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Charles Baudelaire

Ultimo Aggiornamento: 07/02/2007 21:58
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IL VAMPIRO

Tu che t'insinuasti come una lama
Nel mio cuore gemente; tu che forte
Come un branco di demoni venisti
A fare, folle e ornata, del mio spirito
Umiliato il tuo letto e il regno-infame
A cui, come il forzato alla catena,
Sono legato; come alla bottiglia
L'ubriacone; come alla carogna
I vermi; come al gioco l'ostinato
Giocatore, - che tu sia maledetta!
Ho chiesto alla fulminea spada, allora,
Di conquistare la mia libertà;
Ed il veleno perfido ho pregato
Di soccorrer me vile. Ahimè, la spada
Ed il veleno, pieni di disprezzo,
M'han detto: "Non sei degno che alla tua
Schiavitù maledetta ti si tolga,
Imbecille! - una volta liberato
Dal suo dominio, per i nostri sforzi,
Tu faresti rivivere il cadavere
Del tuo vampiro, con i baci tuoi!"
da I FIORI DEL MALE (SPLEEN E IDEALE)


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Charles Baudelaire nacque a Parigi il 9 aprile 1821.
La vita del giovane Baudelaire appare pericolosamente dissipata agli occhi della madre e del patrigno, dalla vita sregolata che il poeta conduce; per riportarlo sulla retta via, la famiglia riunita in consiglio, decide di allontanarlo da Parigi e nel giugno del 1841 Baudelaire lo imbarcano su una nave diretta in India a Calcutta. Ma giunto alle Mauritius, in preda a una profonda crisi di nostalgia, Baudelaire si rifiuta di proseguire il viaggio e rientra a Parigi. Da quel viaggio maledetto e umiliante, il poeta riporterà comunque il suo amore per l'esotismo, che riapparirà quindici anni dopo nell'opera Fleurs du mal.
Poco dopo il rientro a Parigi, Baudelaire incontra Jeanne Duval, la mulatta che ispirerà la sua poesia, con la quale inizierà un lungo e appassionato amore; raggiunta la maggiore età entra in possesso dell'eredità paterna. Deciso a vivere una vita fuori da ogni tutela, dichiara alla famiglia la sua volontà di "farsi autore". Ma la famiglia sembra non accettare questa condizione e nel 1844 il patrigno riunisce un consiglio di famiglia per interdire il giovane e affidare il suo patrimonio all'amministrazione di Ancelle, notaio a Neuille. L'anno dopo Baudelaire tentò il suicidio e poi uscirono le sue prime critiche d'arte e le sue prime poesie. Ritentò il suicidio nel 1861 e, nel 1864, dopo un fallito tentativo di farsi ammettere all'Acadèmie francaise, lasciò Parigi e si recò a Bruxelles.

Ormai malato di afasia, Baudelaire cercò nelle droghe (hashish, oppio) e nell'alcol il sollievo alla malattia cheil 31 agosto del 1867, dopo la lunga agonia della paralisi, lo uccise. Dall’esperienza della malattia e dalla volontà di sfuggire alla realtà, sono ispirati i Paradis artificiels del 1861.


è una creazione di Carlotta Ricci
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ELEVAZIONE

Al di sopra degli stagni, al di sopra delle valli, delle montagne, dei boschi, delle nubi, dei mari, oltre il sole e l'etere, al di là dei confini delle sfere stellate,
spirito mio tu ti muovi con destrezza e, come un bravo nuotatore che si crogiola sulle onde, spartisci gaiamente, con maschio, indicibile piacere, le profonde immensità.

Fuggi lontano da questi miasmi pestiferi, va' a purificarti nell'aria superiore, bevi come un liquido puro e divino il fuoco chiaro che riempie gli spazi limpidi.

