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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (3)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 19:43
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19/10/2012 19:23

342. A don Roberto da Napoli, prete secolare.

Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

A voi, riverendo e caro padre, per reverenzia di quello dolcissimo sagramento, io Caterina serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e racomandomivi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi unito e transformato nel fuoco de la divina carità, lo quale fuoco unì Dio con l'uomo, e tennelo confitto e chiavellato in croce.

O inestimabile e dolcissima carità, quanto è dolce l'unione che tu hai fatta con l'uomo! Bene hai dimostrato lo ineffabile amore per molte grazie e beneficii fatti a le creature, spezialmente per lo beneficio de la incarnazione del Figlio, cioè di vedere la somma altezza venire a tanta bassezza quanto è la nostra umanità. Bene si die vergognare l'umana superbia di vedere Dio tanto umiliato nel ventre de la gloriosa vergine Maria, la quale fu quello campo dolce dove fu seminato lo seme de la parola incarnata del Figlio di Dio.

Veramente, carissimo padre, questo benedetto e dolce campo di Maria!: fece in lei questo Verbo inestato ne la carne sua, come lo seme che si gitta ne la terra, che per lo caldo del sole germina e trae fuore lo fiore e il frutto, e il guscio rimane a la terra. Così veramente per lo caldo e fuoco de la divina carità che Dio ebbe all'umana generazione, gittando lo seme de la parola sua nel campo di Maria, o beata e dolce Maria, hai donato lo fiore del dolce Gesù. E quando produsse lo frutto questo benedetto fiore? Quando fu inestato in sul legno de la santissima croce: allora ricevemmo vita perfetta. E perché dicemmo: «lo guscio rimane a la terra», quale fu questo guscio? Fu la volontà dell'unigenito Figlio di Dio, lo quale, in quanto uomo, era vestito del desiderio suo dell'onore del Padre e de la salute nostra. E tanto fu forte questo smisurato desiderio, che corse come innamorato, sostenendo pene e vergogne e vitoperio fino all'obbrobiosa morte de la croce. Considerando, venerabile padre, che questo medesimo fu in Maria, ed ella non poteva desiderare altro che l'onore di Dio e la salute de la creatura, però dicono i dottori, manifestando la smisurata carità di Maria, che di sé medesima avrebbe fatto scala per ponare in croce lo figlio suo, se altro modo non avesse avuto. E tutto questo era perché la volontà del figlio era rimasa in lei.

Tenete a mente, padre, e non v'esca mai del cuore né de la memoria né dell'anima vostra, che sete stato offerto e donato a Maria. Pregatela ch'ella v'appresenti e doni al dolce Gesù figlio suo, ed ella come dolce madre e benigna, madre di misericordia, vi rapresentarà. E non siate ingrato né sconoscente, però ch'ella non schifa le petizioni, anco l'acetta graziosamente. Siate fedele, non raguardando per nessuna illusione di dimonia né per detto di nessuna creatura, ma virilmente corrite, pigliando quello affetto dolce di Maria, cioè che sempre cerchiate l'onore di Dio e la salute delle anime. E così vi prego, quanto fosse possibile a voi, di studiare la cella dell'anima e del corpo: ine vi studiate, per amore e per santo desiderio, di mangiare e parturire anime nel conspetto di Dio; e quando fuste richiesto nell'atto de le confessioni non ci commettete negligenzia nessuna, ma con perfetta sollecitudine vi studiate di trargli de le mani de i demoni. Questo sarà lo segno vero che siamo veri figli, poiché a questo modo seguiamo le vestigie del padre.

Ma sappiate che a questo affetto dil grande e smisurato desiderio non potremo pervenire senza lo mezzo de la santissima croce, cioè del crociato e affettuoso amore del Figlio di Dio, però ch'egli è quello mare pacifico che dà bere a tutti quelli che hanno sete e desiderio di Dio, e dà pace a tutti coloro che sono stati in guerra e voglionsi pacificare con lui. Questo mare gitta fuoco che riscalda ogni cuore freddo, e tanto lo riscalda fortemente, che ogni amore servile perde; solo rimane in perfetta carità e in santo timore di non offendare lo Creatore suo. E non temete, e non voglio che voi temiate, l’insidia e le battaglie de i demoni che venissero per robbare e tòllare la città dell'anima vostra. Non temete, ma, come cavaliere posto nel campo de la battaglia con l'arme e col coltello de la divina carità - che è quello bastone che flagella lo demonio -, sappiate che a non volere perdare l'arme con la quale ci conviene difendare, ce la conviene tenere niscosta ne la casa dell'anima nostra per vero cognoscimento di noi medesimi, ché quando l'anima conosce sé medesima non essare - ma sempre operatore di quella cosa che non è, cioè del vizio e del peccato - subito diventa umiliata a Dio e a ogni creatura per Dio, e conosce ogni grazia e ogni beneficio da lui; vede in sé traboccare tanta bontà di Dio che, per amore di lui e odio di sé, cresce in tanta giustizia di sé medesimo che volentieri, non tanto che ne vogli fare vendetta, ma egli sempre desidera che tutte le creature, eziandio gli animali, ne faccino vendetta di lui.

