “perché superare i vincoli, i limiti, lo stretto riserbo dei comandi militari è quasi impossibile”, mostrano una preoccupante realtà: l’uranio impoverito “certamente” è stato usato anche nelle basi militari della Sardegna, i suoi effetti nocivi sono ben visibili in alcune zone rigorosamente protette dalle autorità militari.

La commissione Sanità del Consiglio regionale, presieduta da Pierangelo Masia, ha avviato, con la prima audizione, la sua indagine conoscitiva sulla presenza, l’uso, i danni che l’uranio impoverito provoca alle persone, agli animali, alle cose anche in molte parti dell’Isola. “Una indagine che contiamo di concludere in cinque o sei mesi - ha dichiarato Pierangelo Masia, aprendo i lavori – per predisporre, poi, i provvedimenti necessari per garantire la salvaguardia delle popolazioni e dei territori dove operano le basi militari”.

I primi dati, “preoccupanti” per i componenti la Commissione, sono stati forniti dai responsabili nazionale e regionale dell’Unac, “una associazione d’arma non particolarmente ben vista dagli alti comandi”, e da un “esperto, che con questa associazione collabora da tempo”.

Dalle ricerche negli archivi dei ministeri, dalle visite nelle basi, da incontri e colloqui con militari ed esperti che con questa sostanza radioattiva sono entrati in contatto, anche nelle loro missioni “di pace” all’estero, molti dei quali hanno contratto la particolare forma di leucemia che ha provocato un numero incontrollabile di decessi, l’Unac ha tratto un voluminoso dossier, pieno di dati e di riscontri obiettivi, che è stato anche trasmesso a “chi di dovere”. Ma senza risultati. L’uranio impoverito continua ad essere utilizzato, senza le opportune precauzioni, senza sapere cosa bisogna fare per evitarne i terribili danni, senza conoscere metodi e procedure, anche nelle zone calde o di guerra, per limitare i rischi.
Gli altri eserciti, specialmente i comandi statunitensi ed inglesi, informano con cura i loro militari, forniscono tute e maschere sofisticate, “da noi si fa come se il problema non esistesse”.

Una denuncia precisa, circostanziata, ricordando che l’uranio impoverito viene fornito alle fabbriche di armi da una nota società che ha sede a Zurigo ed una attiva filiale a Roma, che questo materiale è presente in quasi tutti i proiettili usati negli ultimi decenni, quelli che indicano la presenza di “minerali pesanti”, perché l’uranio impoverito “è uno scarto radioattivo, deve essere smaltito con particolari procedure ed utilizzarlo per i proiettili è un modo molto economico di farlo”. Tra l’altro, questo minerale, che quando esplode produce un calore enorme (circa 3000 gradi, che sciolgono o bucano anche un muro di cemento armato di moltissimi metri), è un terribile, ma apprezzatissimo, strumento di distruzione.

In Sardegna, secondo registri e verbali rigorosamente coperti dal segreto militare, è stato certamente usato, nelle basi nelle quali sparano e “fanno” la guerra non solamente gli eserciti “amici”, ma anche quello libico e, persino, cinese, che ogni tanto affittano i nostri poligoni per “testare”, magari prima di comprarli, i loro nuovi armamenti.
Dove cadono i proiettili all’uranio muore tutto, le tracce si notano per decenni, la polverina bianca prodotta dall’esplosione, sempre materiale radioattivo, si deposita, penetra nel suolo e le nanoparticelle si diffondono, finiscono anche negli strati più profondi del suolo, inquinano le falde acquifere.

I dati ufficiali, quelli resi noti dai comandi militari, parlano di valori nella norma, ma i campioni sono stati raccolti dall’università di Siena ed analizzati dall’università di Cagliari, che ha garantito “i risultati sui campioni trasmessi”, non la “certezza” dei campioni esaminati. Però, ad Escalaplano, ad esempio, negli stessi periodi, quasi contemporaneamente, sono nati bambini con gravi malformazioni, si sono registrati pericolosi incrementi delle malattie tumorali, gli animali che pascolano ai margini della base o, in alcuni casi, dentro la base, fanno registrare preoccupanti morie “e nessuno vuole la carne ed il latte di quelle bestie”, le sorgenti non sono certamente limpide e cristalline, anche nei periodi di abbondanza di piogge. E che tutto possa essere ricondotto alla presenza di una miniera, dalla quale “uscirebbero piccole o grandi quantità di arsenico o di altri minerali pesanti” non convince, anche perché tra la miniera ed i pascoli incriminati esistono almeno cinquecento metri di dislivello e l’arsenico, come gli altri minerali, difficilmente “riesce ad arrampicarsi ed a superare, nel sottosuolo, un simile dislivello”.

Come non è “accettabile che sia un caso, il segno del destino, se il dieci per cento degli abitanti di Quirra è affetto da gravi forme tumorali”.
Del problema, comunque, si stanno occupando anche alcuni studiosi, di chiara fama, di università non sarde, come gli studiosi degli atenei isolani cercano, con il riserbo del caso, di approfondire aspetti particolari della vicenda.

Le basi, gli impianti di La Maddalena, Perdasdefogu, Teulada, San Lorenzo, ma anche quelli di altre zone isolane saranno, hanno detto i componenti la Settima, attentamente esaminati. Saranno approfonditi tutti gli aspetti di questa “complessa vicenda” e si cercherà di far luce su molti, preoccupanti, episodi che sono stati nascosti o sono stati “spiegati” con teorie e scuse strampalate.

La Commissione, nelle prossime settimane, prenderà contato con i vertici militari, con i laboratori di ricerca, metterà a punto un programma di visite ed audizioni, che serviranno come base per una attenta analisi della situazione, non solo per accertare la presenza e l’uso dell’uranio impoverito, ma anche per rendersi conto dei disagi, e dei pericoli, che una presenza massiccia di impianti militari provoca in grande parte della popolazione sarda.

“Esamineremo tutto con grande attenzione, poi elaboreremo le nostre proposte, che potrebbero anche portare ad un nuovo confronto, ad un nuovo e diverso accordo con lo Stato, anche in tema di basi e servitù militari”.
29/07/2005 19:53
 
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Uranio impoverito anche in Sardegna : l'arma dei carabinieri contro l'esercito

Nascondere, negare, insabbiare: un deja vu tutto italiano.
In questi giorni è in corso lo smantellamento dei poligoni di tiro di "Pranu Cardina" a Perdas de Fogu in Sardegna.
L'esercito tenta di nascondere le prove, l'UNAC, l'unione nazionale dell'arma dei carabinieri lancia l'allarme affinchè si intervenga subito per "sorprendere" i militari e i loro superiori nella loro azione di insabbiamento.

di Danilo Moi ed Alberto Sanna




La prima volta che abbiamo sentito parlare di "uranio impoverito" è stato nei mesi successivi guerra del golfo 91.
Migliaia di reduci americani si mobilitarono denunciando il loro stesso governo per non avere protetto la salute dei propri uomini da quella che fu poi chiamata "Sindrome del Golfo".
Il caso venne fuori in maniera vistosa quando le donne dei militari cominciarono a partorire bimbi deformi.

Nessuno di noi si sentì toccato da quella tragedia apparentemente così lontana, eppure, senza saperlo, di quella tragedia noi sardi eravamo già attori.
Col passare degli anni i casi di leucemia e cancro nella zona di Perdas de Fogu e nella zona di Quirra aumentavano secondo percentuali inaudite.
Il sospetto divenne progressivamente certezza: nei poligoni di tiro delle basi militari statunitensi si utilizzavano proiettili all'uranio impoverito.
Le denunce sono state innumerevoli: nessuno mai ne ha tenuto realmente conto.

Il geologo sardo Priamo Farci, come specificato sul sito dell'Unac, ha recentemente denunciato quanto le falde acquifere nella zona di Escalaplano siano irrimediabilmente compromesse.
L'acqua cristallina è ora sostituita da un liquame marrone, come si scrive, "non meglio identificato".
E' proprio successivamente alla denuncia di Farci che le ruspe dei militari sono entrate in azione.

Che soluzione sceglie quindi l'esercito italiano?
La soluzione più vigliacca e già sperimentata: l'insabbiamento, letterale in questo caso.
Tutti noi ricordiamo Ustica, tutti noi sappiamo che quella tragedia nacque da un errore militare statunitense, tutti noi sappiamo che gli alti vertici dell'esercito italiano si sono prostrati ai voleri e alle direttive statunitensi, coprendo vergognosamente tale errore.
Ma, parafrasando Pasolini, "non abbiamo le prove", proprio perchè le prove sono state trafugate e distrutte.

La stessa identica cosa accade oggi in Sardegna: nuovamente l'esercito italiano tenta di coprire le nefandezze statunitensi, tenta di distruggere le prove.
Lo fa sotto la luce del sole, lo fa sotto gli occhi della popolazione, lo fa con una decina rumorose di ruspe e questo atto non è un emblema di qualcosa di ben più vasto che appunto va avanti da decenni.
Certo: il tutto non è così "vistoso" come la strage di Ustica, sebbene la strage ci sia (e sia di portata ben più vasta) essa è "centellinata", diluita nel tempo, scomposta in una sequenza di tragedie private, affogata nelle lacrime dei funerali.
Non importa quindi che la popolazione sappia, non importa che subisca questo sopruso, non importa che sappiano anche i geologi: il nostro peso è nullo e le vie della legge e del diritto, che dovrebbero costituire il nostro strumento di difesa, non sono percorribili agevolmente ne' dalla popolazione ne' dalle relazioni scientifiche.

Le ruspe percorrono oggi queste vie.

Concludiamo evidenziando il nostro stupore per il fatto che la denuncia dell'evento provenga dall'arma dei Carabinieri nonchè per il palese "scontro" tra due istituzioni, appunto l'esercito e i Carabinieri.
Se da un lato l'iniziativa dell'Arma dei Carabinieri è lodevole dall'altro il tutto assume determinazioni preoccupanti.
Denunciamo inoltre, per quanto la nostra denuncia possa valere, l'ennesima negligenza della stampa e del giornalismo sardo ricordando al gregge di pennivendoli ignoranti che lo costituisce che la divulgazione di fatti simili è anzitutto loro pertinenza.
Non ci soffermiamo ora sulla "libertà di penna" di Kantiana memoria.
29/07/2005 19:56
 
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Uranio impoverito e povertà in Sardegna

Ci aveva colpito l'uso da parte del Governo Statunitense di uranio impoverito, proveniente dagli scarti delle centrali nucleari nord americane. Permettendo con questa politica militare, la contaminazione radioattiva delle zone interessate dalle battaglie e dei propri contingenti che, tornando a casa, si ammalavano sistematicamente di cancro.
Credendo che fossero comunque cose per noi lontane, preoccupati, seguivamo l'evolversi della vicenda senza sentirci direttamente interessati.
Poi succede che iniziano ad arrivare anche qui da noi la paura e l'angoscia. Scopriamo che anche nostri militari sono stati contaminati, per lo più sardi impegnati nella ex-Jugoslavia in zone sottoposte a bombardamenti pesanti, durante i quali venivano usati proiettili muniti di uranio impoverito, simili a quelli usati nel Golfo Persico pochi anni prima. Tutti sapevano, o almeno sospettavano, che quei proiettili potevano avere un' effetto devastante sulla popolazione come sui militari, ma niente è stato fatto per evitarlo. Nessuno ha impedito l'uso di armamenti contaminanti, nessuno ha obbligato o almeno consigliato ai nostri militari e alla gente del posto di usare precauzioni e attenzione nel trafficare in prossimità di residui, grandi o piccoli, di missili o altro materiale bellico.
Così, ragazzi sardi di venti anni, dopo qualche mese passato in missione, un po’ per la patria, molto di più per l’indennità di missione, iniziano a stare male: vomitano, dimagriscono e si indeboliscono. Fanno gli esami del sangue, forse pensando che sia solo un po’ di stress post-missione, ma pochi giorni dopo viene detto loro che quella sarebbe stata l'ultima estate, che non si sarebbero mai sposati, che non avrebbero mai potuto abbracciare il figlio o semplicemente invecchiare come tutti i loro amici.
E' Leucemia: un dramma che diventa tragedia nello scoprire che gli ammalati non sono uno solo o due ma sono tanti, troppi. Per molti compaesani, amici e genitori di soldati sardi ammalati, che non accettano di dover seppellire un figlio, comincia un calvario fatto di diagnosi, di pianti, di urla di rassegnazione e di rabbia.

Più la disoccupazione che lo spirito di patria spinge tanti sardi, così come altri meridionali, ad arruolarsi. L'esercito diventa l'unica strada possibile e praticabile per molti. Essere militare sardo non è soltanto andare in missione, è anche lavorare nelle tante (troppe) basi presenti sull'isola. In Sardegna, come nel resto d' Italia, siamo soggetti a vincoli imposti da trattati segreti, gli stessi che ci obbligano a mandare i nostri militari in Kosovo, in Iraq, in Afghanistan e in qualunque altro posto si abbia interesse economico-militare a metterci le mani.
I contenuti di questi documenti sono conosciuti soltanto dagli alti militari e qualche splendido-splendente funzionario del SISMI. Trattati che, durante la guerra fredda, venivano firmati dal governo italiano ma scritti da altri che, con la scusa di difendere la libertà, ci facevano colonia: disponibilità quasi illimitata del territorio italiano, sottoposizione di vaste aree a servitù militare per costituire basi aeree o dell'esercito, porti per corazzate o appoggio per sommergibili nucleari; imposizione di disponibilità come forza militare e diplomatica pressoché illimitata al piacere e al comodo delle forze alleate.
Immaginando di rileggere quei trattati scritti tra inizi degli anni ‘50 e metà dei ’70, all' interno forse potremmo trovare uno strampalato, ma decisamente azzeccato, resoconto di un qualche funzionario militare della Cia in merito al territorio della Sardegna: ”… L’Italia è una mega portaerei che si affaccia sul mediterraneo, si sporge ad Est e sbircia sul Medio Oriente. All'interno di questa mega portaerei c'è la Sardegna, fa parte della porta aerei ma non ha quel fastidioso problema della gente e delle città: una sorta di ponte libero. Ettari ed ettari non cari, quasi spopolati o comunque abitati da gente, i sardi, tenaci e coriacei ma, come risaputo, incapaci di costituire movimenti collettivi o iniziative comuni. L'isola è povera e per questo facilmente comprabile con qualche centinaia di posti di lavoro nelle basi militari da offrire come mangime a qualche confacente politico nazionale e regionale...” .
Così, nella terra dei nuraghi sono sorte, come funghi, tante basi: Capo Teulada, Salto di Quirra, Santo Stefano, Decimomannu, Capo Frasca, Tempio, Isola di Tavolara. In tutto un territorio di 22 mila ettari chiusi, nei quali l'accesso è concesso solo ai militari per le loro prove, test, addestramenti e simulazioni. Basi militari che, di fatto, non sono più territori sottoposti alla legislazione dei parlamenti regionali e nemmeno di quelli nazionali, in barba alla sovranità del popolo! Oggi come ieri i militari delle nazioni Nato vengono in Sardegna a provare nuovi armamenti, vengono ad insegnare ai propri uomini come si colpisce un carro nemico da 200 metri di distanza, come si bombarda un ponte da un'altura..
L'isola è, suo malgrado, scuola di guerra. Soldati inglesi e polacchi oggi, prima di partire per l'Iraq, fanno le prove di caccia all'iracheno nelle nostre colline, in mezzo al nostro mirto, sul nostro mare.
E noi zitti nelle coscienze perchè magari ci portano qualche busta paga.
Zitti perchè vengono addestrati i nostri stessi militari sardi. Piangiamo quando la malattia se li sta portando via e Zitti… Zitti… diventiamo orgogliosi all'occasione se li si vede in Tv sul fronte di guerra a rischiare di perdere i loro venti anni nel deserto perché ondate di clientelismo scellerato e incompetenze politiche hanno reso la nostra terra povera.
Chiediamoci quanti milanesi ci sono lì al fronte?!
Sull'isola i militari di decine di paesi provano, nelle nostre campagne o sul nostro mare i proiettili ad alta capacità di perforazione fatti di uranio impoverito che useranno poi in battaglia. Non hanno alcun tipo di vincolo, limite o legge da rispettare. Nessuno può fare domande, nessuno può impedire che facciano i loro giochi di guerra senza curarsi se questi possono compromettere la salute e la vita di tante persone. In questo modo, grazie a questa paradossale anarchia-militare, nascono le "sindromi", come quella conosciuta del "Salto di Quirra".
C'è una parte della popolazione nel Sud-Est dell' isola che si è ammalata di cancro, niente di nuovo o di particolarmente speciale, se non fosse che questa così detta "parte" è una percentuale della popolazione molto più alta della media nazionale e di quella riconosciuta come "normale"dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità).
Molti dei cittadini ammalati del paese di Quirra sono persone che hanno avuto a che fare con la base, che hanno lavorato all'interno o ci abitano vicino. Uomini, donne, ragazze, ragazzini, bambini che stanno vivendo lo stesso strazio di quei militari che hanno fatto le missioni. Ex-Jugoslavia come il Salto di Quirra, come l'Iraq? Sardi in missione nella propria terra, sardi in missione in terre straniere.
Uomini che combattono guerre che non riconoscono, che non gli appartengono. Chiamati, infine, ad affrontare la guerra di tutte le guerre senza più indennità di missione o senso della patria che li sostenga, ma solo la convinzione che, forse, se fossero nati a Milano...

