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LA MENZOGNA testo di sant'Agostino d'Ippona

Ultimo Aggiornamento: 10/08/2013 16:29
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10/08/2013 15:01

AGOSTINO DI IPPONA


LA MENZOGNA



Introduzione.


1. 1. Riguardo alla menzogna c’è un grosso problema: un problema che spesso anche nei comportamenti della vita di ogni giorno ci crea pensieri. Succede infatti che noi a cuor leggero chiamiamo menzogna ciò che menzogna non è, mentre poi riteniamo lecito il mentire quando si tratta di una menzogna giustificata, come quando è detta a fin di bene o per misericordia. Tratteremo il problema con premura e attenzione, mettendoci alla ricerca insieme con quanti come noi cercano la verità. Se poi abbiamo o no trovato qualcosa, non lo diremo noi parlando con leggerezza, ma al lettore attento lo rivelerà sufficientemente la stessa trattazione. È infatti, il presente, un problema assai oscuro, che nei suoi meandri cavernosi sfugge spesso all’acume dell’investigatore; e succede che a volte ti vedi sfuggire di mano ciò che avevi trovato, mentre a volte te lo vedi riapparire per poi dileguarsi di nuovo. Alla fine tuttavia la nostra disamina, raggiunta una certezza maggiore (per dire così), ci consentirà di delineare la soluzione che adottiamo. E se in questa ci sarà qualcosa di errato (è infatti proprio della verità liberare da ogni errore, mentre la falsità è inclusa in ogni errore), io ritengo che non si sbagli mai con più cautela di quando si sbaglia per l’eccessivo amore alla verità e per un eccesso di zelo nel rigettare la falsità. Questo procedimento è ritenuto un’esagerazione dagli ipercritici, ma, se si interrogasse proprio la verità, essa direbbe che non si è ancora abbastanza in regola. Orbene, chiunque tu sia che vieni a leggere, astieniti dalle critiche prima che abbia letto l’opera intera; così sarai meno severo nel giudicare. Non fermarti poi a sottilizzare sulla forma letteraria, poiché abbiamo speso molto lavoro sul contenuto, volendo anche terminare in breve tempo un’opera così necessaria allo svolgimento della vita quotidiana: motivo per cui la rifinitura dell’eloquio è stata limitata o quasi trascurata del tutto.

Menzogna e non menzogna.


2. 2. È doveroso fare eccezione per lo scherzo, che di fatto nessuno mai ha considerato una menzogna. Lì infatti è manifesto in maniera evidentissima il senso che ha in animo colui che sta scherzando: lo si ricava dalla pronunzia e dall’umore di chi parla, che appunto non è quello di uno che voglia ingannare, sebbene non proferisca la verità [completa]. Una questione diversa è stabilire se un’anima perfetta possa far uso di un tal modo d’esprimersi; ma ora non intendiamo risolvere questo problema. Eccettuiamo dunque lo scherzo, e vediamo per prima cosa come non si debba considerare bugiardo colui che di fatto non dice menzogne.

Definizione di menzogna.

3. 3. Occorre dunque precisare cosa sia la menzogna. In effetti non tutti quelli che dicono delle falsità mentiscono: tale è colui che crede o suppone essere vero ciò che afferma. C’è poi una differenza tra il credere e il supporre: chi crede a volte s’accorge di non conoscere la cosa che crede, sebbene non nutra dubbi di sorta sulla cosa che sente di non conoscere, se in essa crede con assoluta certezza. Viceversa, chi su qualcosa fa supposizioni ritiene di conoscere una cosa che invece non conosce. Ad ogni modo, chi afferma una cosa che nel suo animo o crede o suppone, anche se la cosa in sé è falsa, egli non dice una menzogna. Infatti nel suo parlare asserisce ciò che ha nell’animo e lo asserisce adeguandosi alla sua convinzione, e di fatto considera le cose come egli afferma. Ma anche se non mentisce, non è esente da colpa, se presta fede a cose da non credersi o se pensa di conoscere le cose che viceversa non conosce, anche se si tratta di cose in sé vere. Egli infatti ritiene di conoscere ciò che invece non conosce. mentisce poi sicuramente colui che nell’animo ha una cosa mentre a parole o con qualsiasi mezzo espressivo ne dice un’altra. Per questo, si suol dire che il bugiardo è doppio di cuore, cioè ha due [diversi] pensieri: uno quello che sa o ritiene come vero ma non ne parla, l’altro quello che invece del precedente proferisce con le labbra sapendo o congetturando che è falso.
Ne segue che uno, senza mentire, può affermare una cosa falsa, inquanto crede che le cose stiano proprio come egli dice, sebbene di fatto non stiano così. Parimenti può accadere che uno, pur mentendo, dica la verità: come quando uno crede falsa una cosa che egli afferma essere vera, sebbene effettivamente le cose stiano com’egli asserisce. Riteniamo infatti che una persona sia sincera o bugiarda in base al giudizio della sua mente e non in base alla verità o falsità della cosa in sé. Pertanto di uno che dice il falso in luogo del vero, in quanto lo ritiene effettivamente vero, possiamo dire che sia nell’errore o magari che sia un illuso, ma non che sia un mentitore. Nel suo parlare infatti egli non ha in cuore la doppiezza e non intende imbrogliare ma è vittima dell’inganno. La colpa del mentitore sta invece nel desiderio di ingannare, quando dichiara il suo animo, sia che riesca a ingannare, perché si crede alla sua falsa dichiarazione, sia che di fatto non inganni, vuoi perché non gli si crede, vuoi, nel caso che con il desiderio di ingannare dica vero, ciò che non crede vero. In questo caso egli non inganna chi gli crede, sebbene abbia avuto intenzione d’ingannarlo, a meno che nel mentire non arrivi al punto di fargli credere che lui stesso conosce od opina secondo quel che dice a parole.