Ogni creatura giudica migliore di sé: nascene uno odore di pazienza, che non è neuno peso sì grande né tanto amaro che con buona pazienza, per amore e giustizia, egli non porti. E non vede sé, colui che è anegato in questo amore; non vede pene né ingiurie che gli sieno fatte - solo vede e raguarda all'onore di Dio e a la salute de le creature -: eziandio non tanto le cose amare, ma le cari e dolci e le consolazioni di Dio, per odio di sé, reputandosi indegno di tanta visitazione e consolazione quanta riceve da Dio. Per umilità grida spesse volte nel conspetto suo la parola di santo Pietro: «Parteti da me ch'io sono peccatore! » (Lc 5,8), allora Cristo più perfettamente si congiogne con l'anima, allora è diventato gustatore e mangiatore delle anime. Or così vi prego da parte di Cristo crocifisso che facciate voi.

Rimanete nel santo e vero cognoscimento di voi medesimo.





343. A Renaldo da Capua.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere in voi uno vero e perfettissimo lume, cioè lo lume de la santissima fede, poiché senza lo lume andaremmo in tenebre, e da le tenebre saremmo offesi. Convienci dunque avere il lume: or vediamo quale è quella cosa che ce il tolle; e che fa l'anima che ha in sé questo lume; e che frutto ne riceve. Se noi ci volliamo a vedere perché si perde l'occhio corporale, vediamo che si perde con coltello che percuote l'occhio, o con pietra o con terra, o per disordenato caldo - sì come sono quelli che sono abaccinati, che col caldo e lustro del baccino perdono il vedere, seccandosi la pupilla dell'occhio -; e in molti altri e diversi modi si perde la luce. Or vediamo quale è questo caldo e questo lustro che acieca l'occhio dell'intelletto, e disecca la pupilla de la santissima fede: è l'amore proprio, col lustro del piacere e parere umano. Quale è il coltello? è l'odio de la virtù. Le pietre sono li vizii, con le quali pietre percuote l'occhio, facendolo infedele a Dio e fedele al mondo, pigliando la terra con la mano del libero arbitrio - cioè con l'affetto terreno posto in cose transitorie, le quali in tutto offuscano l'occhio dell'intelletto -: subito che esso intelletto s'ha posto dinanzi a sé la terra, apparisce la notte, e così è continuamente offeso da le tenebre. E bene che molte siano le cagioni che ci privano del lume, ma queste sono le principali.

Che modo ci ha a fuggire le tenebre, e acquistare lo lume? Con quello medesimo modo che l'uomo l'ha perduto, con quello lo può riavere; non con quello medesimo affetto, ma con quello medesimo atto e con quella medesima mano del libero arbitrio, lo quale arbitrio non ci può legare né demonio né creatura, se esso medesimo con la propria volontà non lo lega.

Quale è quello baccino caldo, lo quale ci doviamo ponere dinanzi all'occhio dell'intelletto nostro? è Cristo Crocifisso, lo quale nel baccino de la nostra umanità tenne il grande calore, manifestando a noi lo fuoco e l'abisso de la inestimabile carità di Dio, col lustro de la deità eterna, natura divina intrisa e impastata col fuoco e con la natura nostra. Questo obiettivo di questo dolce Verbo Cristo Crocifisso gitta tanto calore e lume che disecca l'umido dell'amore proprio, e col lume suo dissolve le tenebre, ricevendo uno lume spirituale infuso nell'intelletto. Subito che lo lume è dentro nell'anima, comincia a togliere da sé quella cosa che le tolle lo lume, e ponere in sé quella che le dà lume. E però piglia lo coltello de l'odio del vizio, e con le pietre dell'amore de le virtù percuote l'occhio suo: cioè che l'occhio si pone sopra le virtù a raguardare la eccellenza loro, e quanto elle sono piacevoli a Dio, e utili a sé. Subito che l'ha vedute, viene uno vento sottile d'una fame de l'onore di Dio e salute delle anime, con uno desiderio di seguire la dottrina de la verità.

Questo desiderio è vento sottile che trae la terra dell'occhio, purificandolo continuamente con la umile continua e fedele orazione, ne la quale orazione tira a sé la clemenza de lo Spirito santo, lo quale dirizza l'affetto in un amore ordinato. Lo quale affetto trae a sé lo cielo e la terra, cioè che col lume vede che il cielo dell'anima e la terra - cioè il vasello del corpo del prossimo suo - si debba ponere ne la pupilla de la fede; e nell'affetto suo essere fedele, per onore di Dio, in cercare la salute delle anime, e subvenire al corpo ne la sua necessità, quanto gli è possibile. Or per questa via, mutando lo libero arbitrio l'affetto, riàe la luce sua. Molti sono gli altri modi, ma questi sono gli principali.

Vediamo ora che fa questo lume de la fede nell'anima. Fa questo, che parturisce uno figlio d'amore; e poi che è parturito ne la dottrina di Cristo Crocifisso, egli lo nutre ne la carità de la carità del prossimo, poiché senza essa questo figlio verrebbe meno, perciò che l'amore del Creatore non si può conservare senza l'amore de la creatura per Dio. Ma perché dissi che parturiva uno figlio d'amore? Perché tanto s'ama la cosa quanto si conosce, e tanto si conosce quanto si vede, e tanto è perfetto il vedere quanto è perfetto il lume, e l'uno nutre l'altro, sì come fa la madre che parturisce il figlio, e notricalo al petto suo; poi, cresciuto, lo figlio nutre la madre de la fatica sua, e così l'uno subviene all'altro.