29/07/2005 20:01
 
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Uranio in Sardegna

La leucemia che ha stroncato la vita di Salvatore Vacca, in servizio in
Bosnia, e di Giuseppe Pintus, in servizio nel poligono di Capo Teulada, ha
spinto la Sardegna, fin dall'autunno 1999, a chiedere chiarezza
sull'utilizzo di uranio impoverito, sia nelle zone teatro di massacri
"umanitari", sia nelle basi militari che l'isola è costretta a mettere a
disposizione della Nato. Nel dicembre 2000, nonostante il cronico mutismo
dei suoi rappresentanti istituzionali, è riuscita ad infrangere la coltre
del silenzio sul "metallo del disonore" e a imporre la discussione a
livello nazionale e internazionale.
Ma, ancora prima che si aprisse il dibattito sull'UI, il Comune di Teulada
e la camera del lavoro di Carbonia - Flai-Cgil in prima fila - avevano
avviato una dura vertenza per sottoporre a monitoraggio i 7.200 ettari di
terra e i 50.000 ettari di mare del poligono di Capo Teulada. L'esigenza di
controllo ambientale e sanitario è stata strettamente legata alla denuncia
della riduzione del lavoro e dei danni all'economia locale causati dalle
attività di guerra. In tempi più recenti, hanno esteso la richiesta di
indagini "super partes" e controlli permanenti includendo TUTTI i siti
della Sardegna coinvolti dalle attività militari. Lotte tenaci, spesso
vincenti, prese di posizione scomode, di conseguenza, isolate, relegate in
mini trafiletti di cronaca locale, come d'altronde le proteste di pescatori
e allevatori espropriati delle risorse naturali a beneficio dei poligoni
Quirra-Perdasdefogu, Decimomannu- Capo Frasca, come le denunce, inascoltate
per un intero anno, del sindaco di Villaputzu sull'abnorme percentuale di
tumori al sistema emolinfatico, .
Non è casuale il silenzio di tomba, di allora e di adesso, da parte di
quasi tutti i media a diffusione nazionale sui "morti di poligono" e sulla
sindrome dei Balcani che infierisce nelle zone adiacenti ai poligoni.
La "sindrome Balcani-Quirra", nota fin dal febbraio dello scorso anno, ha
stentato non poco prima di essere recepita in tutta la sua gravità dalla
stampa locale e dai cosiddetti rappresentanti del popolo sardo. E' stato
necessario promuovere dibattiti pubblici, petizioni popolari,
manifestazioni di piazza, tallonare giornalisti e "autorità competenti".
Ben altra, invece, è stata l'attenzione prestata da istituzioni, classe
politica e stampa nazionale alla lotta per il potenziamento del poligono
Salto di Quirra, condotta in nome dell'idea balzana "le basi militari
portano occupazione e benessere". La "battaglia per lo sviluppo e
l'occupazione" intrapresa dal sindaco-tenente di Perdasdefogu ha trovato
prontamente il sostegno di numerosi pezzi di sindacato confederale e di
vari esponenti politici, come l'on. Tonino Loddo che, coerentemente, già
nel dicembre 2000 aveva presentato un'interrogazione al ministro della
Difesa per chiedere: "di verificare se il Poligono Interforze sia
utilizzato o meno al massimo delle sue potenzialità. E ciò anche in
considerazione degli apparati ad alta tecnologia di cui il poligono è
dotato, al fine di valutare ogni possibile incremento economico e
occupazionale delle comunità del territorio".
Vogliamo credere in un ravvedimento dell'ultima ora da parte dell'on. Loddo
in seguito alla presa d'atto della drammatica situazione sanitaria, per
troppo tempo rimossa.
Una seria inchiesta parlamentare, una VERA indagine epidemiologica
richiedono tempi lunghi. Occorre, anche, predisporre interventi immediati e
adeguate misure cautelative. Ci aspettiamo, pertanto, che le istituzioni e
i tanti deputati - recentemente risvegliatisi dal pluridecennale letargo -
si attivino con urgenza affinché si adotti, almeno, l'elementare
precauzione di imporre una moratoria a tutte le attività del poligono
finalizzate ad esportare guerra presso altri popoli e che, come effetto
collaterale, seminano morte e sofferenza in terra sarda
ALTRE NOTE 1 Depistaggio arsenico


1 In data 20 febbraio 02 Il dottor Efisio Aste, direttore generale
dell'Asl 8, comunica ufficialmente: (..) I risultati analitici finora
ottenuti hanno permesso di accertare che sia per i metalli pesanti tossici,
sia per la radioattività artificiale, non si riscontrano significative
differenze rispetto alla situazione generale della Sardegna. Per quanto
riguarda la eventuale presenza di uranio impoverito i campioni sono stati
consegnati all Istituto Superiore di Sanità (..). Le analisi sono tuttora
in corso.


2 In data 8 marzo al Gruppo d'Intervento Giuridico scrive: (..) gli
accertamenti in corso sono stati estesi alla popolazione del Sarrabus per
la quale è in atto un indagine epidemiologica retrospettiva, mirata all
esatta valutazione dell incidenza della patologia neoplastica negli ultimi
dieci anni. Allo stato attuale gli accertamenti predetti sono ancora in
corso ( La Nuova 15 marzo).


3 Lo stesso giorno, 8 marzo 02, l Ansa diffonde: << URANIO:POLIGONO
QUIRRA; ASL,NESSUNA TRACCIA MA C'E' ARSENICO (ANSA) - CAGLIARI, 8 MAR - Non
c' è nessuna traccia di uranio, ma una grande concentrazione di arsenico
nella zona circostante il poligono militare del Salto di Quirra, dove negli
ultimi anni è stato segnalato un forte incremento di casi di leucemia tra
la popolazione militare e civile. Il dato è stato reso noto dal direttore
generale dell' Asl di Cagliari, Efisio Aste, che ha eseguito, per incarico
della Procura militare, una serie di rilievi nella zona, dove ieri sono
cominciati anche i prelievi disposti dal Ministero della Difesa.>>


Riporta l AGI - CRO 03/08/02 - 11:36 SINDROME QUIRRA:ESAMI ASL
CAGLIARI,NO URANIO MA C'E' ARSENICO(2) (AGI) - Cagliari, 8 mar. - "La
presenza di arsenico è normale se si considera che nelle vicinanze del
Poligono ci sono vecchie miniere d'argento", ha spiegato Graziano Sarritzu,
direttore del presidio multizonale della Asl di Cagliari. "E' noto che
assieme all'argento si trovano minerali contenenti arsenico. Nell'area di
Quirra abbiamo trovato una concentrazione molto elevata di questa sostanza
altamente tossica e cancerogena, come confermano le più accreditate fonti
mondiali della materia". "La situazione va tenuta sotto controllo", ha
concluso Sarritzu, "e bisogna adottare misure adeguate per tutelare la
popolazione". (AGI)


4 Nella zona di Quirra non esistono miniere d argento. C è, invece, la
miniera d' ARSENICO di Bacu Locci dimessa nel 1964. Il cartello affisso
indica a chiare lettere che nel 1700 e 1800 si estraeva piombo e galena e
"nell'ultimo periodo vi si estraeva ARSENICO e derivati". La "scoperta" di
arsenico in una miniera d'arsenico dopo 4 mesi di ricerche non necessita
ulteriori commenti.


5 L Asl ha effettuato i prelievi a valle controllando le acque del rio
Corr e Cerbu rio Quirra- Flumini Durci ( nomi diversi per lo stesso corso d
acqua). Da uno studio, commissionato nel 2000 dal Comune di Villaputzu a un
laboratorio privato al fine di un eventuale utilizzo potabile delle acque,
risulta che i campioni prelevati in miniera,quindi nella zona che dovrebbe
essere maggiormente inquinata, contengono percentuali d arsenico inferiori
ai limiti stabiliti dal Dpr 236/88. Sono state rilEvate, invece,
concentrazioni di manganese, zinco e solfati superiori alla norma (La Nuova
13/3/02).


6 In letteratura medica non esistono elementi che indichino un rapporto
tra arsenico e tumori del sistema emolinfatico. Medici per l ambiente dell
ISDE di Genova dichiara: All attuale direttore generale dell Asl 8 di
Cagliari, dovrebbe essere assegnato il premio Nobel per la medicina, se
riuscisse a dimostrare la relazione tra l arsenico e le patologie tumorali
del sistema emolinfatico, che hanno colpito la popolazione di Quirra (La
Nuova 13-3-02).


7 La vigilanza sanitaria del territorio rientra tra i doveri d'ufficio
della Asl 8, dovrebbe essere normale routine. L'indagine, invece, è stata
svolta su richiesta della Procura militare a distanza di otto mesi
dall'allarme lanciato dal sindaco di Villaputzu.


Perché il dottor E. Aste getta il discredito sull intera azienda sanitaria
da lui diretta? Perché presta il fianco all accusa di omissione di doveri d
ufficio individuando l agente killer nell arsenico di una miniera d
arsenico che avrebbe dovuto essere sottoposta ad attento controllo da parte
dell Asl da lui diretta?
2 Operazione bonifica


Comandanti dei poligoni, ministri e sottosegretari (ulivisti e polisti)
hanno sempre sostenuto: "Dopo ogni esercitazione, si procede alla bonifica
del terreno. Non si spara più un colpo fino a quando non vengono recuperati
tutti i proiettili esplosi in precedenza".
La Nuova del 19/2/02 documenta un fatto noto a chiunque abbia soggiornato
nel Sarrabus: "C'è un missile abbandonato vicino a Quirra. Fu lanciato 10
anni fa alla presenza di Romiti. Poi impazzì e sfiorò un ovile. Il razzo
prova che le operazioni di bonifica nel terreno del poligono non sono poi
così rigorose". Non sono documentabili i pezzi di missile che tutti
abbiamo sempre visto abbandonati nella spiaggia di Murtas, affidati alla
pulizia del gioco di onde e maree.
All interno del poligono di Capo Teulada ( 7.200 ettari a terra e 50.000 a
mare, il più grande d'Europa dopo quello di Quirra) la parte della
penisola- promontorio, la cosiddetta zona D , da decenni, è
< (militari!) per la presenza di residuati esplosivi di cui non è possibile o
conveniente la bonifica>>, ( Stato Maggiore dell E.I.). Da sempre l accesso
alle spiagge interne alla base è interdetto alla popolazione e agli stessi
militari anche nei mesi estivi di sospensione delle attività nel poligono
< superiore a quello disponibile>> (19/5/95 N.C.T. 00719 Infr-CMP). Detto in
modo più chiaro, < tale e il ritmo delle attività così elevato- che l area a terra e a mare
non è bonificabile e, quindi, risulta inagibile>> (interpellanza
parlamentare del 95).
Comitato sardo Gettiamo le Basi
30/07/2005 22:07
 
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Solo in Sardegna 34 morti

QUELLE VITTIME NEGATE


Nessuno vuole riconoscere la vera causa di quei decessi "misteriosi", denunciano le famiglie colpite dalla "Sindrome del Golfo". La storia straziante di Valery Melis e la lotta di Giovanni Pilloni, un elicotterista che non si arrende.



Accarezza piano la cartellina rossa sul tavolo, che contiene ogni momento del calvario del figlio, esami, referti, ricoveri. Il volto segnato da un’infinita tristezza, parla lentamente, con una voce piatta, quasi avesse finito le emozioni e la commozione. Marie Claude Frison, madre di Valery Melis, racconta una storia straziante, finita male un anno fa, il 4 febbraio 2004.

Anche lei e il marito, Dante Melis, come tanti altri genitori sono venuti nel piccolo albergo di Oristano per la prima assemblea delle famiglie colpite dalla "Sindrome del Golfo", ovvero l’inspiegabile – secondo l’Esercito e il Governo – epidemia che ha colpito negli ultimi anni i nostri militari, attribuibile invece – secondo gli involontari protagonisti – all’uso delle bombe a uranio impoverito.

Ci sono anche loro, alcuni dei sopravvissuti, i nostri militari addestrati nelle basi italiane, partiti per le missioni militari all’estero, e tornati con la leucemia, col linfoma, col cancro al polmone o al rene. A loro le istituzioni non dedicano celebrazioni, né discorsi altisonanti. Sono un problema, loro, perché insistono sull’uranio impoverito che nessuno vuole riconoscere come causa di malattia. Così, la prima assemblea, organizzata con l’aiuto dell’Associazione culturale Peppino Impastato e del Movimento 15 febbraio, sembra una riunione di carbonari nel seminterrato dell’albergo, in una saletta stipata all’inverosimile.

«Qui, nella sola Sardegna, sono 34 le vittime, e 167 i malati. In tutta Italia ancora non lo sappiamo», tuona Salvatore Pilloni. È l’anziano padre di Giovanni, elicotterista, che la sua battaglia per la guarigione la sta ancora combattendo. Salvatore si è fatto promotore dell’incontro. La voce gli si rompe spesso in gola: «Non alzerò mai bandiera bianca», dice. «Sono i nostri figli e non quelli dei ministri che difendono la patria. Sono ammalati e morti perché esposti senza protezione all’uranio impoverito». Lo dice e lo ribadisce, si batte come un leone perché sia riconosciuto ciò che le autorità non vogliono ammettere.

A Oristano la famiglia Pilloni è venuta tutta, così come tutti insieme stanno aiutando l’elicotterista Giovanni a superare chemioterapie, complicazioni, visite, operazioni. «Noi, e nessun altro», dice sconsolata la sorella Regina.
«Dov’è lo Stato che mio fratello ha servito per 18 anni? Le basti sapere che il periodo di malattia è finito, Giovanni è in aspettativa senza stipendio.
Non avrebbe nemmeno i soldi per curarsi. È ha una bambina piccola.
Un doppio dramma».

Giovanni, le missioni italiane all’estero, le ha fatte praticamente tutte: Somalia, Bosnia, Kosovo e Irak. E proprio dal Golfo, nel dicembre del 2003, è tornato malato. Da allora, le "missioni" le fa da un ospedale all’altro. «Sarà così per anni», dice Regina. «Nell’incertezza».

Tutti racconti drammaticamente simili, che si concludono allo stesso modo: con l’amarezza di chi ha servito il proprio Paese, e si vede ricambiato dall’abbandono, dalla defatigante burocrazia, dall’arroganza delle domande respinte. Giovanni Pilloni parla con la stessa pacatezza della madre di Valery Melis. «Ci tengo a sottolineare una cosa sola», spiega. «Dicono che hanno fatto tanto per me. Non è vero. Non hanno fatto nulla. Neanche un salto in ospedale per venirmi a trovare».

