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Inutile precisione

Ultimo Aggiornamento: 13/06/2005 10:20
13/06/2005 00:55
 
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liv. Sprafànt (sbruffone)
Negli anni dell'Università leggevo su l'Espresso la rubrica di Filosofia - per lo più recensioni - tenuta da un certo Vittorio Saltini. Roba di quasi quarant'anni fa. Conservo alcuni ritagli a cui sono affezionato. In uno di essi Saltini parlava di Edmund Husserl e della mole sterminata di manoscritti inediti che aveva lasciato. Allora si parlava di 40.000 fogli.
Saltini descriveva il loro contenuto e illustrava l'idea contenuta nel titolo della rubrica: L'inutile precisione di Husserl. Voleva dire che aveva dedicato la vita ad un unico compito: raggiungere la chiarezza.
Quando scrivo - fatte le dovute proporzioni, si capisce! - mi accade di pensare la stessa cosa: basterebbero poche parole, talvolta un breve aforisma, per dire tutto ciò che c'è da dire. Eppure, nel parlare come nello scrivere si ha la sensazione che quello che si ha da dire richiede tanto tempo e ancor più parole. Mi sta accadendo di aprire continuamente Discussioni, come se un demone mi spingesse a farlo. La ragione iniziale si è dissolta. Le attese sono state rese vane. Pare che non ci siano molte ragioni per continuare a scrivere. Ciononostante, continuo. La ragione è proprio in quello che vado costruendo. Apparentemente senza destinatari e senza interlocutori, le pagine si parlano fra di loro e si rincorrono quasi. Ne emerge un disegno, una trama di idee che resta lì, come a testimoniare di aver vissuto.
A scuola accade di provare sentimenti anche più amari. Per mesi, anche per anni, si parla al vento. Goethe scrisse che tanto quello che si sapeva di importante non si sarebbe potuto dire ai propri alunni! Io invece ho sempre fatto esattamente il contrario. In alcuni momenti intensi ho rivelato loro le intermittenze del cuore, i tradimenti in cui cadiamo, le amicizie perdute... Tutti i segreti dell'età adulta.
Tempo fa un'alunna uscita tre anni fa mi ha scritto una lunga lettera per confessarmi che stava vivendo momenti terribili che poteva dire di saper affrontare 'virilmente' per via delle cose che le avevo comunicato in classe. Comunicazione asimmetrica. Risposte che arrivano dopo anni! Anche per interposta persona, talvolta! Il privilegio dell'età mi consente di avvicinarmi alle alunne senza i timori di un tempo: non rischio più di essere frainteso. Oggi potrei essere quasi nonno per loro! Anche le emozioni più intime sono sollecitato a dire da loro, che mi comunicano le loro perfino in pubblico. Senza fare autocoscienza ci accade di esprimere vissuti personali, senza indugiare su di essi e senza provocare turbamenti a nessuno. Sanno riconoscere bene morbosità e ambiguità. Non consentono a nessuno di calpestare la loro gioia. Alla fine di un anno scolastico intensissimo ci siamo ritrovati quasi senza parole, per quante ne abbiamo dette! Le cose che hanno scritto saranno custodite tra le cose rare. Pochi passi sono stati fatti e tutti nella direzione della crescita morale. Maschi e femmine consapevoli della loro identità di genere. Una capacità di contatto e di scambio emotivo mai visti. Affettuosità di ogni genere. Cooperazione. Doni. Foto. ... Insomma, vita normale. Vissuta nell'aperto. Senza difese se non quelle del pudore e della riservatezza. Nessuno costretto a dire. Alcuni di loro non parlano dal primo anno, ma presenti, vigili, sempre sorridenti e affettuosi. Dalle cose che scrivono si avverte una partecipazione non meno profonda e gratitudine che traspare dall'ottimismo della volontà, a fronte del pessimismo dell'intelligenza, di gramsciana memoria. Hanno scoperto assieme a me che la complessità del reale richiede di essere all'altezza di quella complessità: è vano tentare di semplificarla! Si ripresenta immutata, e quello che appariva drammatico diventa ancor più drammatico! Sanno bene che occorre rendersi degni di essere amati. E che non basta ancora. Si richiede ancora la sconfitta dell'invidia degli dei, tremenda come poche altre cose al mondo! Non sanno interpretare i segni del cielo e i cambiamenti del vento, ma si sforzano di corrispondere ai moti dell'aria, consapevoli che talvolta bisogna farsi portare dal vento, ma più spesso bisogna risalire le correnti, affrontare la tempesta. La luce forse è al di là, viene dopo.
13/06/2005 10:20
 
