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«Gesù di Nazareth. Dal Battesimo alla Trasfigurazione»

Ultimo Aggiornamento: 04/10/2007 15:34
22/11/2006 08:25
 
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Poiche' nei prossimi mesi si parlera' molto del libro del papa, ho pensato di aprire una nuova discussione che vertera' proprio su questo argomento, con anticipazioni, articoli e indiscrezioni [SM=g27828]
22/11/2006 08:27
 
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sui giornali di oggi...
Il primo best-seller di Benedetto XVI è dedicato a Gesù
di Andrea Tornielli

Uscirà a marzo, è atteso come un best-seller, sarà il primo libro uscito dalla penna di Joseph Ratzinger da quando è stato eletto anche se il Papa nella prefazione spiega che il volume «non è assolutamente un atto magisteriale» perciò «ognuno è libero di contraddirmi». S’intitola Gesù di Nazaret. Dal Battesimo nel Giordano alla Trasfigurazione (edito da Rizzoli in collaborazione con la Libreria editrice vaticana), è dedicato alla figura di Cristo e molti fedeli, inconsapevolmente, ne hanno già potuto ascoltare degli «assaggi», perché negli ultimi mesi, all’udienza del mercoledì, Benedetto XVI ha parlato degli apostoli e del loro rapporto con il Nazareno toccando proprio alcuni aspetti contenuti nel volume.
Joseph Ratzinger aveva cominciato a lavorare alla sua stesura «durante le vacanze estive del 2003», quando ancora era cardinale. L’anno successivo ha «dato forma definitiva» ai primi quattro capitoli. Infine, «dopo la mia elezione alla sede episcopale di Roma, ho usato tutti i momenti liberi per portarlo avanti». «Poiché non so quanto tempo e quanta forza mi saranno ancora concessi - confida il Papa nella prefazione (della quale pubblichiamo in questa pagina un ampio stralcio) - mi sono deciso a pubblicare come prima parte del libro i primi dieci capitoli, che vanno dal battesimo nel Giordano fino alla confessione di Pietro e alla Trasfigurazione». Si tratta dunque del primo di due volumi, che prende in esame il periodo della vita pubblica di Gesù, dal suo inizio (battesimo) fino alla vigilia della sua passione, morte e resurrezione. Il «teologo» Ratzinger, che significativamente firma il volume con il suo nome di battesimo e non con quello che si è scelto nella Cappella Sistina il 16 aprile 2005, vuole offrire le sue riflessioni come un qualsiasi altro studioso, senza imporle a nessuno né renderle in alcun modo un atto di magistero. Per questo ognuno «è libero» di contraddirlo. «Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza la quale non c’è alcuna comprensione».
L’annuncio della pubblicazione del libro prevista il prossimo marzo è stato dato dalla Sala Stampa della Santa Sede e dalla Rcs Libri. Quest’ultima gestirà la vendita dei diritti all’estero. All’origine dell’iniziativa di Benedetto XVI c’è la volontà di parlare del Gesù storico e del Cristo della fede mostrando come non siano due persone diverse. Mostrando come la figura del Nazareno sia «molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni». «Io ritengo - scrive il Papa - che proprio questo Gesù - quello dei Vangeli - sia una figura storicamente sensata e convincente. Solo se era successo qualcosa di straordinario, se la figura e le parole di Gesù superarono radicalmente tutte le speranze e le aspettative dell’epoca, si spiegano la sua Crocifissione e la sua efficacia».
Con semplicità, efficacia e realismo, Ratzinger mostra come le spiegazioni di generazioni di esegeti, che hanno attribuito la creazione della figura del Cristo della fede all’azione «di formazioni comunitarie anonime», in realtà non spiegano nulla. Così come le ricostruzioni dei negatori della storicità del Gesù evangelico appaiono «molto di più fotografie degli autori e dei loro ideali». Certo, il Papa dà per scontato quanto il Concilio e la moderna esegesi «dicono sui generi letterari», ma non rinuncia a presentare il Cristo dei vangeli come «il vero Gesù», quello «storico» nel «vero senso dell’espressione». Per molti decenni, purtroppo, ci sono stati studiosi d’esegesi biblica che hanno considerato intoccabili solo le loro note al testo, stravolgendo invece il testo stesso per arrivare a dimostrare che del Gesù della storia possiamo sapere poco o nulla.
Quale sarà, dunque, il percorso del libro? «L’autore - spiega il comunicato della Rcs - invita il lettore ad avvicinarsi a Gesù come al Cristo Salvatore, compiendo come i discepoli il tratto di strada della vita pubblica del Nazareno, a partire dal battesimo nel fiume Giordano fino a giungere al monte della Trasfigurazione: luogo e tempo nel quale il Maestro permette ai discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, di iniziare a intuire qualcosa di più del mistero della sua persona».

(da "il giornale" del 22 novembre 2006)



Il volume del Papa sarà pubblicato da Rizzoli nella primavera 2007

Joseph Ratzinger racconta in un libro la sua "amicizia" con Gesù di Nazareth

«Nel mondo d'oggi l'immagine di Cristo si è come appannata. Si rischia di non conoscerla più»
di Giorgio Acquaviva

Questo libro non è un atto di magistero dice con una certa ironia Benedetto XVI nella Prefazione del suo «Gesù di Nazareth» «perciò ognuno è libero di contraddirmi». E aggiunge: «Chiedo solo alle lettrici e ai lettori (interessante anche l'ordine, non usuale..., ndr) quell'anticipo di simpatia senza la quale non c'è alcuna comprensione». Ma che cosa sarà quest'opera che il Papa offre al pubblico credente e non credente? Che cosa conterrà? Come spiegherà la vita del rabbi Jeshua che si definì e agì come Figlio di Dio? Che divise Israele fra una maggioranza che lo ripudiò e una minoranza che lo accolse? Come racconterà la "presa di coscienza" crescente dell'uomo-Dio Gesù nel suo cammino verso la Croce e la Resurrezione? Di certo dunque non sarà una lunga "enciclica" su Gesù. Piuttosto un'opera di spiritualità. Si sa che apparirà nelle librerie nella primavera 2007, primo di due volumi. È stato consegnato nei giorni scorsi alla Libreria Editrice Vaticana che lo affida alla Rizzoli per la pubblicazione in tutto il mondo. Dalle parole anticipate (brani della Prefazione e della Introduzione) traspare certamente la volontà di testimoniare la fede nel Figlio di Dio, ma anche il desiderio di partecipare l'amicizia e la familiarità con quel Gesù di Nazareth Messia e Signore che da una vita accompagna le giornate di Joseph Ratzinger.
Il tutto senza dimenticare il "mestiere" di teologo e di studioso che inevitabilmente segna l'approccio e probabilmente anche lo stile e il contenuto. Scrive papa Ratzinger nella Prefazione: «Il cammino interiore verso questo libro è stato lungo. Ho potuto cominciare a lavorarci durante le vacanze estive del 2003. Nell'agosto 2004 ho poi dato forma definitiva ai capitoli dall'1 al 4. Dopo la mia elezione alla sede episcopale di Roma ho usato tutti i momenti liberi per portarlo avanti, poiché non so conclude quanto tempo e quanta forza mi saranno ancora concessi, mi sono ora deciso a pubblicare come prima parte del libro i primi dieci capitoli, che vanno dal battesimo al Giordano alla confessione di Pietro e alla Trasfigurazione». C'è dunque una preoccupazione di fondo che ha mosso l'ex Prefetto della Dottrina della Fede: nel mondo d'oggi l'immagine di Gesù Cristo si è come appannata. Si rischia di non conoscerla più. Ricorda l'autore che fino agli Anni Cinquanta «libri entusiasmanti» delineavano la persona di Gesù a partire dai Vangeli. Poi avvenne lo strappo fra "Gesù storico" e "Cristo della fede".
Gli studi che avrebbero dovuto illuminare il contesto, far venire a galla dettagli storici e linguistici, hanno finito col far diventare evanescente la sua figura. Le diverse ricostruzioni hanno dato descrizioni sempre più parziali e "settoriali" (se non "settarie"): un Gesù rivoluzionario accanto a un Gesù moralista; spesso gli autori hanno proiettato se stessi e i propri ideali nella figura del Figlio di Dio fatto uomo. Molte di quelle immagini e impressioni si sono diffuse nella coscienza comune della cristianità. Facendo dimenticare elementi essenziali che erano chiari invece ai Padri della Chiesa, che coniarono definizioni come "Gesù, visibilità del Padre".


(da "la gazzetta del sud" di mercoledì 22 novembre 2006)

[Modificato da ratzi.lella 22/11/2006 8.34]

22/11/2006 08:50
 
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speciale korazym
PRIMO ARTICOLO

Ipotesi su Gesù (1). Papa Benedetto XVI alla ricerca del mistero di Cristo
di Alessandro Renzo

Il libro dedicato a Gesù di Nazareth, iniziato da papa Ratzinger quando ancora era cardinale, uscirà nella primavera del 2007. La Libreria Editrice Vaticana ha affidato l’opera alla casa editrice Rizzoli che gestirà i diritti d’autore in tutto il mondo.


Papa Benedetto XVI ha da poco terminato di scrivere un libro intitolato Gesù di Nazareth. La Libreria Editrice Vaticana ha affidato la pubblicazione dell’opera, iniziata da Joseph Ratzinger quando ancora era cardinale, alla Casa Editrice Rizzoli che gestirà i diritti d’autore in tutto il mondo. "Lo considero un grande privilegio", dice Giulio Lattanzi, amministratore delegato di Rcs Libri "e, nel ringraziare gli amici della Lev, avverto tutta la responsabilità che ne deriva e che ci impegniamo a onorare nel migliore dei modi".

È stata così confermata una voce che circolava dal luglio scorso, quando il quotidiano La Repubblica annunciò l'uscita imminente di un libro del papa dedicato a Cristo. Lo stesso Benedetto XVI, dalle vacanze della Val d'Aosta, confermò la notizia: "Sì, sto cercando di scrivere un libro ma è meglio non parlarne. Nei tentativi bisogna essere cauti perché può anche darsi che non si arrivi alla fine".

L’opera del papa è un grandioso affresco in due volumi su quello che lo stesso pontefice definisce "il mistero Gesù". Il primo volume, da poco completato, si inserisce nel grande alveo del dibattito mondiale sulla figura di Gesù: Papa Benedetto XVI offre qui la sua originalissima lettura e analisi storico-teologica del fondamento della fede cristiana, dando seguito al lavoro scientifico svolto nel corso degli ultimi cinquant’anni con la produzione di oltre seicento articoli e di un centinaio di libri tradotti in tutte le lingue.

Nel volume, che è il primo pubblicato da Joseph Ratzinger divenuto papa Benedetto XVI, l’autore invita il lettore ad avvicinarsi a Gesù come al Cristo Salvatore, compiendo come i discepoli il tratto di strada della vita pubblica del Nazareno, a partire dal Battesimo nel fiume Giordano fino a giungere al monte della Trasfigurazione: luogo e tempo nel quale il Maestro permette ai discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, di iniziare a intuire qualcosa di più del mistero della sua Persona.

Benedetto XVI racconta Gesù con grande passione, per consentire ad ogni lettore di mettersi in gioco e lasciarsi toccare dal Cristo. Al tempo stesso, il testo conserva la veste rigorosamente scientifica che contraddistingue gli scritti e i discorsi dello studioso. È in questa duplice chiave che l’incontro con Gesù si svela ancor più avvincente, proprio perché passa attraverso il fascino dell’esperienza particolarissima del fine teologo chiamato a diventare successore di Pietro.

Nel dare l’annuncio della pubblicazione del libro del Santo Padre Benedetto XVI il cui titolo è Gesù di Nazareth. Dal Battesimo nel Giordano alla Trasfigurazione, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, S.I., si è espresso in modo molto entusiasta: "Il fatto che Benedetto XVI sia riuscito a portare a termine la prima parte della sua grande opera su Gesù e fra pochi mesi sarà nelle nostre mani è una bella, bellissima notizia. Trovo straordinario - prosegue padre Lombardi - che nonostante gli impegni e le preoccupazioni del pontificato egli abbia potuto portare a maturazione un’opera di grande impegno scientifico oltre che spirituale. Dice che ha dedicato ad essa tutti i momenti liberi delle sue giornate. Già questo è un messaggio molto significativo sulla importanza e l’urgenza che ha per lui quest’opera".

Il papa dice espressamente che non si tratta di un documento del Magistero, ma del suo personale cammino interiore alla ricerca del "volto del Signore" e "perciò ognuno è libero di contraddirmi", sottolinea. Commenta il direttore della Sala Stampa della Santa Sede: "Il papa dice chiaramente, con la sua abituale semplicità e umiltà, che non si tratta di un ‘atto magisteriale’ ma di un frutto della sua ricerca personale e come tale potrà essere liberamente discusso e criticato. Questa è una osservazione molto importante, perché mette in chiaro che quanto lui scrive nel libro non vincola la ricerca di esegeti e teologi. Non si tratta di una lunga enciclica su Gesù, ma della personale presentazione della figura di Gesù del teologo Joseph Ratzinger, che è stato eletto vescovo di Roma. Allo stesso tempo, il fatto che colui che è stato eletto vescovo di Roma e ha il compito di sostenere la fede dei suoi fratelli abbia sentito così forte la chiamata a darci una rinnovata presentazione della figura di Gesù è molto significativo".

"La lunga Prefazione, di cui ci sono stati già resi noti l’inizio e la fine - prosegue padre Lombardi la sua Nota sul libro -, spiega efficacemente che nella situazione culturale attuale e in molte presentazioni della figura di Gesù, la distanza fra il ‘Gesù storico’ e ‘il Cristo della fede’ è diventata sempre più grande, che è diffusa la impressione che sappiamo ben poco di certo su Gesù e che solo più tardi la fede nella sua divinità ha plasmato la sua immagine. Questo situazione - dice espressamente il papa - ‘è drammatica per la fede, perché rende incerto il suo punto di riferimento: l’intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto’. Joseph Ratzinger, tenendo conto di tutti i risultati della ricerca moderna - dice padre Lombardi -, intende ripresentarci il Gesù dei Vangeli come il vero ‘Gesù storico’, come una figura sensata e convincente a cui possiamo e dobbiamo fare riferimento con fiducia e su cui abbiamo ben motivo di poggiare la nostra fede e la nostra vita cristiana. Con il suo libro, il papa intende quindi svolgere un servizio fondamentale per sostenere la fede dei suoi fratelli, e lo fa sul punto centrale della fede, cioè Gesù Cristo".

Inizio e fine della Prefazione

Al libro su Gesù, di cui ora presento al pubblico la prima parte, sono giunto dopo un lungo cammino interiore. Al tempo della mia giovinezza – negli anni Trenta e Quaranta – vennero pubblicati una serie di libri entusiasmanti su Gesù. Ricordo solo il nome di alcuni autori: Karl Adam, Romano Guardini, Franz Michel Willam, Giovanni Papini, Jean Daniel-Rops. In tutti questi libri l’immagine di Gesù Cristo venne delineata a partire dai Vangeli: come Egli visse sulla Terra e come, pur essendo interamente uomo, portò nello stesso tempo agli uomini Dio, con il quale, in quanto Figlio, era una cosa sola. Così, attraverso l’uomo Gesù, divenne visibile Dio e a partire da Dio si poté vedere l’immagine dell’uomo giusto. A cominciare dagli anni Cinquanta la situazione cambiò. Lo strappo tra il «Gesù storico» e il «Cristo della fede» divenne sempre più ampio; l’uno si allontanò dall’altro a vista d’occhio. Ma che significato può avere la fede in Gesù Cristo, in Gesù Figlio del Dio vivente, se poi l’uomo Gesù era così diverso da come lo presentano gli evangelisti e da come lo annuncia la Chiesa a partire dai Vangeli? I progressi della ricerca storico-critica condussero a distinzioni sempre più sottili tra i diversi strati della tradizione. Dietro di essi, la figura di Gesù, su cui poggia la fede, divenne sempre più incerta, prese contorni sempre meno definiti. Nello stesso tempo le ricostruzioni di questo Gesù, che doveva essere cercato dietro le tradizioni degli Evangelisti e le loro fonti, divennero sempre più contraddittorie: dal rivoluzionario nemico dei Romani che si oppone al potere costituito e naturalmente fallisce al mite moralista che tutto permette e inspiegabilmente finisce per causare la propria rovina. Chi legge di seguito un certo numero di queste ricostruzioni può subito constatare che esse sono molto più fotografie degli autori e dei loro ideali che non la messa a nudo di una icona diventata confusa. Nel frattempo è sì cresciuta la diffidenza nei confronti di queste immagini di Gesù, e tuttavia la figura stessa di Gesù si è allontanata ancor più da noi. Tutti questi tentativi hanno comunque lasciato dietro di sé, come denominatore comune, l’impressione che noi sappiamo ben poco di certo su Gesù e che solo più tardi la fede nella sua divinità ha plasmato la sua immagine. Questa impressione, nel frattempo, è penetrata profondamente nella coscienza comune della cristianità. Una simile situazione è drammatica per la fede perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento: l’intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto.

