50 buone ragioni per l’indipendenza
Gilberto Oneto e Giancarlo Pagliarini
Nelle pagine che seguono vengono riportate, senza nessun ordine di importanza, cinquanta dei mille buoni motivi per volere l’indipendenza della Comunità dei popoli padano-alpini.
Ciascuno potrà trovare che alcune delle ragioni descritte sono più importanti di altre, o potrà aggiungerne altre che gli sembrano altrettanto fondamentali e che qui sono state tralasciate.
Tutte queste motivazioni (e le mille altre) finiscono però per confluire in una unica grande ragione: la libera volontà dei popoli a organizzare la propria vita e a gestire il proprio futuro.
1 Perché l’Italia è una imposizione artificiosa
Perché l’Italia è stata fatta senza e contro la volontà popolare, con una azione militare organizzata e voluta da una sparuta minoranza di persone per demagogia, per interessi economici e per spirito di sopraffazione, e con l’appoggio di potenze straniere che miravano solo al proprio tornaconto economico e politico.
L’Italia non è mai esistita nella storia come entità politica o identitaria. Prima del 1861 la penisola si era ritrovata unita solo sotto l’opprimente dominio di Roma antica che aveva però anche conquistato e tenuto sotto di sè tutti i paesi mediterranei e gran parte dell’Europa occidentale: quella remota esperienza non può costituire in ogni caso un precedente storico né una giustificazione per l’unità politica. In quei giorni lontani i nostri antenati avevano inoltre combattuto una guerra e una guerriglia di resistenza che è durata quattro secoli contro l’aggressione di Roma.
L’unità risorgimentale è stata fatta militarmente ai danni di Stati antichissimi basati su autonomie, libertà e strutture istituzionali che risalivano a molti secoli addietro. Ad essa si è cercato di dare una formale legittimazione con i Plebisciti di annessione al Regno di Sardegna: questi sono però stati una tragica farsa per mancanza di libertà e di segretezza, cui ha partecipato una percentuale irrisoria della popolazione.
Per completare e per cementare la cosiddetta unità si sono poi impiegate repressioni poliziesche e si sono combattute guerre esterne, la più tragica delle quali ha procurato più di 650.000 morti innocenti. Guai a quel paese che per giustificare o formare una coscienza unitaria deve ricorrere a guerre, sangue e sofferenze per i popoli che lo abitano.
2 Perché la Padania esiste
Perché esiste da sempre una comunità padana dalle forti connotazioni storiche, culturali ed etno-linguistiche. Perchè essa ha avuto lunghi periodi di unità, con i Longobardi, con il Regno d’Italia all’interno dell’Impero Romano-Germanico (che comprendeva solo la parte settentrionale della penisola), con la Repubblica Cisalpina, e poi con il napoleonico Regno d’Italia. Essa ha vissuto importanti momenti di forte aspirazione unitaria con i Visconti e con la Serenissima Repubblica di Venezia, che sono andati davvero vicini al conseguimento dell’unificazione padana, e con il Piemonte che aveva strutturato tutta la sua politica per raggiungere tale fine. Il Risorgimento e le prime due cosiddette guerre di indipendenza erano state intraprese dal Regno di Sardegna per l’annessione delle regioni padane: gli accordi di Plombières con Napoleone III erano a questo proposito chiarissimi e prevedevano la creazione di un Regno dell’Italia Superiore sotto la casa di Savoia.
L’unità di intenti della Padania si è poi mostrata in numerose altre occasioni storiche quando sono state messe in gioco le libertà delle sue comunità autonome. La prima Lega Lombarda era sorta contro il Barbarossa e la seconda contro Federico II che volevano affermare un potere centralista a scapito delle antiche libertà dei Comuni padani. Le stesse insorgenze antigiacobine hanno avuto una forte valenza unitaria contro un potere assolutista e negatore di ogni autonomia. Si può dire che la vera forza di unificazione della Padania sia la forte volontà dei suoi popoli di difendere le proprie differenze, autonomie e libertà contro ogni prepotenza e centralismo. La Padania esiste, forte e culturalmente coesa, in questa comune e antichissima aspirazione alle libertà e alle autonomie, che risale ai suoi primi abitanti Liguri, Celti e Veneti e che attraversa tutta la sua storia fino agli attuali movimenti di liberazione.
3 Perché abbiamo gli stessi antenati
Tutte le genti della Padania discendono dagli stessi progenitori e dagli stessi popoli originari. Questi possono essere identificati in tre gruppi principali. Il primo e più antico è formato dai Garalditani, dai Liguri, dai Proto-Celti Golasecchiani e da tutte le altre popolazioni a essi assimilabili (Camuni, Salassi, Leponzi, Carni, Reti, Histri eccetera) che costituiscono il più profondo substrato etnico di tutte le comunità padane e che ancora oggi contribuiscono in maniera determinante alla formazione del nostro patrimonio genetico: molta parte dell’aspetto fisico dei Padani deriva da questi antichi progenitori. Il secondo gruppo è formato dai Celti e dai Veneti che, pur forse provenendo da diverse aree geografiche, avevano caratteri somatici, costumi e culture così simili da non poter essere distinti se non per la lingua. A queste due popolazioni i Padani devono buona parte dei loro caratteri culturali, del loro amore per l’arte, per le autonomie, per l’avventura e per la robusta propensione all’organizzazione della vita comunitaria sulla base del rispetto per le specificità e per i diritti individuali e di gruppo. L’ultimo apporto è costituito dai Goti, dai Longobardi e da tutte le altre popolazioni germaniche che con loro si sono stanziate su queste terre. Questi hanno condizionato i caratteri fisici degli abitanti di alcune zone e hanno lasciato come eredità comune l’attaccamento per le autonomie locali e la forte aspirazione alla libertà.
Le attuali differenze fra le varie comunità padane sono date dal diverso dosaggio di queste tre componenti principali che sono assieme presenti solo qui, costituendo una forte specificità identitaria che ci distingue decisamente da ogni altra comunità di popoli, in particolare da quelli che vivono nella penisola italiana al di sotto dell’Appennino tosco-emiliano.