Così lo figlio de la divina carità nutre lo lume, dando nell'anima i dolci e penosi desiderii nel conspetto dolce di Dio, seguitando le vestigie di Cristo Crocifisso - e non reputa di sapere altro che Cristo Crocifisso -, unto di vera umilità, gloriandosi negli obbrobrii e ne le pene di Cristo Crocifisso, dilettandosi di portare pene di corpo e di mente per qualunque modo Dio glili concede: in tutto è paziente. Chi l'ha fatto? La fede, poiché con lume cognobbe nel sangue di Cristo che Dio non voleva altro che la nostra santificazione; e ciò che dà, tribolazioni consolazioni e tentazioni, dà solo per questo fine: a ciò che noi siamo santificati in lui. E però il fedele è paziente, perciò che non si debba né può dolere del suo bene.

Lo fedele umile non vuole investigare gli occulti misterii di Dio in sé né in altrui, né le cose visibili né ne le invisibili; ma solo cerca di conoscere sé, e in ogni cosa conoscere e vedere l'eterna voluntà di Dio, gustandovi dentro lo fuoco de la sua carità. Egli non si vuole levare in alto come il superbo e presuntuoso, che, prima che egli abbi cognosciuto sé e sia entrato nella valle de l'umilità, si vuole ponere a investigare i fatti di Dio, pensando e dicendo: «Perché ha fatto Dio così? Perché ha dato questo a me, e non a colui?».

Questo presuntuoso vuole ponere legge a Dio, colà dove egli debba conoscere e considerare ne le diverse cose la grandezza sua, sì come fa l'umile fedele, che ogni cosa vede e considera ne la grandezza e potenza sua.

Molti sono che, senza umilità e senza studio in conoscere i defetti loro, assottiglieranno l’intelletto, e con l'occhio tenebroso vorranno vedere la profondità de la santa scrittura, e vorrannola 'sponere e intendere a loro modo: studieranno l'Apocalipse non con umilità né col lume de la fede - ma con infedelità s'avviluppano in quello di che non sanno riuscire; e così trae de la vita la morte, e del lume tenebre. La mente che deve essere piena di Dio, ed ella è piena di fantasie; e il frutto che ne li segue è la confusione e le tenebre de la mente. Questo gli adiviene perché inanzi che egli scendesse volse salire. Oh isvergognata la vita nostra, che non cognosciamo ancora noi medesimi! Né io osservo la legge che m'è posta, e voglio ponere la legge e conoscere le secrete cose di Dio! Nella profundità del pozzo de la vera umilità potremo conoscere e raguardare queste stelle dei misterii suoi. Così fa il fedele, che egli si getta in terra cercando la bassezza, e allora Dio lo fa bene alto; e non va cercando ragioni come possa essere, poiché la fede santa lo fa chiaro e certo di quello che il demonio o la propria passione gli mettesse in dubbio. Egli si specchia con lo specchio dell'orazione continua, cioè che continuamente si specchia ne la verità, e da la verità trae lo santo e vero desiderio, col quale desiderio gitta incenso dell'orazione umile. Questa fede fa il cuore schietto, che coraggiosamente confessa i defetti suoi, e non gli occulta per vergogna né per timore di pena; ma con odio de la colpa, con la santa confessione getta fuore lo fracidume suo, né per rimproverio che ne li fusse fatto non lassa però. Questo fa la fede; or vediamo che frutto ci dà.

Lo frutto suo è in questa vita la plenitudine de la grazia, e, nell'altra, vita eterna. Cui ha posto Dio che ce la amministri? La speranza. In cui virtù? In virtù del sangue de l'umile Agnello. Questa è quella speranza umile che non spera in sue virtù proprie, né si dispera per veruna colpa che fusse caduta nell'anima sua, ma spera nel sangue, e caccia la disperazione, giudicando maggiore la misericordia di Dio - la quale trova nel sangue - che la miseria sua.

O speranza dolce, sorella de la fede, tu sei quella che con le chiavi del sangue diserri vita eterna; tu guardi la città dell'anima dal nemico de la confusione; tu non allenti i passi tuoi - perché il demonio con la gravezza de le colpe commesse volesse confondere l'anima in disperazione -: non allenti, ma tutta virile perseveri ne la virtù, e ne la bilancia poni lo prezzo del sangue; tu poni la corona de la vittoria in capo a la perseveranza: perché tu sperasti d'averla in virtù del sangue, però l’hai. Tu sei quella che leghi lo demonio de la confusione, suggellandola col suggello de la fede; tu rispondi a uno sottile inganno che egli usa con l'anima per tenerla in continua tenebre e afflizione. Questo è che alcune volte l'anima averà confessato lo difetto suo coraggiosamente, che per malizia non ha riservato nulla; e il demonio allora - per impacciarli la mente, e perché l'anima con ardore di cuore non riceva lo frutto de la confessione - gli vorrà fare vedere che egli non sia bene confessato dei difetti suoi, dicendo: «Tu non gli hai detti tutti; e quelli che hai detti, non gli hai aperti per quello modo che tu debbi», con molte altre passioni e cogitazioni che il demonio manda nell'anima. Se allora l'anima non si leva con prudenzia e con speranza, ella permane in una tiepidezza, in tremore e affanno di mente, e in una tenebre, legandosi i piedi del santo desiderio, allacciandosi nel laccio de la confusione, come detto è; ella è privata dell'allegrezza, ed è fatta incomportabile a sé medesima.

