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(ho deciso!!) vado a vivere a Cuba!!!

Ultimo Aggiornamento: 27/10/2003 18:24
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26/10/2003 14:01
 
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Scritto da: AiRe 26/10/2003 1.46
è on line la decima puntata "intrigo internazionale"



E io, se non da' fastidio, la "giro" volentieri.
E' divisa in due parti, questa è la prima :

10. Intrigo internazionale

Alle quattro del mattino comincia ad esserci un po' di movimento nella stazione dei pullman dell'Avana. Finalmente si apre l'accesso ai pullman e si parte. Non riesco a dormire, ma le poltroncine sono abbastanza comode.
Poco dopo sorge il sole e il cielo è già chiaro quando ci fermiamo alla stazione di Matanzas, ridente località che sorge in una deliziosa baia. Approfitto della sosta per ricordare al conduttore di farmi scendere all'aeroporto di Varadero: Frank mi aveva assicurato che c'era una fermata obbligatoria, ma meglio assicurarsi preventivamente. Meno male, infatti, che mi è venuto in mente di farlo, perché quando giungiamo al bivio dell'aeroporto, alle sette circa, sono l'unico a scendere, sotto lo sguardo stupito degli altri passeggeri e dell'autista. Poi il pullman riparte e si allontana rapidamente su questa autostrada semideserta.
Mi guardo intorno e mi sembra di essere Cary Grant nel film "Intrigo internazionale" in quella scena in cui si trova da solo in mezzo alla strada nel deserto quando viene attaccato da un piccolo aereo da turismo e allora per sfuggire agli spari comincia a correre e si nasconde in un campo di mais. Spero che non succeda anche a me la stessa cosa, perché qui vicino non vedo campi di mais.
Dal bivio parte una stradina secondaria che si inerpica su per una collina e scompare dietro ad essa subito dopo: oltre non si vede più nulla e così metto a frutto la mia immaginazione per capire dove sarà l'aeroporto. Il mistero è subito svelato quando l'occhio mi cade su un cartello che dice: "Aeropuerto 6 km".
Dopo alcuni istanti di sgomento mi riprendo e mi metto ad aspettare che passi qualcuno per chiedere un passaggio. Purtroppo, però, in questa zona sembra che nessuno faccia particolarmente caso ad un povero turista solitario pieno di borse, dato che le poche auto che svoltano da questa parte per poco non mi portano via la mano che sto agitando. Per non parlare dei pullman granturismo che trasportano tonnellate di turisti organizzati del tipo "tutto-compreso".
Arrivano a piedi alcune donne e uomini con l'uniforme blu (devono essere i dipendenti dell'aeroporto) e anche loro si fermano lì vicino con l'intenzione di chiedere un passaggio. Mi sento un po' meglio, se non altro perché sono il primo della lista d'attesa. Ma mi rendo subito conto che nella mia lista d'attesa ci sono solo io: infatti le auto che passano di qui si fermano, caricano i passeggeri e ripartono ignorandomi completamente. Mi pare di capire che c'è una convenzione locale della quale non faccio parte.
La stessa cosa si ripete un paio di volte e quindi capisco definitivamente che anche se rimango lì tre giorni nessuno mi darà mai un passaggio. Così alle otto circa raccolgo le mie borse e mi metto in cammino: anche fermandomi più volte per riposare, in due o tre ore dovrei arrivare all'aeroporto, e siccome il volo è previsto per le 17 posso andare con tutta tranquillità.
La strada è in leggera salita, ma non è faticosa: un rettilineo lunghissimo che arriva in cima ad una collina. Ogni tanto sento il rombo di un'auto che arriva da dietro, ma ormai non ci faccio più caso. E invece ecco che una si ferma:
- Salga, le do un passaggio! - mi dice il tipo a bordo di una piccola jeep scassata.
Non posso crederci, forse sto sognando. Comunque salgo, la macchina si muove effettivamente e quindi deduco che non è un miraggio.
- L'aeroporto è lontano. Non aveva mica intenzione di farsela tutta a piedi?
- Beh, non avevo scelta...piano piano ci sarei arrivato.
Il tipo è cordiale e amichevole (meno male: una nota felice in una mattinata tanto difficile).
- E' venuto in vacanza a Cuba?
- Sì - tralascio di raccontargli tutta la mia storia perché sarebbe troppo lungo, così gli lascio credere di essere un normale turista. - Dovevo partire da L'Avana ma non c'era posto. E lei? Lavora all'aeroporto?
- Sì, nella zona carico merci.
In cinque minuti arriviamo a destinazione.
- Buon viaggio! Magari ci si rivede dentro l'aeroporto...
- Sì! Grazie del passaggio, senza di lei non so come avrei fatto.