Gli Italiani sono infatti gli eredi degli Etruschi, dei Greci e delle popolazioni italiche che si erano stanziate nel Meridione. Questa antica divisione è oggi puntualmente confermata dalle più moderne e attendibili indagini scientifiche che mostrano una penisola divisa in tre grandi aree dove dominano rispettivamente il residuo genetico dei Liguri, degli Etruschi e dei Greci.
4 Perché parliamo lingue nostre
Le lingue sono un vero DNA culturale che sopravvive nel tempo e che testimonia di avvenimenti storici e di legami etnici anche molto lontani: costituiscono uno straordinario elemento di archeologia vivente.
Gli studiosi dividono le lingue neo-latine in due grandi ceppi: quelle gallo-romanze e quelle romanze meridionali. Il primo ceppo comprende gli idiomi derivati dalla sovrapposizione del latino a lingue celtiche e sono il Portoghese, il Gallego, il Catalano, il Francese, il Vallone, l’Arpitano (o Franco-Provenzale), il Ladino, il Romancio, il Veneto (e l’Istro-Veneto), il Friulano, le parlate Occitane e quelle Padane (o Gallo-Italiche), a loro volta suddivise in Piemontese, Lombardo occidentale, Lombardo orientale, Ligure, Emiliano e Romagnolo. Il secondo ceppo comprende le parlate derivate dalla sovrapposizione del latino su lingue di tipo mediterraneo e sono il Toscano, il Sardo, il Corso, il Castigliano, il Rumeno e l’Italiano (Mediano, Meridionale intermedio e Meridionale estremo o Siciliano). I due grandi ceppi sono divisi dalla cosiddetta Linea Gotica, che corre sullo spartiacque dell’Appennino tosco-emiliano fra Massa e Senigallia. Le lingue parlate in Padania sono fra di loro “sorelle” e lo sono con le altre lingue gallo-romanze dell’Europa occidentale mentre hanno un rapporto di sola “cuginanza” con quelle parlate in Italia. E’ perciò senz’altro falso sostenere che le lingue padane siano dialetti dell’Italiano e non deve neppure trarre in inganno l’attuale diffusione del Toscano italianizzato: prima dell’unità nessuno in Padania (ma neppure nel Meridione) parlava abitualmente l’Italiano che è stato imposto attraverso l’opera delle scuole, delle caserme e con la radio e la televisione. Oggi l’Italiano è da intendersi quale “lingua franca” ma le vere lingue naturali dei nostri popoli sono altre, che servono da marcatori precisi di parentele e di aspirazioni oggettive a comunanze e divisioni. Se si vuole assumere la lingua quale fattore privilegiato di scelte politiche, siamo certo più affini agli Occitani, ai Provenzali e ai Catalani che non agli abitanti della penisola italiana.
5 Per il nostro atteggiamento verso la religione
Nel mondo civile, la religione non può costituire elemento determinante di definizione identitaria e non può surrogare, quale elemento di coesione, l’inesistenza di validi motivi di unità fra comunità diverse. La diversa fede conserva invece in taluni casi la capacità di aumentare le differenze fra gruppi umani già diversi per cultura, caratteri etno-linguistici e percorso storico.
In nessun caso – in particolare - il Cattolicesimo può essere chiamato a costituire una giustificazione per l’unità italiana, mentre i diversi comportamenti nei confronti degli atteggiamenti religiosi possono essere un ulteriore elemento di divisione fra i popoli diversi che abitano la penisola.
Sotto una patina di comune appartenenza religiosa si nascondono infatti almeno due atteggiamenti molto diversi. A sud l’influenza musulmana (la Sicilia è stata sunnita fino al X secolo e gran parte delle coste meridionali è stata a lungo esposta a quella cultura) e quella ortodossa (larga parte del Meridione è passata dalla Chiesa Greco-Ortodossa a quella Cattolica solo fra il XII e il XV secolo) sono ancora forti e hanno lasciato molti segni sia nei comportamenti esteriori che nell’atteggiamento religioso più profondo. In Padania invece non è mai stato del tutto cancellato l’antico substrato celtico che ha fortemente influenzato la formazione della Chiesa medievale, anche attraverso l’opera di ricristianizzazione intrapresa dai monaci irlandesi. Oltre a questo, è da secoli molto forte l’influenza protestante che si manifesta sia attraverso i continui contatti sociali con paesi protestanti che con la presenza di antiche comunità protestanti all’interno della Padania.
Tutto questo ha determinato modi molto diversi di intendere e di vivere l’esperienza religiosa: la Padania è da sempre terra di eresie (nate dall’insofferenza verso ogni strumentalizzazione della fede) e di cattolicesimo partecipato, realmente solidale e sentito, e mai legato a manifestazioni solo esteriori o eccessive. Qui c’è da sempre un atteggiamento posato, meditato e razionale nei confronti della religione che ne ha fatto un paese di grandi Santi e Missionari, ma anche di grandi Eretici. Recidendo legami impropri, l’indipendenza non potrà che portare vantaggi alla spiritualità del Cattolicesimo padano, geograficamente più prossimo proprio a quelle regioni d’Europa, come la Baviera o la Navarra, oggi impegnate in una ricerca profonda del senso della Trascendenza.
6 Per difendere la libertà religiosa
L’antica tradizione di diversità anche religiose delle comunità della Padania, manifestatasi con le eresie, la Riforma e la Controriforma e con la presenza di minoranze religiose, ha creato una tradizione di grande tolleranza e di aspirazione alla laicità della politica.
Il più forte e duraturo degli Stati padani, la Serenissima Repubblica di Venezia, aveva costruito il suo potere anche sulla scrupolosa separazione del potere politico da quello religioso e sulla attenta difesa della libertà dello Stato da interferenze ecclesiastiche. Nel corso della sua lunga storia, la Padania ha solo subìto danni dalla pericolosa commistione della sfera religiosa con quella politica. Esse erano tenute scrupolosamente separate nell’antico mondo celta ed erano invece pericolosamente sovrapposte in quello romano. Lo stesso atteggiamento di ingerenza ha portato alla distruzione dello Stato visigoto e di quello longobardo e ha impedito la formazione di una duratura confederazione di popoli padani e la decisiva espansione veneziana in terraferma. E’ stata l’ingerenza della Curia romana a turbare lo spirito di libertà che ha da sempre fatto della Padania la culla delle eresie ma anche il paese della tolleranza: erano sgherri di un vescovone quelli che hanno massacrato Frà Dolcino ed erano ispirate da Roma le persecuzioni contro i Valdesi. Lo stesso Risorgimento ha avuto una forte spinta laicista la cui parte migliore auspicava di arrivare finalmente a una “libera Chiesa in libero Stato”: la peggiore – quella anticristiana - ha tratto paradossalmente energia proprio dagli eccessi dell’ingerenza ecclesiastica nella politica degli Stati preunitari.
