Naetro, subito imitato anche da Halya e Jarek, fissò per un momento il bardo, come se aspettasse qualche spiegazione riguardo le sue enigmatiche parole. Fu chiaro, però, che Vilahir non aveva alcuna intenzione di chiarire il concetto, per cui il guerriero accantonò la faccenda con una scrollata di spalle e si rivolse ad Halya.
“Bene, sembra che siamo tutti d’accordo: ci fermiamo qui per la notte”, le disse.
“Facci strada, Halya. Kuma, stai vicina a me!”
Il gruppo abbandonò la strada e percorse la ripida discesa che conduceva alla radura. Perfino ad una prima occhiata era chiaro che il luogo era quanto di meglio potessero aspettarsi per approntare un campo. La zona era protetta a nord e ad est dalla scarpata dalla quale erano scesi, e gran parte del perimetro a sud e ad ovest era circondato da una fitta macchia di cespugli. Ovviamente, su tutto torreggiavano gli alberi secolari della foresta. Guardando in alto, ad est, era possibile scorgere il piano della via per Pasel, per cui chiunque volesse raggiungere il luogo da quella parte sarebbe stato avvistato con un certo anticipo.
Jarek cominciò a gironzolare ed a guardarsi intorno, come se stesse cercando qualcosa. Ben presto, ben incassata nella scarpata a nord, individuò la sorgente di cui aveva parlato Halya. Da un buco circondato da rocce, zampillava un allegro getto d’acqua che riempiva una piccola polla poco più in basso, per poi defluire in direzione sud-ovest e scomparire sotto i cespugli che delimitavano la radura da quella parte.
“Aveva detto che avremmo trovato una sorgente e, naturalmente una sorgente c’è!”, disse parlando tra sé e sé. Guardò in direzione della strada e si accorse che era impossibile scorgerla da lì, a causa degli alberi e del fitto sottobosco. Sorrise.
“Anche se, che io sia dannato, vorrei proprio sapere come faceva a saperlo.”
“Hai detto qualcosa?”, gli chiese Naetro che, poco distante, era intento a sistemare le sue cose, mentre Kuma si era accucciata lì accanto.
“Cos’hai da sorridere così?”
“Nulla di importante, Naetro”, rispose Jarek.
“Stai tranquillo.”
“Sono tranquillissimo”, dichiarò Naetro.
“Sono la personificazione della tranquillità!” Il guerriero sorrise di rimando e tornò ad occuparsi del suo zaino. Ma a Naetro non era affatto sfuggita la rapida occhiata che Jarek aveva lanciato verso Halya.
Nel frattempo l’elfa, dopo aver posato in un angolo il suo zaino, si era piazzata al centro della radura ed aveva cominciato a guardarsi intorno con aria indagatrice.
“Qualcosa non ti convince?”, le chiese Vilahir, che si era seduto poco lontano ed aveva preso il liuto, cominciando a pizzicare distrattamente le corde.
“Cosa? No, no, tutto a posto”, rispose Halya. “
Stavo solo riflettendo se sia il caso di accendere un fuoco.”
“Mmm…”, rifletté il bardo.
“Non so.”
“Jarek!”, chiamò Halya.
“Che ne dici di accendere un fuoco?”
L’eothraim lasciò il luogo della sorgente e raggiunse i due.
“Sarebbe piacevole mangiare un pasto caldo”, rispose.
“Inoltre da queste parti fa piuttosto freddo la notte, in questa stagione.”
“Vero”, commentò Vilahir.
“Ma come la mettiamo con gli Orientali? Non correremo il rischio che possano scorgere la luce del fuoco? O il fumo?”
Jarek si guardò intorno.
“Un rischio c’è, inutile negarlo. Ma molto minore di quanto pensi, bardo. Non è facile vedere il fumo se sei circondato da ogni parte dal bosco, a meno di non arrampicarti su un albero o di trovarti in una zona scoperta e più elevata. Quanto alla luce, la zona mi sembra ben riparata.”
“Sarà come dici, sei tu l’esperto in questo genere di cose”, replicò in tono poco convinto Vilahir.