Intanto, dal tavolo degli oratori spiegano che l’uranio impoverito è materiale di scarto del processo di arricchimento dell’uranio. Che è pericoloso se inalato o ingerito. Che provoca, oltre a vari tipi di tumore, anche mutazioni genetiche. Che, ancora, vi sono 800 prodotti in commercio che lo impiegano e 2.500 brevetti depositati che ne prevedono l’impiego, anche in ambito civile.

Il ministro smentisce

«Gli americani la chiamano "Sindrome del Golfo", perché la prima "epidemia" è scoppiata fra i reduci del ’91», spiega l’onorevole Falco Accame, presidente dell’Associazione reduci e familiari delle vittime militari. «In Somalia, nel 1993, i soldati Usa usavano già le protezioni, i nostri no. Le norme sono state emanate il 22 novembre 1999. E sappiamo che, in Somalia, sono stati usati 10.000 proiettili all’uranio impoverito. E poi Bosnia, Kosovo, Albania, Macedonia, di nuovo l’Irak. Che conseguenze ci sono sulla gente che vive in quei Paesi?».

C’è poi il problema delle aree di esercitazione. Basta scorrere le risposte alle decine di interrogazioni parlamentari per vedere la fermezza con cui il ministro della Difesa nega l’utilizzo di bombe all’uranio. «Se così fosse», dice ironico Accame, «si dovrebbero mandare i vertici militari davanti alla corte marziale. Perché i nostri carri armati devono essere testati contro quel tipo di bombe».

Ai sardi le rassicurazioni delle autorità non bastano. Perché l’"epidemia" colpisce anche i civili intorno ai poligoni. Due esempi: a Escalaplano, 2.600 abitanti, sono nati 14 bambini con gravi malformazioni e altrettante persone hanno tumori alla tiroide. Nella frazione di Quirra, 150 abitanti, ci sono 20 casi di tumore al sistema linfatico.

Una negazione ostinata. Al punto che, per riconoscere a Valery Melis la "causa di servizio", è stato scritto che il tumore è insorto a causa dello stress provocato dalle diverse missioni in zona di guerra e dall’elevato grado di tensione subita da Valery.

«È ridicolo», dicono i suoi genitori, Marie e Dante. «No, abbiamo perso nostro figlio, ma continueremo la battaglia per avere giustizia».

Ci sono le prove

Perciò hanno fatto fare un esame istologico, che dice: «In entrambi i campioni sono stati trovati corpi estranei, microdimensionati, di chimiche diverse, come solfato di bario, antimonio, composto di antimonio-cobalto, composti di ferro e titanio, uno strano composto di cerio-lantanio-neodimio-ferro-calcio».
E ancora: «Il detrito di circa 2 micron di ferro-cromo è di forma perfettamente sferica. Questo testimonia che l’ottenimento è avvenuto ad alta temperatura». La specialista, insomma, ha trovato «Particelle non biodegradabili e non biocompatibili». Ovvero, gli effetti da stress.



DOVE È FINTA L’INCHIESTA?


Eppure c’è una Commissione d’inchiesta del Senato. Approvata all’unanimità il 17 novembre 2004, deve occuparsi, come recita la legge istitutiva, dei «casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale militare italiano» impiegato all’estero e «dell’eventuale utilizzo di uranio impoverito nelle esercitazioni militari sul territorio nazionale».

La Commissione, però, non si è ancora insediata perché nessuno dei partiti del Centrodestra, né la Margherita, hanno designato i Commissari. «Si rischia l’insabbiamento dell’inchiesta parlamentare, perché siamo ormai nella fase finale della legislatura», ha scritto il primo firmatario della legge, l’on. Ds Lorenzo Forcieri, al presidente del Senato Pera.

E il senatore Gigi Malabarba, di Rifondazione, denuncia che il tempo rimasto non consentirà alla Commissione di indagare a fondo, ma che dovrà «accontentarsi dei dati manipolati», forniti dalle autorità militari.

«L’uranio impoverito è un prodotto del nucleare», conclude l’on. Mauro Bulgarelli (Verdi), firmatario di 30 interrogazioni sul tema, «che l’80 per cento degli italiani ha rifiutato col referendum. Scelta che viene aggirata da accordi segreti, e il prezzo più alto lo paga la Sardegna. Questa vicenda mostra che il ciclo della guerra, come un boomerang, riporta fra noi l’orrore e la morte che abbiamo esportato in altri Paesi».

26/02/2006 21:48
 
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Uranio impoverito: Soru al Senato, nessuna risposta


La denuncia del Presidente della Regione davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta sull'uso di uranio impoverito nelle esercitazioni militari. Soru ha riproposto i temi dell'equilibrio delle servitù militari, della restituzione agli usi civili di Capo teulada, sollevando per questo territorio anche il problema del tipo di armamenti e munizioni in uso nelle esercitazioni. Il Presidente ha sottolineato che la Regione ed il COMIPA sono all'oscuro sul tipo di munizionamento utilizzato a Teulada.


E' stato reso noto oggi dagli uffici del Senato il resoconto stenografico della missione in Sardegna della Commissione parlamentare d'inchiesta ''sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale militare italiano impiegato nelle missioni internazionali di pace, sulle condizioni della conservazione e sull'eventuale utilizzo di uranio impoverito nelle esercitazioni militari sul territorio nazionale''. La notizia è stata data dalla Presidenza della Giunta Regionale.

La Commissione, presieduta dal senatore Paolo Franco, era stata in Sardegna il 17 ottobre del 2005, e durante la permanenza nell'isola aveva ascoltato il Presidente della Regione. Renato Soru in quell'occasione, ha riproposto i temi dell'equilibrio delle servitù militari, della restituzione agli usi civili di Capo teulada, sollevando per questo territorio anche il problema del tipo di armamenti e munizioni in uso nelle esercitazioni.

''Non solo - ha detto il Presidente della Regione - non ci viene detto che non si utilizza munizionamento contenente uranio impoverito, ma anzi, in base al disciplinare in scadenza nel 2005, risulta che a Capo Teulada in questo momento sono autorizzate particolari esercitazioni o sperimentazioni di interesse nazionale o NATO. Si dice poi che «il Poligono viene autorizzato per l’effettuazione di esercitazioni a fuoco terrestri, esercitazioni navali di tiro contro costa e sbarchi anfibi, esercitazioni a fuoco aeree», sempre con l’indicazione di esercitazioni particolari e sperimentazioni. Cosa accade li esattamente non è dato sapere''.

Soru, cercando di inquadrare il problema dal punto di vista della Regione, ha spiegato ai senatori che l'utilizzo dell'uranio impoverito e e leservitù militari "sono una componente dello stesso problema". Il Presidente ha ricordato ai senatori che "sulla base della legge 898 del 1976, è stato istituito un Comitato misto paritetico (COMIPA) nell'ambito del quale si discute qualsiasi argomento che attiene all’attività della difesa. Si autorizzano nuove servitù, rinnovi di servitù, si verificano vincoli e attività dei Poligoni. Già nel 2004 l’attività del Poligono di Capo Teulada – su richiesta dei rappresentanti del COMIPA, ma anche del rappresentante del Ministero dell’economia e delle finanze – venne autorizzata a condizione che da un documento scritto risultasse che a Capo Teulada non si sparavano munizioni con uranio impoverito. Il COMIPA concesse per l’ultima volta l’autorizzazione a condizione che entro un certo numero di mesi pervenisse una comunicazione scritta a conferma del fatto che in quella zona non si sparavano munizioni con uranio impoverito". Una risposta, che, secondo il presidente, tarda ad arrivare.
02/03/2006 19:41
 
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Commissione uranio impoverito: nessun legame diretto con Sindrome Balcani


Con 8 voti a favore e 5 astenuti la commissione parlamentare del Senato, che ha indagato sul possibile legame tra l'utilizzo dell'uranio impoverito negli armamenti e le malattie sviluppate dai militari italiani che sono stati in missione nell'area Balcanica, ha approvato la relazione finale del Presidente Paolo Franco (Lega Nord). Si sono astenuti dal voto i commissari dell'opposizione di centrosinistra.



“Non sono emersi elementi per affermare una responsabilità diretta dell'uranio impoverito”. Con queste parole il presidente della commissione d'inchiesta del Senato sull'uranio impoverito, Paolo Franco (Lega Nord), ha spiegato la decisione dell'organismo parlamentare di approvare la relazione finale che di fatto “assolve” l'uranio impoverito, slegandolo dalla cosiddetta “Sindrome dei Balcani”.

Secondo il presidente Franco relativamente alle morti e alle malattie che hanno colpito i militari italiani impegnati nell'area balcanica, “non è stata trovata traccia di uranio nei campioni istologici esaminati”, mentre “sono state trovate nanoparticelle che potrebbero essere state prodotte dall'esplosione dei proiettili ad uranio impoverito”. I commissari hanno richiamato l'attenzione sul “poco tempo” a disposizione della Commissione e sul fatto che vi fossero “limiti scientifici” che non avrebbero permesso una conclusione con dati univoci. Mancherebbero, infatti, conferme scientifiche sulla pericolosità tossicologica di queste nanoparticelle.

Intanto l'opposizione di centrosinistra giudica “illogici e del tutto insoddisfacenti” i risultati finali a cui è giunta la commissione di inchiesta e qualcuno parla di passi indietro rispetto alla stessa commissione Mandelli. Gigi Malabarba, capogruppo PRC al Senato e segretario della Commissione d'inchiesta apre la strada alla possibilità di ricorsi legali da parte dei militari malati e delle loro famiglie. “La speciale elargizione prevista per i superstiti deve essere estesa anche ai militari che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti e l'importo della stessa, pari a lire 50 milioni, deve essere aumentato in misura consistente, anche in relazione all'aumento del costo della vita – ha detto il senatore - Così è scritto nelle conclusioni della Commissione: dopo 15 anni dalla definizione di quell'importo e dopo che alle vittime di Nassiriya sono stati concessi 400 milioni, credo che un risultato sia stato raggiunto”.

28/05/2006 18:17
 
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Leucemie nelle basi militari
l'accusa è di omicidio colposo
Il procuratore Rosella:<>



Un soldato morto e due ammalati per lo stesso,raro,morbo:leucemia acuta infoblastica.Tre casi nello stesso luogo e nello stesso periodo,perchè si tratta di militari in servizio nel poligono sperimentale di Quirra-Capo San Lorenzo(in Sardegna) tra il maggio e il novembre 1999.Tre casi che hanno scatenato <> nel capo della procura militare di Cagliari,Mauro Rosella,il quale ha trasmesso gli atti alla Procura civile(competente per la vicenda)indicando anche un'ipotesi di reato:.Un morto,due ammalati e un sospetto inquietante nato nella mente del magistrato con le stellette:<>.Poi è giunto il terzo "caso" che ha spinto il procuratore militare ad avanzare una ipotesi:<>.Tanto strano che,rivela Rosella,la Procura civile di Cagliari ha in corso una indagine sul decesso del militare(un marinaio sardo,le cui iniziali sono M.M.)e alla malattia degli altri due(anch'essi sardi,entrambi attulmente in cura,E.P e S.L.).Rosella ha parlato il 10 novembre 2005 di fronte della commissione del senato che indagava sull'uranio impoverito,la munizione anticarro sospettata di aver provocato tumori e leucemie che hanno ucciso almeno 24 soldati italiani e fatto ammalre oltre 200.Una relazione di oltre sei mesi fa ma che fino a ieri era stata coperta da segreto e che solo nelle scorse ore è stata diffusa nel suo testo integrale:era stato lo stesso pm Rosella a chiedere la secretazione della propria deposizione.Da ieri però per la prima volta si sa ufficialmente quello che si sospettava: che non sono soltanto i soldati in missione ad ammalarsi e a morire di linfomi e leucemie,ma anche quelli che lavorano nei poligoni italiani.Circostanza sempre denunciata dal Comitato Gettiamo le basi,negata dai comandi e ora ammessa dalla magistratura.
28/05/2006 21:09
 
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Adesso serve un'indagine

Mariella Cao
comitato gettiamo le basi

Abbiamo conferma di tre nuovi casi,segnalati da tempo a Gettiamo le Basi,di militari di Marina colpiti da leucemia dopo aver prestato servizio nel Poligono Interforze Salto di Quirra.Strane "coincidenze" che richiamano quelle del poligono di Capo Frasca:Maurizio Serra e Gianni Faedda colpiti da un tumore al cervello dopo il servizio di leva.I dati raccoltida Gettiamo le Basi salgono a quota 15.Quindici militari colpiti dalle stesse patologie che falcidiano i militari nei teatri di guerra e le popolazioni aggredite.Le stesse patologie che sterminano gli abitanti della frazione di Quirra: 150 abitanti,20 colpiti da tumori al sistema emolinfatico.E' improcrastinalbile un'indagine accurata del territorio,un'indagine controllata dal basso,un'attenta verifica preliminare ad una radicale bonifica.
31/05/2006 21:27
 
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Vittime in divisa. Si chiamava Massimo Medda il militare colpito da leucemia durante il servizio a Quirra

“Sempre malato”: il ministro liquidò così il marinaio morto


Martino gelido con
il giovane di Quartu
Omicidio colposo: l'inchiesta
al pm Marchetti


¦L'hanno sepolto nella parte
antica del cimitero di Quartu,
la città dove viveva con la famiglia.
Sulla lapide in granito,
la sua foto mezzobusto in divisa
bianca della Marina militare:
quell'uniforme, indossata per
pochimesi, non lo ha certo protetto
dalla “leucemia acuta infoblas
tica” che lo ha ucciso il 26
luglio del 2003. Si chiamava
Massimo Medda e aveva 27 anni
il marinaio deceduto dopo un
breve servizio nel poligono di
Quirra-Capo San Lorenzo. Ed è
sulla sua morte che, in seguito
alla trasmissione degli atti da
parte del procuratore militare
Mauro Rosella, la procura della
Repubblica di Cagliari ha aperto
una inchiesta per omicidio
colposo. Il titolare dell'inchiesta
è il piemmeMario Marchetti,
il quale indaga - sempre per
omicidio colposo - anche sulla
scomparsa di Valery Melis, il
sottufficiale quartese dell'Esercito
morto per un linfoma nel
febbraio del 2003. La notizia
del doppio filone d'indagine affidato
a uno dei magistrati più
esperti del Palazzo arriva con la
desecretazione dei documenti
raccolti dalla Commissione
d'inchiesta del Senato che nella
scorsa legislatura si è occupata
dei decessi di militari forse legati
alle munizioni all'uranio o
ad altre sostanze tossiche. Gli
atti delle due indagini sono stati
consegnati da Marchetti al
presidente della Commissione,
il leghista Paolo Franco, il quale
ne ha dato notizia nella seduta
del 24 novembre 2005.
IL CASO di Massimo Medda è
stato oggetto anche di una interrogazione
del senatore di Rifondazione
Gigi Malabarba. Di
fronte alla sua richiesta di chiarimenti,
il 29 giugno 2004, l'allora
ministro della Difesa Antonio
Martino rispose: «L'interessato,
se si escludono i periodi
di assenza per licenza, permessi,
riposo medico, ricovero, convalescenza
ed aggregazione ad
altro ente, è stato fisicamente
presente presso il citato distaccamento
per un periodo totale
di 13 giorni. Al marinaio, durante
quei 13 giorni di permanenza
al reparto, non sono stati affidati
“compiti di sgombero di
macerie e residuati di bombardamenti”,
come riportato nell'interrogazione
». Come dire:
Medda poco ha lavorato e noi
non c'entriamo. Ma saranno i
magistrati a dare ragione o torto
all'ex ministro.¦




Una lista
alla memoria

Gigi Malabarba
RIFONDAZIONE (INTERVENTO AL SENATO)

Si grida che l’uranio
impoverito non c’entra,
ma non si vuol
riconoscere una Sindrome
del Golfo di massa che non
si riesce più ad occultare.
Se non è l’uranio sarà qualcosa
ad aver ucciso questi
30 giovani militari, di altri
non sappiamo. Li cito perché
rimangano agli atti del
Senato: Giuseppe Pintus,
Salvatore Vacca, Roberto
Buonincontro, Sergio Cecchettin,
Umberto Pizzamiglio,
Emiliano Grimaldi,
Valerio Campagna, Andrea
Antonaci, Stefano Ceccarini,
Alvaro Marini, Antonio
Vargiu, Crescenzo D’Alicandro,
Stefano Melone, Antonio
Fotia, Ronaldo Colombo,
Cesare Boscanio, Fabio
Porru, Corrado Di Giacobbe,
Antonio Milano, Valery
Melis, Sergio D’Angelo, Luciano
Falsarone, Massimo
Medda, Salvatore Carbonaro,
Gianni Faedda, Alessandro
Garofano,Maurizio Serra,
Fabrizio Venabrea,Giuseppe
Benetti,Luca Sepe...
01/06/2006 23:24
 
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Uranio, indagine a Cagliari sulle morti sospette



«Un militare morto di leucemia acuta, altri due che combattono contro lo stesso male non possono considerarsi strane coincidenze». Con queste parole Mauro Rosella, magistrato della procura militare di Cagliari davanti alla Commissione bicamerale che indaga sull'uranio impoverito il 10 novembre del 2005 ha illustrato, tra numerosi altri passaggi, l'apertura dell'inchiesta da parte della procura militare sulle morti sospette, proseguita poi dalla procura della repubblica di Cagliari che indaga adesso per omicidio colposo. O meglio, sulle strane coincidenze che hanno riguardato alcuni militari colpiti da malattia.