Alla fine, in questo alternarsi di eccessi, l’Italia unita ha finito per ricadere ancora una volta sotto l’influenza curiale che è talvolta una presenza assillante nella sua vita politica: nata per eliminare il potere temporale dei Papi, l’Italia è diventata essa stessa per certi versi un grande Stato della Chiesa. Oggi, con la diabolica alleanza fra alcune frange delle gerarchie ecclesiastiche e il comunismo si è creato un regime nemico di ogni libertà e differenza, ivi comprese quelle religiose. Solo con l’indipendenza, la Padania può tornare a garantire ai suoi popoli la più completa libertà religiosa, la sua antica tradizione di tolleranza e un migliore rapporto fra la gente e la tradizione cattolica. Con l’indipendenza, la Padania può tornare a garantire ai suoi popoli l’antica tradizione di tolleranza, alla luce oggi di una rinnovata laicità positiva, che sappia garantire a ognuno il diritto di vivere la propria fede religiosa con libertà autentica, nel privato come nel pubblico.
7 Per difendere le minoranze storiche
L’Italia unitaria è sempre stata nemica delle differenze. Per tentare di giustificare la propria ingiustificabile unità ha sempre cercato di imporre una coesione interna che esclude ogni specificità e che nega di fatto l’esistenza di comunità dotate di specifici caratteri etno-linguistici, culturali, religiosi e storici. In questo ignobile e anti-libertario processo di omologazione e di negazione delle grandi diversità presenti nella penisola, hanno finito per essere coinvolte non soltanto le comunità che parlano lingue celto-romanze diverse da quelle capziosamente considerate derivanti dall’Italiano (Occitani, Arpitani, Brigaschi, Ladini), o di ceppo germanico (Walser, Cimbri, Mocheni, Tirolesi, Carinziani) e slavo ( Sloveni, Croati), ma anche in più occasioni le comunità religiose storiche (Valdesi, Armeni, Israeliti). Qualche segnale di riconoscimento si è avuta negli anni più recenti ma ne hanno beneficiato solo le minoranze meno numerose e più “innocue”, magari ridotte a fenomeni di interesse folclorico o a “riserve protette” arricchite dal saccheggio turistico.
Per sopravvivere l’Italia deve negare ogni differenza organica che non sia marginale, magari introducendo e favorendo contrapposizioni pretestuose e semplicistiche (di tipo sindacale, di classe sociale ma anche di ancora più squallide, magari di stampo calcistico) e inventandosi nuove minoranze esogene importate per distruggere quelle antiche e diminuirne l’importanza.
Al contrario, la Padania costruisce la propria forza sul riconoscimento delle differenze e delle libertà di tutte le comunità storiche che costituiscono la sua vera e più grande ricchezza.
Solo con l’indipendenza della Padania possono essere garantite alle minoranze etno-linguistiche, culturali, storiche e religiose uno status di assoluta uguaglianza, la difesa delle peculiarità e l’esercizio di ogni diritto e di ogni forma di autonomia, ivi compreso quello di secessione o di annessione ad altre libere comunità.
8 Per conservare la nostra cultura
Tutte le variegate e variopinte espressioni della cultura dei popoli padano-alpini sono oggi soggette a un processo di omologazione e di italianizzazione forzata. Si tratta di una sistematica operazione di devastazione e di snaturamento che riguarda tutti gli aspetti delle nostre antichissime culture, dalle lingue (denominate con disprezzo “dialetti” o “patois”), alle tradizioni, ai costumi, ai modi di vita, alle istituzioni, alle espressioni artistiche e architettoniche, fino alle abitudini alimentari.
Questo processo viene attuato mediante leggi che sono uguali per tutto il territorio della Repubblica, che non tengono in alcuna considerazione le differenze locali e che privilegiano sempre usi e atteggiamenti “italiani”, quando non sono addirittura palesemente punitive per le culture padane. L’operazione viene rafforzata con l’utilizzo di personale meridionale nell’amministrazione e nelle scuole e con l’uso mirato degli strumenti di comunicazione di massa. Soprattutto, alle radio e nelle televisioni si parlano quasi esclusivamente lingue meridionali, si storpia la lingua franca con accenti mediterranei e si raccontano vicende, ambientazioni e situazioni sempre e solo molto “italiane” con un corollario di perversioni, violenze, abitudini a delinquere e comportamenti mafiosi estranei alla cultura dei popoli padano-alpini.
Si agisce soprattutto sui soggetti più giovani e indifesi trasmettendo loro una cultura foresta e cercando di farli sentire parte di un mondo e di una società che sono invece sostanzialmente estranei, lontani nel tempo, nello spazio ma soprattutto nella cultura.
Solo con l’indipendenza, le comunità della Padania possono valorizzare e vivere in piena libertà le proprie culture e tradizioni che devono tornare a essere l’elemento portante della vita sociale e del normale comportamento quotidiano delle nostre genti.
