| | | OFFLINE | | Post: 2.167 | Giudice***** | |
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12/09/2016 23:48 | |
Partecipanti
1. Mary Black Specchi
2. S.Elric Inganno
3. Lilian-EFP Please don't leave me
4. JulyChan Giochi proibiti
5. Lalani Idra
6. Black White Dragon La sorpresa di un bacio
7. Nirvana_04 Diafane fantasia
Ritiri
Alexalovesmal
ValeriaL
punto esclamativo
Chiarilu
_Ferao_
TheHeartIsALonelyHunter
__cory__
Veronica.28
Ritiri non comunicati
La Dama Del Lago
MatisS94
CruelHart
PanStitch
karyon
Flash postate in ordine casuale. Il titolo dello spoiler indica il titolo della flash stessa e la coppia di riferimento. I voti assegnabili vanno da 1 a 10, in, caso di voto insufficiente v'invito a lasciare almeno due righe di motivazione. Non dimenticate di scegliere il premio Pathos!
Please don't leave me (Frank/Alice) Le tenebre si muovono sinuose tra la gente, nascondendo volti argentei e ostentando vesti nere, di sguardi mortiferi e sorrisi annoiati.
Tentacoli velenosi si protendono nella mente, annullando, estraneando e portando pazzia, con sussurri laceri e colpi di frusta.
Bevono la gloria che viene loro promessa, fasulli signori della morte recidono i fili, lo sguardo che nemmeno osserva lo scempio che genera.
Devono soltanto passare al successivo.
Respiri strozzati si levano dai corpi ancora caldi, il dolore che logora e sfinisce, promettendo di finire il lavoro degli uomini mascherati, mentre provi ad annegare nei ricordi di giorni felici, e rimbomba la risata che non è più.
Piangi eppure non urli, rimani immobile di fronte ad una finestra che accoglie lacrime, lo sguardo che attende una persona che non tornerà.
Sull'uscio rimani, incatenato alla figura che siede ricurva sul pavimento della cucina, uno sguardo abbacinato che non sostieni per la paura di perderti nella disperazione che vi dimora.
Stretti i pugni, gambe ancorate, e tremi perché la vedi scivolare lontano da te, un pezzo che si stacca e il cuore che si sgretola.
Arrivi persino ad odiare la voce che sussurra al tuo orecchio, bassa e musicale, ma così morta. La scacci e la rinneghi, ma la notte la piangi.
Se lei fosse con voi, non temeresti l'arrivo delle tenebre, mostri di ricordi che si insinuano nella mente, di ombre sorridenti e colori sgargianti.
Graffiano le mani contro il muro che scalate, la luce che vi attira fuori dal baratro, ma l'illusione che ce la farete da soli.
Gli occhi chiusi, fingete di non vedere ciò che giace tra i detriti. Sogni infranti che spezzati scricchiolano sotto la suola delle scarpe, memorie di un tempo in cui volere una vita felice era la maggiore delle aspirazioni.
Ora i vostri cuori chiedono soltanto l'oblio, lo piangono nelle pieghe del letto e lo invocano con le nuvole che coprono il cielo.
Ma c'è una speranza che temete persino di pensare, riflesso sbiadito eppure tenace, di quell'amore che giace rannicchiato nei vostri petti, che scuote la testa della cenere che lo sommerge, in cerca del fuoco che un tempo lo alimentava, e perde fiato ogni volta che i vostri sguardi si rifuggono.
Agognate ancora la felicità, un piccolo angolo dove sia possibile dimenticare, trascinarsi per inerzia e fingere di sapere ancora respirare, mentre la sabbia scorre e voi scivolate verso il niente.
Sprecare una vita per rimpiangerne un'altra?
Sospiro rubato, e urlo taciuto le sei affianco, il braccio a circondarle la vita e un bacio posato sulla fronte, un gesto che credevi non appartenerti più.
Non parli, e non ti muovi, la testa di Alice nell'incavo del collo e il respiro distrutto che si infrange sulla pelle, mentre mani cercano conforto.
