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Sacro

Ultimo Aggiornamento: 12/02/2013 20:28
15/09/2006 16:42
 
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Dal latino "sacer" (=sacro, contrapposto a profanus), da una radice "sak-" (che indica avvincere, aderire, quindi cosa avvinta dalla Divinità, intoccabile, che contamina, sacra nel doppio senso di favorevole e maledetta o nefasta: "auri sacra fames, quid non cogis pectora mortalium" Virgilio* ), presente in area italica (osco "sakra", umbro "sakra") e germanica; in area greca e indiana invece è sostituita dalla radice "tyeg-" (greco "sébo"=io venero). Dalla stessa radice "sak-", sanctus, gotico "sakan", greco "hazomài" (=io rispetto) e "hàgios" (=santo) da cui agiografia (letteratura che tratta la vita dei santi, dei beati e dei venerabili).

tratto dal Dizionario etim. di B.Colonna.

* La frase in latino non sono riuscita a tradurla, il mio dizionario è piccolo e i termini non si trovano tutti...
L'ho comunque riportata, perchè non si sa mai...magari qualcuno ci riesce... [SM=g27817]
15/09/2006 17:58
 
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Consultate anche la definizione di Etimo- Sacro-. Qui viene detto che l'Osso sacro si chiamava così perchè gli antichi lo offrivano alla Divinità prendendolo dalle loro vittime. Secondo il Devoto invece l'Osso sacro si chiamerebbe così perchè è grosso.
Secondo alcuni invece tale Osso sarebbe sacro per motivi molto più particolari perchè essendo alla base della colonna vertebrale sarebbe quindi vicino (o "ospiterebbe") la kundalini, l'energia sacra che scorre nel corpo partendo da lì, se viene risvegliata, e che irradia il suo potere. Definizione a mio parere molto più azzeccata delle precedenti, che probabilmente non sono altro che supposizioni.
Quanto alle derivate troviamo Sacerdotessa e Sacerdote, entrambe parole nate da "sacer" che come diceva anche Twilight significano "avvicinare, cingere" al Divino, interpretabile forse con "entrare in vicinanza, entrare in comunione" con il Divino e quindi accoglierlo in sè come parte di noi stessi (o meglio, risvegliarlo in sè e provarne la vicinanza).
La Sacerdotessa e il Sacerdote sono quindi coloro che sono stati resi sacri e che si sono resi sacri, perchè si sono ricongiunti col Divino. Le parola "sacerdote" e "sacerdotessa" inoltre, sono composte da sacer e "dot-eos", aggettivo verbale di "di-do-mi", che significa "io do" e diventa anche "fare, io faccio".
La sacerdotessa e il sacerdote sono quindi coloro che "danno il sacro", ovvero insegnano e offrono il sacro e "fanno cose sacre".

Da qui nasce inoltre Consacrare, parola che oggi è usata in modo a dir poco ridicolo (e io ammetto di essere stata una di quelle che la usava così), ma che vuol dire "rendere sacro" e "fare sacro". E' impensabile quindi che una normale persona che non abbia mai conosciuto il vero Sacro "consacri" se stessa o consacri determinati oggetti, per il semplice fatto che solo chi si è reso sacro, attraverso difficili percorsi iniziatici e prove e solo dopo aver ritrovato la pienezza del Divino in sè, può essere in grado di farlo, mentre chi non si è reso sacro non può anche solo pensare di essere in grado di consacrare qualcosa. Ed è anche chiaro che la sfera del Sacro non è certo mentale o razionale, dato che nei riti iniziatici ciò a cui si aspirava era proprio l'annullamento del pensiero e della mente.

