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Pensione di invalidità non è convertibile in pensione di anzianità

Ultimo Aggiornamento: 09/07/2004 08:15
09/07/2004 08:15
 
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Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con sentenza n. 9492 del 19 maggio 2004, hanno annullato una sentenza della Corte d'Appello di Torino stabilendo che non è possibile convertire la pensione d'invalidità in pensione di anzianità.

La Cassazione ha, di fatto, chiarito che il sistema previdenziale non permette una trasformazione o riconversione della pensione di invalidità in pensione di anzianità poichè è stata rilevata "...sostanziale diversità di questo beneficio rispetto all'intervento previdenziale diretto a proteggere il lavoratore dal rischio-evento protetto dalla garanzia costituzionale ..." la quale "assume rilievo solo al compimento dell'età pensionabile".

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE




SEZIONI UNITE CIVILI




SENTENZA


Svolgimento del processo


Con la sentenza oggi denunciata la Corte di Appello di Torino ha rigettato l'appello proposto dall'INPS avverso la decisione del Tribunale di Aosta, con cui era stato dichiarato il diritto di M. F. alla conversione della pensione di invalidità, in godimento dal 1981, in pensione di anzianità con decorrenza dalla domanda amministrativa. Premesso che il F. all'epoca della domanda era in possesso del requisito contributivo previsto per l'erogazione della pensione di anzianità, il giudice dell'appello ha affermato, richiamando la giurisprudenza di questa Corte, l'esistenza di un principio di mutabilità del titolo della pensione, desumibile sul piano normativo dalla disposizione dell'art. 1, comma 10, della legge 12 giugno 1984 n. 222, come espressione di un concetto, più generale e immanente nel sistema, di unicità della posizione assicurativa.
Avverso questa sentenza l'INPS propone ricorso per cassazione affidata ad unico motivo, al quale M. F. resiste con controricorso e memoria. La causa è stata assegnata a questa Sezioni Unite per l'esame della questione, su cui si sono registrati contrastanti orientamenti giurisprudenziali, della configurabilità o meno della facoltà del titolare di una prestazione pensionistica dell'assicurazione generale obbligatoria di conseguire la liquidazione di un diverso tipo di pensione, in presenza dei relativi requisiti di legge.




Motivi della decisione


1. Con l'unico motivo l'Inps denuncia, in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione dell'art. 45 del r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, dell'art. 9 del r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636, così come modificato dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952 n. 218, e dell'art. 8 della legge 11 novembre 1983 n. 638. Si sostiene che la trasformazione della pensione non costituisce un principio di carattere generale, essendo prevista solo dall'art. 1, comma 10, delle legge n. 222/1984 per l'assegno di invalidità; né rilevano l'art. 22, sesto comma, della legge 30 aprile 1969 n. 153 e l'art. 10, comma 7, del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 503, che prevedono l'equiparazione delle pensioni di anzianità a quelle di vecchiaia dopo il raggiungimento dell'età pensionabile, ai fini della disciplina sul cumulo tra pensione e retribuzione.

Si osserva poi che la disciplina dei supplementi di pensione consente al titolare del trattamento di invalidità di migliorare la propria posizione nelle more per il raggiungimento della pensione di vecchiaia; che la pensione di anzianità non è tutelata dall'art. 38 Cost.