Mi incammino verso la sala d'aspetto e cerco una soluzione al problema più grande che mi resta ora da affrontare: far passare il tempo. Per il momento la prima cosa che mi viene in mente è sempre la solita: sedermi ed aspettare (anche perché in una sala d'aspetto, come dice il nome, non è che si possa fare altro).
Intanto osservo il via vai di turisti: pullman che arrivano, aerei che partono... Sono l'unico essere umano che non è coinvolto in nessuno di quei branchi.
Rifletto un po' sugli ultimi mesi trascorsi, all'entusiasmo che avevo quando ero partito dall'Italia e alle cose successe qui. Insomma, mica me l'ero inventato io di essere assunto nel centro di calcolo, mi avevano chiamato loro! Poi si scopre che a causa di varie trappole burocratiche non posso essere assunto subito; lavoro pure gratis, volontariamente, ma non ho diritti come gli altri; la direzione tergiversa ed evita accuratamente di entrate in contatto con me. A tutto ciò si aggiungono la difficoltà di movimento, di comunicazione e infine anche quella di rendere compatibile lo status di residente cubano con quello di cittadino italiano: per uscire da Cuba e tornare per qualche settimana nel mio paese devo chiedere il permesso alla polizia locale, pagare dei quattrini e attendere settimane! Semplicemente pazzesco. Mi sembra di essere l'agrimensore K. nel romanzo "Il castello" di Kafka: spero di non fare la stessa drammatica fine. Lasciamo perdere: l'importante è che, dopo tanto correre di qua e di là per fare e disfare documenti, ora sono qui all'aeroporto, pronto a partire. Non può succedere più nulla di angosciante: al massimo l'aereo potrebbe essere in ritardo o potrebbero annullare il volo o potrebbe esserci qualche problema di overbooking, ma sono cose che succedono normalmente negli aeroporti e penso di esserci psicologicamente preparato. Quando arriverò in Italia dovrò fare i documenti per Maribel: bisognerà correre ancora per vari uffici, ma sarà sicuramente meno stressante che qua.
Ad un certo punto di fronte a me si siedono due donne sui cinquant'anni, presumibilmente delle dipendenti dell'aeroporto. Chiaccherano tra loro e dopo un po' una si alza e se ne va mentre l'altra attacca bottone con me:
- Hai l'ora per favore? - mi chiede.
- E' quasi mezzogiorno.
- Sei argentino?
Negli ultimi tempi mi hanno scambiato per cileno, spagnolo, argentino, meno che per italiano: segno che mi sono mimetizzato abbastanza bene...
- No, sono italiano.
- Ah, italiano. Però parli bene lo spagnolo! - (come se per rispondere che ora è bisognasse avere la laurea in letteratura ispano-americana!).
- E' che mia moglie è cubana. - spiego.
Così cominciamo un dialogo abbastanza amichevole, nel quale racconto un po' della mia storia. La tipa si dimostra sorpresa e allo stesso tempo entusiasta di sentire le mie parole, anche perché mi dice di essere stata una combattente durante la guerra di liberazione e quando le dico che anche mio suocero lo è stato va in estasi. Quando la sua collega ritorna le fa un riassunto di tutto quello che le ho raccontato:
- Sai, questo ragazzo è italiano, vive qui a Cuba, è sposato con una compañera e suo suocero si chiama Luis, è un ex-combattente di Niquero...
L'amica non è da meno in quanto ad affabilità. Si va avanti un po' a chiaccherare, poi, siccome ho fame, chiedo se sanno dove si può mangiare qualcosa.
- No, qui non c'è quasi niente, solo il bar ma è in dollari. - dice dispiaciuta. - Ma aspetta, vado a vedere ché magari riesco a farmi dare qualcosa dalla mensa dove mangiamo noi...
Cosa non si fa per aiutare un compañero! Comunque non avrei avuto problemi a spendere qualche dollaro per mangiare, ma mi sembrava scortese rifiutare la sua offerta.
Purtroppo però torna a mani vuote, scusandosi perché non è riuscita a trovare niente dato che in mensa non c'è nessuno.
Poco dopo si congedano, ci salutiamo e mi fanno tanti auguri.

