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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (3)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 19:43
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Sesso: Femminile
19/10/2012 19:40

370. Al papa Urbano VI.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, indegna e miserabile figlia, con grande desiderio desidero di vedere in voi una prudenzia con uno lume dolce di verità, per sì-fatto modo che io vi vegga seguire lo glorioso santo Gregorio; e con tanta prudenzia vi vega governare la santa Chiesa e le pecorelle vostre, che già mai non bisogni stornare veruna cosa la quale sia ordinata e fatta dalla vostra Santità, eziandio la minima parola, a ciò che nel conspetto di Dio e degli uomini sempre apparisca una fermezza fondata in verità, sì come debba fare il vero santo pontefice.

Di questo prego la inestimabile carità di Dio che ne vesta l'anima vostra, poiché mi pare che il lume e la prudenzia siano a noi di grandissima necessità, spezialmente alla Santità vostra, e a qualunque altro fusse nel luogo vostro, massimamente ai tempi che corrono oggi. Perché io so che avete desiderio di trovarla in voi, però ve il rammento, manifestandovi lo desiderio de l'anima mia.

Ho sentito, padre santissimo, della risposta che ha fatta l'empio Prefetto, drittamente empito d'ira e di irreverenzia, agli ambasciadori romani; sopra la quale risposta pare che debano fare Consiglio generale, e poi debbono venire a voi i caporioni, e certi altri buoni uomini. Pregovi, padre santissimo, che, come avete cominciato, così perseveriate di ritrovarvi spesso con loro; e con prudenzia legarli col legame de l'amore. E così vi prego che ora, in quello che essi vi diranno, fatto il Consiglio, con tanta dolcezza gli riceviate quanta più potete, mostrando a loro quello che è di necessità, secondo che parrà alla Santità vostra.

Perdonatemi, ché l'amore mi fa dire quello che forse non bisogna di dire, poiché io so che dovete conoscere sì la condizione dei figli vostri romani - che si tragono e si legano più con dolcezza che con altra forza o asprezza di parole -, e anco conoscete la grande necessità, che è a voi e alla santa Chiesa, di conservarvi questo popolo all’obbedienza e reverenzia della vostra Santità, poiché qui è il capo e il principio della nostra fede. E pregovi umilmente che con prudenzia miriate di sempre promettere quello che vedete essere a voi possibile di pienamente atenere, affinché non ne seguiti poi danno, vergogna e confusione.

E perdonatemi, dolcissimo e santissimo padre, perché io vi dica queste parole. Confidomi che l'umilità e benignità vostra è contenta che elle vi sieno dette, non avendole a schifo né a sdegno perché elle escano di bocca d'una vilissima femina: poiché l'umile non raguarda a chi lili dice, ma attende a l'onore di Dio, e alla verità, e alla salute sua.

Confortatevi, e per nessuna mala risposta che questo ribelle alla Santità vostra abbi fatta o facesse non temete, ché Dio provederà in questo e in ogni altra cosa, sì come governatore e subvenitore della navicella della santa Chiesa e della Santità vostra. Siatemi tutto virile, con uno timore santo di Dio; tutto essemplario nelle parole, nei costumi e in tutte le vostre opere: tutte appariscono lucide nello conspetto di Dio e degli uomini, sì come lucerna posta in sul candelabro della santa Chiesa, alla quale raguarda e debba raguardare tutto il popolo cristiano.

Anco vi prego che di quello che Leone vi disse voi ci poniate rimedio, poiché tutto dì questo scandalo cresce più, non solamente per quello che fu fatto a l'ambasciadore senese, ma per altre cose che tutto dì si veggono, le quali hanno a provocare ad ira i cuori debili degl'uomini. Non avete oggi bisogno di questo, ma di persona che sia strumento di pace e non di guerra. E poniamo che egli lo facci con buono zelo di giustitia, sonno molti che la fanno con tanto disordine e con tanto empito d'ira, che escono fuore de l'ordine e della ragione. E però prego la Santità vostra strettamente che conscenda alla infermità degli uomini a procurare d'uno medico che sappi meglio curare la infermità di lui. E non aspettate tanto che la morte ne venga, ché io vi dico che se altro rimedio non ci si pone, la infermità cresce a possa.

Ricordivi della ruina che venne in tutta Italia per lo non provedere ai gattivi rettori, che governavano per sì-fatto modo che essi sonno stati cagione d'avere spogliata la Chiesa di Dio. Questo so che voi lo conoscete; vega ora la Santità vostra quello che è da fare. Confortatevi confortatevi dolcemente, ché Dio non despregia lo vostro desiderio e l'orazioni dei servi suoi. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Umilemente v'adimando la vostra benedizione. Gesù dolce, Gesù amore.


371. Certi misterii nuovi che Dio adoperò nell'anima de la santa sua sposa Caterina la domenica de la Sessagesima, sì come di sopra si fa menzione, i quali essa significò al detto maestro Raimondo.

Essendo io ansietata di dolore per cruciato desiderio, lo quale s'era nuovamente conceputo nel conspetto di Dio (perché lo lume dell'intelletto s'era speculato ne la Trinità eterna, e in quello abisso si vedeva la dignità de la creatura che ha in sé ragione, e la miseria ne la quale l'uomo cade per la colpa del peccato mortale, e la necessità de la santa Chiesa, la quale Dio manifestava nel petto suo; e come neuno può tornare a gustare la bellezza di Dio né l'abisso de la Trinità, senza lo mezzo di questa dolce Sposa - poiché tutti ci conviene passare per la porta di Cristo Crocifisso (Jn 10,7-9), e questa porta non si trova altrove che ne la santa Chiesa -), vedeva che questa Sposa porgeva vita, perché tiene in sé vita tanta che neuno è che la possa uccidere; e che ella dava fortezza e lume; e che neuno è che la possa indebilire né darle tenebre, quanto in sé medesima; e vedeva che il frutto suo mai non manca, ma sempre cresce.

Allora diceva Dio eterno: «Tutta questa dignità, la quale l’intelletto tuo non potrebbe comprendere, è data a voi da me. Raguarda con dolore e amaritudine, e vedrai che a questa Sposa non si va se non per lo vestimento di fuore, cioè per la substanzia temporale; ma tu la vedi bene vòta di quelli che cerchino lo midollo da questa, cioè lo frutto del sangue. Lo quale frutto, chi non porta lo prezzo de la carità con vera umilità e col lume de la santissima fede, nol participarebbe in vita, ma in morte; e farebbe come lo ladro, che tolle quello che non è suo - poiché il frutto del sangue è di coloro che portano lo prezzo dell'amore, poiché ella è fondata in amore, e è esso amore -.

E per amore voglio - diceva Dio eterno - che ognuno le dia, secondo che io do da amministrare ai servi miei in diversi modi, sì come hanno ricevuto. Ma io mi doglio che io non truovo chi ci ministri, anco pare che ognuno in tutto l'abbi abandonata; ma io sarò remediatore». E crescendo lo dolore e il fuoco del desiderio, gridava nel conspetto di Dio dicendo: «Che posso fare, o inestimabile fuoco?». E la sua benignità rispondeva: «Che tu di nuovo offeri la vita tua; e mai non dare riposo a te medesima. A questo essercizio ti ho posta e pongo, te e tutti quelli che ti seguitano e seguitaranno. Attendete voi Perciò a mai non allentare, ma sempre crescere i desiderii vostri, ché io attendo bene, io, con affetto d'amore, a sovvenire voi de la grazia mia corporale e spirituale. E affinché le menti vostre non siano occupate in altro, ho proveduto dando uno stimolo a quella che io ho posto che vi governi, e con misterii e con nuovi modi gli ho tratta e posta a questo essercizio: ella con la substanzia temporale serve la Chiesa mia, e voi con la continua, umile e fedele orazione, e con quelli essercizii che saranno necessarii, i quali saranno posti a te e a loro da la mia bontà, ad ognuno secondo lo grado suo. Dispone Perciò la vita e il cuore e l'affetto tuo solo in questa Sposa, per me, senza te.