Mauro Rosella, procuratore della Repubblica al Tribunale militare di Cagliari gli avvii e le conclusioni della sua indagine li ha raccontati in un'audizione - inizialmente secretata e resa pubblica solamente nei giorni scorsi - che parte dall'ultima morte sospetta tra i militari che operavano in Sardegna. Per la precisione nell'area dei poligoni.

Episodio che ha spinto poi il magistrato militare a inoltrare gli atti alla procura del capoluogo sardo. «Il fatto nasce da una vicenda molto triste- spiega il magistrato militare ai componenti la commissione- : la morte di un ragazzo che non ha fatto servizio fuori area, ma solo a Perdasdefogu». Ossia l'area militare situata a qualche centinaio di chilometri da Cagliari finita anche recentemente al centro di numerose polemiche e contestazioni da parte delle associazioni che si occupano della tutela dei diritti dei militari ammalati.

«La morte di questo ragazzo (morto di leucemia acuta linfoblastica) è avvenuta nel 2003 - racconta ancora -. Della vicenda sono stato interessato dal genitore: era figlio unico di madre vedova ed aveva prestato nel periodo compreso tra il maggio e il novembre del 1999 presso il Poligono di Capo San Lorenzo». È il primo episodio che spinge però il magistrato a scavare ancora. «All'infermeria dell'Ospedale de La Maddalena, gestita interamente da militari - prosegue - mi fu riferito che in quel periodo un altro militare, sempre un marinaio, che aveva prestato servizio presso il Poligono di Capo San Lorenzo nel 1999, e precisamente nel periodo compreso tra maggio e novembre di quell'anno, accusava i sintomi di una malattia dello stesso identico tipo, una leucemia acuta linfoblastica». Non è comunque tutto.

«La direzione dell'infermeria dell' Ospedale de La Maddalena mi riferì di un altro marinaio, un sottufficiale, colpito da una malattia del sistema linfatico, il quale aveva prestato servizio presso Capo San Lorenzo nel periodo compreso tra il maggio e il novembre del 1999. Quindi furono registrati tre casi». Strane coincidenze? «Secondo quanto mi è stato riferito dal direttore dell'infermeria dell' Ospedale - continua ancora la deposizione del magistrato militare-, sicuramente in quel periodo e in quel determinato sito potrebbe essersi verificato qualcosa di strano. Tuttavia, trattandosi di questioni che riguardano problemi ambientali e non di carattere militare ho dovuto trasmettere l'intero incartamento alla magistratura ordinaria».

Non nascondono la loro preoccupazione i rappresentanti del comitato Gettiamo le Basi che, dopo la pubblicazione della deposizione del magistrato militare davanti alla commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, hanno deciso di diffondere anche il dossier che hanno preparato. «I dati raccolti da Gettiamo le Basi - denuncia Mariella Cao, rappresentante dell'associazione pacifista -, approssimativi per forte difetto, sui militari in servizio nel poligono Salto di Quirra colpiti da tumori emolinfatici salgono a quota 15».Troppi, almeno per la rappresentante dell'associazione, per essere considerati "strane coincidenze". «Da fonte autorevole abbiamo conferma di due nuovi casi, segnalati da tempo a Gettiamo le Basi, di militari di leva arruolati in Marina colpiti da leucemia».

Peccato però che i lavori della Commissione non abbiano prodotto grandi risultati, come si legge anche nella relazione conclusiva approvata- come ricorda Lorenzo Forcieri, sottosegretario della Difesa e all'epoca componente della commissione - solo con i voti della maggioranza. «In conclusione - si legge a pagina 28 della relazione conclusiva pubblicata anche sul sito del Senato -, non può non rilevarsi che il pur intenso lavoro condotto non ha consentito di pervenire a conclusioni univoche su alcune delle questioni affrontate». Cosa poi è presto spiegato. «In primo luogo, si è dovuto constatare come la Commissione non abbia ancora potuto disporre di dati certi sul numero dei militari impegnati in missioni internazionali di pace all'estero che hanno sviluppato neoplasie». Non è tutto.

«Sebbene non vi sia stata la possibilità di effettuare verifiche approfondite sui casi in assunto non censiti, appare verosimile che alcuni dei soggetti che si sono ammalati di forme tumorali dopo aver preso parte alle missioni siano sfuggiti alle rilevazioni dell' Amministrazione della difesa sulla base delle quali la Commissione Mandelli ha effettuato le sue elaborazioni».

Non è poi più rassicurante anche l'altra parte della relazione conclusiva.«Rimangono poi aperti gli interrogativi ai quali in precedenza si è accennato circa i danni a lungo termine per la salute dei militari e delle popolazioni residenti che potrebbero derivare dall'esposizione ai particolati fini e ultrafini che si disperdono nell'ambiente in occasione di combustioni ad altissime temperature, temperature che si determinano nell'impatto di proiettili a uranio depleted (l'uranio impoverito) contro le superfici colpite e nello smaltimento di rilevanti quantitativi di munizioni all'interno dei cosiddetti "fornelli".

Ricordando il disegno di legge per l'istituzione di una nuova commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, Lorenzo Forcieri, attuale sottosegretario alla Difesa, spiega che il lavoro è comunque stato utile. «E siamo del parere che il nuovo lavoro sia importante anche per permettere alle forze armate quali sono le cause dei problemi e come intervenire, giusto per evitare che si ripetano gli errori del passato».
04/07/2006 13:10
 
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URANIO: GENERALE INTERVISTATO DA TV SVIZZERA, PISTA GENETICA





Per cercare le cause della cosiddetta 'sindrome di Quirra' che colpisce le popolazioni che vivono intorno al poligono missilistico di Perdasdefogu-Salto di Quirra, in Sardegna, si dovrebbe indagare sulle possibili cause genetiche. Lo ha dichiarato alla Radiotelevisione svizzera di lingua italiana (Rtsi) il comandante del poligono militare, gen. di Brigata aerea Fabio Molteni.
L'intervista, e' stata pubblicata sul sito teleindipendentzia.net, la televisione del movimento Indipendentzia Repubrica de Sardinna (Irs). Cliccando su un link e' anche possibile scaricare l'intero documentario, intitolato 'Oltre il giardino', nel quale i giornalisti svizzeri Dinorah Herz, Enrico Pettinelli e Marco Tagliabue raccontano dei sospetti che gravano sul poligono, indicato come la possibile causa del crescente numero di tumori, malformazioni e leucemie nei paesi attorno alla base. Lo stesso tipo di malattie, sostengono gli autori dell'inchiesta mai trasmessa in Italia, e che e' andata in onda nella Svizzera Italiana il 10 febbraio 2005, starebbe colpendo anche gli abitanti dei villaggi svizzeri, nel canton Glarona, che sorgono intorno al poligono della multinazionale Oerlikon Contraves, che effettua le sue sperimentazioni anche in Sardegna, proprio a Perdasdefogu-Salto di Quirra.
Il gen. Molteni, dopo aver negato che nel poligono siano mai state utilizzate armi a uranio impoverito, ha indicato nell'endogamia una delle cause su cui indagare per far luce sulla 'sindrome di Quirra'. 'Cominciassero a fare studi genetici - dice Molteni nell'intervista alla Rtsi - e che non lo vogliono dire che qui sono tutti parenti. Si chiamano tutti Carta e Lai, si sposano tra cugini, fratelli'.
06/09/2006 22:08
 
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La denuncia. Un errore di trascrizione della legge sulla Gazzetta Ufficiale cancella dall'elenco i volontari


Uccisi dall'uranio impoverito senza indennizzi per una virgola


Centinai i militari che, dal '91, non hanno potuto riscuotere l'elargizione dalla Difesa.

Una virgola. Una virgola che per anni ha impedito a centinaia di militari volontari ammalati o morti per cause di servizio - tristemente celebri i casi di uranio impoverito - di ricevere gli indennizzi che sarebbero loro spettati per legge.
La legge in questione è la 308 del 1981: "Norme in favore dei militari di leva e di carriera appartenenti alle Forze armate, ai corpi armati ed ai corpi militarmente ordinati, infortunati o caduti in servizio, e dei loro superstiti". Legge modificata dalla 280 del '91, che nel testo licenziato dal Parlamento cita come destinatari del provvedimento anche "gli allievi delle scuole e collegi militari, i militari volontari o trattenuti". Ecco, nella dicitura pubblicata dalla Gazzetta Ufficiale il 14 agosto '91, la virgola che divide i "collegi militari" da "militari volontari" è sparita, creando la categoria degli allievi dei collegi e delle scuole militari (qui avviene l'elisione, ndr) volontari o trattenuti". Categoria che, peraltro, non esiste. Di fatto, la virgola mancante depenna dall'elenco dei beneficiari degli indennizzi l'esercito dei firmaioli, tenendo conto solo di quelli di leva o in carriera. Un errore di trascrizione che, doloso o no, ha determinato l'aborto di centinaia di domande, da parte del ministero della Difesa, per milioni di lire e poi di euro. Denaro che avrebbe permesso ai soldati di curarsi di più e meglio. E che invece non è mai arrivato. A causa di una virgola latitante in un punto strategico.
"Abbiamo cercato per anni il motivo per cui le richieste di molti militari venivano respinte. E la spiegazione era lì, in quella punteggiatura mancante" dichiara Falco Accame, ex presidente della Commissione Difesa ed attuale presidente dell'Ana-Vafaf (associazione familiari delle vittime delle forze armate). Accame ha ora inviato una lettera al Guardasigilli Clemente Mastella, con la richiesta di raddrizzare la stortura burocratica che ha seppellito sotto scarne formule la speranza di giustizia di centinaia di volontari. Volontari che si chiamavano Valery Melis e Fabio Porru, morti di tumore: non avevano diritto all'elargizione perchè in ferma breve. Che si chiamavano Giovanni Conti che non ha mai visto la risposta della quarta divisione del ministero della Difesa a suo padre Silvio, in cui l'istanza di speciale elargizione è respinta perchè "la S.V. non rientra tra i destinatari della legge 280: la stessa trova applicazione nei confronti degli eredi del personale di leva deceduto durante il servizio militare di leva. Il suo defunto figlio - prosegue il comunicato ufficiale - all'atto della morte si trovava nella posizione giuridica di volontario".
Appunto. Un volontario senza diritti.

da Il Sardegna del 06.09.2006

[Modificato da centrosardegna 06/09/2006 22.10]

07/09/2006 22:20
 
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sono riuscito a leggere la norma
si tratta di un pezzo dell'art. 1 della legge 280/1991, dove elenca tutti i beneficiari degli indennizzi.

la norma elenca come ultime categorie di beneficiari, effettivamente "...gli allievi delle scuole e collegi militari volontari o trattenuti."
quindi alla lettera solo gli "allievi volontari o trattenuti" di "scuole e collegi militari" possono beneficiari di sussidi.

per farvi ricomprendere i militari volontari o trattenuti, le categorie devono essere completate colle parole in neretto ""...gli allievi delle scuole e collegi militari, i militari volontari o trattenuti.".

dunque:
1) non si tratta di una virgola dimenticata, si tratta semmai di due parole. definivo la cosa "strana" perché se si vuole polemica avrei sottolineato piuttosto la omissione di due parole e non della sola virgola. secondo me sarebbe stato di maggior effetto
2) mi pare alquanto strano che in 15 anni tutti i "militari volontari o trattenuti" che hanno chiesto gli indennizzi, sicuramente confortati da avvocati o altri professionisti, non si siano mai accorti di una tale dimenticanza che balza subito agli occhi.
08/09/2006 18:14
 
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Quirra: niente uranio, niente morti, niente malati!







Soldati e civili del poligono di Perdasdefogu continuano ad ammalarsi e a morire di tumori
Uranio, le troppe morti del Quirra e le bugie militari

I vertici militari negano l'uso dell'uranio impoverito nelle esercitazioni,
ma il muro di omertà mostra le prime crepe. E oggi manifestazione a Tempio
Pausania






«Attenzione. Intorno ai bersagli potreste ritrovare numerosi proiettili
all'uranio impoverito. Potrebbero essere deformati dall'impatto e coperti
con una polvere nera di uranio... Non trattenetevi nelle vicinanze e non
recuperate i proiettili. Indossate maschere e guanti protettivi. Lavate
spesso la vostra uniforme speciale. Col tempo il vento e l'acqua potrebbero
riportare nell'aria la polvere di uranio...». Sono alcune delle raccomandazioni
della Nato ai soldati della brigata multinazionale West in Kosovo. Anche
agli italiani. Non nascondono i rischi dell'uranio impoverito, del resto
negli Stati uniti un collegamento tra le polveri di Depleted uranium e alcune
forme di tumori era stato ipotizzato già negli anni '80, e regole precise
di impiego di quel materiale erano state introdotte nei primi anni '90.

Ma sono consigli che nessuno si è preoccupato di far avere ai pastori della
Sardegna sud orientale, che quando entrano all'interno del poligono di Quirra-Perdasdefogu
non hanno né guanti né maschere. E forse per questo muoiono, e sicuramente
si ammalano per tumori al sistema emolinfatico in percentuale troppo alta.

Una pecora non ha un'uniforme speciale. Non ce l'ha il pastore, non ce l'ha
il contadino, non ce l'ha la verdura che lì cresce e non ce l'hanno nemmeno
gli abitanti di Quirra, che hanno impiegato un po' a capire di essere finiti
in mezzo al poligono di esercitazione più attraente per gli eserciti di
mezzo mondo. Il più grande: da solo vale 13mila ettari di terreno e 28.400
chilometri quadrati di mare, un po' di più di tutta la superficie della
Sardegna. Su 150 residenti nel piccolo comune, almeno 18 si sono ammalati
di un tipo di tumore collegabile all'inalazione di uranio impoverito. Non
erano protetti? Non lo erano evidentemente nemmeno i tre dipendenti della
Vitrociset, che utilizza il poligono per sperimentazioni così come altre
ditte «civili» (Alenia, Dalmine, Aerospatiale, Thomson...), morti anche
loro. Eppure, ufficialmente, secondo la Difesa italiana, all'interno dei
poligoni militari non si fa uso di armi all'uranio impoverito.

E' l'ultimo segreto, l'ultima bugia che per essere smentita ha bisogno ancora
di altro tempo, altre morti. Confermava ancora, meno di tre mesi fa, il
nuovo comandante del Comando autonomo della Sardegna Angelo Dello Monaco:
l'esercito italiano non dispone di proiettili all'uranio impoverito, nei
poligoni sardi non se ne fa uso. La prova? Lui stesso, che per 11 anni ha
partecipato a esercitazioni nel poligono di Capo Teulada - sud-ovest della
Sardegna - «e sono qui vivo e sano». Ma che l'esercito italiano disponga
di proiettili al Du è ormai assodato. Lo prevedono documenti Nato. Che non
venga utilizzato nei poligoni di esercitazione è impossibile: tanto le ditte
«civili» quanto le Forze armate fanno le loro sperimentazioni per testare
la resistenza delle corazze, contro le quali nulla è più efficace del pesante
uranio impoverito. Così, ammesso che si voglia credere alla favola degli
italiani che non sparano l'uranio impoverito (ma i test, allora, a cosa
servono?), nessuno può impedire alle forze armate straniere che sono di
casa al Quirra di impiegarlo. E d'altro canto non esiste alcun bando internazionale
perché alle forze armate straniere sia impedito l'utilizzo di armi al Du,
come si affanna a chiedere da ultimo il responsabile sardo dell'Unac Michele
Garau: oggi a Tempio Pausania per iniziativa dell'Unione nazionale arma
dei carabinieri ci sarà un incontro sul tema, con i familiari dei soldati
sardi colpiti da tumori.

