Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.
 
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Con Dolores ed Esmeralda nel deserto del Marocco: il reportage

Ultimo Aggiornamento: 12/04/2018 09:29
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Cinquantino
03/01/2016 18:48

                                                    

Mi sono deciso. Finalmente ho scritto il reportage sul viaggio in Marocco fatto tra la fine giugno e i primi di luglio 2015.
È da un po’ che voglio riavvolgere il nastro.

               Prologo

Siamo ai primi di ottobre 1987 quando viene scattata questa foto. Sono nel garage sotto casa e fra qualche istante partirò. Me ne andrò da solo in Marocco in cerca di avventure.



Sto per compiere 24 anni e me la passo piuttosto bene: per 6 mesi l’anno faccio l’animatore turistico, ogni tanto do qualche esame, la mia morosa è una modella e ho una XT600.
In questi anni la mia vita è organizzata così: lavoro da aprile a settembre e a ottobre parto per viaggi che vivo come occasione per formarmi.
Sarà un’avventura faticosa e bellissima; prenderò un sacco di pioggia in Francia e Spagna, dormirò per terra a bordo strada, passerò dei brutti momenti con dei tipacci in una casbah, incontrerò un gruppo di motociclisti francesi con cui attraverserò l’Atlante e tornando verso casa riuscirò a sbarcare in Spagna con una corona consumatissima e la catena che salta continuamente. Soprattutto sarà un’indimenticabile esperienza.
Poi la vita segue il suo corso; certo, in moto si va sempre, si fa qualche bel viaggio, si comincia a fare Enduro con le moto di nuova generazione, ma il pensiero torna spesso là.
Dopo 27 anni ci sono tornato. E’ stato un avvicinamento lento. Nel 1987 ho semplicemente caricato i bagagli e fissato degli angolari alle pedane del passeggero con del filo di ferro per creare i supporti per le taniche supplementari e sono partito. I miei “ricambi” erano una bomboletta di Fast e una camera d’aria anteriore. Gli attrezzi quelli della trousse in dotazione.
Questa volta invece ho dovuto crearmi la moto, anzi le moto, giacché ne ho fatte due. Una volta concluso che per un viaggio così non ci sia nulla di meglio di un'enduro vecchia scuola con monocilindrico raffreddato ad aria, la scelta cade sulla Dominator. È vero il mio cuore batte per la Yamaha, ma hanno quotazioni più alte e i motori, benché più godibili ai bassi e parchi nei consumi, durano meno degli Honda.

Qui i link sui lavori di trasformazione.

http://freeforumzone.leonardo.it/d/10768957/-/discussione.aspx

http://freeforumzone.leonardo.it/d/11223967/-/discussione.aspx

Altra decisione cruciale: questa volta non me la sento di affrontare il viaggio in solitudine e cerco un compagno. Nel frattempo ho preso un’altra Dominator pensando che una volta trovata la persona giusta, ci saranno già entrambe le motorette.

   Le moto


Esmeralda



Dolores




Perché Esmeralda e Dolores
Esmeralda, nome che evoca una vecchia bagascia colombiana, mi è stato ispirato dall'orribile turchesino del telaio mutato per associazione mentale in smeraldo.
Dolores è arrivata dopo con la medesima livrea di Esme e il processo cerebrale è stato più lineare. È una moto incidentata e il nome Dolores conferma l’ispanicità di Esme e nello stesso tempo esprime sofferenza per il sinistro occorsole.
Dare un nome adatto alle proprie motorette è importantissimo, altro che balle.

   Gli uomini



Il mio compagno di viaggio non potrebbe essere più “giusto” di così: è uno dei miei migliori amici, ed è il mio Guru delle Motorette. Valter è un forte trialista, nelle due ultime stagioni ha chiuso l’Europeo classificandosi terzo di categoria, ha corso e vinto in Motorally, nel 2015 si è fatto sia l’Hell’s Gate che l’Erzberg e ha seguito 2 Parigi-Dakar come meccanico al seguito di un pilota privato (guarda caso guidava una Dominator modificata).

Un giovane Valter con Renato Pozzetto alla Dakar dell’89


Valter oggi



Insomma una garanzia.
Altra novità rispetto al 1987: possiedo un furgone.



Di affrontare con le moto i 2.500 km che ci separano da Gibilterra non se ne parla e, se inizialmente si pensava di prendere la nave Genova-Tangeri, concludiamo che trasportare le moto sul Trafic sia la scelta giusta. Con la stessa spesa, risparmieremo tempo, avremo la massima libertà e, cosa non da poco, piazzando il pullmino ad Algesiras, ci sarà un pezzo di “casa” non lontano da noi.
Nel 2015 tutto è agevole. In rete trovo un albergo ad Algesiras: per il garage chiedono 5 euro al giorno.
Non abbiamo fretta, tuttavia guidiamo 23 ore di fila dandoci il cambio ogni 2/3 ore. Alle 12.30 del 22 giugno, arriviamo. Scarichiamo le moto e andiamo a comprare i biglietti per il traghetto.
L’indomani inizierà il viaggio vero.
Sulla nave c’è pochissima gente e nessuno straniero. E’ il mese di Ramadan e scopriamo che in questo periodo i turisti evitano i paesi musulmani. Beh, meglio.



Trovarsi in pieno Ramadan darà un taglio ancora più definito alla realtà in cui ci troviamo. Non solo dovremo confrontarci con le usanze locali, ma in tutto il viaggio, se si esclude una coppia di francesi e un irlandese non incontreremo alcun occidentale (il Marocco si trova più a occidente di noi, ma fa lo stesso).

In poco più di un’ora siamo in un altro continente.



