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Ultimo Aggiornamento: 16/04/2009 19:05
04/09/2005 18:51
Ho scritto questa storia dopo l' aver visto il film "Batman Begins".
Pensai ad una donna abbastanza forte e tenera per Bruce Wayne, qualcuna che fosse sua moglie e che avesse qualcosa di unico e speciale, mi sono risolta a scrivere di Frida Teresa Craine, la figlia di John Constantine ( "La Dannata Sorte").
La giovane Frida è per meta Driade e per metà Constantine, vive in U.S.A. e talvolta vola in Gran Bretagna dal padre, col quale ha un rapporto asciutto di sdolcinature, ma saldo.
La madre di Frida era una Driade di 200 anni, si faceva chiamare Susan Craine e morì l'11 Settembre del 2001.
Frida lavora e convive col patrigno Ned Skinner, ma della sua vita parlerò altrove.

Vediamo il mio cast:
Frida T. Craine ( o Constantine) - Natalie Portaman
Bruce T. Wayne - Christian Bale
Nathan ( Ned) Skinner- Vincent D' Onofrio
04/09/2005 19:30
Quando era una bambina aveva sognato di partecipare ad una festa così raffinata e rutilante di suoni e di colori. Aveva sognato d’indossare abiti costosi e gioielli tintinnanti i cui riflessi brillanti e vivaci danzassero sotto la luce artificiale. I sogni erano belli perché la realtà non poteva sciuparli, aveva sentito dire e forse era vero.
Frida era finalmente ad uno di quei mondani ricevimenti, circondata da gente altolocata ed elegantemente acconciata, riusciva a leggere le firme sui vestiti e distinguere le pietre incastonate negli orecchini, poteva ascoltare la musica soffusa e discreta assecondare il vacuo cicaleccio degli invitati interrotto dalle squillanti risate, eppure Frida era nauseata da quell’ ambiente, avvertiva stanchezza e delusione davanti a quello spettacolo bello ma squallido.
“Fai un altro giro con i bicchieri !” l’ordine arrivò alle sue spalle, spezzando il fluire dei suoi pensieri e Frida trasalì, indietreggiando verso la cucina.
Il capo cameriere, un uomo alto e robusto ormai stempiato e brizzolato, cercò d’ addolcire l’ espressione del viso sciupato e le sorrise ironico: “ Questi signori hanno il terrore di rimanere sobri !” aggiunse sottovoce.
Frida annuì distrattamente e sistemò la camicetta bianca, quindi afferrò il vassoio d’ argento che Ned le porgeva e lo alzò quasi a livello degli occhi, allontanandosi dal patrigno: la sua pausa era terminata, ma la notte era lunga, troppo per i gusti di Frida.
La maggior parte dei convenuti la ignorava così come ignorava quelle operose formiche in candida livrea che s’ aggiravano come spettri fra i loro variopinti e gioiosi gruppi; Frida ed i suoi colleghi erano alla stregua di androidi di carne indegni d’ essere gratificati di qualcosa di diverso che una mancia consistente.
Ned era sicuro che con il tempo Frida avrebbe imparato a non fissare i volti, a non ricordare le voci di chi le chiedeva un alcolico particolare od informazioni sui servizi igienici, perché Frida era in una sorta di dimensione parallela a quella del party, Frida faceva parte delle fondamenta di una casa e nella torre s’ agitavano i topolini festosi, che lei avrebbe imparato a servire e disprezzare, così come loro sorridevano e disprezzavano lei.
Frida non aveva mai vissuto nel mondo perfetto dei suoi sogni, né aspirava a crearlo con le sue forze, forse era logico che esistessero livelli di separazione fra gli uomini come Ned Skinner ed il padrone di casa Bruce Wayne.
Frida si morse la lingua, era inutile tormentarsi per un ricordo sfuocato nella sua mente e certamente svanito nella memoria di Bruce, era masochistico ricercare una magia che era durata quanto un respiro e quanto un respiro era invisibile ed impalpabile; Frida era una delle cameriere, una delle venti cameriere che camminava da un salone all’ altro per placare la sete di champagne degli amici del signor Wayne, lieti di osannarlo per il traguardo dei trentuno anni da poche ore metaforicamente tagliato.