L'ultima speranza, per i familiari delle vittime, arriva dal tribunale di
Roma che ha condannato l'esercito a risarcire i parenti di Stefano Melone,
elicotterista di Viterbo, morto di leucemia a 40 anni. Il maresciallo era
stato impegnato in numerose missioni all'estero, tra l'altro anche in Bosnia
e Kosovo, ma prima aveva partecipato a esercitazioni in Sardegna, proprio
nel poligono di Perdasdefogu. Dalla sua storia può aprirsi la prima crepa
nel muro delle bugie. La seconda ci si aspetta che parta dal nuovo governo
regionale: tra i candidati che si sono impegnati a promuovere un'indagine
sulle morti sospette di Quirra (www.trefirme.info ) c'è anche il nuovo presidente,
Renato Soru.

[Modificato da centrosardegna 08/09/2006 18.14]

04/01/2007 19:44
 
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RIASSUNTO della strage di Quirra

Gennaio 2001
Uno dei tre medici di base di Villaputzu e il sindaco (primario di pneumologia al Binaghi) denunciano il tasso anomalo di leucemie/linfomi tra i 150 abitanti di Quirra, 8 casi solo tra i pazienti del dott. Paolo Pili. Nel silenzio degli altri medici di base, dapprima inascoltati, poi accusati di allarmismo irresponsabile, chiedono insistentemente accertamenti sanitari.

Ottobre-novembre 2001
Un ottimo servizio di Videolina pare sbloccare la situazione.

Febbraio 2002
Parte la forte campagna di denuncia della stampa (Nuova Sardegna in primis). Emergono i dati sulle alterazioni genetiche a Escalaplano. L'indagine di Gettiamo le Basi fa emergere i casi di tumore tra i pazienti degli altri 2 medici di base. Gli abitanti di Quirra colpiti dalla "sindrome del Golfo-Balcani" salgono a 14 (oggi ne contiamo 20).

7-8 Marzo 2002
Cicu, sottosegretario alla Difesa, da avvio con gran battage mediatico a una "accurata indagine scientifica", denominata operazione trasparenza", per individuare gli agenti patogeni. La ricerca non dura neanche un giorno, l'Asl 8 annuncia di aver risolto il mistero: inquinamento d'arsenico causato da una fantomatica "miniera d'argento" a Baccu Locci (la miniera è di piombo e arsenico ma la Asl non c'è ancora arrivata!). La "scoperta" è stata effettuata in seguito ad un campionamento di acqua e suolo (avviato dopo la trasmissione di Videolina ) in pochi punti ben mirati, scelti ad insindacabile giudizio dei carabinieri.
L'asineria della relazione tra arsenico e tumori emolinfatici è messa in evidenza SOLO dal medico di base, dal sindaco-medico di Villaputzu, da Gettiamo le Basi e da un epidemiologo di Genova (consulente scientifico della commissione d'inchiesta del Senato sul DU). La classe medica nostrana tace, istituzioni e classe politica sposano e divulgano la "scoperta scientifica del secolo" dell'arsenico killer.

Giugno 2002
Il sindaco troppo curioso è pesantemente sconfitto alle elezioni. Destra e sinistra, unite nella lotta, lo accusano di aver rovinato l'immagine e la reputazione del paese, di far fuggire i turisti, di far fuggire i militari per costruire villaggi turistici, di tutto e del contraio..
L'attenzione dei media si mantiene alta e l'Asl è costretta ad avviare nuove indagini (GettBasi, in totale isolamento, contesta da subito l'impostazione metodologica).

Febbraio 2003
conclusione delle indagini ASL

Prima indagine dott.ssa M. Rosaria Ruggiu, screening della popolazione per accertare la contaminazione d'arsenico.
L'ovvia conclusione è che non si riscontrano tracce di contaminazione d'arsenico.
Il mistero dell'indagine attiene:
a) il finanziamento con fondi pubblici di una ricerca ascientifa e fantasiosa mirata a stabilire una correlazione arsenico-tumori emolinfatici non contemplata dalla lettura medica e ad individuare contaminazione d'arsenico in una zona dove a memoria d'uomo e di medico non si sono mai verificate patologie riconducibili all'arsenico;
b) il costo salatissimo, 150.000 euro, prezzo decisamente "fuori mercato", pagato dalla Asl 8 al team "scientifico".

Seconda indagine del dott. Salvatore Sarritzu, analisi mortalità.
Dopo aver costatemente negato e ridimensionato i dati denunciati da Gettiamo le Basi (14 casi nel 2002), l'Asl 8 ammette che tra il 1998-2001 i casi di tumori emolinfatici sono effettivamente 14. Però è "scientificamente impossibile" stabilire se siano concentrati a Quirra o sparsi in tutto il Comune di Villaputzu. In questi ultimi anni la "scienza" ha evidentemente compiuto forti passi indietro; infatti, secondo gli epidemiologi che hanno effettuato l'ultimo studio, adesso non è possibile stabilire neanche se i 14 morti siano concentrati a Villaputzu, scienza vuole che siano sparsi tra 10 Comuni e sia impossibile disaggregare i dati di mortalità.

Terza indagine del dott. Graziano Sarritzu sulla "Contaminazione da uranio impoverito in siti già individuati da arma C.C. territoriale".
Scontata la conclusione: il sito individuato dai carabinieri lungo il corso d'acqua che proviene dalla miniera d'arsenico di Baccu Locci è sempre contaminato da arsenico. Perchè mai scegliere di cercare uranio solo nei pressi di una miniera dove non c'è mai stato uranio e ostinarsi, a spese del contribuente, a cercarvi uranio?

Giugno 2004
Indagine del ministero alla Difesa, nel doppio ruolo di controllato e controllore, giudice e parte in causa, presenta il risultato della sua ricerca: l'uranio impoverito non è la causa nè dei tumori di Quirra nè delle alterazioni genetiche di Escalaplano. Punto e a capo.

2005-2006
Commissione del Senato sull'uranio impoverito, l'ambito iniziale confinato ai teatri di guerra si estende anche ai poligoni della Sardegna. I lavori si chiudono alla scadenza della legislatura impegnando il nuovo Senato che sarà eletto a continuare l'indagine.

2006
Indagine epidemiologica della Regione. Ripropone con maggiore raffinatezza e in modo meno becero quella che è ormai diventata "la verità di Stato", la tesi della miniera assassina madre di tutti i tumori.

Ottobre 2006
Il nuovo Senato decide la ripresa dell'inchiesta sul Du ma la formazione della nuova commissione è ferma. Gettiamo le Basi si attiva per fare acquisire le sue "perplessità" sull'indagine epidemiologica della Regione Sardegna
03/04/2007 22:35
 
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Il caso. Denuncia di Falco Accame mentre a Roma si discute della dismissione dei poligoni
«Bossoli raccolti a mani nude»
Riflettori puntati su Capo Frasca


«Più chiarezza sui
tre soldati sardi che dopo
la leva si sono ammalati
di tumore»


Militari usati per raccolgliere
a mani nude gli ordigni
sganciati dagli aerei durante le
esercitazioni nel poligono militare
di Capo Frasca. Senza alcuna
vigilanza da parte di comandanti.
La denuncia di Falco Accame,
presidente dell'Associazione
nazionale assistenza
vittime arruolate nelle forze armate
e famiglie dei caduti, getta
qualche ombra sulla possibilità
di una bonifica dei poligoni di
Teulada e Capo Frasca che - su
richiesta della Regione - la Difesa
potrebbe dismettere e trasferire
all'estero. Nei due compendi
- è la denuncia di Accame -
i militari Ugo Pisani, Gianni
Faedda e Maurizio Serra, che
prestarono servizio come addetti
alla vigilanza dell’aeropor -
to (Vam), sarebbero stati impiegati
come sgombra-bossoli. E
poi si sarebbero ammalati di tumore.
Pisani, 45 anni, padre toscano
e madre cagliaritana, ha
denunciato pubblicamente di
aver lavorato, durante il servizio
di leva nel 1984-1985 per sette
mesi nel poligono e di aver
raccolto una volta la settimana,
senza guanti, gli ordigni sganciati
dagli aerei, compito assegnato
ad altri sei o sette commilitoni.
Al termine della leva
Pisani, tornato in Toscana, si è
ammalato di linfoma di Hodgkin,
dal quale è guarito dopo
un anno e mezzo di chemioterapia.
Edopo 23 anni ha chiesto
un risarcimento al ministero
della Difesa. Altrettanto hanno
fatto i parenti di Faedda e Serra,
ammalatisi di tumore entrambi
a un anno di distanza dal termine
del servizio militare e poi
deceduti. «È bene ricordare -
sottolinea Accame - che nei poligoni,
soprattutto a uso internazionale,
si eseguono sperimentazioni
delle Forze Armate
di vari Paesi, ma anche di ditte
civile. C'è da chiedersi a che titolo
i militari siano stati impiegati
nel compito di sgombrabossoli,
lavoro praticamente
gratuito anche a favore di ditte
civile».
UN ANNO FA IL PADREdi uno dei
due avieri morti, Antonio Serra
di Castelsardo, aveva incaricato
l'avvocato di Alghero Antonio
Siffu, di avviare la battaglia legale.
Il figlio prestò servizio
n el l’Aeronautica dall’a pr il e
1997 al febbraio 1998 e subito
dopo il congedo gli fu diagnosticata
una patologia cerebrale
incurabile, che l'avrebbe portato
alla morte nel 2004, a soli 26
anni. Gianni Faedda, con il quale
Serra aveva condiviso le stesse
mansioni, sarebbe stato ucciso
- osserva l’avvocato - dalla
stessa malattia. Fra i compiti dei
due avieri rientrava «la bonifica
del poligono del 23esimo Gram
di Capo Frasca, con il recupero a
mani nude dei bossoli ivi residuati
sul terreno dopo le esercitazioni
». Secondo il legale, la
malattia che ha ucciso il giovane
è da ricondursi al servizio prestato
e «in particolare ai componenti
chimico-fisici assunti
dai militari poi deceduti». Ma
undici mesi più tardi, il ministero
ha negato l’indennizzo.
22/06/2007 22:04
 
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Uranio impoverito, cinquanta morti
Tra poligoni e missioni
altri soldati mandati allo sbaraglio






Antonio Caruso, funzionario del Sismi, in servizio in Somalia e Bosnia nella seconda metà degli anni Novanta: deceduto nel 1999 per un tumore al cervello. Roberto, caporalmaggiore di Taranto: in missione in Kosovo, morto qualche mese fa per tumore. Così come Paolo, sottufficiale messinese che aveva prestato servizio nei Balcani: scomparso un anno fa. Sono gli ultimi tre casi di militari morti a causa della probabile contaminazione da uranio impoverito: sconosciuti fino a ieri, perché in questi casi il riserbo sembra d'obbligo. Soprattutto da parte dei vertici militari italiani.

Invece i numeri e i nomi vengono fuori: con gli ultimi tre, i casi di decesso fra i soldati sono cinquanta, a cui si devono aggiungere almeno tre civili. Senza contare il numero di militari malati e l'aumento delle malformazioni alla nascita (due quelle gravissime e accertate) causate, si sospetta, dall'uranio impoverito. Definito «presunto killer» nel “Libro nero” presentato dall'Ana-Vafaf, l'Associazione nazionale per l'assistenza delle vittime appartenenti alle Forze armate.

«Il denominatore comune di tutte queste morti risiede nel fatto che nessuno di loro, come i colleghi e contrariamente a quanto fatto dai reparti americani con oltre sei anni di anticipo, aveva adottato misure di protezione»: la denuncia è del presidente dell'associazione, Falco Accame. Che non è l'ultimo arrivato: ex ufficiale superiore di Marina, dimessosi nel 1975 per protesta contro la gestione autoritaria del potere nelle Forze armate, da allora in prima linea nel denunciare i rischi per la salute legati all'esposizione di proiettili all'uranio impoverito: «Ma le protezioni sono rimaste spesso solo sulla carta, anche dopo l'emanazione delle prime norme italiane risalenti al 1999: lo hanno denunciato moltissimi reduci». E ai militari in partenza per la Somalia si diceva di stare attenti alle zanzare o ai morsi dei ragni.

Questo nuovo libro è un vero e proprio dossier: «Ci aspettiamo che sia acquisito agli atti della Commissione parlamentare di inchiesta, perché la base dei dati ai quale sta facendo riferimento è assolutamente vaga: basti pensare al fatto che le vittime per il ministero della Difesa restano ancora 28». Vige il silenzio sulla maggior parte dei casi, anche sul riconoscimento di quelli accertati: «La vedova dell'ufficiale Caruso ha lamentato il fatto di essere ancora in attesa, dopo otto anni, di una risposta da parte della Difesa sul riconoscimento della causa di servizio al marito».

E la Sardegna, da sempre fucina di soldati per l'esercito italiano e storicamente asservita alla presenza delle truppe Nato impegnate nelle esercitazioni nei poligoni sparsi sul territorio? È presente in questa lista di vittime in maniera determinante e spaventosa. «L'unica verità contenuta in quel grande imbroglio che è il primo rapporto Mandelli», dice Mariella Cao, portavoce del comitato “Gettiamo le Basi”, «è che la percentuale più alta fra i soldati colpiti da tumori e leucemie riguarda i militari sardi». Per la cronaca: la commissione guidata da Franco Mandelli fu istituita nel 2000 dall'allora ministro della Difesa Mattarella. Non super-partes, quindi, e neanche fu coinvolto il dicastero della Sanità: nel primo rapporto definì praticamente innocua l'esposizione dei soldati all'uranio impoverito e solo nel terzo auspicò «ulteriori indagini».

Torniamo alla Sardegna. Mariella Cao e “Gettiamo le Basi” sono impegnati da anni sul campo, per quanto possibile, con il coinvolgimento diretto degli abitanti dei paesi che gravitano attorno ai poligoni sardi. L'idea di fondo è semplice: se si può parlare di Sindrome del Golfo o dei Balcani si deve parlare anche di Sindrome di Quirra. Non è un caso che a questa situazione particolare si faccia oggi riferimento anche a livello nazionale.

«Vuole sapere quanti sono i casi - fra morti e malati - di cui siamo a conoscenza solo per il poligono di Quirra? Diciannove: soldati di leva che hanno prestato servizio solo lì dentro, a contatto con i proiettili utilizzati esclusivamente per le esercitazioni interforze». L'ultima morte per tumore, sulla costa est dell'isola, «è quella di Massimo, nel luglio 2003: nello stesso periodo si sono ammalati altri due ragazzi».

Li chiama per nome, Mariella Cao: a testimonianza del fatto che i soldati morti e quelli ammalati non sono solo numeri. Perché poi ci sono i casi di Capo Frasca: «Maurizio Serra e Gianni Faedda, soldati di leva in servizio praticamente contemporaneamente, e il maresciallo Lorenzo Falzarone»: tre nomi che si aggiungono alla lista dei decessi sospetti nella basi in Sardegna. Gli altri, da Fabio Porru a Marco Diana e fino a Salvatore Vacca e Valery Melis, erano stati anche in missione. Dalla Somalia all'ex Jugoslavia - territori in cui la Nato ammise di aver usato munizioni all'uranio impoverito - e sempre senza protezioni: ci sarà pure una responsabilità da parte dell'Esercito italiano, se gli americani nello stesso periodo le protezioni le usavano.