15/09/2006 22:49
 
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il mio latino è un po' arruginito, ma ho chiesto aiuto ad un amico che ritengo competente in materia... [SM=g27824]

auri sacra fames, quid non cogis pectora mortalium = sacra avidità dell'oro, a cosa non costringi il cuore dei mortali


15/09/2006 23:11
 
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Una fenomenologia del Sacro ne mette in evidenza le diverse forme di realizzazione storica, il cui carattere comune è la possibilità di essere inerente alle cose più varie: luoghi (templi, santuari naturali), periodi di tempo (festività contrapposte ai giorni comuni, cicli cultuali), azioni (riti, cerimonie), testi pronunciati, tramandati, scritti (miti, preghiere, formule, narrazioni sacre), persone (re divino, sacerdoti, monaci), oggetti (feticci, oggetti sacri.

La sacralità potrebbe conferire particolari poteri alle cose ed alle persone in cui ha sede; tali poteri possono assumere forma impersonale (mana), oppure possono originariamente essere in una persona (divinità) che le trasmette alle cose.

Nei luoghi Sacri si possono ottenere particolari benefici, ma se il comportamento richiesto viene violato, accadono conseguenze deleterie, com’è testimoniato dalle credenze nell’infrazione del tabù. Tale ambiguità è presente anche nell’etimologia del termine Sacro.
Servio, commentando l’espressione virgiliana auri sacra fames, parla del Sacro come contaminazione ed orrido per eccellenza, ma anche come purezza e positività rasserenante. Così il greco agioz ha il doppio significato di Sacro e contaminato.

La sacralità è solitamente legata alla presenza di qualità eccezionali od eminenti (monti, boschi, fiumi, come elementi caratterizzanti di un ambiente, momenti significativi nel ciclo delle stagioni o nell’economia del lavoro, persone con posizione sociale dominante). In campo filosofico, in opposizione a profano, Sacro è ciò che è separato, riservato ad un essere superiore, come la divinità. Il Sacro indica la caratteristica essenziale del divino, la trascendenza. Le persone o le cose che vengono che vengono messe a disposizione del culto, finiscono per assumere la stessa sacralità e separatezza di Dio. Alla trascendenza è legato anche il senso del mistero, che costituisce l’altra caratteristica del Sacro.


tratto da: www.guruji.it/dizionarioesoterico/dizionario/index.htm






I come from the darkness and in the darkness rest.
My appearance is black, my spirit is white and red is my flow. 

With a hand I wound and with the other cure, my lips enchant and my eyes bind.
I am not good and am not bad, am not hatred and am not love. I live from always,
I was born yesterday and I will die tomorrow,

showing my light to who has the courage to catch up me ...
Do not follow me, you would not find I ...

Guess me in of you, in that dark place of the soul where the conscience shines without beliefs ...
I will so show myself at your side patiently smiling to your tender fears ...

[Modificato da Ithilla 15/09/2006 23.12]

16/09/2006 16:18
 
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il tedesco heilig (sacro) heil (intero) heilen (sanare) ci rivela che sacro, etimologicamente è SANO, INTERO. In inglese, holy (sacro) whole (intero).. mettendo insieme un pò di collegamenti storici e morfologici sulla parola holy, confermano che sacro è ciò che è intero. Quindi in questi contesti sacro non significa 'totalmente diverso e diviso dal mondo terreno' ma anzi, cioè che è sacro coincide con sano, intero non distrutto. Un ricerca sull Antico Testamentocioè che è sacro (qados-tahor) è imparentato etimologicamente con SEPARARE., in visione dualistica del mondo: il SACRO di qui, LA TERRA profana di là.
nell Antico Testamento, Dio, dopo il peccato dei genitori(Genesi 3.17) maledice la terra, che da quel momento produrrà solo rovi e spine, come segno della sua condanna: al regno ultraterreno di Dio si contrappone ora una terra sporca, terra di peccato. Dio è quindi diviso dal mondo, privo di ogni tratto terreno e quella di una terra che ha perduto ogni segno di sacralità.