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L’embrione non è persona
di Paolo Flores d’Arcais


L’embrione umano non è una persona. Chi suggerisce il contrario mente sapendo di mentire. Valga il vero. Se fin dal «primo momento» l’ovulo fecondato fosse una persona umana, lo sarebbe a maggior ragione dopo una settimana, e ancor più dopo tre mesi, per non parlare di un feto al quinto mese. Ma la legge italiana consente di abortire fino al novantesimo giorno, e anzi - se si riscontrino nel feto anomalie o malformazioni - fino al momento in cui il nascituro non sia in grado di sopravvivere in modo autonomo (artt. 6 e 7).
Dunque, per la legge italiana, in tutti questi casi l'embrione (ormai feto, e anche molto sviluppato) NON è una persona. Analogamente in tutti i paesi occidentali, con qualche variante secondaria. E poiché i sostenitori del “tutti a casa” nel referendum di domenica prossima giurano e spergiurano che la legge sull'aborto non è in discussione, è evidente che anche per loro un feto fino a tre mesi, e anzi fino a quando non sia in grado di vivere autonomamente (se portatore di anomalie o malformazioni, che la madre trovi intollerabili anche solo per la propria integrità psicologica) NON è una persona. A maggior ragione, dunque, non è una persona nei primi giorni e settimane dal concepimento. A meno che nel frattempo non sia stata abrogata la logica.
Ma l'embrione umano non è una persona neppure per la Chiesa cattolica apostolica romana. Per la quale si può parlare di persona solo dal momento in cui si dia (per volontà divina) un'anima personale e immortale. Che solo una minoranza sparuta di Padri e Dottori della Tradizione ha collocato prima del quarantesimo giorno, o addirittura prima del novantesimo. Vedi in proposito san Tommaso, che parla di un embrione e poi feto che prima di diventare persona conosce un periodo di vita meramente vegetativa, e di un secondo di vita puramente animale (priva di anima). E la filosofia di san Tommaso è stata ribadita quale “filosofia perennis” dal magistero di Giovanni Paolo II.
Del resto, se di persona si trattasse fin dal concepimento, sarebbe crudeltà inconcepibile non amministrare fin da quei primi istanti il battesimo, cosa che le allucinanti tecniche d'oggi rendono certamente possibile, condannando così i non nati (il 90% degli ovuli fecondati non riesce neppure ad impiantarsi nell'utero) alla privazione della possibilità della felicità eterna in paradiso.
Dunque, l'embrione umano non è una persona. E tutti i proclami e i suggerimenti di segno contrario che hanno alluvionato i teleschermi e imbrattato i muri in queste settimane costituiscono solo una gigantesca bava di malafede e di terrorismo morale. Sempre che, nel frattempo, non sia stata abrogata la logica.
O a meno che, invece, non si voglia far fallire questo referendum come primo passo per colpire quella legge 194 che consente l'aborto e che i pasdaran dell'astensione giurano e spergiurano di non voler rimettere in questione.
Nel qual caso mentirebbero due volte, dimostrando come in realtà domenica e lunedì si vada a votare soprattutto per un quinto quesito: confermare o mettere a repentaglio la legge sull'aborto già confermata da un referendum del popolo italiano. Se si voglia, insomma, tornare alla barbarie delle mammane e dei ferri da calza o si preferisca restare nel novero dei paesi civili.

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