Che modo ci ha a riparare che non venga a disperazione? Non c'è altro remedio se non che col lume de la fede raguardi la conscienzia sua, la quale gli mostra che voluntariamente né con malizia non ha lassato veleno di colpa nell'anima che non l'abbi sputato con la confessione. Con umilità confessi d'averli bene detti imperfettamente, non agravando la colpa quanto la poteva agravare: questa confessione vuole essere condita con la speranza, sperando nel sangue di Cristo che quello che manca da la parte sua, egli sarà quelli che lo compirà.

L'altro remedio è che con lume raguardiate quanto sete ineffabilmente amato da Dio, lo quale amore non dispregia lo testimonio de la buona conscienzia, né sosterrebbe che nell'anima rimanesse cosa che fusse in offesa sua. Con questa fede amore e speranza s'annieghi ne la misericordia di Dio, discredendo a sé medesima; e con semplicità di cuore dire i difetti suoi, e non gravarsi più; lasciare stare lo pensiero di sé e pensare ne la misericordia di Dio, la quale ha ricevuta e riceve continuamente. E se pur la battaglia e molestia ritorna, gittisela doppo le spalle quanto ad afflizione, e dinanzi se la ponga per umiliazione e cognoscimento di sé, col frutto de la vera e perfetta speranza: sperando, ché il sostenere, e passare per la via de la croce, è più piacevole a Dio, e più abbondantemente ricevarà lo frutto del sangue. Questo è lo remedio, carissimo fratello, che vi dà l'eterna verità contro la infermità vostra.

Ora abbiamo veduto quale è quella cosa che tolle lo lume, e quale è quella cosa che il rende; e veduto quello che fa la fede - come ella abbatte la superbia e priva della presunzione -, e il frutto che dà la fede, cioè la speranza. Poi che veduto l'aviamo meno che una minima sprizzarella, prego e stringo voi e me in Cristo dolce Gesù che noi passiamo con questo glorioso lume questo mare tempestoso, con ferma speranza e con vero cognoscimento di noi; gittando a terra ogni nostro volere e parere e piacere, per vera umilità; cercando di vestirci de la dottrina di Cristo Crocifisso con vere e reali virtù. Sono certa che avendo questo dolce lume voi lo farete, altrimenti no.

E però vi dissi che io desideravo di vedere in voi lo lume della santissima fede, e così vi prego che vi studiate d'averlo in voi. Pensate che Dio è più atto a perdonare che voi non sete stato a peccare. Sperate, e siate fedele al sangue e a la santa Chiesa, e a la verità del sommo pontefice. Altro non vi dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





344. A frate Raimondo da Capua, singolare padre dell'anima sua, de l'ordine dei Predicatori, in Genova.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere in voi il lume della santissima fede, il quale lume ci mostra la via della verità; e senza questo lume nessuno nostro essercizio, desiderio, né opera verrebbe a frutto, né a quel fine per mezzo del quale cominciassimo ad aoperare, ma ogni cosa verrebbe imperfetta.

Lenti saremmo nella carità di Dio e del prossimo: la ragione è questa, che pare che tanto sia l'amore quanto la fede, e tanta la fede quanto l'amore. Chi ama sempre è fedele a colui cui egli ama, e fedelmente il serve fino alla morte. A questo m'avveggo io che in verità non amo Dio né le creature per lui, ché se in verità io l'amasse io sarei fedele per sì-fatto modo che mi metterei alla morte mille volte il dì, per gloria e loda del nome suo, se tanto bisognasse; e non mi mancarebbe fede, perché per amore di Dio e della virtù e della santa Chiesa mi metterei a sostenere. Unde io crederei che Dio fosse lo mio aiuto e il mio difenditore, sì come egli era di quelli gloriosi martiri che con allegrezza andavano al luogo del martirio.

Se io fossi fedele non temerei, ma terrei di fermo che quello Dio è per me che per loro; e non è infermata la potenza né la sapienza e bontà sua per potere, sapere e volere provedere alla mia necessità. Ma perché io non amo, però non mi confido in lui, ma in me; lo timore sensitivo e servile mi dimostra che tiepido sia l'amore, e offuscato il lume della fede con la infedelità nel mio Creatore, e col fidarmi di me. Confesso, e non lo nego, che questa radice anco non è dibarbicata dell'anima mia; e però sono impedite le opere che Dio mi facesse fare e mettesse nelle mani, che non giungono a quel fine lucido e fruttuoso per che Dio le fa cominciare.

Oimé, oimé, Signore mio, guai a me! Troverommi io d'ogni tempo in ogni luogo e in ogni stato così? Chiuderò io con la mia infedeltà la via alla providenzia tua? Sì bene, se già tu per la tua infinita misericordia non mi disfai e rifai di nuovo. Perciò disfammi e rompi la durezza del cuore mio, affinché io non sia strumento che guasti le tue opere.

E voi prego, carissimo padre, che ne preghiate Dio strettamente, affinché io insieme con voi ci anneghiamo nel sangue de l'umile Agnello, il quale sangue ci farà forti e fedeli: sentiremo il fuoco della divina carità, saremo facitori con la grazia sua e non disfacitori né guastatori. Così dimostraremo d'essere fedeli a Dio - e di confidarci ne l'aiuto suo, e non nel nostro né in quello degli uomini -; con questa medesima fede ameremo la creatura, perché come la carità del prossimo procede dalla carità di Dio, così la fede in comune e in particulare, cioè de l'amore che generalmente dobiamo avere ad ogni creatura - questa è una fede generale -, così è una fede particulare di quelli che s'amano di più stretto amore: come questo? Che, oltre all'amore comune, Dio ha posto tra noi un amore stretto particulare, il quale amore dimostra la fede; e tanta ne dimostra, che non può l'uno credere né imaginare che l'altro voglia altro che il suo bene; e con sollicitudine il cerca con grandissima instanzia nel conspetto di Dio e delle creature, cercando sempre in lui la gloria e loda di Dio e utilità sua, strignendo l'aiuto divino che come egli agiugne i pesi, così agiunga fortezza e lunga perseveranza. Questa fede porta colui che ama, e per veruna cosa la diminuisce mai, né per detto di creatura, né per illusione del demonio, né per mutazione di luogo; e chi fa altrimenti, segno è che ama Dio e il prossimo suo imperfettamente.