Liberamente tratto e commentato da me da *Dio dorme nella pietra* di Kaiser

24/05/2010 19:36
 
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Ho preparato queste cose per la lista di Argante, in cui abbiamo iniziato lo studio delle parole come facciamo noi qui, e riporto tutto:

La parola "Sacro" deriva dalla radice indoeruopea "sac/sak/sag" che significa letteralmente "aderire", "attaccarsi", "avvinghiarsi", e come dice il dizionario, "onde ne verrebbe il senso di cosa avvinta alla divinità".
Ciò che è sacro è ciò che è attaccato al Divino, ovvero FA parte del Divino.
Oggi usiamo questa parola quando ne abbiamo voglia e quando "ci serve", ma il più delle volte sbagliamo, perchè il più delle volte, quando diciamo "questo è sacro" o usiamo la parola "sacro" come aggettivo sparso ovunque a piacimento, in realtà ci riferiamo a cose che non sono assolutamente sacre, perchè non sono aderenti al Divino, non sono parte integrante del Divino o non sono tornate ad esserlo dopo un lunghissimo Cammino di Ricerca (se ci riferiamo a persone che si autodefiniscono sacre, o peggio ancora "sacerdotesse", parola di cui studieremo a fondo il significato).

***

la parola "sacro" indica anche ciò che segue o si accompagna al Divino, ovvero ciò che lo cerca, ne segue le tracce e lo ama.
Forse la nostra Ricerca potrebbe in certi sensi essere sacra, perchè cerca la riunione con la Grande Madre, anche se non dobbiamo dimenticare che ciò che E' SACRO è ciò che è già avvinto al Divino e che si è riunificato ad esso - oppure è sempre stato ad esso unito, come le manifestazioni pure della Natura, gli animali, le piante, la terra, le rocce, le acque e tutto il resto.

Ho aspettato un pochino per lasciarvi prendere confidenza con la parola, ma ora vi riporto un pezzettino splendido tratto dal libro che vi consiglio caldamente, "All'Origine della Parola", di Mario Negri:

“La parola sacro, derivante dal latino sacer, indicava “ciò che era di proprietà, di competenza o sotto la protezione di un Dio”.
Nei tempi antichi quasi tutto era sacro, dato che la Divinità, nella forma specializzata di numerosi Dei e semi dei, si manifestava in continuazione in ogni aspetto della natura e quasi in ogni atto dell'uomo.
Gli antichi potevano certamente affermare di vivere in modo sacro, in un ambiente sacro. Le foreste erano sacre, ogni animale era tutelato da un particolare Dio, i fiumi erano considerati semi Dei, Ninfe e Sirene proteggevano i laghi e i mari, il vento, le folgori, le eruzioni vulcaniche e via dicendo erano una manifestazione di qualche Dio.
Ma anche il mietere il grano era un atto sacro, così come vendemmiare, fare la guerra, fare all'amore, tessere, fare delle gare e delle prove di abilità, riposare, brindare, nascere e morire.
E quanto più si va indietro nel tempo sembrerebbe che il sacro fosse sentito dall'uomo dei primordi come il perno centrale intorno al quale ruotava e aveva un senso la sua vita. Lui stesso, del resto, era sacro ed infatti certi antichi testi affermano che l'uomo primordiale era lui stesso un Dio, che presumibilmente non aveva quindi bisogno di una religione, né di una iniziazione.
(...) gli uomini primordiali potevano sentire, vedere e percepire in un modo molto diverso da quello che è considerato normale dalla quasi totalità degli uomini dei nostri tempi.
(...) essi probabilmente sentivano il sacro, intuivano negli avvenimenti anche apparentemente occasionali, e certamente non solo negli aspetti terrifichi della natura, dei segni attraverso i quali parlavano e si manifestavano le forze e le potenze invisibili che si muovevano ed agivano in loro, attraverso di loro e fuori di loro, e molto frequentemente vedevano gli spiriti naturali e gli Dei, ne udivano le voci, partecipavano al loro stato d'essere ed entravano in comunione con la loro gioia, con la loro forza e con la loro naturalezza.”