2.1. Il ricorso merita accoglimento. Sulla questione sottoposta all'esame di questa Corte si sono registrati orientamenti contrastanti, riferibili all'esistenza o meno nell'ordinamento previdenziale di un principio generale c.d. di «preclusività alternativa», delle prestazioni previdenziali. La giurisprudenza meno recente ha affermato con numerose decisioni l'immutabilità del titolo della pensione, escludendo la possibilità della conversione della pensione di invalidità in pensione di anzianità o in pensione di vecchiaia (Cass. 20 giugno 1972 n. 1971, 16 maggio 1973 n. 1402, 9 luglio 1973 n. 1982, 18 giugno 1975 n. 2451, 10 dicembre 1976 n. 4609, 25 gennaio 1977 n. 375, 10 aprile 1980 n. 2303, 9 maggio 1981 n. 3084, 7 luglio 1981 n. 4459, 9 marzo 1983 n. 1751, 22 dicembre 1983, n. 7563, 5 aprile 1991 n. 3567). Le ragioni poste a sostegno di questo indirizzo possono così riassumersi:
– esiste un principio generale di divieto di mutamento del titolo della pensione, risultante soprattutto dall'art. 45 del r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827 e dall'art. 9 del r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 (modificato dalla legge 4 aprile 1952 n. 218), i quali escludono chiaramente la possibilità di conversione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia «nell'ipotesi in cui nei confronti del pensionato per invalidità che abbia continuato a prestare attività lavorativa con diritto di accreditamento dei contributi previdenziali si siano perfezionati i requisiti per il conseguimento delle pensione di vecchiaia» (Cass. n. 3567/1991 cit.);
– il principio in questione è soggetto ad alcune eccezioni, da interpretarsi restrittivamente e quindi non oltre i casi espressamente previsti dalla legge. Si tratta dell'art. 14 comma 4 del d.p.r. 27 aprile 1968 n. 488, secondo cui il titolare della pensione di anzianità può far valere, date determinate condizioni, la contribuzione successiva per chiedere, al raggiungimento dell'età pensionabile, la riliquidazione della pensione con i nuovi criteri dell'art. 13 della legge 30 aprile 1969 n. 153, che riconosce ai titolari di pensione di vecchiaia liquidata o da liquidare in base a norme anteriori al decreto del 1968, e che avessero continuato nell'attività lavorativa, la facoltà di optare per la riliquidazione secondo il nuovo sistema retribuito dell'analoga facoltà di opzione per la riliquidazione della pensione in godimento concessa dall'art. 4 del d.l. 30 giugno 1972 n. 267, convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 1972 n. 485, ai titolari di pensioni di invalidità che abbiano continuato a lavorare successivamente alla data di decorrenza della pensione.

2.2. Un diverso indirizzo è stato espresso da successive decisioni. Cass. 22 luglio 1992 n. 8820 (con riferimento ad una particolare fattispecie di attribuzione del beneficio del prepensionamento e delle altre provvidenze previste per i dipendenti delle imprese del settore poligrafico dagli artt. 35 e 37 della legge 5 agosto 1981 n. 416 al lavoratore già titolare di pensione di invalidità) ha rilevato che il principio di immutabilità del titolo del trattamento pensionistico non più caratterizzato da quella illimitata valenza della quale in passato lo si accreditava, essendo mutato il quadro di riferimento normativo nel quale la giurisprudenza di questa Corte lo ha espresso e ribadito. Sotto questo profilo doveva essere considerata la previsione dell'art. 1 comma 10 della legge 12 giugno 1984 n. 222, relativa alla trasformazione dell'assegno di invalidità in pensione di vecchiaia al compimento dell'età per conseguire questa prestazione, in presenza dei relativi requisiti di assicurazione e contribuzione; questa norma, secondo la decisione citata, si ricollega ad un concetto di “posizione assicurativa”, caratterizzata dalla sua unicità quale base fattuale che legittima tutti gli interventi di tutela economica possibili in favore del suo titolare e che è «di continuo finalizzata a soddisfare quelle esigenze sociali che il legislatore ha tipizzato nelle fattispecie pensionistiche».
