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Capitolo 3 - "Lossadan in love"

Ultimo Aggiornamento: 29/05/2006 16:17
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La Compagnia giunse a Lond Arador poco prima del meriggio. Oltrepassato il bosco, avevano attraversato su una strada ben tenuta una serie di vallette sempre meno profonde, punteggiate di appezzamenti di terra coltivata, principalmente a frumento. Le fattorie sembravano grandi e pulite, e molti braccianti si affaccendavano nei campi e negli orti.
La loro strada non era l’unica, e sulle altre si vedevano carri e carretti, uomini isolati o con bestie da soma, spostarsi per le terre del Conte. Alle intersezioni di queste strade si trovava sempre una piccola guardiola, presso un emporio o una locanda; a volte la guardiola diventava una vera e propria torre di pietra, la più alta delle quali misurava quasi 10 metri.

Dietro l’ultima curva, il panorama cambiò gradualmente, passando dal grande campo di grano all’uliveto, finendo sulla costa con ordinati filari di viti, estesi a perdita d’occhio tra il nord ed il sud. In mezzo, sotto di loro, sdraiata sulla costa a prendere il sole ed a godere della brezza, stava Lond Arador.
Cinta da mura alte e bianche (soprattutto sul mare, ove si trovavano bastioni a strapiombo di quasi 40 metri), la città aveva molte porte, tutte aperte, e si estendeva ben oltre i confini delle proprie mura.

Davanti a lei, scintillante come la più splendente delle armature lucidate, stava l’invincibile Belegaer. Trovarselo di fronte così, all’improvviso, fu per tutta la compagnia motivo di meraviglia e stupore. Al largo si scorgevano vele quadre e vele triangolari, barche a remi e chiatte, pennoni ed alberi. Nel porto, una piccola flotta era ormaggiata, proprio sotto un possente mastio grigio, difeso dalle mura interne e da cinque torri. Quasi ovunque sventolavano bandiere e gonfaloni con lo stemma del Conte. Sull’insegna delle locande, ma soprattutto sulle torrette e presso il castello.

Ben prima di giungere al “Cancello dell’Alba”, la porta est, il gruppo si infilò in un pittoresco borgo fatto da un centinaio di case. Un piccolo gruppo di persone si accodava già ai carri. Bambini, uomini e donne, anziani e meno anziani. Salutavano, fischiavano, tiravano fiori e, non senza qualche incidente, anche frutta fresca! La Compagnia era tutta affacciata alle finestre dei carri, raccogliendo le ovazioni e gli applausi, diretti a loro tanto quanto alla loro sfolgorante scorta armata.

Pochi minuti dopo, il cancello est fu visibile. Un varco come un portale di chiesa, strombato ed acuto, sovrastato da statue di demoni e mostri, aperto dentro una muraglia alta quasi 15 metri. La strada, larga come tre carri affiancati, lo attraversava perdendosi verso l’interno. Davanti al portone, due cavalli sellati, con due cavalieri in cotta e spada seduti lì a fianco, pronti a partire. Dietro di loro, una dozzina di armigeri salutavano quelli che entravano ed uscivano, facendo qui e là domande e controlli più approfonditi. Apparivano come uomini robusti e molto a proprio agio in quel ruolo, ma più bassi e scuri di come li immaginavano Eorein e Dalkest. Quando il carro cominciò a rallentare, un uomo uscì dalla guardiola, salendo rapidamente su un cavallo coperto da una splendida gualdrappa rossa. Giunse, scortato dagli altri due cavalieri, di fianco al carro di testa, fermandosi a pochi passi da Eorein. Doveva essere alto almeno quanto Athorman, ma dalla corporatura più solida. Non vestiva corazza, ma solo un farsetto di stoffa imbottita, con dei bracciali di cuoio. Al fianco cingeva una spada d’argento, come l’elmo dalle nere ali che gli copriva il capo. Gli occhi, neri e profondi, avevano un aria seria, decisa, ma di certo non ostile. Sembrava un uomo appena uscito dalla giovinezza ed entrato nella maturità. Fissò, quasi sorpreso, la scorta della Compagnia per un istante, poi sorrise, si volse ad Eorein, e disse, con tono cortese:

Cavaliere: “Io sono Arbalar, Guardiano del Cancello dell’Alba, Roquen della Contea di Lond Arador e servo il suo Conte ed il Re di Tutta Arnor, a Fornost. Come Primo Maresciallo di questa città vi do il benvenuto ufficiale. Vi chiedo di dichiarare la vostra identità, il vostro scopo e la vostra Forza, così che io possa informarvi dei vostri diritti e doveri entro queste terre. Avanti, parlate pure!”
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Eorein
"Io sono Eorein, figlio di Frèalaf del Rhovanion; con i miei uomini proteggo la Compagnia degli Aranrim, qui presenti. Chiediamo di poter entrare in città, dove la Compagnia si fermerà per breve tempo, spero allietando con le sue storie ed i suoi canti gli abitanti di Lond Arador."

Eorein chinò il capo leggermente in segno di saluto e di rispetto prima di pronunciare queste parole di presentazione al cavaliere che lo aveva interrogato.
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Master
All’approcciarsi di Eorein il guardiano rispose snudando la spada d’argento e portandone la guardia alata alla fronte, puntandola poi al cielo ed in fine a terra, di fianco a se, in cenno di saluto, ma anche di sbarramento. Eorein, che per fortuna ricordava parte della usanze del nord nonostante non gli fossero familiari, ebbe la prontezza e la coordinazione di ripetere il gesto senza aspettare troppo, ed anche con una certa grazia.
Il Guardiano sorrise con un certo gusto, come chi nota delle piccole imperfezioni ma le dimentica volentieri in favore della cortesia e del senso del rispetto mostratogli.

