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totti

Ultimo Aggiornamento: 30/05/2006 01:37
14/03/2005 21:32
 
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Il lato oscuro della GEA
di Marco Liguori - Salvatore Napolitano da "Il Manifesto"

E' l'accolita dei "figli di papà", controlla 150 assistiti tra giocatori e allenatori di serie A e B e può contare su un socio occulto che ha suscitato l'interesse di deputati e senatori. Un'inchiesta sull'ingarbugliato conflitto d'interessi della più nota società di procuratori del calcio italiano

C'è anche un socio occulto ad aggravare l'impenetrabile mistero della Gea World, la più nota e vorace società di procuratori del calcio italiano, comunemente definita come l'accolita dei «figli di papà». Il socio che si ammanta di mistero e che no ha alcuna intenzione di uscire allo scoperto, si protegge dietro una fiduciaria della Banca di Roma: la Romafides. E' un socio importante, che fa parte della Gea dall'origine, datata ottobre 2001. E' una circostanza ben strana per chi vive di cura dell'immagine e di consulenza nell'ipertelevisivo mondo del pallone. E quale può essere questo inconfessabile segreto da tenere celato, quando ciascuno degli altri soci della Gea si mostra senza problemi, nonostante gli intrecci evidenti con i genitori famosi e impegnati ai vertici del calcio? Si parla di Alessandro Moggi, figlio di Luciano, direttore generale della Juventus. Di Andrea Cragnotti, figlio di Sergio, ex presidente della Lazio. Di Chiara Geronzi, primogenita di Cesare, numero uno di Capitalia, il gruppo bancario che tiene forzosamente in piedi la Lazio e che ha importanti rapporti anche con Perugia, Parma e Roma. Di Francesca Tanzi, figlia di Calisto, numero uno di Parmalat e Parma, nonché membro del consiglio di amministrazione della stessa Capitalia. E di Riccardo Calleri, figlio di Gian Marco, ex presidente di Lazio e Torino. E allora perché un socio protetto? La domanda ha travalicato ormai i salotti ovattati del calcio e interessa la politica. E' dal 13 novembre 2002 che attende risposta l'interpellanza presentata dai due senatori leghisti Piergiorgio Stiffoni e Francesco Tirelli ai ministri dei Beni e attività culturali, Giuliano Urbani, e dell'Economia e finanze, Giulio Tremonti. Nell'incartamento, che giace sommerso dalla polvere negli archivi del Senato, si chiede se i ministri «non ritengano che una società come la Gea World abbia, volendo, la possibilità di interferire sulle partite del calcio professionistico». Nell'interrogazione si ricorda il lungo elenco dei figli famosi che controllano la Gea, e si aggiunge che vi lavorano anche Giuseppe De Mita, figlio dell'ex segretario Dc, Ciriaco, ed ex addetto stampa della Lazio, e Davide Lippi, figlio di Marcello, allenatore della Juventus. Ma si avanza altresì il dubbio che la Gea abbia «probabilmente avuto quale fondatore anche il figlio del presidente della Federcalcio», Franco Carraro: è proprio il mistero di Romafides. Se ci sia davvero suo figlio Luigi dietro la fiduciaria non è dato saperlo. Scorrendone la composizione, rilevabile dai documenti depositati presso la Camera di Commercio, salta evidente all'occhio il socio occulto. Gli azionisti della Gea sono tre: le due società Football Management e General Athletic, ciascuna al 45%, e Riccardo Calleri al 10%. A sua volta, la Football Management è controllata al 60% da Alessandro Moggi. Della General Athletic, Andrea Cragnotti, Francesca Tanzi e Chiara Geronzi detengono ciascuno il 20%.