Parole rotolano fuori dalla bocca, lacrime scivolano via insieme a incubi dai colori sgargianti e foto piegate.
Sguardi che finalmente si incontrano, mentre piangono una vita perduta, e quella che cercano di ricostruire.
Lo promettono con le mani intrecciate, e le labbra socchiuse.
Idra (Tom/Ginny) Ginny si svegliò con un lieve e controllato sobbalzo.
Come faceva abitudinariamente, riordinò, catalogandoli con precisione, tutti i ricordi del giorno precedente: colazione, prima ora di trasfigurazione, seconda e terza di Erbologia, bisticci vari con Ron, pranzo, lezioni pomeridiane, ennesimi pettegolezzi, allenamenti di Quidditch (Harry, la sua voce come un eco vicinissimo), cena, compiti di Pozioni prima di andare a dormire.
Nessun buco, vuoto o angolo che il suo cervello non riuscisse a riempire.
“Siamo quasi coetanei ormai”.
“No. Tu non sei mai esistito. Eri meno di un fantasma”.
“È un peccato che non sia riuscito a ricongiungermi al vero me stesso. Pare che si stia divertendo, ultimamente”.
“Invidi il suo potere?”.
“Non c’è nessuna sua magia che io non possa eguagliare”.
“Sarà stato il tuo più grande rimpianto dopo non essere riuscito a uccidermi nella Camera”.
“No, in realtà rimpiango di più non averti potuto invitare alla festa natalizia di Lumacorno”.
“Noiosa”.
“E invece sai cosa mi ha più divertito?”.
“Illuminami”.
“Ho scovato nella tua mente un segreto: hai sognato di ballare con me per tutta la notte.”
La mente poteva essere predata, sventrata e martoriata, riempita di vernice rossa e piume di gallo.
Per questo catalogare i ricordi mentalmente non era più sufficiente: aveva cominciato ad annotarli su un foglio.
I suoni di Hogwarts, le risate, l’amore dolosamente sincero di Dean, lo scricchiolio dei manici di scopa, l’immagine dorata di Harry contro il tramonto potevano diventare tetre voragini.
Prima di andare a dormire, per la nottata o per una pausa pomeridiana, recitava gli incantesimi che aveva sentito ripetere ad Hermione mentre studiava: Salvio Hexia, Cave Inimicum, Protego Totalum.
Recitava e recitava, in un mantra infinito.
“Ti sto toccando le labbra”.
“Non saresti mai in grado di un’azione così diabetica”.
“È vero, Ginny…perché l’unico modo con cui potrei toccarle è risalire dall’interno. La mia mano era tra le tue cosce e poi è risalita, stringendoti le ovaie, schiacciando le costole contro il seno, annodandosi tra stomaco, per poi riemergere tra i tuoi denti e la tua bocca. Ora posso toccarti le labbra…e non te ne sei nemmeno accorta”.
“Bugiardo”.
Un tocco leggerissimo, sull’arco di cupido.
Ginny si svegliò, la porta era chiusa, e prima della sua breve siesta era aperta. Ne era sicura, l’aveva scritto.
Si scagliò in avanti e perché le mani le tremavano e la bacchetta era caduta producendo un tonfo cristallino e assordante e perché la porta non si apriva?
Sentiva ancora le mani di Tom Riddle nel suo corpo.
Uccisa in una stanza chiusa dall’interno…
Non c’è nessuna sua magia che io non possa eguagliare.
Ginny scivolò sul pavimento e rimase per minuti, ore, a osservare dal pavimento il sorriso di Tom Riddle, com’era successo nella Camera dei Segreti anni, istanti prima.
“Insomma, che reazione esagerata! La tua amica ti aveva visto dormire e aveva semplicemente chiuso la porta…ora è sconvolta!”.
“…eri davvero lì?”.
“Non sono mai andato via”.
Harry aveva pugnalato il diario, ma non era bastato tagliare una testa per uccidere il mostro: altre centinaia ne erano spuntate.
Si moltiplicavano dentro di lei, nella sua mente, come una malattia, e Ginny temeva (sperava) che non sarebbero mai scomparse.