“La parola latina sacer potrebbe essere considerata derivata dalla radice indoeuropea sac, sak, sag, che ha il senso di “cercare”, di attaccarsi”, come in antico tedesco suochan ed in tedesco moderno suchen, che vuol dire “cercare”, ed in lituano segti che vuol dire “attaccare”.
In tal caso il senso della parola sacro si riferirebbe a ciò che è avvinto, attaccato alla Divinità.
Ovvero tale parola deriva dal sanscrito sacate che ha il senso di “seguire, accompagnare” ed a volte anche di “adorare” con riferimento alla Divinità. In tal caso ciò che è sacro sarebbe ciò che accompagna, segue od è in rapporto con la divinità.”

(All'Origine delle Parole, Mario Negri, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 2002, pag. 189-190-193)

***

Cosa è per voi Sacro? Cosa significa "essere attaccati al Divino"? Qual'è l'impulso originario che ha fatto nascere questa parola?

Bacetti,
Violet




"Oltre ogni tempo e tuttavia nel cuore del tempo."
Haria

"Incappucciate e velate, con le trecce color notte, le Fate porteranno ciò che nessun profeta intuì."
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02/06/2010 21:07
 
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Cosa è per voi Sacro? Cosa significa "essere attaccati al Divino"?



Condivido pienamente l' importanza di questa domanda,
se una persona non si chiede cosa è sacro per lei significa che non ha un orientamento o quanto meno che considera solo il piano orizzontale (trama) e non vede il piano verticale (ordito).

Pensare a come siamo orientati può risolvere molti interrogativi e rendere le cose più semplici di quanto sembrino. Secondo gli alchimisti infatti noi non possiamo stare fermi o andiamo in alto, verso il divino, o andiamo in basso, ci allontaniamo da esso.
Essere orientati quindi, sapere verso cosa ci stiamo muovendo, è fondamentale.
Questo concetto pone chiarezza anche sull' idea di peccato, infatti se un atto sacro è tutto ciò che ci avvicina al divino e crea una connessione con esso, il peccato è tutto ciò che ci allontana e crea un' interruzione tra noi e il divino.
Castaneda parla spesso di "ripulire l' anello di collegamento con il divino" e definisce impeccabile (senza peccato) quel comportamento che lo favorisce.
Ovviamente questo non centra niente con l' idea di peccato trasmessa dalla chiesa, non vi è nessuna colpa ne punizione futura per chi si allontana dal divino bensì un cambiamento nell' attimo presente che noi possiamo sentire dentro indipendentemente da quello che ci dicono gli altri.

A questo punto nasce un' altra domanda: quali segni si manifestano in noi quando ci avviciniamo al divino? E quali invece quando ci allontaniamo?
In fin dei conti è solo attraverso la sensibilità e un' attenta osservazione di noi stessi, di ciò che ci accade, che possiamo sapere come siamo orientati.

So di non aver risposto esattamente alla tua domanda Violet, ma in questo momento mi sono uscite queste parole... [SM=g27821]






Alcuni uomini si adattano alla realtà, altri la creano~


02/06/2010 23:07
 
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Visto che ultimamente ho sempre poco tempo da dedicare al forum non avevo letto questa discussione, ma sono contenta che arcobaleno l'abbia portata alla mia attenzione rispondendo, perché mi ha fruttato una piccola intuizione.

Per rispondere alla domanda di Violet cos'è il sacro, mi ha folgorato l'idea sia ciò che di divino c'è nelle cose. Cercare il sacro è cercare il divino in ogni cosa (che ce l'abbia) ed avvicinarsi a quella parte che è anche la "vera" cosa in sé. Sto sfociando nella filosofia forse, ma non riesco a spiegarmi più chiaramente per ora.
Tutto sta nell'avere o nel guadagnarsi la giusta sensibilità per percepirlo e la forza e la determinazione di cercarlo sempre al di sopra di ogni altra cosa...

Per rispondere anche ad arcobaleno, così senza troppo stare a pensarci mi vien da dire che si capisce se una persona è lontana dal divino perché è spenta, triste, tirata e sofferente...vicino al divino non potrebbe mai esserlo. Elementare forse, ma è ciò che penso...