Raguarda in me, e mira lo sposo di questa Sposa, cioè lo sommo pontefice, e vedi la santa e buona intenzione sua, la quale intenzione è senza modo; e come è sola la Sposa, così è solo egli. Io permetto che coi modi i quali egli tiene senza modi, e col timore che egli dà ai sudditi, egli spazzi la santa Chiesa, ma altri verrà che con amore l'acompagnerà e riempirà. E adiverrà di questa Sposa come adiviene dell'anima: che in prima entra in essa lo timore, e spogliala dei vizii, poi l'amore la riempie e veste di virtù. Tutto questo sarà col dolce sostenere: dolce è e sarà a quelli che in verità si notricano al petto suo. Ma fa' questo, che tu dica al vicario mio che giusta al suo potere si pacifichi, e dia pace a chiunque la vuole ricevere.

E a le colonne de la santa Chiesa di' che, se vogliono remediare a le grandi ruine, faccino questo: che essi s'uniscano insieme, e siano uno mantello a ricoprire i modi che appaiono defettuosi del padre loro (Gn 9,23). E pongansi una vita ordinata, e allato a loro persone che temino e amino me, e ritruovinsi insieme, gittando a terra loro medesimi. E facendo così, io che sono lume lo' darò quello lume che sarà necessario a la santa Chiesa. E veduto che hanno fra loro quello che si debba fare, con vera unità, prontamente, arditamente e con grande deliberazione lo referiscano al vicario mio. Egli allora sarà constretto di non resistere a le loro buone volontadi, poiché egli ha santa intenzione».

La lingua non è sufficiente a narrare tanti misterii, né quello che l’intelletto vidde e l'affetto concepette.

Passandosi lo dì, piena d'amirazione, venne la sera, e sentendo io che il cuore era tratto per affetto d'amore, tanto che resistenza non gli potevo fare che al luogo dell'orazione io non andasse, e sentendo venire quella disposizione che fu al tempo de la morte, posimi giù con grande reprensione, perché con molta ignoranza e negligenzia io serviva la Sposa di Cristo, e ero cagione che gli altri facessero quello medesimo. E levandomi con quella impronta che era dinanzi all'occhio dell'intelletto mio di quello che detto è, Dio pose me dinanzi a sé, bene che sempre io gli sia presente - perché contiene in sé ogni cosa -, ma per uno nuovo modo, come se la memoria, l’intelletto e la volontà non avessero a fare nulla col corpo mio. E con tanto lume si speculava questa Verità, che in quello abisso allora si rinfrescavano i misterii de la santa Chiesa, e tutte le grazie ricevute ne la vita mia, passate e presenti, e il dì che in fede fu sposata l'anima mia. Le quali tutte si scordavano da me, per lo fuoco che era cresciuto, e attendevo pure a quello che si poteva fare, che io facesse sacrificio di me a Dio per la santa Chiesa, e per togliere la ignoranza e la negligenzia a quelli che Dio m'aveva messi ne le mani.

Allora le demonia con esterminio gridavano sopra di me, volendo impedire e allentare col terrore loro lo libero e ardente desiderio. Questi percotevano sopra la corteccia del corpo; ma lo desiderio più s'accendeva, gridando: «O Dio eterno, riceve lo sacrificio de la vita mia in questo corpo mistico de la santa Chiesa. Io non ho che dare altro se non quello che tu hai dato a me: tolle lo cuore, e priemelo sopra la faccia di questa Sposa».

Allora Dio eterno, vollendo l'occhio de la clemenza sua, divelleva lo cuore, e premevalo ne la santa Chiesa. E con tanta forza l'aveva tratto a sé, che se non che subito - non volendo che il vasello del corpo fusse rotto - lo ricerchiò de la fortezza sua, ne sarebbe andata la vita. Allora le demonia molto maggiormente gridavano, come se essi avessero sentito intollerabile dolore; e sforzavansi di lassarmi terrore, minacciandomi di tenere modo che questo così-fatto essercizio non potessi fare. Ma, perché a la virtù dell'umilitade, col lume de la santissima fede, l’inferno non può resistere, più s'univa e lavorava con ferri di fuoco; udendo parole nel conspetto de la divina maestà tanto attrattive, e promesse per dare allegrezza, e perché in verità era così in tanto misterio, la lingua oggimai non è più sufficiente a poterne parlare.

Ora dico: grazia, grazia sia all'altissimo Dio eterno, che ci ha posti nel campo de la battaglia, come cavalieri, a combattere per la Sposa sua con lo scudo de la santissima fede (Ep 6,16). Lo campo è rimaso a noi libero, con quella virtù e potenza che fu sconfitto lo demonio che possedeva l'umana generazione; lo quale fu sconfitto non in virtù de l'umanità, ma in virtù de la deità. Non è dunque né sarà sconfitto lo demonio per lo patire dei corpi nostri, ma ne la virtù del fuoco de la divina ardentissima e inestimabile carità.



372. Al missere Carlo della Pace dovendo venire in adiuto della santa Chiesa, lo quale poi fu re di Puglia overo di Napoli.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi cavaliere virile che virilmente combattiate per gloria e loda del nome di Dio, e per la essaltazione e reformazione della santa Chiesa.

Ma attendete, carissimo fratello, che questo bene non potreste fare - d'essere virile e sovvenire alla necessità della Chiesa santa - se prima non combatteste e faceste guerra coi principali tre nostri nemici, cioè col mondo, col demonio, e con la fragile carne nostra, i quali sono tre principali tiranni che uccidono l'anima, quanto a grazia, in qualunque stato si sia, se ella con la mano del libero arbitrio apre la porta della volontà e mettegli dentro.

Lo mondo ci percuote con le vane e disordinate allegrezze, ponendoci dinanzi all'occhio dell'intelletto nostro stati, onori, ricchezze e grandezze, con scelerati diletti; le quali cose tutte sonno vane e corruttibili, che tutte passano come il vento, e sonno mutabili senza veruna fermezza. Questo vediamo manifestamente, che l'uomo oggi è vivo e domane è morto; da la sanità viene a la infermità; ora è ricco e ora è povero; testé è in grande altezza, e poco stante è venuto in grande bassezza.

Bene se n'avedell’uomo savio e prudente, e però fa guerra con lui, traendone il cuore e l'affetto per disordinato amore; serragli la porta della volontà; usalo come cosa prestata, e non come sua cosa; tienle care, le sue cose, quanto elle vagliono, e non più; concepe odio alla propria sensualità quando le volesse tenere o desiderare fuore della volontà di Dio. Questi sconfige il nemico col coltello de l'odio del vizio e amore delle virtù; e con lo scudo della santissima fede ripara ai colpi dei movimenti dei vizii, quando venissero. Questi non dà luogo a la ingiustizia, che per guadagnare e acquistare lo stato, ricchezza o diletti mondani, faccia ingiuria al prossimo: no, poiché egli l'ha spregiato; e non leva il capo per superbia, riputandosi lo maggiore e volendo signoreggiare il prossimo suo ingiustamente - poiché egli è umiliato, perché ha spregiato sé e il mondo - ma vuolsi fare il più minimo, e facendosi piccolo diventa grande (Lc 9,48).