9 Per ristabilire antichi legami
Fin dai primi giorni del mondo, i popoli padano-alpini hanno sempre avuto stretti legami con i loro vicini e fratelli che vivono sulle Alpi e appena al di là delle montagne. Le Alpi non hanno mai rappresentato una barriera se non nella retorica patriottarda italianista che ha cercato di creare connessioni privilegiate con le popolazioni meridionali a scapito dei più antichi legami organici. Le genti provenzali, savoiane, svizzere, tirolesi e slovene sono sempre stati collegate a quelle padane, ne hanno condiviso la storia, spesso parlano lingue simili, hanno le stesse usanze e gli stessi problemi. Un proverbio occitano dice che “le montagne dividono le acque ma uniscono gli uomini”. In particolare, le Alpi non sono mai state nella storia europea un elemento di confine politico duraturo e impermeabile: solo l’Italia unita si è inventata l’idea di confine “naturale” geografico (coincidente con lo spartiacque alpino) e di “sacralità” di frontiere disegnate a tavolino in totale disprezzo della storia, delle identità e della volontà delle popolazioni. La storia padana è invece caratterizzata dalla presenza sull’arco alpino di moltissimi Paßstaat (“Stati di valico”) come i regni dei Cozii o di Sisualdo, la Savoia-Piemonte, la Svizzera e il Tirolo. Se esiste un confine fisico sensibile, questo è semmai costituito dall’Appennino tosco-emiliano che è sempre stato una barriera fisica di difficile attraversamento e un confine politico molto persistente.
10 Per conservare meglio il nostro patrimonio artistico
La Padania è da sempre un potente centro di produzione culturale e artistica. Fin dalla più lontana antichità è culla di abili artigiani e di capaci imprenditori, ma anche di artisti, poeti, scienziati e letterati. Molti degli artefici dello sviluppo culturale romano e medievale erano padani. Il Rinascimento è una invenzione padana e toscana. La Padania è una delle poche aree del mondo che sia stata interessata, senza rilevanti interruzioni temporali, dalla presenza di culture avanzate e attive per tutta la sua storia. Questo ha depositato sul nostro territorio una stratificazione di opere architettoniche e artistiche prodotte con costante copiosità per quasi tremila anni. Oggi questo incredibile patrimonio è in grave stato di degrado a causa della rapina economica cui sono soggette le nostre terre e in seguito a una politica culturale colonialista perpetrata dal potere centralista romano. Le nostre comunità locali, dissanguate da tassazioni esose, non sono più in grado di fare fronte alla gestione puntuale di tutto il patrimonio culturale presente sul territorio. Gli stanziamenti statali vengono poi distribuiti con criteri centralisti e colonialisti, prescindendo da una logica di merito e concorrenza, affidandosi piuttosto a un’impostazione assistenzialista che premia troppo spesso “chi meno fa e più chiede”, finendo così, inevitabilmente, per favorire le regioni meridionali da cui provengono anche quasi tutti i funzionari preposti.
L’atteggiamento colonialista romano ha anche un suo brutale risvolto nella ghettizzazione della cultura padana; si privilegia di fatto tutto ciò che è stato prodotto da Roma, dal classicismo e nelle plaghe mediterranee, a scapito del patrimonio padano: i reperti archeologici celti, liguri, veneti e longobardi spariscono nel fondo dei magazzini delle Soprintendenze e nei musei vengono esposti quasi solo cocci romani o greci. Lo stesso Rinascimento lombardo (e quindi padano) è considerato espressione provinciale e minore rispetto alla produzione toscana o papalina. In alcuni casi, la ghettizzazione culturale assume le forme di un chiaro accanimento (e avvertimento) politico: è il caso - ad esempio - di Venezia, lasciata crollare forse anche a causa del suo valore simbolico storico e attuale.
11 Per preservare le nostre forme di espressione artistica e architettonica
L’antico retaggio culturale celtico, veneto e longobardo ha generato, arricchendosi nel tempo di apporti esterni, un linguaggio originale di produzione artistica che trova i suoi punti di forza nell’amore per la decorazione, nel racconto fantastico, nelle figurazioni luminose e nel gioioso impiego del colore. Si tratta di una serie di costanti espressive che hanno attraversato tutta la storia dell’arte padana con leggere variazioni nel tempo e nelle diverse aree geografiche del paese.
Lo stesso grado di sostanziale omogeneità si riscontra nelle espressioni dell’architettura popolare, le cui svariatissime elaborazioni locali mostrano - assieme a forti peculiarità formali e a dialetti stilistici derivati dalla cultura del posto - alcuni sicuri elementi di forte comunanza: le coperture in pietra o coppi e, soprattutto, le facciate in intonaco dipinte a colori pastello e riccamente decorate con figurazioni o con finte architetture. E’ proprio l’immagine delle facciate dipinte a costituire il più forte elemento di coesione formale e culturale dell’architettura padana, di città e di campagna, di montagna e di pianura: dalla Genua picta alla grande pinacoteca che erano i canali veneziani, dal “Milano dipinto” alle più sperdute frazioni di collina.
Il centralismo italiano si è abbattuto su questi caratteri padani con furia iconoclasta, con l’introduzione di stili modernisti e apolidi che hanno volutamente cancellato ogni decorazione, con architetture “di regime” (fascista o post-fascista) derivate da immagini mediterranee e con la deliberata cancellazione di ogni forma di conoscenza dell’architettura e dell’arte popolare dalle scuole e dalle università. Anche in architettura (e in urbanistica) la penisola è stata forzatamente unificata nel brutto e nell’anonimo.
12 Per riportare colore e allegria nei nostri paesi
Uno dei più beceri luoghi comuni del razzismo italiano consiste nel descrivere la Padania come una terra triste, uggiosa, nebbiosa e fredda, abitata da gente ingrigita, mutrignosa, chiusa e triste. Per contro, ci sarebbe un Meridione allegro, solare, aperto, pieno di gioia e canzoni. Si tratta di una colossale falsità che confonde l’allegria con la rumorosità e che si dimentica della profonda mestizia di cui è permeata una cultura spesso cupa che deriva dai loro antenati Greci e Fenici, dall’influenza musulmana e da una lettura molto mediterranea e mediorientale del Cattolicesimo.
Il nostro patrimonio genetico è invece ancora pregno di caratteri celti e veneti, derivati da popoli che avevano colmato la loro vita di colori, di fantasia, di canti polifonici, di ganasseria spavalda, di grandi bevute, di una visione serena e “normale” della morte e di una notevole allegria di fondo. La chiassosità di quegli antenati è stata mitigata dal carattere chiuso e silenzioso di Liguri e Garalditani e da un modo più europeo di intendere i rapporti sociali nel quale le esplosioni di allegria devono essere incanalate in una ritualità comunitaria e non devono mai ledere i diritti altrui.