Arbalar: “Aranrim, vedo che siete un gruppo ben compatto e protetto. Messer Lossadan è il benvenuto a Lond Arador e gode del favore del Conte e della Contessa. Potete trattenervi quanto vi serve, per preparare lo spettacolo. Come previsto, il teatro dei Monaci Bianchi è a vostra disposizione e ne potete prender possesso anche subito.
Lasciate che vi ricordi, come è usanza, le poche regole che dovete seguire. Come cittadini di Arnor avete accesso a tutta la città, salvo le zone militari e i moli reali. Il mio consiglio è tuttavia di restare sempre presso il castello, presso le mura e presso il centro. Alle dame è fatto divieto per il loro bene di lasciare il centro o il castello. Evitate, tutti, il porto sud, se potete.
E’ proibito girare nelle strade non illuminate dopo la mezzanotte e prima dell’alba. Il libero cittadino può portare la sola spada, le sue guardie sono autorizzate a portare due armi da fianco, di cui la prima deve essere la spada, ma solo se sono in servizio, altrimenti se non sono nobili devono girare disarmate, come tutti. Le armature sono concesse solo alle guardie in servizio, mentre non è concesso a nessuno calzare un elmo con la visiera abbassata dentro la città. Lo stesso vale per i cappucci e le mantelle, le maschere e le bende. Non sono concessi a nessuno né archi né armi da gitto di alcuna sorta, né girare a cavallo se non si è in servizio. Le guardie della città, tutte meno i soldati semplici, hanno il diritto di fermare chiunque per domandarne l’identità, e questi è tenuto a rispondere.
Sono proibiti i duelli non sportivi, puniti con la galera, così il versare l’altrui sangue senza gravi motivi. I fatti di sangue verranno sempre giudicati dal conte o dalla contessa in persona. Se entrambi non sono disponibili, si verrà confinati fino al processo.
Ora, signori, siete al corrente delle principali norme. Una copia è affissa alla porta della caserma del castello, se volete conoscerne altre o rinfrescarvi la memoria. Lasciatemi dire che sono onorato di essere io a darvi il benvenuto in città. Il conte è spesso di umore ombroso, negli ultimi mesi, e la presenza di teatranti validi non potrà che giovargli.
Guardia, apri la porta!”,
gridò dietro le proprie spalle senza perdere di vista i carri.

Contemporaneamente (o quasi…) i due rialzarono le spade, salutandosi una seconda volta e rinfoderandole con uno scatto. I carri transitarono sotto il grande arco di pietra, ed al passaggio della compagnia molte guardie si inchinarono leggermente, con le mani incrociate sul petto, verso Athorman. Poco oltre, li attendeva una gradita sorpresa…

Lossadan: “Dobbiamo essere grati per il siparietto di poco fa, su leggi eccetera. E’ un segno di rispetto informare di persona gli uomini d’arme che entrano in città. Qui i guerrieri sono tenuti in gran conto, e quella scenetta rappresenta quasi un 'riconoscimento del pericolo' che ogni vero guerriero può costituire. Inoltre, ha dato il tempo alla gente della strada est di osservare e riunirsi. Guardate, amici. Ronan, Yorick, Sigurdh, tirate!”, gridò Lossadan.

Egli stesso tirò una corda che pendeva sotto la cassetta. Alcune piccole sporgenze sui lati lunghi dei carri si aprirono, e da esse si srotolarono dei drappi colorati lunghi fin quasi alle ruote dei carri. Otto livree, colorate di rosso e verde, con due omini che reggono sopra il loro capo, a braccia distese, una corona stellata. Il simbolo degli Aranrim!
L’applauso partì spontaneo e caloroso, i carri rallentarono per dar tempo e modo alla notizia di precederli ed alla folla di assieparsi ai lati della strada. Tutti gli attori (tra cui Meriel e Lasya) che trovavano posto in cassetta vi si accomodarono, mentre gli altri stavano sul tetto dei carri. Dopo un po’ cominciarono ad arrivare petali e interi mazzetti di fiori e coriandoli di carta colorata. Nel giro di un’ora (tanto, ci volle!) i carri stavano entrando per fare un giro d’onore nella grande piazza ottagonale che ospitava il teatro, per entrare dal grande cancello ligneo sul retro dello stesso. Nella piazza vi erano già diverse guardie a cavallo, con indosso la livrea del Conte, e li aiutarono a fare un varco tra la folla per entrare nel teatro.
I “Monaci Bianchi” era una costruzione di legno e pietra, ottagonale come la piazza, intonacato di bianco. Era alto più di dieci metri, solido e bello, ma dall’aspetto leggero, aggraziato. Vi si entrava da una spessa porta di quercia nel lato sud, che ora era in pieno sole, mentre l’ingresso dei carri era sul lato nord.
Lasciati i carri nella rimessa sul retro, Lossadan diede qualche ordine qui e là.

Lossadan: “Ronan, Eric, badate ai cavalli, anche a quelli della nostra scorta. Devo far vedere loro l’interno! Yorick, tu sai cosa fare, vero?”

Yorick: Sicuro, tu vai pure”, disse Yorick staccando una grossa cassa, praticamente una custodia piatta a forma di scudo a losanga.