Parmi, secondo che io intesi per la lettera vostra, che molte e diverse battaglie e cogitazioni vi sieno venute, per inganno del demonio e per la propria passione sensitiva, parendovi che vi fosse posto maggiore peso che non poteste portare; e non vi pareva essere da tanto che io vi dovesse misurare con la misura mia, unde stavate in dubitazione che in me non fosse diminuito l'affetto e la carità inverso voi. Ma voi non ve ne avedavate: e voi eravate quello che manifestavate che io l'aveva cresciuto, e voi scemato, poiché di quello amore che io amo me, di quello amo voi, credendo con fede viva che quello che manca dalla vostra parte, compirà Dio per la bontà sua. Ma non m'è venuto fatto, poiché voi avete saputo gittare a terra la soma; benché i ci sieno dimolte pezze per ricoprire la infedele fragilità, ma non sì-fatte che io non vegga dei punti assai, e buono mi parrà se non saranno veduti altro che per me. Sì che io vi mostro l'amore cresciuto in me verso voi, e non iscemato.

Ma che dicerò io, che la vostra ignoranza fosse tanta che voi desse luogo a uno dei minimi di quelli pensieri? E potreste voi mai credere che io volesse altro che la vita dell'anima vostra? E dove è la fede che sempre solete e dovete avere? E la certezza che n'avete avuta, ché, prima che la cosa si faccia, ella si vede e determina nel conspetto di Dio: non tanto questo che è così grande fatto, ma ogni minima cosa. Se foste stato fedele non sareste andato tanto vacillando, né caduto in timore verso Dio né verso me misera; ma, come figlio fedele pronto all’obbedienza, sareste andato, e fatto quello che si fosse potuto fare; e se non foste potuto andare ritto foste andato carpone; se non potevate andare come frate foste andato come peregrino; se non ci ha danari, foste andato per limosina. Questaobbedienza fedele avrebbe lavorato più nel conspetto di Dio e nel cuore degli uomini che non farebbono tutte le prudenzie umane; i miei peccati hanno impedito che io non gli ho veduta in voi. Sono bene certa che, benché i ci fosse la passione, pure aveste buona e santa intenzione e rispetto. E per meglio compire la voluntà di Dio e di Cristo in terra papa Urbano VI non vorrei poiché voi non foste andato, ma che foste andato subitamente per quel modo e per quella via che v'era posta innanzi.

Il dì e la notte n'era io costretta da Dio di questo e di molte altre cose, le quali, per la poca sollicitudine di chi l'ha a fare, ma massimamente per le mie iniquità che impediscono ogni bene, vanno vòte. E così ci vediamo annegare, e crescere l'offese di Dio con molto suplicio; e io vivo stentando. Dio per la sua misericordia mi tragga di questa tenebrosa vita. Vediamo nel reame di Napoli essere peggio questa ultima ruina che la prima; e disposto ad esservi tanti mali che Dio vi ponga il suo remedio. Egli per la sua pietà manifestava bene la ruina e i remedii che si dovessino pigliare, ma, come io dissi, l'abundanzia dei miei difetti impedisce ogni bene. Sopra queste materie averò molto che dirvi, se già io non ricevessi grandissima grazia, cioè che, prima che io vi rivedesse, fossi levata dalla terra. Sì che io dico che in tutto vorrei che foste andato; pongomene in pace, perché sono certa che nessuna cosa è fatta senza misterio, e anco perché io ne scaricai la conscienzia mia, facendo ciò che io potei perché al re di Francia si mandasse.

Facci la clemenza dello Spirito santo egli; ché noi per noi siamo gattivi lavoratori.

De l' andare ritto al re d'Ungaria, secondo che disse frate Petruccio, piacque assai al santo padre; e diliberato avea che voi con altri compagni andaste. Ora non so la cagione per che egli ha levato che non si vada, ma vuole che voi vi stiate per coteste parti e adoperiate quello bene che si può. Pregovi che ne siate sollicito: abandonate voi medesimo e ogni proprio piacere e consolazione; e gittinsi mughia sopra questi morti, e con le funi del santo desiderio e de l'umile orazione si leghino le mani della divina giustizia, lo demonio e l'appetito sensitivo.

Chi offera sé morto faccia l'offizio dei morti. Noi siamo offerti morti nel giardino della santa Chiesa, e a Cristo in terra padrone di questo giardino: il morto non vede, non ode e non sente cosa che gli sia fatta; voi che dovete essere morto, ma non sete però, isforzatevi d'uccidervi col coltello de l'odio e de l'amore, affinché non udiate gli scherni villanie e rimproverii che il mondo e i persecutori della santa Chiesa vi volessino dire o fare. L'occhio non vegga le cose impossibili a fare, né tormento che potesse venire; ma vegga col lume della fede che per Cristo crocifisso ogni cosa potrete, e che Dio non porrà maggiore peso che si possa portare. Ma nei grandi pesi dobiamo godere, perché allora ci dà Dio il dono della fortezza.

