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25/10/2015 15:01 | |
Ehilà!
Il banner è una favola, lo "rubo" immediatamente! Mi ha anche messo nostalgia, quindi penso che approfitterò di qualche ora per rivedermi le puntate dell'anime.
Ti ringrazio tantissimo per il lavoro che hai svolto e mi scuso ancora se ti ho "tirato il collo" per la consegna; mi riduco quasi sempre all'ultimo minuto, non so nemmeno io il perché - penso sia l'adrenalina da scadenza... forse il mio lato masochista ama la pressione da ultimo giorno (e quello puntiglioso risponderebbe che odio fare le cose di fretta).
Un altro "grazie" probabilmente va al fatto che finora hai tirato fuori delle serie che quasi nessun giudice inserisce nei bandi dei suoi contest. Siccome sono una nostalgica convinta, quando trovo qualche fandom morto o qualche sfiga!fandom non resisto, anche se si tratta di armi a doppio taglio: poco feedback, poca visibilità/leggibilità (presenti pure come problemi nelle sezioni piene, anzi... quella sensazione di pubblicare in un fandom noto e arrivare in quinta pagina al primo giorno, lol), che non mancano di scoraggiare o di farti sentire un fanwriter poco convincente. Vedo Eredi del Buio, Last Exile, Silver Spoon... ma anche Card Captor Sakura (le Clamp hanno vissuto il loro momento d'oro nelle fanfiction almeno una decina di anni fa!) e poi c'è Death Parade (l'ho rispolverato da poco e sono entrata in fissa... lì non c'è un singolo personaggio che non amo, nemmeno quelli che appaiono per meno di un episodio).
Potrei dire la stessa cosa di Kenshiro e Berserk... insomma, non la finirei più.
C'è anche da dire che mi cogli in un momento in cui mi piace parlare della famiglia, dei suoi meccanismi, delle incomprensioni; lo stacco generazionale mi è sempre piaciuto, come pure quella sorta di rassegnazione che cade sulle spalle del giovane, quando scopre di essere diventato come il suo vecchio (che magari disprezzava, non capiva più, eccetera).
Ho messo una lunga risposta sotto spoiler.
Pappardella (senza ragù) Niente, volevo ringraziarti per l'analisi che hai fatto dei personaggi della serie: si nota che la ami e che hai sviluppato molta sensibilità per l'intreccio e i legami presenti nell'opera. Come aspetto mi sta particolarmente a cuore, al di là del piazzamento, soprattutto perché mi piace leggere recensioni e approfondimenti sui comportamenti di questo o di quel personaggio, capire cosa colpisce altri individui diversi da me (e, lol, se avessi scritto qualcos'altro del genere altrove, forniscimi un link, mi fionderei a leggere). Sono anche un po' stupita per i particolari su cui ti sei soffermata, perché ho sempre il timore di non riuscire a trasmettere granché alle persone e di mio, mi reputo l'essenza della sagra delle banalità, quindi mi aspetto che tante cose passino in sordina. Ammetto che al sensazionalismo preferisco le cose semplici, i gesti quotidiani/banali che hanno tanto significato, un significato che spesso da esseri umani non abbiamo l'acume di apprezzare, se non quando il tutto si trasforma in ricordo o rimpianto.
Per ciò che riguarda Takehiko e Takashi, sin da quando ho letto il manga e visto l'anime, ne ho percepito il ruolo come una presenza affatto marginale nella storia e molto positiva, liberatoria, costruttiva (a dispetto delle figure adulte, che erano ritratte con un duplice significato e assumevano quel compromesso a cui gli adolescenti non sanno piegarsi. E che diventavano improvvisamente estranei ai turbamenti giovanili, incapaci di restare quei modelli insuperabili agli occhi bambineschi dei figli).
Ambedue sono legati in più modi alle ragazze protagoniste e hanno un ascendente diverso su gran parte delle stesse, che è esercitato in base al tipo di rapporto instaurato. Basti pensare ai tentativi di Takashi di tenere Rei in salute, al modo in cui cerca di proteggere Mariko, alla severità che mostra a Kaoru, perché renda finalmente felice Takehiko, invece di farsi rincorrere.