Il restante 40% è in mano a Romafides. Insomma, il segreto resta ben tenuto nelle stanze dell'istituto capitolino. Ma l'acuirsi delle preoccupazioni per i tanti intrecci calcistici, finanziari e familiari della Gea non ha scosso i piani alti della Federcalcio. Il problema del conflitto di interessi dei suoi uomini è stato rapidamente risolto con un semplice stratagemma: basta che l'atleta firmi un modulo nel quale sostiene di esserne a conoscenza. Non sarebbe un problema di poco conto: infatti, nonostante la lista completa dei calciatori e degli allenatori dei quali la Gea detiene la procura sia tenuta gelosamente nascosta, in barba alla trasparenza, si parla di circa 150 assistiti tra calciatori e allenatori di serie A e B. Ma i tentacoli si stanno rapidamente allungando anche nei campionati minori e nei settori giovanili. Circa l'estemporanea soluzione, è utile ricordare che Franco Carraro, oltre a essere il presidente federale, è anche il numero uno di MCC, banca d'affari posseduta dal gruppo Capitalia. C'è un particolare aggiuntivo che ha probabilmente consigliato a Urbani e Tremonti di glissare sulla questione. Dallo scorso dicembre, Capitalia ha ceduto il 20,1% di MCC a diversi grandi gruppi: il 3% è detenuto adesso dalla Fininvest. Un garbuglio simile è difficile a vedersi: nella stessa barca navigano Berlusconi, Carraro, Geronzi, Moggi, Tanzi e i loro uomini. Anche un gruppo di 39 deputati del centro-sinistra ha presentato, il 2 luglio scorso, un'interpellanza al ministro Urbani sui vari conflitti di interesse del mondo del calcio: da Carraro a Galliani, includendo la Gea. Doveva essere discussa ieri alla Camera, ma è stata rinviata alla prossima settimana. In caso di risposte insoddisfacenti dell'esecutivo c'è già l'intenzione di ricorrere alle Autorità garanti della concorrenza.

L'argento di famiglia
Seconda e conclusiva puntata dell'inchiesta sulla Gea World. Il conflitto d'interessi tra padri illustri e rampolli arrivisti ha mille volti, come per l'affitto della sede di vicolo Barberini o per la misteriosa fiduciaria Romafides. E intanto sembra imminente l'arrivo di De Mita junior per ulteriori intrecci calcistici, finanziari e familiari
MARCO LIGUORI
SALVATORE NAPOLITANO
«Papà, me lo dai l'appartamento?». E' una frase ricorrente in molte famiglie benestanti. Se il rampollo ha bisogno, un piccolo aiuto non gli si può negare. Nel nostro caso, la famiglia in questione è composta da un padre e da una figlia, i cui nomi sono molto noti e influenti: l'uno è Cesare Geronzi, presidente del gruppo Capitalia, a cui fa capo anche la Banca di Roma. L'altra è la primogenita Chiara, giornalista del Tg5. L'appartamento si trova in una zona centralissima della Capitale: è infatti al secondo piano del numero 35 di vicolo Barberini. E' davvero molto spazioso: circa 180 metri quadrati, suddivisi tra salone pranzo, due camere, cucina e doppi servizi. L'episodio risale alla metà di gennaio del 2001. La Gea World sarebbe nata soltanto qualche mese dopo, ad ottobre, ma erano già operative le due società che le avrebbero dato vita: la Football Management di Alessandro Moggi, figlio di Luciano, direttore generale della Juventus, nata nel 1994, e la General Athletic, fondata nell'ottobre 2000, controllata al 20% ciascuno da Andrea Cragnotti (figlio di Sergio), Francesca Tanzi (figlia di Calisto) e Chiara Geronzi, e al 40% dalla fiduciaria del gruppo Capitalia, Romafides, schermo per il socio occulto che è da tempo oggetto di curiosità anche in Parlamento. La General Athletic era alla ricerca di una sede sociale per cominciare la propria attività: l'appartamento di vicolo Barberini sembrava perfetto. Anche perché il suo proprietario era la Banca di Roma. Ma non sarebbe stato elegante un passaggio diretto tra padre e figlia: a quel tempo, infatti, Chiara Geronzi era presidente del consiglio di amministrazione della General Athletic. Meglio cancellare qualche traccia: la soluzione fu rapidamente trovata. A dare in affitto l'abitazione fu la Cornice Immobiliare, mandataria dell'istituto presieduto da Cesare Geronzi. A firmare il contratto come conduttore fu Tommaso Cellini, all'epoca fresco ex-direttore marketing della Lazio, che aveva ricevuto un mandato speciale dalla stessa Chiara Geronzi per concludere l'affare. Ma il colpo di genio fu nel concedere i locali per uso abitativo: un modo per fissare un canone più vantaggioso per l'affittuario. Non solo, ma nell'articolo 3 del contratto di affitto è stato reso esplicito il «divieto al conduttore di qualsiasi diversa destinazione anche parziale o temporanea dell'unità immobiliare locata».