Con l'amore del sostenere si perda lo sentimento sensitivo, e così morti morti ci nutrichiamo in questo giardino: quando io il vedrò, reputerò beata l'anima mia.

Io vi dico, dolcissimo padre, che, vogliamo noi o no, il tempo d'oggi c'invita a morire; Perciò non mi state più vivo: terminate le pene nella pena, e crescete il diletto del santo desiderio nella pena - affinché la vita nostra non passi altro che con crociato desiderio -; e voluntariamente diamo il corpo nostro a mangiare alle bestie, cioè voluntariamente, per amore della verità, gittarci nelle lingue e nelle mani degli uomini bestiali, sì come hanno fatto gli altri che hanno lavorato, morti, in questo giardino dolce, e inaffiatolo col sangue loro, ma prima con le lacrime e sudori. Ma io (dolorosa la vita mia!) perché non ci ho messa l'acqua, ho rifiutato di metterci lo sangue. Non voglio più così; ma rinovellisi la vita nostra, e cresca il fuoco del desiderio.

Voi dimandate che io preghi la divina bontà che vi dia del fuoco di Vincenzio, di Lorenzo, e di Paulo dolce, e di quello vezzoso Giovanni, poi dite che farete grandi fatti e così goderò. Bene dite la verità, ché senza questo fuoco non fareste nulla, né piccola cosa, né grande; né io goderei in voi. E considerando me questo, che egli è così - e io gli ho veduto per pruova - m'è cresciuto uno stimolo, con grande sollicitudine nel conspetto dolce di Dio. E se voi mi foste appresso, in verità vi dimostrerei che egli è così; e dare'vi altro che parole. Rallegromi e voglio che vi rallegriate, ché, poi che il desiderio cresce, egli il vorrà compire in voi e in me, poiché egli è accettatore dei santi e veri desiderii, pure che voi apriate l'occhio dell’intelletto col lume della santissima fede, affinché cognosciate la verità della voluntà di Dio.

Conoscendola, l'amerete; amando, sarete fedele e non sarà obumbrato lo cuore vostro per veruno inganno di demonio.

Essendo fedele, farete ogni grande fatto per Dio, e perfettamente si compirà quello che egli vi mette nelle mani, cioè che non sarà impedito dalla vostra parte che non venga a perfezione. Con questo lume sarete cauto, modesto e pesato nel parlare, nel conversare, e in tutte quante le vostre opere; senza questo lume sareste tutto il contrario nei modi e nei costumi vostri, e in contrario vi verrebbe ogni altra cosa.

Conoscendo io che egli è così, dissi che io desiderava di vedere in voi il lume della santissima fede, e così voglio che voi abiate. E perché io voglio, e àmovi inestimabilemente per la vostra salute, e con grande desiderio desidero di vedervi nello stato dei perfetti, però vi pungo con molte parole, ma più volentieri farei di fatto; e uso rimproverii con voi, affinché continuamente torniate a voi medesimo.

Sonmi ingegnata e ingegnerò di farvi ponere pesi che sieno da perfetti per onore di Dio, e per invitare la sua bontà che vi facci venire all'ultimo stato della perfezione, cioè di mettere il sangue nella santa Chiesa, voglia la serva della sensualità, o no. Perdetevi nel sangue di Cristo crocifisso, e portate i miei difetti e le parole con buona pazienza; e quando vi fossino mostrati i difetti vostri, godete e ringraziate la divina bontà, che v'ha posto chi lavora sopra di voi, e veghi nel suo conspetto per voi.

Di quello che mi scrivete etc. Voi mi raccomandate l'Ordine nostro e io il raccomando a voi, ché sentendo come le cose stanno me ne scoppia il cuore in corpo. La Provincia nostra comunemente si mostra pure obediente a papa Urbano ed al vicario dell'Ordine, il quale vicario vi dico che, per la verità, si porta molto bene; e con assai prudenti modi, secondo il tempo che corre oggi, si porta nell'Ordine e contro a quelli che iniquamente contradicono alla verità. E chi dicesse il contrario, per quel poco che io ne conosca non sta verità nella bocca sua. Lo santissimo padre nostro gli ha comandato e data piena autorità che absolva tutti quelli provinciali che sono rebelli alla verità sua. Tempo è da non dormire, ma con grande sollicitudine pregare il dolce Spagnuolo nostro che non dorma sopra l'Ordine suo, lo quale Ordine fu sempre essaltazione della fede e ora n'è fatto contaminatore. Duolmene fino alla morte: non posso più se non di terminare la vita mia in pianto e in grandissima afflizione.

Di quello che mi scrivete, che Antecristo i membri suoi vi cercano diligentemente per potervi avere, non dubitate: ché Dio è potente a tor lo' il lume e la forza affinché non compino i desiderii loro. E anco dovete pensare che non sete degno di tanto bene; e però non ne dovete avere paura. Confidatevi, ché Maria dolce e la verità saranno per voi sempre. Io vile schiava, che sono posta nel campo dove è sparto il sangue per amore del sangue (e voi mi ci avete lasciata, e setevi andato con Dio), non mi restarò mai di lavorare per voi. Pregovi che facciate sì che voi non mi diate materia di pianto, né di vergognarmi nel conspetto di Dio. Come voi sete uomo nel promettere di volere fare e sostenere per onore di Dio, non mi siate poi femina, quando veniamo a serrare il chiovo, ché io mi richiamerei di voi a Cristo crocifisso e a Maria.