Felice chi, lasciatisi alle spalle gli affanni e i dolori che pesano con il loro carico sulla nebbiosa esistenza, può con ala vigorosa slanciarsi verso i campi luminosi e sereni;

colui i cui pensieri, come allodole, saettano liberamente verso il cielo del mattino; colui che vola sulla vita e comprende agevolmente il linguaggio dei fiori e delle cose mute.


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IL BALCONE
O madre dei ricordi, amante delle amanti, o tu che assommi
tutti i miei piaceri, tutti i miei doveri. Ricorderai 1a
bellezza delle carezze, la dolcezza del focolare, l'incanto
delle sere, madre dei ricordi, amante delle amanti?

Le sere illuminate dall'ardore dei tizzoni e le sere al balcone,
velate da vapori rosa. Come il tuo seno m'era dolce
il tuo cuore fraterno! Noi abbiamo pronunciato spesso
imperiture parole, le sere illuminate dall'ardore dei tizzoni.

Come sono belli i soli nelle calde sere, come lo spazio è
profondo, il cuore possente! Curvandomi su di te, regina
fra tutte le adorate, credevo respirare il profumo del tuo
sangue. Come sono belli i soli nelle calde sere!

La notte s'ispessiva come un muro, i miei occhi indovinavano
al buio le tue pupille e io bevevo il tuo respiro,
o dolcezza mia, mio veleno, mentre i tuoi piedi s'addormentavano
nelle mie mani fraterne. La notte s'ispessiva come un muro.

Conosco l'arte di evocare gli istanti felici: così rividi il
mio passato, accucciato fra i tuoi ginocchi. Perché cercare
la tua languida bellezza fuori del tuo caro corpo e del tuo
cuore così dolce? Conosco l'arte di evocare gli istanti felici.

Giuramenti, profumi, baci senza fine rinasceranno da un
abisso interdetto alle nostre sonde così come risalgono al
cielo i soli, rinvigoriti, dopo essersi lavati nel profondo
dei mari. O giuramenti, profumi, baci senza fine!

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Una tra le più importanti per me... in ricordo dell'amore che non c'è...

Lestat de Lioncourt
23/12/2005 21:24
 
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Una carogna
Ricordi tu l'oggetto, anima mia,
che vedemmo quel mattino d'estate così dolce?
Alla svolta d'un sentiero
un'infame carogna sopra un letto di sassi,
le gambe all'aria, come una femmina impudica,
bruciando e sudando i suoi veleni, spalancava,
con noncuranza e cinismo,
il suo ventre pieno d'esalazioni.

Il sole dardeggiava su quel marciume
come volendolo cuocere interamente,
rendendo centuplicato alla Natura
quanto essa aveva insieme mischiato;

e il cielo contemplava la carcassa
superba sbocciare come un fiore.
Il puzzo era tale che tu
fosti per venir meno sull'erba.

Le mosche ronzavano sul ventre putrido
donde uscivano neri battaglioni di larve
colanti come un liquame denso
lungo gli stracci della carne.

Tutto discendeva e risaliva come un'onda,
o si slanciava brulicando: si sarebbe
detto che il corpo gonfio d'un vuoto soffio,
vivesse moltiplicandosi.

E tutto esalava una strana musica,
simile all'acqua corrente o al vento,
o al grano che il vagliatore con ritmico
movimento agita e volge nel vaglio.

Le forme si cancellavano riducendosi a puro sogno:
schizzo, lento a compiersi,
sulla tela (dimenticata) che l'artista
condurrà a termine a memoria.

Dietro le rocce una cagna inquieta
ci guardava con occhio offeso,
spiando il momento in cui riprendere
allo scheletro il brano abbandonato.

- Eppure tu sarai simile a quell'immondizia,
a quell'orribile peste, stella degli occhi miei,
sole della mia natura, mia passione, mio angelo!

Sì, tu, regina delle grazie,
sarai tale dopo l'estremo sacramento,
allora che, sotto l'erba e i fiori grassi,
andrai a marcire fra le ossa.