Il tempo continua a trascorrere lentamente, molto lentamente: le ore sono interminabili e mi sembra che la sera non arrivi mai.
Vado nell'unico bar a mangiare un panino e scambio qualche parola col barista. Esco in strada dove ci sono alcuni chioschetti che vendono souvenir, libri e giornali: compro qualcosa da leggere, un genere leggero... come il testo della recente "Legge sugli investimenti stranieri"... che divoro in pochi minuti e apprendo così che se fossi stato miliardario avrei potuto aprire un'attività in proprio, assumere dipendenti locali pagandoli quasi niente e portarmi via gli utili di esercizio Ma siccome io non sono miliardario ora capisco perché la mia presenza in questo paese è abbastanza indifferente per lo stato cubano. Ritorno nel salone d'attesa e mi accorgo che la mia borsa non ha il talloncino con il mio nome e cognome, così ne prendo uno dallo stand di una compagnia aerea canadese, lo compilo e lo applico.
Finalmente si apre il check-in per il mio volo. Mi metto in coda. Gli altri viaggiatori sono tutti italiani: alcuni in bermuda, altri in tenuta sportiva, tutti abbronzati come dei peperoni, faccia standard con sorriso a sessantaquattro denti, borse cariche di "souvenir" come sigari e rum. Certi gruppi si intrattengono fino all'ultimo con il coordinatore cubano del loro villaggio turistico, dove hanno trascorso gran parte della loro vacanza immersi nel paradiso dei cinque sensi. I discorsi che sento sono tutti uguali: raccontano di mare, spiaggie, donne, treccine, danze, vestiti, regali, discoteche, soldi, auto, tiendas, cene; sembra che abbiano visto e fatto un sacco di cose, ma analizzando i loro racconti mi accorgo che manca qualcosa: oltre al loro accompagnatore, infatti, sembra che non abbiano conosciuto e visto nessun altro essere umano cubano. Allora mi guardo e mi chiedo se non ho per caso sbagliato aeroporto: sto veramente a Cuba?
Giunge il mio turno e sono l'ultimo della mia fila. Ma mentre consegno passaporto, biglietto e borsa alla ragazza del banco il mio sesto senso mi indica che sulla destra due occhi mi stanno osservando da una distanza compresa tra tre e quattro metri. Mi giro con indifferenza (fischiettare, in questi casi, è sempre un'ottima precauzione!) e scopro un agente della dogana, appoggiato con fare indifferente al banco, che mi guarda celando malamente un sorrisetto che sa di sfida, del tipo: "Adesso che passi nella zona doganale vedremo un po' cosa trasporti nel tuo bagaglio a mano...". Il mio sguardo, invece, celava malamente un'espressione del tipo: "Beh? Che cazzo guardi?" e sono sicuro che non l'ha capita perché ho evitato accuratamente di fargliela in lingua spagnola.
Passo dunque nella coda successiva, che è quella del controllo passaporti. Dopo circa mezz'ora, durante la quale mi devo ancora una volta sorbire i discorsi noiosi dei turisti italiani all-inclusive, arriva il mio turno. Consegno i documenti. Tutto bene: l'agente, che deduce dal mio passaporto che sono un residente, mi chiede dove abito.
- Niquero. - gli dico.
- Ah, io sono di Manzanillo! - e gli si illuminano gli occhi come se avesse reincontrato un suo lontano parente. Mi saluta con un sorriso fraterno, come se ci conoscessimo da tanti anni, mi augura buon viaggio e passo avanti.
Ora resta solo più da fare la radiografia del bagaglio a mano e poi ho finito. Praticamente sono già sull'aereo. Metto lo zainetto e la borsa fotografica sui rulli e li recupero subito dopo. Ma mentre mi sto voltando per andare via una voce mi chiama:
- Signore! Può passare da questa parte, per favore?
E' un agente della dogana che tiene in mano una borsa nera, quasi come la mia....Ma.. È LA MIA!!! E lui...è...è il tipo di prima, quello che stava nel salone del check-in!
- Questa è la sua borsa? - mi chiede.