Guardate che egli non facci poi a voi come all'abbate di santo Antimo, che, per timore e per non tentare Dio, si partì da Siena e venne a Roma, parendogli avere fuggita la prigione e stare sicuro; e egli fu messo in prigione con quella pena che voi sapete: così sono conci i cuori pusillanimi. Siatemi tutto virile, che morte vi venga.

Sappiate che io non sarei ora qui se si fosse potuto andare sicuro - ma i non s'è potuto per mare né per terra -, ché diliberato era che io andassi a Napoli: pregate e fate pregare Dio e Maria che ne facci fare quello che sia suo onore. Frate Bartolommeo, il maestro, e frate Matteo e gli altri sono acconci a fare ciò che bisognerà per onore di Dio e utilità della santa Chiesa, e di sforzare le loro fragilità; essi e tutti gli altri e altre vi si raccomandano. La nonna vi benedice; e io v'adimando la vostra benedizione e pregovi che mi perdoniate di quello che non fosse onore di Dio e debita reverenzia vostra: l'amore me ne scusi.

Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





345. A la contessa Giovanna di Meleto e di Terra Nuova, in Napoli.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima sorella e figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spregiare il mondo - con tutte le sue delizie - col cuore e con l'affetto vostro, affinché in verità cerchiate la ricchezza di Cristo crocifisso.

E veramente che ragione e cagione n'abiamo di spregiarle, considerando la poca fermezza e stabilità loro, e quanto elle sonno nocive alla nostra salute. Non vorrei, però, che credeste che io dicessi che propriamente la sustanzia i beni temporali fussero nocivi a noi, e la morte nostra. Non è così, ma è il disordinato affetto e amore con che la creatura gli possiede: che s'elle fussero state nocive, Dio non l'avrebbe create né date a noi, poiché colui ch'è sommamente buono non può volere né fare nessuna cosa altro che buona. Sì ch'egli le fece buone, e per nostro bene. Chi le fa rie? Colui che l'usa male, possedendole senza timore di Dio. Ma tenendole col suo santo timore, aprezzandole quanto elle vagliono, e non più, non facendosi Dio delle creature, e ricchezze, e stati, onori del mondo - ma amarle, tenerle e dispensarle per Dio -, allora si possono tenere con buona coscienza.

è vero che maggiore perfezione e più piacevole a Dio è, e con più frutto e meno fatica, a lassarle mentalmente e attualmente. Dobiamo dunque, se attualmente le vogliamo tenere, trarne - e voglio che ne traiate - il cuore e l'affetto, poiché le ricchezze del mondo sonno una grande povertà; e mai non si possono possedere se non da colui che pienamente le spregia.

Ma la vera ricchezza è quella che non ci può essere tolta né impedita dal demonio, né da creature: sonno le vere e reali virtù. Questa è una ricchezza durabile che ci tolle ogni povertà; ella ci pasce di grazia, ella ci cuopre la nostra nudità, ella rende ragione nell'ultima stremità della morte dinanzi al sommo giudice; ella paga lo debito al quale siamo obligati, cioè di rendare a Dio lo debito dell'amore, il quale amore se gli rende e dimostra col mezzo de la virtù; ella ci acompagna in questa vita della peregrinazione, ch'è una via ne la quale abiamo molti nemici che ci si parano dinanzi per darci la morte. Ma tra gli altri, tre sonno i principali: cioè il mondo, lo demonio e la fragile carne, che ognuno si sforza di gittare saette avelenate. Lo mondo, coi falsi diletti e vani piaceri suoi; la fragile carne e sensualità nostra, col disordinato amore e vana e leggiera dilettazione; lo demonio, con le molte cogitazioni, e con farci tòllare le cose nostre, o farci fare altra ingiuria al prossimo nostro, per privarci della carità fraterna e farci venire odio e dispiacere verso del prossimo.

Di tutti questi nemici ci libarano le virtù: la virtù ci dà lume, e con lume ci conduce a la porta di vita eterna, la quale porta è diserrata col sangue di Cristo. Dentro v'entra la carità, ch'è madre di tutte l'altre virtù; l'altre rimangono di fuore, ed ella se ne mena lo frutto di tutte: poiché l'anima virtuosa, quando si parte di questa vita, entra a vita eterna con la virtù della carità; l'altre virtù in quella vita durabile non sonno necessarie, e però non vi si portano. Ine non bisogna la virtù della fede, poiché l'anima è certificata di quello che credeva; non vi bisogna speranza, però ch'ella ha quello che sperava d'avere. E così di tutte l'altre virtù le quali in questa vita ci conviene avere - e senza esse saremo private di Dio -; e ine bisogna solo la carità, cioè l'amore: poiché a vita eterna non è altro che amore, col quale gustiamo Dio con l'essenzia sua.

L'amore suo ci ha fatti degni di vederlo a faccia a faccia, nel quale vedere sta la nostra beatitudine; l'amore ci fa ine participare il bene l'uno de l'altro, e il bene di tutta la natura angelica, e di tutti quelli che sonno a vita eterna. Per amore Dio ci fa godere di sé medesimo; anco, in lui tutti godiamo, pieni e saziati nel mare pacifico dell'essenzia sua; e, saziati, hanno fame, ma di longa è la pena da la fame, e il fastidio da la sazietà. Egli è tanto l'amore e la carità fraterna tra loro, che il piccolo non ha invidia al grande, ma tutti sonno contenti e si riposano tutti l'uno nel bene de l'altro: sì che solo la carità ine è necessaria; e senza essa neuno vi può andare.