Takashi mi ricorda Alain (uno dei miei preferiti in assoluto) anche per il suo rapporto con il migliore amico e i consigli, lo sguardo tra il paterno e il fraterno (Alain, in fondo, aiuta André nella relazione con Oscar, veglia su di lui proprio come Takashi, fra uno scherzo e l'altro, fa con Takehiko), mentre Takehiko mi porta agli occhi il più sfortunato André di Versailles no Bara. Fortunatamente, nessuno dei due ragazzi ha lo stesso destino riservato agli uomini dell'opera in costume della Ikeda, anche se Takehiko ha una chiusura molto più amara nel manga (personalmente l'ho trovata un po' "forzata", come un eccessivo accanimento su di lui e Kaoru. Pertanto, sono contenta che Dezaki & Co. abbiano stemperato il clima e offerto qualcosa di più vicino alla "speranza", alla seconda possibilità; perché è pur vero che la vita non regala quasi mai altre occasioni, ma abbiamo bisogno di crederci. D'altra parte, capisco a mente fredda che la Ikeda abbia voluto spingere sul dualismo Rei/Kaoru e dove l'una è attratta dalla morte, l'altra lo è dalla caducità della vita fino alla drammatica conclusione).
Nota a parte: nonostante Lady Oscar abbia un grande spazio nel mio cuore di bambina, le opere che ho più apprezzato dell'autrice sono state, appunto, Caro Fratello (che insieme a Sailor Moon mi ha fatto apprezzare shoujo ai e yuri) e La finestra di Orfeo (l'apoteosi della tragedia e degli intrighi, in sostanza).
Di Takashi ho amato tanto il rapporto con Rei, con Fukiko e, in special modo, Mariko. Trovo quest'ultima, in particolare, nella sua cortina di bugie, invidie e desiderio d'affetto, il personaggio femminile meglio riuscito e più autentico (senza nulla togliere a Rei, Kaoru, Nanako e tutte le altre). Mariko è anzitutto vera e rappresenta mille sfaccettature del volto che può possedere una giovane donna: l'invidia, l'insicurezza, la vanità e il bisogno di affermarsi e di dimostrare di essere altro dai propri genitori. L'adoro nelle sue contraddizioni, nelle piccole grandi ossessioni, che la rendono ugualmente "antipatica", degna di affetto, tridimensionale e vicina a tante altre ragazze (che abbiano o meno il suo vissuto non ha importanza). Devo ammettere che mi è un po' spiaciuto che la sua evoluzione culminasse in un "rientro" nella società giapponese, anche se un po' di stabilità ci voleva proprio per lei. Ecco, probabilmente il suo nucleo famigliare e le sue difficili amicizie (ho apprezzato molto che nell'anime avesse maggiore interazione con Tomoko, che mi ricorda un po' la Sasha di SnK) le ritengo affascinanti da esplorare (ho i brividi per la scena del padre di Mariko: quando il suo volto dalla penombra esce alla luce, ed è permesso allo spettatore, come alla figlia, di guardarlo in faccia, di entrare di nuovo nella sua vita) e se non avessi scelto Takehiko e Takashi (la mia brotp dell'opera), la mia preferenza sarebbe ricaduta su di lei, su sua madre, sulle controversie con Aya Misaki (vittima e carnefice di quella frangia borghese del Giappone degli anni '70) e sull'amore/odio nei confronti del padre.
Scusa per la pappardella, divento un po' grafomane a parlare di cose che mi piacciono.
Effettivamente, vuoi per l'età dell'anime e per il superamento di alcune tecniche narrative, mi è capitato di rivedere CF con un'amica che trovava eccessivi ed esagerate determinate scene (alcuni schiaffi hanno la portata dei calci in Holly e Benji) e siamo andate avanti a suon di: vedrai, se chiudi un occhio su questo, ti piacerà.