“Ma io non dimentico che ci stanno cercando. Non mi piacerebbe che ci piombassero addosso mentre dormiamo.”
“Ah! Ma a questo possiamo rimediare facilmente con dei turni di guardia. E poi…”, Jarek ammiccò ridacchiando in direzione di Halya,
“…abbiamo la fortuna di avere occhi ed orecchi elfici con noi. Nessuno coglierà di sorpresa la nostra Halya! Guai allo sventurato che si provi a disturbare il suo riposo!”
Naetro scoppiò a ridere, Vilahir non riuscì a trattenere un sorriso mentre Jarek, con aria innocente, finse di non notare l’occhiataccia che gli aveva indirizzato l’elfa e si accinse ad aprire il suo zaino.
“Uomini!”, esclamò Halya con rassegnazione, prima di mettersi a sistemare alcune pietre entro le quali accendere il fuoco.
“Non ci sarà nessun fuoco”, annunciò poi Halya,
“se un eothraim di mia conoscenza non accantonerà per un momento le sue geniali battute per mettersi a cercare un po’ di legna!”
“Sapevo che me l’avrebbe fatta pagare, ma non ho potuto resistere” sogghignò Jarek, voltandosi verso Naetro.
“Be’, Naetro, mi accompagni a cercare legna?”
Il guerriero raccolse la sua ascia e raggiunse Jarek.
“Andiamo”, disse. Kuma, temendo di essere lasciata indietro, si affrettò a raggiungere il padrone.
Jarek finse di sobbalzare quando fu colpito dal rametto lanciatogli da Halya. Questa volta fu Vilahir a scoppiare a ridere.
Quella notte il gruppo si riunì intorno al fuoco e perfino Vilahir fu costretto ad ammettere che, dopotutto, la piacevolezza del momento valeva la pena di correre qualche rischio.
La conversazione che intrattennero durante la cena era pervasa di moderata allegria ed a nessuno di loro venne in mente di accennare, neanche lontanamente, alla difficile situazione in cui si trovavano. Avevano tutti bisogno di distrarsi un po’, di pensare a cose più allegre, e quell’accampamento notturno nelle profondità della foresta, accanto al fuoco caldo e scoppiettante, fornì loro la migliore delle occasioni. Jarek divertì tutti raccontando qualche sua avventura con le annoiate nobildonne di Widu, Naetro descrisse Brea, la città da cui proveniva, e raccontò del suo viaggio fino alle Terre Selvagge, Halya narrò loro antiche leggende del suo popolo. Infine, Vilahir prese il suo liuto e cominciò a suonare una dolce melodia. Era sua intenzione accompagnare la musica con delle parole, ma si avvide che lentamente un dolce canto si era levato, diverso da qualunque cosa avesse mai sentito.
E Jarek, Naetro e Vilahir videro Halya, esile fanciulla seduta sull’erba a gambe incrociate, con il volto illuminato dalla luce del fuoco e gli occhi scintillanti che scrutavano le stelle che brillavano in alto nel cielo. Ed ella cantava, nella lingua del popolo silvano, ed il canto era triste eppure dolce allo stesso tempo e si fondeva in sorprendenti melodie con la musica del liuto. E come per incanto Vilahir scoprì che le sue dita viaggiavano da sole sulle corde, intessendo un accompagnamento adatto al canto, e che la musica che scaturiva in quel piccolo accampamento aveva coinvolto in qualche modo il bosco che li circondava e le creature che lo abitavano.
Tutto si fermò, in ascolto.
Poi, lentamente come era iniziata, la musica si spense.
…
Jarek si ritrovò con le lacrime agli occhi e, imbarazzato, accennò un colpo di tosse e, senza dire una parola si stese sul suo giaciglio, chiudendo gli occhi.
Naetro si alzò, fece un profondo inchino in direzione di Halya e, anch’egli in silenzio, fece un cenno a Kuma perchè lo seguisse e si diresse al suo giaciglio.
Vilahir rimase seduto dov’era, incapace di distogliere gli occhi dall’elfa, quasi inconsapevole di avere ancora il liuto stretto tra le mani.