L’ anno precedente quelle stesse signore altezzose, dalla bellezza immutabile donata loro dalla chirurgia estetica, quei facoltosi uomini d’ affari, dal portamento rigido quanto il colletto inamidato dello smoking, erano stati cacciati con un discorso urbanamente insultante e Frida, in cuor suo, si era fatta un vanto di non aver mai scordato le scortesie di cui era stata vittima, ma certa gente era incline al perdono se avevano la possibilità d’ubriacarsi e far credere a qualche modella sfortunata di essere una chiave del successo vestita Armani.
Un gesto improvviso e stizzoso la fece barcollare, un gentiluomo ubriaco l’aveva scansata imprecando con la finezza di un protettore di prostitute ed una donna lo blandì con una risata argentina, probabilmente la scenetta doveva aver divertito i presenti.
“ Ha rovesciato metà del bicchiere sul tappeto, signorina” gorgogliò il signore mentre analizzava il contenuto dorato del calice: “ Le sue maniere lasciano a desiderare”.
Frida rimase impassibile, il viso dall’ espressione seria e compita, le spalle dritte ed in vassoio in perfetto equilibrio sulla mano sinistra, soltanto i suoi occhi bruni s’erano socchiusi, simili a delle feritoie, ma il magnate della telefonia mobile era così sbronzo da fissare la parete verniciata di fresco al posto della cameriera.
“Mi perdoni, signore” sibilò Frida.
“ Sono il professor Molina, signorina… Ha un nome ?”.soggiunse annoiato e biasciando egli.
“No, professor Molina, noi siamo numeri” replicò serafica Frida.
Frida aveva appena innescato un ordigno nucleare dai catastrofi effetti, doveva aver supposto Ned, perché si precipitò accanto alla ragazza e si frappose fra l’ alticcio Molina e la figliastra: “ Può sporgere reclamo, professor Molina” disse con la gelida fermezza di un leone che s’ appresta a difendere il branco: “A fine serata, infatti, potrà compilare un richiamo circa la condotta della signorina, ma il nome non sarà reso pubblico per ragioni di privacy, sulla sua divisa avrà letto senza dubbio le cifre”.
“Senza dubbio” ripeté Molina gongolante ed un po’ ondeggiante, come se stesse danzando da solo con il bicchiere vuoto fra le dita.
Ned sfiorò il braccio di Frida e piegò la testa d’ un lato: “ Sperava di spaventarti… Dio sa il perché” la tranquillizzò con dolcezza.
“Non voglio saperlo” mormorò Frida.
“E’ un povero alcolizzato, sua moglie deve essere a letto con la guardia del corpo di quella cocainomane della figlia” esclamò Ned: “ Abbi un po’ di pietà”.
Gary che s’ era accostato a loro per essere certo che il professor Molina non importunasse oltre Frida fece un cenno d’ assenso : “Erica mi ha riferito che oltre alla coca, la piccola Brittany ha inalato anche la polvere e gli acari… Una pulizia di fino, ragazzi miei” rise in un sussurro.
Ned scrollò le spalle : “ Buon pro le faccia; le nari non le potrà ricostruire ancora, ma sono affari dei Molina” sbottò in una sorta di sbadiglio represso: “ Gary porta le tartine di salmone, le ultime sul tavolo di destra”.
“ Ah… Sì, quelle su cui Ashley ha starnutito” disse Gary, dirigendosi ai corridoi, dove un paio di dame commentarono il suo posteriore, con la leggiadria di squillo d’ infimo ordine.
Era Frida, allora, a non capire che esistevano questi livelli e che le barriere andavano rispettate e non affrontate ?
Rimase lì, nel salone a seguire il filo sottile e soave del violino, il dolce sapore della musica che placava l’umiliazione, che era simile ad una scheggia le si era conficcata nella sua anima dannata dall’ orgoglio.
Danzava, talvolta, Frida quando era sola in casa oppure nei mesi estivi a casa del padre, che rientrava per smaltire la sbornia, ma almeno John non era arrogante e stupido quanto il professor Molina, si disse Frida.
Le caviglie le dolevano lievemente perché aveva stretto i lacci con una tale forza da farle impallidire le nocche: Ned le aveva comunicato l’indirizzo dove avrebbero prestato servizio mentre si preparata.
Erano trascorsi dodici mesi e mille avvenimenti avevano travolto la vita di Frida, eppure l’incontro con Wayne era un’ ossessione, anzi, era la scintilla da cui si era propagato l’incendio del suo amore, di quella passione romantica ed immaginaria che la faceva danzare e piangere, sperare e tormentarsi: era il suo cuore.