Dunque, un bell'affare per la General Athletic, molto di meno per la Banca di Roma, che ha affittato un immobile di prestigio ad un canone annuo di poco più di 43 milioni e mezzo di vecchie lire: appena 20.355 mensili al metro quadro. Non c'è che dire: davanti ai bisogni della figlia, gli interessi degli azionisti passano in second'ordine. Anche in questa operazione c'è la conferma del nodo inestricabile che lega insieme Banca di Roma, Parmalat, Lazio e Juventus. Quell'appartamento, ben lungi dall'aver ospitato la famiglia Cellini, è diventato la sede della General Athletic. E adesso lo è della Gea. A proposito della quale c'è da osservare che sono in corso manovre farraginose per far scomparire il convitato di pietra, ossia Romafides, la fiduciaria dietro la quale si cela dall'origine il socio misterioso. Il presidente della Gea Alessandro Moggi ha detto con sicurezza che «non esiste nessuna fiduciaria». Ma la pratica con la quale la società avrebbe annunciato il cambio dell'assetto proprietario è stata formalmente sospesa. C'è infatti un documento di troppo. In uno l'elenco dei soci è rimasto invariato, nell'altro è scomparsa Romafides. Insomma, trattandosi di Gea, si potrebbe parlare a ragion veduta di un conflitto di interessi tra documenti.

Non si sa bene come finirà questa sorta di gioco delle tre tavolette: tra le ipotesi più verosimili ci sono l'ingresso di Giuseppe De Mita, figlio di Ciriaco e attuale direttore generale, che diventerebbe anche socio a tutti gli effetti.
14/03/2005 21:34
 
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Marco Lillo per L’espresso


Sembrava davvero credibile Franco Carraro, presidente del calcio italiano, mentre sprofondato nel divanetto bianco di 'Porta a porta" prometteva controlli e rigore per i conti disastrati delle società. Eppure solo due giorni dopo Capitalia salvava la Roma di Franco Sensi. La banca di Cesare Geronzi ha convertito 35 milioni di debiti in azioni, acquisendo contemporaneamente buona parte del patrimonio del costruttore. Lo scopo: vendere per fare cassa. E chi gestirà la dismissione? Ovviamente il Mediocredito, banca controllata da Capitalia e presieduta da Franco Carraro. Sì proprio il presidentissimo del calcio che aveva promesso rigore dai divani di Vespa.

Non c'è da stupirsi. Ad Alain Elkann che gli chiedeva nel 2001: «Come fa a presiedere una banca e a occuparsi di calcio? » il bi-presidente rispondeva serafico: «Il tempo che dedico al calcio lo sottraggo al tempo libero senza venir meno ai miei impegni professionali». Insomma la Figc, per il suo capo è poco più di un hobby, il vero padrone è il Gruppo Capitalia che lo paga 870 mila euro all'anno. Mentre dalla Federcalcio, si lamenta Carraro con il "Corriere dello sport", «io non ricevo uno stipendio, solo qualche rimborso».

La situazione è imbarazzante ma il presidente double-face nella stessa intervista riesce a tramutarla in un titolo di merito: «Il vantaggio della situazione viene dall'autonomia che mi deriva dal non dipendere da uno stipendio». Come se il fatto di essere stipendiato dalla banca che è proprietaria o finanziatrice di mezzo campionato fosse una garanzia. L'uomo è fatto così. Carraro iniziò la carriera negli anni Sessanta come campione e poi dirigente dello sci nautico.