Halya guardò il bardo e sorrise.
“Sembra che il primo turno di guardia tocchi a noi, Vilahir”, disse.
Passarono lunghi istanti di silenzio. Poi Vilahir si schiarì la voce e disse:
“Sai, Halya, per questa mattina…”
L’elfa alzò lo sguardo sul bardo.
“Sì?”
“Be’, non avevo alcuna intenzione di litigare, né con te, né con nessun altro…” Vilahir si interruppe ancora, come se fosse incerto di come proseguire. Halya attese fissandolo.
“Il fatto è che in fondo avevi ragione: ho un motivo personale per voler andare a Pasel, per incontrare di nuovo Haleth…”
Halya aggrottò le sopracciglia.
“Ma ho fatto un sogno… Ho sognato Haleth che mi chiamava, aveva bisogno di me per trovare i Guardiani e per correre in aiuto di un guerriero assalito dagli Orientali…. Non ho fatto in tempo… E’ morto.”
“Vilahir, perdonami ma non capisco una parola di quello che stai dicendo”. Halya parlò con dolcezza.
“E credi che io invece capisca?” Vilahir allargò le braccia.
“Sto cercando disperatamente di sbrogliare questa maledetta matassa, ma ogni volta che credo di aver compreso qualcosa, ecco che succede qualcos’altro che complica ulteriormente la situazione. L’unica cosa che so, è che Haleth ha qualcosa a che fare con Elarin e credo che sia utile per tutti capire che cosa. Quindi non è solo una motivazione di carattere personale a spingermi a Pasel.”
Vilahir fissò negli occhi Halya, cercando comprensione.
L’elfa annuì e sorrise.
“Non credo che tu sia il tipo da metterci in pericolo per un capriccio. Quali che siano le tue motivazioni, hai esposto la tua alternativa a Jarek, ed egli l’ha accettata. Fine della questione. Ora siamo qui e cerchiamo di fare del nostro meglio.”
Anche Vilahir sorrise. Lasciò trascorrere alcuni attimi, poi cambiò discorso:
“Senti… Credi che sia possibile… Una volta che tutta questa storia sarà finita… Insomma, potresti insegnarmi a cantare così?”
Halya si lasciò sfuggire una risatina.
“Io non posso insegnarti. Magari qualche nostro menestrello, alla corte di Re Thranduil potrebbe esserti d’aiuto. Se mai questa storia finirà, e se sarà possibile, ti ci accompagnerò.”
“Lo faresti davvero?”
“Certo. Ma prima abbiamo altre cose a cui pensare.”
“Hai ragione”, concordò Vilahir. Poi, come se si fosse ricordato improvvisamente di qualcosa, si alzò in piedi.
“Scusa un momento, Halya”, disse.
“Devo fare un cosa. Torno subito.”
Halya annuì ed il bardo corse verso il suo zaino. L’elfa lo vide armeggiare con le sue cose, tirar fuori un sacco ed un sacchetto più piccolo. Trafficò per un paio di minuti, poi rimise tutto a posto e tornò vicino al fuoco.
Vilahir cominciò a chiacchierare del più e del meno. Halya comprese che l’uomo non aveva intenzione di dare spiegazioni su quello che aveva fatto poco prima, per cui si astenne dal chiederne.
Jarek fu svegliato dolcemente da Vilahir, quando giunse il suo turno di montare la guardia. Gli parve di aver dormito solo per pochi attimi, e scoprì di essere ancora turbato a causa del canto di Halya.
Mentre Vilahir gli augurava la buonanotte ed andava a dormire, l’eothraim vide l’elfa ancora sveglia, accanto al fuoco, e si affrettò a raggiungerla.
Rimasero qualche attimo in silenzio, poi Jarek disse:
“Sembra che io debba rivedere alcune cose riguardo il mio giudizio su di te e la tua gente, Halya. Quel canto era qualcosa che mai, in vita mia, avevo avuto la fortuna di ascoltare.”
“La musica ed il canto sono parte di me”, spiegò Halya, tenendo gli occhi fissi sulle fiamme.