Tuttavia, per me, le tematiche trattate dall'opera restano attuali: dal turbamento per l'attrazione verso lo stesso sesso, alla gerarchia di alcuni ambienti elitari; dalla solitudine di scoprirsi cresciuti e non più desiderosi di stare infilati nel letto di mamma e papà, com'era quasi necessario da piccolissimi. E nonostante la barriera culturale e il differente modo di vivere di noi occidentali, i messaggi arrivano lo stesso e fanno anche male.
Ho sempre fantasticato sulla madre di Takehiko: in fondo è lei a cacciare il marito di casa, ma non riesce a perdonarlo, ad assumersi le sue responsabilità per il matrimonio naufragato e vede nell'altra il fulcro di ogni sua sfortuna. Al tempo stesso si ritrova ad affrontare l'occhio della società e crescere da sola un figlio non è mai facile, soprattutto se il divorzio avviene in un'età in cui tutto può essere frainteso (si interpretano le cose a modo proprio anche da grandi... e non si comprende appieno il ventaglio di emozioni che copre una persona, figurarsi se si è in grado di leggersi dentro).
Ho letto il giudizio a sera tarda, dopo aver consegnato ieri una storia. Quando mi sono addormentata è riaffiorata l'immagine di una persona molto importante della mia infanzia e mi sento quasi in dovere - anche se non è proprio pertinente al 100% - di condividere questo "ricordo" e di ringraziarti, perché lo hai portato a galla.
Alle elementari ho avuto una maestra che consideravo una seconda mamma: non gliel'ho mai detto, non sono il tipo che esterna facilmente a parole. I suoi capelli assomigliavano tanto all'acconciatura di Paola Tovaglia di Bim Bum Bam o a quella di Cristina D'Avena. Tra l'altro, si chiamava proprio come la cantante. Era molto bella e preparata ed è grazie a lei se ho sviluppato interesse per la storia (di qui l'amore per Lady Oscar e la rivoluzione francese, con tutto che il manga è abbastanza romanzato).
Andando al punto: questa maestra era molto amica di mia zia e mi capitava d'incontrarla anche lontano dall'aula scolastica. Un giorno si sposò, ma non ricordo se assistetti soltanto alla cerimonia o se la mia famiglia fu invitata al pranzo. La maestra era bella, il marito - pensai - un po' meno; mi ricordava il Furio di Claudio Verdone, perciò non ero granché colpita da lui. Poco mi importava, in realtà: io volevo un gran bene alla maestra e lui era un perfetto estraneo. Non ricordo perché, ma dopo le vacanze estive, mi presentai con un disegno da regalare alla maestra. Il disegno ritraeva il giorno del suo matrimonio (e ovviamente il vestito da sposa non somigliava lontanamente a quello che aveva indossato, anzi mi ero inventata di sana pianta la forma e i veli - Naoko Takeuchi era una sorta di musa in quel periodo).
Non potevo sapere che, in realtà, il matrimonio della maestra era già sfiorito dopo pochi mesi; nel mio egoismo, io volevo soltanto una carezza e vederla riporre il disegno nella borsa. Ovviamente, così non fu: lei prese una penna e scrisse un messaggio sul disegno, riconsegnandomelo. La carezza arrivò ugualmente, ma il mio orgoglio ne risentì tantissimo. Anziché leggere il messaggio, alzai un po' la voce e cominciai a chiederle per capriccio di tenere il disegno, perché era un regalo da parte mia (e da piccola ero convintissima che in un oggetto fatto da me ci fosse un pezzo di me da dare a qualcun altro). Lei rispose dolcemente che un giorno avrei capito e mi consigliò di conservarlo al posto suo.
Purtroppo la fine della ricreazione mi riempì di altro imbarazzo, perché i compagni di classe cominciarono a prendermi in giro e alla fine delle lezioni, quando lessi il messaggio sul disegno, la rabbia era difficile da contenere.