(…) Ho sentito il bisogno di fornire ai lettori queste indicazioni di metodo perché esse determinano la strada della mia interpretazione della figura di Gesù nel Nuovo Testamento. Per la mia presentazione di Gesù questo significa anzitutto che io ho fiducia nei Vangeli. Naturalmente do per scontato quanto il Concilio e la moderna esegesi dicono sui generi letterari, sull’intenzionalità delle affermazioni, sul contesto comunitario dei Vangeli e il loro parlare in questo contesto vivo. Pur accettando, per quanto mi era possibile, tutto questo ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il vero Gesù, come il «Gesù storico» nel vero senso della espressione. Io sono convinto, e spero che se ne possa rendere conto anche il lettore, che questa figura è molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni. Io ritengo che proprio questo Gesù - quello dei Vangeli- sia una figura storicamente sensata e convincente. Solo se era successo qualcosa di straordinario, se la figura e le parole di Gesù superarono radicalmente tutte le speranze e le aspettative dell’epoca, si spiegano la sua Crocifissione e la sua efficacia. Già circa vent’anni dopo la morte di Gesù troviamo pienamente dispiegata nel grande inno a Cristo della Lettera ai Filippesi (Fil, 2,6-8) una cristologia, in cui di Gesù si dice che era uguale a Dio ma spogliò se stesso, si fece uomo, si umiliò fino alla morte sulla croce e che a lui spetta l’omaggio del creato, l’adorazione che nel profeta Isaia (Is 45,23) Dio proclamò come dovuta a lui solo. La ricerca critica si pone a buon diritto la domanda: che cosa è successo in questi vent’anni dalla Crocifissione di Gesù? Come si giunse a questa cristologia? L’azione di formazioni comunitarie anonime, di cui si cerca di trovare gli esponenti, in realtà non spiega nulla. Come mai dei raggruppamenti sconosciuti poterono essere così creativi, convincere e in tal modo imporsi? Non è più logico anche dal punto di vista storico che la grandezza si collochi all’inizio e che la figura di Gesù fece nella pratica saltare tutte le categorie disponibili e poté così essere compresa solo a partire dal mistero di Dio? Naturalmente, credere che proprio come uomo egli fosse Dio e fece conoscere questo avvolgendolo nelle parabole e tuttavia in un modo sempre più chiaro, va al di là delle possibilità del metodo storico. Al contrario, se a partire da questa convinzione di fede si leggono i testi con il metodo storico e la sua apertura per ciò che è più grande, essi si aprono, per mostrare una via e una figura, che sono degne di fede. Diventano allora chiare anche la lotta a più strati presente negli scritti del Nuovo Testamento intorno alla figura di Gesù e nonostante tutte le diversità, il profondo accordo di questi scritti.

È chiaro che con questa visione della figura di Gesù io vado al di là di quello che dice ad esempio Schnackenburg in rappresentanza di una buona parte dell’esegesi contemporanea. Io spero, però, che il lettore comprenda che questo libro non è stato scritto contro la moderna esegesi, ma con grande riconoscenza per il molto che ci ha dato e continua a darci. Ci ha fatto conoscere una grande quantità di fonti e di concezioni attraverso le quali la figura di Gesù può divenirci presente in una vivacità e profondità che solo pochi decenni fa non riuscivamo neppure a immaginare. Io ho solo cercato di andare oltre la mera interpretazione storico-critica applicando i nuovi criteri metodologici, che ci permettono una interpretazione propriamente teologica della Bibbia e che naturalmente richiedono la fede senza per questo volere e poter affatto rinunciare alla serietà storica. Di certo non c’è affatto bisogno di dire espressamente che questo libro non è assolutamente un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del «volto del Signore» (Sal 27,8). Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza la quale non c’è alcuna comprensione.

Come ho detto all’inizio della prefazione, il cammino interiore verso questo libro è stato lungo. Ho potuto cominciare a lavorarci durante le vacanze estive del 2003. Nell’agosto del 2004 ho poi dato forma definitiva ai capitoli dall’1 al 4. Dopo la mia elezione alla sede episcopale di Roma ho usato tutti i momenti liberi per portarlo avanti. Poiché non so quanto tempo e quanta forza mi saranno ancora concessi mi sono ora deciso a pubblicare come prima parte del libro i primi dieci capitoli, che vanno dal battesimo al Giordano fino alla confessione di Pietro e alla Trasfigurazione.


Roma, festa di San Gerolamo
30 settembre 2006
Joseph Ratzinger - Benedetto XVI

(Da "Gesù di Nazareth", di Joseph Ratzinger, Rizzoli 2007)

"Da quanto leggiamo nei brani resi noti della Introduzione - ci spiega padre Federico Lombardi -, Gesù ci viene presentato come il nuovo Mosé, il nuovo profeta, che parla con ‘Dio faccia a faccia’, che è il Figlio, profondamente unito con il Padre. Se si lascia da parte questo aspetto centrale la figura di Gesù diventa contraddittoria e incomprensibile. Joseph Ratzinger ci parla dunque con passione della intima unione di Gesù con il Padre e vuole coinvolgere il discepolo che segue Gesù in questa comunione. Leggeremo dunque una grande opera di esegesi e di teologia ma anche una grande opera di spiritualità. Se penso alla grande impressione e al frutto spirituale che quando ero giovane ricavai dalla lettura della prima grande opera divulgativa di Ratzinger - Introduzione al cristianesimo - sono sicuro che anche questa volta non resteremo delusi, ma sia i credenti, sia tutte le persone veramente disposte a comprendere più profondamente la figura di Gesù saremo immensamente grati al papa della sua grande testimonianza di pensatore, di studioso e di uomo di fede sul punto più essenziale di tutta la fede cristiana".

Introduzione. Un primo sguardo sul segreto di Gesù

(…) In Gesù si compie la promessa del nuovo profeta. In lui si realizza pienamente quanto in Mosè era solo imperfetto: Egli vive al cospetto di Dio, non solo come amico ma come Figlio, in profonda unità con il Padre. Solo partendo da qui possiamo davvero capire la figura di Gesù che ci viene incontro nel Nuovo Testamento. Tutto quello che ci viene raccontato, le parole, i fatti, le sofferenze e la gloria di Gesù, ha qui il suo fondamento. Se si lascia da parte questo centro autentico non si coglie lo specifico della figura di Gesù che diventa allora contraddittoria e in definitiva incomprensibile. Solo da qui può ricevere una risposta la domanda di fronte alla quale si deve porre chiunque legga il Nuovo Testamento: da dove Gesù ha preso il suo insegnamento? Come si spiega la sua venuta? La reazione dei suoi ascoltatori fu chiara: questo insegnamento non viene da alcuna scuola. È radicalmente diverso da quello che si può imparare nelle scuole. Non è spiegazione secondo il metodo dell’interpretazione, è diversa, è spiegazione «con autorità». Ritorneremo su questa constatazione degli ascoltatori quando rifletteremo sulle parole di Gesù e dovremo approfondirne il significato. L’insegnamento di Gesù non proviene da un apprendimento umano, qualunque possa essere. Viene dall’immediato contatto con il Padre, dal dialogo «faccia a faccia», dal vedere quello che è «nel seno del Padre». È parola del Figlio. Senza questo fondamento interiore sarebbe temerarietà. Proprio così la giudicarono i sapienti al tempo di Gesù, proprio perché non vollero accogliere il suo significato interiore: il vedere e conoscere faccia a faccia.

Per la conoscenza di Gesù sono fondamentali gli accenni ricorrenti al fatto che Gesù si ritirava «sul monte» e lì pregava tutta la notte, «da solo» con il Padre. Questi brevi accenni diradano un po’ il velo del mistero, ci permettono di gettare uno sguardo dentro l’esistenza filiale di Gesù, di scorgere la fonte sorgiva delle sue azioni, del suo insegnamento e della sua sofferenza. Questo «pregare» di Gesù è il parlare del Figlio con il Padre in cui vengono coinvolte la coscienza e la volontà umane, l’anima umana di Gesù, di modo che la «preghiera» degli uomini possa divenire partecipazione alla comunione del Figlio con il Padre. La famosa affermazione di Harnack secondo la quale l’annuncio di Gesù è un annuncio che viene dal Padre e di cui il Figlio non fa parte –e dunque la cristologia non appartiene all’annuncio di Gesù- è una tesi che si smentisce da sola. Gesù può parlare del Padre, così come fa, solo perché è il Figlio e vive in comunione filiale con il Padre. La dimensione cristologica, cioè il mistero del Figlio che rivela il Padre, la «cristologia», è presente in tutti i discorsi e in tutte le azioni di Gesù. Qui si evidenzia un altro punto importante. Abbiamo detto che nella comunione filiale di Gesù con il Padre viene coinvolta l’anima umana di Gesù nell’atto della preghiera. Chi vede Gesù vede il Padre (Gv 14,9). Il discepolo che segue Gesù viene in questo modo coinvolto insieme con lui nella comunione con Dio. Ed è questo che davvero salva: il superamento dei limiti dell’uomo. Questo superamento era insito nell’uomo come attesa e possibilità fin dalla creazione per la somiglianza con Dio.


(Da "Gesù di Nazareth", di Joseph Ratzinger, Rizzoli 2007)

Continua.

(da www..org/default.asp)


[SM=g27811]
22/11/2006 13:21
 
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da "repubblica"
Libro del Papa su Gesù "Siete liberi di criticarlo"

"Non è un atto di magistero, ma ricerca di Cristo"

"Leggetelo con quella simpatia senza la quale non c´è comprensione"
Il pontefice ha precisato che non parla "ex cathedra"


di MARCO POLITI

CITTÁ DEL VATICANO - Un lungo viaggio verso Gesù. E´ il tema del primo libro che Joseph Ratzinger pubblica da pontefice. Un lungo cammino, anche interiore, per approfondire i risultati della moderna esegesi storico-critica e arrivare alla contemplazione del volto reale di Cristo. Il libro uscirà fine marzo in co-produzione tra l´Editrice Vaticana e la Rizzoli con il titolo Gesù di Nazareth, ma ai suoi lettori Benedetto XVI riserva fin dalle prima pagine una sorpresa: «Questo libro non è assolutamente un atto magisteriale - scrive il pontefice nella prefazione - ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del volto del Signore. Perciò ognuno è libero di contraddirmi».
Un piccolo colpo di scena, che rivela molto del carattere segreto di Ratzinger: quella sensibilità che gli riconoscono coloro che lo frequentano da vicino, quasi una sorta di discrezione nel non voler imporre le proprie opinioni. C´è un divario fra Ratzinger, quando sente incombere il dovere di agire anche d´autorità per tracciare il confine tra ciò che appartiene al patrimonio della fede e ciò che è materia opinabile, e Ratzinger quando si esprime nel libero gioco delle opinioni affidandosi unicamente alla persuasività delle sue argomentazioni.
I lettori di Gesù di Nazareth conosceranno il secondo: il teologo, anzi l´uomo che non ha paura di mettere se stesso in discussione e che chiede mitemente un pizzico di benevolenza iniziale. Sì, perché dopo aver ammesso nella prefazione che la propria opera non sarà munita di nessun sigillo speciale, Joseph Ratzinger si rivolge manzonianamente a chi comprerà il libro: «Ognuno è libero di contraddirmi e chiedo solo ai lettori e alle lettrici quell´anticipo di simpatia senza la quale non c´è alcuna comprensione».
Non è l´unico squarcio aperto sull´animo del Papa. «Al libro su Gesù - suona l´incipit della prefazione - sono giunto dopo un lungo cammino interiore». Il Papa rivela di aver cominciato a scrivere nell´estate del 2003. Poi, improvvisa, arriva la chiamata al pontificato. Ma il teologo Ratzinger non si è arreso: «Dopo la mia elezione - racconta - ho usato tutti i momenti liberi per portarlo avanti». Gli ultimi ritocchi sono stati dati questa estate in Val d´Aosta, quando il Papa ci confessava scaramanticamente che era meglio non parlare troppo di un libro in fase di scrittura, perché non si sa mai quando si riesce a terminarlo.
Affrontare l´argomento Gesù è sempre cosa da far tremare le vene e i polsi. Ratzinger spiega che con l´evolversi della ricerca storico-critica si è prodotta nell´ultimo mezzo secolo una divaricazione crescente e quasi insopportabile tra il Gesù della fede e il Gesù degli storici. Scrive il pontefice che «i progressi della ricerca storico-critica condussero a distinzioni sempre più sottili tra i diversi strati della tradizione. Dietro di essi, la figura di Gesù, su cui poggia la fede, divenne sempre più incerta, prese contorni sempre meno definiti». E qui Benedetto XVI prorompe: «Ma che significato può avere la fede in Gesù Cristo, figlio del Dio vivente, se poi l´uomo Gesù era così diverso da come lo presentano gli evangelisti e da come lo annuncia la Chiesa a partire dai Vangeli?».
Il fenomeno che il pontefice vuole combattere è «l´impressione che noi sappiamo ben poco di certo su Gesù e che solo più tardi la fede nella sua divinità ha plasmato la sua immagine». Questa impressione, ammette Ratzinger, è ormai «penetrata profondamente nella coscienza comune della cristianità: una simile situazione è drammatica per la fede perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento». E questo punto centrale è l´autentico e reale essere Gesù figlio di Dio. «L´insegnamento di Gesù - è detto nell´introduzione - non proviene da un apprendimento umano, qualunque possa essere. Viene dall´immediato contatto con il Padre, dal dialogo faccia a faccia. E´ parola del Figlio. Senza questo fondamento interiore sarebbe temerarietà».
Parole, fatti, sofferenze e gloria di Gesù, soggiunge Ratzinger, si comprendono solo nella figliolanza divina di Cristo: «Solo se era successo qualcosa di straordinario, se la figura e le parole di Gesù superarono radicalmente tutte le speranze e le aspettative dell´epoca, si spiegano la sua Crocifissione e la sua efficacia».
Il Papa si dice convinto che, così capita, la figura di Gesù sia anche molto più logica dal punto di vista storico, più comprensibile di tante ricostruzioni. Dunque, essere «amici» di Cristo permette di arrivare a vedere il volto del Signore. Fine ultimo, come dice il portavoce papale padre Lombardi, è di portare i seguaci di Cristo all´»intima unione con il Padre».
Sono 270 le pagine scritte in tedesco che papa Ratzinger ha consegnato agli editori alla fine dell´estate, racchiuse in una cartella rossa. La sorte ha voluto che il contratto con l´Editrice vaticana e la Rizzoli sia stato firmato l´8 novembre scorso, esattamente mezzo secolo dopo il primo contratto che il teologo Ratzinger firmò con l´editore tedesco Herder. Capitoli forti si preannunciano quelli sul Padre nostro, sulle Parabole, sulle metafore del vangelo di Giovanni e sull´immagine di sé che aveva Cristo. Il libro, che uscirà in primavera, non è completo. «Poiché non so quanto tempo e quanta forza mi saranno ancora concessi - confessa Benedetto XVI - mi sono ora deciso a pubblicare come prima parte del libro i primi dieci capitoli», dal battesimo di Gesù alla Trasfigurazione.


di solito sono critica nei confronti di politi, ma oggi gli devo fare proprio i complimenti [SM=g27811]

L´INTERVISTA

Parla lo storico della Chiesa Giuseppe Alberigo: "Nessun pontefice l´aveva mai dichiarato prima"

"Coraggioso rinunciare all´infallibilità"

di SIMONETTA FIORI

Professor Giuseppe Alberigo, il pontefice scrive un libro su Gesù precisando che non ha valore "magisteriale", cioè può essere liberamente discusso da studiosi ed esegeti. È la prima volta che accade nella storia della Chiesa?

«Credo proprio di sì. Benedetto XVI è il primo pontefice ex professore e vanta una nutrita bibliografia. Aveva cominciato a lavorare a questo affresco su Gesù prima dell´elezione al soglio di Pietro, e soltanto dopo ne ha portato a compimento una parte. L´opera nasce insomma come il lavoro d´uno studioso, non quale atto d´un pontefice. Ratzinger ha tenuto a precisarlo, compiendo un gesto di straordinaria importanza, che va oltre la novità del libro».

In cosa consiste la straordinarietà del gesto?

«Egli in sostanza ci avverte: non tutto ciò che fa il papa ha carattere di infallibilità. Anche il pontefice è un uomo comune, raffinato studioso nel suo caso, ma come tutti gli uomini soggetto a confronto, dibattito, discussione. Ecco, questa semplice verità viene formulata in una stagione segnata da una sorta di sacralizzazione mediatica del papa: ogni suo atto è destinato a essere drammatizzato, sia nella simpatia che nell´avversione, come è accaduto di recente a Ratisbona. Il suo è dunque un invito a una sorta di sdrammatizzazione: ci sono atti fondamentali come le encicliche e ci sono atti ordinari, che possono essere sottoposti a libera discussione».