Uno sport praticato da ricchi e potenti, in cui bisogna sapere scivolare e soprattutto restare a galla. In queste tre attività Carraro è rimasto il campione di allora. Quanto allo stare in mezzo ai potenti, il presidente sciatore non ha rivali. Negli anni del Caf frequentava Craxi e Andreotti e lo fecero re dello sport, poi ministro dello Spettacolo, infine sindaco di Roma. Quando la sua giunta fu travolta dagli arresti capì che bisognava ripiegare sui due poteri rimasti in piedi dopo Mani pulite: banche e imprese.

Negli anni Novanta così il salotto della moglie Sandra Alecce, figlia di un importante imprenditore farmaceutico, incoronò due nuovi Cesari: Romiti - che nominò Carraro presidente della società di costruzioni Impregilo - e il banchiere Geronzi, che lo portò ai vertici del Mediocredito, la merchant bank della ex Banca di Roma, ora Capitalia.

Quanto all'abilità di scivolare sui problemi senza prenderli di petto, anche in questa arte Carraro non è secondo a nessuno. Per capirlo bisogna leggere due interviste. Nella prima, nel 1994, Carraro dichiarava al "Corriere": «Bisogna creare un'autorità indipendente per controllare i bilanci delle società di calcio». Nella seconda a "Porta a porta", due settimane fa, Carraro ripeteva esattamente lo stesso concetto. Senza ricordare che nel mezzo era stato in varie posizioni ma quasi sempre al vertice dello sport. Carraro era presidente della Federcalcio nel 1976 quando c'era Leone al Quirinale e Breznev al Cremlino e lo è ancora oggi. Per chi soffre l'ansia del tempo che corre veloce, la sua presenza rassicurante è una toccasana.

Con la destra e la sinistra, la prima e la seconda Repubblica, Carraro è sempre lì. Con il suo abito blu, la mania del golf, le sfuriate alle segretarie, la sveglia alle 5 di mattina, la nanna alle 23 e i mille tic raccontati in un'ampia agiografia giornalistica. Anni fa un quotidiano titolò così un suo ritratto: «L'uomo che cominciò camminando sull'acqua». Sulla "Gazzetta dello sport" dell'amico Romiti sono uscite decine di interviste con titoli stile: «Carraro, l'uomo che unisce» (1997); «Carraro, architetto del nuovo calcio», «Carraro, un trionfo annunciato» (2001). Ma per comprendere chi è davvero aiutano di più gli organigrammi societari.

Il riepilogo è noioso ma utile: Mediocredito è uno dei maggiori azionisti della Lazio con il 5,6 per cento. Capitalia è diventata socia con il 49 per cento di Italpetroli che controlla la Roma. Oltre che delle squadre romane il gruppo Capitalia-Mediocredito è grande creditore anche del Parma di Tanzi e del Perugia di Gaucci. Mediocredito è esposto anche per 31 milioni di euro con l'ex proprietario del Napoli, Giorgio Corbelli, e le sorti del credito della banca di Carraro sono legate indirettamente alle sorti del Napoli.

Eppure, nonostante il suo conflitto di interessi, a luglio del 2003 Carraro è arrivato a citare in giudizio civile il Tribunale amministrativo che stava dando ragione al Catania ammettendolo in serie B, così escludendo il Napoli. Per quella vicenda Carraro è indagato per "minacce a corpi giudiziari dello Stato", su denuncia del Tar di Catania, e per abuso di ufficio. Per quest'ultimo reato è indagato anche a Roma dove i tifosi viola hanno denunciato la disparità di trattamento subita dalla società di Cecchi Gori. Quasi certamente tutto si chiuderà con una doppia archiviazione ma non sarebbe certo una richiesta di rinvio a giudizio a turbare Carraro.