Io lo sapevo cosa avrei provato rivedendo colori e risentendo profumi inconfondibili, ma è stato forte lo stesso. Inevitabile andare avanti e indietro nel tempo con la mente. Chi ero, chi sono, cosa ho attraversato nel frattempo; un viaggio anche dentro me stesso.
Intendiamoci, non è una ricerca del tempo perduto né un desiderio di revival che mi spinge. A parte una tappa e mezzo, questa volta seguiremo un percorso diverso; inoltre mi è ben chiaro quanto sia più ricettivo agli stimoli un ragazzo di 24 anni, rispetto ad un uomo di 52. A me piace coltivare la memoria, ma i buoni tempi andati non esistono e la nostalgia spesso è una trappola. Ogni epoca, anche intesa come vicenda personale, ha il suo pacchetto completo: chi ha la mia età sa, per fare un esempio, che se negli anni settanta c’era del grande rock, delle moto meravigliose e dei film fantastici, contemporaneamente saltavano in aria i treni, si dava per probabile un conflitto nucleare e la mia città di allora (Verona) era al centro del traffico di eroina.
Per completare il pistolotto, una dichiarazione: a me le vacanze non interessano, voglio viaggiare e accumulare esperienze. Aggiungo che se si sente il bisogno di vacanze, forse varrebbe la pena riconsiderare la propria routine e intervenire su quella. Considero il turista un’espressione piuttosto bassa dell’umanità (molto vicina al cliente delle prostitute) e se mi accorgo di essere preso per turista, mi incazzo. Perfino le motocavalcate mi stanno sulle balle. Ho analizzato questo mia intransigenza e sono giunto ad una conclusione: sono refrattario alle sicurezze, alle certezze. Ho sempre scansato, tra le altre cose, lavoro fisso, figli e matrimonio. Perché? Di cosa ho paura? La risposta presuppone un’altra domanda. Qual è l’unica certezza di un essere vivente? La certezza definitiva? Coraggio, non è difficile, proprio quella: la morte. So che vincerà lei, ma cerco di farmi prendere il più tardi possibile e, se ci riesco, ancora vivo.

Ecco perché preferisco l’incerto.
Ed ecco perché, tornando con un colpo di reni in tema, non credo parteciperò mai ad un viaggio organizzato con Ktm a noleggio e 4X4 al seguito.

Devo dire che a Valter di tutte queste riflessioni non importa una mazza: lui vuole andare in moto.
La frase più ricorrente di Valter? “A me non me ne frega un cazzo”. L’aggettivo che invece io uso più spesso? “Interessante”.
Valter ed io siamo molto diversi, ma complementari; so che andrà tutto bene, benché sia consapevole di quante amicizie si incrinino in situazioni come quella che stiamo per condividere.
Appena sbarcati espletiamo le formalità di confine, molto meno macchinose che in passato, e assicuriamo le moto: una novantina di euro per 30 giorni di validità.



Una informazione che credo possa essere utile.
Nessuna assicurazione italiana oggi comprende il Marocco nella Carta Verde, diversamente non sarebbe necessario assicurare le moto. Ciò significa però che si può arrivare lì con moto prive di RCA (Dolores non era assicurata in Italia) e mettersi in regola per il viaggio. Altro dettaglio: se non si fa l’assicurazione lì in dogana (a meno di non averla già ovviamente), in Marocco non si entra. Si può fare per 10 giorni o per 30.
A noi preme perdere meno tempo possibile sull’asfalto e da Tangeri ci sciroppiamo in un botto 450 km fino a Midelt, cittadina ai bordi dell’Atlante.
Guidare sulle strade marocchine è piuttosto pericoloso e bisogna tenersi del gran margine: macchine e bus contromano, carretti, pedoni, animali e buche.

Le nostre motorette girano come orologi e non sono nemmeno troppo scomode. Mi riempio gli occhi di spazi immensi, di immortali Mercedes stracariche, di bambini e di donne velate; passiamo anche in mezzo ad un gruppo di scimmie.
Nel 1987 ampie zone del paese non avevano l’energia elettrica (esperienza istruttiva), ora tutto il Marocco è elettrificato. Non solo: la rete mobile funziona quasi ovunque e praticamente tutti gli alberghi, anche i più modesti, offrono WiFi e aria condizionata.
Di giorno in giorno, una volta definita la meta prenoterò gli alberghi con Booking o Trivago. Per niente esotico, ma molto pratico.
Dopo il pernottamento a Midelt si fa sul serio: di lì parte la pista del Cirque du Jaffar e arriveremo a Tinghir.



Una grande giornata di moto. E’ caldissimo, ma sulle cime è rimasta della neve.



Siamo nella zona berbera: pastori che vivono nelle tende, capre e asini.
Storica la frase di Valter in dialetto trentino:” A mi i m’ha dit che ‘do che gh’è àseni, gh’è miseria”.





Purtroppo per noi il processo di sviluppo è prepotente e la tappa di oggi dalla metà in poi sarà su asfalto. Le gole del Todra, ahimè, non sono più come le ricordavo.



Dolores intanto ha dei problemi al cambio: Valter mi spiega cosa potrebbe essersi rotto, ma non registro. Fatto sta che dopo un po’ il sintomo passa. Immagino che qualche frammento di metallo si sia sistemato in un posto dove ora non rompe l’anima. Prima del prossimo viaggio bisognerà dargli un’occhiata.
Chi non ha mai affrontato un viaggio di questo tipo fa molta fatica a capirlo, ma qui in un giorno le moto invecchiano di un anno.
Il primo giorno di off road fila abbastanza liscio e sono molto felice dei mezzi: buon compromesso tra comodità e maneggevolezza e inaspettate doti fuoristradistiche. In alcuni punti con un GS non si sarebbe passati. Benedico l’autonomia di 400 km quando ad un distributore ci viene detto “benzina finita, forse domani”.
Arriviamo a Tinghir con un sole che al tramonto tinge tutto di rosso.



Dopo il pernottamento a Tinghir una giornata memorabile, sotto tutti i punti di vista.
Seguendo l’istinto prendo una pista che si inoltra nel deserto di pietre.



È una goduria volare a 100 all’ora su piste interminabili.



Dopo un po’ vediamo una specie di oasi con delle piante e ci fermiamo per dare un’occhiata alla mappa. È un caldo terrificante e l’ombra è merce preziosa.
È qui che ci accorgiamo che il mio serbatoio perde benzina.
I supporti di cui andavo così fiero in realtà non hanno retto alle vibrazioni e al peso dei 28 litri di benzina. La saldatura centrale, trovatasi a contatto col telaio si è crepata.
Non c’è altro da fare che tentare un intervento.
Ho del bicomponente, ma ci accorgiamo che è vecchio e non sappiamo se si innescherà la catalizzazione.