Bruce Wayne era fra la folla, fortunatamente Frida non s’era imbattuta in lui, temeva di balbettare o di sbarrare gli occhi tradendo la sua emozione ed era ciò che Frida non voleva: mostrarsi così fragile e così infantile, persa di un uomo che non era che un sogno.
Era stato un’ incidente a farli avvicinare, per qualche minuto, un anno prima: Frida lavorava da pochi mesi nella società di catering del patrigno e le serate erano impegnate a schivare gli ospiti ed a tacere, all’ una del mattino Frida era già afflitta da vertigini.

Il vassoio era leggero, avrebbe dovuto consegnare un bicchiere d’ acqua ad un signore, ma era inciampata nei suoi stessi passi, il vetro s’ era frantumato al suolo ed una presa salda, persino brusca le aveva impedito di cadere a sua volta.
“Si sente bene ?” s’ era premurato di chiedere una voce maschile profonda e dalla pronuncia chiara priva inflessione dialettale.
Era stato il tono della voce stessa a colpire Frida: era gentile e sicuro, come se desse importanza alla faccenda, ma non fosse irato.
“Sì, mi spiace, signore…” aveva recitato Frida con la consueta neutralità.
Il viso giovane di Bruce Wayne era a qualche centimetro sopra di lei, aveva il fisico massiccio ed imponente come Ned le aveva racconto.
Le aveva comunicato un senso di malinconia e di tenerezza, come se fosse stato ansioso di amare così come era stato amato, ma non vi riuscisse e Frida s’era ritratta con una timidezza che non le era usuale.
Egli le aveva sorriso rassicurante: “ Forse lei non era al corrente” aveva esclamato con serietà Bruce: “ Che il bicchiere apparteneva ad un servizio che mia madre aveva ereditato da una parente italiana ed il cui valore complessivo s’ avvicinava ai sei zeri…”.
Frida s’ era mordicchiata il labbro superiore: “ Non sapevo…” aveva mormorato.
Bruce Wayne aveva riso apertamente : “ Infatti non è così, non dica a nessuno che il mio maggiordomo li ha acquistati al supermercato, siamo intesi ?” le aveva intimato scherzosamente.
“ Suppongo sia stato divertente burlarsi di me, signore” aveva obiettato compita Frida.
“ No, speravo di potermi divertire con lei…” aveva soggiunto l’uomo, ma Frida l’aveva freddato con un’occhiata colma di disprezzo, un sentimento che sembrava aver cancellato la naturale simpatia fra i due giovani.
“ Mi perdoni” disse a quel punto Bruce: “ Sono stato stupido nel rivolgermi a lei ed era arrogante credere che lei avrebbe considerato il mio sberleffo men che offensivo. Mi scusi”.
Frida aveva capito quanto fossero sincere quelle frasi asciutte, quasi atone ed lo aveva fissato con un guizzo di malizia: “ E’ perdonato, signor Wayne” aveva concluso.
“ E’ sicura di stare bene, signorina ?” aveva ripetuto Bruce.
Frida aveva scrollato le spalle: “ Sì, non si dia pena” aveva risposto.
“ Sembra pallida, la prego, dica al capo cameriere di concederle una pausa caffè” aveva insistito Bruce.
“ Perché lei lo ordina ?” l’ aveva sfidato Frida.
“No, il mio è un consiglio, non deve abusare delle sue forze” aveva aggiunto Wayne.
Frida aveva sospirato: “ Non a tutti è concesso il piacere di passare di festa in festa senza portarne i segni”.
“ Lei è fra queste creature fortunate, signorina…”
Frida aveva abbassato il capo: “ Signorina… Io sono Frida”.
Quel dialogo l’aveva ripetuto per dodici mesi, nel buio della notte, nel sedile posteriore dell’ auto di Ned che la riconduceva a casa, a Londra da suo padre, in qualche bosco lontano dal traffico e Frida sapeva che tra loro v’era stato qualcosa, un’ inizio subito finito.

La melodia era un balsamo ristoratore in mezzo a pettegolezzi e discorsi d’ affari e Frida riconosceva le notte che aveva amato sin dall’infanzia, quando sognava di partecipare al Ballo di un bellissimo e misterioso Principe.
Frida era in disparte rispetto agli altri camerieri e gli ospiti non la consideravano neppure, perciò, sottovoce, inclinando appena la testa dai capelli castani, Frida iniziò a cantare :
“So chi sei,
Dei miei sogni, il dolce oggetto sei tu,
Ed anche se nei sogni è tutta illusione e nulla più,
Il mio cuore sa, che nella realtà,
A me tu verrai e che mi amerai ancor di più”.