Lossadan:Seguitemi ragazzi, vi mostro l’interno
Lossadan li condusse, emozionato come un bambino, oltre la rimessa, in un piccolo ed angusto regno ingombro di cavi, corde, tende e drappi, scalette sghembe, soppalcature, tavole, assi, sacchi di sabbia. Un vero inferno letale dove l’attore sembrava muoversi come una scimmia tra le cime. I guerrieri della scorta, per la prima volta impacciati come degli adolescenti al primo appuntamento, lo seguirono. Alla loro sinistra, dietro una tenda nera dalle dimensioni indefinite, percepivano un grande vuoto. Da lì, la voce di Lossdan li raggiungeva.

Lossadan: “Venite, presto! Mammamia, è bellissimooo!”
E non si sbagliava…
…non a tutti fece lo stesso effetto, ed ogni cuore decise per se stesso, ma l’effetto era per lo meno inquietante. Lossadan era al centro di un vasto assito, pavimento di legno nero di una sola grandiosa stanza. Tre pareti erano lavorate in modo da sembrare un castello di legno, pieno di balconi, finestre, bifore, alcove e colonnine, fatto con almeno tre varietà di legni intarsiati, pieni di volute e intricati disegni. La parete frontale, invece, mancava del tutto. Era un immenso vuoto, circondato da un drappo di velluto bordeaux, che si apriva sull’interno del teatro. Più in alto di un paio di metri rispetto alla platea, il palco dominava lo spazio come il cassero di un galeone. Sotto di esso, file e file di piccoli sgabelli e, intorno, quattro ordini di palchi, fino al soffitto, i primi tre divisi in palchetti minori, per consentire una qualche intimità, e l’ultimo un unico grande corridoio che si avvolgeva intorno al perimetro. Il soffitto era completamente assente, e lasciava intravedere il cielo di maggio. Un velario era pronto a scattare in avanti per coprire la platea, in caso di pioggia. Al centro, dritto davanti al palco e poco sopra il portone di ingresso, un palco maestoso doveva ospitare il conte, la contessa, la loro famiglia e gli invitati speciali.

Lossadan: “Lo sentite? Il pubblico…è già qui…invisibile. Riuscite ad immaginare questo posto pieno, stracolmo, avvolto nel buio. E qui, solo dove sono io, una luce. Sentite l’attesa? Sentite la trepidazione? Sentite i cuori di centinaia di persone che pulsano al ritmo che io detto loro? Sentite come pendono dalle nostre labbra, come desiderano la nostra magia, la magia del teatro, della finzione, del sogno ad occhi aperti, della sospensione della realtà? Sono stordito da tanta energia, e ancora non c’è nessuno…vedrete tra qualche giorno, che magia sarà…”

Mai lo avevano visto così misterioso, eppure le sue parole suonarono incredibilmente vere, suadenti e belle, tanto che nessuno si azzardò a fiatare, temendo improvvisamente di avere una voce gracchiante, roca o stridula. Mentre guardavano il loro amico che continuava a misura il palco a grandi passi, un ronzio destò Athorman ed Eorein dall’incantamento. Meno di una mosca intrappolata in un baule, ma la spada di Eorein aveva emesso una nota, per poi zittirsi di colpo.
Un fruscio, rapido e morbido, e da dietro tenda che copriva una delle alcove del castello di legno, sbucò Meriel. Non badò quasi a loro, e si mise di fianco ad Athorman per fissare Lossadan. Aveva gli occhi dolci e comprensivi di una madre che vede finalmente il suo figliolo prediletto che finalmente gioca al suo gioco preferito. Si vedeva che la felicità di Lossadan la rasserenava, sollevando in parte il velo d’ombra che aleggiava sul suo viso.
Tutto, in quel momento, si era fatto via via silenzioso, morbido, sussurrato. I passi sulle assi, le voci, il frusciare delle vesti. Qualcosa spingeva i presenti a star zitti o, al massimo, a bisbigliare.

Lossadan: "Venite, amici, andiamo di sopra, negli uffici", disse l'attore. "dobbiamo occuparci di affari e parlare dei grossi problemi da affrontare nei prossimi giorni. Come vi ho detto, solo ora viene il bello"
Li precedette dietro le quinte ma, poco prima che Athorman lasciasse il palco, sia lui sia Eorein furono certi di aver udito una nota ronzante, meno di una mosca in fondo ad un baule, provenire dalla spada di Eorein...

[Modificato da Ossian77 13/06/2005 18.13]

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Eorein
Istintivamente Eorein portò la mano all'impugnatura della spada: la poteva sentire vibrare leggermente.
Si scambiò una fuggevole occhiata con Athorman, ma non disse nulla.

*Devo parlare con Dama Meriel, lei sembra sapere molte cose su questa antica lama*
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Athorman
Il guaritore annuì allo sguardo dell’amico, come per fargli capire che anch’egli aveva inteso ciò che era successo, e avvicinandosi a lui gli bisbigliò all’orecchio:

“Intuisco i tuoi pensieri amico mio, ed i tuoi dubbi sono i miei, le rune incise sulla lama che ti tradussi parlavano chiaro ma credo che vi sia dell’altro. Per tal motivo ho intenzione di parlarne a Dama Meriel, lei forse potrebbe aiutarci ad infrangere questa ‘ nebbia ‘ che ci circonda.”

Detto questo, guardò intensamente l’amico come per tranquillizzarlo con il suo viso sereno ed ammiccante.

