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Il seme della follia

Ultimo Aggiornamento: 26/10/2012 21:50
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Utente Senior
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26/10/2012 21:50
 
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Ok, oggi preso dall'ispirazione ho buttato giù questo pezzo e visto che ne sono abbastanza soddisfatto ve lo propongo :-P

Il seme della follia (In the mouth of madness, John Carpenter)

Molto spesso leggendo articoli e recensioni di genere in rete si incappa nell'interogativo (quasi sempre retorico) "che cos'è l'horror?", "qual è lo scopo di
un horror?"... Domande la cui risposta a me sa tanto di incomprensibile eccesso masochista. A quanto pare la gente (o quantomeno una parte di essa) adora
spaventarsi, sentirsi a disagio e angosciata... Il che va al di là sia della mia comprensione, sia del mio desiderio di comprensione. Perché allora Il
seme della follia mi piace tanto? Probabilmente proprio per questo, e perché c'è sempre un punto di vista diverso e magari inaspettato da cui osservare
qualcosa. Questo film è considerato (a ragione? mi fa piacere pensare di sì) uno dei cult del genere, un'opera degna del nome che l'ha firmata e che
viene riconosciuto come una vera istituzione nel proprio campo. Ma se qualcuno (per davvero?) si spaventa per le bizzarre e contorte avventure del qui presente
John Trent (che avrebbe potuto chiamarsi John Smith e avrebbe reso meglio l'idea), non è detto che a tutti la cosa faccia lo stesso effetto.
Ma andiamo con ordine. A partire dal titolo originale il film non è altro che una grossissima, lussuosa e mirabolante fanfiction spudoratamente dedicata ad un
autore tanto "sfigato" quanto noto e amato (in larga parte da gente parimenti "sfigata", io per primo), e cioé il "maestro" H. P. Lovecraft, solitario (e
complessato fino al midollo, nonché geniale proprio per questo) di Providence. I suoi scritti sono stati interpretati in vario modo, ma una delle correnti più
diffuse è che i mitici "Grandi Antichi" altro non siano che manifestazioni delle più recondite e represse inclinazioni nascoste nell'inconscio dell'uomo.
Alla luce di questo non è difficile capire come basti immedesimarsi nel "mostro", per ribaltare la paura e l'angoscia (???) che la pellicola potrebbe provocare
in un entusiasmo allegro ed esaltato.
Non solo, non dovrebbe essere difficile capire anche quanto sia immediato e facile immedesimarsi nel "mostro" in questione.
Di sicuro bisogna ammettere come il film sia senza dubbio estremamente soft e parsimonioso di scene esplicite, se non altro considerandolo nell'ottica del genere
a cui appartiene, tanto che mi fa davvero un'impressione strana parlare di horror senza mezzi termini. D'altro canto è altrettanto vero come non sia certo il
gore l'unico mezzo attraverso cui procurare angoscia e disagio nello spettatore (basti pensare al devastante "L'esercito delle dodici scimmie", con la sua
atmosfera insostenibile e il plot twist finale ancora più insostenibile, in cui il livello di gore non è certo superiore a quello del Seme della follia).
Disseminando qua e là assaggi di ingredienti horror (il salto sulla sedia della scena del poliziotto sulla poltrona, l'inquietudine della mummia costretta a
fuggire in eterno sulla sua bicicletta) la storia racconta la ricerca di un investigatore delle assicurazioni che si mette sulle tracce di un autore scomparso
assieme al manoscritto che avrebbe dovuto coronare la sua brillante carriera.
Manco a dirlo, ogni riferimento a tomi demoniaci e arabi pazzi ideati da mister Howard Philips è ovviamente voluto e ricercato.
Ed è quindi ovvio che la ricerca di tale libro finisca per non essere altro che un graduale smantellamento della realtà che il povero John credeva immutabile, e
che invece si rivela essere tanto labile ed effimera. Poco importa se assieme alla realtà viene smantellata anche la logica; spesso i personaggi agiscono in
maniera assurda seguendo ragionamenti troppo semplici e fuori contesto, ma tutto questo non intacca un'altra "logica", quella del film, che continua a funzionare
in maniera impeccabile al punto da mascherare abilmente questo che in quasi tutti gli altri casi si sarebbe rivelato come un grosso problema. E anzi, a pensarci
tutto questo può anche costiutuire un interessantissimo spunto di riflessione: da dove parte il "contagio"? Che cosa viene colpito per prima dalla follia, il
mondo esterno o John e gli altri personaggi?
Per chiunque si sia mai appassionato all'immaginario e alle suggestioni tipicamente Lovecraftiane, Il seme della follia è anche una perla rara in quanto uno dei
pochissimi tentativi (l'unico altro che mi viene in mente è Eternasl darkness) di ricreare quello stile e quella poetica contestualizzandoli ai giorni nostri.
E se da un lato Carpenter va sul sicuro riproponendo cliché e strutture ben note (ad esempio tutto il film è costruito come un lungo flashback del povero John
immediatamente chiuso in manicomio all'inizio della pellicola), dall'altro osa inserire battute e frasi ad effetto degne di un film action-sborone, con la
sicurezza, assolutamente giustificata e riconosciuta dopo aver visto il film, di amalgamarle in maniera brillante e ineccepibile al contesto.
Dal punto di vista visivo, l'opera si avvale delle giuste ambientazioni, di un'America "turistica", da cartolina ma mai troppo patinata, sposando in maniera
eccezionale le atmosfere care all'autore da cui tutto è partito ad altre che collocano la storia nel contesto storico odierno e costituendo così una sorta di
filo conduttore tra le due diverse epoche, grazie al quale una si rispecchia nell'altra e ne presenta echi e richiami.
E se in molti casi si ricorre all'espediente del "non detto", del soddisfare più l'immaginazione che l'occhio, in certe occasioni la visionarietà esplode in
maniera assoluta e vertiginosa: la sequenza in cui Sutter Cane (il novello Abdul Al Hazred) "strappa" la realtà, a cominciare dal proprio stesso volto, per
rivelare una voragine incorniciata dalla carta lacerata della pagina di un immenso libro, è una di quelle che non si dimenticano e che possono essere definite
a pieno titolo "da antologia", dalla fantasia e creatività più uniche che rare.
Per contro, ma altrettanto geniale e lodevole, abbiamo la sequenza finale in cui con il dispendio di numero zero euro (con l'aggiunta probabilmente di zero
centesimi) Carpenter descrive in maniera magistrale l'apocalisse che si è finalmente compiuta.
Il più grande punto di distacco rispetto all'opera di Lovecraft risiede nel modo in cui l'opera stessa è pensata. Il mondo e la mitologia originali erano ricchi
e appassionanti se considerate nel loro complesso, in cui ogni racconto costituiva un tassello di un puzzle infinito a cui si potrebbe continuare a oltranza
ad aggiungere pezzi, ed erano apprezzabili proprio nel loro insieme e nella loro continuità; in questa pellicola Carpenter, cosciente della natura univoca e
indipendente che dovrebbe caratterizzare un film, concentra tanta ricchezza di contenuti e immaginazione in un'escalation di bizzarrie vertiginosa e mozzafiato,
per farla esplodere in tutta la sua forza come un fuoco d'artificio in un finale tanto apocalittico quanto catartico.
Partono i titoli di coda, salutati da un bellissimo sottofondo rocckeggiante composto da Carpenter stesso, e ci si alza dalla sedia con un sorriso soddisfatto
sul volto e la sensazione di aver fatto una corsa folle e sregolata sulle montagne russe.

[Modificato da Bob_Ombadil 26/10/2012 21:51]
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