03/06/2010 18:46
 
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Un pò ingarbugliato alle prime battute [SM=g27828] ma con

Tutto sta nell'avere o nel guadagnarsi la giusta sensibilità per percepirlo e la forza e la determinazione di cercarlo sempre al di sopra di ogni altra cosa...


,ho capito meglio il tuo pensiero Elkina :)

Secondo me quando una persona è "spenta, triste, tirata e sofferente" vero è che sia lontana dalla percezione del divino, ma bisogna anche capirne il perchè.. cioè, questo stato d'essere può dipendere da troppe cose, e nulla ci dice che anche quando si è "spenti" si è alla ricerca di qualcosa che poi diventerà luminoso. Il buio è forse necessario per covare energia dentro, per vedere e apprezzare veramente la luce. Non so se mi spiego.. [SM=g27819]

Ho avuto anch'io un'intuizione, sempre se le abbia saputo dare un senso. Arcobaleno scrive

Secondo gli alchimisti infatti noi non possiamo stare fermi o andiamo in alto, verso il divino, o andiamo in basso, ci allontaniamo da esso. Essere orientati quindi, sapere verso cosa ci stiamo muovendo, è fondamentale.


ed io ho collegato tali parole al concetto che Irina Naceo fa della danza: mi riferisco all'apertura verso l'alto e a quella verso il basso, verso il divino o verso l'isteria, l'orrore, il nichilismo.
So che la danza va ben distinta dagli altri aspetti della vita, ma è anche essa stessa vita, una forma per esprimere se stessi, quindi in qualche modo divina se intesa com'era ai primordi.
Una similutidine può meglio chiarire ciò a cui sto pensando: "essere orientati quindi, sapere verso cosa ci stiamo muovendo, è fondamentale" quanto e quando nel momento in cui danzando ci si muove in un modo anzichè in un altro, o meglio, a che tipo di danza ci si orienta, se una codificata o una più libera.

Non vorrei finire fuori tema, infatti mi fermo qui, anche perchè non ho ancora terminato la lettura Delle antiche danze femminili. Violetta, se non lo trovi pertinente alla discussione spostalo pure nella giusta sezione.
Spero però di esser riuscita a trasmettere qualcosa.. sono stra impegnata in questo periodo, e non vorrei che ciò mi confondesse le idee [SM=g27829]
[Modificato da Danae_88 03/06/2010 18:50]




"L'aria mossa dal battito d'ali di una farfalla può provocare una tempesta all'estremità opposta del mondo..."
La sacerdotessa di Avalon, M. Z. Bradley


04/06/2010 00:09
 
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Invece per me è un accostamento perfetto Danae!
E' la stessa cosa... e non è detto che la danza vada separata dalle altre cose della vita, perchè se è vissuta in senso antico essa al contrario ne è parte e rispecchia proprio questo discorso.
L'apertura verso l'alto e l'apertura verso il basso è la stessa cosa di cui parlava arcobaleno. L'avvicinarsi al Divino e l'allontanarsi da esso. E le conseguenze sono estasi, gioia e felicità infinita da una parte e orrore, tristezza, disperazione e malessere in generale dall'altra.
Dunque rispondo anche alla tua domanda arcobaleno. Per me chi si avvicina veramente al Divino, come diceva Elke, lo "sente" e questo avvicinamento comporta una disidentificazione con il semplice io mentale e una gioia e senso di libertà infiniti... inoltre credo si percepisca un'immensa pace e armonia, come se si sentisse di essere tornati a casa, all'Origine.
Per contro l'allontanamento dal divino e il suo rifiuto potrebbe provocare depressioni e malesseri profondi e spesso apparentemente immotivati. Ci si sente spenti, tristi, senza scopo, disperati, rabbiosi forse, senza capirne il motivo.