[Modificato da Fingal 13/06/2005 12.08]

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13/06/2005 18:17
 
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Master
Attraversando il labirinto di tende ed impalcature nell’oscurità delle quinte, il gruppo si arrampicò su per una stretta ma robusta scala di legno, senza alcun parapetto, che correva lungo il muro nord del teatro. Tra le cotte di maglia tintinnati e le parole di Lossadan si poteva udire ben poco di altro, ma Athorman, ultimo a mettere piede sulla scala, fu certo di percepire un fruscio dietro di se, come un ombra in movimento. Un drappo ondeggiò per un attimo alzato da una brezza invisibile e la luce parve attenuarsi. Una sensazione, meno ancora che una percezione vera e propria, un brivido sulla nuca, e poi più nulla.

La scala era illuminata da alcune lanterne di vetro e bronzo dorato che Lossadan accendeva in nicchie riparate poste ad intervalli di dieci gradini. L’ultima stava in una alcova sopra una massiccia porta di quercia. In cima alla ripida scala, giù nell’abisso alla loro sinistra potevano vedere la piccola platea ed il palco.
Lossadan li fece accomodare in un ufficio pieno di oggetti e mobili, appena distinguibili tra le ombre incerte. Aprì una finestra scorrevole bassa e larga, inondando la stanza di luce. Un luogo confortevole, riparato, ben arredato sebbene un po’ polveroso. Un tavolo ovale nero circondato da cinque sedie dominava la stanza, sul tavolo stava incisa la Corona Stellata di Arnor.
Una delle poltrone, al centro del lato lungo opposto alla porta, era particolarmente adorna di decorazioni e smalti dorati, e Lossadan vi si andò a sedere dopo averla coperta con un lenzuolo bianco. Tutto intorno, scaffali e librerie, vuote, per lo più. Un piccolo camino in un angolo, un divano, un tavolo con delle bottiglie di liquori sopra ed uno stipetto con coppe di peltro e bicchieri di vetro colorato. Dietro alla poltrona più grande, sul muro, un quadro ad olio. In ombra e coperto da drappi polverosi, quel poco che veniva bagnato dal sole di maggio, rivelava una figura imponente, scagliata con foga come una pietra da un trabucco verso una sagoma umana, nera e torreggiante. Chiazze di colore ai bordi sembravano indicare buchi nel terreno, come polle di liquami fumanti e sulfurei.

Lossadan: “Prego amici, sedetevi pure. Inutile fare tanto i principino. Per dopo è prevista una bella visita ai bagni cittadini, dove potremo ripulirci dalle polveri del viaggio e riprendere forma umana. Per ora, discutiamo rapidamente di un paio di punti”

L’attore attese che chi lo desiderava si sedesse e riprese a parlare.

Lossadan: “Ora, la situazione è delicata. Questo è il teatro dei monaci bianchi, fondato ai tempi di re Celebrindor, discendente di Celepharn per festeggiarne l’incoronazione nel 1191 della Terza Era del Sole. Ha circa duecento anni, dunque, ed è un luogo rispettato e pieno di tradizione. Vicino ai rifugi elfici ed al mare, lontano da guerre, spade ed invasioni, la cultura ha prosperato qui come in pochi altri luoghi. Allo stesso modo le arti, le lettere, e tutte quelle attività che modellano un’etica, un’ideale di vita quasi sublimato rispetto alla cruda realtà. Quella che il buon Dalkest chiamerebbe la “Via del vero Cavaliere”. Lavorare qui comporta enorme prestigio e quindi enormi responsabilità. Siamo stati invitati dal Conte in persona, per festeggiare il compleanno della sua piccola figlia. Mi pare che compia nove o forse undici anni, non saprei. Dovrebbe chiamarsi Imoen, se ben ricordo, ed è il ritratto vivente della sua splendida madre, la Contessa Evoin. Signori, anche lei presenzierà e, Manwe mi strafulmini cinque volte se dico il falso, è una delle creature più…speciali, per non essere troppo espliciti, che abbia mai allietato Arda da che le stelle stanno in cielo.
Purtroppo non siamo soli, in questo compito. Il Conte ha invitato di certo un’altra compagnia teatrale, forse dietro pressioni di sua moglie, patrona delle arti. Questi tipi, la compagnia degli Ernil Gaer, o dell’Ammiraglio, se preferite, sono…poco ortodossi a mio vedere. Non so se sono già qui, se non verranno affatto o che cosa abbiano in calendario ma di certo, si, diciamo che non corre buon sangue tra di noi. Il loro capocomico, Marlo, è un villano screanzato che si fa un vanto delle voci secondo cui sarebbe stato lui a scrivere le mie opere migliori, che io sarei un analfabeta arricchito, un ruffiano di potenti eccetera. La verità è forse opposta, visto che a Lond Ernil (terra da cui provengono) hanno diverse cause pendenti per plagio. Ma qui siamo lontani, ed è tutto un altro ambiente. Qui la forma può contare (a volte) più della sostanza, e a belle maniere si fanno corrispondere senza troppi scrupoli anche buoni sentimenti e cuore puro. In buona sostanza, qui quel carnantor ci sguazza. Non mi fido né di lui né dei suoi uomini (né donne). Temo per la nostra sicurezza, ma anche per il nostro prestigio. Se sono qui, possono fare di tutto. Dal mettere in giro voci, al farci cattiva pubblicità per la nostra performance. I pettegolezzi sono pericolosi quanto le lance, qui a Lond Arador. Inoltre, pare tiri una brutta aria da qualche anno. Insomma, il posto mi è sembrato sempre carino, ma meno brillante del solito. Infine, potrebbero tentare anche un sabotaggio diretto alla nostra opera.
Il vostro compito (e parlo soprattutto con te Eorein) sarà molteplice. Scoprire dove sono e se ci sono. Quanti sono, cosa stanno preparando (anche da mettere in scena), che intenzioni hanno e
Cosa sanno di noi. Inoltre voglio che scopriate che aria tira in città. Insomma, quello che dice la gente, com’è l’umore del popolo, le ultime storie, le voci, i sentimenti. Qua si richiede grande sensibilità, e non solo buone orecchie. Discrezione, Carisma e saggezza, soprattutto. Poi voglio che scopriate che aria tira a corte. Cosa dicono i cavalieri, i nobili del seguito, quelli in visita, i vassalli del conte. Cosa va e cosa non va, cosa è dentro e cosa è fuori, cosa e come viene percepito. Voglio che scopriate a cosa sta lavorando il conte e cosa lo tiene tanto impegnato, che ne pensa la Contessa (questo è FONDAMENTALE. Nell’arte comanda LEI, chiaro?).
Infine, il nostro teatro deve essere inespugnabile. Nessuno deve sapere cosa stiamo preparando. Né deve entrare a disturbarci durante le prove. Dovrete vegliare sulla compagnia dentro e fuori da queste mura. Nelle locande, se Sig va a farsi una birra, dal sarto, se Ronan va a farsi preparare un mantello, al mercato, se Heltzvegg va a comprare un chilo di carote, chiaro?
Ricordatevi che qui c’è una LEGGE. Precisa e scritta. E che Marlo la conosce a menadito. Ha amici potenti quasi quanto i miei ma meno scrupoli a chiamarli. Dovete fare tutte queste cose mantenendo un profilo il più basso possibile, una spietata efficienza e senza versare una goccia di sangue. Niente risse, niente duelli, niente cazzotti dimostrativi. Siete stranieri, e qui la legittima difesa funziona in modo strano. Basta una denuncia, ed anche se avete ragione noi siamo rovinati, chiaro?