Questo bene non considera la miserabile creatura, né il male che ne gli segue, ché, per compire una propria volontà in male, fa contro la dolce volontà di Dio: per acquistare lo vizio lassa la virtù, per la morte perde la vita, per la cosa finita lassa lo 'nfinito, per li beni de la terra lassa i beni del cielo, per le creature lassa il suo Creatore; per servire al demonio e per seguirlo per la via della bugia, lassa di servire a Cristo crocifisso e seguire la dottrina sua, il quale è via verità e vita (Jn 14,6), e chi va per lui va per la luce, e non va per le tenebre; per impire lo cuore di queste cose transitorie del mondo si lassa perire di fame, non pigliando lo cibo angelico (lo quale cibo Dio per la sua misericordia ha dato agl'uomini: bene il vediamo, ch'egli è ministrato in su la mensa de l'altare, tutto Dio e tutto uomo); per vestirsi delle tristizie del mondo, si spoglia del vestimento nuziale (Mt 22,11), e perisce di freddo; e per tòllare l'altrui, tolle sé medesimo. Ma questi cotali, come ciechi e matti, non raguardano a tanti loro mali. Tutto l'adiviene per lo disordinato affetto che hanno posto nel mondo, possedendo e amando le cose temporali fuore della dolce volontà di Dio.

Non voglio che questo adivenga a voi, ma voglio, e ho detto ch'io desidero che il cuore e l'affetto vostro in tutto ne sia spogliato, cioè che voi amiate e teniate le creature e le cose create tutte per Dio, e senza lui non nulla: lui amate e lui servite con tutto il cuore e con tutte le forze vostre, senza neuno mezzo, con vera e profondissima umilità, amando lo prossimo vostro come voi medesima ().

Ma voi mi direte: «Come posso avere questa umilità, che mi sento piena d'amore proprio e inchinevole ad ogni atto di superbia?». Io vi rispondo che se voi vorrete, mediante la divina grazia, tosto la tagliarete da voi, la quale grazia è data a chiunque la vuole. Il modo è questo: che col lume raguardiamo l'umilità di Dio e il fuoco della sua carità, la quale umilità si vede tanto profonda che ogni intelletto umano ci viene meno. Or fu mai simile umilità? Certo no. I maggiore cosa, che vedere Dio umiliato a l'uomo? Vedere la somma altezza discesa a tanta bassezza? Essersi vestito de la nostra umanità - conversando Dio visibilmente tra gli uomini, portando le nostre infermità, povertà e miserie sopra sé medesimo -, e umiliatosi a l'obrobriosa morte de la croce? La grandezza s'è fatta piccola, a confusione degl'infiati superbi, che sempre cercano d'essere maggiori; ma essi non se n'aveggono che cagiono in somma bassezza e miseria. Sì che in lui trovarete la vena de l'umilità, la quale ha versata dentro ne l'anima vostra e d'ogni creatura ragionevole.

Se noi raguardiamo la carità sua, e dove si vide mai, che colui che è stato offeso, pagasse volontariamente la vita per colui che offende? Solo ne l'umile immacolato Agnello lo troviamo, che per noi malvagi debitori ha pagato quel debito il quale mai non contrasse. Noi fummo e siamo i ladri, ed egli ha voluto essere chiavellato in sul legno della santissima croce; egli ha presa l'amara medicina per dare a noi la sanità, e fattoci bagno del sangue suo; come inamorato, ha aperto lo corpo, che da ogni parte versa sangue con tanta larghezza e fuoco d'amore, e con tanta pazienza, che il grido suo non fu udito per nessuna mormorazione. A questa larghezza si vergognino i cupidi avari, che vedranno i povarelli perire di fame, e non lo' vollaranno pure lo capo. E fanno ancora peggio: che non tanto che essi lo' diano, ma tolgono l'altrui. Alla carità detta si confondano gli amatori di loro medesimi, i quali per il proprio amore non curano d'offendare Dio e la verità. A la sua pazienza venga terrore agl'impazienti, che non vogliono sostenere una piccola cosa, ma rodonsi con ira e odio del prossimo loro. Sì che trovato abiamo per che modo veniamo a virtù, cioè per lo conoscimento della bontà di Dio, e per lo lume col quale vediamo la sua umilità e carità. In lui l'acquistaremo, cercandole dentro ne l'anima nostra; altrove, né in altro modo, non le trovaremo mai.

Questo è fondamento, principio, mezzo e fine d'ogni virtù e nostra perfezione. Da questo verrete a spregiamento del mondo e di voi medesima; questo ordinarà la vita vostra in ogni stato, in ogni tempo e luogo che voi sarete. E non solamente voi, ma tutta la vostra famiglia vi farà drizzare e allevare nel piacere suo, con santi e buoni costumi, sì come debba fare la madre i suoi figli, e la donna i suoi servi - con la santa confessione e comunione a luogo e tempo ordenato dalla santa Chiesa, a la quale ci conviene obedire, e a papa Urbano VI, fino a la morte -: or così v'ordinerà in tutte le vostre opere.

Perciò vi prego dolcemente che con grande solecitudine raguardiate l'umile e amoroso Agnello, affinché insieme con lui godiamo in questa vita per grazia, e ne l'ultimo con la madre della carità entriamo alla gloria della vita durabile. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.



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