Un pontefice caratterizzato da un tratto di rigidità professorale ora invoca la simpatia. Scrive proprio così: "Ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo simpatia senza la quale non c´è comprensione". Come lo spiega?

«Egli non invoca obbedienza e soggezione, ma un umanissimo moto di simpatia. Devo dire che nei numerosi incontri privati che ho avuto col professor Ratzinger ne ho sempre tratto un´impressione di cordialità e immediatezza. Il suo appello alla simpatia non mi può sorprendere».

Però il suo predecessore non ne ha mai avvertito il bisogno. Era ben consapevole della sua popolarità mediatica.

«Assolutamente sì. Papa Wojtyla non avrebbe mai potuto fare una distinzione tra "papa ufficiale" e "papa ordinario"».

In questo nuovo libro papa Ratzinger lamenta una divaricazione tra il Gesù della storia e il Gesù della fede, distinzione che poi sarebbe all´origine di una crescente diffidenza nei confronti della sua figura.

«È una questione dibattuta in Germania molto più che in Italia. Questo perché nella cultura tedesca sono assai più vive le correnti protestanti che alla metà dell´Ottocento diedero avvio a studi di esegesi biblica che distinguevano - fino a una radicale contrapposizione - il Gesù storicamente vissuto e quello dei Vangeli. Così si spiega la sensibilità al tema in un papa di formazione tedesca».

Papa Giovanni Paolo II legò il suo pontificato alla figura della Madonna. L´attuale pontefice segue altri percorsi.

«Agli occhi del polacco Wojtyla, Maria aveva un peso determinante per la sua fede cristiana, che ora il tedesco Ratzinger tende naturalmente a circoscrivere. In questi mutamenti è anche la ricchezza del papato. Ora però questo libro su Gesù devo leggerlo. Ma già il modo in cui è stato presentato segna una novità storica».

(da "repubblica" del 22 novembre 2006)

preferirei che non si continuasse con sterili confronti. ogni papa e' diverso, non solo: ogni persona e' diversa dall'altra.
qui benedetto si presenta umilmente e chiede che la sua opera sia letta senza pregiudizi.
mi sembra un atto di cortesia e di apertura che non ha precedenti nella storia della chiesa e, per questo, va apprezzato ancora di piu' [SM=g27811]

[Modificato da ratzi.lella 22/11/2006 13.48]

22/11/2006 14:25
 
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Ma quali colpi di scena...
Ottima idea Lella aprire questa discussione, grazie! [SM=g27811]

Sulla rassegna stampa che hai appena postato… che dire? Politi scopre semplicemente l’acqua calda quando parla di sensibilità e discrezione del Pontefice e il "colpo di scena" è tale solo per le persone che da un anno e mezzo a questa parte si sono avvicinate alla figura di Ratzi ottenebrati dalla solita litania del rottweiler di Dio, del freddo teologo, del grande inquisitore e via discorrendo… il titolo dell’articolo della Fiori è equivoco perché Ratzi non ha certo rinunciato all’infallibilità del Papa per gli atti di magistero che eventualmente rendessero necessari pronunciamenti ex cathedra… quello che dice Alberigo a proposito di una distinzione fra “papa ufficiale” e “papa ordinario” poi è semplicemente ridicolo… Ratzi ha fatto una distinzione fra atti di magistero e prodotti delle sue ricerche come teologo: un atto di estrema onestà intellettuale e di sublime umiltà, che conferma la straordinaria grandezza del nostro Papa, che non ha voluto “approfittare” del suo ruolo per rendere più autorevole la propria personale visione teologica. E mi sembra evidente che Papa Wojtyla non ha mai dovuto arrivare a una simile precisazione semplicemente perché non scriveva in qualità di teologo e quindi il problema per lui non si poneva; la solita trita e ritrita storia della "mediaticità" non c'entra un bel niente.

Detto questo, aggiungo una riflessione personale. Mi ha colpito ieri la richiesta di Papa Ratzi di concedergli un anticipo di “simpatia” senza il quale non è possibile comprendersi. Mi sono chiesta che cosa potesse intendere parlando di simpatia. Di certo non chiedeva simpatia nel senso di affettuosa benevolenza per la sua persona perché quel tipo di simpatia appartiene alla sfera del soggettivo di ciascuno di noi, la si prova istintivamente o non la si prova, ma non la si può inventare a tavolino. Poi mi sono ricordata di aver letto già in un’occasione che Ratzi aveva sottolineato l’importanza della “simpatia”, nel senso etimologico del termine. Sono andata a ripescare il brano, un estratto de Il Cammino Pasquale, edito da Ancora. Rileggendolo vedo che, tra l’altro, è proprio un brano in cui Ratzi si pone il problema della “differenza” tra il Gesù storico e il Gesù presente, e chissà, forse potrebbe in qualche modo contenere una traccia anche del metodo che Papa Benedetto intende mostrarci per arrivare a scorgere il volto di Gesù. La “simpatia” che Ratzi ci chiede è quella, credo, di incamminarci con lui, di accettare di percorrere il suo stesso percorso, di porci le stesse domande che si è posto lui e provare a formulare delle risposte senza preconcetti o pregiudizi ideologici. Ci vuole umiltà. Chissà se i molti intellettuali, filosofi, commentatori e giornalisti che ci circondano (e che purtroppo sono in grado di influenzare enormemente l'opinione pubblica) saranno davvero capaci di fare questo cammino, capaci di passare attraverso questa cruna dell’ago dell'umiltà o se a un certo punto, tronfi e convinti di aver già capito tutto, solleveranno le loro presuntuose gobbe per denigrare quello che non avranno nemmeno cercato di comprendere.

Comunque, ecco il brano di Papa Ratzi a cui facevo riferimento

Nella teologia moderna si è aperto un abisso tra Gesù e la Chiesa, abisso che non rimane teoria, ma si traduce in un atteggiamento espresso nello slogan ben conosciuto: Gesù sì Chiesa no. (…)
Chiediamoci prima: come possiamo conoscere Gesù? Come possiamo avvicinarci a Lui? La risposta moderna, oggi generalmente accettata come ovvia, è molto semplice: conosciamo Gesù nella stessa maniera di tutte le altre realtà, cioè tramite la scienza. Io direi: certo, conosciamo qualche cosa di lui con questo metodo. Ma rimane la questione se con la pura scienza sia possibile arrivare alla presenza di Gesù, al Gesù presente o se –al contrario – la scienza finisca logicamente nel rilevare la sua assenza, l’assenza irrevocabile del passato storico.
O in altre parole: ci avviciniamo così, o ci urtiamo a una distanza infinita? Importante e incontestabile è la risposta formulata novanta anni fa da Albert Schweitzer, riassumendo i risultati della ricerca scientifica sulla storia di Gesù. “Questa ricerca – dice Schweitzer- aveva una sorte strana. Essa cominciava per riscoprire il Gesù storico, pensando che fosse possibile trasferirlo, quale egli fu, nel nostro tempo come maestro e salvatore. Essa lo ha sciolto dal vincolo con cui era legato da secoli alla roccia della dottrina della Chiesa. Essa fu felice vedendo come vita e movimento riapparissero in questa figura, che sembrava muoversi verso di noi. Ma questo Gesù non rimaneva, oltrepassava il nostro tempo e ritornava nel suo”.
La scienza da sé sola non è capace di creare la presenza del passato, nemmeno una relazione personale, ma constata e fissa la distanza, l’assenza. Così possiamo formulare –continuando le considerazioni della seconda parte- la tesi seguente: dato che la preghiera è il centro della persona di Gesù, la partecipazione al suo pregare è il presupposto per conoscere e comprendere Gesù.
Cominciamo qui con una considerazione del tutto comune. Il conoscere dipende, per sua natura, da una certa conformità fra conoscente e conosciuto. A questo rimanda l’antico assioma che l’uguale viene riconosciuto dall’uguale. In rapporto all’attitudine spirituale e in rapporto alle persone questo significa che conoscere esige una certa relazione di simpatia (syn-pathein), mediante la quale l’uomo, per così dire, entra nella persona in questione, nella corrispondete realtà spirituale, diventa una cosa con lei e di conseguenza è capace di capirla (intelligere = intus legere). Spieghiamo questo fatto ancora con un paio di esempi. Ci si può dare alla filosofia solo filosofando, ossia solo svolgendo il pensiero filosofico; la matematica si apre solo al pensiero matematico; la medicina si può imparare solo esercitando l’arte medica e mai soltanto per mezzo dei libri o della riflessione. Allo stesso modo anche la religione può essere capita solo mediante la religione: è un indiscutibile assioma della filosofia della religione (...).

[Modificato da Discipula 22/11/2006 14.25]

[Modificato da Discipula 22/11/2006 14.27]

[Modificato da Discipula 22/11/2006 14.46]

[Modificato da Discipula 22/11/2006 14.47]

22/11/2006 15:32
 
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GRAZIE TANTO, DISCIPULA...Come sempre, sei azzeccata con le precisazioni, e questa sul concetto ratzingeriano della 'sim-patia' e molto illuminante!
23/11/2006 00:31
 
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Da Avvenire l'opinione di mons. Ravasi

IL PAPA SCRIVE "GESÙ DI NAZARET"



L'IMPRESA PIÙ SUGGESTIVA


Gianfranco Ravasi

«Cristo ci ha collocati di fronte al mistero, ci ha posti definitivamente nella situazione dei suoi discepoli di fronte alla domanda: Ma voi, chi dite che io sia?». Finiva così - nel 1975 - il suo bel "Quinto evangelio" lo scrittore Mario Pomilio, evocando la domanda che da quel giorno, a Cesarea di Filippo, tra lo scrosciare delle acque sorgive del Giordano, Gesù ha fatto serpeggiare tra credenti e agnostici nei secoli. Tante e disparate sono state le risposte, a partire dai suoi stessi discepoli di allora.
Lentamente si è operata una divaricazione che ha collocato su una sponda un Cristo teofanico e diafano alla luce divina e sull'altra un Gesù carnale, dai lineamenti storici più o meno decifrabili. Il linguaggio tecnico degli esegeti ha coniato categorie e classificazioni spesso dissonanti, tese però nello sforzo di isolare quei tratti, con risultati talora contrastanti che rendevano quel volto ora simile solo a un'icona remota, ora relegato nella fisionomia di un cittadino della terra, sia pure straordinario e irripetibile.
In questo orizzonte si è ora alzato a parlare Joseph Ratzinger-Benedetto XVI col suo "Gesù di Nazaret" offrendo una risposta a quella domanda di Gesù mai spenta. Sorprendente è la premessa, scandita da un'umiltà serena che in pratica riconosce, da un lato, il limite naturale e temporale ("non so quanto tempo e quanta forza mi saranno concessi" per completare anche la seconda parte dell'opera) e, d'altro lato, la qualità di "ricerca personale", che non coinvolge l'autorità magisteriale, per cui sarebbe legittima la critica e persino la "contraddizione".
Ma è il percorso proposto che colpisce e che rende - non solo per lo studioso - viva l'attesa di leggere il testo promesso tra poche settimane. Il teologo ora Papa vuole, infatti, operare una nuova congiunzione tra le due figure di Gesù a cui sopra si accennava, e non meramente in sede storico-critica, come hanno tentato di fare, con varie reticenze e precisazioni le cosiddette New Quest o Third Quest - per usare il linguaggio degli esegeti -, ossia la ricerca scientifica sul Gesù storico secondo differenti e nuove prospettive. La proposta è ben più radicale: è il "tentativo di presentare il Gesù dei vangeli come il vero Gesù, il Gesù storico" in senso autentico.
È una strada che, con qualche esitazione, è già stata imboccata da alcuni studiosi (penso al Gesù di Klaus Berger, appena tradotto dalla Queriniana). In essa l'autenticità della figura di Cristo non si ottiene ritagliando i dati storiografici verificabili e rispedendo alle competenze del teologo le componenti cristologiche, bensì tenendo il tutto ben compatto, nell'unità di una persona che è "storicamente sensata e convincente", pur contenendo in sé una dimensione trascendente. L'intreccio tra l'umano e il divino, che costituisce il cuore della teologia cristiana, palpita anche nel vissuto storico di Gesù: è per questo - osserva Ratzinger-Benedetto XVI - che la solenne cristologia dell'inno paolino di Filippesi 2, 6-8 vibra già nella persona di Gesù di Nazaret, così come era verificabile dai suoi contemporanei e come la scopriamo noi nell'incontro coi Vangeli.
Un progetto nitido, quindi, ma delicato nell'analisi, come ne è consapevole lo stesso autore già nella prefazione, dotato di un'originalità paradossalmente antica che esige di essere nuovamente declinata e che un po' tutti attendiamo con desiderio e interesse di percorrere insieme, memori di un'analoga avventura vissuta in passato da molti col teologo Ratzinger, quella dell'indimenticabile lettura della sua "Introduzione al cristianesimo".
Un viaggio non solo sul versante storico in penombra del monte della Trasfigurazione e neppure solo su quello opposto, abbagliato dalla gloria della Risurrezione, bensì un cammino sul crinale ove entrambi i versanti necessariamente s'incontrano e coesistono.
23/11/2006 01:22
 
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«Chiedo solo alle lettrici e ai lettori (interessante anche l'ordine, non usuale..., ndr)




Solo una piccola spiegazione:

è una traduzione dal testo originale (= il tedesco); e nella lingua tedesca è una abitudine di menzionare per primo le donne, solo allora i maschi. è una cosa di cortesia tedesca, allora l'ordine non è così interessante come sta scritto [SM=g27822]
27/11/2006 11:02
 
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Dal blog di Magister...
posto l'articolo in questo thread invece che ne "L'occhio critico e obiettivo..." perché mi sembra che la specificità dell'argomento meriti la... vis attractiva [SM=g27828]


Ratzinger corregge i libri su Gesù. E ne scrive uno nuovo

Uscirà nella primavera del 2007 ma la sua prefazione è già stata diffusa in anticipo. Intanto, il teologo della casa pontificia critica a fondo un libro che è all’opposto di quello scritto dal papa

di Sandro Magister


ROMA, 27 novembre 2006 – Con uno scarno comunicato, la Santa Sede ha reso noto che “Benedetto XVI ha terminato di scrivere la prima parte di un libro il cui titolo è: ‘Gesù di Nazareth. Dal Battesimo nel Giordano alla Trasfigurazione’”.

Il libro uscirà nella primavera del 2007. Benedetto XVI ha però già autorizzato la diffusione della prefazione, nella quale egli spiega perché ha deciso di scriverlo, molto prima di essere eletto papa.

Ricorda Joseph Ratzinger che fino alla metà del secolo scorso si leggevano libri su Gesù “entusiasmanti”, di autori come Karl Adam o Romano Guardini.

Poi però c’è stato “lo strappo tra il ‘Gesù storico’ e il ‘Cristo della fede’”. L’uomo Gesù descritto dagli studiosi appariva sempre più diverso e lontano dall’uomo-Dio dei Vangeli e della Chiesa.

Non solo. Le nuove descrizioni dell’uomo Gesù erano tra loro contraddittorie. Chi lo presentava come un rivoluzionario e chi come un mite pacifista. L’impressione, a leggere tali ricostruzioni, era che fossero “molto più fotografie degli autori e dei loro ideali che non la messa a nudo di una icona diventata confusa”.

Il risultato è che “è penetrata profondamente nella coscienza comune della cristianità” l’idea che di Gesù “noi sappiamo ben poco di certo”.

E una simile situazione “è drammatica per la fede perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento. L’intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto”.

È proprio per colmare questo fossato che Ratzinger ha voluto scrivere un libro sul “Gesù dei Vangeli come il vero Gesù, come il ‘Gesù storico’ nel vero senso della espressione”.

Il metodo che Ratzinger adotta è sì di “leggere i testi con il metodo storico”, ma sempre “a partire dalla fede”. Per lui questo è l’unico modo per spiegare il mistero di una cristologia che, nella lettera di Paolo ai Filippesi, appena vent’anni dopo la morte di Gesù, innalza a lui un inno “in cui si dice di Gesù che era uguale a Dio ma spogliò se stesso, si fece uomo, si umiliò fino alla morte sulla croce e che a lui spetta l’omaggio del creato, l’adorazione che nel profeta Isaia (45,23) Dio proclamò come dovuta a lui solo”.

Ratzinger ha cominciato a scrivere questo suo libro su Gesù nell’estate del 2003. Un anno dopo erano pronti i primi quattro capitoli. Ne ha scritti altri sei dopo la sua elezione a papa, in “tutti i momenti liberi”. E ora ha deciso di pubblicarli subito, rimandando il seguito a un futuro secondo volume.