In qualunque stato si sia, o suddito o signore, egli è tenuto e obligato di fare guerra con questo tiranno.

Non dico che, se attualmente vuole possedere lo stato suo nel mondo, che egli non possa, e vivere in grazia. Anco può, ché noi aviamo di David, che fu re, e di santo Lodovico, e nondimeno furono santissimi uomini. Questi tenevano il reame attualmente, ma non con disordinato affetto o desiderio; e però riluceva in loro la margarita della giustizia - con vera umilità e ardentissima carità -: a ciascuno rendevano il debito suo, al piccolo come al grande e al povero come al ricco. Non facevano come quelli che oggi regnano, nei quali tanto abonda l'amore proprio di loro medesimi che di questo tiranno del mondo si vogliono fare dio. E da questo nascono le ingiustizie, omicidii e grandissime crudeltà, e ogni altro difetto.

Questi si mettono dentro nella città de l'anima il secondo nemico, del demonio, e il terzo, cioè la fragile carne sua: in tanto che si fa servo e schiavo del demonio e della carne, seguitando volontariamente le malizie e inganni suoi, e le varie e diverse cogitazioni; segue gli appetiti suoi carnali, invollendo la mente e il corpo suo nel loto della immondizia. Se egli è uomo che avesse donna contamina lo stato del matrimonio con molta miseria: in quello sacramento non sta con debita reverenzia, né per quello fine che gli è ordinato da Dio, ma come smemorato, cieco de l'anima e del corpo, si conducerà anco a quello maladetto peccato contro natura, lo quale pute a i demoni, non che a Dio - la infinita sua carità e misericordia ve ne campi, di questo e degli altri defetti -. E non pensano i miserabili che già la scure è posta a la radice de l'albero (Mt 3,10), e non resta se non di tagliare, pure che piaccia al sommo giudice; poiché doviamo morire, e non sappiamo quando.

Ma quegli che teme Dio, non fa così, poiché col lume della fede santa ha veduto quanto i gli è nocivo acordarsi con la volontà loro; e con esso medesimo lume vede che ogni bene è remunerato e ogni colpa punita e seguitandoli volontariamente offende, e doppo l'offesa segue la punizione. E però si leva col coltello de l'odio e dispiacere, e tagliane ogni disordinata volontà, facendo il contrario che questi nemici vogliono. Lo mondo vorrebbe essere amato, ed egli lo spregia. Lo demonio vorrebbe che la volontà sua consentisse a lui, e concepesse odio e pentimento verso il prossimo suo, e impissesi lo cuore di laidi pensieri; ed egli vuole fare la volontà di Dio, stare nella carità del prossimo, perdonare a chi gli fa ingiuria, e impire la mente e memoria sua dei beneficii che ha ricevuti dalla bontà di Dio. La fragile carne si vuole dilettare e satisfare agli appetiti suoi - la quale è una legge perversa nelle membra nostre che sempre combatte contro lo spirito -, ed egli fa tutto il contrario, ché la sottopone al giogo della ragione, affligendo e macerando il corpo suo. Saglie sopra la sedia della conscienzia, e tiensi ragione; unde, se è vergine, dà sentenzia di volersi conservare fino alla morte nello stato della virginità, lo quale egli ha eletto; lo continente, la continenzia; e quello che è nello stato di matrimonio conserva lo stato suo senza colpa di peccato mortale, cioè che in neuno modo voglia machiare quello sacramento.

Con questo dolce odore di purezza lavarà la immondizia della mente e del corpo suo con l'acqua della grazia, che con la buona e ordinata vita spegnerà lo incendio del disordinato fuoco. Farà compita guerra coi nemici suoi, e con vittoria fornirà la città dell'anima, tenendo chiusa la porta della volontà per non essere assalito da' nemici: e così chiusa col tesoro delle virtù, entra per la porta della dolce volontà di Dio, seguitando la dottrina di Cristo crocifisso, il quale dié la vita per la nostra salute con tanto fuoco d'amore.

Allora dispone la memoria a ritenere il beneficio del sangue de l'umile Agnello; l'intelletto a conoscere e intendere la sua volontà - che non vuole altro che la sua santificazione, e ciò che dà o permette a noi sue creature dà per questa cagione -; e dispone la volontà ad amarlo con tutto il cuore e con tutto l'affetto suo.

Questi si può chiamare cavaliere virile, ché virilmente ha conservata e guardata la città de l'anima sua da' nemici e malvagi tiranni che la volevano signoregiare; questi è atto a fare ogni gran cosa per Dio, cioè per gloria e loda del nome suo; e per la santa Chiesa può sicuramente pigliare la battaglia di fuore, poiché sì dolcemente ha combattuto e vinto dentro. Ma se ben non combattessimo dentro, male combatteremmo di fuore, e però dissi che prima vi conveniva combattere dentro coi tre vostri nemici principali.

Ora dico a voi, carissimo e dolcissimo fratello in Cristo dolce Gesù, che vi studiate di vincerli, purificando la conscienzia vostra con la santa confessione, e vivere con ordine e desiderio delle virtù; dilettandovi d'udire e d'osservare la parola dolce di Dio; stando con la continua memoria della morte e del sangue pagato per noi; cercando la conversazione di quelli che temono Dio in verità, che sieno savi, discreti e con maturo consiglio; e in tutte le vostre opere ponere Dio dinanzi agli occhi vostri, affinché giustamente rendiate a ciascuno il debito suo: a Dio la gloria, al prossimo la benevolenza, e in voi pentimento del vizio e amore della virtù. Ordenate la famiglia vostra, quanto v'è possibile, che vivano con ordine e col timore santo di Dio, affinché in verità potiate compire la volontà di Dio in voi.

Dio v'ha eletto per colonna nella santa Chiesa, affinché siate strumento ad estirpare la 'resia, confondere la bugia ed essaltare la verità, dissolvere le tenebre e manifestare la luce di papa Urbano VI, lo quale è vero sommo pontefice, eletto e dato a noi da la clemenza dello Spirito santo, a malgrado degli iniqui e malvagi uomini amatori di loro medesimi che dicono il contrario, e, come ciechi, non si vergognano di dire e fare contro loro medesimi, facendosi menzonieri e idolatri. Ché quella verità la quale essi annunziarono a noi, ora la diniegano; e quella reverenzia la quale essi gli fecero, a noi la vogliono togliere. Mostrano i matti che il timore gli facesse idolatri, adorando e facendo reverenzia a papa Urbano, lo quale è vero vicario di Cristo. Se egli non era, come ora essi dicono, come sostenere di cadere in tanta miseria e vergogna de l'anima e del corpo? Sì che vediamo che si fanno bugiardi e idolatri.

E non è grande tenebre questa, a vedere in tanta eresia contaminata la fede nostra? E non è grande miseria di vedere contaminare e fare contro la verità? Vedere l'Agnello essere perseguitato da' lupi, e vedere mettere l'anime nelle mani deli demoni, e smembrare la dolce Sposa di Cristo? Quale cuore è sì duro che non amolli? Quale occhio è quello che non spanda fiume di lacrime? Quale signore si può tenere che non dia tutta la forza sua per sovvenire a la fede nostra? Solo gli amatori di loro medesimi sonno quelli che non si sentono; indurati sono i cuori loro per il proprio amore, come quello di Faraone.