Ma questi sono due modi di essere particolari...
C'è chi si trova perfettamente bene nel mondo moderno, che non ha bisogno di cercare altro ma si accontenta delle cose vuote, artificiose e normali moderne, delle quali anzi gioisce (pensiamo al calcio........ [SM=g27834] ), anche se si tratta sempre e solo di stati d'animo passeggeri e sempre in mutamento.
Il fatto di percepire depressione e malessere interiore potremmo dire che sia già un gran "buon segno", perchè questo potrebbe voler dire che non tutto è perduto, perchè se si percepisce che "qualcosa non va" si può cercarne la ragione e magari qualcosa potrà cambiare in meglio. Se l'anima soffre significa che non è annichilita, spenta del tutto oppure meschina, e questo è un bene.
Almeno, questo secondo me... [SM=g27822]


[Modificato da stregaviolet )O( 04/06/2010 00:11]


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06/06/2010 14:38
 
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Signori\e splendida discussione non ho molto altro da aggiungere alle vostre intuizioni perchè viviamo le cose nel medesimo modo.

Aggiungo solo che per me il "Sacro" e quindi anche il "Divino" sono concetti e sentimenti che si traducono solo nel Simbolo. Non posso pensare al Sacro senza gli archetipi narrati ai miti o all'arte sacra, perchè mi aiutano a cogliere e comprendere proprio le trame sottili dell'esistenza a far passare lo sguardo da una dimensione bidimensionale (spazio e tempo) ad una dimensione tridimensionale (spazio, tempo e profondità\Destino).

Quindi per me la "Sacerdotessa" non è altro che colei che riesce a scrutare in un altra dimensione ulteriore che è Visione che comprende spazio,tempo, profondità e trascendenza. Colei che riesce a comunicare con i segni profondi della Terra, e collegando le proprie comunità a quella dimensione che naturalmente essi non saprebbero ricondursi. Cosa che ovviamente è impossibile al mondo odierno, o per lo meno occidentale e materialista e iperazionalista.
[Modificato da Isara_Enid 06/06/2010 14:41]







Ascolta, Dea regina,
portatrice di luce,
Luna divina,
Mene dalle corna di toro,
che corri di notte,
ti aggiri nell'aria,
notturna, portatrice di fiaccole, fanciulla,
Mene dai begli astri,
crescente e calante, femmina e maschio,
splendente, ami i cavalli, madre del tempo, portatrice di frutti,

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08/06/2010 03:14
 
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Beh ma Isi... il Sacro è anche una margheritina, una foglia di melo, una folata di brezza... tutto questo e tutto ciò che è Natura... la via dei simboli è difficile, anche se certamente vi è sacro in molti simboli (per ciò che significano), ma è anche molto più facile di quanto sembri e di quanto spesso pensiamo che sia... [SM=g27819] [SM=g27838]


[Modificato da stregaviolet )O( 08/06/2010 03:15]


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08/06/2010 12:44
 
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Re:
stregaviolet )O(, 08/06/2010 3.14:

Beh ma Isi... il Sacro è anche una margheritina, una foglia di melo, una folata di brezza... tutto questo e tutto ciò che è Natura... la via dei simboli è difficile, anche se certamente vi è sacro in molti simboli (per ciò che significano), ma è anche molto più facile di quanto sembri e di quanto spesso pensiamo che sia... [SM=g27819] [SM=g27838]






Ehehe concordo, spesso quando si parte per astrazioni mentali si finisce per dimenticare le cose più "ovvie" solo perchè stanno in silenzio [SM=g27828] [SM=g27838]







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Questa discussione mi entusiasma parecchio e vi ringrazio per aver espresso e condiviso i vostri pensieri.
Negli ultimi sei mesi ho lottato parecchio per cercare di mantenere il contatto con l'aspetto divino. Sono profondamente convinta che l'allenamento più duro sia riconoscere il Sacro nei momenti di maggiore sconforto e dolore. Quando mi sono sentita sotto un crollo di macerie, ho capito che l'unico modo che avevo di ritrovare quella luce era di riaccenderla dentro di me tramite il ricordo. Non il ricordo mentale, ma quello sensoriale, chiedendo al corpo di aiutarmi a riprovare la fiducia che avevo nella vita e che mi sembrava scomparsa. Mi ritrovo completamente nell'"attaccarsi", è quello che sento quando vivo momenti sacri e riesco ad esserne consapevole.