Quello di Valery Melis, secondo Cao, «è il caso emblematico». Al militare di Quartu Sant'Elena, morto il 4 febbraio del 2004, fu diagnosticato un linfoma di Hodgkin nel 1999: era appena rientrato dalla sua quarta missione, l'ultima al confine fra il Kosovo e la Macedonia. Nei cinque anni seguenti Valery portò avanti la “sua” battaglia: contro la malattia ma anche e soprattutto contro l'indifferenza dello stato maggiore della Difesa.

Il giorno dopo i funerali, l'allora ministro Antonio Martino disse: «La tragedia di Valery è ben presente all'interno dell'amministrazione della Difesa: non possiamo ridare la vita al soldato Melis, ma sarà trovata una soluzione soddisfacente». E invece: «La famiglia di Valery», dice Cao, «ha ottenuto un riconoscimento da 250 euro al mese: è questo il valore della vita di un soldato?».

Soldati in missione e militari dentro i poligoni. E fuori, nelle zone limitrofe? La risposta è ancora peggiore, se possibile. Il riferimento, per “Gettiamo le Basi”, è l'indagine epidemiologica commissionata dalla Regione e pubblicata nel gennaio 2005. Viziata, secondo Cao: «Innanzitutto prende in esame 10 comuni, per un totale di oltre 21mila abitanti: molti di questi centri, però, non sono per nulla interessati dall'attività del poligono di Quirra». Nel periodo fra il 1997 e il 2001 l'aumento di casi farebbe segnare una crescita della mortalità causata da forma tumorali attorno al 15 per cento, con punte verso l'alto o verso il basso a seconda della malattia specifica.

«La Regione individuava, in quell'area estesa, 10 casi di decesso per la patologia non Hodgkin e 36 per tumori al sistema emolinfatico. Fra il 1998 e il 2001, però, la Asl certificò che di quelle dieci morti sette si erano verificate a Villaputzu, una a Muravera e un'altra a San Vito. Fra i tumori emolinfatici, la quota è di 14 per Villaputzu e 12 per Muravera e San Vito». In una porzione di territorio molto ristretta rispetto a quella analizzata dalla ricerca regionale: «Segno che la correlazione è altissima», dice Cao, «e che se esaminate nel dettaglio sono cifre spaventose». Senza considerare l'aumento del 330 per cento dei casi di diabete: percentuale riferita al dato sardo, già ai primi posti a livello mondiale, e certificato da uno studio canadese che lo metterebbe in relazione con la presenza di uranio.

Dati che riguardano la zona attorno a Quirra. Con un avvertimento: «Decimo e Capo Frasca non sono mai entrate nel campo di indagine, mentre per Teulada e La Maddalena si registrano forti percentuali di tumori ai polmoni». Ma anche di questo si parla poco. «I militari hanno comunque una struttura interna che tende a fare quadrato», dice ancora Cao, «ma i civili? Sa cosa mi disse un pastore poi morto per un cancro al quale chiedevo di denunciare la sua situazione? Mi disse queste parole: “E poi a noi chi ci difende? Per loro meno siamo meglio è”».
24/06/2007 11:45
 
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Perdas de Fogu (nimigu)





"È dal 2001 che continuano a fare indagini pseudo scientifiche mirate appunto a non trovare. A me come cittadina non interessa sapere se è uranio, saturno o plutonio! Questo deve interessare per fare prevenzione e per stabilire eventuali responsabilità politiche. È importante per accertare le responsabilità penali. Ma a me come cittadina interessa per bloccare la strage" - Mariella Cao (Coordinamento Sardo Gettiamo le Basi)






Agnellini con orecchie al posto degli occhi, bambini nati senza il cervello, rilevazioni di plutonio e di nanoparticelle. Se si esclude la scena di un film dell’orrore il pensiero correrebbe magari a qualche paesino sperduto presso i confini di Chernobyl.

Invece siamo in Sardegna, la regione che “…ha subito e continua a subire la peggiore colonizzazione militare della storia italiana”, come ci racconta drammaticamente Mariella Cao, del Coordinamento Sardo “Gettiamo le Basi”.
Palamitonews non poteva rimanere indifferente, come la maggior parte dei media nazionali, a questa lenta e silenziosa tragedia, che si consuma tra basi americane e poligoni di tiro “dove di fanno i cosiddetti giochi di guerra, con vero munizionamento da guerra”.

Mariella, prima di tutto ci puoi spiegare cos’è il Salto di Quirra?

«Il poligono Salto di Quirra, chiamato anche di Perdas de Fogu (in lingua sarda pietre di fuoco; n.d.r.), è il poligono più grande d’Europa, il fiore all’occhiello delle forze armate italiane. Usato, però, non solo dalle forze armate ma dato in affitto alle varie multinazionali delle armi, che lo usano come palestra per fare esperimenti, test, collaudi, come show-room per vendere armi, per far vedere come funzionano bene razzi e missili! Quindi ha questo doppio ruolo civile, per così dire, e militare, cioè messo a disposizione dell’industria militare. Da questa specie di affitto il poligono ricava, cioè il Ministero della Difesa, un fiume di miliardi, perché affittare un poligono costa, e costa tanto. Normalmente ci sono due, tre imprese che hanno in affitto parti diverse del poligono. Di quello che succede, in gran parte se ne sa poco o niente. Quello che si sa è che in questa popolazione, cioè in questa frazione di Quirra, che è incuneata tra il lato a mare e il lato a terra di questo poligono, si registrano a partire dal 1998 (il primo allarme) ad oggi, su 150 abitanti 20 casi di leucemia o tumori al sistema emolinfatico.

Ormai in Sardegna è nota come la Sindrome di Quirra, perché sono le stesse patologie della cosiddetta sindrome del Golfo e dei Balcani. I dati ufficiali, che abbiamo strappato con una lotta durata anni, prendono in esame solo la mortalità. La mortalità, sempre per tumori al sistema emolinfatico, ammonta a 14 casi, 20 con gli ammalati. In un altro paese, Escalaplano, situato sul lato Ovest, nel confine interno del poligono, contiamo 14 bambini nati con gravissime malformazioni genetiche. Ma sono gli stessi militari a fare da cartina da tornasole. Tra militari che hanno prestato servizio nel poligono di Quirra contiamo 17 casi, sempre da tumore da sindrome di Quirra».

Da cosa sono provocati questi tumori e queste malformazioni?

«Subito si è pensato all’uranio. L’attenzione, però, all’inizio si è puntata sui casi dei militari reduci dalle zone di guerra che rientravano, visto che la Brigata Sassari è sempre in prima linea. Nella prima guerra mondiale è stata usata come carne da macello, adesso sempre in prima linea come carne da radiazione. Quindi all’inizio l’attenzione era rivolta soprattutto sui militari che rientravano dai Balcani. La famiglia del militare Salvatore Vacca (prima vittima della “sindrome dei Balcani”; n.d.r.), infatti, ha sempre sostenuto che la leucemia che ha ucciso Salvatore nel 1999 è stata provocata dall’uranio. Quasi subito parla un’altra famiglia, denunciando il caso del proprio famigliare colpito dalla stessa malattia, che però aveva prestato servizio solo a Capo Teulada. Da lì l’attenzione. Se lo usano nei Balcani, è possibile infatti che lo abbiano usato in Sardegna, perché in Sardegna vengono ad allenarsi e ad addestrarsi gli eserciti di mezzo mondo, in primis gli Stati Uniti, che hanno in loro dotazione, come armamento standard, il munizionamento all’uranio. Le esercitazioni in Sardegna si fanno con vero munizionamento da guerra.

L’Italia, almeno ufficialmente, non dovrebbe averne (di armamentario all’uranio; n.d.r.), però il problema non è l’Italia è soprattutto l’uso da parte degli altri eserciti (stranieri; n.d.r.). A Quirra il problema è che il poligono viene usato soprattutto da imprese private. Quindi, al segreto militare si somma il segreto industriale. Se di quello che fanno i militari un minimo di informazione c’è, perché è dovuta per legge, di quello che fanno le imprese private non se ne sa niente, e poco o niente ne sanno anche i militari. Perché queste aziende private si limitano ad autocertificare che è tutto in regola, però nessuno controlla questa autocertificazione delle imprese. E come risulta ormai ufficialmente dagli atti della Commissione Senato, il segreto industriale supera e scavalca il segreto militare».

Di quali imprese private stiamo parlando?

«Stiamo parlando di grosse imprese private, andiamo dall’Alenia, dalla Fiat, alll’Oto-Melara, all’Iveco, al Consorzio Eurosan europeo, all’Aerospatiale, insomma il gotha dei produttori di armi. Una di queste ditte, le Oerlikon Contraves S.p.A, che ha il suo stabilimento in Svizzera, ha usato e fabbrica armi all’uranio, come risulta da quello che è successo in Svizzera. E la Oerlikon Contraves S.p.A è uno dei migliori clienti del poligono di Quirra».

[ Il 15 gennaio del 2001, infatti, il Corriere del Ticino “riportava la notizia secondo la quale erano in corso accertamenti su circostanze e possibili conseguenze dei test con munizioni all'uranio impoverito effettuati negli anni Settanta dalla Contraves, nel comune svittese di Unteriberg”. (1)
L’allarme e i controlli nell’azienda delle armi scattarono quando si venne a sapere che l’allora direttore del poligono di tiro della Contraves era malato di leucemia.
Secondo il Dipartimento Federale della Difesa Svizzero, poi, i bombardamenti in Kosovo con munizioni contenenti uranio impoverito furono possibili proprio grazie alla produzione che la Contraves aveva iniziato negli anni ’70. Javier Solana, in quel periodo responsabile della politica estera dell’Unione Europea, chiese subito degli approfondimenti al riguardo, anche perché nessuno era in grado di stabilire chi avesse autorizzato tale produzione; n.d.r. ]

«Però il sospetto non è solo l’uranio, all’inizio si è partito dall’uranio. – continua Mariella Cao -Oggi, paradossalmente, speriamo che sia solo uranio!».

Perché, quali sono gli altri sospetti?

«I sospetti vanno..anche se detto così può sembrare quasi assurdo, che ci siano esperimenti mirati sulla popolazione. Ripeto, può sembrare assurdo, però teniamo presente che questi esperimenti sono stati fatti, ufficialmente ammessi, dagli Stati Uniti, dall’Inghilterra, dalla Francia e persino dalla pacifica Svezia. Rientrano tra le cose che fanno, poi si viene a sapere quando si solleva la protesta e si cercano gli atti».

[ Assurdo, ma vero. Sono moltissimi i test fatti per decenni dalle nazioni “democratiche”occidentali utilizzando i propri cittadini come cavie umane. Uno speciale pubblicato sul mensile Nexus (edizione italiana n. 17) denuncia che intere popolazioni negli USA, ma anche in Australia, Canada, Danimarca, Francia, Giappone, Norvegia, Sud Africa, Svezia e Svizzera, eseguivano su intere popolazioni esperimenti con radiazioni, armi chimiche e biologiche, droghe psicotrope, vaccinazioni e sterilizzazioni. (2); n.d.r. ]

Esperimenti mirati in che senso?

«Per verificare come la popolazione reagisce. Purtroppo sono cose che rientrano quasi nella norma. Si sa degli esperimenti sulla popolazione fatti dai militari, che però assicurano che erano innocui».

E la popolazione? È al corrente di tali esperimenti?

«No, no, sono sempre stati segreti. Si è venuto a sapere dopo anni e anni. Come gli esperimenti fatti dagli Stati Uniti nelle metropolitane di New York.
Da noi, la popolazione civile è venuta a sapere di questa cosa chiamata uranio impoverito dopo la Guerra del Golfo, degli anni ’90, ma veniva usata già nella guerra del Vietnam, negli anni ’60, per cui noi siamo sempre in grandissimo ritardo sulle informazioni! Sappiamo che la zona di Quirra è la zona più spopolata della Sardegna, non c’è una fabbrica, non c’è un’impresa e visto così è un paradiso terrestre. Non ci sono altre fonti di inquinamento, sicché si è cercato di depistare quando la pressione dell’opinione pubblica è diventata molto forte, quando la stampa sarda ha gridato in prima pagina per mesi e mesi nel silenzio agghiacciante di tutti i media a diffusione nazionale. In seguito sono stati costretti a fare indagini e si è depistato su una miniera d’arsenico chiusa dal 1974.

L’arsenico produce varie forme di avvelenamento ma non certo tumori al sistema emolinfatico. In seguito ad un check-up successivo sulla popolazione, l’Asl n.8 (di Cagliari; n.d.r.) che aveva lanciato la pista arsenico ha dovuto ammettere che non si riscontrava nessuna traccia di contaminazione d’arsenico. Le prime denuncie sono state lanciate dal vecchio sindaco di Villaputzu (Antonio Pili; n.d.r.), anche medico oncologo (ex primario di pneumologia al Binaghi di Cagliari¸n.d.r), che poi chiaramente “è stato fatto fuori”. Quando è cominciata l’attenzione sul problema dell’uranio, tra i suoi pazienti si registravano otto casi. Anche il medico di base che operava a Quirra denunciò ripetutamente i suoi sospetti, ma tutto cadde nel vuoto».

[ Il sindaco Antonio Pili fece intervenire anche il Ministero della Difesa affinché venissero adoperati tutti i mezzi necessari per un monitoraggio del territorio. Ma ha combattuto questa battaglia in grande solitudine “da sindaco, da medico e da uomo” come ha sempre tenuto a chiarire. (3) Ed ecco perché poi Pili ha pagato politicamente il suo coraggio di uomo e di medico; n.d.r. ]

«Dal 2001 ad oggi - continua Mariella - abbiamo una serie di indagini sedicenti scientifiche mirate a non trovare, mirate a depistare perché l’ultima indagine epidemiologica commissionata dalla Regione Sarda ci dice che l’alto tasso di linfomi di Hodgkin è da attribuire all’eccesso di benessere, all’urbanizzazione e al miglioramento della vita, dimenticandosi che il Salto di Quirra è classificato tra le cenerentole della Sardegna. È la regione più abbandonata e più spopolata di tutta la Sardegna. Perciò è una spiegazione che suona veramente come un insulto all’intelligenza».

Visto che le risposte delle istituzioni sono risultate sempre volte a tranquillizzare la popolazione, avete organizzato delle ricerche indipendenti?

«Noi abbiamo esaminato il risultato dell’indagine epidemiologica fatta dalla regione cercando di essere sintetici il più possibile, è un documento di circa cinque pagine, che abbiamo dato alla Commissione Senato sull’uranio impoverito. Abbiamo chiesto che fosse acquisito dalla precedente Commissione, l’abbiamo spedito alla nuova Commissione, l’abbiamo consegnato alla Commissione Difesa della Camera e in precedenza l’abbiamo presentato all’Assessore alla Sanità (Nerina Dirindin; n.d.r.) questo settembre, e l’assessore si era impegnata a portare avanti una nuova indagine, ma…».

Quando è stato presentato questo documento?

«A settembre 2006 l’abbiamo presentato alla Dirindin chiedendole di procurarci un incontro con l’equipe epidemiologica, cosa che è stata fatta, e l’assessore si è impegnata a portare avanti un’altra indagine. Sappiamo che sta andando avanti però, insomma, siamo a giugno…».

Non ne avete saputo più niente?

«Sappiamo che sta andando avanti con molte difficoltà per reperire i dati, anche per il disordine e la disorganizzazione totale degli ospedali, perché per via della legge sulla privacy il registro dei tumori ormai non è nominativo, e quindi è un lavoraccio».

Oltre che i casi di tumori, quali altre prove bisognerebbe presentare per provare il nesso tra uranio impoverito e patologie?

«Sono indagini diverse. Uno è la documentazione scientifica, epidemiologica. Quando noi diciamo che ci sono 20 casi, c’è l’evidenza delle croci nei cimiteri e le persone nel letto di un ospedale. Però non è un dato scientifico. Stabilire poi il nesso tra quel tipo di leucemia e l’agente killer sarebbe una scoperta da Premio Nobel. Finora, infatti, a livello attuale delle conoscenze c’è solo un forte legame di probabilità in questa relazione causa-effetto..
Però è anche vero che gli Stati uniti, già durante la guerra “Restore Hope”, la guerra in Somalia, equipaggiavano tutti i militari statunitensi con tute e maschere ed era stato dato il libretto con le norme precauzionali. L’Italia, invece, che sapeva già da allora, ha deciso di dotare i militari con queste norme precauzionali solo dopo la morte di Salvatore Vacca e la denuncia della famiglia. Da qui si deduce chiaramente che l’uranio e l’ingestione di polveri di uranio provoca tumori e alterazioni genetiche».