Non pare che la divina bontà voglia che il cuore vostro sia di sì-fatta durezza, e però vi chiama a sovvenire a la Sposa sua: ammollisi dunque il cuore vostro, e siate virile, con sollicitudine e non con negligenzia.



Venite festinamente, e non tardate più; ché Dio sarà per voi. Non è da aspettare tempo, poiché porta pericolo; Perciò venite e nascondetevi nell'arca della santa Chiesa sotto l'ale del vostro padre, papa Urbano VI, lo quale tiene le chiave del sangue di Cristo.

So che se sarete virile vi studiarete di compire la volontà di Dio, non curando di voi medesimo, altrimenti no: e però dissi ch'io desideravo di vedervi cavaliere virile; e così vi prego, per l'amore di Cristo crocifisso, che siate. Ché grande vergogna è ai signori del mondo, e spiacevole a Dio, di vedere tanta fredezza nei cuori loro che per ancora altro che parole non hanno sovenuto a questa dolce Sposa. Male darebbero la vita per questa verità, quando della substanzia temporale e aiuto loro umano le fanno caro: credo che grande reprensione n'avaranno. Non voglio che facciate così voi; ma con grande allegrezza diamo la vita, se bisogna.

Perdonatemi che troppo v'ho gravato di parole; l'amaritudine delle colpe e l'amore della santa Chiesa me ne scusi dinanzi a Dio e a voi. Altro non dico.

Rimanete etc. Gesù etc.





373. A maestro Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori ne la quale epistola essa predice la morte sua a dì 15 di febbraio 1380 e poi morì a dì 29 d'aprile 1380.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi una colonna nuovamente fondata nel giardino de la santa Chiesa, come sposo fedele de la verità, sì come dovete essere: allora reputarò beata l'anima mia.

Non voglio che volliate lo capo adietro per veruna aversità o persecuzione; ma nell'aversità voglio che vi gloriate, poiché nel sostenere manifestiamo l'amore e la constanzia nostra, e rendiamo gloria al nome di Dio; in altro modo, no. Ora è il tempo, carissimo padre, di perdere tutto sé, e di sé non pensare punto: sì come facevano i gloriosi lavoratori che con tanto amore e desiderio disponevano di dare la vita loro e inaffiavano questo giardino di sangue, con umili e continue orazioni, col sostenere fino a la morte.

Guardate che io non vi vegga timido che l'ombra vostra vi faccia paura, ma virile combattitore; e già mai da cotesto giogo dell’obbedienza che v'ha posto lo sommo pontefice non vi partite; e anco nell'Ordine adoperate quello che vedete che sia onore di Dio: questo ci richiede la grande bontà di Dio, e per altro non ci ha posti. Raguardate quanta necessità veggiamo ne la santa Chiesa, che in tutto la vediamo rimasa sola.

E così manifestava la Verità, sì come in una altra vi scrivo. E come è rimasa sola la sposa, così è lo sposo suo O padre dolcissimo, io non vi tacerò i misterii grandi di Dio; ma narrarogli lo più breve che si potrà, secondo che la fragile lingua potrà narrare e esprimere. E anco vi dirò quello che io voglio che voi facciate; ma senza pena ricevete ciò che io vi dico, perché io non so quello che la divina bontà si farà di me, o del farmi rimanere o del chiamarmi a sé. Padre, padre e figlio dolcissimo, ammirabili misterii ha Dio adoperati dal dì de la Circuncisione in qua, tanto che la lingua non sarebbe sufficiente a poterli narrare.

Ma lassiamo andare tutto quello tempo e veniamo a la domenica de la Sessagesima, ne la quale domenica furono, come in breve vi scrivo, quelli misterii che udirete, che già mai uno simile caso non mi parbe portare. Poiché tanto fu lo dolore del cuore, che il vestimento de la tonica si stracciò quanto io ne potei pigliare, rivoltandomi per la cappella come persona spasimata; e chi m'avesse tenuta propriamente m'averebbe tolta la vita. Venendo lo lunedì a sera io era constretta di scrivere a Cristo in terra e a tre cardinali. Fecimi aitare e anda'mene ne lo studio; e scritto che io ebbi a Cristo in terra non ebbi modo di scrivere più, tante furono le pene che crebbero al corpo mio.

E stando un poco, si cominciò lo terrore de i demoni per sì-fatto modo, che tutta mi facevano stordire, quasi arrabbiando verso di me, come se io, verme, fusse stata cagione di toller lo' di mano quello che lungo tempo hanno posseduto ne la santa Chiesa. Tanto era il terrore, con la pena corporale, che io volevo fuggirmi de lo studio, e andarmene in capella, come se lo studio fusse stato cagione de le pene mie.

Rizza'mi su, e non potendo andare m'appoggiai al mio figlio Barduccio. Subito io fui gettata giù; essendo gettata, parbe a me come se l'anima si fusse partita dal corpo - non per quello modo come quando se ne partì, poiché allora l'anima mia gustò lo bene de gl'immortali, ricevendo quello sommo bene con loro insieme -, ma ora parevo come una cosa riservata, ché nel corpo a me non pareva essere, ma vedevo lo corpo mio come se fusse stato un altro. E vedendo l'anima mia la pena di colui che era con con me, volse sapere se io aveva a fare nulla col corpo, per dire a lui: «Figlio, non temere»; e io non viddi che lingua o altro membro gli potessi muovere, se non come corpo separato da la vita.

Lassai stare lo corpo come egli si stava; e l'intelletto stava fisso nell'abisso de la Trinità: la memoria era piena del ricordo de la necessità de la santa Chiesa e di tutto lo popolo cristiano. Gridavo nel conspetto suo, e con sicurezza dimandavo l'aiutorio divino, offerendoli i desiderii, e constrignendolo per lo sangue dell'Agnello e per le pene che s'erano portate; e sì prontamente si dimandava, che certa mi pareva essere che egli non dinegarebbe quella petizione. Poi dimandavo per tutti voi altri, pregandolo che compisse in voi la volontà sua e i desiderii miei. Poi dimandavo che mi campasse da l'eterna dannazione, stando così per grandissimo spazio, tanto che la fameglia mi piangeva come morta. In questo tutto lo terrore de le demonia era andato via.

Poi venne la presenza de l'umile Agnello dinanzi all'anima mia, dicendo: «Non dubbitare, ché io compirò i desiderii tuoi e degli altri servi miei. Io voglio che tu vegga che io sono maestro buono, che fo come lo vasellaio, lo quale disfa e rifà i vaselli, come è di suo piacere. Questi miei vaselli io li so disfare e rifare, e però io piglio lo vasello del corpo tuo, e rifollo nel giardino de la santa Chiesa, con altro modo che per lo tempo passato». E stregnendomi quella Verità con modi e parole molto atrattive, le quali trapasso, lo corpo cominciò un poco a respirare, e mostrare che l'anima fusse tornata al vasello suo. Io era piena d'amirazione; e rimase tanto il dolore nel cuore, che anco me gli ho. Ogni diletto e ogni refrigerio e ogni cibo fu tolto da me.

Essendo poi portata nel luogo di sopra, la camera pareva piena di dimonia; e cominciarono a dare un'altra battaglia, la più terribile che io avessi mai, volendomi fare credere e vedere che io non fussi quella che era nel corpo, ma quasi uno spirito immondo. Io chiamavo l'aiuto divino con una dolce tenerezza, non refiutando però labore, ma bene dicevo: «Dio, intende al mio aiuto. Signore, affrettati d'aiutarmi (Ps 69,2). Tu hai permesso che io sia sola in questa battaglia, senza lo refrigerio del padre dell'anima mia, del quale io sono privata per la mia ingratitudine». Due notti e due dì si passarono con queste tempeste: vero è che la mente e il desiderio veruna lesione ricevevano, ma sempre stava fisso nell'obiettivo suo; ma lo corpo pareva quasi venuto meno.