- Sì - rispondo, con la poca voce che mi è rimasta dopo lo choc. Ma come avrà fatto ad impossessarsi della mia borsa? Magia, telecinesi o trasposizione della materia? Deduco, quindi, che da parecchio tempo ero sotto osservazione: chissà dove stavano le telecamere che mi riprendevano da stamattina? O forse avevano delle "talpe"? Per esempio, chi era veramente il tipo che mi ha dato il passaggio in auto? E le due donne? Erano forse delle agenti segrete? E il barista? Mistero.
- Venga da questa parte. Non si preoccupi: è un semplice controllo formale.
Ecco le solite parole: un Semplice Controllo Formale. Se mi avessero detto: "Venga da questa parte. Non si preoccupi: la sodomizzeremo con una mazza da baseball, le estrarremo due molari a caso senza anestesia e la obbligheremo a vedere un film di Zeffirelli." mi sarei agitato di meno. Invece, il Semplice Controllo Formale ha sempre qualcosa di angoscioso: mi vedo già come Alberto Sordi in "Detenuto in attesa di giudizio", con Maribel che supplica le autorità di liberarmi:
- Vi prego, liberatelo! È vero, si mette le dita nel naso e bestemmia in endecasillabi, ma è un bravo ragazzo e non farebbe male a una mosca!
Seguo quindi l'agente e il suo collega che mi portano in uno stanzino, quello che si vede sempre nei film di spionaggio, e lì comincia quello che definirlo un Semplice Controllo Formale sarebbe un eufemismo.
- Può aprire la borsa, per favore?
Apro e resto a guardare. Ma anche loro restano a guardare, così uno dei due rompe il ghiaccio:
- Bisogna tirare fuori tutta la roba...- dice in modo da invitarmi a farlo. L'altro, intanto, si siede e mi controlla il passaporto:
- Lei è residente qui a Cuba?
- Sì.
- E come mai?
- Beh, sono sposato con una cubana.
- E dov'è adesso sua moglie?
- È rimasta a casa.
- Lei parte per l'Italia e sua moglie non viene all'aeroporto per salutarla? - dice con tono fortemente dubitativo.
- Sì, ma noi abitiamo a Niquero... (caspita! Speriamo che sappia dove si trova Niquero!) ... e il viaggio è problematico...sapete, vero?
- Sì, però sarebbe potuta venire con Lei, no? - accentua il tono inquisitorio.
Incredibile! Sembra che le mie risposte non gli piacciano.
- Guardi, il biglietto del treno costa caro ed era inutile che mia moglie venisse qui a perdere tempo e denaro.
Forse questa volta ho risposto esattamente. E infatti si passa alla prossima domanda:
- E Lei che cosa fa qui a Cuba?
- Ehm, io...sono analista e programmatore informatico e... lavoro nel Centro di Calcolo di Niquero - bluffo tremendamente, dato che in realtà al Centro di Calcolo non mi hanno mai assunto, ma confido nel fatto che tanto lui non potrà mai verificarlo in un tempo ragionevole, diciamo... considerando lo stato delle linee telefoniche... entro due o tre ore. Ed io, per allora, starò già sorvolando l'Atlantico. Spero.
- Quanto guadagna? - domanda-chiave per vedere se mento.
- Duecentocinquanta pesos.
La risposta pare soddisfarlo.
- Sua moglie come si chiama?
- Maria Isabel Polanco Peregrino.
- E dove lavora? - mentre mi fa le domande prende nota di tutto su un foglio.
- All'Assessorato alla Cultura. È Responsabile del Personale.
Fa una pausa, poi riprende:
- E dov'è adesso?
Un'altra volta? Ma se ho già risposto esattamente poco fa!
- Gliel'ho già detto. A casa.
- Di solito le mogli accompagnano i mariti in viaggio, o perlomeno fino all'aeroporto...
- Be', la mia no.
Nel frattempo l'altro sta esaminando minuziosamente tutto il mio bagaglio, compresi il tubetto del dentifricio e gli indumenti sporchi.
- Quando è entrato a Cuba?
- Nove mesi fa.
- Ma qui sul biglietto c'è scritto che è arrivato solo tre settimane fa.
- Sì, perché venni con un volo di sola andata. Nel biglietto che Lei ha in mano, e che hanno emesso poche settimane fa, hanno indicato una data fittizia... Non mi chieda perché... Forse per questioni amministrative...
Intanto mi innervosivo sempre di più, perché del mio bagaglio avrei potuto giustificare qualsiasi cosa, tranne:

a) 100 sigari comprati al mercato nero da un amico di Frank;
b) alcune decine di dischetti per computer contenenti programmi che avevo portato dall'Italia, pensando che sarebbero serviti al Centro di Calcolo.

Avendo ormai capito di che pasta erano fatti i due agenti e dato che si stava avvicinando il momento X, il mio sistema nervoso cominciava ad alterarsi e questa cosa fu notata:
- Si sente nervoso?
-Chi? Io? Suvvia, ma che dice... Be', solo un po'... sa... non sono cose che capitano tutti i giorni... farsi perquisire... - ma la pozzanghera di sudore ai miei piedi dimostrava proprio il contrario.
- Non c'è motivo di essere nervosi - dice, ma in realtà voleva dire qualcosa come "Tanto adesso arriviamo al doppio fondo della borsa dove tieni i cinque chili di cocaina che vorresti esportare in Europa!" oppure "Lo so che nascondi dei microfilm di importanza strategico-militare dentro gli obiettivi della macchina fotografica!"
- E questo cos'è? - dice sorpreso, maneggiando una scatola nera con dei fili che fuoriuscivano.
- È l'alimentatore di un registratore.
- E il registratore dov'è?
- In Italia.
- E perché ha portato a Cuba l'alimentatore e ha lasciato il registratore in Italia? - in effetti la sua domanda, stavolta, è legittima. Ma che ci posso fare io se il registratore non ci stava più nella valigia?
I due si consultano, poi uno esce con il mio alimentatore.
- Ma... Cosa ne fate? Il mio registratore non può funzionare senza l'alimentatore!
- Non si preoccupi: glielo restituiamo subito. Il mio collega va solo a verificarlo con i raggi X.
Poco dopo il collega ritorna:
- Ok. Tutto a posto. - e mi restituisce il prezioso e innocente apparecchio.
L'ispezione continua:
- Cosa c'è in questa busta? - Era una busta che mi aveva dato un mio amico italiano, studente all'Università dell'Avana, da consegnare ad una sua amica in Italia.
- Ci sono dei ritagli di giornale e una musicassetta, ma non sono miei, sono di un mio amico.
- Cosa c'è registrato nella cassetta?
- Musica, suppongo. Ma come le ripeto è roba di un mio amico...
Il tipo che conduceva l'interrogatorio... pardon!... volevo dire: il tipo che conduceva il Semplice Controllo Formale a questo punto si consulta con il collega:
- Che facciamo?
- Mah, non so. Bisognerebbe ascoltarne un pezzo... per vedere cosa contiene...
- Abbiamo un registratore?
- Prova ad andare lì nel duty free shop, chiedi se ti prestano un momento l'impianto di diffusione sonora.
- Sì ma poi si sente in tutto l'aeroporto!
- Ma no! Abbassi il volume... E poi devi sentirne solo un pezzo....
Il collega esce con la cassetta, mentre l'altro controlla i ritagli di giornale e una lettera che gli capita tra le mani:
- Questa lettera?
- È sempre del mio amico. Devo consegnarla in Italia...
- Non lo sa che non è permesso portare con se la corrispondenza? Per queste cose bisogna usare il Servizio Postale. - mi ammonisce.
- Sì, se funzionasse... - rispondo.
- Come, scusi?
- Volevo dire che il servizio internazionale è molto lento... Poi a volte le lettere si perdono.


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