[ Esiste infatti un documento, che risale all’ottobre del 1993, inviato dal Pentagono al comando d’interforze di stanza a Mogadiscio, dove era presente anche l’Italia con la missione, appunto, “Restore Hope”. Un semplice prontuario con le precauzioni da adottare riguardo ad un unico oggetto: l’uranio impoverito.
Nell’agosto del 1996, poi, la Nato inviò alle Ace (Comando militare dell'alleanza atlantica in Europa), quindi anche all’Italia, una dettagliata direttiva precauzionale sui rischi da contaminazione per radiazione, comprese quelle dei raggi alpha, beta e gamma, sottolineando che il rischio per la salute dei soldati era anche a lungo termine, con l’insorgenza di cancro e altri tumori.
Nel 1996 le forze militari italiane erano impegnate in Bosnia, però l’Italia adottò solo nel 1999 le norme emanate dalla Forza multilaterale, al contrario degli altri eserciti che già venivano dotati di tute, maschere e occhiali per proteggersi dalle polveri sottili emanate dall’uranio; n.d.r. ]

Ma in questi poligoni c’è stata mai l’ammissione dell’utilizzo di armi ad uranio impoverito?

«Chiaro che dicono sempre: “non ne abbiamo usate”. Per l’Italia, più o meno, ci possiamo anche credere ma le altre Nazioni le usano abitualmente e allora le spiegazioni diventano estremamente contraddittorie. L’Italia, poi, non ha nessun potere di prendere visione delle armi delle altre Nazioni. Quindi l’informazione si basa sull’autodenuncia di tale armamentari. I vertici militari hanno sempre sostenuto, anzi, hanno sempre usato questa frase ambigua: “Noi militari italiani non abbiamo mai usato armi all’uranio impoverito”. Affermano, poi, che dopo ogni esercitazione viene fatta la bonifica, anche se la realtà è alquanto diversa. Per esempio a capo Teulada c’è tutta una zona del poligono che è interdetta persino agli stessi militari perché non è mai stata bonificata e tale è l’accumulo di inesploso che c’è appunto il divieto di ingresso degli stessi militari. E il mare è più o meno nelle stesse condizioni».

Quindi, a quanto vi risulta, non sono mai state fatte le bonifiche in questi poligoni?

«No, non le hanno mai fatte. Che la bonifica sia obbligatoria lo dice il regolamento».

Ma voi avete mai trovato la cosiddetta “pistola fumante”, ovvero un bossolo, un proiettile…

«Se l’uranio è l’arma perfetta è perché non lascia tracce. Trovare un proiettile è come cercare un ago in un pagliaio. Mentre con le strumentazioni scientifiche si può confondere con l’uranio naturale».

Ma non sono due elementi diversi?

«C’è appunto la tecnica messa a punto dalla dottoressa Gatti, che mira a trovare le nanoparticelle, cioè sfere, di metalli pesanti. All’inizio la scoperta della dottoressa Gatti è stata accolta con favore dal mondo militare perché distraeva i sospetti dall’uranio. Però, quando è cominciato a diventare sempre più chiaro che queste nanoparticelle si formano solo ad altissime temperature e che, quindi, se l’uranio non è l’agente killer è però il mandante, la dottoressa Gatti è stata dimenticata. La dottoressa Gatti ha fatto delle ricerche a Quirra e a trovato nei tessuti delle persone di Quirra le stesse nanoparticelle trovate su Valery, un militare sardo morto di leucemia dopo aver prestato servizio sui Balcani. Si è parlato molto di Valery, ancora oggi quando ci sono le partite di calcio del Cagliari appare quasi sempre lo striscione: “Loro ti hanno dimenticato noi no”; “Valery ucciso dai soliti ignoti” e ignoti scritto con i colori della bandiera italiana.

Le ricerche della dottoressa Gatti hanno individuato nei tessuti di Valery e nei tessuti di alcune persone di Quirra ammalate le stesse nanoparticelle. Ed anche in alcuni animali nati deformi, come per esempio un agnello nato con le orecchie al posto degli occhi. Perché le alterazioni genetiche non sono solo tra i bambini di Escalaplano ma anche e soprattutto tra il bestiame. I pastori denunciano, appunto, aborti spontanei, malformati. Dopo queste prime ricerche la dottoressa Gatti ha chiesto di fare un’ulteriore indagine e gli è stato posto il veto. Questo risulta agli atti, dall’audizione della dottoressa Gatti alla Commissione del Senato, più o meno un mese fa. Gli è stata tolta anche la strumentazione.

La Gatti è una ricercatrice universitaria. Già da tempo era impegnata in queste ricerche sulle nanoparticelle e si è capito che potevano essere utili per fare chiarezza sulla, diciamo, sindrome dei Balcani. Già lavorava da molto sui tessuti dei militari che sono stati nei teatri di guerra. Per questo è stata chiamata anche per fare le indagini a Quirra. Poi, quando le ricerche della Gatti hanno preso una piega non molto gradita alle elite al potere, prima gli è stata tolta la strumentazione poi gli è stata negata la possibilità di un’ulteriore ricerca. Con la scorsa Commissione del Senato aveva il ruolo di consulente, non era una ricerca commissionata dal Senato, svolgeva solo un ruolo di consulenza. Pare che l’attuale Commissione gli abbia rinnovato questo ruolo».

[ Nanopathology è una parola inventata appunto proprio dalla dottoressa Gatti, che sta a significare tutte quelle patologie causate da micro e nano particelle. La tecnica da lei inventata è quella di cercare l’uranio impoverito direttamente all’interno dei tessuti patologici, essendo particelle infinitamente piccole, che si avvicinano ai nanometri. Nelle biopsie, la Gatti ha trovato delle particelle tonde, e si sa che le forme rotondeggianti sono causate solo da combustioni ad altissima temperatura. Queste stesse particelle sono state rinvenute, in base a rapporti americani, in esplosioni di bombe all’uranio impoverito. In più, poi, le esplosioni fanno fondere tutti i materiali presenti (dalle fabbriche ai carri armati, per esempio), creando un ulteriore inquinamento ambientale in cui si rilevano tutti i composti chimici presenti al momento del bombardamento.
“E' importante ricordare tale composizione per verificare non solo le problematiche di salute riferite all'uranio impoverito, quanto anche quello di indagare sui soggetti che abitano le zone limitrofe al poligono di Salto di Quirra in Sardegna – sottolinea la dottoressa Gatti, continuando - E' in atto una contaminazione planetaria prodotta da nanoparticelle inquinate. Ingerite anche mangiando un alimento contenente nanopolveri, passano irreversibilmente nei tessuti. Entrano nel sangue e nello sperma. Vengono trasmesse al partner tramite l'atto sessuale”. (4); n.d.r. ]

«Il punto è - continua Mariella Cao - che in presenza di un sospetto che ci sia una fonte di contaminazione si deve agire, perché questo dicono le leggi. Non solo italiane ma per le norme internazionali sottoscritte dall’Italia vige il principio della precauzione. Cioè si chiude e si cerca. Quello che facciamo noi in casa se sentiamo puzza di gas, spegniamo tutto e cerchiamo di controllare se ci sono perdite. O come quando si ha anche solo il sospetto di una ruota bucata, ci si ferma e si controlla. Non ci deve essere la dimostrazione del danno per adottare delle precauzioni. A Quirra, poi, i sospetti equivalgono ad una realtà di persone su 150 con tumori al sistema emolinfatico, percentuale da campo di sterminio, neanche da eventuale teatro di guerra.

È dal 2001 che continuano a fare indagini pseudo scientifiche mirate appunto a non trovare. A me come cittadina non interessa sapere se è uranio, saturno o plutonio! Questo deve interessare per fare prevenzione e per stabilire eventuali responsabilità politiche. È importante per accertare le responsabilità penali. Ma a me come cittadina interessa per bloccare la strage».

Com’è l’atteggiamento della popolazione rispetto a chi prende posizione contro il poligono?

«Da lì è partito il venticello che è cominciato a soffiare sempre più impetuoso. Però quelli che hanno denunciato la leucemia sono tacciati di voler speculare sulla morte di figli, padri e che, anzi, sono stati pagati milioni anzi miliardi dai giornalisti (per raccontare queste storie ;n.d.r.)».

Cioè?

«Cioè è partita la compagna infamante. Quando non si sa come reagire si mette in atto la campagna di diffamazione. Per cui chi ha parlato lo ha fatto perché è manovrato, o lo fa per interessi e perché pagato dalla stampa. Oltretutto non si capisce bene quale interesse ci possa essere in quella zona, che è la più disastrata della Sardegna. Il sindaco che ha chiesto accertamenti è stato accusato addirittura di voler mandare via i militari per farsi villette. Magari con lo slogan: “Quirra, la più bella leucemia che ci sia”.
In contemporanea è stata messa su un’altra campagna diffamatoria. Chi denuncia viene messo al bando con l’accusa di voler far crollare l’economia del paese. Solo che l’economia a Quirra si riduce ad un po’ di arance e pecorino.
C’è anche una condanna a due mesi per il sindaco che ha osato chiedere accertamenti».

Ma esiste la consapevolezza tra la popolazione di questi gravissimi problemi?

«Non tutti sono ancora consapevoli, a causa della campagna martellante che ripete che non è vero, che tutti muoiono prima o poi, che i tumori ci sono anche a Milano. Altri sono consapevoli ma hanno a questo punto davvero paura a parlare e di essere messi al bando. C’è una situazione da rassegnazione. Io posso citare delle parole da brivido di un pastore di Quirra, tra quelli che non hanno mai parlato: “io non so se ho tre mesi o tre anni, sono rassegnato, so che non mi resta molto, non gliene importa a nessuno di noi. Qui meno siamo e più gli fa comodo. Gli facciamo un favore, così gli liberiamo la zona. Chi è che ci tutela? Dovrei espormi pubblicamente per che cosa?”. Ed è morto ad aprile. Lui era perfettamente consapevole su che cosa gli ha provocato la leucemia, ma non ha mai detto una parola, non ha mai accettato un’intervista proprio perché consapevole anche della tensione che c’era dietro».

In Sardegna ci sono altri casi simili?

«L’attenzione si è puntata inizialmente su Teulada, poi sono emersi i casi di Quirra. Nella Maddalena, invece, le voci di alterazioni genetiche risalgono agli anni ’70. A metà degli anni ’70 furono registrati cinque casi di bambini nati senza cervello. Fino ad adesso non abbiamo né conferme né smentite che questi casi rientrino nella norma. Si è sempre parlato di numero altissimo sia di mutazioni genetiche che di tumori, alla Maddalena come in tutti i paesi coinvolti dai poligoni. Quando la stampa ha cominciato a parlare della Sindrome di Quirra e denunciato i casi sia di civili che di militari, la popolazione dei maddalenini ha cominciato ad organizzarsi, per cercare di acquisire e riunire i dati, operazione più difficile alla Maddalena perché sono più di 11.000 abitanti, mentre a Quirra si riescono ad avere anche facendo una chiacchierata al bar visto che sono 150. Poi è stata avviata una indagine epidemiologica e alla Maddalena risulta un +176% (superiore alla media) di linfoma di Hodgkin, e un +300% di casi di melanoma. Insomma, una situazione da inquinamento pesante».

Ma alla Maddalena non si parla di uranio impoverito. Di cosa allora?

«Alla Maddalena la cosa è abbastanza chiara. L’unica cosa che può provocare queste patologie è la base atomica. C’è un andirivieni incontrollato di sommergibili a reazione nucleare, e rientra nella norma che ci sia un rilascio radioattivo. La base della Maddalena funziona come officina per riparare i sommergibili e quindi è pressoché impossibile che non abbiano rilasciato niente. Le prime denuncie furono lanciate da un quotidiano corso negli anni ’70 che raccontava di rifiuti radioattivi sotterrati nell’Isola di Santo Stefano. Incredibile ma vero le autorità confermarono dicendo che era vero ma che non erano pericolose! Anche in questo caso ci sono indagini ufficiali che affermano che è tutto a posto. Peccato che vengono fatti con strumenti del tutto inidonei a rilevare qualcosa. Questo non lo dico io ma la Commissione per gli Esteri della Camera del 1990 che stabilì che gli strumenti erano del tutto inefficaci e obsoleti ed impegnava il governo a mettere a punto un sistema serio di monitoraggio».

Ed è stato fatto?

«Secondo le analisi ufficiali, fatte con strumentazione inadeguata, è tutto a posto. Secondo un’indagine fatta a fine anni ’80 dalla professor Cortellessa, indagine fatta per conto di Greenpeace, risultavano invece tracce di cobalto 60, altamente radioattivo. Dopo che l’attenzione si è rivolta al Salto di Quirra e dopo che c’è stato l’incidente al sommergibile statunitense nell’ottobre 2003, la popolazione della Maddalena si è mobilitata ed è stato affidato un campionamento al laboratorio francese indipendente, il Criirad, che ha trovato una percentuale di torio radioattivo di 400 volte superiore alla norma e tracce di plutonio. Il Criirad si è subito allarmato visto che il plutonio non è un elemento che si trova in natura, al contrario dell’uranio e del torio. Seguì in Italia un approfondimento condotto del professor Aumento, ed anche lui ha rilevato forti tracce di plutonio. La prima trance della ricerca del professor Aumento è stata anche pubblicata in ambito internazionale. La seconda trance degli studi di Aumento, invece, non riesce ad andare avanti per totale mancanza di fondi, così come non riesce ad andare avanti la seconda trance della ricerca della Gatti.

Insomma, le indagini epidemiologiche sulla popolazione sarda sono state fatte, ma poi messe in un cassetto. Nonostante queste percentuali si sappiano, e sono cifre da spavento, non hanno prodotto nessuna conseguenza.
D’altronde, non bisogna disturbare gli americani che forse se ne vanno! Il che apre ad un’altra chiave di lettura. Cioè fare precocemente fagotto per evitare le responsabilità dei danni provocati. Si cerca quindi di dimenticare. Altrimenti scapperebbero tutti i turisti. Un vero ricatto. Essendo l’economia sarda basata quasi esclusivamente sul turismo la prospettiva è o di essere strangolati economicamente o di crepare di leucemia e nascere con malformazioni genetiche».

Ma è vero che gli americani vanno via?

«Quello che è successo a Vicenza e sta succedendo in tutta Italia, alla Maddalena è successo già da molto. Dopo il 2001, cioè dopo l’attentato alle Torri Gemelle, gli Stati Uniti hanno deciso di rimettere le mani su tutte le basi, nelle loro strutture all’estero. Tra fine 2001 e inizi 2002 hanno presentato tutti i progetti di ristrutturazione e ampliamento. In Sardegna, dove l’attenzione popolare è sempre stata molto molto forte, siamo venuti a saperlo immediatamente mentre a Vicenza l’hanno saputo quest’anno. A Vicenza hanno cominciato i lavori prima ancora che la gente ne venisse a conoscenza. Da noi, invece, la notizia si è venuta a sapere immediatamente e già dal 2002 è ripresa l’attività popolare. È partita la lotta non solo contro la nuova base che progettavano di costruire ma si è messa in discussione la stessa base esistente. Una lotta che ha coinvolto tutti i settori. Il 2002 è stato oltretutto l’anno clou della campagna di denuncia riguardo la storia del poligono di Quirra e quindi la lotta alla Maddalena è emersa ancora più prepotentemente.