Miracolosamente lo stucco si indurisce e rimettiamo insieme Dolores, con la consapevolezza che il problema non è risolto. Esmeralda è costruita nello stesso modo e ciò non conforta.
Perdiamo quasi due ore, ma abbiamo la fortuna di lavorare all’ombra e nessuno viene a romperci l’anima. Ci sono dei bambini che stranamente si tengono a distanza; andandocene gli lasciamo qualche caramella e delle biro.

In breve arriviamo ad un bivio che riconosco. Certo, una delle due strade è stata asfaltata e i cartelli non sono gli stessi, ma il luogo è quello.








Ora ricordo distintamente la memorabile giornata di allora. Ad ottobre la temperatura è gradevolissima e sono soverchiato dall’imponenza degli spazi. A parte la strada non si vede nulla costruito dall’uomo. Ricordo più avanti la sosta per fare merenda.



E l’incontro con un bambino pastore che arriva da chissà dove e non si capisce dove possa andare.



Eh sì la strada è proprio questa.



Ora sono di nuovo qui, felice in modo incontrollabile.



La foto sul sasso va rifatta assolutamente.





Non possiamo fermarci molto, abbiamo già perso molto tempo e fra un po’ sarà buio. Vogliamo arrivare a Zagora, il limite del Sahara e mancano più di 150 km.



Solo chi viaggia in moto conosce la magia dell’imbrunire mentre ci si inoltra nell’ignoto con un instancabile e rassicurante motore in sottofondo.



Presto diventa buio e mi affido al telefono/navigatore.




Navigatore o non navigatore siamo dei gran pilotoni e, anche se non si vede un minchia, ci diamo del gas.



So che è un cedimento alla modernità, ma il GPS si rivelerà provvidenziale. Ho montato sul manubrio un supporto “cinese” e incredibilmente tiene. La presa 12V garantisce corrente costante.
Sul mio telefono, un modesto Samsung mini S3, ho installato il navigatore Sygic. Funziona abbastanza bene offline e si possono scaricare le mappe delle nazioni che interessano, toglierle e rimetterle a seconda delle necessità. La versione trial è gratis per una settimana, ma con un po’ di magheggi…vabbè un mese fa l’ho acquistato e mi sono messo a posto.



Coerentemente a quanto dicevo prima e cioè che per i mezzi un giorno di Africa vale un anno in Europa, poco prima di Zagora mi si spezza il filo della frizione. Nessun problema, lo sostituirò domani. La scorta di ricambi comincia però a ridursi.
All’ingresso di Zagora, accade un episodio curioso, un esempio del cosiddetto telephone africain: siamo sul corso principale della città e ci affianca a bordo di una moto un ragazzo che comincia a chiamarci a gran voce. Pensando che sia il solito venditore di souvenir lo ignoro, ma poi riesce a farmi capire che sa esattamente chi siamo e quale hotel stiamo cercando.
È vero che di forestieri in questo periodo non ce ne sono, ma ho prenotato l’albergo con booking, da dove salta fuori questo tizio??!!
SI tratta di Abdou ed è il meccanico che nei giorni successivi avremo modo di conoscere meglio.
L’albergo è bello e apparentemente disabitato.



A Zagora ci sono 45 gradi. È un caldo che non si può spiegare. Non è “un po’ più caldo che a  Bologna quando fa caldo”. No, è tutta un’altra faccenda e a queste latitudini, in giugno, non c’è riparo da nessuna parte. Il sole è verticale, piante non ce ne sono e gli edifici proiettano ombre di 20 cm al massimo. In moto, con casco-giacca-stivali-protezioni ci si disidrata in modo impressionante. Con Valter devo impormi: insisto per muoverci portando 5 litri d’acqua a testa. Sembra non rendersi conto cosa potrebbe significare restare bloccati nel nulla senza poter bere.
A Zagora ci fermiamo un giorno senza fare praticamente nulla se non un giretto di esplorazione nei dintorni.



Il super caldo ci frena, non abbiamo un’idea precisa di itinerari futuri e siamo un po’ inquieti per la situazione delle motorette. A ciò si aggiunga che molte piste che sulla carta appaiono sterrate, di recente sono state asfaltate.
Decidiamo di partire il giorno dopo all’alba e raggiungere Merzouga.
Ci prepariamo, ci vestiamo, ma sotto Dolores troviamo l’alone della benzina… Cazzo, non si può partire! Tiriamo giù dal letto Abdou e gli facciamo aprire l’officina.
Il giorno in officina me lo ricorderò per tutta la vita.
In pratica dobbiamo rappezzare il serbatoio e trovare una soluzione definitiva per entrambe le moto.
Prendiamo in mano la situazione e Valter è nel suo elemento.



Provate ad immaginare una situazione analoga in Italia: due stranieri in difficoltà fanno chiamare un meccanico alle 7 di mattina; questi non solo viene, ma accetta di iniziare immediatamente i lavori e permette ai due sventurati di lavorare essi stessi nell’officina usando i suoi attrezzi e consente pure che questi diano istruzioni agli altri meccanici.



È stato molto bello. Il gap economico e culturale è enorme ed è difficilissimo stabilire una comunicazione equilibrata in posti come questo; fare delle cose insieme a loro è stato divertente.