Tra i suoi amici, oltre a Cesare Geronzi, spiccano gli Agnelli, Romiti e Berlusconi. Grazie a Susanna Agnelli, i Carraro abitano una delle ville più belle di Roma: "Bosco Parrasio", alle pendici del Gianicolo. Era la sede dell'Acccademia dell'Arcadia fondata nel Seicento. Nel 1973 l'Arcadia affittò la villa a Suny Agnelli che nel 1978 girò il contratto a Carraro. Secondo i giornali, nel 1993 il canone era fermo a un milione e ottocentomila lire. Ma al "Corriere" Carraro replicò: «L'affitto è un po' più alto e il contratto scadrà nel 2003 ». È stato ovviamente rinnovato e sul canone resta il mistero.

Gli amici potenti lo hanno aiutato anche questa estate a restare in sella nel momento più brutto della sua carriera. Gianfranco Fini aveva chiesto le sue dimissioni pubblicamente e tutti lo davano per spacciato. Ma ecco che Berlusconi dalla Sardegna decreta: «Dimissioni per Carraro? Non ne vedo la ragione». Proprio in Sardegna in quei giorni Carraro seguiva l'operazione di acquisto dei possedimenti dell'Aga Khan in Costa Smeralda da parte del finanziere americano Tom Barrack. È stato il Mediocredito di Carraro a tirare fuori 195 milioni di euro sui 300 complessivamente pagati da Barrack.

Mentre il resto è stato offerto da banche amiche come la Abaxbank all'epoca guidata da Fabio Arpe, fratello dell'amministratore delegato di Capitalia e Mediocredito Matteo Arpe. Non è elegante per un banchiere presiedere le società finanziate ma Carraro anche in Sardegna non è riuscito a resistere alla tentazione che lo ha fatto soprannominare "poltronissimo". Così presiede Shardana e Smeralda Holding, due delle società di Barrack. Mentre su 25 milioni di euro di azioni della Smeralda holding Mediocredito vanta un pegno.

Carraro non è solo uomo di calcio e turismo. Ha anche un garage. II presidente della Figc è proprietario del 92 per cento della Autosalone Astoria Sri, fondata negli anni cinquanta, nota a Roma per essere stata la concessionaria di auto dei principe De Curtis, alias Totò. Ora è divenuta un'autorimessa di lusso: il "Parioli Parking", gestita da una società che versa ogni anno 34 mila euro per l'affitto alla società dei Carraro, gestita dal figlio Luigi.

Alla tenera età di 26 anni, Luigi Carraro non si interessa solo di autorimesse. Insieme a Benedetta Geronzi, (31 anni) ha fondato anche la Filmworld, una casa di produzione per spot pubblicitari che fattura 15 milioni all'anno. I maligni quando hanno visto il marchio Geronzi-Carraro sotto le campagne di Fiat, Wind, Pagine gialle e Poste, accanto all'uccellino di Del Piero o al cagnone della Tim hanno subito ricordato il rapporto tra Uliveto e la nazionale, il ruolo di Mediocredito nella ristrutturazione del debito Fiat o l'esposizione di Telecom verso Capitalia. Ma i due rampolli celebri vanno avanti per la loro strada. Carrarino ha messo su anche due società con Romano Malavolta, erede dell'omonimo gruppo alimentare abruzzese con un giro d'affari da 75 milioni di curo.

Carraro e Malavolta puntano a costruire immobili turistici con la neonata Italiana Gestioni Srl di Giulianova. Mentre la Axian di Teramo, attiva da settembre scorso, in cui è socia anche Benedetta Geronzi attraverso la Netcorp, costruisce già casseforti, forzieri e porte blindate. E il conflitto di interesse? I puristi del genere avranno da ridire anche in questo caso. Non perché le casseforti fanno pensare alle banche ma perché Malatesta junior è il patron del Teramo Calcio, serie C1.


Aprile 2004
14/03/2005 21:35
 
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Pietrangelo Buttafuoco per “Economy”,

È igienista, non mangia, non beve, trangugia da un thermos che porta da casa una brodaglia vagamente vegetale. Il beverone impressionò la plebe impiegatizia del Comune di Roma quando vi alloggiò da sindaco. Leggenda vuole che si levi all’alba, faccia il suo primo dovere leggendo i giornali, che eserciti il suo caratteraccio – dicono il peggiore dei caratteri possibili – pianificando le ore per gli affari perché dopotutto Franco Carraro è gravato da un quadruplo ruolo: è presidente della Federcalcio, dopo di che è amico di Cesare Geronzi, capo di Capitalia.