Non ricordo esattamente la frase, ma la maestra aveva scritto che i legami delle persone cambiano e qualcosa che oggi c'è domani potrebbe non esserci più. Non capii quelle parole: mi sentii rifiutata e durante il tragitto a casa, senza prendere la mano di mia madre, stracciai il foglio e piansi. La mamma m'impedì di buttare la carta a terra e m'imbronciai anche con lei, che non capiva - a mio dire - come mi sentivo e pensava soltanto a non sporcare il marciapiede.
Seppi del divorzio avvenuto soltanto qualche tempo più tardi, quando proprio per questo motivo e tante altre maldicenze, mia zia si distaccò da lei e la maestra divenne una sorta di conoscenza poco rispettabile. In più, siccome la maestra esercitava soltanto una supplenza al posto dell'altra di ruolo (in maternità), a metà anno lasciò il posto. Ho avuto qualche sporadica occasione di rivederla, quando mi trovavo già alle medie ed era in compagnia di un altro uomo, che però non sposò. La trovai serena, ma neanche quella relazione durò molto (così dicevano in giro).
Forse è stato proprio questo clima, che traspare anche in Caro Fratello, a entrarmi dentro nella tarda adolescenza: giorni perduti, parole che venivano taciute e altre che bisognava tirare fuori, rispettando ora il decoro, ora una rigida educazione. In un certo senso, comprendo il senso di abbandono di Takehiko, quando dice a se stesso, ancora bambino, mentre piange di fronte a una piccolissima Nanako e pensa: "mio padre che fino a ieri era mio". Siamo portati a provare appartenenza nei confronti delle persone, di chi ci lascia qualcosa, e sfociamo proprio per questi in sentimenti d'incomprensione o di gelosia. Provo rammarico a pensare al disegno stracciato, alle parole della maestra che non ricordo come dovrei/vorrei, e anche al distacco che è naturalmente seguito o all'ingiustizia di considerare una persona soltanto per lo stato civico sulla sua carta d'identità, come se un errore potesse forgiare interamente l'individualità e cancellarne i sentimenti, il passato, la carriera e i traguardi.
Forse è un po' idealistico e infantile, quanto sto per dire e lungi da me il volemose bene che disprezzo tanto; penso che la cosa straordinaria, che un po' fa paura, un po' può meravigliare, sia appunto riuscire a toccare qualcun altro, a sfiorarlo soltanto per una parola, per una frase. Ho amato i personaggi di Caro Fratello, al punto che finita la serie mi sono sentita un po' vuota, come se stessi lasciando qualcuno che non avrebbe più fatto parte delle mie giornate; la stessa sensazione che provo stando in una stazione e guardando altri passeggeri, altri abbracci o fazzoletti che non mi riguardano da vicino. E penso che se un contest o semplici constatazioni o altre piccole cose possono portarti a riflettere, a guardarti dentro, a entrare nelle riflessioni di chi le ha scritte, allora c'è del piacere aggiunto, che non c'entra nulla con la competizione, con le classifiche, con i numeri. Può sembrare un discorso semplice e ipocrita da fare e ho il timore che appaia così, ma credo fermamente che scrivere sia condividere ed è qualcosa che, per quanto riesca bene o male, può portare le persone a capirsi un po' di più. D'altronde si legge - spesso e volentieri - soli, ognuno con se stesso e ciascuno ha una voce diversa mentre legge a mente (e chissà quante voci leggono una stessa storia in modo diverso, cogliendo e guardando alle cose in maniera opposta).
Direi che ho scritto abbastanza cose imbarazzanti; siccome mi sento un po' scoperta, la chiudo qui.
PS: Setsy, se ti allungassi una schedina del superenalotto o del lotto, non è che me la compileresti? Scherzi a parte, grazie per aver creduto in questa storia. Io manco di fiducia, me lo rimproverano in parecchi, quindi grazie ancora per aver creduto nel potenziale di questo racconto.
« L'universo si manifesta e scompare senza parole,
siamo noi a inventare una voce al suo terribile silenzio. » |