Poi, lo dì de la Purificazione di Maria, volsi udire la messa: allora si rinfrescaro tutti i misterii; e mostrava Dio il grande bisogno che era, sì come apparbe poi, poiché Roma è stata tutta per rivoltarsi, sparlando miseramente con molta irreverenzia, se non che Dio ha posto l'unguento sopra i cuori loro, e credo che averà buona terminazione. Allora m'impose Dio questaobbedienza, che io dovesse tutto questo tempo de la santa quaresima fare sacrificare i desiderii di tutta la fameglia, e fare celebrare dinanzi a lui solo con questo respetto, cioè per la Chiesa santa; e che io ogni mattina all'aurora udissi una messa, che sapete che a me è una cosa impossibile, ma all’obbedienza sua ogni cosa è stato possibile.

Tanto s'è incarnato questo desiderio che la memoria non ritiene altro, l’intelletto altro non può vedere, e la volontà altro non può desiderare. E non tanto che refiuti le cose di qua giù per questo, ma, conversando coi veri cittadini, l'anima non si può né vuole dilettare nel loro diletto, ma ne la fame loro, la quale hanno e ebbero mentre che furo perregrini e viandanti (He 11,13 1P 2,11) in questa vita. Con questo e molti altri modi, i quali non posso narrare, si consuma e distilla la vita mia in questa dolce sposa, io per questa via, e i gloriosi martiri col sangue.

Prego la divina bontà che tosto mi lassi vedere la redenzione del popolo suo. Quando egli è l'ora de la Terza, io mi levo da la messa, e voi vedreste andare una morta a Santo Pietro; e entro di nuovo a lavorare ne la navicella de la santa Chiesa. Ine mi sto così infine presso all'ora del Vespro; e di quello luogo non vorrei uscire né dì né notte, fino che io non vedo un poco fermato e stabilito questo popolo col padre loro. Questo corpo sta senza veruno cibo, eziandio senza la gocciola dell'acqua, con tanti dolci tormenti corporali quanti io portasse mai per veruno tempo, in tanto che per uno pelo ci sta la vita mia.

Ora non so quello che la divina bontà si vorrà fare di me; quanto a quello che io mi sento - non dico che io senta la volontà sua in quello che egli vorrà fare di me, ma quanto al sentimento corporale - mi pare che questo tempo io lo debba consumare con uno nuovo martirio ne la dolcezza dell'anima mia, cioè ne la santa Chiesa; poi forse che mi farà resuscitare con lui: porrà fine e termine sì a le mie miserie e sì ai cruciati desiderii, o egli terrà i suoi modi usati, di ricerchiare lo corpo mio. HO pregato e prego la sua infinita misericordia che compia la sua volontà in me, e che voi né gli altri non lassi orfani, ma sempre vi dirizzi per la via de la dottrina de la verità, con vero e perfettissimo lume. Sono certa che egli lo farà.

Ora prego e constringo voi, padre e figlio dato da quella dolce madre Maria, che - se voi sentite che Dio volla l'occhio de la sua misericordia verso di me - voi rinovelliate la vita vostra, e, come morto ad ogni sentimento sensitivo, voi vi gittiate in questa navicella de la santa Chiesa. E siate sempre cauto ne le conversazioni: la cella attuale poco potrete avere, ma la cella del cuore voglio che sempre abitiate in essa, e sempre la portiate con voi, poiché, come voi sapete, mentre che noi ci siamo serrati dentro, i nemici non ci possono offendere. Poi ogni essercizio che farete sarà dirizzato e ordinato secondo Dio.

Anco vi prego che maturiate lo cuore con una santa e vera prudenzia; e che la vita vostra sia essemplare negli occhi dei secolari, non conformandovi mai coi costumi del secolo. E quella larghezza verso i poveri e povertà voluntaria che avete avuta sempre, si rinnuovi e rinfreschi in voi, con vera e perfetta umilità. E per veruno stato o essaltazione che Dio vi desse non la allentate mai, ma più vi profondate ne la valle da questa umilità, dilettandovi in su la mensa de la croce; e ine prendete lo cibo delle anime, abracciando la madre de l'umile fedele e continua orazione, con la vigilia, celebrando ogni dì, se non fusse per caso necessario. Fuggite lo parlare ozioso e leggiero; e siate e mostratevi maturo nel parlare, e in ogni modo.

Gittate da voi ogni tenerezza di voi medesimo e timore servile, poiché la Chiesa dolce non ha bisogno di sì-fatta gente, ma di persone crudeli a loro e pietose a lei. Queste sono quelle cose le quali io vi prego che vi studiate d'osservare.

Anco vi prego che lo Libro e ogni scrittura la quale trovaste di me, voi e frate Bartolomeo e frate Tommaso e il Maestro ve le rechiate per le mani; e fatene quello che vedete che sia più onore di Dio, con missere Tommaso insieme, nel quale io truovo alcuna recreazione. Pregovi ancora che a questa fameglia, quanto vi sarà possibile, voi lo' siate pastore e governatore, sì come padre, a conservarli in carità di carità e in perfetta unione, sì che non siano né rimangano sciolte come pecorelle senza pastore. E io credo fare più per loro e per voi doppo la morte mia che ne la vita. Pregarò la Verità eterna che ogni plenitudine di grazia e doni, che egli avesse dati nell'anima mia, gli trabocchi sopra voi altri, affinché siate lucerne poste in su lo candelabro (). Prego voi che preghiate lo Sposo eterno che mi facci compire virilmente l'obedienzia sua, e mi perdoni la moltitudine de le iniquitadi mie.

E voi prego che mi perdoniate ogni disobbedienza irreverenzia e ingratitudine, pena e amaritudine che io v'avesse data, e che io ho usata e commessa verso di voi, e la poca sollicitudine che io ho avuta de la vostra salute; e dimandovi la vostra benedizione. Pregate strettamente per me e fate pregare, per l'amore di Cristo Crocifisso. Perdonatemi, che io v'ho scritte parole d'amaritudine; non ve le scrivo per darvi amaritudine, ma perché sto in dubio, e non so quello che la bontà di Dio si farà di me: voglio avere fatto lo debito mio.

E non pigliate pena perché corporalmente siamo separati l'uno da l'altro, che poniamo che a me fusse di grandissima consolazione, maggiore m'è la consolazione e l'allegrezza di vedere lo frutto che fate ne la santa Chiesa. Ora più sollicitamente vi prego che adoperiate, poiché ella non ebbe mai tanto bisogno; e Cristo in terra e messere Tomasso vi mandano i ferri coi quali potiate bene lavorare; e per nessuna persecuzione vi partite mai senza licenzia di nostro signore lo papa. Confortatevi confortatevi in Cristo dolce Gesù, senza veruna amaritudine. Altro non vi dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



374. A messer Bartolomeo della Pace.

Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

Carissimo e reverendo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi cavaliere virile e non timoroso, considerando me che il timore servile priva della forza dell'anima e non può piacere al suo Creatore. Conviensi dunque al tutto togliere questo timore.