Nell’ottobre 2003 succede l’incidente al sommergibile nucleare statunitense, per cui la gente si rende conto che il pericolo nucleare è veramente reale. È così partito un referendum e l’allora Consiglio Regionale a maggioranza centro-destra, che bocciò in pieno la linea governativa di allora, deliberò a maggioranza lo smantellamento della base alla Maddalena, in tempi rapidi e ragionevoli. La lotta partiva quindi dai settori più impensati. Per esempio da un consigliere provinciale di Forza Italia della provincia di Sassari, che denunciò il suo leader Berlusconi e l’allora Presidente della Regione sarda per comportamento omissivo e omertoso sulla questione della base.
Poi ci sono stati cittadini che hanno denunciato Bush per il tumore che si ritrovavano. Insomma, in questo clima d’agitazione in ottobre-novembre del 2005 arriva l’annuncio che la base della Maddalena va via.

Tra i vari leader politici è partita un po’ la corsa per l’accaparramento medaglietta, Soru (Renato Soru, attualmente Presidente della Regione Sardegna; n.d.r.) ha rivendicato il merito, stoppato da Berlusconi e poi da Fini, perché Ministro degli Esteri; anche Cossiga ha cercato di prendersi il merito.
Noi però siamo un pochino malfidati, giustificati dopo 30 anni di bugie.
Le promesse sono che vanno via ad ottobre 2007, anche se alla fine non è che ci sono poi molte cose da portar via. Principalmente è la nave officina che deve salpare le ancore. Gli Stati Uniti lì non hanno niente. A Santo Stefano sono ospiti, diciamo così, del demanio della Marina Italiana. Devono semplicemente levare le ancore, pare entro il febbraio 2008.

Quello che preoccupa è che la Commissione Difesa abbia chiesto lumi a Soru per sapere se ci sono dei capi formali, ma ancora non si sa niente. Anche noi cittadini abbiamo solo notizie stampa. E quando la stessa Commissione Difesa alla Camera non sa niente di niente sull’esistenza di atti formali, necessaria anche se si dà la disdetta di un semplice atto di locazione privato, viene quindi il dubbio che ci sia aria di imbroglio, a spese della Sardegna.
In un dibattito pubblico fatto con il Sottosegretario alla Difesa Casula, è sorto infatti un altro problema. Ammesso che vadano via, chi pagherà la bonifica? A carico di chi è? Casula ha detto che lo Stato sarebbe disponibile ad aiutare la Sardegna e a venirgli incontro! Come può immaginare tutti i presenti sono insorti. Insomma, oltre il danno anche la beffa!

Quando mai i costi sono a carico dell’inquinato? E qui stiamo parlando dell’immondizia degli Stati Uniti, con costi spropositati.
Così, è più facile smantellare la base piuttosto che bonificarla. Il tempo medio di bonifica di una base normale, e non parlo dei poligoni che generalmente sono ancora più inquinati, va dai 15 ai 30 anni, con costi astronomici. Dati confermati anche da uno studio del CNR ( Consiglio Nazionale delle Ricerche; n.d.r.) per il poligono di Teulada. Naturalmente 15-30 anni a poligono veramente chiuso e spento, non certo con continui lavori in corso.
Un ammiraglio ha detto che per l’esercito sarebbe molto più conveniente comprare una villetta a tutti gli abitanti e portarli in Tunisia!».

Vi sembra quindi che non ci sia l’intenzione di bonificare l’area?

«Normalmente sono andati sempre via senza fare le bonifiche, tranne quando sono stati costretti. In Costa Rica c’è una vertenza che dura da 15 anni, perché hanno cercato di dargli una cifra forfait insufficiente. In Porto Rico stanno pulendo, con gli occhi della popolazione addosso, però il Porto Rico è Stato libero associato agli Stati Uniti, per cui praticamente sono in casa. Lì hanno fatto il passaggio dall’area militare ad oasi naturalistica, anche se la bonifica è fatta in maniera un po’ rozza. La lotta per la bonifica è lotta forte ovunque sono state smantellate le basi militari».

Quindi, in definitiva in Sardegna quante basi straniere ci sono?

«La base della Maddalena è l’unica base statunitense in Italia che non rientra nel principio che si è detto della doppia chiave, del doppio comando. Per esempio ad Aviano, Sigonella, che sono basi dove ci sono gli Stati Uniti, questo principio vige, cioè c’è un comandante statunitense e un comandante italiano e le cose in teoria sono decise dall’Italia. Anche se l’unica presa di posizione che l’Italia inpugnò fu hai tempi di Craxi, con la storia di Sigonella.
La Maddalena, invece, fuoriesce da questa catena di comando poiché dipende direttamente dal Pentagono. È l’unica struttura totalmente fuori controllo Nato.
Poi abbiamo i poligoni, che a livello numerico sono quattordici, anche se a noi interessano in particolar modo tre.

Si può dire che in Sardegna l’industria di guerra è nata moderna. Nell’isola c’è la massima concentrazione degli impianti. In Italia ci sono 40.000 ettari di demanio militare, e di questi 24.000 sono concentrati in Sardegna.
C’è il poligono di Quirra, il più grande in assoluto d’Europa. Poi segue il poligono di Teulada, che è il secondo poligono più grande d’Europa ma il primo per intensità di utilizzo, con circa 7.200 ettari, la metà del poligono di Quirra.
Poi c’è il poligono di Capo Frasca con circa 1.470 ettari, legato alla base aerea di Decimomannu, che sono un altro migliaio di ettari.
Poi c’è tutta la militarizzazione del cielo e tutta la militarizzazione del mare. Per esempio il mare annesso a Quirra supera tutta la superficie della stessa Sardegna. Il mare annesso a Teulada sono qualcosa come 750km3».

Ma all’interno di questi poligoni ci sono solo americani od anche altre forze straniere?

«La base della Maddalena è solo statunitense. I poligoni italiani sono sotto comando italiano, però tutte queste strutture italiane sono messe a disposizione della Nato, e molte cose sono state fatte con i finanziamenti della Nato».

Mariella, per concludere, lei fa parte del Coordinamento Sardo “Gettiamo le Basi”. Ci dice a che cosa punta la vostra iniziativa?

«Noi siamo nati molto casualmente alla fine del 1997. In quell’anno veniamo a sapere che si stava organizzando un convegno ad Aviano per discutere sulle basi, convegno aperto a tutti. Così noi, che siamo la regione più martoriata di tutta Italia, abbiamo deciso di partecipare al convegno, che si chiamava “Gettiamo le Basi”, presentando un nostro documento. Dal convegno di Aviano è nato un coordinamento tra le varie realtà italiane omonimo. Poi siamo rimasti soltanto noi del coordinamento sardo, perché le altre realtà avevano un impatto meno pesante del nostro. Noi poi abbiamo anche puntato su un patrimonio di conoscenze e di esperienza che il movimento sardo aveva messo in campo già da anni. Mentre la maggior parte delle realtà italiane non ha una storia di antagonismo, noi ne abbiamo una di 50 anni, abbiamo grande un patrimonio di informazione e di lotte. Siamo così rimasti noi e piano piano si sono cominciati a formare altri comitati “Gettiamo le Basi”, per esempio in Emilia Romagna.

Una delle prime battaglie che abbiamo portato avanti è stata la battaglia dei comitati di quartiere a Cagliari, riguardo al deposito sotterraneo di combustibile per gli aerei di Monte Urpinu. Battaglia storica per far chiudere il deposito e denunciare quello che la maggior parte della città non sapeva, se non quelli che avevano fatto le lotte con i comitati di quartiere. Quando uscì la notizia l’impatto fu una specie di bomba. L’allora sindaco di destra di Cagliari (Delogu; n.d.r.), attuale Senatore di An, denunciò l’aeronautica alla magistratura. Anche se non prese nessun provvedimento politico come avrebbe dovuto fare.
Poi da lì sono scaturite tutta una serie di altre battaglie, come nel 2000 che, grazie all’azione fatta da La Spezia, si è venuto a sapere che la Maddalena e Napoli non erano gli unici porti nucleari ma che in Italia ce ne sono undici e tra questi anche Cagliari».

Quindi uno degli scopi del vostro coordinamento è proprio quello di informare.

«Si, noi agiamo soprattutto a livello di informazione. Se questo verminaio ha potuto proliferare in Sardegna è perché la maggior parte delle persone sono tenute all’oscuro. Una volta feci vedere una cartina con tutte le basi di appoggio al sindaco di Villaputzu e ne fu stupito, non conoscendo neanche lui tutta la realtà dei fatti. Abbiamo cominciato a presentare dei dati che ormai sono diventati quelli ufficiali. Far prendere atto che la Sardegna è gravata dal 60% delle strutture militari italiani, le peggiori. Perché non si può mettere a paragone il palazzo di rappresentanza che c’è a Roma con un poligono, che è un aria di tiro dove di fanno i cosiddetti giochi di guerra, con vero munizionamento da guerra. Il nostro obiettivo è rendere noto che la Sardegna ha subito e continua a subire la peggiore colonizzazione militare della storia italiana».

Per contattare Mariella Cao e il Coordinamento Sardo di Gettiamo le Basi:
freeweb.supereva.com/gettiamolebasi/

25/07/2007 00:28
 
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Il fantasma della “sindrome di Quirra”
Dopo troppi studi rassicuranti
un'indagine indipendente rilancia l'allarme






Agnelli contaminati da nanoparticelle di piombo e altri metalli pesanti, api impazzite che aggrediscono gli apicoltori, persone che sentono insistenti ronzii nelle orecchie. Ma soprattutto 32 decessi negli ultimi 20 anni per patologie tumorali, su una popolazione che varia tra le 150 e le 200 persone. Non è l'Armageddon, è Quirra. Quello che succede in questa zona della Sardegna sud-orientale, in un territorio dal paesaggio quasi lunare, sacrificato alla difesa dello Stato, non è dato a sapere. Di sicuro si sa che vengono fatte esercitazioni di guerra e si sperimentano armi e prodotti dell'industria bellica, fabbricati da aziende private.

Solo la determinazione e la volontà delle persone che lì vivono e lavorano, aiutate da associazioni sensibili ai problemi del territorio, assieme ad esperti, fisici e ingegneri, hanno permesso di fare luce su alcune delle ombre del poligono sperimentale di Salto di Quirra. Luce non ancora abbastanza forte, ma che lascia pochi dubbi. Come è stato ribadito ieri in una conferenza stampa presso la sede del Cagliari Social Forum, per presentare i risultati della prima indagine ambientale volta a verificare l'inquinamento da campi elettromagnetici.

Nella zona analizzata sono presenti stazioni radar che emettono onde elettromagnetiche a frequenze superiori a 3 Ghz in prossimità di abitazioni, ovili e campi coltivati. I 150 abitanti che vivono nella frazione Quirra del comune di Villaputzu, e altri 50 che nella zona si recano tutti i giorni per lavoro, allarmati dall'elevata percentuale di malattie soprattutto di natura emolinfatica contratte negli ultimi 20 anni si sono costituti in un comitato e hanno commissionato un'indagine per verificare l'effettiva presenza di campi elettromagnetici.

Non si accontentano più delle ricerche istituzionali, fatte a partire dal 2001, dopo le numerose segnalazioni da parte dei medici di base della zona, in primis Antonio Pili, all'epoca anche primo cittadino di Villaputzu. Nel 2001 aveva chiesto alla Asl, alle istituzioni ed all'Istituto Superiore di Sanità uno studio per verificare le cause dell'incidenza così alta di queste patologie. Tutte le analisi però (effettuate nell'ordine per conto del Ministero della Difesa nel 2002, dall'Istituto Superiore di Sanità nel 2004, dalla commissione sanità del Consiglio regionale nel 2005, e dalla Commissione del Senato sull'uranio impoverito nella scorsa legislatura) hanno prodotto solo rapporti che cercavano di tranquillizzare la popolazione.

Nessuna sindrome di Quirra, avevano detto i rapporti: forse malattie attribuibili all'arsenico presente nelle cave della zona, o addirittura a fattori genetici. Ipotesi smentite da altri esperti per la tipologia di effetti che provocherebbe l'arsenico, che tende a colpire l'apparato gastrointestinale e polmonare, non il sistema immunitario. Risulati opinabili anche per il campione preso in considerazione: la ricerca della Regione Sardegna - ad esempio - ha studiato 26mila persone distribuite in 8 comuni della zona allargata, e alla fine ha trovato un numero di casi tumorali in linea con la media nazionale.

Un censimento porta a porta è stato fatto invece dal Comitato popolare di difesa ambientale del Sarrabus-Gerrei, coinvolgendo solo la popolazione che vive vicinissima alle zone dove vengono fatte le esercitazioni e sperimentazioni. «Questa è la gente davvero colpita: se si allarga il campione, è ovvio che l'incidenza viene diluita», sottolinea Massimo Coraddu, uno dei professionisti coinvolti nelle nuove indagini. E 32 casi mortali negli ultimi 20 anni, su una popolazione di 150/200 persone, non sono certo pochi. Per questo il Comitato, l'associazione “La Ruspa”, il Cagliari Social Forum, “A Foras” e la Carovana della Pace, hanno ritenuto indispensabile un nuovo studio, completamente autofinanziato. Se ne sono occupati l'ingegnere Basilio Littarru ed il fisico Massimo Coraddu. Due settimane di rilevamenti, tra Capo San Lorenzo e Torre Murtas, per un raggio di circa 5 chilometri, hanno potuto dimostrare che i campi elettromagnetici ci sono, e avvengono nella banda delle microonde a frequenze superiori ai 3 GHz, per questo attribuibili alle stazioni radar del poligono militare.

L'esposizione della popolazione a questo tipo di onde elettromagnetiche potrebbe spiegare linfomi e leucemie. Ma per poter stabilire una relazione certa è necessario avere altre informazioni: ad esempio la frequenza esatta (per ora si sa con certezza solo che è superiore ai 3 GHz, ma non di quanto) e l'intensità di questi campi. La mancata collaborazione da parte dei militari, le esigue risorse a disposizione (che non hanno permesso strumentazioni più precise anche se quelle utilizzate erano di ottima qualità), ma anche qualche giornata di pioggia, e il fatto che durante il periodo di osservazione non ci sono state esercitazioni al poligono (nonostante il calendario militare reso pubblico ne avesse almeno due in programma), non hanno permesso ai ricercatori di avere dati più dettagliati.

È un inizio insomma: per poter proseguire è necessario conoscere le caratteristiche essenziali delle sorgenti dei campi osservati (ubicazione, potenza, frequenza di funzionamento, guadagno d'antenna). Sarebbero necessarie poi delle misurazioni continue non estemporanee: per questo il senatore Mauro Bulgarelli, vicepresidente della Commissione del Senato sull'uranio impoverito, ha detto che i dati di questa indagine sono già stati acquisiti dagli esperti della commissione, che hanno anche effettuato dei sopralluoghi. Bulgarelli si è impegnato a portare all'attenzione del Parlamento le questioni riguardanti la nuova base di atterraggio nel Poligono e la richiesta di installare delle centraline di rilevamento adatte a questo tipo di emissioni.

È chiaro che non sono solo i campi elettromagnetici i responsabili dello stillicidio umano che sta colpendo la popolazione del Salto di Quirra: è perlomeno sospetta anche la presenza di nanoparticelle di metalli pesanti, rilevate negli animali e nella vegetazione dallo studio della dottoressa Antonietta Gatti, consulente della Commissione parlamentare e prima esperta a parlare di nanoparticelle come responsabili di malattie tumorali nei militari di ritorno dai Balcani), e probabilmente l'utilizzo - anche qui - di uranio impoverito. Questi tre elementi, se combinati insieme creerebbero, secondo alcuni studiosi tra i quali la Gatti, un cocktail davvero micidiale.

Nonostante la grande preoccupazione, confermata da quest'ultima ricerca, le intenzioni politiche sono quelle di ampliare la base militare, attiva dal 1954, che è già il più grande poligono sperimentale d'Europa. Il comitato e le associazioni che hanno portato avanti le ricerche, anche alla luce di questi ultimi dati, chiedono con forza la sospensione delle esercitazioni e delle sperimentazioni, ma anche la revoca dei progetti sulla realizzazione della pista d'atterraggio. È necessario piuttosto attivare interventi di monitoraggio ambientale e sanitario, effettuare una bonifica della zona e risarcire tutte le famiglie colpite dai lutti e dalle malattie.

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