Ah, dimenticavo. Marlo è l’unica persona verso cui Meriel abbia dimostrato qualche sentimento. Nel senso che pare che lo odi. Nemmeno lei riesce a restare di ghiaccio quando lui è in zona, e questo, se avete imparato a conoscerla, mi fa paura. Credo che sia per una cosa che Marlo ha messo in scena anni fa, ma non ho mai indagato a fondo.
Allora, pensate di farcela? Avete capito tutto? Vi serve qualcosa per lavorare, dovete fare acquisti? Parlate pure!”.


Lossadan, dopo questo fiume di parole, si rilassò sulla poltrona ed attese risposta.

[Modificato da Ossian77 14/06/2005 14.19]

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Eorein
"Molto bene messer Lossadan" rispose Eorein con un lieve e beffardo sorriso "a quanto pare il difficile della nostra missione deve ancora arrivare, ma non ci faremo sorprendere."

Rimase in silenzio per qualche breve istante, riflettendo, e poi riprese a parlare:

"Direi che Barak e Dalkest debbano rimanere a difendere il nostro bastione. Nel caso in cui sia necessario, il nostro prode cavaliere accompagnerà coloro che debbono allontanarsi dal teatro, mentre Barak ed Alex vigileranno affinchè non venga violato da intrusi indesiderati. Nel frattempo io ed Athorman cercheremo di raccogliere in giro il maggior numero di informazioni. Ci sono domande?"
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Dalkest
aveva ascoltato le parole di Lossadan con un misto di timore ed ammirazione.

le parole di Eorein lo riportarono all'attenzione massima

"non ho domande Eorein, anzi se non vi spiace inizierò immediatamente a perlustrare l'intorno del teatro per scorgere eventuali postazioni pericolose e punti di osservazione comodi"

il biondo cavaliere si scostò verso l'uscita e si diresse verso il suo cavallo per una perlustrazione dell'esterno del teatro, conscio che in una città come quella non sarebbe passato inosservato e che eventuali nemici dovessero essere messi in guardia da chi si prospettavano di affrontare.
salì su Mandorallen con l'agilità donata dall'assenza dell'armatura completa, il mantello verde con il simbolo della sua casata drappegiò alle sue spalle e coprì i quarti posteriori del cavallo da guerra. il manico dell'ascia spuntava visibilmente dal fianco sinistro, ma la pregiata fattura dello stesso ne faceva anche un oggetto ammirevolmente lavorato e Dalkest sperò che più l'ammirazione della minaccia che esso rappresentava sarebbe stata notata.

con un lievissimo ed impercettibile movimento del bacino verso l'avanti diede l'ordine a Mandorallen di avanzare al passo e si avviò per le strade circostanti il teatro attento e circospetto, ma senza perdere la marzialità a cui era tanto affezzionato
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Athorman
Dopo aver ascoltato con molta attenzione il discorso di Lossadan e dei suoi amici, il guaritore, con il modo proprio di chi parla continuando operosamente a riflettere si espresse dicendo:

“Nessuna eccezione a ciò che è stato detto e richiesto, il mio unico timore dimora nel poter passare inosservati agli occhi dei cittadini, che in molti ci hanno notato, e che ricondurrebbero i nostri volti alla Compagnia. Ovviamente condivido pienamente che un discreto ed efficiente servizio informativo, ci porrebbe su posizioni migliori e più sicure nei confronti dei nostri avversari, preservandoci da brutte sorprese. Ritengo quindi che sia io che Eorein potremmo aver bisogno di voi o meglio dei vostri truccatori nel momento in cui dovremo entrare in azione.”