Questo libro – scrive il papa nella prefazione – “non è assolutamente un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del ‘volto del Signore’ (Salmo 27,8). Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza la quale non c’è alcuna comprensione”.


* * *


Della situazione “drammatica per la fede” che ha mosso Benedetto XVI a scrivere questo suo libro è prova anche un volume recentemente uscito in Italia, con grande successo di pubblico, intitolato: “Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo”.

Gli autori del volume sono Corrado Augias, giornalista e scrittore, editorialista del grande quotidiano liberal “la Repubblica”, agnostico, e Mauro Pesce, professore di storia della Chiesa all’Università di Bologna, specialista dei vangeli apocrifi, cattolico, almeno per formazione.

Questo libro non ha nulla da spartire con il famigerato “Codice da Vinci”. Ha autori competenti, si è avvalso della collaborazione di studiosi autorevoli, si fonda su solide fonti e respinge l’idea che le Chiese cristiane abbiano volutamente contraffatto il “vero” Gesù.

Tuttavia approda, su Gesù, proprio a quell’esito “drammatico per la fede” da cui Benedetto XVI mette in guardia.

È quanto ha messo in evidenza una lunga recensione critica di questo libro scritta dal cappuccino Raniero Cantalamessa, 72 anni, specialista in storia delle origini cristiane e dal 1980 predicatore della casa pontificia, ossia colui che detta le prediche di Avvento e di Quaresima al papa e alla curia vaticana.

Padre Cantalamessa ha pubblicato questa sua recensione su due pagine intere di “Avvenire”, il quotidiano della conferenza episcopale italiana.

È quindi una recensione importante sia per la persona che l’ha scritta sia per il giornale su cui è apparsa.

Eccola qui di seguito, integrale:


Un’inchiesta su Gesù che non risolve il suo vero mistero

di Raniero Cantalamessa


Il ciclone “Il Codice da Vinci” di Dan Brown non è passato invano. Sulla sua scia stanno fiorendo, come sempre avviene in questi casi, nuovi studi sulla figura di Gesù di Nazareth, con l’intenzione di svelarne il vero volto ricoperto finora sotto la coltre dell’ortodossia ecclesiastica. Anche chi, a parole, prende le distanze da questa intenzione, se ne mostra per più versi influenzato.

A tale filone mi pare appartenga il libro di Corrado Augias e Mauro Pesce, “Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo”. Vi sono, come è naturale, differenze tra l’uno e l’altro autore, tra il giornalista e lo storico. Ma non voglio cadere io stesso nell’errore che più di ogni altro compromette a mio parere questa “inchiesta” su Gesù : quello di tener conto solo e sempre delle differenze tra gli evangelisti, mai delle convergenze. Parto perciò da ciò che è comune ai due autori, Augias e Pesce.


La tesi di fondo: il Gesù autentico non è quello della Chiesa


Si può riassumere così: Sono esistiti, all’inizio, non uno ma diversi cristianesimi. Una delle sue versioni ha preso il sopravvento sulle altre; ha stabilito, secondo il proprio punto di vista, il canone delle Sacre Scritture e si è imposta come ortodossia, relegando le altre al rango di eresie e cancellandone il ricordo. Noi possiamo però oggi, grazie a nuove scoperte di testi e a una rigorosa applicazione del metodo storico, ristabilire la verità e presentare finalmente Gesù di Nazareth per quello che fu veramente e che egli stesso intese essere, cioè una cosa totalmente diversa da quello che le varie Chiese cristiane hanno finora preteso che fosse.

Nessuno contesta il diritto di accostarsi alla figura di Cristo da storici, prescindendo dalla fede della Chiesa. È quello che la critica, credente e non credente, va facendo da almeno tre secoli con gli strumenti più raffinati. La domanda è se la presente “inchiesta” su Gesù raccoglie davvero, per quanto in forma divulgativa e accessibile al gran pubblico, il frutto di questo lavoro, o se invece opera in partenza una scelta drastica all’interno di esso, finendo per essere una ricostruzione di parte.

Io credo che, purtroppo, questo secondo è il caso. Il filone scelto è quello che va da Reimarus a Voltaire, a Renan, a Brandon, a Hengel, e oggi a critici letterari e “professori di umanità” quali Harold Bloom ed Elaine Pagels. Del tutto assente l’apporto della grande esegesi biblica, protestante e cattolica, sviluppatasi dopo la seconda guerra mondiale in reazione alle tesi di Rudolf Bultmann: esegesi molto più positiva circa la possibilità di attingere, attraverso i Vangeli, il Gesù della storia.

Sui racconti della passione e morte di Gesù, per fare un esempio, nel 1998 è stata pubblicata da Raymond Brown (“il più distinto tra gli studiosi americani del Nuovo Testamento, con pochi rivali a livello mondiale”, secondo il “New York Times”), un’opera di 1608 pagine. Essa è stata definita dagli specialisti del settore “il metro in base al quale ogni futuro studio della Passione sarà misurato”, ma di tale studio non c’è traccia nel capitolo dedicato ai motivi della condanna e della morte di Cristo, né esso figura nella bibliografia finale che pure riporta diversi titoli di opere in inglese.

All’uso selettivo degli studi corrisponde un uso altrettanto selettivo delle fonti. I racconti evangelici sono giudicati adattamenti posteriori quando smentiscono la tesi di Augias e Pesce, sono storici quando si accordano con essa. Anche la risurrezione di Lazzaro, benché attestata dal solo Giovanni, viene presa in considerazione se serve a fondare la tesi della motivazione politica e di ordine pubblico dell’arresto di Gesù.


I vangeli apocrifi, fonte alternativa


Ma veniamo alla discussione più diretta della tesi di fondo del libro. Anzitutto a proposito delle scoperte di nuovi testi che avrebbero modificato il quadro storico sulle origini cristiane.

Tali scoperte sono essenzialmente alcuni vangeli apocrifi rinvenuti in Egitto a metà del secolo scorso, soprattutto i codici di Nag Hammadi. Su di essi viene fatta da Augias e Pesce un’operazione assai sottile: ritardare il più possibile la data di composizione dei vangeli canonici e anticipare il più possibile la data di composizione degli apocrifi, in modo da poterli usare come valide fonti alternative ai primi.

Ma qui si urta contro un muro non facilmente scavalcabile: nessun vangelo canonico (neppure quello di Giovanni, secondo la critica moderna) si lascia datare dopo l’anno 100 dopo Cristo e nessun apocrifo si lascia datare prima di tale anno (i più arditi arrivano, con congetture, a datarli all’inizio del III o a metà del II secolo). Tutti gli apocrifi attingono o suppongono i vangeli canonici; nessun vangelo canonico attinge o suppone un vangelo apocrifo.

Per fare l’esempio oggi più in voga, quello dei 114 detti di Cristo nel Vangelo di Tommaso, 79 hanno un parallelo nei tre Sinottici (Matteo, Marco, Luca), 11 sono varianti delle parabole sinottiche. Solo tre parabole non sono attestate altrove. Augias, sulla scia di Elaine Pagels, crede di poter superare questo scarto cronologico tra i vangeli canonici e il Vangelo di Tommaso, ed è istruttivo vedere in che modo. Nel Vangelo di Giovanni si assiste, secondo Augias, a un chiaro tentativo di screditare l’apostolo Tommaso, una vera persecuzione nei suoi confronti, paragonabile a quella contro Giuda. Prova: l’insistenza sulla incredulità di Tommaso. Ipotesi: l’autore del Quarto Vangelo non vuole per caso screditare le dottrine che già a suo tempo circolavano sotto il nome dell’apostolo Tommaso e che confluiranno in seguito nel Vangelo che porta il suo nome?

Così è superato lo scarto cronologico. Si dimentica, in questo modo, che l’evangelista Giovanni mette proprio sulla bocca di Tommaso la più commovente dichiarazione di amore a Cristo (“Andiamo anche noi a morire con lui”) e la più solenne professione di fede in lui: “Mio Signore e mio Dio!” che, a detta di molti esegeti, costituisce il coronamento di tutto il Quarto Vangelo. Se Tommaso è un perseguitato dai vangeli canonici, che dire del povero Pietro con tutto quello che riferiscono sul suo conto! A meno che ciò non sia avvenuto, anche nel suo caso, per screditare i futuri apocrifi che portano il suo nome…

Ma il punto che più contraddice le tesi di Augias e Pesce non è neppure quello della data dei vangeli apocrifi, è quello dei loro contenuti. Essi dicono esattamente il contrario di quello per cui si invoca la loro autorità.

I due autori sostengono la tesi di un Gesù pienamente inserito nell’ebraismo, che non ha inteso innovare in nulla rispetto ad esso. Ma i vangeli apocrifi professano tutti, chi più chi meno, una rottura violenta con l’Antico Testamento, facendo di Gesù il rivelatore di un Dio diverso e superiore.

La rivalutazione della figura di Giuda nell’omonimo vangelo apocrifo si spiega in questa logica: con il suo tradimento, egli aiuterà Gesù a liberarsi dell’ultimo residuo del Dio creatore, il corpo! Gli eroi positivi dell’Antico Testamento diventano negativi, per tali vangeli; e quelli negativi, come Caino, positivi. Gesù è presentato nel libro di Augias e Pesce come un uomo che solo la Chiesa posteriore ha elevato al rango di Dio; i vangeli apocrifi al contrario presentano un Gesù che è vero Dio, ma non vero uomo, avendo rivestito solo l’apparenza di un corpo (docetismo).

Per i vangeli aprocrifi, ciò che fa difficoltà non è la divinità di Cristo ma la sua umanità. Si è disposti a seguirli su questo loro terreno?

Si potrebbe allungare la lista degli equivoci nell’uso dei vangeli apocrifi. Dan Brown, nel “Codice da Vinci”, si basa su di essi per avallare l’idea di un Gesù che esalta il principio femminile, non ha problemi con il sesso, sposa la Maddalena… E per provare questo si appoggia al Vangelo di Tommaso, dove invece si dice che, se vuole salvarsi, la donna deve cessare di essere donna e diventare uomo!

Il fatto è che i vangeli apocrifi, in particolare quelli di matrice gnostica, non sono stati scritti con l’intento di narrare fatti o detti storici su Gesù, ma per veicolare una certa visione di Dio, di se stessi e del mondo, di natura esoterica. Fondarsi su di essi per ricostruire la storia di Gesù è come fondarsi su “Così parlò Zarathustra” non per conoscere il pensiero di Nietzsche, ma quello di Zarathustra.

Per questo in passato, pur essendo essi quasi tutti già noti, almeno in ampi stralci, nessuno aveva mai pensato di potere usare i vangeli apocrifi come fonti di informazioni storiche su Gesù. Solo la nostra era mediatica, alla ricerca esasperata di scoop commerciali, lo sta facendo.

Ci sono certo fonti storiche su Gesù al di fuori dei vangeli canonici, ed è strano che esse siano lasciate praticamente fuori da questa “inchiesta”. La principale è Paolo, che scrive meno di trent’anni dopo la scomparsa di Cristo e dopo essere stato un suo fiero oppositore. La sua testimonianza viene solo discussa a proposito della risurrezione, ma per essere screditata.

Eppure, cosa c’è di essenziale nella fede e nei “dogmi” del cristianesimo che non si trovi già attestato (nella sua sostanza se non nella forma) in Paolo? Si può, per esempio, definire non storico e frutto della preoccupazione posteriore di non allarmare l’autorità romana il contrasto tra Gesù e i farisei e la stessa mentalità legalistica di un gruppo di essi, senza tener conto di quello che dice Paolo che era stato uno di essi e che proprio per questo aveva perseguitato accanitamente i cristiani? Ma su questo tornerò più avanti parlando della Passione.


L’ebreo Gesù non ha fondato nessun cristianesimo


Vengo ora al punto principale della tesi dei due autori: Gesù è stato un ebreo, non un cristiano; non ha inteso fondare nessuna nuova religione; si è considerato mandato solo per gli ebrei, non anche per i pagani; “Gesù è molto più vicino agli ebrei religiosi di oggi che non ai sacerdoti cristiani”; il cristianesimo “nasce nella seconda metà del II secolo”.

Come conciliare quest’ultima affermazione con la notizia degli Atti degli apostoli (11, 26) secondo cui, non più di sette anni dopo la morte di Cristo, circa l’anno 37, “ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani”?

Plinio il Giovane (una fonte non sospetta!), tra il 111 e il 113 parla ripetutamente dei “cristiani”, di cui descrive la vita, il culto e la fede in Cristo “come in un Dio”.

Intorno agli stessi anni, Ignazio d’Antiochia parla per ben cinque volte di cristianesimo come distinto dal giudaismo, scrivendo: “Non è il cristianesimo che ha creduto nel giudaismo, ma il giudaismo che ha creduto nel cristianesimo” (Lettera ai Magnesiani, 10, 3). In Ignazio, cioè all’inizio del II secolo, non troviamo attestati solo i nomi “cristiano” e “cristianesimo”, ma anche il contenuto di essi: fede nella piena umanità e divinità di Cristo, struttura gerarchica della Chiesa (vescovi, presbiteri, diaconi), perfino un primo chiaro accenno al primato del vescovo di Roma, “chiamato a presiedere nella carità”.

Prima ancora, del resto, che il nome di cristiani entrasse nell’uso comune, i discepoli erano coscienti della identità propria e la esprimevano con termini come “i credenti in Cristo”, “quelli della via”, o “quelli che invocano il nome del Signore Gesù”.

Ma tra le affermazioni di Augias e Pesce che ho appena riportate ce n’è una che merita di essere presa sul serio e discussa a parte: “Gesù non ha inteso fondare nessuna nuova religione. Era ed è rimasto ebreo”.

Verissimo. Difatti neanche la Chiesa, a rigore, considera il cristianesimo una “nuova” religione. Essa si considera insieme con Israele (una volta si diceva a torto “al posto di Israele”) l’erede della religione monoteistica dell’Antico Testamento, adoratori dello stesso Dio “di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”. Dopo il Concilio Vaticano II il dialogo con l’ebraismo non è portato avanti dall’organismo vaticano che si occupa del dialogo tra le religioni, ma di quello che si occupa dell’unità dei cristiani.

Il Nuovo Testamento non è un inizio assoluto, è il “compimento” (categoria fondamentale) dell’Antico. Del resto, nessuna religione è nata perché qualcuno ha inteso “fondarla”. Forse Mosè aveva inteso fondare la religione d’Israele o Buddha il buddhismo? Le religioni nascono e prendono coscienza di sé come tali in seguito, da coloro che hanno raccolto il pensiero di un Maestro e ne hanno fatto ragione di vita.

Ma fatta questa precisazione, si può davvero dire che nei Vangeli non c’è nulla che faccia pensare alla convinzione di Gesù di essere portatore di un messaggio nuovo? E le sue antitesi: “Avete inteso che fu detto…, ma io vi dico” con le quali reinterpreta perfino i dieci comandamenti e si pone sullo stesso piano di Mosè? Esse riempiono tutta una sezione del Vangelo di Matteo (5, 21-48), cioè di quel medesimo evangelista su cui si fa leva, nel libro, per affermare la piena ebraicità di Cristo!

Gesù aveva l’intenzione di dare vita a una sua comunità e prevedeva che la sua vita e il suo insegnamento avrebbero avuto un seguito: il fatto indiscutibile dell’elezione dei dodici apostoli sembra proprio confermarlo. Anche lasciando da parte il grande mandato: “Andate in tutto il mondo, predicate il vangelo ad ogni creatura” (qualcuno potrebbe attribuirlo, nella sua formulazione, alla comunità post-pasquale), non si spiegano diversamente tutte quelle parabole, il cui nucleo originario contiene proprio la prospettiva di un allargamento alle genti. Si pensi alla parabola dei vignaioli omicidi, degli operai nella vigna, al detto sugli ultimi che saranno i primi, sui molti che “verranno dall’oriente e dall’occidente per sedersi a mensa con Abramo”, mentre altri ne saranno esclusi, e innumerevoli altri detti…

Durante la sua vita Gesù non è uscito dalla terra d’Israele, eccetto qualche breve puntata nei territori pagani del Nord, ma questo si spiega con la sua convinzione di essere mandato anzitutto per Israele, per poi spingerlo, una volta convertito, ad accogliere nel suo seno tutte le genti, secondo le prospettive universalistiche annunciate dai profeti.

È molto curioso: c’è tutto un filone del pensiero ebraico moderno (F. Rosenzweig, H. J. Schoeps, W. Herberg) secondo cui Gesù non sarebbe venuto per gli ebrei, ma solo per le altre genti, i gentili; secondo Augias e Pesce, invece, egli sarebbe venuto solo per gli ebrei, e non per i gentili.