Non mi pare che l'uomo abbi cagione di temere, poiché Dio l'ha fatto forte contro ogni aversario. Che può il demonio contro noi? egli è fatto infermo; perduta ha la potenza per la morte del Figliolo di Dio. Che può la carne, che è infermata per li flagelli e battiture di Cristo crocifisso? cioè, che l'anima che raguarda il suo Creatore, Dio e Uomo, dissanguato in su lo legno della santissima croce, pone freno di subito a ogni movimento carnale e sensuale. Che potrà lo mondo, con la superbia e stolte delizie sue? sconfitto l'ha colla profonda umilità, sostenendo obrobrio e vitoperio. Debasi confondare l'umana superbia d'insuperbire, dove Dio è umiliato. Così dicea il nostro Salvatore, invitandoci a non temere di timore servile, dicendo: «Rallegratevi, ch'io ho vinto il mondo» (Jn 16,33). Sì che i nimici sono sconfitti e l'uomo è forte, e di tanta fortezza che da veruno può esser vinto, se egli non vorrà. Questo dolce Dio ci ha data la fortezza della volontà, che è la rocca de l'anima, che né demonio né creatura me la può togliere. Perciò bene possiamo star sicuri e non timorosi.

La sicurezza vostra voglio che sia in Cristo dolce Gesù: egli ci ha vestiti del più forte vestimento che sia, dell'amore, affibiato con la maglia del libero arbitrio, che il puoi asciogliare e legare, secondo che vogli. Se questo vestimento della carità egli lo vuole gettare, egli può, e s'egli il vuole tenere, anco può. Pensate, carissimo padre, che il primo vestimento che noi avessimo fu l'amore, poiché fumo creati all'imagine e similitudine di Dio solo per amore; e però l'uomo non può stare senza amore, ché non è fatto d'altro che d'esso amore: ché ciò ch'egli ha, secondo l'anima e secondo il corpo, ha per amore, perché ha lo padre e la madre dato l'essere al figlio, cioè della sustanzia della carne sua, mediante la grazia di Dio, solo per amore.

Però è tanto obligato il figliolo al padre, ed eziandio per l'amore ched egli gli ha - che ve lo inchina la natura - non può sostenere nulla del padre, d'ingiuria che gli sia fatta, s'egli è vero figlio. (Guarda già che, per un amore proprio di sé, egli fosse venuto a odio con lui: costui non segue la natura sua, ma per la sua cecità n'è uscito fuore). Veramente così è, caro padre in Cristo dolce Gesù, che l'anima naturalmente in sé medesima die amare e seguire il suo Padre Creatore, Dio eterno: che, vedendo che Dio l'ha creata solo per amore, sentesi trare verso di lui, e non puote sostenere le 'ngiurie che gli sien fatte.

Vuolne fare la vendetta, per l'amore ch'egli ha al padre, e questa è la ragione perché l'anima vuole sempre fare vendetta contro la parte sensitiva, che è suo nimico mortale; poiché colui che va drieto a essa sensualità, egli rimane morto di morte eterna, crocifige Cristo un'altra volta, ché voi sapete che solo per lo peccato egli morì. Sì che l'anima inamorata di Dio, sommo eterno Padre, vuole seguire la natura sua; l'amore gli fa perdare, e l'amore fa vendetta di sé medesimo, percotendo la falsa passione sensitiva: lo demonio, lo mondo e la carne percotendo col coltello de l'odio e dell'amore, odio e pentimento del peccato, amore de la virtù, dilettandosi di quello che Dio amò, odiando quello che egli odiò. Allora rende l'anima il debito suo al padre, segue la sua natura, già mai non n'esce. Guarda già che non ci mettesse lo veleno dell'amore proprio di sé medesimo, d'amarsi fuore di Dio, ponendo lo studio suo nelle dilizie, stati e diletti del mondo, far della carne sua uno dio tenendola con disordinato diletto e dilicatezze. Questo cotale, non tanto che facci vendetta del nimico che gli ha morto il padre, ma esso medesimo l'uccide.

Or non voglio che sia in voi, ma voglio che seguitiate l'anima gentile vostra, che Dio v'ha data; con amore e libero arbitrio vi strignete e vi legate questo vestimento, che non sarà demonio né creatura che ve il possa togliere. Così vestito e armato delle virtù, col coltello de l'odio e dell'amore, perderete il timore servile, possederete la città dell'anima vostra; non ne schifarete mai i colpi di veruna tribulazione o pena che poteste sostenere, né voltarete il capo adietro, cioè cominciando a intrare nella via delle virtù e poi rivoltarvi lo capo adietro a ripigliare lo vomito dei peccati mortali. Non voglio così, ma con una vera perseveranza fino a l'ultimo: poiché il cominciare non è coronato né degno di gloria, ma solamente lo perseverare. Grande viltà è dell’uomo di cominciar una cosa e non trarla a fine. O di quanta confusione sarebbe degno quel cavaliere, che si trova nel campo della bataglia, ed i voltasse le spalle adietro! Su, padre carissimo, non più negligenzia, né voltate più lo capo adietro a raguardare le stolte miserie del mondo, ché passano i deletti suoi come il vento, senza veruna fermezza o stabilità. Non vi fidate della gioventudine del corpo vostro, né delle signorie del mondo: testé l'uomo è vivo, testé è morto; testé sano, testé infermo; testé signore, testé è fatto servo. Dunque, quanto è stolto l'uomo che ci pone l'afetto disordinato: fidasi di quello che non si può fidare, aspetta quello tempo che non può avere e fugge quello ch'egli può avere e tenere per suo, cioè la grazia, ché la può avere quantunque i vuole e quando egli vuole - non per sé, ma per essa grazia, dono di Spirito santo, che gli ha dato il libero arbitrio -.

O inestimabile dolcissima carità, chi t'ha mosso? solamente l'amore. O dolcissimo amore Gesù, per fare più forte questa anima e torli la debolezza nella quale era caduta per lo peccato, tu l’hai murata attorno attorno, intrisa la calcina coll'abbondanza del sangue tuo, il quale sangue fa unire e conformare l'anima nella divina dolce volontà e carità di Dio. Ché, come in mezzo tra pietra e pietra, per conformarse insieme in fortezza, vi si mette la calcina intrisa con l'acqua, così Dio ha messo in mezzo fra la creatura e sé il sangue dell'unigenito suo Figlio, intriso colla calcina viva del fuoco dell'ardentissima carità: però non è sangue senza fuoco, né fuoco senza sangue. Isparto fu il sangue col fuoco dell'amore che Dio a l'umana generazione ebbe. Per questo muro è fatto l'anima tanto forte che veruno vento contrario lo potrà dare a terra, se non vorrà smurarlo sé medesimo, dandovi col piccone del peccato mortale.

Qual sarà quello cuore tanto duro e ostinato che non si muova, a raguardare tanto infinito amore e la grande sua dignità, dove egli è posto, per grazia di Dio e non per debito? Non sarà veruno che, raguardandolo e ponendoselo per oggetto, che non trapassi ogni sensualità, e non disolva ogni durezza e ignoranza; riceverà perfettissimo lume e cognoscimento di sé, vedendo e conoscendo sé non essere e la bontà di Dio in sé, che gli ha dato l'essere e ogni grazia ch'è fondata sopra l'essere. Accendasi lo cuore e l'anima vostra in Cristo dolce Gesù, con amore e desiderio, a rendarli cambio a tanto amore, a rendarli vita per vita. Egli ha dato la vita per voi, e voi vogliate dare la vita per lui, sangue per sangue. E io v'invito, da parte di Cristo crocifisso, a darlo lo sangue vostro per lo sangue suo, quando verrà lo tempo aspettato da' servi di Dio, d'andare a racquistare quello che ci è tolto, cioè il luogo santo del sepolcro di Cristo, e sì l'anime degl'infedeli, che sono nostri fratelli, ricomperati del sangue di Cristo come noi: e il luogo trare delle mani loro, e l'anime loro delle mani deli demoni e della loro infideltà. Invitovi a non esser negligente né tardare quando sarete invitato, quando il padre santo rizzarà il gonfalone della santissima croce, ordenando il santo e dolce passagio. Non mi pare che sia veruno che se ne debba ritrare né fugirlo, ch'egli non corra: per timore di morte non tema. E però dissi ch'io desideravo di vedervi cavaliere virile e non temoroso; lo sangue vi farà inanimare e fortificaravi, torravi ogni timore.