E distogliendo lo sguardo da Lossadan, e rivolgendolo verso l’amico Eorein proseguì:

“E tu che ne pensi amico mio ?”

E così dicendo attese la risposta del cavaliere e l'eventuale considerazione del capocomico.
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Eorein
L'Eòthric cercò di valutare in fretta la proposta di Athorman, ma più ne soppesava i pro ed i contro, più gli sembrava azzardata.

"Temo sarebbe molto difficile per i nostri amici mascherare i miei occhi azzurri e la tua mole, tipica della tua gente, amico mio. Ed anche riuscissero a farlo in modo soddisfacente, il mio accento del Rhovanion desterebbe sospetti, così come la mia lama. Credo inoltre che sarebbe una buona idea, nei limiti dettati dalla necessaria discrezione, dare una immagine esterna della nostra attività di protezione e vigilanza. Sarebbe un ottimo modo per fare buona pubblicità alla Compagnia."
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Athorman
Il guaritore dopo un attimo di ripensamento replicò:

Quello che tu affermi, amico mio, è chiaro e vero come il sole. Non sarebbe facile camuffare alcune delle nostre caratteristiche, anche se …… la possibilità di parlare con un interlocutore che non conosce che tu sei parte degli Aranrim, beh questo sarebbe stato il miglior alleato per far breccia nei pettegolezzi e non della corte del Conte, e in special maniera negli ambienti a noi ostili. Comunque credo che per il momento possiamo portarci avanti con il nostro lavoro in maniera canonica, quando e se sarà necessario si vedrà il da farsi

E dando una pacca sulla spalla dell’amico di tante battaglie, gli sorrise e aggiunse:

Dal momento che dobbiamo portare i cavalli allo stallaggio, potremmo iniziare da lì il nostro servizio ….. d'altronde dopo i barbieri le lingue più lunghe sono gli stallieri, no?

[Modificato da Fingal 27/06/2005 8.41]

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Eorein
"D'accordo" rispose Eorein con un sorriso,
"attendiamo che Dalkest rientri dalla sua breve esplorazione e poi andremo a chiacchierare con la stalliere."
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Master
La prima cosa che colpì l’attenzione di Dalkest fu il capannello di gente che si era riunita davanti al teatro, quasi ostruendo l’ingresso alla piazza. Per lo più giovani ragazzi e ragazze, ma anche bambini. Sembravano emozionati, e la cosa non destava meraviglia visto l’ingresso trionfale che avevano fatto. Quando videro sbucare Dalkest in sella a Mandorallen da dietro il teatro, metà di loro ammutolì e l’altra metà si lasciò scappare un “oooh!” pieno di stupore.
Lusingato, il cavaliere li passò in rassegna come dei piccoli scudieri. Qualche bambino si fece avanti, ignorando gli avvertimenti dei più grandi di non stare vicino alle zampe del cavallo. Forse proprio perché più ingenui e senza malizia, i bambini si accorgevano istintivamente che da Mandorallen non dovevano temere più di quanto fosse lecito temere dallo stesso Dalkest. Il destriero sarebbe stato attento a non urtare alcuno di loro come se stesse attraversando un negozio di cristalli. Volgendo per un attimo lo sguardo indietro, Dalkest vide cosa era andato a fare Yorick prima del discorso di Lossadan. Ben spiegato sopra la porta principale, pendeva lo stendardo degli Aranrim, rosso e verde, con i due omini reggenti, sopra il loro capo, a braccia distese, la corona stellata. Il vento fresco della mattina lo agitava dolcemente, facendolo frusciare piano piano.

Tornando a cose più mondane, Dalkest notò che la piazza, così come aveva otto lati, aveva anche otto entrate. Due molto grandi, lungo l’asse nord-sud, e sei più piccole, nelle altre direzioni. Dalle due strade grandi, potevano entrare due carri da guerra affiancati, mentre dalle altre potevano uscire al massimo tre persone affiancate, o due cavalli.
Lo spazio tra il teatro ed il bordo della piazza era di almeno trenta metri, e la piazza era rivestita di piccoli ciottoli bianchi. Tutto intorno, come era prevedibile, sorgevano delle taverne ed anche una locanda. L’unico negozio era quello di una famiglia di carpentieri, intenti in quel momento a scavare a piallate un lungo tronco, cospargendo la piazza di trucioli. Sigurdh stava proprio parlando con il più anziano di loro, come fosse una vecchia conoscenza.
Purtroppo il teatro aveva ben poche finestre, e tutte erano profonde e scomode per fare da vedetta. Dalkest, tuttavia, notò qualcosa che attrasse la sua attenzione. Sul lato est della piazza, una locanda particolarmente grande e, a ben guardare, costosa, aveva un porticato che si spingeva ben dentro la piazza. Sul tetto di questo porticato vi erano dei tavoli, e dei clienti che bevevano e chiacchieravano, in parte protetti da fioriere di barba di frate. Era un luogo discreto, rialzato di quasi quattro metri rispetto alla strada, e celato alla vista. Con un piccolo investimento in monete d’argento per le ordinazioni, uno dei ragazzi degli Aranrim si sarebbe potuto annidare lassù come una zecca tra i peli di un cane, senza destare troppi sospetti.