Va dato merito a Pesce che egli non accetta di liquidare la storicità dell’istituzione dell’eucaristia e la sua importanza nella primitiva comunità. Questo è uno dei punti dove più emerge l’inconveniente segnalato all’inizio: di tener conto solo delle differenze, e non delle convergenze. I tre Sinottici e Paolo unanimemente attestano il fatto quasi con le stesse parole, ma per Augias questo conta meno del fatto che l’istituzione dell’eucaristia è taciuta da Giovanni e che, nel riferirla, Matteo e Marco abbiano “Questo è il mio sangue”, mentre Paolo e Luca hanno “Questo è il calice della nuova alleanza nel mio sangue”. La parola di Cristo: “Fate questo in memoria di me”, pronunciata in tale occasione, si richiama a Esodo 12, 14 e mostra l’intenzione di dare al “memoriale” della Pasqua un nuovo contenuto. Non per nulla di lì a poco Paolo parlerà della “nostra Pasqua” (1 Corinzi, 5, 7), distinta da quella dei giudei.

Se all’eucaristia e alla Pasqua si aggiunge il fatto incontrovertibile dell’esistenza di un battesimo cristiano fin dall’indomani della Pasqua, che progressivamente sostituisce la circoncisione, abbiamo gli elementi essenziali per parlare, se non di una nuova religione, di un modo nuovo di vivere la religione d’Israele.

Quanto al canone delle Scritture, è vero ciò che afferma Pesce, che l’elenco definitivo degli attuali ventisette libri del Nuovo Testamento viene fissato solo con Atanasio nel 367, ma non si dovrebbe tacere il fatto che il suo nucleo essenziale, composto dai quattro Vangeli più tredici lettere paoline, è molto più antico. Si è formato verso l’anno 130. E alla fine del II secolo gode ormai della stessa autorità dell’Antico Testamento, come è attestato dal frammento detto Muratoriano.

Si sostiene nel libro di Augias e Pesce: “Anche Paolo, come Gesù, non è un cristiano, ma un ebreo che rimane nell’ebraismo”. Anche questo è vero. Non dice forse egli stesso: “Sono ebrei? Anch’io! Anzi io più di loro!”? Ma questo non fa che confermare ciò che ho appena rilevato sulla fede in Cristo come “compimento” della legge. Per un verso Paolo si sente nel cuore stesso di Israele (del “resto di Israele”, preciserà egli stesso), per l’altro si distacca da esso (dall’ebraismo del suo tempo) con il suo atteggiamento verso la legge e la sua dottrina della giustificazione mediante la grazia. Sulla tesi di un Paolo “ebreo e non cristiano”, sarebbe interessante sentire cosa ne pensano gli stessi ebrei…


Gesù ucciso per ragioni politiche, dai romani

Merita una discussione a parte il capitolo del libro di Augias e Pesce sul processo e la condanna di Cristo. La tesi da loro sostenuta non è nuova; ha cominciato a circolare in seguito alla tragedia della Shoah ed è stata adottata da quelli che propugnavano negli anni Sessanta e Settanta del Novecento la tesi di un Gesù zelota e rivoluzionario.

Secondo tale tesi, la responsabilità della morte di Cristo ricade principalmente, anzi forse esclusivamente, su Pilato e l’autorità romana, il che indica che la sua motivazione è più di ordine politico che religioso. I Vangeli hanno scagionato Pilato e accusato di essa i capi dell’ebraismo per tranquillizzare le autorità romane sul loro conto e farsele amiche.

Questa tesi è nata da una preoccupazione giusta che tutti oggi condividiamo: togliere fin dalla radice ogni pretesto all’antisemitismo che tanto male ha procurato al popolo ebraico da parte dei cristiani. Ma il torto più grave che si può fare a una causa giusta è quello di difenderla con argomenti sbagliati. La lotta all’antisemitismo va posta su un fondamento più solido che una discutibile (e discussa) interpretazione dei racconti della Passione.

L’estraneità del popolo ebraico, in quanto tale, alla responsabilità della morte di Cristo riposa su una certezza biblica che i cristiani hanno in comune con gli ebrei, ma che purtroppo per tanti secoli è stata dimenticata: “Colui che ha peccato deve morire. Il figlio non sconta l’iniquità del padre, né il padre l’iniquità del figlio” (Ezechiele, 18, 20). La dottrina della Chiesa conosce un solo peccato che si trasmette per eredità di padre in figlio, il peccato originale, nessun altro.

Messo al sicuro il rifiuto dell’antisemitismo, vorrei spiegare perché non si può accettare la tesi della totale estraneità delle autorità ebraiche alla morte di Cristo e quindi della natura essenzialmente politica di essa.

Paolo, nella più antica delle sue lettere, scritta intorno all’anno 50, dà, della condanna di Cristo, la stessa fondamentale versione dei Vangeli. Dice che i “giudei hanno messo a morte Gesù” (1 Tessalonicesi, 2, 15), e sui fatti accaduti a Gerusalemme poco tempo prima del suo arrivo in città egli doveva essere informato meglio di noi moderni, avendo, un tempo, approvato e difeso “accanitamente” la condanna del Nazareno.

Durante questa fase più antica il cristianesimo si considerava ancora destinato principalmente a Israele; le comunità nelle quali si erano formate le prime tradizioni orali confluite in seguito nei Vangeli erano costituite in maggioranza da giudei convertiti; Matteo, come notano anche Augias e Pesce, è preoccupato di mostrare che Gesù è venuto a compiere, non ad abolire, la legge. Se c’era dunque una preoccupazione apologetica, questa avrebbe dovuto indurre a presentare la condanna di Gesù come opera piuttosto dei pagani che delle autorità ebraiche, al fine di rassicurare i giudei di Palestina e della diaspora sul conto dei cristiani.

D’altra parte, quando Marco e, sicuramente, gli altri evangelisti scrivono il loro Vangelo c’è già stata la persecuzione di Nerone; ciò avrebbe dovuto spingere a vedere in Gesù la prima vittima del potere romano e nei martiri cristiani coloro che avevano subito la stessa sorte del Maestro. Se ne ha una conferma nell’Apocalisse, scritta dopo la persecuzione di Domiziano, dove Roma è fatta oggetto di una invettiva feroce (“Babilonia”, la “Bestia”, la “prostituta”) a causa del sangue dei martiri (cfr. Apocalisse, 13 ss.).

Pesce ha ragione di scorgere una “tendenza antiromana” nel Vangelo di Giovanni, ma Giovanni è anche quello che più accentua la responsabilità del Sinedrio e dei capi ebrei nel processo a Cristo: come si concilia la cosa? Non si possono leggere i racconti della Passione ignorando tutto ciò che li precede. I quattro Vangeli attestano, si può dire a ogni pagina, un contrasto religioso crescente tra Gesù e un gruppo influente di giudei (farisei, dottori della legge, scribi) sull’osservanza del sabato, sull’atteggiamento verso i peccatori e i pubblicani, sul puro e sull’impuro. Joachim Jeremias ha dimostrato la motivazione antifarisaica presente in quasi tutte le parabole di Gesù.

Il dato evangelico è tanto più credibile in quanto il contrasto con i farisei non è affatto pregiudiziale e generale. Gesù ha degli amici tra di loro (uno è Nicodemo); lo troviamo a volte a pranzo in casa di qualcuno di loro; essi accettano almeno di discutere con lui e di prenderlo sul serio, a differenza dei sadducei. Pur non escludendo dunque che la situazione posteriore abbia influito a calcare ulteriormente le tinte, è impossibile eliminare ogni contrasto tra Gesù e una parte influente della leadership ebraica del suo tempo, senza disintegrare completamente i Vangeli e renderli storicamente incomprensibili. L’accanimento del fariseo Saulo contro i cristiani non era nato dal nulla e non se l’era portato dietro da Tarso!

Una volta però dimostrata l’esistenza di questo contrasto, come si può pensare che esso non abbia giocato alcun ruolo al momento della resa finale dei conti e che le autorità ebraiche si siano decise a denunziare Gesù a Pilato unicamente per paura di un intervento armato dei romani, quasi a malincuore? Pilato non era certo una persona sensibile a ragioni di giustizia, tale da preoccuparsi della sorte di un ignoto giudeo; era un tipo duro e crudele, pronto a stroncare nel sangue ogni minimo indizio di rivolta. Tutto ciò è verissimo. Egli però non tenta di salvare Gesù per compassione verso la vittima, ma solo per un puntiglio contro i suoi accusatori, con i quali era in atto una guerra sorda fin dal suo arrivo in Giudea. Naturalmente, questo non diminuisce affatto la responsabilità di Pilato nella condanna di Cristo, che ricade su di lui non meno che sui capi ebrei.

Non è il caso, oltre tutto, di volere essere “più ebrei degli ebrei”. Dalle notizie sulla morte di Gesù, presenti nel Talmud e in altre fonti giudaiche (per quanto tardive e storicamente contraddittorie), emerge una cosa: la tradizione ebraica non ha mai negato una partecipazione delle autorità religiose del tempo alla condanna di Cristo. Non ha fondato la propria difesa negando il fatto, ma semmai negando che il fatto, dal punto di vista ebraico, costituisse reato e che la sua condanna sia stata una condanna ingiusta. Una versione, questa, compatibile con quella delle fonti neotestamentarie che, mentre, da una parte, mettono in luce la partecipazione delle autorità ebraiche (dei sadducei forse più ancora che dei farisei) alla condanna di Cristo, dall’altra spesso la scusano, attribuendola a ignoranza (cfr. Luca, 23, 34; Atti degli apostoli, 3, 17; 1 Corinzi, 2, 8). È il risultato a cui giunge anche Raymond Brown, nel suo libro di 1608 pagine su “La morte del Messia”.


Gesù e la guerra


Una nota a margine va fatta su un punto assai delicato. Secondo Augias, Luca attribuisce a Gesù le parole: “E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me” (Luca, 19, 27) e commenta dicendo che: “È a frasi come queste che si rifanno i sostenitori della ‘guerra santa’ e della lotta armata contro i regimi ingiusti”.

Va precisato che Luca non attribuisce tali parole a Gesù, ma al re della parabola che sta narrando e si sa che non si possono trasferire di peso dalla parabola alla realtà tutti i dettagli del racconto parabolico, e in ogni caso essi vanno trasferiti dal piano ma teriale a quello spirituale. Il senso metaforico di quelle parole è che accettare o rifiutare Gesù non è senza conseguenze; è una questione di vita o di morte, ma vita e morte spirituale, non fisica. La guerra santa non c’entra proprio.


Gesù e il sesso


Termino questa mia lettura critica con qualche riflessione conclusiva. Io non condivido molte risposte di Pesce, ma le rispetto riconoscendo ad esse pieno diritto di cittadinanza in una ricerca storica. Molte di esse (sull’atteggiamento di Gesù verso la politica, i poveri, i bambini, l’importanza della preghiera nella sua vita) sono anzi illuminanti. Alcuni dei problemi sollevati – il luogo di nascita di Gesù, la questione dei fratelli e delle sorelle di lui, il parto verginale – sono oggettivi e discussi anche tra gli storici credenti (l’ultimo non tra i cattolici), ma non sono i problemi su cui sta o cade il cristianesimo della Chiesa.

Meno giustificata in una “inchiesta” storica su Gesù mi sembra la cura con cui Augias raccoglie tutte le insinuazioni su presunti legami omosessuali esistenti tra i discepoli, o tra lui stesso e “il discepolo che egli amava” (ma non doveva essere innamorato della Maddalena?), come pure la dettagliata descrizione delle vicende scabrose di alcune donne presenti nella genealogia di Cristo. Dall’inchiesta su Gesù si ha l’impressione che si passi a volte al pettegolezzo su Gesù.

Il fenomeno ha però una spiegazione. È sempre esistita la tendenza a rivestire Cristo dei panni della propria epoca o della propria ideologia. In passato, per quanto discutibili, erano cause serie e di grande respiro: il Cristo idealista, socialista, rivoluzionario… La nostra epoca, ossessionata dal sesso, non riesce a pensarlo che alle prese con problemi sentimentali. Io credo che il fatto di aver messo insieme una visione di taglio giornalistico dichiaratamente alternativa con una visione storica anch’essa radicale e minimalista ha portato a un risultato d’insieme inaccettabile, non solo per l’uomo di fede, ma anche per lo storico.


Un mistero in più su “l’uomo che ha cambiato il mondo”


A lettura ultimata uno si pone la domanda: come ha fatto Gesù, che non ha portato assolutamente nulla di nuovo rispetto all’ebraismo, che non ha voluto fondare nessuna religione, che non ha fatto nessun miracolo e non è risorto se non nella mente alterata dei suoi seguaci, come ha fatto, ripeto, a diventare “l’uomo che ha cambiato il mondo”?

Una certa critica parte con l’intenzione di dissolvere i vestiti messi addosso a Gesù di Nazareth dalla tradizione ecclesiastica, ma alla fine il trattamento si rivela così corrosivo da dissolvere anche la persona che c’è sotto di essi.

A forza di dissipare i “misteri” su Gesù per ridurlo a un uomo ordinario, si finisce per creare un mistero ancora più inspiegabile.

Un grande esegeta inglese, Charles H. Dodd, parlando della risurrezione di Cristo dice: “L’idea che l’imponente edificio della storia del cristianesimo sia come un’enorme piramide posta in bilico su un fatto insignificante è certamente meno credibile dell’affermazione che l’intero evento – e cioè il fatto più il significato a esso inerente – abbia realmente occupato un posto nella storia paragonabile a quello che gli attribuisce il Nuovo Testamento”.

La fede condiziona la ricerca storica? Innegabilmente, almeno in una certa misura. Ma io credo che l’incredulità la condiziona enormemente di più. Se uno si accosta alla figura di Cristo e ai Vangeli da non credente (è il caso, sembra di capire, almeno di Augias) l’essenziale è già deciso in partenza: la nascita verginale non potrà che essere un mito, i miracoli frutto di suggestione, la risurrezione prodotto di uno “stato alterato della coscienza” e così via.

Una cosa tuttavia ci consola e ci permette di continuare a rispettarci a vicenda e a proseguire il dialogo: se ci divide la fede, ci accomuna in compenso “la buona fede”. In essa i due autori dichiarano di aver scritto il libro e in essa io assicuro di averlo letto e discusso.

__________


Il quotidiano della conferenza episcopale italiana, su cui è apparsa, il 18 novembre 2006, la recensione di padre Raniero Cantalamessa:

> “Avvenire”

__________


Il libro recensito:

Corrado Augias, Mauro Pesce, “Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo”, Mondadori, Milano, 2006, pp. 263, euro 17,00.

__________


Il testo integrale, in italiano, della prefazione scritta da papa Joseph Ratzinger al suo libro di prossima pubblicazione “Gesù di Nazareth. Dal Battesimo nel Giordano alla Trasfigurazione”:

> “La strada della mia interpretazione della figura di Gesù nel Nuovo Testamento...”

15/01/2007 10:43
 
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La prossima battaglia pro e contro Gesù si combatterà a colpi di libri

E il nuovo libro annunciato e lanciato da Joseph Ratzinger sarà il best seller dell’anno. Ecco la sua prefazione integrale, in cinque lingue

di Sandro Magister


ROMA, 15 gennaio 2007 – Il suo libro su Gesù è stato annunciato a fine novembre e sarà in vendita la prossima primavera. Ma non passa settimana senza che Benedetto XVI predichi del protagonista del libro: di Gesù “vero Dio e vero uomo”.

È come se papa Joseph Ratzinger si occupi già della campagna di lancio. Un anno fa fece la stessa cosa per l’enciclica “Deus caritas est”: prima della sua pubblicazione intervenne ripetutamente a illustrarne i contenuti essenziali, accrescendo ogni volta l’attesa.

L’ultima volta in cui Benedetto XVI ha fatto cenno al suo prossimo libro su Gesù è stata l’udienza generale di mercoledì 3 gennaio.

Parlando del Natale, il papa ha richiamato l’attenzione sul “potere delle tenebre che tenta di oscurare lo splendore della luce divina”. E ha detto:

“È il dramma del rifiuto di Cristo, che, come in passato, si manifesta e si esprime, purtroppo, anche oggi in tanti modi diversi. Forse persino più subdole e pericolose sono le forme del rifiuto di Dio nell’era contemporanea: dal netto rigetto all’indifferenza, dall’ateismo scientista alla presentazione di un Gesù cosiddetto modernizzato o postmodernizzato. Un Gesù uomo, ridotto in modo diverso a un semplice uomo del suo tempo, privato della sua divinità; oppure un Gesù talmente idealizzato da sembrare talora il personaggio di una fiaba”.

A questo falso Gesù il papa ha opposto il “vero Gesù della storia”: quel Gesù che è “vero Dio e vero uomo e non si stanca di proporre il suo Vangelo a tutti”. Dinanzi al quale “non si può restare indifferenti. Anche noi, cari amici, dobbiamo continuamente prendere posizione”. Non rifiutarlo ma accoglierlo. Sapendo che “a quanti lo hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” (Giovanni 1, 12).