Uno dei tanti insegnamenti che ho appreso da Valter è: tutto si può aggiustare. È un approccio molto africano e su questa base ci troviamo perfettamente a nostro agio; ravaniamo in mezzo a scatoloni pieni di roba alla ricerca di gommini, boccole da modificare e pezzi di ferro di ignota provenienza che proveremo riciclare. In fondo è il metodo che ho impiegato nella realizzazione delle motorette. Ma c’è sempre da imparare. Alla fine sulla saldatura crepata è stata fatta una brasatura e qui viene il bello. I serbatoi anche se vuoti sono pericolosi. Valter mi spiega che la procedura standard, prima di fare una saldatura su un serbatoio, prevede 24 ore di acqua corrente. Ebbene i nostri, dopo aver sciacquato un paio di volte l’interno, ci hanno versato un paio di bustine di limonata solubile. A quanto ho capito in questo modo i gas della benzina vengono eliminati. Nessuno è saltato in aria. Il Garage Sahara Zagora è pieno di adesivi e di foto dakariane e i ragazzi sanno il fatto loro. Certo, hanno attrezzi sgarrupati, sono a corto di dischi per la mola e di elettrodi per saldare, lavorano in ciabatte e tre di loro sicuramente non hanno ancora 15 anni. Ma sono belli e pieni di vita. Come dicevo siamo in pieno Ramadan: pensate cosa significhi non bere nemmeno un goccio d’acqua dall’alba al tramonto con 45 gradi di temperatura. E lavorare. Valter ed io abbiamo lavorato senza sosta per 7 ore, i ragazzi ogni tanto si mettevano in stand by e, quando ci hanno portato il tè, mi hanno spezzato il cuore. Gli dico che non sarei riuscito a bere in loro presenza, mi rispondono che non c’è problema e che sono abituati.
Io non credo in nessun dio e di fronte ad una pratica come il Ramadan provo sentimenti contrastanti: la ritengo assurda alla pari delle restrizioni alimentari e sessuali che ogni religione propugna e le considero semplicemente come strumento di controllo degli individui. D’altra parte è impossibile restare indifferenti di fronte a tanta tenacia.
Dato che ci sono dico anche un’altra cosa: in quei giorni ci fu la strage sulla spiaggia in Tunisia. Ebbene, in tutto il viaggio, benché non siamo mai passati in zone turistiche né ci siamo fermati in grandi città, mai, nemmeno per un istante, ho avvertito ostilità verso di noi.
Nel pomeriggio i nostri problemi sono definitivamente risolti, saldiamo il conto e ci scambiamo grandi abbracci e pacche sulle spalle. Raramente ho pagato così volentieri 130 euro. Per Abdou sono un sacco di soldi, (lo stipendio di un impiegato è di 300 euro) per noi significa poter ripartire.
Confesso che rivedere Abdou e la sua truppa è uno dei motivi per cui rifarei tappa a Zagora. 
 










È pomeriggio inoltrato, in fretta e furia ci prepariamo per partire alla volta di Merzouga; arriveremo col buio, pazienza.
Per andare da Zagora a Merzouga ci sono due possibilità: un classico tappone dakariano lungo il confine con l’Algeria di 320 km senza rifornimenti e uno più rassicurante all’interno che sembra in buona parte sterrato. Vista l’ora optiamo per quest’ultimo. Purtroppo dopo qualche decina di chilometri troveremo solo asfalto. Ora lo sappiamo.

Per non smentire la tradizione africana, Valter buca quasi subito l’anteriore. Ricordo che la temperatura è sempre fissa a 45° e siamo nel deserto.



Perdiamo un’altra mezzoretta (ricordo che abbiamo da poco lasciato l’officina): la scorta dei ricambi continua ad assottigliarsi.
Arriviamo ad Hassilabied (nei pressi di Merzouga) per la notte e riusciamo a farci preparare un fantastico tajine da Ali, il proprietario dell’Hotel la Vallee des dunes.



Al mattino la vista è incredibile, siamo ai piedi dell’Erg Chebbi e delle sue dune gigantesche. Nell’87 da queste parti non ero arrivato e per me è tutto nuovo.



Decidiamo di fermarci un giorno in più per andare verso sera a divertirci sulle dune.
Valter, oltre ad essere il mio guru, sulle dune ci ha già guidato e mi dà qualche consiglio. Ci divertiamo come matti e ci stanchiamo rapidamente.







Le motorette se la cavano: qualche cavallo in più non guasterebbe, ma siamo senza bagagli e ci sembra di essere al parco giochi.







Non c’è anima viva; immagino con orrore che in altri periodi qui ci siano torme di pingui turisti caricati di peso su vecchi cammelli e milanesi con GS e casco modulare.
Il giorno dopo partiamo verso Nord senza un itinerario né una meta. Sono un po’ scoraggiato perché troppo spesso, dove credo di trovare sterrati, finisco sull’asfalto ed essendo la parte organizzativa della coppia non voglio deludere Valter cui, prima di partire, ho promesso interminabili giorni di fuoristrada.



Ebbene, dopo un po’ di tentativi, finiamo su una sterrata inaspettata e meravigliosa.
Terzo mondo e tecnologia ormai sono venuti a contatto.



Strada facendo decidiamo di tornare a Midelt per la notte e di lì, il giorno dopo, sulle montagne.



Alla fine della sterrata, arriviamo in una cittadina e compriamo un’anguria: andiamo in riva al fiume per mangiarcela senza urtare la sensibilità dei locali. Non è che siamo dei fan del politicamente corretto, ma mangiare e bere quando tutte le persone intorno se ne astengono è fuori luogo. Di fatto saltiamo praticamente tutti i pranzi. Birra? Neanche a parlarne per due settimane.



Siamo nella fase che dovrebbe essere di riavvicinamento all’Europa, ma vogliamo fare almeno un bivacco prima di tornare. Fare un bivacco non è così semplice in Marocco.
Piantare una tenda sulle rocce e dormirci non è il massimo. In più sarebbe bello avere dell’ombra ed essere lontani dai centri abitati. Si aggiunga che gli alberghi costano poco e ce la si cava con 15/20 euro a cranio.
È con questa intenzione che all’indomani partiamo, decisi ad accamparci da qualche parte e cucinare il risotto Knorr sotto le stelle dell’Africa.
Non succederà.
Sulla cartina –quella che avevo usato nell’87- c’è una pista molto promettente che porta ad una zona di montagne. Partiamo. Troviamo un lago, è enorme e sulla carta non è nemmeno segnato. Diavolo di marocchini, pure i bacini artificiali mi fanno! 
 