Diafane fantasie (Tom/Helena) Chissà cosa avrebbe visto se fosse stata capace di riflettersi in uno specchio?!
E lui, l’affascinante e ambizioso Serpeverde, cosa aveva scorto in lei?
Cosa, pensò iraconda e tremante d’angoscia, lo aveva attirato verso le sue grazie?
Quando era Helena Corvonero, la sua bellezza austera aveva attratto doni e cortesi gentilezze da conti e gentiluomini di tutto il mondo magico. Le mancavano così tanto quelle attenzioni?!
Ma chi poteva venerare un fantasma? Bruciò di mesta rabbia.
Una volta i suoi capelli erano onde corvine che ricadevano come una cascata di tenebra sulla sua pelle color dell’alabastro; il suo corpo slanciato era fasciato dai più belli abiti del tempo. Adesso, invece, era una pallida ombra traslucida che gelava col suo tocco, semmai qualche sventurato aveva la sciagura di venire a contatto con ciò che restava di lei.
La Dama Grigia fluttuò verso il pavimento di roccia e galleggiò a pochi centimetri dal suolo, vicino allo Specchio delle Brame. I desideri di un fantasma contavano poco per quell’oggetto, e non li mostrava; ma ella vedeva lo stesso le pene del suo tormento tra le immagini delle alte colonne riflesse.
C’era Tom… oh, lo vedeva, sì.
La donna si avvicinò ancora un po’. Le immagini scivolarono fuori, davanti ai suoi occhi, come un fiume che, inarrestabile, scorreva verso valle.
Poche parole lusinghevoli, gesti appena accennati… Il suo sguardo era sincero e non nascondeva le sue grandi aspettative per un futuro ricco e avvenente; le sue dita sottili giocavano spesso con ciò che li stava attorno, incuranti eppure allo stesso tempo percettivi verso ciò che li circondava. Non amava parlare, Tom Riddle, ma sapeva ascoltarla; e, soprattutto, sapeva toccare i tasti sensibili, fare le giuste domande.
Com’erano belli i suoi occhi! Non c’era luce in essi, e questo le permetteva quasi di specchiarcisi dentro. Con lui, aveva sentito di nuovo la vita tornare e la bellezza rifiorire.
Schiocca! Si biasimò. Ah, se un’ombra potesse piangere, vomiterebbe veleno!
Ancora per un ultimo istante, colei che era stata Helena Corvonero alzò una fioca mano per tentare di sentire il calore di lui riscaldarle il viso. Il suo fiato, ricordò infelicemente assaporandone l’effimero sapore, aveva trapassato la sua figura e per un solo momento… un solo-maledetto-attimo… aveva potuto sentirne l’amato tepore. Un’illusione che aveva portato il gelo su di lei, unica reale e sempiterna presenza; così come lui aveva portato morte e distruzione laddove i suoi piedi avevano calpestato terra e le sue mani si erano tese.
<< Lascia che io trovi il Diadema, Helena >> aveva sussurrato carezzevole. << Permettimi di liberarti da questo peso e distruggere il tuo fardello. Cedimi la tua colpa. >>
Una luce vermiglia era brillata nei suoi occhi e l’ultima scintilla nel petto di lei si era spenta.
Lo Specchio delle Brame era vuoto, nessun vivente accendeva la sua magia.
I suoi occhi, mormorò afflitta tra sé, erano così neri da riflettere le mie più venefiche voglie.
Aveva visto il potere, e ancora una volta se n’era innamorata. Ancora una volta, avrebbe pagato il fio.
La Dama Grigia sfrecciò inviperita attraverso i muri: lei aveva amato un riflesso, lui non aveva amato affatto.
Specchi (Sirius/Remus)
Sirius ha gli occhi del colore dell’argento.
Sirius ha gli occhi vuoti di chi l’amore l’ha visto soltanto nell’ombra d’un livido.
Sirius ha gli occhi fatti di specchi – Remus si vede riflesso in tutto quel vetro, e lo odia al punto che lo ridurrebbe in frantumi, se solo potesse.
Remus è un debole.