Pregovi, per l'amore di Cristo crocifisso, che con letizia e desiderio atenete la 'nvitata di queste dolci e gloriose nozze, ch'elle sono nozze piene di letizia, di dolcezza e d'ogni soavità. A queste nozze si lascia la immondizia, e libera della colpa e della pena; pasceli alla mensa dello Agnello, ch'è cibo in essa e servitore. Vedete che il Padre ci è mensa, che tiene in sé ogni cosa che è, eccetto che il peccato - che non è - non è in lui. Lo Verbo del Figlio di Dio ci è fatto cibo, arrostito al fuoco dell'ardentissima carità. Lo Spirito santo ci è servitore, essa carità, che per le sue mani ci ha donato e dona Dio. Ogni grazia e dono spirituale e temporale egli ce la ministra continuamente: bene sareste semplice, voi e chi lo facesse, che si dilungasse da tanto diletto! Parmi che ogn'uomo, se non potesse andare ritto, vi vada carponi, affinché possiamo mostrarli segno d'amore a lui, dandogli la vita per amore della vita, scontare i peccati e difetti nostri con lo strumento del corpo, sì come collo istrumento del corpo abbiamo offeso.

Questa sarà la santa e dolce vendetta che noi faremo di noi medesimi. Essendo vinta questa parte sensitiva e fragile corpo nostro, rimarremo vincitori. La ragione e l'anima nostra rimarrà libera e donna; possederà Dio, ch'è sommo eterno bene. Non indugiamo più tempo, padre carissimo: seguitate le vestigia di Cristo crocifisso, bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, ponetevi per oggetto dinanzi agli occhi dell'anima vostra Cristo crocifisso, affinché rimaniate in amore e in timore filiale, temendo la colpa e non la pena. Non dico di più. Perdonate alla mia ignoranza; l'amore e il desiderio mi scusi, e il dolore di vederci correre ostinati e accecati nelle miserie del peccato mortale.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.


*375. DESTINATARIO IGNOTO



Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi piena la memoria del sangue di Cristo dolce Gesù crocifisso, e aperto l'occhio dell’intelletto a riguardare il fuoco della divina carità, la quale v'è manifesta in esso sangue di Cristo Gesù dolce.

Allora la volontà e l'affetto s'empierà e sazierà d'amore, poiché l'affetto ama quello che lo intelletto ha veduto; e così vedrò accordate e riunite le tre facoltà dell'anima nostra, e sarà adempiuta quella parola che disse lo nostro Salvatore: «Quando saranno due o tre congregati nel nome mio, io sarò in mezzo di loro» (Mt 18,20), e veramente così è. E questo parve che il nostro Salvatore volesse dire: che, riunite le tre facoltà dell'anima, che la memoria s'empia del sangue e dei benefici d'Dio, l'occhio dell’intelletto veggia, ponendosi per obbietto l'amore ineffabile che Dio gli ha, e la volontà ami.

Segue che, riunite queste tre facoltà, tutte le opere che l'uomo fa e adopera, tutte sono riunite nel nome di Dio, perché per lui è fatto ogni cosa. Allora l'anima nostra gode, ché si vede avere Dio in mezzo di sé per grazia e per affetto dolce d'amore. Perciò io voglio che siate sollecito ad andare alla fonte del sangue, e empietene il vasello della memoria vostra. Altro non dico. Pregovi per l'amore di Cristo crocifisso etc.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Dolce Gesù, dolce Gesù. Amen.



*376. DESTINATARIO IGNOTO Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.



A voi, carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, iscrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vestito di Cristo dolce Gesù, e spogliato dello antico vecchio peccato, lo quale procede dallo amore propio sensitivo che l' uomo ha a sé medesimo.

Oimé! egli è quell'amore che acciega l'anima, toglie la vita e dàgli la morte, toglie la ricchezza della virtù e dàgli la povertà: egli è iscordante del prossimo suo. S'egli è suddito, non ubbidisce, perché è fondato in superbia; s'egli è prelato o signore, non corregge, per timore di perdere la signoria; s'egli è giudice, non giudica giustamente secondo coscienza, ma secondo le volontà e piaceri degl'uomini. Tutto questo procede dalla perversità dell'amore propio, ché se l'uomo non amasse sé per sé, ma amasse sé per Dio, non farebbe così: col timore suo farebbe ciò che avesse a fare, tenendo Dio dinanzi agli occhi dell’intelletto suo (e perde l'amore sensitivo, e acquista un amore ineffabile del suo Creatore; spoglia sé dell'uomo vecchio, e veste sé dell'uomo nuovo, ché, vestendosi d'amore d'affetto di carità, si trova vestito di Cristo crocifisso, cioè che non cerca né Dio né virtù sanza fatica, ma per la via della croce, seguitando le vestigie della prima dolce Verità).

Questo fa l'anima inamorata d'Dio, che poi ch'è aperto l'occhio dell’intelletto a riguardare l'amore inistimabile che Dio gli ha - che per amore gli ha dato il Verbo dell'unigenito suo Figlio, e il Figlio ha dimostrato l'amore con pena, sostenendo infine alla obbrobriosa morte della croce -, allora concepe tanto amore in sé che in tutto egli vuole seguire in pena e in croce, sostenendo fame e sete, persecuzione, molestie dal mondo, dal demonio e da sé medesimo; con tutti resiste e combatte, per amore della virtù.

Egli ama quello che Dio ama, odia quello che Dio odia, perché Cristo benedetto amò la virtù e avea in odio il peccato, e però ne volle morire e punirlo sopra il corpo suo. Costui il volle seguire; per sì-fatto modo n'è fatto amatore delle pene, che se fussi possibile avere virtù sanza fatica non la vuole, per unirsi con Cristo crocifisso.

Costui fa il contrario che colui che è nello amore propio: egli ha il cuore largo e liberale d'amare Dio e il prossimo suo come sé medesimo, ubbidiente e umile sanza superbia, giusto giudice che rende a ciascuno il debito suo; non è cieco né ignorante, anzi è illuminato, e - vera sapienza! - discerne e vede quello che ha a fare, perché egli ha tratto da sé l'amore propio che l'accecava; riceve l'aiuto della grazia, collo amore divino e lume della fede, mediante il sangue del Figlio d'Dio: di questo si sazia e sì se ne inebria di fuoco d'amore. Veste sé dell'uomo nuovo, che ripara ai colpi delle ricchezze e delle avversità del mondo e agli inganni del demonio, e in tutti è forte; per Cristo crocifisso sé reputa fare ogni cosa. Nelle pene si diletta, nei diletti temporali si contrista, per odio e pentimento della parte sensitiva che è stata ed è ribella al suo Criatore. A questo modo si spoglia dell'amore di sé, e vestesi dello amore d'Dio. Vedete quanto è necessario ad essere vestito di sì glorioso vestimento. Essendo noi posti in questo campo della battaglia, per gli colpi che ci sono dati verremo meno, però dissi io che io desideravo di vedervi vestito, considerando me che altro modo non c'era per potere gustare e avere Dio per grazia in questa vita. Priegovi che siate sollecito e non nigrigente, cercando le vie e modi lo quale vel faccino avere.