Ci consoliamo con un fantastico bagno, e cerchiamo di capire se la vecchia pista da qualche parte riaffiori.



Gironzoliamo in modo inconcludente quando a un certo punto perdo l’equilibrio e appoggio la moto su un fianco.



Cerco di rialzarla e CRA , una fitta acutissima sulla spina dorsale. Mi fa male…ho una brutta sensazione; non mi è mai uscita un’ernia e non so come sia, ma ‘sta roba non mi piace per niente.
Se non riuscissi a guidare la moto sarebbe un casino e vado un po’ in paranoia.
Pensavamo di stare altri 3-4 giorni in giro, invece prendiamo la rotta verso Tangeri.
Torniamo sull’asfalto e ripercorriamo a ritroso la strada dell’andata. Ho la morte nel cuore, ma so che passerà.



Vicino a Meknes, l’unica grande città che vedremo lungo il percorso, facciamo una piccola deviazione e finiamo in una bellissima zona coltivata, vigneti vastissimi (i francesi hanno installato delle enormi aziende vinicole) e campi ondulati. Sembra la Toscana.
È un segno del cambiamento velocissimo e dell’evoluzione impetuosa che un paese come il Marocco sta vivendo: in una città come quella che abbiamo appena attraversato convivono baracche terzomondiali, asini e miseria, poi una fascia intermedia, quella che normalmente ci immaginiamo fatta di donne velate e uomini in caffetano e contemporaneamente gente che fa jogging, McDonald’s e “modernità” varia.
Quando fa buio siamo a 150 km da Tangeri e per la nostra incolumità stabiliamo di fermarci al più presto; ripariamo in una stamberga dall’igiene approssimativa e l’alba successiva divoriamo i chilometri che ci separano dall’imbarco.



Al porto dobbiamo attendere un paio d’ore e verso mezzogiorno siamo di nuovo in Spagna. I doganieri ci fanno segno di passare avanti saltando la coda (siamo pur sempre dei pilotoni fighissimi), poi un motociclista mi affianca salutandomi alzando il pollice. Dolores ed Esmeralda hanno una bella patina e pure noi siamo un po’ stropicciati.
La schiena mi dà solo un po’ fastidio, ma scegliere di non correre rischi è stato saggio. Era solo una contrattura.
È pomeriggio e siamo ad Algesiras. Che si fa? Andiamo in albergo, ci rilassiamo, ci laviamo e domani si parte?
Negativo.
Carichiamo le moto, facciamo il pieno e si riparte.
Quando scatto questa foto sono le 20.51 e mancano più di 1.600 km. Arrivo previsto: domani alle 12.43.



Considerando che siamo in giro da stamattina alle 6, è e sarà dura.



22 ore non stop e siamo a casa.
Un giorno e mezzo fa eravamo in Marocco, ora siamo nel mio cortile.
Il comitato d’accoglienza ci dà il benvenuto.




   Considerazioni finali
Giusta la scelta di utilizzare 2 Dominator?
Sostanzialmente sì. Resto dell’idea che la moto ideale per un viaggio come questo sia la Tenerè del 1987, la prima con l’avviamento elettrico e l’ultima prima dei bestioni inutilmente grossi. Ha sospensioni con più escursione e soprattutto ha una grande autonomia. Con la mia XT 600 non ho mai percorso meno di 20 km/litro – di solito 22-24- mentre con le Dominator difficilmente ne abbiamo fatti più di 15. In Marocco con un’autonomia di 400 km non abbiamo avuto problemi, ma volendo spingersi oltre, l’avere più margine non sarebbe male. Di contro una Tenerè con 50.000 km ha ancora poco da offrire e sotto i 1.500- 2.000 euro non se ne trovano di dignitose. Le Dominator le ho comprate pagandole 450 Esmeralda e 250 Dolores.
Dando per assodato che la qualità Honda fa la differenza, se oggi dovessi rifare tutto da zero, prenderei come base due XR a fine carriera e ci metterei il motore Dominator. L’avviamento elettrico è tanto comodo.
Ripeto, la Dominator è bilanciata, ha una buona trazione e ci si riesce anche a divertire. Se però guardate i video, si vede come in curva faccia dei bei su e giù. Cambiare forcella e mono posteriore? Secondo me si fa prima a cambiare moto.
Un aspetto non trascurabile: i nostri vecchi motori –entrambi sui 50.000 km- hanno retto alla grande nonostante le temperature mostruose e gli sforzi prolungati. Dopo 2.000 km abbiamo rabboccato 4-500 g di olio su Dolores e praticamente niente su Esmeralda. I filtri dell’aria e le relative casse erano immacolati.
Sono molto soddisfatto delle gomme. Quando un paio d’anni fa ho preso Esmeralda, mi sono subito accorto che nella misura 17 c’è pochissima scelta. Pneumatici stradali a volontà, ma off road poco o nulla. Di Michelin Desert non c’è traccia, ci vuole un’alternativa. Scavo per benino in rete, e mi imbatto nelle MEFO Stone Master. Mai sentite. Ne trovo una usata, la monto e vedo che va al di là delle mie attese. Ottimo grip su sterrati duri e buona stabilità su asfalto. Ci faccio un migliaio di km e a spanne valuto che da nuova almeno 3.000 km sia in grado di farli. Poi ha un altro vantaggio: sarà anche 120, ma è larghissima e quindi bella da vedere.
Quando ho fatto questa foto, avevamo percorso circa 2.000 km.



Per l’anteriore invece nessun problema di scelta, nella misura 21 c’è di tutto e io ho montato il buon vecchio Pirelli MT21. Poco da aggiungere, ottimo compromesso e grande durata.





   Cosa preparare meglio?

La sistemazione del carico: giusta la scelta, secondo me di borse morbide, ma bisogna partire con uno schema di fissaggio definito e non trovarsi come noi improvvisando con vecchie cinghie che si rompono e roba che penzola. Abbiamo seminato in giro innumerevoli e preziosissime bottiglie d’acqua.
Poi direi che è meglio fare qualche chilometro con le moto prima di partire simulando le condizioni reali. Al momento della partenza avevo percorso con Dolores si è no 20 km; considerando che l’ho rimessa insieme dopo un incidente, è stato un azzardo.
Valter sostiene che la prossima volta sarebbe meglio montare le mousse. Forse non ha tutti i torti; se poi si distruggessero prima del previsto, due camere si trovano sempre.