3. 4. A questo punto ci si potrebbe chiedere (ma si tratta d’una questione quanto mai sottile!) se quando manca l’intenzione di trarre in inganno, manchi del tutto anche la menzogna.

Chi mente?, colui che asserisce il falso con l’intento di non ingannare o colui che dice il vero con il proposito di ingannare?

4. 4. Che diremo infatti di uno che dice il falso su una cosa che ritiene falsa ed egli si comporta così proprio perché ritiene che non gli si presterà fede e col far ciò voglia tener lontano da false conclusioni il suo interlocutore, che peraltro sa per nulla disposto a credergli? Se è menzogna affermare una cosa di cui si sa o si suppone che sia diversa, costui mente, sia pur senza l’intenzione di trarre in inganno. Se invece non si dà menzogna se non quando si afferma una cosa con l’intenzione di ingannare, non commette menzogna colui che, pur sapendo o pensando che la cosa asserita è falsa, dice il falso senza il proposito d’ingannare la persona con cui parla. Egli infatti sa che l’altro non gli presterà fede, e parla così proprio perché sa o congettura che l’altro non crede alle sue parole. Può dunque risultare con chiarezza, almeno in linea dei possibili, che ci sia chi dice il falso per non trarre in inganno il suo interlocutore, e che viceversa ci sia qualche soggetto che dica la verità con l’intenzione d’ingannare. Così, uno che dice la verità perché è convinto che la gente non gli crede, se dice la verità lo fa certo per ingannare: egli in effetti sa di sicuro, o almeno suppone, che quanto da lui detto può esser preso per falso proprio perché lo dice lui.
E pertanto, dicendo la verità perché la si prenda come una falsità, egli dice, sì, la verità ma nell’animo vuole ingannare. Si impone quindi la domanda: Chi mente?, colui che asserisce il falso con l’intento di non ingannare o colui che dice il vero con il proposito di ingannare? In effetti il primo sa o immagina di dire il falso, il secondo sa o pensa di dire la verità. Al riguardo abbiamo già sopra affermato che non mente colui che non conosce la falsità delle sue asserzioni, da lui ritenute vere; è invece mentitore colui che dice cose vere credendole false. L’uno e l’altro li si deve giudicare dalle convinzioni che hanno nell’animo. Riguardo agli individui che abbiamo ora elencato la questione non è semplice: e questo dico in primo luogo di uno che sa, o pensa, di dire una cosa falsa, ma la dice allo scopo d’evitare l’inganno. Ecco, ad esempio, uno che, riguardo a una strada, sa che essa è infestata da briganti; e nello stesso tempo egli teme che per quella strada s’incammini una persona la cui salute gli è cara. Sapendo che questa persona non gli presterà fede, egli le può dire che i briganti non ci sono, affinché costui non passi per quella strada, credendola infestata da briganti, per il fatto che a dirgli di no è stato uno al quale egli non presta fede ritenendolo un bugiardo.
C’è poi un altro che sa, o crede di sapere, che una cosa è vera, eppure la dice per trarre in inganno. Tale, ad esempio, è colui che a uno che non gli presta fede dice che in una certa via ci sono i briganti conoscendo che lì davvero ci sono; e se gli dice così è perché chi lo ascolta si diriga effettivamente verso quella strada credendo false le parole del collega: di fatto però egli si imbatte nei briganti. Orbene, quale di questi due è mentitore? Colui che preferisce dire il falso per non ingannare o colui che dice la verità con l’intenzione d’ingannare? Colui, dico, il quale dicendo una menzogna ha fatto sì che il suo interlocutore raggiungesse la verità ovvero l’altro che dicendo la verità ha fatto sì che l’interlocutore fosse indotto in errore? Non sarà piuttosto esatto dire che hanno mentito