Iscrivestimi se mi parea il meglio lo stare di qua, perché avate desiderio per più pace e salute vostra, del venire. Figlio mio dolce, io non so bene discernere quale sia il meglio, ma voi avete provato di qua e di costà; dove voi trovate più pace e più quiete e meno pericolo dell'anima vostra, quello pigliate, secondo che lo Spirito santo v'amaestra. E io ho pregato e pregherò lui che v'ispiri, o qui, o costì, o a Roma, di farne quello che sia più onore suo e bene di voi. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità d'Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



*377. AI signori Priori dell'arte e il Confaloniere della giustizia della città di Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli e signori miei in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi legati e uniti nel legame della carità, lo quale legame è di tanta fortezza che né demonio né creatura il può tagliare, e di tanta unione che nessuno può separare l'anima ch'è unita in questa perfetta carità.

Non la può separare il mondo coi suoi inganni, né colle sue frode, né colle sue mormorazioni e infamie; né il demonio colla sua astuzia né con diversi e sottili inganni suoi, che spesse volte con inganni si pone in sulla lingua della creatura facendoli dire parole di rimproverio al prossimo suo - questo fa solo per privarlo dell'unione della carità -; né la propria sensualità colla fragile carne la può separare, ma coi lume della ragione la dispregia con pentimento della propria colpa sua. Questi combatte virilmente col mondo, e non n'è mai vinto, ma sempre vince, perché Dio, che è somma e eterna fortezza, è dentro nell'anima sua per grazia; e in qualunque stato la persona è, vive virilmente e con affetto di virtù quando è legato in sì dolce legame, e unito nella carità e carità dolce del prossimo suo.

Se egli è suddito secolare, egli è sempre obediente alla legge divina, oservando i dolci comandamenti di Dio, e alla legge civile, non trapassando le costituzioni e comandamento del signore suo; se egli è religioso, è oservatore dell'Ordine fino alla morte; e se viene a stato di signoria, in lui riluce la margarita della santa giustizia, tenendo ragione e giustizia al picciolo come al grande, e al povaro come a ricco. E non la guasta questa virtù della giustizia né per piacere alli uomini, né per rivenderia di pecunia, né per amore che egli abbi al suo bene particulare, poiché non atende al suo bene proprio ma al bene universale di tutta la città, e però apre l'ochio dell’intelletto non passionato per alcuna ingiuria che egli abbi ricevuta, ma al bene comune.

Questa è quella dolce virtù che pacifica la creatura col suo Creatore, e l'uno cittadino coll'altro, perché ella esce della fontana della carità e vincolo d'amore e unione perfetta, la quale ha fatta in Dio e nel prossimo suo. Onde considerando me ch'ella v'è tanto di necessità, e singularmente in questo tempo, dissi che io desideravo di vedevi legati e uniti nel legame della carità, poiché in altro modo non verreste in effetto di quello che disiderate.

Voi avete desiderio di riformare la vostra città; ma io vi dico che questo desiderio non s'adempirà mai, se voi non vi ingegnate di gittare a terra l'odio e il rancore del cuore e l'amore proprio di voi medesimi, cioè che voi non atendiate solamente a voi, ma al bene universale di tutta la città. Unde io vi priego per l'amore di Cristo crocifisso che per l'utilità vostra voi non miriate a mettere governatori nella città più uno che un altro, ma uomini virtuosi, savi e discreti, i quali col lume della ragione diano quello ordine che è di necessità, per la pace dentro e per confermazione di quella di fuori, la quale Dio ci ha conceduta per la infinita sua misericordia, d'avere pacificati i figli col padre, e rimesse noi pecorelle nell'ovile della santa Chiesa. E però fate che voi non siate ingrati a tanto beneficio, lo quale avete ricevuto da Dio, col mezzo delle lacrime e della continua orazione dei servi suoi, non per le nostre virtù, ma solo in virtù dell'afocata carità di Dio, lo quale non dispregia l'orazione e il desiderio dei servi suoi.

Dicovi che se non sarete grati e conoscenti al vostro Creatore si secarebbe verso di noi la fonte della pietà: unde io vi priego che giusto al vostro potere voi vi studiate di mostrare questa gratitudine, d'ordinare che voi tosto abiate le messe e l'asoluzione ordinata - affinché si possa dire l'oficio con voce di laude dinanzi a Dio -, e una processione ordinata con debita devozione, affinché i demoni - che per li nostri peccati hanno accopata la città e tolto il lume e il conoscimento alli uomini - si caccino, legandole con questo dolce legame della carità, e così non ci potranno nuocere, ma più tosto noi noceremo a loro. Per questo modo compierete lo vostro e il mio desiderio, cioè di riformare la città vostra in buono stato, e terretela in vera e perfetta pace. Ma se ognessuno volesse tirare a suo parere con poco senno di ragione, nol fareste mai, poiché la cosa che non è unita non può tenere pur la casa sua, non tanto che una città così-fatta. Vogliono essere uomini maturi, esperti, e non fanciulli, e così vi priego che facciate; e ingegnatevi di tenere i cittadini vostri dentro e non di fuore, poiché usciti non fece mai buona città, la quale reputo mia; e il dolore ch'io ho di vederla in tanta fatica me ne scusi.

Non credetti scrivarvi, ma a bocca con voce viva vi credetti dire queste simili parole, per onore di Dio e vostra utilità, ché mia intenzione era di visitarvi e fare festa con voi della santa pace, per la quale pace io tanto tempo mi sono afaticata in ciò che io ho potuto secondo la mia possibilità e la mia poca virtù; se più virtù avessi avuta, più virtù avrei adoperato. Fatta festa e ringraziato la divina bontà e voi, mi volevo partire, e andarmene a Siena. Ora pare che il demonio abbia tanto seminato ingiustamente nei cuori loro verso di me, che io non ho voluto ch'essi agiunghino più offesa sopra offesa, poiché quanto più se n'agiugnesse, più cresciarebbe ruina. Sonmi partita colla divina grazia, e priego la somma eterna bontà che pacifichi e unisca e leghi i cuori vostri, l'uno coll'altro, sì in affetto di carità che né demonio né creatura vi possa mai separare. Ciò che per me per la salute vostra si potrà adoperare, fino alla morte adoperrò volentieri, a malgrado dei dimoni visibili e invisibili, che vogliono impedire ogni santo desiderio.

Vommene consolata, perch'è compiuto in me quello che io mi puosi in cuore quando entrai in questa città, di mai non partirmi, se io ne dovessi morire, fino che io non vedessi pacificati voi figli col vostro padre, vedendo tanto pericolo e danno nell'anime e nei corpi. Dolorosa e con tristizia mi parto, lassando la città in tanta amaritudine; ma Dio eterno che mi possiede consolata dell'una mi consoli dell'altra, che io vi vega e senta pacificare in buono e fermo e perfetto stato, affinché potiate atendere a rendere gloria e loda al nome suo, e non con tanta aflizione stare sotto l'arme. Spero che la clemenza dolce di Dio vollerà l'ochio della sua misericordia, e compirà il disiderio dei servi suoi. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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