Ogni mese, mentre la luna s’arrotonda, perde la testa – ha i muscoli tesi, le ossa che fanno male, la fame gli scava solchi nel petto, si guarda le mani e le vede sudicie di sangue, grida ma nessuno sta ascoltando.
Remus piange in silenzio, conficcandosi le unghie nella carne fino a tagliare, e, ogni volta quando Sirius si avvicina, pensa che lo ucciderà.
Sirius ha il sorriso anestetizzato di chi può fare molto male, ma Remus affonda tra le sue braccia senza una parola.
Sirius lo osserva soffrire – una parte di lui vorrebbe intervenire, salvare Remus da se stesso, ma l’altra prova un piacere troppo grande nel guardarlo affogare, nel carezzare le cicatrici sulla sua schiena.
Sirius misura la sua infelicità sulla scala del proprio desiderio – più Remus va a fondo, più Sirius freme, più Remus impazzisce, più Sirius sa che avrà bisogno di lui.
È un attimo, Remus quasi non se ne accorge – è l’ennesimo sguardo d’argento di Sirius, è lo scherno nel suo sorriso, è il modo in cui il suo viso sembra dire “sapevo avresti fallito”.
Remus lo afferra e lo inchioda al muro.
Sotto i raggi delle stelle, gli occhi di Sirius sono più inumani che mai – e Remus sa che Sirius gode nel vederlo soffrire, lo sa ma non può odiarlo, non davvero, non ancora.
“Non potresti smetterla? Per una volta, una soltanto, non potresti lasciarmi in pace?”
Remus ringhia, gli affonda le dita nelle braccia in una morsa crudele – ma ancora una volta quegli occhi fatti di specchi gli ricordano che il mostro è soltanto lui.
“Smettere di fare cosa?” soffia Sirius, la voce che graffia l’aria ad un centimetro dall’espressione disperata di Remus, “Lo sappiamo entrambi che non hai il coraggio di fermarmi.”
Remus non potrà mai amare Sirius perché i suoi occhi fatti di specchi non gli permettono di mentire nemmeno a se stesso.
Sirius, a volte, pensa che dovrebbe finirla di fare del male a Remus.
Sirius, a volte, pensa che non è così scontato chi sia il mostro tra loro due
– Sirius sa di sbagliare, sa che non dovrebbe, ma, quando vede Remus annientato da se stesso, la schiena lucida di sangue e gli occhi pieni di follia, sa d’amarlo come non amerà nessun’altro al mondo.
Sirius vorrebbe fermarsi, ma Remus ha ancora bisogno di lui.
Remus, a volte, pensa che Sirius non sappia amare in nessun’altro modo se non così.
Remus, a volte, pensa che dovrebbe fermarlo, impedirgli di ferirlo, di lasciare che quei suoi occhi fatti di specchi gli taglino l’anima
– fermare Sirius, e le sue mani, e i suoi baci, e il suo veleno.
Remus vorrebbe farlo, ma Sirius avrà sempre bisogno di lui.
La sorpresa di un bacio (Albus/Scorpius) Albus ci aveva messo molto a capirlo, aveva passato momenti di confusione e incertezza nei quali si era trovato faccia a faccia con le sue emozioni più segrete, senza riuscire a decifrarle.
Ma ormai sapeva che il sentimento di amicizia e fratellanza che provava per Scorpius era qualcosa di più intenso, qualcosa che andava oltre il semplice affiatamento: Albus si era totalmente innamorato del suo migliore amico.
Tutto era iniziato al quarto anno quando Albus aveva cominciato a sbirciare il corpo seminudo dell’amico ogni volta che questo si cambiava nel letto di fianco al suo. Era semplice attrazione fisica, quella, ma tanto era bastato a far dubitare Albus dei propri sentimenti nei confronti di Scorpius. Da quel momento, aveva cominciato ad essere attratto sempre di più dal suo migliore amico, giorno dopo giorno. Inizialmente aveva pensato che si trattasse solo di una fase, ma dopo qualche tempo aveva capito di sbagliarsi…
Perché Albus non riusciva a non pensare a lui, lo vedeva ovunque, anche quando non c’era, lo desiderava al suo fianco in ogni momento. Sentiva la sua voce dappertutto. Si immaginava di tenergli la mano passeggiando sui grandi prati che circondavano Hogwarts. A volte avrebbe voluto che i loro compagni di dormitorio scomparissero, per parlare con Scorpius di tutto e di niente fino a notte fonda, come facevano d’estate se uno andava a dormire dall’altro.