L’attuale e solo apparente mestizia dei popoli padani deriva semmai dalla loro condizione di assoggettamento culturale, economico e politico, e somiglia molto alla tristezza che popoli vivacissimi, come quello ungherese, mostravano sotto il giogo comunista.
Con la ritrovata libertà, questa terra tornerà a essere il paese dei gioiosi convivi, dei cori e delle bande, del carnevale e delle altre feste più antiche, il paese dei bardi, dei menestrelli, tre trovatori e dei mille colori in cui torneranno a convivere più armoniosamente serietà e allegria.
13 Per ripristinare la qualità dell’ambiente
Da sempre le aspirazioni all’indipendenza politica sono strettamente legate all’amore per la propria terra e al desiderio di vederne preservate le risorse e le qualità ambientali. Ogni cultura ambientalista seria non può che essere anche autonomista: le due cose sono inscindibili perché solo chi è libero e padrone della propria terra la può gestire nella maniera più oculata e amorevole. Costituisce anzi uno dei caratteri più odiosi di ogni potere coloniale quello di sfruttare i territori altrui degradandone ogni valenza e qualità ambientale. Oggi il territorio padano si trova proprio in queste condizioni di devastazione e di degrado a causa di un regime oppressivo e foresto che vive sul lavoro della Padania e che non si preoccupa di lenire nessuna delle devastazioni che sono conseguenti alla concentrazione di produzione. Oggi il territorio dei popoli padano-alpini viene devastato da un eccesso di presenza umana, da una concentrazione enorme di attività produttive, e da una gestione del territorio costantemente orientata a criteri politici e mai attenta a preservare un patrimonio che abbiamo ricevuto intatto dai nostri antenati. Talune aree hanno densità abitative e strutture da terzo mondo ma su queste aree il regime italiano continua a indirizzare un flusso di immigrazione più o meno clandestina che aggrava le già precarie condizioni ambientali complessive. Le grandi ricchezze qui prodotte vengono poi investite in larghissima parte altrove e non impiegate - come avviene in tutti gli altri paesi fortemente industrializzati - a mitigare gli impatti sull’ambiente che inevitabilmente derivano da una forte attività di produzione, specialmente se svolta in condizioni infrastrutturali inadeguate. In altre parole, qui si deve produrre tanto e a basso costo per soddisfare l’esoso fisco italiano che non reinveste quasi nulla sul posto e che dilapida altrove le nostre ricchezze.
Solo con l’indipendenza, la Padania potrà riacquistare il completo controllo delle sue ricchezze e impiegarle nella misura necessaria a rimediare alle devastazioni ambientali. La Padania libera dovrà addirittura porsi all’avanguardia della cultura ambientalista con il riutilizzo produttivo delle aree di collina e di montagna, con il decongestionamento delle aree urbane, con grandi investimenti per la qualità dell’ambiente e per il sistematico rimboschimento del suo territorio: essa tornerà veramente a essere una grande valle verde.
14 Per liberarci dalla criminalità organizzata
La mafia, la camorra e tutte le altre strutture di criminalità organizzata sono fenomeni tipicamente italiani del tutto estranei alla cultura della Padania, che non ha mai generato niente di neanche lontanamente paragonabile neppure nei momenti economicamente e socialmente più difficili della sua lunghissima storia.
Fenomeni come il racket, le estorsioni e i rapimenti sono del tutto sconosciuti alla mentalità della nostra gente.
La criminalità organizzata è penetrata nei nostri paesi solo dopo l’unità d’Italia e grazie alla connivenza e alla complicità del potere politico romano. Essa sta oggi soffocando le nostre comunità distruggendone le capacità economiche e imponendo con la violenza metodi di oppressione contro cui la nostra società non può difendersi perché è stata privata di ogni strumento: la magistratura, la polizia e il potere politico sono infatti in mano a gente foresta che proviene dalle stesse aree geografiche che hanno generato e tollerato i fenomeni malavitosi, e che deve la sua posizione (e i suoi privilegi) all’esistenza stessa dello Stato italiano di cui è - anche nel caso degli uomini più onesti - costretta ad accettare ogni inefficienza e compromissione.
Solo l’indipendenza della Padania potrà liberare la nostra gente dall’abbraccio mortale dei tentacoli della malavita attraverso l’opera di magistrati e gendarmi padani, di cultura padana, e impermeabili a ogni infiltrazione mafiosa e tendenza alla collusione. Le stesse organizzazioni mafiose non si troveranno più a operare all’interno della stessa struttura statale cui sono legate da un patto di mutua sopravvivenza ma saranno lontane dai loro covi di origine, separate da una barriera culturale ancora prima che giuridica e dovranno muoversi in un ambiente ostile, fra gente nemica dei loro metodi e lontana dalla mentalità che le ha generate e fatte crescere.
15 Per l’ordine e la sicurezza
La malavita (grande e spicciola, organizzata e non) che opera in Padania è quasi completamente di importazione italiana o extracomunitaria. La percentuale dei condannati e dei galeotti nati in Padania è minoritaria e riguarda nella grande maggioranza dei casi i reati meno violenti e più tipici delle società post-moderne. L’incidenza diminuisce ulteriormente se si sottraggono anche gli immigrati di seconda generazione che le statistiche annoverano fra i Padani. Si può affermare che la gestione della giustizia in Padania sia un fatto reso del tutto estraneo alla nostra gente: poliziotti, magistrati, funzionari di Tribunale, avvocati e guardie carcerarie sono in larghissima parte meridionali e i reati sono commessi in misura molto preponderante da foresti e da stranieri extracomunitari. I Padani sono presenti nelle statistiche quasi solo in qualità di vittime.