Allora, o bella, dillo,
ai vermi che ti mangeranno di baci,
che io ho conservato la forma e
l'essenza divina di tutti
i miei decomposti amori.
23/12/2005 23:31
 
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LA MUSA MALATA

Ahimè, povera musa mia, che cos'hai stamane? I tuoi occhi vuoti sono popolati di visioni notturne, e vedo sul colore del tuo volto riflettersi alterni, freddi e taciturni, follia e orrore.
Il succube verdastro ed il folletto rosa hanno versato in te, dalle loro urne, la paura e l'amore? E d'un pugno dispotico e ribelle l'incubo ti ha forse annegata al fondo di un favoloso Minturno?

Vorrei che esalando odore di salute il tuo petto fosse frequentato sempre da pensieri vigorosi e il tuo sangue cristiano scorresse a ritmici fiotti,

come i suoni numerosi delle sillabe antiche ove regnano volta a volta Febo, padre di canzoni e il grande Pan, signore delle messi.


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Ti dono questi versi



Ti dono questi versi, perché se un giorno il mio nome approderà felicemente alle epoche lontane e farà sognare qualche sera i cervelli degli uomini, vascello assecondato da un gran vento,
il ricordo di te, pari alle vaghe favole, affatichi il lettore come un timpano, e resti appeso come un fraterno e mistico anello alle mie rime altere;

essere maledetto cui, dagli abissi profondi sino al più alto dei cieli, nulla all'infuori di me risponde! O tu, che come un'ombra dall'effimera orma,

calpesti con piede leggero e sguardo sereno gli stupidi mortali che t'hanno giudicato amara, statua dagli occhi metallici, grande angelo dalla bronzea fronte!



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DONNE DANNATE


Coricate sulla sabbia come armento pensoso volgono gli occhi verso l'orizzonte marino e i piedi che si cercano, le mani ravvicinate hanno dolci languori e brividi amari.
Le une, cuori innamorati di lunghe confidenze, nel folto dei boschetti sussurranti di ruscelli, vanno riandando l'amore delle timide infanzie e incidendo il legno verde dei giovani arbusti;

altre, camminano lente e gravi come suore attraverso le rocce piene di apparizioni, dove Sant'Antonio vide sorgere, come lava, i seni nudi e purpurei delle sue tentazioni;

e ve n'è che ai bagliori di resine stillanti, nel muto cavo di vecchi antri pagani, ti chiamano in soccorso delle loro febbri urlanti, o Bacco, che sai assopire gli antichi rimorsi.

Altre, il cui petto ama gli scapolari e nascondono il frustino entro le lunghe vesti, mischiano, nelle notti solitarie e nei boschi scuri, la schiuma del piacere e le lagrime degli strazi.

O vergini, o demòni, mostri, martiri, grandi spiriti spregiatori della realtà, assetate d'infinito, devote o baccanti, piene ora di gridi ora di pianti,

o voi, che la mia anima ha inseguito nel vostro inferno, sorelle, tanto più vi amo quanto più vi compiango per i vostri cupi dolori, per le vostre seti mai saziate, per le urne d'amore di cui traboccano i vostri cuori.


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[Modificato da BeatAurora 25/04/2006 2.00]

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Con le sue vesti


Con le vesti ondeggianti e iridescenti, anche quando cammina si direbbe che danzi, come quei lunghi serpenti che i giocolieri sacri agitano ritmicamente in cima ai loro bastoni.
Come la spenta sabbia e l'azzurro dei deserti, insensibili entrambi a l'umano dolore, come le lunghe trame dell'onda marina, ella si muove con tutta indifferenza.

I suoi occhi nitidi sono fatti di graziosi minerali, e nella sua natura strana e simbolica (in cui l'angelo inviolato si mischia all'antica sfinge,

in cui tutto è oro, acciaio, luce e diamanti) risplende per sempre, come un astro inutile, la fredda maestà della donna sterile.


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07/02/2007 21:58
 
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