Finito questo giro, Dalkest tornò all’uscita posteriore del teatro, da cui stavano emergendo Eorein ed Athorman. Dietro di loro, Barak ed Alex.

Barak “Tranquilli, amici, per ora sto io di guardia. Alex ha già eletto il teatro a suo personale territorio di caccia, e non lascerà avvicinare o, peggio, entrare qualcuno senza fare un gran baccano. Quanto a me, farò i miei giri dentro il teatro e nelle vie circostanti. Se è vero che ho le sembianze di un orco cattivo, non solo i bimbi dovrebbero sentirsi dissuasi dal ficcanasare qui intorno. Andate pure a fare i vostri giri, ci vediamo per cena, verso le sette. A dopo!”.

Lasciarono il berning nell’ombra del parcheggio dei carri, e si riunirono tutti e tre. Dalkest mise gli amici al corrente della sua idea e, insieme, si avviarono verso la zona delle stalle. Certo, non sarebbe stato facile trovare un alloggio all’altezza di tali destrieri, ma Lond Arador sembrava ricca e civile, e chissà quanti incontri interessanti li attendevano lungo il tragitto.
Sotto il sole ormai alto, si avviarono in sella verso sud. Il castello incombeva davanti a loro, oltre ed al di sopra di tutti i tetti, grigio, imprendibile, rassicurante.
Athorman solo non mancò di notare che da una delle finestrelle dell’ufficio di Lossadan due occhi lo stavano scrutando. Ebbe la certezza che fossero blu come il ciano, e colmi di tristezza, di ricordi e…sospetti.

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Athorman
Quegli occhi!! Diversi pensieri affollarono la mente del guaritore, ma nessuno rimase più della durata dello sguardo. Tra questi un forte sentimento di protezione nei confronti di colei che forse non ne avrebbe mai avuto bisogno.
Ma da persona razionale quale era, Athorman fugò le nebbie dalla mente per averla ben sgombra ed acuta per le indagini, che insieme ai suoi compagni, si accingeva ad iniziare.

Tornando con lo sguardo sulla strada, il suo passo si fece fiero e si avviò verso la stalla seguito da Eorein e Dalkest.
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Master
La rimessa dei cavalli distava forse cinquanta passa dalla piazza del teatro. Era situata lungo la grande via nord-sud, leggermente discosta. Un ampio spiazzo di terra battuta, circondato da prato e basse siepi scure, dove alcuni cavalli aveva modo di sgranchirsi un po’ i muscoli e prendere aria. Ai lati di questo recinto correvano due vie in terra brulla, bordate di erica.
Eorein, Barak e Dalkest, in sella ai loro destrieri, ne percorsero una fino in fondo, per quasi sessanta passi, giungendo ad un edificio assai largo, interamente in legno rosso. Dai rumori (ed anche gli odori) che ne giungevano, dedussero che doveva essere quella la rimessa principale. Sulla grande porta scorrevole penzolava inerte il gagliardetto del conte e, sotto di esso, la semplice insegna: “Frogmore’s”, con una sella disegnata sotto il nome. Dal sottotetto giungeva il vociare dei garzoni che preparavano il fieno, dal retro il martellare di ferri ribattuti. Vapori e fumi della bollitura del cuoio aleggiavano qui e là.
Giunti davanti al cancello aperto, i tre furono salutati da due rudi addestratori di cavalli dalla faccia di cuoio. A malapena si accorsero di loro, e ripresero a fare ciò che stavano facendo, ovvero niente. Subito dopo comparve da sotto l’insegna un uomo del nord. Aveva forse quarant’anni, pochi capelli, baffi grigi, occhi blu, volto sporco di fumo e grasso; reggeva nella sinistra un pesante mazzo di ferri di cavallo come non fossero altro che le chiavi di casa sua. Nella destra reggeva un paio di lunghe pinze. Era vestito leggero, con brache di tela, scarponi, guantini senza dita e grembiule di cuoio. L’espressione era un po’ burbera, e squadrò per un attimo il gruppo senza tanta gentilezza. Poi, ammirando i tre cavalli, si rabbonì un poco, si pose davanti a Gùthlaf e disse.

Ragnar:Io sono Ragnar, figlio di Jaarl, figlio di Eskildh. Curo e dirigo questa rimessa per destrieri con il benestare di sua eccellenza, Il Conte. Cosa desiderate, stranieri? Ricovero e assistenza per le vostre splendide cavalcature, o forse volete acquistare qualcosa da me?”.

[Modificato da Ossian77 14/07/2005 12.57]

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Dalkest
il biondo cavaliere sorrise al modo affabile e gentile con cui lo stalliere li aveva apostrofati.

"il mio nome è Dalkest, e questi sono i miei compagni d'arme e di viaggio Eorein e Athorman. Curiamo gli interessi della compagnia degli Aranrim e ne salvaguardiamo l'integrità. sebbene molto probabilmente abbiate prodotti interessanti da vendere quello che interessa a me e ai miei compagni è il ricovero sicuro dei destrieri e dell'attrezzatura, ivi compreso la pulizia di entrambi, che un lungo viaggio è stato affrontato. E se sua eccellenza il Conte dovesse riceverci uno di questi giorni saremo ben lieti di far notare l'efficienza e la cura nel lavoro dello stalliere Ragnar"

detto questo chinò il capo in direzione dello stalliere come a significare "ci siamo intesi?"

tolse il piede dalla staffa e saltò giù da Mandorallen carezzandolo con affetto e consegnando le briglie al garzone.
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Master
Ragnar "Signori, è un piacere avervi qui, e vi ringrazio delle vostre gentili parole. Siete ospiti insoliti, questo è un fatto. Di solito qui giungono i cavalieri, Rekwein, come li chiamano qui, e solo per pochi giorni, e questo è un altro fatto. Voi forse non appartenete a quell'ordine, ma le vostre armi, cotte e destrieri parlano per voi. Mi sembrate dell'est, sir Dalkest, o sbaglio? Così come sir Eorein. Dell'est anche i vostri cavalli, dunque. Ma sir Athorman? Donde giungete? Mi sembrate uno della gente alta, così di primo acchitto".