Oltre che dalla grande criminalità organizzata, la Padania è oggi impestata da uno stillicidio di reati commessi da un esercito di balordi, sbandati, drogati, piccoli delinquenti e mascalzoni abituali che rendono insicure le nostre strade e anche le nostre stesse case. Si tratta di misfatti che sono particolarmente odiosi perché sono commessi contro la gente comune, contro i più deboli, contro tutti i cittadini che non sono difesi e a cui è impedito di difendersi da uno Stato inefficiente, spesso corrotto e a volte in aperta combutta con la criminalità. A volte il lassismo italiano è frutto di precise scelte politiche, come nel caso della accettazione degli immigrati clandestini e degli zingari cui vengono concessi la più totale immunità e addirittura congrui sussidi economici. Solo la presenza di una magistratura e di una polizia locale, con leggi fatte da una Padania indipendente potranno ridare sicurezza e serenità a popoli tornati padroni a casa loro e liberi di vivere secondo le proprie usanze costruite sull’abitudine al lavoro, sull’onestà e sul rispetto scrupoloso della legalità.
16 Per una giustizia migliore
Il termine di “giustizia” ha perso in Italia il suo più vero significato. Oggi ottenere giustizia è difficile ed è quasi impossibile farlo entro limiti di tempo civili. Le cause normali arrivano a durare decenni e solo quelle dei potenti hanno qualche possibilità di concludersi in tempi ragionevoli, a meno che i loro avvocati non decidano di puntare alla assoluzione tramite lo strumento della prescrizione e decidano di operare scientificamente per ottenere questo obiettivo. Le sentenze hanno l’aspetto di declamazioni iniziatiche, di trucchi procedurali e non c’è fiducia nella giustizia pubblica. La nostra gente si sente (ed è) vittima di cavilli, di legulei verbosi e inconcludenti, di formule ermetiche che non capisce e che sicuramente non rispondono alle sue esigenze e alle necessità di ogni società civile. Il diritto romano, che aveva già il vizio di origine di favorire non già la ricerca della verità ma l’abilità dialettica e procedurale, si è ulteriormente degradato in una visione bizantina e borbonica della giustizia che ha perso di vista da tempo il suo vero scopo primario che è quello di scandire sulla base della “amministrazione della giustizia” i ritmi della vita comunitaria. La nostra gente si sente avviluppata da un sistema truffaldino di parole e inganni, che è forse adatto a certa italica assuefazione all’imbroglio o alla mediterranea tolleranza per le pulsioni a delinquere, ma che si scontra con la mentalità europea dei Padani cui meglio si adatterebbero sia le consuetudini giuridiche longobarde che quelle più moderne anglosassoni fatte di pragmatismo, chiarezza e certezza delle sentenze.
Con l’indipendenza, la Padania avrebbe l’occasione di darsi poche leggi semplici e chiare, di cancellare il macchinoso apparato legislativo italiano (fatto di oltre 200mila leggi e leggine) e di ridare alle proprie genti una giustizia efficiente e credibile.
17 Per risolvere il problema degli extracomunitari
L’Italia non ha nessun interesse a risolvere il problema dell’immigrazione clandestina le cui nefaste conseguenze sono in larga parte scaricate sui popoli padano-alpini. Il regime che gestisce la Repubblica vede nell’invasione extracomunitaria l’occasione di loschi affari economici, di rivalse elettorali anti-padane (mediante il voto concesso agli stranieri), di perturbazioni sociali da cui ha sempre sperato di trarre vantaggi politici. In particolare gli stranieri (meglio se irregolari) sono la scusa per il mantenimento in vita di organizzazioni di assistenza generosamente sovvenzionate con denaro pubblico, sono fonte di reclutamento di manovalanza per la criminalità organizzata e sono l’occasione per saldare vecchi debiti politici (contratti con i vecchi regimi comunisti o con i paesi islamici) nati da poco chiare transazioni e mediazioni economiche o da appoggi di vario genere.
Nell’invasione straniera, le forze politiche anti-padane e unitariste vedono una forma di edulcoramento delle identità popolari e la distruzione di tessuti sociali antichi e vitali. La società multirazziale che caldeggiano non è che la naturale continuazione della criminale politica di annullamento delle culture locali a vantaggio di una identità italiana artificiale e innaturale. In aggiunta, i nazionalisti italiani – sempre alla ricerca di motivi o di nemici esterni sui quali cercare di costruire e giustificare l’inesistente identità italiana – vedono nella minaccia dell’invasione extra-comunitaria una scusa per compattare i cittadini della Repubblica in nome della difesa di una comunanza che è artificiale e che può trovare qualche valore solo di fronte a diversità ancora più marcate.
La Padania indipendente si baserà sul fondamentale riconoscimento delle identità locali che dovranno essere difese da ogni tentativo di disgregazione. Saranno da noi benvenuti e tutelati tutti gli stranieri che metteranno a disposizione della comunità la loro voglia di lavorare . In Padania entrerà però solo chi sarà in regola con le disposizioni di legge e se ce ne sarà effettivo e dimostrato bisogno. Finchè c’è anche un solo padano senza lavoro non ha senso che entri alcuno straniero, esattamente come accade in ogni paese civile che vuole rimanere tale.
18 Per disporre di un sistema di infrastrutture moderno ed efficiente
Pur disponendo del prodotto interno lordo (PIL) pro-capite tra i più elevati dell’Unione Europea, la Padania vive in una situazione fisica e sociale da terzo mondo con un patrimonio infrastrutturale vecchio e cadente, che costituisce un aggravio aggiuntivo ai costi di produzione. L’Italia investe da decenni i soldi drenati in Padania in infrastrutture a volte faraoniche, inutili e inutilizzate nel Meridione e non provvede alla costruzione di opere essenziali alla vita delle nostre comunità. Così, si costruiscono strade e autostrade nel sud dove non c’è alcuna reale necessità, si progetta e si finanzia un megalomane e costosissimo ponte sullo Stretto di Messina e nelle regioni padane si viaggia su strade strette, antiquate, intasate fino all’inverosimile e si richiedono pedaggi esosi per tratte autostradali dove ci si muove a passo d’uomo. Lo stesso vale per le ferrovie e per gli aeroporti, e in parte ancora anche per la rete telefonica, per i sistemi di cablaggi, per le comunicazioni via etere e - peggio del peggio - per i servizi postali.