Albus desiderava Scorpius come non aveva mai bramato nessuno. Avrebbe voluto baciarlo dappertutto, sulla bocca, sul mento, sul collo, assaporare la sua pelle candida, fare scorrere le dita sul suo petto nudo. Averlo.
Albus, però, reprimeva sempre i suoi sentimenti: non voleva rovinare il loro rapporto nel caso in cui Scorpius non l’avesse ricambiato, non avrebbe sopportato un allontanamento tra loro.
Per fortuna un giorno tutto cambiò. Tornando dalla lezione di Difesa Contro le Arti Oscure, i due trovarono la sala comune di Serpeverde stranamente vuota, così si sedettero fianco a fianco a fare i compiti su un tavolo di legno. Scorpius era destrorso mentre Albus mancino, quindi spesso si toccavano i gomiti senza volerlo e si dicevano degli ‘scusa’ ogni volta che accadeva.
A un certo punto Scorpius smise di scrivere e ripose la piuma. Fece toccare volontariamente il dorso della sua mano e quello di Albus, ancora intento a scrivere. Questo si stupì del contatto insolito ma non si ritrasse. La piuma scivolò via dalla mano di Albus, come mossa da una fonte magica, così Scorpius poté intrecciare le sue dita con quelle dell’altro. Albus sentì il battito cardiaco accelerare e le gote infuocarsi: stava accadendo. Si voltò verso Scorpius e lo guardò sorpreso. Il biondo si aprì in un sorriso, appoggiò l’altra mano sulla gamba di Albus, si sporse in avanti e lo baciò.
Il contatto fu lievissimo, ma intenso. Entrambi l’avevano aspettato per troppo tempo.
Albus e Scorpius sorrisero nel bacio, si guardarono negli occhi, felici, e pensarono che la partita di Quidditch di quel pomeriggio non avrebbe avuto tempo per loro.
Inganno (Tom/Helena) E infine
l’inganno è stato svelato: la sua ignominia è emersa dal fango delle sue bugie e ora, tradita, vaghi senza meta nell’oscurità dell’antico castello col cuore spezzato in piccoli frammenti perlacei.
“Noi due siamo così simili” ti ha confessato la sera del vostro primo incontro con fare amichevole, sfoggiando un sorriso caldo e seducente – antitesi del suo vero essere, antonimia delle sue effettive ragioni.
Nei suoi occhi, illuminati di finto ardore, vedevi riflessi i tuoi, in cui il dolore alberga da tutta una vita e ti sentivi compresa, capita dopo secoli di silenzi e vane attese.
Le sue parole erano miele per te – confessioni mormorate a fior di labbra sul fare di sera, sporche invenzioni mascherate da melodiosi sonetti d’amore. Per il tuo cuore immobile e freddo i suoi occhi erano la luna e tu la terra: con estrema maestria fingeva di respirare per te (a lui, che era ancora permesso) e, vestito di un falso sorriso, ti bisbigliava all’orecchio menzogne abbellite da opportunistici complimenti e sentimenti inventati sulle ultime luci del giorno.
Tu, corpo opalescente di tempi remoti e ormai dimenticati, sospiravi alle stelle: sussurravi sottovoce al cielo notturno le tue pene d’amore, pregando in una sua visita nell’oscurità della notte umida e solitaria.
Ma alla fine hai capito l’imbroglio del bel ragazzo dall’espressione di ghiaccio.
Ottenuto il tuo ultimo segreto – l’infame gesto che ti ha condotto alla sanguinolenta fine – il suo sguardo, ardente d’odio e lussuria, non si è mai più posato sulle tue membra senza vita e tu assai palpitasti di dolorosa vergogna, schiacciata sotto il peso della sua infamia, soffocata dall’aria malsana corrotta dalla sua perfidia.