Ragnar, intanto, aveva fatto un discreto cenno col capo ai due cavallanti che oziavano sulla staccionata. Entrambi si avvicinarono e, mentre uno prendeva le redini di Mandorallen, l'altro si accostò a Guthlaf. Non parevano poi troppo intimiditi dalla presenza in arme dei tre, pur essendo di piccola statura e di corporatura al più robusta. Tutto il contrario del loro padrone, che mostrava una burbera cortesia mista a rispetto, nonostante fosse solido come un'incudine e ben abituato a maneggiare armi e corazze, e non solo nella forgia del fabbro.

Ragnar "Per il ricovero e tutte le attenzioni che avete chiesto per i tre cavalli, dal nutrimento alla strigliatura, fa due pezzi d'argento a testa a settimana, più un trattamento di favore per le eventuali riparazioni ed acquisti che potreste voler fare qui. Un garzone verrà di corsa ad avvertirvi al teatro se ci dovesse essere qualunque problema con le bestie. Eppure, a vederle così, sono certo che si comporteranno come dei degni ospiti. Potete saldare quando ve ne andrete da Lond Arador. Per ora dovete solo firmare sul registro di oggi. Per ora, perdonate il mio torrente di domande, ma non ricevo molte visite, nè mi capita spesso di incontrare gente insolita come voi. Sarò un orso, come dicono i miei, e questo è un fatto, ma sono un orso curioso, e questo è un altro fatto, come dico io"

Detto questo rimase in attesa che anche Athorman ed Eorein smontassero di sella.

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18/07/2005 12:33
 
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Eorein
Il cavaliere del Rhovanion era nervoso: qualcosa lo turbava, ma ancora non era riuscito a dargli un nome. La sua mano cadde istintivamente sull'elsa della spada, ma subito la ritrasse. Decise di tenere gli occhi bene aperti e smontò comunque dalla sella porgendo le redini del suo animale allo stalliere che si era avvicinato:

"Mi raccomando ragazzo"
gli disse guardandolo dritto negli occhi
"questa bestia deve essere montata solo da me, mi sono spiegato?"

Si volse poi verso Ragnar:
"In realta saremmo interessati a qualche acquisto nella vostra bottega ed io credo che se trovassimo un luogo un pò più tranquillo per parlarne, noi due potremo intenderci, Ragnar figlio di Jaarl"
con un sorriso gli fece gentilmente cenno di fargli strada...
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Master
Il capo stalliere bofonchiò tra se e se qualcosa, alla richiesta di Eorein. Un borbottio confuso al quale dovevano essere frammisti ordini per i due cavallanti. Ragnar doveva avere la mano pesante e lo schiaffo facile, perchè i due si affrettarono a condurre i cavalli nelle loro rimesse.

Ragnar "Non temete, non temete. Curl e Wyatt non saranno due fatine del lago, ma con i cavalli ci sanno fare. Mi fido solo di loro per i clienti importanti, difatti. Inoltre, dubito che quei cavalli, o almeno due di loro, si lascerebbero montare da altri che voi ed l'altro vostro biondo amico, Dalkest per l'appunto; sir Dalkest, a dir bene. Ora, io dico che possiamo parlare nel cortile interno, presso la conceria. Il profumo non è di violette, beninteso, ma nessuno ci distruberà per un pò. Semmai, assumo che vengano con noi anche sir Athorman e sir Dalkest, dico bene? Prego prego, di qua..."

Ragnar li condusse attraverso l'edificio principale. Sbucarono immediatamente sul retro. Sbarrato su tre lati dalle ali della stalla e sul quarto da una fila di alti cipressi, stava un cortile ampio venti passi. In fondo, tre garzoni stavano bollendo delle pezze di pelle in due enormi tamburlane annerite dal fuoco. Se ne levava un profumo affatto gradevole, ma a parte questo il cortile era silenzioso, riparato e deserto. Ragnar indicò loro una panca e due alti sgabelli, e prese una sedia robusta per se. Intorno a loro, dentro le cassette di attrezzi, un infinità di cesoie,rivetti, spilloni e punteruoli per lavorare il cuoio.

Ragnar "Allora,"disse dopo essersi ben accomodato, "In che posso servirvi? Di che avete bisogno, esattamente? Selle, ferri, finimenti, una bardatura per i destrieri? Oppure dell'altro? Chiedete pure liberamente.

[Modificato da Ossian77 18/07/2005 14.53]

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Eorein
"L'articolo che stiamo per chiederle è collegato solo indirettamente con la vostra attività, mastro fabbro."
disse Eorein
"Visto il nostro arrivo recente al seguito della Compagnia degli Aranrim, avremmo bisogno di sapere qual'è attualmente il clima che si respira in città. In effetti stiamo cercando informazioni e ci rendiamo conto che voi avete a vostra disposizione un osservatorio privilegiato per procurarvene. Che cosa potete dirmi al riguardo?"
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