* * *

L’aut-aut che Benedetto XVI pone tra il falso e il vero Gesù è dunque lo stesso che egli vede in atto tra i libri che riducono Gesù a un semplice uomo e quelli invece che lo raccontano nella sua verità umano-divina.

Tra gli odierni libri del “potere delle tenebre” il papa ne ha in mente soprattutto uno, che in Italia ha venduto in pochi mesi mezzo milione di copie, intitolato: “Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo”.

Gli autori del volume sono l’agnostico Corrado Augias, giornalista e scrittore, editorialista del grande quotidiano liberal “la Repubblica”, e il cattolico Mauro Pesce, professore di storia della Chiesa all’Università di Bologna, specialista dei testi del cristianesimo primitivo.

La tesi di questo libro è che “è falso tutto ciò che la fede cristiana professa riguardo a Gesù”. Così almeno ha concluso, nel recensire il volume di Augias e Pesce, padre Giuseppe De Rosa su “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma stampata con il controllo e l’autorizzazione della segreteria di stato vaticana.

Un’altra recensione altrettanto severa del libro è uscita sul quotidiano dei vescovi italiani “Avvenire” per la penna di padre Raniero Cantalamessa, 72 anni, specialista in storia delle origini cristiane e dal 1980 predicatore della casa pontificia, ossia colui che detta le prediche di Avvento e di Quaresima al papa e alla curia vaticana.

Se dunque Benedetto XVI non ha sinora esplicitamente citato il libro di Augias e Pesce, queste due recensioni autorevoli bastano a far capire che esso è ritenuto in Vaticano il testo ultimo e più rappresentativo di quell’attacco alla fede cristiana che da più di due secoli ha in Gesù il suo bersaglio.

L’imminente libro di Joseph Ratzinger / Benedetto XVI – così firmato perché da lui scritto prima e dopo l’elezione a papa – intende precisamente opporre il Gesù autentico al falso Gesù “modernizzato o postmodernizzato”.

È facile prevedere anche per il libro del papa un grande successo di vendita, in Italia e nel mondo.

Ma più che una guerra editoriale, si annuncia una nuova fase di quel perenne scontro tra accoglienza e rifiuto che ha sempre avuto in Gesù il suo “segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Luca 2, 34-35, citato nell’udienza di mercoledì 3 gennaio).

Proprio questo fa presagire la prefazione scritta da Benedetto XVI al suo libro che avrà il titolo: “Gesù di Nazareth. Dal Battesimo nel Giordano alla Trasfigurazione”, primo di due volumi previsti, con il successivo che arriverà alla Resurrezione.

Rendendone pubblica in anticipo la prefazione, il papa ha fatto un’altra mossa nella campagna di lancio del libro. E nella battaglia pro e contro Gesù.

Ecco il link alla prefazione originale in tedesco:

> “Meiner Auslegung der Gestalt Jesu im Neuen Testament...”

E questa è la versione italiana:


”La mia interpretazione della figura di Gesù nel Nuovo Testamento...”

di Joseph Ratzinger / Benedetto XVI


Al libro su Gesù, di cui ora presento al pubblico la prima parte, sono giunto dopo un lungo cammino interiore.

Al tempo della mia giovinezza – negli anni Trenta e Quaranta – vennero pubblicati una serie di libri entusiasmanti su Gesù. Ricordo solo il nome di alcuni autori: Karl Adam, Romano Guardini, Franz Michel Willam, Giovanni Papini, Jean Daniel-Rops. In tutti questi libri l’immagine di Gesù Cristo venne delineata a partire dai Vangeli: come Egli visse sulla terra e come, pur essendo interamente uomo, portò nello stesso tempo agli uomini Dio, con il quale, in quanto Figlio, era una cosa sola. Così, attraverso l’uomo Gesù, divenne visibile Dio e a partire da Dio si poté vedere l’immagine dell’uomo giusto.

A cominciare dagli anni Cinquanta la situazione cambiò. Lo strappo tra il “Gesù storico” e il “Cristo della fede” divenne sempre più ampio; l’uno si allontanò dall’altro a vista d’occhio. Ma che significato può avere la fede in Gesù Cristo, in Gesù Figlio del Dio vivente, se poi l’uomo Gesù era così diverso da come lo presentano gli evangelisti e da come lo annuncia la Chiesa a partire dai Vangeli?

I progressi della ricerca storico-critica condussero a distinzioni sempre più sottili tra i diversi strati della tradizione. Dietro di essi, la figura di Gesù, su cui poggia la fede, divenne sempre più incerta, prese contorni sempre meno definiti.

Nello stesso tempo le ricostruzioni di questo Gesù , che doveva essere cercato dietro le tradizioni degli Evangelisti e le loro fonti, divennero sempre più contraddittorie: dal rivoluzionario nemico dei romani che si oppone al potere costituito e naturalmente fallisce al mite moralista che tutto permette e inspiegabilmente finisce per causare la propria rovina.

Chi legge di seguito un certo numero di queste ricostruzioni può subito constatare che esse sono molto più fotografie degli autori e dei loro ideali che non la messa a nudo di una icona diventata confusa. Nel frattempo è sì cresciuta la diffidenza nei confronti di queste immagini di Gesù, e tuttavia la figura stessa di Gesù si è allontanata ancor più da noi.

Tutti questi tentativi hanno comunque lasciato dietro di sé, come denominatore comune, l’impressione che noi sappiamo ben poco di certo su Gesù e che solo più tardi la fede nella sua divinità ha plasmato la sua immagine. Questa impressione, nel frattempo, è penetrata profondamente nella coscienza comune della cristianità.

Una simile situazione è drammatica per la fede perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento: l’intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto.


* * *

Ho sentito il bisogno di fornire ai lettori queste indicazioni di metodo perché esse determinano la strada della mia interpretazione della figura di Gesù nel Nuovo Testamento.

Per la mia presentazione di Gesù questo significa anzitutto che io ho fiducia nei Vangeli. Naturalmente dò per scontato quanto il Concilio e la moderna esegesi dicono sui generi letterari, sull’intenzionalità delle affermazioni, sul contesto comunitario dei Vangeli e il loro parlare in questo contesto vivo. Pur accettando, per quanto mi era possibile, tutto questo ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il vero Gesù, come il “Gesù storico” nel vero senso della espressione.

Io sono convinto, e spero che se ne possa rendere conto anche il lettore, che questa figura è molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni.

Io ritengo che proprio questo Gesù – quello dei Vangeli – sia una figura storicamente sensata e convincente. Solo se era successo qualcosa di straordinario, se la figura e le parole di Gesù superavano radicalmente tutte le speranze e le aspettative dell’epoca, si spiegano la sua crocifissione e la sua efficacia.

Già circa vent’anni dopo la morte di Gesù troviamo pienamente dispiegata nel grande inno a Cristo della Lettera ai Filippesi (2, 6-8) una cristologia, in cui di Gesù si dice che era uguale a Dio ma spogliò se stesso, si fece uomo, si umiliò fino alla morte sulla croce e che a lui spetta l’omaggio del creato, l’adorazione che nel profeta Isaia (45, 23) Dio proclamò come dovuta a lui solo.

La ricerca critica si pone a buon diritto la domanda: che cosa è successo in questi vent’anni dalla crocifissione di Gesù? Come si giunse a questa cristologia?

L’azione di formazioni comunitarie anonime, di cui si cerca di trovare gli esponenti, in realtà non spiega nulla. Come mai dei raggruppamenti sconosciuti poterono essere così creativi, convincere e in tal modo imporsi? Non è più logico anche dal punto di vista storico che la grandezza si collochi all’inizio e che la figura di Gesù fece nella pratica saltare tutte le categorie disponibili e poté così essere compresa solo a partire dal mistero di Dio?

Naturalmente, credere che proprio come uomo egli fosse Dio e fece conoscere questo avvolgendolo nelle parabole e tuttavia in un modo sempre più chiaro, va al di là delle possibilità del metodo storico. Al contrario, se a partire da questa convinzione di fede si leggono i testi con il metodo storico e la sua apertura per ciò che è più grande, essi si aprono, per mostrare una via e una figura, che sono degne di fede.

Diventano allora chiare anche la lotta a più strati presente negli scritti del Nuovo Testamento intorno alla figura di Gesù e nonostante tutte le diversità, il profondo accordo di questi scritti.

È chiaro che con questa visione della figura di Gesù io vado al di là di quello che dice ad esempio Schnackenburg in rappresentanza di una buona parte dell’esegesi contemporanea.

Io spero, però, che il lettore comprenda che questo libro non è stato scritto contro la moderna esegesi, ma con grande riconoscenza per il molto che ci ha dato e continua a darci. Essa ci ha fatto conoscere una grande quantità di fonti e di concezioni attraverso le quali la figura di Gesù può divenirci presente in una vivacità e profondità che solo pochi decenni fa non riuscivamo neppure a immaginare.

Io ho solo cercato di andare oltre la mera interpretazione storico-critica applicando i nuovi criteri metodologici, che ci permettono una interpretazione propriamente teologica della Bibbia e che naturalmente richiedono la fede senza per questo volere e poter affatto rinunciare alla serietà storica.

Di certo non c’è affatto bisogno di dire espressamente che questo libro non è assolutamente un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del “volto del Signore” (Salmo 27, 8). Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza la quale non c’è alcuna comprensione.

Come ho detto all’inizio della prefazione, il cammino interiore verso questo libro è stato lungo.

Ho potuto cominciare a lavorarci durante le vacanze estive del 2003. Nell’agosto del 2004 ho poi dato forma definitiva ai capitoli dall’1 al 4. Dopo la mia elezione alla sede episcopale di Roma ho usato tutti i momenti liberi per portarlo avanti.

Poiché non so quanto tempo e quanta forza mi saranno ancora concessi mi sono ora deciso a pubblicare come prima parte del libro i primi dieci capitoli, che vanno dal battesimo al Giordano fino alla confessione di Pietro e alla Trasfigurazione.

Roma, festa di san Gerolamo
30 settembre 2006

__________


Il testo integrale del papa all’udienza generale di mercoledì 3 gennaio 2007:

> “Questa prima udienza generale del nuovo anno...”

__________


La recensione al libro di Corrado Augias e Mauro Pesce, “Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo”, pubblicata su “La Civiltà Cattolica” del 2 dicembre 2006:

> “Un attacco alla fede cristiana”, di Giuseppe De Rosa S.I.

La recensione al medesimo libro pubblicata su “Avvenire” dal predicatore della casa pontificia Raniero Cantalamessa, tradotta in inglese in questo servizio di www.chiesa:

> Ratzinger corregge i libri su Gesù. E ne scrive uno nuovo (27.11.2006)

Una replica di Mauro Pesce alla recensione di padre Cantalamessa:

> “Diffondere la conoscenza del dibattito esegetico su Gesù è oggi necessario”, di Mauro Pesce

[Modificato da Discipula 15/01/2007 10.43]

[Modificato da Discipula 15/01/2007 10.44]

29/01/2007 15:22
 
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Mauro Pesce e la “scuola di Bologna”:
fratelli e coltelli

Postato il 28 Gennaio, 2007


Nuova puntata della controversia storico-teologica su chi è Gesù. Padre Raniero Cantalamessa, il predicatore ufficiale della casa pontificia da cui è venuta la prima grande stroncatura del best seller “Inchiesta su Gesù” dell’agnostico Corrado Augias e del cattolico Mauro Pesce, è tornato in campo con un nuovo articolo su “Avvenire” del 26 gennaio.

Questa volta per raccomandare un monumentale studio su Gesù scritto dal biblista inglese James Dunn e pubblicato in Italia dalla Paideia in tre tomi di oltre mille pagine complessive, dal titolo generale: “La memoria di Gesù”, parte di un’opera ancor più imponente intitolata “Gli albori del cristianesimo”.

Nel raccomandare il saggio di Dunn, padre Cantalamessa cita con favore anche un’altra grande opera recente su Gesù: “Un ebreo marginale”, dello studioso cattolico americano John P. Meier, in tre grossi tomi pubblicati in Italia dalla Queriniana.

E se a questi due studi si aggiunge il “Gesù” dell’evangelico luterano tedesco Klaus Berger, tradotto anch’esso dalla Queriniana e recentemente raccomandato da monsignor Gianfranco Ravasi su “Famiglia Cristiana”, la controversia vede a questo punto messe in campo contro il best seller di Augias-Pesce tre grosse opere di alto valore scientifico e teologico: quelle, appunto, di Dunn, Meier e Berger. Il limite di questi tre studi, specie dei primi due, è che sono molto specialistici. Ma per un pubblico più vasto arriverà presto l’annunciato “Gesù di Nazareth” di Joseph Ratzinger / Benedetto XVI, ancor più agli antipodi di Augias e Pesce.

Come non bastasse, contro il libro su Gesù scritto da questi ultimi è arrivata sabato 27 gennaio una nuova stroncatura, poco argomentata ma con parecchio veleno: quella di Alberto Melloni sul “Corriere della Sera”. Pesce e Melloni furono sodali, per vari anni, nell’Istituto per le Scienze Religiose fondato a Bologna da don Giuseppe Dossetti. Fino a che un giorno, come altri dello stesso Istituto, Pesce se ne andò sbattendo la porta, in dissenso profondo e mai più risanato con il direttore Giuseppe Alberigo e il suo delfino, Melloni.

Nello stesso articolo sul “Corriere”, Melloni liquida con battute sprezzanti anche l’annunciato libro di Benedetto XVI, prima ancora che sia stampato.

Ma tornando ad Augias e Pesce, è curioso che tra i guru cattolici il solo che fin qui abbia recensito favorevolmente la loro “Inchiesta su Gesù” sia il priore di Bose, Enzo Bianchi, in un articolo di metà ottobre su “La Stampa”. Bianchi ha ricoperto anche lui, per anni, una carica importante nell’Istituto di Bologna. Oggi non più.
29/01/2007 16:15
 
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Un "codice Ratzinger" dall'editore di Dan Brown
di Andrea Tornielli

Il libro di Benedetto XVI nello stesso catalogo del Codice da Vinci. L'atteso volume dedicato alla figura di Gesù, che Joseph Ratzinger ha scritto nei ritagli di tempo fin dal 2003 e la cui pubblicazione è prevista per la fine di marzo, sarà lanciato nel mercato statunitense dalla Random House, il colosso editoriale che ha consacrato il successo del discusso romanzo best-seller di Dan Brown. È lo stesso editore newyorkese ad annunciare, sul suo sito Internet, la prossima uscita del volume del Papa, Jesus of Nazareth (400 pagine, 24,95 dollari). Il libro di Benedetto XVI, il primo del suo pontificato pubblicato da studioso e che dunque non intende rappresentare un atto di magistero, vuole parlare del Gesù storico e del Cristo della fede mostrando come non siano due persone diverse. Mostrando come la figura del Nazareno proposta dai vangeli sia «molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni». «Io ritengo - scrive il Papa nell'introduzione - che proprio questo Gesù - quello dei vangeli - sia una figura storicamente sensata e convincente».

Proprio la storicità della figura di Gesù e dei vangeli che la Chiesa ha scelto come canonici, scartando altri testi considerati apocrifi, sono alcuni degli argomenti sui quali si è polemicamente inserito il romanzo fumettistico di Dan Brown. I diritti d'autore del volume di Benedetto XVI, com'è stato annunciato lo scorso novembre, appartengono alla Libreria Editrice Vaticana, che li ha ceduti a Rcs Libri affidandole anche la commercializzazione per l'estero. Così, il volume su Gesù a firma di Ratzinger entrerà nel catalogo che a tutt'oggi presenta numerose edizioni del fortunatissimo Codice da Vinci.

Nel presentare la strategia dell'editrice vaticana, il suo presidente, monsignor Giuseppe Scotti, intervistato dalla rivista 30Giorni nel settembre 2005 aveva detto: «Tutte le tentazioni sono umane, ma il nostro atteggiamento deve essere diverso, il business e il tornaconto economico non possono essere l'elemento dominante. Per riuscirci ci vuole una grande forza e una grande fede. Le tentazioni di allargamento sono legittime, ma è anche bello appoggiarsi e collaborare con persone esperte nel campo». La collaborazione con Rcs per la commercializzazione all'estero entra dunque in questa prospettiva e certamente la partnership con Random House, che è «il più grande editore del mondo in lingua inglese», come si legge nel sito Internet, garantirà al volume la più ampia e capillare diffusione e nella stessa catena editoriale i lettori troveranno dunque un prezioso e autorevolissimo «antidoto» alle baggianate del «Codice».