Quindi per me la "Sacerdotessa" non è altro che colei che riesce a scrutare in un'altra dimensione ulteriore che è Visione che comprende spazio,tempo, profondità e trascendenza. Colei che riesce a comunicare con i segni profondi della Terra, e collegando le proprie comunità a quella dimensione che naturalmente essi non saprebbero ricondursi.



Nulla di più vero Isara.



A questo punto nasce un' altra domanda: quali segni si manifestano in noi quando ci avviciniamo al divino? E quali invece quando ci allontaniamo?



In genere, ho osservato che tutto procede nel migliore dei modi quando mi sento connessa al divino. Quando invece mi sento lontana da esso, sono più stanca, pigra, svogliata, avvelenata.. sono sintomi che si introducono sottilmente, quasi impercettibili.. ma ho imparato a riconoscerli.
Quando l'allontanamento dipende solo da me riesco più facilmente ad accorgermene e a orientarmi nuovamente verso la vita. Purtroppo a volte mi capita di dover stare a contatto con ambienti pieni di persone che condividono atteggiamenti lontani da questo modo di pensare e allora mi è più difficile risalire e riuscire a mantenermi salda. Ho imparato, in questi momenti bui, a lanciare degli sos alle persone che formano la mia famiglia, quando sono con loro mi riassesto e torno a sentirmi purificata.




09/06/2010 13:47
 
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Negli ultimi sei mesi ho lottato parecchio per cercare di mantenere il contatto con l'aspetto divino. Sono profondamente convinta che l'allenamento più duro sia riconoscere il Sacro nei momenti di maggiore sconforto e dolore. Quando mi sono sentita sotto un crollo di macerie, ho capito che l'unico modo che avevo di ritrovare quella luce era di riaccenderla dentro di me tramite il ricordo. Non il ricordo mentale, ma quello sensoriale, chiedendo al corpo di aiutarmi a riprovare la fiducia che avevo nella vita e che mi sembrava scomparsa. Mi ritrovo completamente nell'"attaccarsi", è quello che sento quando vivo momenti sacri e riesco ad esserne consapevole



Sto vivendo anche io un periodo simile, cerco di viverlo come un fiume prosciugato senza chiedermi perchè è successo o perchè il mio corpo ha iniziato a mandarmi segnali così negativi. Cerco di affrontarlo con passione e con le parole che mi cullano e mi ricaricano. Evito di frequentare gente che mi esaspera, ma mi rifugio con persone cariche di positività :) E piano piano torno a sentirmi meglio e una piccola luce si accende [SM=g27838] [SM=g27838]







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02/10/2011 16:52
 
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Grazie per le vostre riflessioni.

Contribuisco alla ricerca sul significato profondo della parola riportando un brano trovato sfogliando "Il Sacro e il Profano" di Mircea Eliade, che ho appena iniziato a leggere in inglese.

Ecco l'inizio del terzo capitolo "La Sacralità della Natura e la Religione Cosmica" (mia traduzione dall'inglese):
"Per l'uomo religioso, la natura non è mai solo 'naturale'; è sempre carica di valore religioso. Ciò è semplice da comprendere, in quanto il cosmo è una creazione divina; provenendo dalle mani degli dèi, il mondo è impregnato di sacralità. Non è semplicemente una sacralità comunicata dagli dèi come, ad esempio, nel caso di un luogo o di un oggetto consacrati dalla presenza divina. Gli dèi hanno fatto di più; hanno manifestato le diverse modalità del sacro nella stessa struttura del mondo e dei fenomeni cosmici.
Il mondo si mostra in modo tale che, nel contemplarlo, l'uomo religioso scopre le molte modalità del sacro, e dunque dell'essere. Soprattutto, il mondo esiste, è lì, ed ha una struttura; non è caos, ma è un cosmo, dunque si presenta come creazione, come opera degli dèi. Quest'opera divina conserva sempre la sua qualità di trasparenza, ovvero rivela spontaneamente i molti aspetti del sacro. Il cielo rivela direttamente, 'naturalmente', l'infinita distanza, la trascendenza della divinità. Anche la terra è trasparente; si presenta come madre universale e nutrice. I ritmi cosmici manifestano ordine, armonia, permanenza, fecondità. L'intero cosmo è un organismo al tempo stesso reale, vivente, e sacro; rivela simultaneamente le modalità dell'essere e della sacralità. Ontofania e ierofania convergono."
[Modificato da fleurie 02/10/2011 16:53]