Visto che sono nell’argomento, un rapido cenno all’ultimo lavoretto fatto prima della partenza. Valter mi dice che alla Dakar si montava un secondo cavalletto per poter togliere la ruota.
Mi ingegno ed ecco che un bastone telescopico per pitturare si trasforma in un accessorio che Touratech se lo sogna.





Per il resto eravamo equipaggiati benissimo: ricambi giusti, attrezzi necessari e sufficienti e un minimo di pronto soccorso. Camelbag, un paio di scarpe, un paio di leggerissimi pantaloni convertibili, qualche maglietta e un po’ di biancheria. La tenda, per tacere del sacco a pelo e del materassino, l’abbiamo portata per niente, però mi sarebbe piaciuto usarla. In definitiva credo avessimo, tra zainetto e borse, una decina di chili di bagaglio, non di più.
Quanto pesano le moto così acchittate? Ho messo Esmeralda sulla bilancia (senza bagaglio) e con 5/6 litri di benzina nel serbatoio il dato era 155 kg, neanche male.
Una menzione per l’equipaggiamento: sarà che lavoro nel mondo dell’abbigliamento sportivo, ma credetemi quando dico che indossare la roba giusta fa la differenza.
Premetto che non ho alcun coinvolgimento né interesse rispetto ai prodotti che citerò. Tuttavia so quanto tempo ho dedicato alla ricerca e credo di fare cosa gradita a chi cerca informazioni.
La giacca che ho usato è una Rev’it Sand 2 (a dire il vero nel catalogo 2016 preso all’Eicma non c’è più): si è rivelata perfetta, ben ventilata, robusta, buoni materiali e ottima vestibilità. Niente a che vedere con le informi giaccacce da enduro con maniche rimovibili che tutti noi abbiamo nell’armadio. La sto utilizzando anche sulla moto da strada, perdipiù sia l’imbottitura termica che la membrana impermeabile sono staccabili. Insomma un buon acquisto, considerando che la userò per un bel po’.



Per i pantaloni la scelta è caduta su un marchio americano non distribuito in Italia e di cui ignoravo l’esistenza: Klim. Cercavo tre cose in un pantalone da enduro: ventilazione, colore chiaro e tasche esterne.
Il Klim Dakar è fantastico: è fatto di un materiale molto traforato, ma contemporaneamente resistente e poi ha una tasca con zip su ogni gamba. Producono anche giacche, sembrano molto belle, ma costano una tuonata.



Il resto, faceva parte della mia dotazione standard: indispensabili le magliette tecniche traforate da ciclismo. Se volete un consiglio professionale, per l’intimo, evitate il poliestere e cercate il polipropilene, non puzza e ha migliori proprietà termoregolatrici. Fondamentale è non usare il cotone.
Secondo me è importante anche la scelta dello zaino: io ne uso uno da 20 litri+5 per MTB della tedesca Vaude. Gli zaini da bici sono perfetti per noi enduristi, hanno forme non ingombranti e allacciature stabili, alloggiamento per la sacca idrica e aperture nei punti giusti.



I miei Alpinestars Tech 7 invece non hanno retto e il dorso del sinistro ha cominciato a disintegrarsi.



Bene, mi sa che ho detto anche troppe cose!
E quindi… adesso che si fa?
Le moto ci sono e con Valter stiamo già pensando ad una nuova e più ambiziosa avventura, Inshallah!

                                                
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Cinquantino truccato
03/01/2016 20:07

Mi avete fatto sognare....punto!

Grandissimi!

Eddio
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Cinquantino
03/01/2016 20:28

[SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535]
gran bel racconto
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Cinquantino
03/01/2016 20:50

mooolto interessante e istruttivo.
grazie.
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Cinquantino truccato
03/01/2016 21:48

[SM=x653535] [SM=x653535]
Gran bella storia che mi ha fatto sognare, grazie del resoconto super dettagliato.

Alla fine di 17 ne trovi sulla rete, credo che il problema non sia procacciarsi gomme, bensì un rotolamento inferiore alla 18.

La moto giusta? Modificare moto secondo me è a priori una perdita di tempo e il risultato sarà sempre soggettivo. Chi, come te e noi, modifica dominator o suzuki o yamaha lo fa per passione verso la moto in sé


Davide
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04/01/2016 00:05

con le moto ci muoviamo diversamente, coi viaggi no. bella esperienza, bel reportage.

[SM=g27988]
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04/01/2016 00:24

Grazie per il bellissimo report.
Un sogno che diventa realtà.
Bravi ! [SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535]


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Husqvarna 701 enduro
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04/01/2016 05:30

woww...belle le moto bello il confronto tra passato e presente.. bella l'avventura bravi voi... complimenti! [SM=x653535] [SM=x653535]


sos pizzinnoso bravos pigana in chelu deo cun sa moto mea ando in tottue!!
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04/01/2016 08:05

bellissimo viaggio e il racconto fatto minuziosamente bello veramente
bello [SM=x653531] i miei complimenti ad entrambi [SM=x653535] [SM=x653535]


[SM=g4259393] [SM=x653552] [SM=g4259393] [SM=x653552] [SM=g4259393]


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04/01/2016 13:04

Bellissimo viaggio, ma soprattutto bellissimo racconto: complimenti!
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04/01/2016 19:24

Miiiinchia che reportage!!!! Bellissimo, Complimenti. [SM=g28002] [SM=x653535] [SM=g27987]
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04/01/2016 20:25

bellissimo reportage e le foto dell'epoca fanno la diffrenza, complimentissimi!!!!

[SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535]

il cirque du jaffar è qualcosa di indimenticabile..