Nella Padania indipendente il sistema stradale e autostradale potrà essere razionalizzato e potenziato per consentire spostamenti di uomini e merci con rapidità, i pedaggi potranno essere aboliti o concentrati in un unico pagamento su modello svizzero, e potranno essere raddoppiate e modernizzate le principali linee ferroviarie. Le risorse qui prodotte potranno finalmente essere investite nelle infrastrutture per favorire ulteriormente la capacità produttiva in un processo virtuoso.
Questo è sempre stato un paese all’avanguardia nelle ricerche e nelle applicazioni tecnologiche e l’indipendenza gli permetterà di tornare al passo con i paesi stranieri più avanzati.
19 Per mettere fine a ogni forma di razzismo contro i Padani
Oggi i popoli padano-alpini sono oggetto di continui attacchi e discriminazioni anche di stampo razzista. Questo avviene sotto forma di larvate calunnie, che tendono a evidenziare e valorizzare cultura e storia dei popoli meridionali a discapito di quelle dei padani. Il Sud, si sente ripetere, è un paese dalla civiltà millenaria e dalla profonda cultura, mentre la Padania è una plaga poco più che barbara, appena rischiarata dal faro della civiltà mediterranea. Sui giornali e nelle televisioni, frotte di presentatori grassocci, di giornalisti sapüta e di filosofi arroganti non perdono occasione per insultare i popoli padani e per esaltare l’intelligenza e la furbizia mediterranea.
Questo atteggiamento discriminatorio ha un suo corollario pratico nei risultati dei concorsi pubblici e nell’assegnazione di posti di lavoro e di privilegio: i laureati nelle università meridionali hanno inevitabilmente voti più alti, nei ministeri, nei posti di comando, nelle redazioni dei giornali e dei telegiornali vengono spediti quasi solo meridionali più furbi (e raccomandati) dei Padani. Solo l’indipendenza della Padania può porre fine a questa situazione discriminatoria: si potrà utilizzare al meglio innanzi tutto la nostra gente e le graduatorie dei concorsi potranno finalmente essere compilate sulla base di meriti effettivi e non in funzione del luogo di nascita o dell’etnia di appartenenza.
20 Perché non ci piace essere chiamati mafiosi
Ogni volta che si ha a che fare con degli stranieri che non ci conoscono personalmente, c’è il concreto pericolo, in quanto cittadini italiani, di essere vittime di giustificati pregiudizi e di sospetti di predisposizione ad atteggiamenti mafiosi. L’idea che in giro per il mondo si ha degli Italiani è infatti quella di un popolo di camorristi, mandolinisti, traditori, ladruncoli e mangiatori di spaghetti: ovunque si raccontano barzellette sulle doti di “eroismo” dell’esercito italiano, sull’abilità di maneggiare coltelli e grimaldelli degli abitanti della penisola e sull’agilità nel “cambiare alleanze” dei loro degni governanti.
Questo è il frutto di poco edificanti episodi storici dell’ultimo secolo (in realtà dell’intera storia unitaria), del comportamento di tanti emigrati mediterranei e della pessima stampa che gli Italiani stessi si sono saputi costruire. Nei paesi dove c’è stata una forte emigrazione di genti padane è sempre sufficiente specificare la propria regione di provenienza per vedere radicalmente cambiati giudizi e atteggiamenti ma in tutti gli altri posti occorre ogni volta cimentarsi in laboriose disquisizioni per spiegare la differenza fra i vari tipi di popoli che sono in giro genericamente conosciuti come “italiani”.
Sono inconvenienti che non capitano di certo a Ticinesi, Monegaschi o a cittadini di San Marino. Sono guai che non capiterebbero neppure più ai cittadini della Padania qualora questa fosse indipendente: essi sarebbero infatti accolti come gli abitanti di un paese civile e rispettabile, come uno dei paesi più colti e prosperi del mondo.
21 Per salvaguardare la nostra agricoltura e i nostri prodotti
Oggi l’agricoltura padana è attiva e produttiva ma è continuamente penalizzata dallo Stato italiano che favorisce in ogni occasione quella mediterranea. Nei rapporti con la Comunità Europea, il governo di Roma ha sempre difeso solo i prodotti meridionali (magari non competitivi) e sacrificato quelli padani che sono invece di ottima qualità e che avrebbero immense possibilità di conquistare mercati anche difficili. Roma difende – ad esempio - le produzioni di olio di oliva e di agrumi ma sacrifica criminalmente i produttori di riso, latte e carne. I nostri vini, che potrebbero conquistare ogni mercato, vengono penalizzati dall’obbligo della distillazione, favorendo i prodotti scadenti meridionali. Si è addirittura arrivati a inventare una sgangherata mitologia attorno alla così detta “dieta mediterranea” per favorire certi prodotti e certi comportamenti. La Padania ha una gamma di prodotti agro-alimentari vasta per varietà e ineguagliabile per qualità che viene sistematicamente umiliata dal colonialismo romano. Charles De Gaulle diceva che la civiltà di un paese si misura anche dal numero e dalla qualità dei formaggi che produce: anche in base a questa classifica semiseria (ma non priva di verità), la Padania libera potrà riacquistare il suo ruolo di uno dei paesi più civili del mondo.
Nella competizione mondiale occorre potersi cimentare con la massima agilità e liberi da condizionamenti paralizzanti: anche nella difesa contro la concorrenza commerciale sleale lo Stato italiano continua a privilegiare la produzione meridionale a danno di quella padana, oppressa da regolamenti illiberali e farraginosi, schiacciata dall’oppressione fiscale, sacrificata alle scelte europee ed esposta alla concorrenza piratesca di paesi privi di regole.
22 Per interrompere la “marcia verso la morte” della nostra gente
Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale il tasso di natalità della popolazione tirolese della Provincia di Bolzano era pericolosamente precipitato a fronte di una crescita demografica di quella "italiana" e di un continuo flusso immigratorio. In quella occasione si era parlato di “marcia verso la morte” della antica comunità sud-tirolese. Il fenomeno si è interrotto e ribaltato con l’ottenimento di ampie forme di autonomia: oggi quella comunità è vitale e mostra la propria forza richiedendo fette sempre più grandi di libertà.