In questa linea si collocano poi altri precedenti. A parte Cass. 7 maggio 1993 n. 5299, 2 aprile 1996 n. 3045, 23 giugno 1999 n. 6418 (che escludono l'operatività del divieto di mutamento del titolo della pensione, al fine di conseguire la prestazione più favorevole, in specifiche ipotesi di riconoscimento con effetto retroattivo del trattamento di invalidità in epoca successiva al conseguimento della pensione di vecchiaia), altre decisioni di questa Corte hanno riconosciuto il diritto alla conversione della pensione o dell'assegno di invalidità in pensione di anzianità (Cass. 20 febbraio 1998 n. 1821) come in pensione di vecchiaia (Cass. 7 luglio 1998 n. 6603).
Secondo queste pronunzie, la regola generale dell'alternatività preclusiva non può essere ricavata dalle norme dell'art. 45 del r.d.l. n. 1827/35 e dell'art. 9 r.d.l. n. 636/1939, richiamate a sostegno del precedente indirizzo; d'altro canto, le stesse disposizioni indicate come eccezioni specifiche alla suddetta regola generale forniscono invece un argomento per sostenere l'esistenza di un diverso principio dell'ordinamento previdenziale, perché «l'alternatività fra i diversi tipi di pensione, atteso lo scopo di individuare e qualificare adeguatamente la situazione di bisogno in cui, in un dato istante, versa il soggetto protetto, naturale conseguenza del carattere e della funzione giuridica dello stesso intervento previdenziale, volto com'è a garantire il reddito del soggetto entro limiti e secondo le modalità tecnico-operative fissati inderogabilmente dalla legge. La circostanza, poi, che lo stato di bisogno non possa che configurarsi come un unico fatto giuridico nell'ambito del regime generale (che pure ne stabilisce le varie ipotesi dalle quali esso può generarsi e secondo le quali resta, perciò, titolato il trattamento pensionistico), importa che la prestazione previdenziale sia unica anche nell'ipotesi di concorso di più fattispecie pensionistiche rispetto ad uno stesso interessato, nel senso, cioè, che, se si sono realizzati i requisiti richiesti per più tipi di pensione, al soggetto protetto è dovuto un trattamento pensionistico ed uno soltanto erogato esclusivamente nella misure di cui, a prescindere dal titolo della pensione accordata, è capace la sua posizione assicurativa» (Cass. n. 1821/1998 cit.). Più recentemente, si registrano ancora altre decisioni, con significative divergenze. Cass. 2 aprile 2003 n. 5096 ritiene consentita la conversione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia; la sentenza n. 5097/2003, con la stessa data, ritiene che ciò non si verifichi per la pensione di anzianità, operando, in mancanza di espressa previsione legislativa, il diverso generale principio del divieto di mutamento del titolo (la cui esistenza viene quindi ancora riconosciuta). Entrambe le decisioni riguardano casi particolari, perché nel primo la acquisizione dei requisiti per il trattamento di vecchiaia da parte del titolare di una pensione di invalidità era dedotta come elemento ostativo all'attribuzione del trattamento straordinario di integrazione salariale; nel secondo, veniva prospettato che la conversione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia precludeva l'applicazione del divieto di cumulo con il trattamento di reversibilità connesso ad una rendita erogata dall'INAIL. Per contro, da ultimo, Cass. 12 giugno 2003 n. 9462 ha affermato invece il diritto alla conversione della pensione o assegno di invalidità in pensione di anzianità.