In realtà c’è un terzo addentellato in questo capitalista del giuoco calcio, ossia l’essere marito. È sposato con Sandra Alecce, ed è lei, la splendida Sandra, a far da motore immobile al turbinio di vita che addobba su se stesso. È infatti anche a capo di Mediocredito, consigliere d’amministrazione di Capitalia e qui, senza far paragoni, potrebbe cominciare il rosario di affinità con la categoria «conflitto d’interessi» perché quando la Lazio ebbe bisogno di una lucidata al bilancio, la società poté godere del meritato prestito-ponte, iscriversi al campionato, fare quelle cose da ricchi che sono negate ai poveri. Al Catania per esempio, o al Paternò, due società prive di sponsor che Carraro ha cercato di far penare.

Recita varie parti in commedia Carraro. «È nauseante» disse a chi si scandalizzò per la Gea, la società di procacciatori di calciatori dove erano riuniti Chiara Geronzi, figlia di Cesare, e Alessandro Moggi, figlio di Luciano. E non si capì se si riferiva alla Gea o a chi parlava di scandalo. Franco Carraro, che sfugge a qualsiasi marchiatura politica, è l’ineffabile boa sottoposta agli schiaffi delle mareggiate d’alta finanza. Per quanto potenti possano essere queste, per quanto possano avvicinare il vascello di Mario Pescante – ex presidente Coni e sottosegretario di Forza Italia (sostenuto da An) che non lo ha simpatico – Carraro si lascia scivolare e sopravvive. È più che solidissima boa lui, segnala un eccellente sub che lavora in immersione. Resta da sapere chi sia il sub. Una scuola propende per la moglie, donna Sandra. Un’altra indica nel nuotatore del buio abisso l’amico don Cesare. Tertium non datur.

Agosto 2003
14/03/2005 21:37
 
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Perché una banca nel calcio
Dal libro: "Il pallone nel burrone" di Salvatore Napolitano e Marco Liguori, ed. Riuniti