If you want to be happy for a day, drink.
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Cinquantino
04/01/2016 21:03

domanda:
da ex possessore di xl 600 lm (cui tu hai utilizzato il serbatoio).
che differenze mi fai notare tra le due moto (NX650)nel contesto del viaggio?
grazie [SM=x653536]
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Cinquantino
05/01/2016 10:50

Sono sopraffatto dal calore con cui mi state rispondendo.
Grazie a tutti, di cuore.
Albeben, ti rispondo volentieri: secondo me la XL600LM sarebbe una moto perfetta per un viaggio di questo tipo, meglio della vecchia e cara Domi. Ciclistica e sospensioni più adatte e contemporaneamente avviamento elettrico.
Il problema è che di decenti a pochi soldi non se ne trovano, un po' come dicevo a proposito del Tenerè.
Considera anche che sono più vecchie di 4/5 anni rispetto a quelle che ho usato io -già anziane- e quindi trovarle a posto è dura.
Per completare il ragionamento, tempo fa chiesi a Valter come mai alcuni privati alla Dakar corressero con le Dominator anziché con le XR. Mi rispose che la ragione principale risiedeva nell'avviamento elettrico. Venivano profondamente modificate nel comparto sospensioni: a quella che lui aveva per le mani era stato impiantato il posteriore di un TT600, ma non ricorda bene che tipo di intervento venne fatto sul telaio per porre tale modifica. All'anteriore...ora non mi ricordo.
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05/01/2016 11:15

Resoconto semplicemente fantastico! Bello il modo che hai di scrivere ... e di prendere la vita!!

Complimenti a tutti e due per l'impresa!
[SM=x653535] [SM=x653535]
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05/01/2016 13:15

quello che c'era da dire è stato detto.

Bravo!

[SM=x653531]

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05/01/2016 13:44

Bravo Duccio e magnifico "pezzo" sia meccanico che narrativo. Visto che della tua prima creazione (Esme) non rimane granchè se non una foto del telaio verniciato, (grazie Imageshack) ho pensato di trasformare il post in pdf, archiviarlo gelosamente e condividerlo con Voi amici del forum.
Fate in fretta perchè il link è valido fino al 12 Gennaio 2016
we.tl/XTxIoBrkH9
Un saluto a tutti! [SM=x653540]
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Eccelso
05/01/2016 14:00

E qui il pdf della trasformazione! we.tl/9WFKZYqomU
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05/01/2016 14:04

Bella mossa Piero! [SM=g28002]
ma per aggirare anche i tempi disponibili su Wetransfer non c'è un metodo per caricare direttamente il PDF sulla pagina della discussione? Cosa che potrebbe essere utile anche per il futuro...
[SM=x653545]
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Cinquantino
05/01/2016 14:18

Re:
duccio63, 05/01/2016 10:50:

Sono sopraffatto dal calore con cui mi state rispondendo.
Grazie a tutti, di cuore.
Albeben, ti rispondo volentieri: secondo me la XL600LM sarebbe una moto perfetta per un viaggio di questo tipo, meglio della vecchia e cara Domi. Ciclistica e sospensioni più adatte e contemporaneamente avviamento elettrico.
Il problema è che di decenti a pochi soldi non se ne trovano, un po' come dicevo a proposito del Tenerè.
Considera anche che sono più vecchie di 4/5 anni rispetto a quelle che ho usato io -già anziane- e quindi trovarle a posto è dura.
Per completare il ragionamento, tempo fa chiesi a Valter come mai alcuni privati alla Dakar corressero con le Dominator anziché con le XR. Mi rispose che la ragione principale risiedeva nell'avviamento elettrico. Venivano profondamente modificate nel comparto sospensioni: a quella che lui aveva per le mani era stato impiantato il posteriore di un TT600, ma non ricorda bene che tipo di intervento venne fatto sul telaio per porre tale modifica. All'anteriore...ora non mi ricordo.



questa era la mia.
quando l'ho provata sulla sabbia nel PO mi son trovato una moto molto pesante in quanto il baricentro molto alto,io sono 1,69.
la domi non ho ancora avuto occasione di provarla nel medesimo posto,ma spero sia più maneggevole. tu cosa ne pensi?


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Cinquantino
05/01/2016 18:16

Piergarden, non ho parole...è un gesto di rara cortesia e generosità.
Non mi ero accorto che fossero sparite le foto della trasformazione di Esmeralda: che fregatura! In effetti è capitato anche a me di non vedere le immagini di altri post, ma davo la colpa al mio computer.
E' un peccato (non solo per il mio post ovviamente), non c'è modo di rimettere le immagini o un modo perché non spariscano dopo un po'?

Albeben, non ti so rispondere perché l'ultima volta che sono salito su un'XL è stato quando il Verona ha vinto lo scudetto [SM=g27990] credo però che la Dominator sia un pelo più bassa. Pesanti sono pesanti entrambe, rispetto agli standard di oggi; io mi lamento del peso della mia Husqvarna (il nome che le ho dato è "Superleggera") che messa sulla bilancia pesa esattamente 30 kg meno di Esme! Ultime 2 cose e poi non rompo più. Si limano un po' di chili cambiando lo scarico, togliendo plastiche inutili, frecce e tutto il superfluo. Si migliora molto la guida rendendo la sella orizzontale e non infossata come in origine. Le dakariane di 30 anni fa avevano già quell'impostazione. Purtroppo si alza ancora di più, ma si fa meno fatica ad alzarsi per guidare in piedi, si spostano meglio i pesi e non ci si comprime gli zebedei in frenata.
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Mastro Dominatore
05/01/2016 21:27

[SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535] [SM=x653535]

...complimenti per tutto...
....chapeau....



... Lunga vita e prosperità ...
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Cinquantino
10/02/2016 15:54

Bravo Duccio,

bel viaggetto e racconto ben descritto con preziosissime informazioni per chi come me è interessato a preparare un itinerario simile.

Una domanda, come mai consigli di indossare il polipropilene (che cos'è esattamente ??? [SM=g27992] ) piuttosto che il cotone come intimo ???