3.1. La Corte condivide i rilievi critici formulati dalle sentenze richiamate sub 2.2. in ordine d'esistenza, nel vigente ordinamento, di un principio generale di immutabilità del titolo della prestazione pensionistica. In effetti, come ha osservato Cass. n. 6603/1998 cit., una regola di questo tipo non può essere ricavata dalle norme dall'art. 45 del r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827 e dall'art. 9 del r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 (modificato dalla legge 4 aprile 1952 n. 218). La prima disposizione, nel disporre che l'assicurazione per l'invalidità e la vecchiaia ha per scopo principe l'assegnazione di una pensione nel caso di invalidità al lavoro o di vecchiaia non assolutamente di ostacolo, nel suo contenuto letterale, al mutamento del titolo della pensione, ma solo alla attribuzione congiunta dell'una e dell'altra prestazione; e un contenuto sostanzialmente identico ha la previsione dell'art. 2, comma primo, parte prima, del r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636.

Analoghe considerazioni valgono per le previsioni dell'art. 9 del medesimo r.d.l. n. 636/1939, che, stabilendo i requisiti rispettivamente necessari per l'attribuzione della pensione di vecchiaia e della pensione di invalidità, configurano indubbiamente ipotesi alternative di tutela nell'ambito dell'assicurazione generale obbligatoria, ma non implicano di per sé l'esclusività, nel senso indicato, dell'una e dell'altra prestazione. D'altro canto, le diverse norme, sopra ricordate sub 1.2., che per varie fattispecie consentono la liquidazione della pensione in godimento in base a diversi criteri, e specialmente la regola di trasformazione dell'assegno di invalidità in pensione di vecchiaia introdotta dell'art. 1 comma 10 della legge n. 222/1984, sembrano difficilmente riconducibili ad ipotesi eccezionali di deroga ad un divieto generale; esse inducono invece ad escludere la possibilità di giungere, attraverso una ricostruzione sistematica della legislazione previdenziale, all'affermazione sia di un principio generale di divieto di mutamento del titolo della prestazione pensionistica, sia del principio inverso, di portata ugualmente generale, di mutabilità del suddetto titolo, come è stato prospettato da alcune delle pronunzie più recenti. Queste opzioni ricostruttive sono infatti destinate ad incontrare un insuperabile ostacolo nel carattere estremamente frammentario del complesso normativo, che nella sua evoluzione lascia trasparire - come è stato notato in dottrina - opzioni e politiche del diritto mutevoli, perché prevalentemente ispirate dal contingente.
Il problema può essere correttamente impostato e risolto, ad avviso di questa Corte, solo nell'ambito della disciplina dei singoli istituti, tenuto conto delle specifiche caratteristiche della tutela accordata con ciascuno di essi dall'ordinamento, anche alla luce dei principi costituzionali in materia. Si deve considerare, altresì, che con la prospettata «trasformazione» della pensione si implica non solo una diversa qualificazione della prestazione attribuita, ma anche una riliquidazione della stessa, con la determinazione di un diverso importo, per la quale appare necessario il riferimento ad una specifica disciplina normativa.

3.2. Per quanto riguarda i rapporti tra trattamento di invalidità e pensione di vecchiaia, è indubbiamente fondamentale il dato normativo fornito dal più volte citato art. 1 comma 10 della legge n. 222/1984; il collegamento tra le due forme di tutela (accomunate nella previsione dei citati art. 45 r.d.l. n. 1827/1935, 2 e 9 r.d.l. n. 636/1939) è avvalorato, sul piano sistematico, dal rilievo della natura del rischio protetto, che per entrambe riguarda la perdita della capacità di lavoro (il «caso di invalidità al lavoro o di vecchiaia»); ad esso corrispondono - in relazione ad un'unica posizione assicurativa - le esigenze sociali di protezione dallo stato di bisogno tipizzate nelle diverse fattispecie pensionistiche, che in attuazione del medesimo precetto dell'art. 38 Cost. garantiscono il diritto dei lavoratori a mezzi adeguati alle loro esigenze di vita per i casi di invalidità e vecchiaia.

3.3. Considerazioni diverse valgono invece per la pensione di anzianità. Con riguardo ad essa non opera la suddetta garanzia costituzionale, riservata, come più volte stato affermato dal giudice delle leggi, alle pensioni che trovano la loro causa nella cessazione dell'attività lavorativa per ragioni di età e non anche a quelle il cui presupposto consiste nel mero avvenuto svolgimento dell'attività stessa per un tempo predeterminato, così come nel caso dei trattamenti pensionistici di anzianità, che corrispondono ad una forma previdenziale affatto diversa, indipendente dall'età e fondata esclusivamente sulla durata dell'attività lavorativa sulla correlativa anzianità di contribuzione effettiva (Corte Cost. 2 maggio 1991 n. 194, 28 novembre 1997 n. 372, 4 novembre 1999 n. 416, 19 maggio 2002 n. 70).

Tale prestazione rappresenta un «riconoscimento ed un premio per la fedeltà al servizio» (Corte Cost. n. 194/1991 cit.), e non è comparabile con le altre forme previdenziali comprese nell'area di tutela dell'art. 38 Cost.; la relativa disciplina non può essere dunque richiamata per trarre dalla normativa in tema di pensione di vecchiaia (in quanto caratterizzante il sistema previdenziale «nel suo complesso», secondo l'opinione seguita da Cass. 6603/1998 e Cass. 9462/2003 cit.) una regola di contenuto analogo a quella contenuta nel citato art. 1 comma 10 della legge 222/1984, che consente la conversione del trattamento di invalidità in pensione di anzianità.