L’irruzione prepotente, e per ciò stesso devastante, del denaro nel mondo del calcio, cominciata nel momento esatto in cui il fenomeno, da sportivo che era, è diventato essenzialmente televisivo, e rivelatasi inarrestabile da quando, nel 1996, le società sono state trasformate in Spa con fini di lucro, produsse una prima conseguenze: molti grandi gruppi economici, italiani e non, si sono avvicinati al pallone. L’esplosione praticamente simultanea di ricavi e costi ne ha subito generata una seconda: soltanto le squadre appartenenti a gruppi di dimensione internazionale sono in grado di reggere a lungo la competizione ai massimi valori. Ma se al Nord il tessuto economico è di indubbio livello europeo, nel resto d’Italia, sotto questo aspetto, la distanza con il settentrione resta abissale. Non a caso Juventus e Milan possono giovarsi non solo della forza economico-finanziaria di Fiat e Fininvest, ma anche della loro influenza politica, mentre l’Inter fruisce del sostegno di due gruppi come la Saras e la Pirelli. Cominciando il percorso verso Sud, lo scenario si trasforma progressivamente in modo radicale. E’ la conseguenza della selezione darwiniana imposta dalla dittatura degli affari, che ha prodotto lo stesso effetto dirompente delle ruspe che scavano nella foresta amazzonica. Il Parma si è identificato da sempre con la Parmalat; prima dell’esplosione fragorosa della crisi, datata fine novembre 2003, era l’ottavo gruppo industriale italiano e faceva parte delle prime 30 società quotate a Piazza Affari. Ma neanche ciò bastava a far sostenere a lungo la concorrenza con i giganti del Nord. Era cominciato così l’inevitabile ridimensionamento economico e finanziario: come tutti i ricchi caduti in disgrazia, la società ducale è stata costretta a vendere poco alla volta l’argenteria familiare. Nell’estate 2001, Gianluigi Buffon e Lilion Thuram alla Juve, l’anno seguente Fabio Cannavaro all’Inter, nell’agosto 2003 Adrian Mutu al Chelsea del nuovo giovane Paperone russo, il petroliere Roman Abramovich. E il distacco del Parma dalla Parmalat, unito ai conti niente affatto tranquillizzanti della società gialloblù (77 milioni di euro persi nell’esercizio 2002-2003, secondo quanto riferito dal consiglio di amministrazione), promette un futuro denso di incognite. Non sempre disfarsi degli oggetti di famiglia è sufficiente a raddrizzare la situazione: basta ricordare ciò che è successo alla Fiorentina guidata da Vittorio Cecchi Gori. Non furono i conti della squadra a trascinare nel baratro il gruppo produttore cinematografico, ma l’esatto contrario. Per evitare il tracollo, la società gigliata vendette Gabriel Batistuta alla Roma nell’estate 2000, Manuel Rui Costa al Milan e Francesco Toldo all’Inter l’anno successivo. Non bastò: nella primavera 2001 le banche chiusero i loro rubinetti. Fu l’inizio della fine; nell’estate 2002 la Fiorentina è fallita, trascinata nel dissesto finanziario del gruppo Cecchi Gori, ma è subito risorta orgogliosa a nuova vita, avendo potuto contare sempre sulla passione indistruttibile de suoi tifosi; in 17.000 si sono abbonati al campionato di C2, stabilendo un primato difficilmente superabile. Roma e Lazio hanno subito le difficoltà finanziarie dei loro azionisti di riferimento: è tristemente noto il caso Cirio, gruppo di controllo della Lazio fino al luglio 2003. Nello stesso mese, come si vedrà più approfonditamente nell’ottavo capitolo, la società agroalimentare è stata posta in liquidazione volontaria e successivamente ammessa alla procedura straordinaria di risanamento prevista dalla legge cosiddetta Prodi-bis. Ma le migliaia di risparmiatori che avevano creduto nella società, sottoscrivendo obbligazioni per un totale di 1,1 miliardi di euro, dubitano di poter rivedere i propri soldi.

Per restare ai vertici della classifica del campionato, e combattere ad armi più o meno pari con i giganti protetti del Nord, per le due romane c’era una sola possibilità: alimentarsi alle generose mammelle della moderna lupa cittadina, Capitalia. Nel panorama della finanza italiana è un nome nuovo: però, le sue radici sono ben piantate nella storia bancaria del nostro paese: è infatti il gruppo nato il primo luglio 2002 dall’integrazione tra Banca di Roma, Banco di Sicilia, Mcc, nuova denominazione della banca d’affari Mediocredito Centrale, Bipop Carire e Fineco Group. A sua volta, la Banca di Roma era sorta dall’unione di tre dei più antichi istituti della capitale: il Banco di Santo Spirito, le cui origini risalgono al lontanissimo 1605 e sono dovute a un decreto di papa V Borghese, la Cassa di Risparmio di Roma, fondata nel 1836 da un gruppo di 175 nobili romani, e il Banco di Roma, creato nel 1880. Altra via per sfidare le grandi del Nord non c’era: solo una banca di dimensioni notevoli avrebbe potuto garantire gli aiuti necessari a reggere la sfida. Anche il Napoli è dovuto ricorrere all’ausilio dell’istituto capitolino, affidandosi a Mcc; per acquisire la società partenopea, Giorgio Corbelli chiese e ottenne un finanziamento di 32 milioni di euro, non ancora restituiti; soprattutto perché, a sua volta, nemmeno il nuovo acquirente, l’imprenditore alberghiero Salvatore Naldi, subentrato nel maggio 2002, ha pagato le azioni cedutegli da Corbelli. E’ la storia che puntualmente si ripete negli ultimi anni: la passione conduce spesso a compiere dei passi molto più lunghi delle proprie gambe.