Com'è noto, il dibattito riaccesosi sulla figura di Gesù e sulla storicità dei vangeli non è più soltanto confinato nelle aule delle facoltà teologiche o nei seminari accademici. Dopo la pubblicazione del Codice da Vinci, è stato portato alla ribalta mediatica internazionale il Vangelo di Giuda pubblicato dal National Geographic. Nell'aprile 2006, durante l'omelia del Venerdì Santo in San Pietro, padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, aveva tuonato contro queste operazioni editoriali che senza veri argomenti, ma con grande battage pubblicitario, attaccano la fede cristiana nei suoi fondamenti mettendo in crisi le persone che non posseggono gli strumenti culturali per valutarle correttamente. «Cristo viene venduto - aveva detto Cantalamessa - non più ai capi del sinedrio per trenta denari, ma a editori e librai per miliardi di denari... Nessuno riuscirà a fermare quest'ondata speculativa». Grande successo editoriale, negli ultimi mesi, ha avuto poi in Italia il libro Inchiesta su Gesù (Mondadori), firmato dal giornalista Corrado Augias e dal biblista Mauro Pesce, un volume che discute la figura storica di Gesù negandone però la divinità, puntualmente contestato e confutato da Civiltà Cattolica e da una serie di documentati articoli del quotidiano Avvenire.

(da "il giornale" del 29 gennaio 2007)
29/01/2007 20:45
 
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Re:

Scritto da: studiosus 23/11/2006 1.22

«Chiedo solo alle lettrici e ai lettori (interessante anche l'ordine, non usuale..., ndr)




Solo una piccola spiegazione:

è una traduzione dal testo originale (= il tedesco); e nella lingua tedesca è una abitudine di menzionare per primo le donne, solo allora i maschi. è una cosa di cortesia tedesca, allora l'ordine non è così interessante come sta scritto [SM=g27822]



Sì, è vero la stessa regola esiste anche in italiano, però il giornalista ha ragione: I PAPI NON HANNO MAI INVERTITO L'ORDINE , in questo Ratiznger rappresenta una novità assoluta!!
"Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam et portae inferi non praevalebunt adversum eam " (Mt 16,18)
Nel menù di hitleriani e maomettani, gli ebrei, pochi di numero e relativamente deboli, sono soltanto l'antipasto: il piatto più consistente è a base di cristiani! (C. Langone)
EXTRA ECCLESIAM NULLA SALUS
29/01/2007 21:16
 
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Re: Re:

Scritto da: stupor-mundi 29/01/2007 20.45


Sì, è vero la stessa regola esiste anche in italiano, però il giornalista ha ragione: I PAPI NON HANNO MAI INVERTITO L'ORDINE , in questo Ratiznger rappresenta una novità assoluta!!



ritengo che sia un fatto (e non semplicemente una cortesia) di primaria importanza. durante il sinodo dei vescovi dell'ottobre 2005, i padri sinodali bocciarono un ordine del giorno in cui si proponeva di rivolgersi nei documenti "alle sorelle e ai fratelli" invertendo la formula tradizionale della chiesa.
anche in questo papa benedetto dimostra di essere molto piu' "avanti" di tanti suoi ex colleghi piu' giovani...
29/01/2007 21:26
 
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Riprendendo il discorso.......



Riprendendo il discorso sui libri, se come io sono sicura che sara' il libro scritto da Benedetto su Gesu', avra' lo stesso impatto e successo che ha avuto la sua prima enciclica " Deus Caritas Est", allora credo che non ce ne sara' per nessuno!!!!!!!!!!!!!!
Non so' quale meraviglia questa volta il nostro Benedetto ha preparato per noi ma, qualunque cosa sia sara' sicuramente una cosa di cui far tesoro!!!!!!!!!!!!

[SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=x40799] [SM=x40800]
23/02/2007 21:35
 
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Dal blog di Sandro Magister oggi:

Anche Betori affonda il “mal guidato” professor Pesce
Postato in General il 23 Febbraio, 2007


“Attendiamo con impazienza il libro di Benedetto XVI su Gesù di Nazaret, certi che da esso verrà la migliore risposta su come la ricerca storica possa stare nella compagnia della fede e, guardando a Gesù, sia capace di offrirne un volto assai più attendibile di quello mutilo e insignificante, appiattito sulla normalità del suo tempo, che certi uomini di cultura e storici del cristianesimo, mal guidati da stravolgimenti ideologici, sanno offrirci”.

Questo ha detto il segretario generale della conferenza episcopale italiana, Giuseppe Betori, nel mezzo di una seguitissima relazione letta il 22 febbraio a Sacile, provincia di Pordenone, in occasione dei trent’anni del Centro di studi biblici diretto da Rinaldo Fabris (inspiegabilmente assente).

Il riferimento polemico, trasparente, è al libro “Inchiesta su Gesù” scritto da Corrado Augias e Mauro Pesce.

Quanto al libro di Benedetto XVI, uscirà tra poche settimane contemporaneamente in cinque lingue: in italiano, inglese, tedesco, francese, spagnolo. Seguiranno subito dopo le edizioni in portoghese e in polacco e poi, man mano, in un’altra dozzina di lingue, dal croato al coreano.

Un ampio estratto della relazione di Betori, che anticipa i criteri con i quali Benedetto XVI racconterà la vicenda di Gesù, è uscito su “Avvenire” del 22 febbraio.
04/04/2007 22:02
 
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dal blog di lella

ANTEPRIMA

IL NUOVO LIBRO DEL PAPA
GESÙ E IL RISCHIO DELLA VITA GIUSTA


di JOSEPH RATZINGER - BENEDETTO XVI


La parabola del buon samaritano (Lc 10,25-37). Al centro della storia del buon samaritano vi è la domanda fondamentale dell'uomo. È un dottore della Legge, quindi un maestro dell'esegesi, che la pone al Signore: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?» (10,25). Luca aggiunge che il dottore avrebbe fatto quella domanda a Gesù per metterlo alla prova. Egli personalmente, in quanto dottore della Legge, conosce la risposta che a essa dà la Bibbia, ma vuole vedere che cosa dice al riguardo quel profeta digiuno di studi biblici. Il Signore lo rimanda molto semplicemente alla Scrittura che questi, appunto, conosce e lascia che sia lui stesso a dare la risposta. Il dottore della Legge risponde con esattezza mettendo insieme Deuteronomio 6,5 e Levitico 19,18: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10,27). Riguardo a questa domanda Gesù non insegna cose diverse dalla Torah, il cui intero significato è unito in questo duplice comandamento. Ora, però, quest'uomo dotto, che da sé conosce benissimo la risposta alla sua domanda, deve giustificarsi: la parola della Scrittura è indiscussa, ma come essa debba essere applicata nella pratica della vita solleva questioni che sono molto dibattute nella scuola (e anche nella vita stessa).
La domanda, nel concreto, è: chi è «il prossimo»? La risposta abituale, che poteva poggiarsi anche su testi delle Scritture, affermava che «prossimo» significava «connazionale». Il popolo costituiva una comunità solidale, in cui ognuno aveva delle responsabilità verso l'altro, in cui ogni individuo era sostenuto dall'insieme e quindi doveva considerare l'altro, «come se stesso», parte di quell'insieme che gli assegnava il suo spazio vitale. Gli stranieri allora, le persone appartenenti a un altro popolo, non erano «prossimi»? Ciò, però, andava contro la Scrittura, che esortava ad amare proprio anche gli stranieri ricordando che in Egitto Israele stesso aveva vissuto un'esistenza da forestiero. Tuttavia, dove porre i confini restava argomento di discussione. In generale si considerava appartenente alla comunità solidale e quindi «prossimo» solo lo straniero che si era stanziato nella terra d'Israele. Erano diffuse anche altre limitazioni del concetto di «prossimo». Una dichiarazione rabbinica insegnava che non bisognava considerare «prossimo» eretici, delatori e apostati (Jeremias, p. 170). Inoltre era dato per scontato che i samaritani, che a Gerusalemme, pochi anni prima (tra il 6 e il 9 dopo Cristo) avevano contaminato la piazza del tempio proprio nei giorni della Pasqua spargendovi ossa umane (Jeremias, p. 171), non erano «prossimi».
Alla domanda, resa in questo modo concreta, Gesù risponde con la parabola dell'uomo che sulla strada da Gerusalemme a Gerico viene assalito dai briganti che lo abbandonano ai bordi della via, spogliato e mezzo morto. È una storia assolutamente realistica, perché su quella strada assalti simili accadevano regolarmente. Passano sulla medesima strada un sacerdote e un levita — conoscitori della Legge, esperti circa la grande domanda della salvezza di cui erano al servizio per professione — e vanno oltre. Non dovevano essere necessariamente uomini particolarmente freddi; forse hanno avuto paura anche loro e hanno cercato di arrivare più presto possibile in città; forse erano maldestri e non sapevano da che parte cominciare per prestare aiuto – tanto più che, comunque, sembrava che non ci fosse più molto da aiutare. Poi sopraggiunge un samaritano, probabilmente un mercante che deve percorrere spesso quel tratto di strada ed evidentemente conosce il padrone della locanda più vicina; un samaritano — quindi uno che non appartiene alla comunità solidale di Israele e non è tenuto a vedere nella persona assalita dai briganti il suo «prossimo».
Bisogna qui ricordare che, nel capitolo precedente, l'evangelista ha raccontato che Gesù, in cammino verso Gerusalemme, aveva mandato avanti dei messaggeri che erano giunti in un villaggio di samaritani e volevano preparare per Lui un alloggio: «Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme» (9,52s). Infuriati, i figli del tuono — Giacomo e Giovanni — dissero allora a Gesù: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Il Signore li rimproverò. Si trovò poi alloggio in un altro villaggio.
Ed ecco ora apparire il samaritano. Che cosa farà? Egli non chiede fin dove arrivino i suoi doveri di solidarietà e nemmeno quali siano i meriti necessari per la vita eterna. Accade qualcos'altro: gli si spezza il cuore; il Vangelo usa la parola che in ebraico indicava in origine il grembo materno e la dedizione materna. Vedere l'uomo in quelle condizioni lo prende «nelle viscere», nel profondo dell'anima. «Ne ebbe compassione», traduciamo oggi indebolendo l'originaria vivacità del testo. In virtù del lampo di misericordia che colpisce la sua anima diviene lui stesso il prossimo, andando oltre ogni interrogativo e ogni pericolo. Pertanto qui la domanda è mutata: non si tratta più di stabilire chi tra gli altri sia il mio prossimo o chi non lo sia. Si tratta di me stesso. Io devo diventare il prossimo, così l'altro conta per me come «me stesso».
Se la domanda fosse stata: «È anche il samaritano mio prossimo?», allora nella situazione data la risposta sarebbe stata un «no» piuttosto netto. Ma ecco, Gesù capovolge la questione: il samaritano, il forestiero, si fa egli stesso prossimo e mi mostra che io, a partire dalmio intimo, devo imparare l'essere- prossimo e che porto già dentro di me la risposta. Devo diventare una persona che ama, una persona il cui cuore è aperto per lasciarsi turbare di fronte al bisogno dell'altro. Allora trovo il mio prossimo, o meglio: è lui a trovarmi.
Helmut Kuhn, nella sua interpretazione della parabola, va certamente oltre il senso letterale del testo e tuttavia individua correttamente la radicalità del suo messaggio quando scrive: «L'amore politico dell'amico si fonda sull'uguaglianza dei partner. La parabola simbolica del samaritano, invece, sottolinea la radicale disuguaglianza: il samaritano, che non appartiene al popolo d'Israele, sta di fronte all'altro, a un individuo anonimo, egli che aiuta di fronte alla vittima inerme dell'attacco dei briganti. L'agape, così ci fa intendere la parabola, attraversa ogni tipo di ordinamento politico in cui domina il principio del
do ut des, superandolo e caratterizzandosi in questo modo come soprannaturale. Per principio essa si colloca non solo al di là di questi ordinamenti, ma si comprende anzi come il loro capovolgimento: i primi saranno ultimi (cfr. Mt 19,30). E i miti erediteranno la terra (cfr. Mt 5,5)» (p. 88s). Una cosa è evidente: si manifesta una nuova universalità, che poggia sul fatto che io intimamente già divengo fratello di tutti quelli che incontro e che hanno bisogno del mio aiuto.
L'attualità della parabola è ovvia. Se la applichiamo alle dimensioni della società globalizzata, vediamo come le popolazioni dell'Africa che si trovano derubate e saccheggiate ci riguardano da vicino. Allora vediamo quanto esse siano «prossime» a noi; vediamo che anche il nostro stile di vita, la storia in cui siamo coinvolti li ha spogliati e continua a spogliarli. In questo è compreso soprattutto il fatto che le abbiamo ferite spiritualmente. Invece di dare loro Dio, il Dio vicino a noi in Cristo, e accogliere così dalle loro tradizioni tutto ciò che è prezioso e grande e portarlo a compimento, abbiamo portato loro il cinismo di un mondo senza Dio, in cui contano solo il potere e il profitto; abbiamo distrutto i criteri morali così che la corruzione e una volontà di potere priva di scrupoli diventano qualcosa di ovvio. E questo non vale solo per l'Africa.
Sì, dobbiamo dare aiuti materiali e dobbiamo esaminare il nostro genere di vita. Ma diamo sempre troppo poco se diamo solo materia. E non troviamo anche intorno a noi l'uomo spogliato e martoriato? Le vittime della droga, del traffico di persone, del turismo sessuale, persone distrutte nel loro intimo, che sono vuote pur nell'abbondanza di beni materiali. Tutto ciò riguarda noi e ci chiama ad avere l'occhio e il cuore di chi è prossimo e anche il coraggio dell'amore verso il prossimo. Perché — come detto — il sacerdote e il levita passarono oltre forse più per paura che per indifferenza. Dobbiamo, a partire dal nostro intimo, imparare di nuovo il rischio della bontà; ne siamo capaci solo se diventiamo noi stessi interiormente «buoni», se siamo interiormente «prossimi» e se abbiamo poi anche lo sguardo capace di individuare quale tipo di servizio, nel nostro ambiente e nel raggio più esteso della nostra vita, è richiesto, ci è possibile e quindi ci è anche dato per incarico.
I Padri della Chiesa hanno dato alla parabola una lettura cristologica. Qualcuno potrebbe dire: questa è allegoria, quindi un'interpretazione che allontana dal testo. Ma se consideriamo che in tutte le parabole il Signore ci vuole invitare in modi sempre diversi alla fede nel regno di Dio, quel regno che è Egli stesso, allora un'interpretazione cristologica non è mai una lettura completamente sbagliata. In un certo senso corrisponde a una potenzialità intrinseca del testo e può essere un frutto che si sviluppa dal suo seme. I Padri vedono la parabola in dimensione di storia universale: l'uomo che lì giace mezzo morto e spogliato ai bordi della strada non è un'immagine di «Adamo», dell'uomo in genere, che davvero «è caduto vittima dei briganti»? Non è vero che l'uomo, questa creatura che è l'uomo, nel corso di tutta la sua storia si trova alienato, martoriato, abusato? La grande massa dell'umanità è quasi sempre vissuta nell'oppressione; e da altra angolazione: gli oppressori — sono essi forse le vere immagini dell'uomo o non sono invece essi i primi deformati, una degradazione dell'uomo? Karl Marx ha descritto in modo drastico l'«alienazione» dell'uomo; anche se non ha raggiunto la vera profondità dell'alienazione, perché ragionava solo nell'ambito materiale, ha tuttavia fornito una chiara immagine dell'uomo che è caduto vittima dei briganti.
La teologia medievale ha interpretato i due dati della parabola sullo stato dell'uomo depredato come fondamentali affermazioni antropologiche. Della vittima dell'imboscata si dice, da un lato, che fu spogliato (spoliatus); dall'altro lato, che fu percosso fin quasi alla morte (vulneratus: cfr. Lc 10,30). Gli scolastici riferirono questi due participi alla duplice dimensione dell'alienazione dell'uomo. Dicevano che è spoliatus
supernaturalibus e vulneratus in naturalibus: spogliato dello splendore della grazia soprannaturale, ricevuta in dono, e ferito nella sua natura. Ora, questa è allegoria che certamente va molto oltre il senso della parola, ma rappresenta pur sempre un tentativo di precisare il duplice carattere del ferimento che grava sull'umanità. La strada da Gerusalemme a Gerico appare quindi come l'immagine della storia universale; l'uomo mezzo morto sul suo ciglio è immagine dell'umanità. Il sacerdote e il levita passano oltre — da ciò che è proprio della storia, dalle sole sue culture e religioni, non giunge alcuna salvezza. Se la vittima dell'imboscata è per antonomasia l'immagine dell'umanità, allora il samaritano può solo essere l'immagine di Gesù Cristo. Dio stesso, che per noi è lo straniero e il lontano, si è incamminato per venire a prendersi cura della sua creatura ferita. Dio, il lontano, in Gesù Cristo si è fatto prossimo. Versa olio e vino sulle nostre ferite — un gesto in cui si è vista un'immagine del dono salvifico dei sacramenti — e ci conduce nella locanda, la Chiesa, in cui ci fa curare e dona anche l'anticipo per il costo dell'assistenza.
I singoli tratti dell'allegoria, che sono diversi a seconda dei Padri, possiamo lasciarli serenamente da parte. Ma la grande visione dell'uomo che giace alienato e inerme ai bordi della strada della storia e di Dio stesso, che in Gesù Cristo è diventato il suo prossimo, la possiamo tranquillamente fissare nella memoria come una dimensione profonda della parabola che riguarda noi stessi. Il possente imperativo contenuto nella parabola non ne viene infatti indebolito, ma è anzi condotto alla sua intera grandezza. Il grande tema dell'amore, che è l'autentico punto culminante del testo, raggiunge così tutta la sua ampiezza. Ora, infatti, ci rendiamo conto che noi tutti siamo «alienati» e bisognosi di redenzione. Ora ci rendiamo conto che noi tutti abbiamo bisogno del dono dell'amore salvifico di Dio stesso, per poter diventare anche noi persone che amano. Abbiamo sempre bisogno di Dio che si fa nostro prossimo, per poter diventare a nostra volta prossimi.
Le due figure, di cui abbiamo parlato, riguardano ogni singolo uomo: ogni persona è «alienata», estraniata proprio dall'amore (che è appunto l'essenza dello «splendore soprannaturale» di cui siamo stati spogliati); ogni persona deve dapprima essere guarita e munita del dono. Ma poi ogni persona deve anche diventare samaritano — seguire Cristo e diventare come Lui. Allora viviamo in modo giusto. Allora amiamo in modo giusto, se diventiamo simili a Lui, che ci ha amati per primo (cfr. 1 Gv 4,19).