L’intera Padania sta oggi vivendo una esperienza simile: è il paese con il più basso tasso di natalità del mondo intero e vede la propria terra riempirsi di immigrati prolifici. Le cause di questa situazione vanno cercate nella precarietà di tante situazioni economiche, nell’incertezza del futuro ma anche nella caduta di libertà, nella perdita di fiducia nelle risorse comunitarie e nella crisi di identità. Molti Padani hanno oggi paura di affidare i loro figli a una società “spadanizzata” e impoverita di quei valori che hanno sempre fatto di questa terra un focolaio di vita e di vitalità. Cresce l’insicurezza e la sensazione di non poter garantire alle generazioni future una adeguata condizione socio-economica, livelli sufficienti di sicurezza e soprattutto un ambiente caratterizzato da sicuri riferimenti identitari, in continuità con una tradizione antichissima.
La pericolosa tendenza può essere invertita solo ridando alla nostra gente fiducia e speranza: è certo che l’indipendenza della Padania (con la conseguente prospettiva di ricostruire una società piena di antiche certezze e di forti identità) porterebbe la nostra società a trovare condizioni anche demografiche più equilibrate. Popoli liberi mettono al mondo figli desiderati e liberi.
23 Per tornare ad essere europei
La Padania è da sempre il cuore dell’Europa. Qui sono sorte le prime comunità organizzate dell’Europa continentale, qui hanno abitato popoli che provenivano dal centro e dal nord dell’Europa. La Padania ha sempre avuto contatti strettissimi con i paesi d’oltre Alpi, ha fatto parte delle stesse entità politiche e degli stessi processi culturali. Essa fa parte di quella Europa Lotaringia che va dai Paesi Bassi alla Toscana e che è da sempre la patria delle autonomie locali, della tolleranza e della strenua difesa delle libertà individuali e comunitarie. Per millenni i suoi legami più stretti sono stati con la Gallia, la Catalogna, l’Occitania, la Toscana, la Svizzera, la Baviera, la Renania, l’Austria, la Dalmazia, l’Ungheria e anche – in alcuni importanti momenti - con l’Irlanda. A questi si aggiungevano stretti rapporti culturali e commerciali con l’Oriente mediterraneo che facevano della Padania un formidabile crocevia di idee, uomini e merci.
Con l’unità d’Italia, questi contatti e rapporti si sono rovesciati: tutti i legami storici della Padania sono stati tranciati per creare un sodalizio artificioso e innaturale con Roma, il Meridione e con il mondo mediterraneo. L’Italia romana si colloca oggi ai margini della vera Europa, dove si costruisce la storia e l’economia contemporanea, è un paese provinciale e periferico, quasi balcanico. La Padania si è così trovata a dover intrattenere relazioni con paesi sostanzialmente estranei alla sua storia e a dover rinunciare ad antichissimi legami organici che solo con l’indipendenza potrà riallacciare ridiventando così un paese europeo a tutti gli effetti.
Dalla svilente condizione di periferia, quasi di appendice, d’Europa, la Padania deve tornare a riappropriarsi del suo ruolo di protagonista.
24 Per rispetto di tutti quelli che sono morti per la libertà
La storia padana è una continua lotta per le libertà e le autonomie dei suoi popoli. Per questo, nel corso dei millenni della loro storia, i Padani hanno sacrificato ricchezze e vite umane: dai combattenti celti e longobardi, ai cavalieri della Lega, dagli Insorgenti fino a tutti gli uomini che sono morti sulle barricate milanesi del 1848 per l’autonomia e anche nelle guerre del Risorgimento, convinti di lottare per l’indipendenza e per la creazione di un Regno dell’Italia Superiore. Tutti i nostri morti meritano rispetto, anche quelli che sono stati costretti a combattere contro la propria volontà, o che sono caduti senza la precisa consapevolezza delle loro azioni. L’Italia ha sempre creato discriminazioni anche fra i morti: quelli “buoni” cui dedicare monumenti e onori e quelli “cattivi” da disprezzare e dimenticare. La Padania libera mostrerà grande rispetto per tutti: per i soldati lombardo-veneti di Radetzky che volevano conservare le autonomie locali all’interno dell’Impero, anche per i garibaldini che credevano in buona fede di costruire un paese migliore, e per le migliaia di Padani massacrati nella Prima Guerra Mondiale (e in tutte le altre guerre) per disciplina, per senso del dovere e per ubbidienza nei confronti di chi ha abusato di loro “per costruire il sentimento nazionale” e per perseguire fini economici e politici d’altro genere.
Tutti i nostri morti saranno rispettati: quelli vittime del colonialismo italiano a fianco di quelli che si sono coscientemente battuti per difendere le proprie case, i propri beni e le proprie antiche libertà contro prepotenti e oppressori.
25 Perché lo permettono e sollecitano le norme internazionali
Esiste tutta una ormai consolidata traccia giuridica internazionalmente riconosciuta, che va dai 14 punti del presidente Wilson alla Carta di Helsinki, che garantisce la solidità del diritto di autodeterminazione di ogni popolo, di ogni comunità organizzata. secondo tali documenti, che non fanno che ribadire un inalienabile diritto naturale, ciascuna comunità umana deve godere della assoluta libertà di disporre dei propri destini decidendo la propria forma istituzionale, con chi stare e con chi non stare. Tali diritti spettano in qualunque condizione storica ma assumono la valenza di quasi-obbligatorietà e di dovere morale e sociale quando le comunità sono oggetto di deprivazione economica e culturale, quando la loro esistenza è gravata da oppressione fiscale da parte di uno Stato o di una comunità diversa, e quando la loro stessa esistenza di popolo è messa in pericolo da un’opera di snaturalizzazione e cancellazione identitaria.
Le comunità dei popoli padani sono soggette ad autentiche forme di oppressione culturale e a un sistematico sfruttamento economico da parte dello Stato italiano: si tratta di condizioni che rafforzano e rendono ancora più legittima la loro richiesta di autodeterminazione, che assurge a doverosa azione per “difendere e conservare in buono stato sé, i loro beni ed i loro diritti”, secondo la felice formula contenuta nel giuramento che sta alla base dell’indipendenza dei Cantoni Svizzeri.
Naturalmente la Padania indipendente dovrà garantire il rispetto di uguali diritti di autodeterminazione a tutte le comunità che la compongono.