Un consiglio di amministrazione particolare
Il quartier generale dell’istituto capitolino è ubicato all’angolo tra via Minghetti e la centralissima via del Corso. Essa prese il suo nome attuale nel Quattrocento, ma esisteva già all’epoca dell’imperatore Augusto, ossia, come ricorda Virgilio a Dante nel primo canto della Divina Commedia, al tempo «degli dèi falsi e bugiardi». L’origine del nome della strada riecheggia le corse che vi si svolgevano. (…)
Al numero 239 sorge il Palazzo Sciarpa-Colonna, appartenuto all’Inps dagli anni Novecento e ceduto, alla fine degli anni novanta, alla Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, azionista di Capitalia con il 7,186%. (…)
Proprio all’interno di questo splendido palazzo, sorto a nuova vita nel Settecento grazie al rimodernamento voluto da Cardinale Prospero Colonna di Sciarpa, agiscono, sia pure in affitto, il presidente di Capitalia, Cesare Geronzi e tutto lo stato maggiore dell’istituto. (…)
Al quarto e ultimo piano del palazzo, Cesare Geronzi ha insediato il suo ufficio; da lì egli può dominare sia via Minghetti che via del Corso. Sullo stesso piano c’è il ponte di comando dell’istituto capitolino: è la sala in cui si riunisce il consiglio di amministrazione. (…)
Al primo piano dell’edificio si trovano i padroni di casa della Fondazione Cassa di Risparmio di Roma. Al fianco di Geronzi si è insediato, durante l’estate 2003, il neo-amministratore delegato Matteo Arpe. I consiglieri, nuovi di zecca, sono 19; l’assemblea dei soci ne ha ratificato la nomina il 4 dicembre 2003; spiccano i nomi di Franco Carraio, Ahmed Menesi, Pierluigi Toti e Carlo Puri Negri, mentre è uscito Calisto Tanzi, che faceva parte del direttivo dall’aprile 2001. Carraro è uno dei dirigenti di più lungo corso dello sport nostrano. Attualmente è il presidente della Federazione italiana giuoco calcio, una sorta di governo del più seguito sport nazionale. Ahmed Menesi è il governatore della Banca centrale libica ed è l’uomo designato dal dittatore Gheddafi a rappresentare la sua posizione all’interno dell’istituto di credito italiano. Il colonnello è infatti azionista di Capitalia con il 5%, attraverso la Libyan Arab Foreign Bank: è la banca da cui transitano i fondi provenienti dalle esportazioni di petrolio dalla Libia. Pierluigi Toti è un noto costruttore con aderenze nel mondo finanziario: è presidente e amministratore delegato del Gruppo Lamaro, e siede anche nel consiglio di amministrazione di Interbanca. Carlo Puri Negri è l’amministratore delegato di Pirelli Real Estate, costola immobiliare del gruppo milanese, e uomo di fiducia di Marco Tronchetti Provera. (…)

Soci nuovi e vecchi, importanti o meno
La composizione azionaria di Capitalia è variegata (…)
L’azionista principale del gruppo guidato da Cesare Geronzi è diventata la banca olandese Abn Amro, che ha incrementato la propria quota al 9%. Subito dietro viene la Fondazione Cassa di Risparmio di Roma con il 7,186%. I colonnello Gheddafi possiede il 5% (…) giusto un centesimo in più del 4,99% detenuto dalla Toro Assicurazioni. Intorno al 3% oscillano ben sette diversi azionisti; il fondo pensioni olandese Stichting, la Regione Sicilia, la Fondazione Banco di Sicilia, la Banca Finnat, la Keluma e la finanziaria Premafin; fino ai primi di dicembre 2003 la lussemburghese Magiste aveva il 3%, da allora è scesa sotto il 2%; il 2% è della Tosinvest, l’1,9% della Pirelli, l’1,758% della Lamaro Costruzioni, e poi, con quote variabili tra l’1% e lo 0,2%, ci sono l’ingegnere mantovano Roberto Colaninno, dall’autunno 2003 alla guida della Piaggio, la Colacem, il gruppo Marchini, il gruppo Ferrarini e Massimo Moratti, entrato con lo 0,2% attraverso la fiduciaria Sirefid.
30/05/2006 01:37
 
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Da rileggere..

Andrea
e tutto mi sembrava andasse bene...
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