“ Temevo di essere l’unico a ricordare queste parole, ma sono felice d’ essermi sbagliato” disse una gioviale voce maschile alla sua sinistra.
Frida Craine trattenne il respiro e sentì un forte dolore alla bocca dello stomaco, come se avesse appetito o l’ avessero costretta a bere un alcolico, volse lo sguardo e restò immobile a scrutare il volto di Wayne.
“ Quando ero un bambino… Beh… Ho fatto la mia overdose di Disney…” aggiunse con eleganza sorniona Bruce.
“ Sì…” sussurrò Frida.
La ragazza aveva fantasticato mille e mille volte su un possibile incontro ed ogni volta s’era immedesimata in ruoli assai complessi, come una severa cameriera ligia al dovere, una provocatoria ragazza di città od una giovane donna capace di ridere ad ogni squallida battuta, accompagnando le parole ad un seducente sfarfallio di ciglia.
In quel momento, Frida sentiva di essere la perfetta imbecille che belava monosillabi e fissava il famoso Bruce Wayne con bovino stupore ed ebbe l’impulso d’imprecare contro se stessa.
“ Io non sono andata in overdose” trovò il coraggio di dire: “ Talvolta li guardo, perché sono puri, mentre il mondo…”.
Frida s’interruppe: stava scivolando nel vittimismo filosofico e sociale con indosso la tenuta da serva a pochi passi da un uomo che avrebbe potuto acquistare la società del patrigno e farle pulire tutte le toilette della villa.
“ Un’ iniezione d’ ottimismo, insomma ?” domandò Wayne.
“ In un certo senso” convenne Frida.
“ Le favole hanno un finale lieto, ma nel mezzo mostrano la corruzione, forse per questo i grandi non riescono a crederci, signorina Frida”.
La ragazza si morse la lingua: ricordava il suo nome !
“ Sono solo Frida, signore”.
“ Sono solo Bruce”.
Il Principe era misterioso e bellissimo, come lei l’aveva agognato e sulle sue labbra il nome sgraziato della sguattera innamorata sembrava il titolo di una regina… Frida sorrise : “ Non c’è mai fine al male ?”.
“ Non che io sappia” replicò cupo Bruce Wayne.
“ Allora, neppure il bene e l’amore hanno fine”.
Bruce e Frida tacquero alcuni istanti e nessuno s’accorse di loro.
“ Felice compleanno”esclamò Frida con brio.
Bruce annuì : “ Ti ringrazio, Frida”.
“ Bruce… Hanno portato la torta” cinguettò una fanciulla dai capelli color rame.
Frida si sentì gelare il sangue nelle vene per la rabbia, per la delusione e per la gelosia: “Di nuovo auguri, signor Wayne” sibilò Frida.
Bruce la fissò stupito: “ Sono Bruce, no ?”.
Frida non riuscì ad evitare gli occhi di lui e ad apparire serena, si sentiva un’animale ferito: “ Non credo sia possibile” disse in fretta, ritornando in cucina.
La donna dai capelli rossi l’aveva chiamato una seconda volta e Bruce aveva ceduto.
Frida ritornò fra i suoi amici, vedeva Gary lagnarsi delle lampade al neon ed Ashley sfogliare una rivista di moda: era quello il suo posto.
Era la sguattera innamorata, ma il Principe sposa la Principessa, non una serva nata da servi.
Bruce aveva le sue preziose bambole di carne e silicone, le sue puttane che non doveva disturbarsi a pagare, che avrebbero assecondato i suoi vizi e la loro voce isterica l’avrebbe sempre tenuto lontano da quell’ amore che non aveva fine.
“ Frida… Tesoro, ma che fai ?” chiese Ashley: “ Piangi ?”.
Frida si coprì gli occhi con una mano : “ Sì… Piango… Perché il male non ha fine !” singhiozzò.



“Gentile signorina Craine,
La prego di perdonare questa mia intrusione nella Sua privacy, ma ho domandato al signor Skinner di fornirmi le Sue generalità per quella che reputo una buona scusante.
Il mio comportamento di ieri notte è stato sgarbato e mi sono dimenticato di porgerLe i miei saluti ed i ringraziamenti per il Suo sincero interesse per il mio compleanno.
Mi sono preso la libertà d’ inviarLe dei fiori. Un piccolo presente per la Sua delicata gentilezza.
Con rinnovata stima,

Soltanto Bruce”

-FINE-
16/04/2009 19:05
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