Ora rimarrai per sempre inviolata nella tua morte, disinteressata ai fatti dei vivi, come una cosa posata in un angolo e dimenticata.
Giochi proibiti (Draco/Rose)
Tu e lei avete un gioco segreto.
Talmente segreto, che lei non ne è a conoscenza.
***
Nei meandri polverosi del Maniero, lontano da occhi indiscreti – lontano da chi ti vorrebbe ancora piangente su una lapide –, è lì che coltivi il tuo intimo vezzo e dimentichi ogni decoro. Incurante dei tuoi anni, incurante dei suoi anni; incurante di tuo figlio, troppo concentrato sui suoi studi maniacali per rendersi conto di alcunché, mentre trame venefiche iniziano a diramarsi alle sue spalle.
È inizio estate quando trovi Rose prona sul tappeto in biblioteca. La osservi di nascosto, sola e annoiata e immersa nei libri, mentre il vizio già ti si insinua osceno. Lo sguardo ti cade a peso morto sul suo collo candido, scivola lascivo sulle forme delle natiche e si sofferma sulla pelle della coscia, un po’ scoperta dal vestito; partorisci chimere torbide di cui non riesci a vergognarti, convinto che quello sarà solo uno svago in solitaria.
Rose si accorge di te a metà luglio. Nota le tue attenzioni non più celate e rimane a fissarti con gli occhi sgranati, mentre tu capisci che l’ingenuità che ha dipinta in viso vorresti strappargliela assieme ai vestiti. Poi ti ritrai, riluttante, seppur ben avveduto: a giocare con il fuoco, ci si brucia; con un fuoco di paglia, ci si annienta.
“ È solo un gioco innocuo”, parole vergate tra le pagine del suo libro preferito, un tentativo di rassicurarla, di farle abbassare la guardia. Hai visto la tensione nei suoi occhi, temi che finisca tutto sul più bello, nell'aurora di quest’eccitazione proibita.
“ Perché non giochiamo all'aperto?”, la sua grafia è morbida e rotonda, la tua mente accarezza la curva vellutata del suo seno.
“ Al chiuso è meno pericoloso”, un monito più a te stesso che a lei, scritto di getto, con la mano tremante, le membra frementi. L’inchiostro si allarga sulla pergamena, insozza di nero la superficie immacolata, quasi un presagio.
“ Con le luci spente, lo è ancor meno”.
Passa un giorno, e lei ti sorprende alle spalle – i suoi passi, le tue preghiere – e ti porta via tutto – le sue mani, le tue certezze. Sigilla la porta, ti fissa negli occhi, abbassa le luci; l’attimo dopo è lì, bocca contro bocca, respiro contro respiro, senza darti il tempo di reagire.
Quando si inginocchia ai tuoi piedi, capisci che le regole del gioco sono cambiate.
***
«È stato bello», sussurri, con la scusa di pulirle il collo dalla fuliggine; lei ti stringe la mano fingendo un saluto, lasciandoti nel palmo quella che credi sia la promessa di continuare il gioco, un tenero castigo, dolce come i sospiri che le hai strappato in quei mesi.
Settembre scivola segretamente sui resti dell’estate, mentre Rose scivola via da te e corre da Scorpius, aggrappandosi al suo braccio e senza più voltarsi. Ti lascia lì, tra i bagliori del sole morente, con l’amaro in bocca, il piacere negli occhi, lo sporco tra le dita: “Nessuno è più illuso di te”.
***
Tu e lei avete un gioco segreto.
Talmente segreto, che non sapevi di esserne solo una pedina.
Mi è stato fatto notare che una flash era stata copiata due volte. Chiedo scusa per la svista, ora ho corretto Nella prima frase mancava anche un "ci": "Albus ci aveva messo molto a capirlo". Sulla parola fantasma mi dichiaro innocente :D Buona lettura!
[Modificato da _ Freya Crescent _ 16/12/2016 17:39]
Chi torna da un viaggio non è mai la stessa persona che è partita |