Per queste ragioni non possono essere condivise su un piano generale, e specificamente per quanto riguarda il rapporto tra le due forme pensionistiche in esame, le considerazioni svolte nella richiamata sentenza n. 1821/1998 in ordine all'unicità sia del fatto giuridico rappresentato dallo stato di bisogno tutelato nell'ambito del regime generale, sia della prestazione previdenziale anche nell'ipotesi di concorso di più fattispecie pensionistiche.
3.4. La norma dell'art. 22 della legge 30 aprile 1969 n. 153, secondo cui la pensione di anzianità «è equiparata a tutti gli effetti alla pensione di vecchiaia quando il titolare di essa compie l'età stabilita per il pensionamento di vecchiaia», stabilisce un collegamento tra i due istituti per il momento in cui si realizza, anche per il pensionato di anzianità, l'evento generatore di bisogno connesso alla perdita della capacità lavorativa.

D'altro canto, la situazione del titolare di pensione di invalidità attribuita nel regime precedente all'entrata in vigore della legge n. 222/1984 (come nel caso di specie) implica la possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa limitata, in relazione alla ridotta capacità di lavoro e di guadagno, e quindi di maturazione di ulteriori periodi di contribuzione. Questa ipotesi tra la sua disciplina nelle disposizioni dell'art. 19 del d.p.r. n. 488/1968 e dell'art. 7 della legge 23 aprile 1981 n. 155, secondo cui i contributi versati o accreditati nell'assicurazione generale obbligatoria successivamente alla data di decorrenza della pensione danno diritto ad un supplemento delle pensione in atto. Tale disciplina è richiamata dall'art. 1, comma 9, della legge n. 222/1984, che prevede l'utilizzazione a tal fine dei periodi di contribuzione effettiva, volontaria e figurativa successivi alla decorrenza originaria dell'assegno ordinario di invalidità, corrisposto per il caso di parziale riduzione della capacità di lavoro oltre la soglia di legge.

Questa prestazione, secondo la previsione del già citato comma 10 dello stesso articolo, al compimento dell'età stabilita per il diritto a pensione di vecchiaia «si trasforma» in tale trattamento, in presenza dei requisiti di assicurazione e contribuzione. «A tal fine i periodi di godimento dell'assegno nei quali non sia stata prestata attività lavorativa si considerano utili ai fini del diritto e non anche della misura della pensione stessa».

Non esiste invece alcuna previsione di collegamento tra la tutela per l'invalidità e la pensione di anzianità, perché questa non può essere riferita, come si è visto, alla situazione generatrice di bisogno che accomuna la prima forma previdenziale e la pensione di vecchiaia, né è stabilito un sistema di rideterminazione dell'importo del trattamento.

Si deve pertanto concludere che il sistema non consente una conversione o trasformazione della pensione di invalidità in pensione di anzianità, per conseguire il vantaggio di questo secondo trattamento (prima dell'età richiesta prima dell'età stabilita per la pensione di vecchiaia) sulla base della anzianità contributiva e assicurativa raggiunte con la prosecuzione dell'attività lavorativa, in relazione alla quale è possibile solo la liquidazione di supplementi di pensione.

Ciò in ragione della rilevata sostanziale diversità di questo beneficio (discrezionalmente concesso dal legislatore, come ha affermato la Corte Costituzionale) rispetto all'intervento previdenziale diretto a proteggere il lavoratore dal rischio-evento protetto dalla garanzia costituzionale, che per la disciplina dell'art. 22 della legge n. 153/1969 assume rilievo solo al compimento dell'età pensionabile.

Questa ricostruzione non prospetta alcuna ingiustificabile disparità di trattamento, in relazione al principio di cui all'art. 3 Cost., nel confronto della posizione del pensionato di invalidità che continui a prestare attività lavorativa con quella del soggetto che con piena capacità di lavoro raggiunga i requisiti assicurativi e contributivi della pensione di anzianità. Si tratta infatti di situazioni evidentemente diverse e non comparabili, data la tutela previdenziale di cui già gode l'invalido.

La sentenza impugnata deve essere quindi annullata.

Non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto in ordine alla questione oggetto della controversia, e la causa deve essere decisa nel merito con il rigetto della domanda dell'attore in primo grado diretta alla conversione della pensione di invalidità in pensione di anzianità.

Non ricorrono i presupposti di legge, in relazione all'art. 152 disp. att. cod. proc. civ., per la condanna alle spese processuali della parte soccombente.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda proposta da M. F. per il riconoscimento del diritto alla conversione della pensione di invalidità in pensione di anzianità.


Depositata in Cancelleria il 19 maggio 2004

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