L'attualità della parabola è ovvia. I popoli dell'Africa derubati ci guardano da vicino. Noi abbiamo portato loro il cinismo di un mondo senza Dio, dove contano potere e profitto.

Corriere della sera, 4 aprile 2007

[Modificato da emma3 04/04/2007 22.03]

19/04/2007 00:10
 
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Dal blog di Lella

IL NUOVO LIBRO DEL PAPA, QUASI UN CATECHISMO ESSENZIALE
RATZINGER E LO SCANDALO DI PARLARE DI GESÙ


Il Papa parla di Gesù. E sorprende. Non perché lo fa, ma per il modo in cui lo fa. Il libro Gesù di Nazaret, di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI, non è un saggio di alto magistero, ma l’opera di un credente che ha molto studiato, un testo scritto con grande umiltà e semplicità. Potrebbe essere un catechismo essenziale.

E il fatto che lo abbia scritto chi, tra due miliardi di cristiani, è stato scelto come successore di Pietro, indica a tutti che la questione essenziale, l’argomento degli argomenti, è il ragionamento attorno alla persona di Gesù. Il libro procede con una scrittura distesa, facile, avvincente. Coinvolge e appassiona perché evoca contesti e simboli del Vangelo. Non intrappola mai il lettore nella difficoltà di comprensione.


Ratzinger è un intellettuale vero, abilissimo a usare le parole, esperto nel narrare la vicenda e la figura di Gesù, capace di giustificare ogni affermazione sulla base della sua sterminata conoscenza dei testi sacri e della letteratura critica, e soprattutto in grado di dare ragione del suo assoluto rigore teologico.

È stato lui a fare un regalo alla Chiesa e al mondo intero nei giorni in cui ha compiuto ottant’anni e due anni di Pontificato. Conduce per mano il lettore lungo la strada della predicazione pubblica di Gesù dal Battesimo alla Trasfigurazione. Lo porta dentro il cuore della fede cristiana, con uno stile agli antipodi della letteratura devozionale.

Il cardinale di Vienna Christoph Schoenborn, allievo tanti anni fa del professor Ratzinger, ha spiegato, presentando il volume in Vaticano, la scorsa settimana, che essa non sta nelle corde del cuore del Papa, perché è un tipo di letteratura in cui il teologo diventato Papa non si è mai riconosciuto.

Nel libro, secondo il cardinale di Vienna, stanno «in primo piano l’instancabile confronto intellettuale, la fatica del concetto, la forza degli argomenti, la passione della ricerca oggettiva della verità, lo sforzo di dare una risposta a tutti coloro che chiedono e che cercano il motivo della propria speranza».

Naturalmente questo libro serve anche per spazzar via dalla scena molta merce contraffatta sulla figura di Gesù e sui Vangeli, a cui negli ultimi tempi ci hanno abituato romanzieri e intellettuali precari della teologia e dell’esegesi, per i quali – ha rilevato il cardinale Schoenborn – la figura di Gesù è «una truffa da preti e un imbroglio della Chiesa» e la sua predicazione sempre soffocata da «oscuri cospiratori, localizzati in prevalenza in Vaticano».

È un catechismo essenziale perché torna alla Parola, quella vera, che non fa pasticci con Gesù, non lo racconta come un fantasma che di volta in volta assume le sembianze del rivoluzionario alla Che Guevara, del mite riformatore sociale o addirittura dell’amante segreto di Maria Maddalena.

Ma questo libro, che Joseph Ratzinger ha cominciato a scrivere quando era ancora cardinale e a cui da Papa ha dedicato ogni momento libero, conferma anche l’intento del Pontificato, che il 19 aprile compie due anni e attesta la sua principale preoccupazione: parlare al mondo di Gesù.

Il settimanale americano Newsweek la scorsa settimana, commentando i due anni di Pontificato, segnalava che il papato di Joseph Ratzinger è sparito dalla scena geopolitica mondiale. L’analisi marca la difficoltà di osservare senza pregiudizi un Pontificato complesso.

Finché il Papa interviene sulle radici cristiane dell’Europa, finché parla della famiglia ci si accanisce con le accuse di interventismo. Finché parla della pace lo si promuove nel dibattito pubblico. Ma quando il Papa si mette a parlare di Dio e della Verità annunciata dall’uomo della Galilea non lo si capisce più.


Eppure è proprio questo lo "scandalo" con il quale ogni cultura e ogni lingua da duemila anni devono confrontarsi. Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, celebrando la Messa in ringraziamento per i suoi ottant’anni, lo ha detto con forza, ricordando la frase di papa Leone Magno che trent’anni fa volle nell’immagine ricordo della sua ordinazione episcopale: «Pregate il nostro buon Dio, affinché voglia nei nostri giorni rafforzare la fede, moltiplicare l’amore e aumentare la pace».

Famiglia Cristiana, n.16
19/04/2007 00:12
 
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IL GESU' STORICO DI RATZINGER

Piu' moderno di quello che si pensa


Un grande lavoro di catechesi. Che scorre in quell’alveo di rievangelizzazione tracciato, insieme a Giovanni Paolo II, durante gli anni alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger(Rizzoli Editore), in libreria il giorno del suo compleanno, è la testimonianza di quanta modernità e di quanta giovinezza interiore alberghino in questo raffinato teologo di 80 anni. Da sempre indicato come un tenace e gentile conservatore, tra i più gelosi dell’ortodossia ecclesiastica.
Forse perché cominciato da cardinale e terminato dopo essere stato prescelto come Pontefice, il libro porta la doppia firma, “non è un atto magisteriale” e sembra voler essere una base di confronto, per tracciare una solido percorso d’incontro, nell’ambito di quel dialogo interreligioso quotidianamente perseguito da Benedetto XVI.
Il professore scende dalla Cattedra e col suo “ognuno sarà libero di contraddirmi”, insistentemente ripetuto sin dalla prima presentazione del testo, pare non voler irritare interlocutori attenti e poco inclini ad accettare l’infallibilità delle dichiarazioni provenienti da Roma.
Recupera e consolida la radice storica di Gesù di Nazaret. L’interprete profetico degli insegnamenti della Torah, messi in pratica con forza, nell’affermazione dell’amore per Dio e per il prossimo come se stesso. Sintetizzati nel duplice comandamento che trae linfa dal Deuteronomio e dal Levitico. Ed esorta, ammonendo, a non trattare con superficialità il patrimonio biblico delle Vecchie scritture a favore delle Nuove.
Radicare la figura del Nazareno nel contesto raccontato dai Vangeli, significa salvaguardarne l’autenticità e la spinta devozionale. Altrimenti resa evanescente dall’impressione di “sapere poco di certo su di Lui e che solo nel tempo la fede, nella sua divinità, avrebbe plasmato la sua immagine”. Dal che si deduce che lo stesso Papa non potrebbe essere il vicario di una costruzione tardiva, sebbene frutto di un intenso percorso di fede.
Da tempo il lavoro certosino di Joseph Ratzinger è quello di dar forza alla fede, curandone gli occhi della storia e della ragione, per dare radici solide al suo credo, che se cieco diventa fragile, integralista e pericoloso. La ricerca storica, allora, non è in contrasto con la fede. Al contrario, alla fine può confermarla. Il metodo storico-critico, alla base della sua formazione universitaria in Germania e struttura portante delle lezioni impartite da docente, in quelle stesse università, “è una delle dimensioni fondamentali dell’esegesi”.
Ma è nel riconoscerne i limiti, che la prospettiva di Benedetto XVI assume i caratteri moderni dell’innovazione metodologica. “Per sua natura”, afferma, “il metodo storico-critico non deve soltanto cercare la parola come qualcosa che appartiene al passato, ma deve anche lasciarla nel passato”. Perché, aggiunge: “Non possiamo recuperare il passato nel presente” e soltanto alla luce di una fede certa e ritrovata sarà possibile elevare lo spirito.
“Ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il Gesù storico, in senso vero e proprio”, sottolinea il Pontefice. “Solo se era successo qualcosa di straordinario, se la figura e le parole di Gesù avevano superato radicalmente tutte le speranze e le aspettative dell’epoca, si spega la sua crocifissione e si spiega la sua efficacia”. E conclude, evitando il plurale majestatis, “Io spero che il lettore comprenda che questo libro non è stato scritto contro la moderna esegesi, ma con grande riconoscenza per il molto che ci ha dato e che continua a darci”. Come dire, che nel tempo di internet l’aramaico non può che conservare la sua suggestione storica.

di Antonio V. Gelormini
22/04/2007 23:15
 
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Chi ha paura del vero Gesù.

Ratzinger contro i "maestri del sospetto".




di Vittorio Messori

Sin dalle prime righe della Premessa al suo Gesù di Nazaret, Joseph Ratzinger (come preferisce essere indicato, scrivendo qui come studioso privato) spiega perchè, con una sorta di urgenza, ha dedicato al libro <> anche dopo <>. E spiega pure perchè, <>, ha deciso di anticipare i capitoli centrali del testo progettato, quelli sulla vita pubblica del Nazareno, rinviando al futuro la riflessione sui “vangeli dell’infanzia“ e sul “mistero pasquale“, cioè i racconti di passione, morte, risurrezione. Ratzinger, dunque, spiega questa fretta usando un’espressione significativa, che sembra in contrasto con i suoi toni sempre pacati ed equilibrati. Se ha deciso di andare alle radici stesse, al Fondatore medesimo, è perchè c’è oggi <>. Fede che sta dissolvendosi, se non si contrasta l’ aggressione –che viene anche da certa intellighenzia cattolica– alla verità storica dei racconti evangelici. Il Cristo, il Messia, il Figlio di Dio annunciato e adorato dalla Chiesa non sarebbe che una costruzione tardiva, che poco o nulla avrebbe a che fare con il <>, oscuro predicatore come tanti altri all’interno della tradizione ebraica. <> scrive colui che ora è papa <>.

Questo libro, dunque, vuole essere uno strumento per “ricominciare da capo“, per procedere a quella rievangelizzazione già auspicata pressantemente da Giovanni Paolo II. Pagine, queste, pensate e volute per rivisitare, riaffermare, salvaguardare il fondamento dell’intero edificio cristiano. Soltanto alla luce di una certezza di fede ritrovata è possibile darsi ad elevazioni spirituali e trarre conseguenze morali. Ma se Gesù non è l’Unto annunciato dai profeti ed è solo uno Yeoshua, un predicatore vagante dagli incerti contorni dell’era tra Augusto e Tiberio, sono abusive e grottesche le elucubrazioni che si ricavano da un insegnamento frutto di chissà quali oscure manipolazioni e interpolazioni.

Pur allergico alle iperboli giornalistiche, questa volta aggettivi come “ prezioso“, se non “decisivo“ (per i credenti, ma forse non solo) mi sembrano applicabili al Gesù del teologo bavarese che proprio oggi compie il suo ottantesimo anno e da due è Vicario di quel Cristo di cui qui parla. Mentre le attuali classifiche dei best seller librari nereggiano di titoli che compatiscono l’innocenza o denunciano l’ignoranza di coloro che si ostinano a dirsi credenti, ecco un papa-professore che spiazza piccoli e grandi “maestri del sospetto“, mostrandosi più aggiornato di loro. In effetti, vanno oggi per librerie dei libelli che vorrebbero dimostrare che “non possiamo più essere cristiani“ riesumando la propaganda dei polemisti ottocenteschi, ripetendo le trite grossolanità dei farmacisti e dei notai della provincia massonica. Si presentano cioè, come rivelazioni devastanti per la fede argomenti che entusiasmavano anche un giovane socialista, un autodidatta, tal Benito Mussolini che –sul palco dei comizi, avvolto in una bandiera rossa– dava un minuto d’orologio all’inesistente Dio per fulminarlo. Si diffondono, poi, libri certamente più insidiosi perché più sofisticati, ma dove su Gesù discettano professori formatisi sugli schemi novecenteschi, secondo i quali le incerte, spesso arbitrarie, metodologie dette “storico-critiche“ sarebbero “scienza“ e, dunque, oggettive, indiscutibili. Dimenticando, però, di avvertire il lettore che quegli schemi sono tanto poco “storici“ e tanto poco “critici“ che ogni generazione di esegeti confuta quella precedente, dando per sicura un’altra verità, destinata ovviamente ad essere essa pure ribaltata. Anche perchè, come ricorda con ironia ma con verità Ratzinger, <>, ciascuno spacciando per “scienza“ il suo temperamento e lo spirito del suo tempo. Difficile prendere sul tragico biblisti come questi, che per decenni hanno venerato come principe tra loro o, almeno, hanno rispettato un Rudolf Bultmann (al quale Ratzinger dedica qualche battuta ironica) che sentenziò che non esiste, che non può e che non deve esistere alcun rapporto tra ciò che i vangeli raccontano e ciò che davvero è successo, ma che al contempo rifiutò sempre di andare in Palestina: se i luoghi e l’archeologia confutavano la teoria libresca, tanto peggio per loro, non per la teoria.

A chi è rimasto al XIX o al XX secolo, ecco ora far controcanto non un papa che si appella al principio di autorità o formato a quella che Hans Kueng chiama, con lo sprezzo del clericale “adulto“, la <>, ma uno studioso tra i più apprezzati al mondo che ha attraversato tutta la modernità per affacciarsi, alla fine, al post-moderno. L’epoca, cioè, in cui, dopo aver triturato in ogni modo i versetti evangelici per piazzarne i detriti nel cestino del mitico, del didascalico, dell’edificante, dell’interpolato, ci si è accorti che, in realtà, in questo modo l’enigma di Gesù non si dissolveva ma diventava più fitto. E che, forse, la lettura sdemplice dei vangeli “così come stanno“ può essere più chiarificatrice di quella di un accademico tedesco.

Dico tedesco non a caso perché in Germania –dove ogni università anche pubblica ha due facoltà di teologia e di esegesi, una protestante l’altra cattolica -è nato e si è via via ampliato, sino a divenire ipertrofico, quel metodo “storico-critico“ accettato poi ovunque dai biblisti, intimiditi da nomi teutonici che si richiamano alla severa, inappellabile Wissenschaft, la Scienza con la maiuscola. Formgeschichte, Redaktiongeschichte, Wirkunggeschichte, Entmithologisierung, Ur-Quelle ed infinite altre teorie e sistemi che il professor Ratzinger conosce benissimo, che sono nati e coltivati nelle università in cui è stato docente, che nella sua giovinezza hanno affascinato anche lui. E che ora non condanna né rinnega, sia chiaro. <> scrive <>. Nulla rifiuta di quanto di valido venga dagli accademici sui colleghi. Non vuole andare contro ma oltre, consapevole che proprio la ricerca –purché concreta, sensata e, dunque, pronta a ogni possibilità, persino a quella di aprirsi al Mistero- può mostrarci che ci sono ben più cose nella Scrittura di quanto non scorga la critica positivista, il razionalismo esegetico. Così, alla fine lo specialista come lui, consapevole di ogni obiezione, rotto a ogni teoria, sistema, metodo può concludere che, se si vuol raggiungere Gesù , <>, che non è vero che la ricerca storica sia in contrasto insanabile con la fede. Al contrario, alla fine può confermarla. In questo senso, il libro che il nostro docente ha iniziato da cardinale e ha completato da pontefice, sembra nella linea del grido di colui che sempre chiama <>. Ma sì, il <> di Giovanni Paolo II risuona anche in queste pagine che non temono la critica dei sapienti, che la rispettano, che ne colgono quanto vi è di positivo ma la sorpassano.

Corriere della Sera, 15 aprile 2007.





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