La malattia da noi inventata diviene realtà!!!
(da Panorama)
ESPLODE LA "RATZINGERITE!! "
In libreria gli scritti del nuovo Papa sono ormai best-seller. E cresce l'attenzione verso di lui, a destra e a sinistra. Le ragioni di tanto fascino? Porta il duello delle idee su un terreno elevato
Definirla la malattia intellettuale dell'estate è forse troppo.
Ma che la «ratzingerite», epidemia da interesse acuto verso il pensiero, le parole, i gesti, i libri, le omelie, le abitudini e perfino il gatto di Papa Joseph Ratzinger, sia il tormentone mediatico di questa prima fase delle vacanze è innegabile.
Dalle polemiche sul relativismo alla recente presentazione del Compendio del Catechismo, la ratzingerite dilaga a destra e a sinistra. Occupa a intermittenza le prime pagine dei quotidiani, è ben visibile in tv ed è oggetto di schermaglie a distanza fra grandi firme: da Giuliano Ferrara, ratzingeriano da area di rigore, a Eugenio Scalfari, Gian Enrico Rusconi e Gianni Vattimo, antiratzingeriani da catenaccio.
Ma è nella produzione editoriale che l'epidemia svela il meglio di sé.
Almeno 50 sono i titoli di opere di Papa Benedetto XVI in vendita nelle librerie, anzitutto quelle cattoliche, con tanto di vetrine e scaffali. Dal volume più impegnativo e famoso, quell'Introduzione al Cristianesimo (Queriniana) pubblicato nel 1968 che gli diede notorietà al di fuori dell'università (12 edizioni in Italia, traduzioni in 17 lingue), al recentissimo L'Europa di Benedetto nella crisi delle culture (Editrice vaticana) che contiene il testo di tre discorsi pronunciati da Ratzinger dal 1992 all'aprile scorso.
È in libreria che si misura il successo del Ratzinger-pensiero. Tanto evidente da avere fatto breccia in roccheforti un tempo considerate imprendibili: anche nei punti vendita Feltrinelli, templi della sinistra intellettuale, c'è oggi uno spazio visibile per le biografie del Papa, accanto ai volumi delle sue opere pubblicate dalle editrici cattoliche.
La ratzingerite avanza. E il virus può perfino assumere mutazioni imprevedibili. Può essere istituzionale e papale come accade con il presidente del Senato, Marcello Pera, o presentarsi sotto spoglie neogiacobine e atee, come capita con il direttore di Micromega Paolo Flores d'Arcais.
Due intellettuali lontanissimi nelle idee, ma accomunati dalla passione per il teologo della Bassa Baviera, chiamato nel novembre 1981 da Karol Wojtyla a dirigere l'ex Sant'Uffizio per vigilare sulla «purezza» della dottrina. Pera, dopo aver firmato con Ratzinger il volume Senza radici (Mondadori), ha curato la presentazione del nuovo libro papale L'Europa di Benedetto, intervenendo a fine giugno al dibattito a Roma con il cardinale Camillo Ruini (moderatore Bruno Vespa).
Flores, che subito dopo l'elezione a pontefice di Ratzinger aveva pubblicato in volume «la trascrizione integrale» del dibattito svoltosi cinque anni prima fra lui e il cardinale (moderatore Gad Lerner), ha presentato nelle scorse settimane il libro a Bologna discutendone con l'arcivescovo Carlo Caffarra.
Ma da dove deriva la ratzingerite? E perché contagia trasversalmente destra e sinistra? Una spiegazione può essere questa: l'interesse per Benedetto XVI deriva dal fascino che egli esercita sugli intellettuali.
Perché il Papa è, per sua stessa ammissione, un intellettuale. Pastore di anime, certamente, ma capace, nella semplicità dei modi e nel rigore dell'argomentare, di portare il duello delle idee su un terreno elevato.
Tanto abile da misurarsi, per esempio, con un guru della laicità come il filosofo Jürgen Habermas, da spingere due editori, uno laico (Marsilio) e uno cattolico (Morcelliana), a pubblicare il testo del dibattito svoltosi a Monaco nel gennaio 2004.
«Ratzinger è un pontefice di grande spessore culturale, non c'è dubbio, ma con una sua specificità, quella di riunire in sé le competenze del teologo, dell'esegeta e del filosofo, in una storia della Chiesa nella quale i papi del passato si sono segnalati soprattutto come giuristi: basti pensare a Benedetto XIV, che fu insigne storico ed erudito».
Renzo Savarino, docente di storia della Chiesa alla sezione di Torino della Facoltà teologica, non nasconde l'ammirazione per Ratzinger. «Nel panorama della Chiesa lui mi ricorda piuttosto un'altra figura: quella di Papa Giovanni XXI, Pietro Ispano, teologo di gran fama che Dante pone nel Paradiso, autore di un'opera preziosa, le Summulae logicales, piccolo manuale di introduzione alla logica che il filosofo Nicola Abbagnano, negli anni Sessanta, faceva ancora leggere ai suoi studenti.Come scrive nella sua Autobiografia, Benedetto XVI deve a un maestro come Heinrich Schlier, un protestante che si convertì al Cattolicesimo, l'approfondimento del metodo esegetico moderno nello studio della Scrittura. Un metodo che unito alla profonda conoscenza di Sant'Agostino fa di lui un teologo di altissimo livello».
Che cosa deve Ratzinger a Sant'Agostino? «La capacità di cogliere l'essenziale nella Scrittura e di attualizzarlo nel rapporto con la realtà» risponde Savarino. Un esempio? «Ratzinger non è un buonista: come Sant'Agostino è convinto che il male sia continuamente all'opera contrapposto al bene, in un processo dialettico che attraversa la storia e che si concluderà nel regno di Dio».
Sant'Agostino nell'epoca dei media. E in una partita cruciale per il destino della Chiesa. Da una parte l'intellettuale formatosi nel rigore delle università tedesche. Dall'altra lo sbandamento della barca di Pietro nel periodo durissimo del post Concilio. È Papa Giovanni Paolo II ad avere bisogno del teologo. E fin dall'inizio, da quando lo chiama a dirigere la Congregazione per la dottrina della fede, Ratzinger dimostra di avere le idee chiare. La crisi della Chiesa nel post Concilio, scrive, è lo specchio «di una crisi spirituale più vasta che riguarda l'Occidente» e che va affrontata e combattuta sul terreno che la fede ha lasciato colpevolmente sguarnito: la cultura e le idee.