tutti e due: il primo perché volle affermare una falsità, il secondo perché intese trarre in inganno? O diremo per caso che nessuno dei due ha mentito: il primo perché gli mancò l’intenzione d’ingannare, il secondo perché intese affermare la verità? Non discutiamo infatti adesso il problema se l’uno o l’altro abbia peccato ma solo se abbia detto menzogne. Quanto al peccato infatti a prima vista sembrerebbe averlo commesso colui che dicendo la verità ha fatto sì che quello sventurato incappasse nei malandrini, mentre non avrebbe peccato, anzi avrebbe fatto un’opera buona, colui che dicendo il falso ha sottratto quel tizio alla disgrazia. Ma questi esempi si possono invertire, e quindi esserci qualcuno che, non volendo ingannare il prossimo, fa questo per esporlo a una disgrazia più grave.
Molti infatti conoscendo la verità di certe cose andarono in rovina poiché le cose erano proprio tali che sarebbe stato meglio se non le avessero mai conosciute. L’altro invece, che vuole ingannare il prossimo, può farlo affinché costui ne tragga un qualche vantaggio: ad esempio certuni si sarebbero suicidati se avessero conosciuto una qualche sciagura capitata realmente ai propri cari; credendo invece a quella falsità si trattennero dal suicidio. In tal modo fu utile a questi ultimi essere stati ingannati, come fu dannoso ai primi l’aver conosciuto la verità. Non si tratta dunque di appurare quali siano stati i sentimenti con cui l’uno ha detto il falso per non lasciar cadere in inganno e l’altro ha detto il vero volendo ingannare: se cioè volevano giovare o nuocere. Escludendo per ora la questione dei vantaggi o dei danni derivati a coloro cui si parla, vogliamo limitarci a considerare la verità e la falsità delle affermazioni in se stesse e vedere quale dei due soggetti sia reo di menzogna, o se per caso lo siano tutti e due o nessuno dei due. In effetti se è menzogna parlare con l’intenzione di dire il falso, ha mentito naturalmente colui che ha inteso dire una falsità dicendo poi quel che gli è piaciuto dire e dicendolo magari con l’intenzione di non ingannare.

Se al contrario è menzogna ogni affermazione fatta con l’intenzione d’ingannare, non ha mentito il primo fra i due ma l’altro, cioè colui che anche dicendo la verità intendeva trarre in inganno. Se poi è menzogna un’affermazione detta col proposito di mescolare il vero con il falso, hanno mentito tutti e due: l’uno perché intese come falsa la sua affermazione, l’altro perché dalla sua affermazione vera intese farla prendere per falsa. Se finalmente la menzogna consiste nell’affermare il falso con l’intenzione d’affermarlo per trarre in errore, non è stato bugiardo nessuno dei due: non il primo in quanto dicendo il falso si riprometteva di indurre alla verità; non il secondo in quanto per indurre alla falsità affermava cose vere. Sarà dunque assente ogni doppiezza ed ogni falsità se affermiamo a tempo e luogo ciò che riteniamo per vero riconoscendolo anche come tale, e ciò che affermiamo è quello che vogliamo richiamare alla mente altrui. Ma si danno casi diversi, quando cioè noi tentiamo di proporre solamente quello che diciamo con le labbra, ma noi stessi crediamo vero ciò che è falso o diamo come noto ciò che ci è sconosciuto o non crediamo a ciò che si dovrebbe credere o affermiamo ciò che non si dovrebbe affermare. In questi casi c’è, sì, l’errore della sconsideratezza ma in nessun modo la menzogna. Non si deve infatti temere nessuna delle suddette definizioni quando l’animo dentro di sé è convinto di affermare una cosa che sa di essere vera, o almeno così opina o crede, e così pure se non vuol far credere altro se non quello che afferma.
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