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"Lasciate che tutto sia animale, la mia vita e la mia morte, altrettanto dure ed essenziali, tutto tranne che umane...
Mi sta molto a cuore, io con il mio cuore rosso nella terra scura e i miei piedi tatuati che seguono le vie animali"
(Vali Myers)

Sole in Ariete, Luna in Bilancia, Ascendente Vergine

12/02/2013 20:28
 
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Quanto c’è di sacro nella parola sacrificare? Pensiamo a quanto parliamo di sacrifici e a quanti di questi sono veri sacrifici e quante invece semplici lamentele di qualcosa che non possiamo avere, ma di cui non abbiamo comunque un vero e proprio bisogno.
Dal punto di vista etimologico leggiamo che è composta dai termini sacer = sacro e facere = fare
SÀCER sacro e -FICÀRE per FÀCERE fare: propr. render sacro. Offrire vittime o doni alla divinità (privandone sé medesimi); rinunziare ad alcuna cosa per altrui bene; onde il significato dell’uso rimaner danneggiato.
Quindi sacrificare significa rendere sacro, dare l’accezione di sacro a qualcosa. Al contrario di quello che ha scritto Violet, però, non è un rendere sacro fatto da qualcuno che la sacralità stessa già l’ha sperimentata: in consacrare “con” da “cum” indica il mezzo dell’operazione, come ad indicare che colui che sta compiendo quest’operazione fa da ponte tra l’energia sacra del divino e quella di ciò che sta consacrando, permettendo quindi una sorta di interscambio di energie. In questo caso si identifica più un’accezione di sacro in presenza, mentre con il sacrificio il sacro si manifesta in assenza.
Basta pensare di consacrare qualcuno e sacrificare qualcuno. Alla mente ci vengono immagini completamente diverse, al punto che la seconda prende un alone talmente negativo da pensare all’immolazione per qualche rito strano.
Ancora, il sacro in assenza si manifesta perché noi stessi diamo importanza a questa, importanza che si accentua dimostrando che siamo in grado di farne a meno, come se stessimo operando come eremiti o asceti. Quindi rinunciando a qualche cosa di serio ed importante, questo porterebbe ad una crescita spirituale?
Se riflettiamo possiamo individuare due tipi di cose che vengono sacrificate:
Le prime sono delle cose un po’ banali, a cui diamo il termine di sacrificio impropriamente. Se riflettiamo su di esse scopriamo che sono cose che spesso facciamo per un ritorno e che solitamente appartengono al mondo fisico e materiale e che spesso anche ciò che ne ricaviamo appartiene a questa sfera.
Poi ci sono i sacrifici che operiamo per un forte amore o devozione verso colui che operiamo un sacrificio (come il divino) o spinti da qualche ideale o sentimento specifico. Quindi non si è spinti dal desiderio di avere qualcosa in cambio quanto dalla semplice volontà di operare in questo modo. Per questo toccano la sfera più spirituale.
Se è vero che ci vuole una conoscenza del sacro per consacrare qualcosa, il sacrificio è qualcosa che si presta più con il volto della possibilità e più facilmente sperimentabile, è possibile che esso sia una delle strade che conducono alla sperimentazione del sacro?


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