“Sono parte di tutti gli Elfi. L’abbiamo nel sangue. La musica ci accompagna da tempi remotissimi, quando il Sole ancora non solcava i cieli e gli Elfi vagavano sotto la luce delle Stelle.”
“Io sono solo un piccolo Uomo Mortale ma, per quello che vale, il tuo canto era meraviglioso.”
“Vale moltissimo, credimi. Un piccolo Uomo Mortale, dici? Sei molto più di questo, Jarek, e credo che finalmente tu stia cominciando a capirlo. Anche se non riesci proprio ad evitare di minimizzare la cosa, vero?”
Jarek non rispose.
“Ad ogni modo”, continuò Halya,
“forse anch’io ti ho giudicato troppo affrettatamente, all’inizio. Ma voglio rimediare. Parlami un po’ di te.”
“Cosa vuoi sapere?”
“Be’, di te e Mejan, prima di tutto. Il vostro è uno strano rapporto. Diverso da quello tra madre e figlio, eppure tu dici che lei è la tua famiglia…”
Jarek sospirò.
“Non ho idea di chi sia la donna che mi ha generato ne tantomeno chi sia l'uomo che l'ha messa incinta”, chiarì.
“E, che tu ci creda o no, ormai non mi importa più nulla di scoprirlo. All'inizio è stata un po' dura, sai come sono fatti i bambini. E' difficile accettare di essere diverso da tutti gli altri, di non avere nessuno da chiamare "mamma" o "papà".”
Si interruppe. Halya attese in silenzio.
“Mejan mi ha allevato”, riprese Jarek.
“Mi ha trovato che ero in fasce e mi ha cresciuto come un figlio. Non mi ha mai fatto mancare nulla. Capisci adesso cosa significa quella donna per me? E' tutta la mia famiglia!
Purtroppo, in questi trent'anni, credo di averle dato più dispiaceri, pensieri e preoccupazioni che altro. Mi sento in colpa nei suoi confronti. Temo di non aver mai ricambiato tutto l'amore che lei mi ha dato.”
Jarek chiuse gli occhi e si strinse il volto tra le mani. Halya si rese conto che Jarek non avrebbe detto di più, sull’argomento. Rispettò il suo desiderio e cambiò discorso.
“E di Vilahir cosa mi dici? Eri con lui, quando sei giunto alle rovine di Garik, ma non ricordo che lo frequentassi in precedenza o, per lo meno, io non vi avevo mai visto insieme prima. E’ un tipo strano, ma dotato di una certa… profondità. Siete buoni amici?”
“Buoni amici non direi. Quell’uomo è un enigma ma, che il cielo mi strafulmini, comincia a piacermi. Comunque…, beh ... l'ho incontrato a Widu tempo fa. Diciamo che tra noi è subito nato un particolare ... legame. Ad ogni modo è una storia di poco conto e non intendo raccontarla.”
Halya avrebbe voluto saperne di più su Jarek, su Vilahir e Mejan e, in generale, su tutta quella pazzesca vicenda. Ma sapeva anche accorgersi di quando era il caso di soprassedere. Per come era fatto, Jarek le aveva detto anche più di quanto potesse aspettarsi. Meglio attendere un altro momento adatto alla conversazione, prima di cercare di approfondire.
Che fosse a causa della magia contenuta nel canto di Halya, o per mera fortuna, la notte passò senza che nessuno giungesse a disturbare il riposo del gruppo. Naetro dette il cambio ad Halya la quale, avendo meno bisogno di riposo degli Uomini, tornò di guardia al posto di Jarek un’oretta e mezza più tardi, insieme a Naetro.
Quando infine, il nuovo giorno si affacciò attraverso le chiome degli alberi, l’elfa si incaricò di svegliare i dormienti e si accinse a spegnere il fuoco.
In poco tempo, il campo fu tolto. Il fuoco spento, le coperte riavvolte e gli zaini in spalla. Il gruppo era pronto a riprendere il cammino.
[Modificato da bvzk 16/11/2005 3.53]