Grazie

Max
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Cinquantino
12/02/2016 09:26

Ciao Pistonare e grazie.
Il polipropilene è una delle materie plastiche più interessanti e valse, negli anni cinquanta, un premio Nobel all'italiano Giulio Natta.
Quelli della mia età ricorderanno il Moplen pubblicizzato a Carosello da Gino Bramieri. Ha un alto punto di fusione e resiste agli acidi.
Mi occupo di abbigliamento tecnico sportivo da più di vent'anni, è per questo che mi permetto di dare qualche suggerimento.
Aggiungo che, come alla fine della giornata un casco da 1 kg faccia la differenza rispetto ad uno da 1.300 g., ciò che abbiamo sulla pelle è fondamentale per il nostro benessere.
In campo tessile il PP è estremamente versatile perché pesa 10 volte meno della lana ed ha una resistenza termica simile. In più non assorbe né liquidi né sporco.
Tradotto, isola sia dal caldo che dal freddo e traspira molto in fretta. Non assorbendo liquidi, si asciuga molto rapidamente.
La cosa peggiore è avere un tessuto umido a contatto con la pelle ed il cotone, in campo sportivo, è il materiale con le performance peggiori. Tutti sappiamo quanto impiega una t-shirt bagnata ad asciugarsi, anche in estate. Chi va a sciare saprà cosa vuol dire sudare in funivia perché molto vestiti e trovarsi poi in zone più fredde con l'intimo che resterà umido per tutto il giorno.
Sul mercato c'è una gran bagarre e non c'è azienda che non proponga l'intimo tecnico.
Sono quasi tutte porcherie.
Si tratta nella stragrande maggioranza di capi in poliestere che vi faranno puzzare come capre a dispetto delle millantate promesse.
Certo, sempre meglio del cotone (la plastica non assorbe l'acqua), ma nessuna proprietà termica.
Ripeto, il 90% di quello che trovate è poliestere e non credete a "trattamenti", "trasporta il sudore all'esterno", "trasforma l'acqua in calore", "vi faranno correre i 100 mt. in 10 sec. netti" sono tutte minchiate.
L'unica è guardare l'etichetta e cacciare 50 euro per la maglietta.
A parte i mesi più caldi molto bene anche la lana Merino e i rari capi in filato di bambù.

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Dominatore
12/02/2016 11:53

forse non è proprio la sezione esatta,ma mi voglio agganciare a quest'ultimo post riguardo l'intimo di polipropilene.
Non voglio dare lezioni o non vorrei essere presuntuoso, ma forse 35 anni di sport a livello agonistico in gioventu' e poi a livello amatoriale, in fatto di abbigliamento posso dire di avere una discreta esperienza.Ho cominciato con la bicicletta nel lontano 1966 e allora si usava sia in inverno che d'estate, quasi esclusivamente abbigliamento in lana e d'estate in pista(velodromi tipo Vigorelli di Milano) ,abbigliamento in seta.
Allora non c'erano altre possibilità e come si dice o mangi questa minestra o salti dalla finestra.Quindi ci si adattava e soprattutto nei mesi invernali (si cominciavano gli allenamenti a metà gennaio)ci si vestiva a cipolla, cioè indossando due o tre strati di maglie di lana .Nella nebbia e con freddo anche sottozero ,quando sudavi, dovevi sempre ,ripeto sempre, pedalare e cercare di mantenere un certo ritmo per non raffreddarti,altrimenti eri finito...il corpo restava sempre umido/bagnato e se rallentavi il freddo, ti penetrava nelle ossa.Quando facevi allenamenti in salita ti riscaldavi bene, sudavi, ma la discesa era una sofferenza nel vero senso della parola. Poi a casa, si doveva lavare tutto con tempi di asciugatura piuttosto lunghi. Gli allenamenti erano quasi quotidiani e a volte capitava di indossare l'abbigliamento ancora umido. Diciamo che non era proprio simpatico, ma la grande volontà/passione ti faceva sopportare tutto. Poi dalla bici,sono passato al podismo e in questo sport ci si vestiva con maglietta in cotone e un maglioncino leggerissimo in lana,molto leggeri anche d'inverno,perchè si suda moltissimo e il corpo non deve mai essere troppo coperto : DEVE respirare attraverso i tessuti.Anche qui ,regola d'oro, cambiarsi subito appena arrivati ,indossando abiti asciutti.Non sempre si avevano a disposizione palestre o spogliatoi dove cambiarsi ,quasi sempre ci si cambiava in strada,o al limite nell'abitacolo di un'auto.
Nota:lo sport produce nell'organismo le endorfine che sono sostanze che danno una sensazione di benessere generale e buon umore,produce inoltre anticorpi che ti rendono refrattario ad ogni malanno ,nel mio caso particolare difficilissimamente prendevo un raffreddore o un 'influenza.
Scusate la lunga premessa e torniamo all'argomento dell'abbigliamento
Lana. Pro : molto isolante dal freddo e anche dal caldo
Contro: si inzuppa subito di sudore e diventa molto pesante,
a persone molto sensibili puo' provocare irritazioni.
Impregnata di sudore ,puzza.Tempo di asciugatura
lunghissimo
Cotone.Pro: leggero ,pratico,non provoca irritazioni
Contro : si inzuppa di sudore,diventa pesante, puzza.Tempo di
asciugatura lungo
Abbigliamento tecnico:
Polipropilene
Pro : solo vantaggi, isola dal caldo e dal freddo,
leggerissimo, non si impregna di sudore
(lo espelle sulla parte esterna del tessuto).
Non puzza e una volta lavato ,si asciuga in poco tempo
Contro. se è un tessuto di qualità ha un costo elevato.
Una maglietta intima costa minimo 50€
In commercio ci sono anche pantaloni e giacche
PS.Questo abbigliamento non ti fa vicere le Olimpiadi
N[SM=x653537] ma la sensazione del corpo asciutto è
sicuramente impagabile soprattutto in condizioni
difficili.

Un'ultima cosa ,come dice giustamente Duccio, diffidate delle pubblicità commerciali,possono proporvi il polyester che è simile al ppp ,costa meno, ma non ha le stesse caratteristiche, guardate sempre le etichette e nel dubbio chiedete. [SM=x653545]

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