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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (3)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 19:43
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19/10/2012 18:59

315. A don Pietro da Milano, monaco de l'ordine di Certosa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi laudare e benedicere Dio in ogni tempo.

Ma non so vedere che questa laude, la quale siamo tenuti di fare a Dio per debito, si possa mai fare senza lo lume, lo quale lume ha a discernere quale è quella cosa che sia degna di laude e quale di biasimo. Senza lo lume, sarebbe l'uomo ingannato dalle tenebre: lo bianco li parebe nero, e il nero bianco. Perciò molto ci è necessario lo lume. è da levarsi con ragione sopra la sedia della conscienzia nostra, e con lume tenersi ragione, e dissolvere la nuvola de l'amore proprio di noi medesimi, cioè de l'amore sensitivo che l'uomo ha a se medesimo, lo quale amore è uno veleno che atosca l'anima, guastale il gusto del santo desiderio, sì che le cose amare gli parono dolci, e le dolci amare: accieca l'anima, che non le lassa conoscere né discernere la verità. Non conoscendola, non l'ama, e però questi cotali non rendono gloria a Dio, né benedicono il nome suo. Anco, vanno con tedio, pentimento e giudicio verso di Dio e verso il prossimo loro; giudicano secondo il loro basso e infermo parere e vedere, e non secondo verità.

Unde il servo del mondo giudica gli stati e delizie sue essere grande dignità, ed elle sono il contrario, ché, per l'amore disordinato che l'uomo ci pone, sono strumento di farlo venire a grande indegnità, privandolo di Dio per grazia. E le tribulazioni e persecuzioni del mondo paiono amare ed elle sono di grandissima dolcezza, perché in esse, se vuole, può scontare e meritare; fannolo riducere a Dio, fannoli conoscere sé, e la poca fermezza e stabilità del mondo. Ma tanto sono accecati, questi cotali, che fugono la virtù per fuggire fatica; e per trovare diletto se ne privano, e caggiono in molte pene; sono incomportabili a loro medesimi; fatti si sono martiri del demonio. E così in ogni cosa vanno al contrario.

Così i servi di Dio, i quali anco sono nella tenerezza e amore proprio di loro medesimi, il quale è una nuvola che in tutto non tolle il lume, ma rimangli alcuno chiarore; ma la ruota del sole non vede. E però a costoro è fadigoso il togliere da sé gli appetiti sensuali spiritualmente e temporalmente, cioè quando alcune volte la sensualità s'amantella col manto dello spirito. Massimamente, tra l'altre cose, tre ne gli pone innanzi, cioè, in tre cose: l'una è nel tempo delle tentazioni e privazione delle consolazioni della mente.

Allora sì pone questo mantello il demonio, per la tenerezza di sé: pongli innanzi uno timore parendoli, nel tempo delle tentazioni, offendere, per lo timore che ha di non offendere. E questo fa per farli venire a tedio la via dello spirito, dicendo: «Questo non sentivi tu innanzi che tu fossi in questo stato. Hai mutato stato per essere megliore; e tu sei pegiore»; dicendo: «Il tuo essercizio lo quale tu debbi fare con pace e quiete, col cuore libero e non legato di tante diverse cogitazioni, tu lo fai in grandissima guerra. Meglio ti sarebbe a lassarlo stare».

Questo fa per privarlo de l'essercizio de l'orazione, la quale è la madre delle virtù a l'anima illuminata, e questo manto molto prezioso; e non allenta però la gloria di Dio, ma molto più virilmente essercita la vita sua, reputandosi indegno della pace, quiete e consolazione della mente, come gli altri servi di Dio, e degno della pena, e però si gloria nelle pene: questi è colui che benedice Dio in ogni tempo.

Ma a l'amatore di sé questo mantello, che in sé è buono, per lo poco lume e gusto mal disposto gli è pericoloso, perché v'intepidisce dentro; e, privato del diletto, lo quale egli appetisce, gli pare essere privato di Dio; e con la tepidezza e col legame della negligenzia lega i piei dell'affetto, e le mani de l'orazione allenta, e posa giù. Unde, quando i nemici veggono lo braccio de l'orazione posto a terra, e non in alto a cercare con umilità e a dimandare l'aiutorio divino - lo quale non è dinegato a chiunque il dimanda -, e ad investigare l'eterna volontà sua - che ogni cosa ci dà e permette per nostra santificazione -, entrano allora dentro, e abitano per li borghi della città dell'anima, e talora pigliano tutta la città con la rocca della volontà sua. A lei diviene come al popolo di Dio, lo quale vinceva mentre che Moisè orava; e quando le mani di Moisè si posavano giù, lo popolo perdeva. (Ex 17,11) Quale è il popolo di Dio, che sta nella città de l'anima nostra? sono le vere e reali virtù. Queste virtù vincono i vizii, mentre che la ragione, la quale è il nostro Moisè, sta nel monte della inestimabile carità di Dio, e, col cognoscimento di sé, leva in alto le braccia de l'orazione. Che converrebbe fare al tiepido amatore di sé per ponere rimedio alla sua stanchezza? Come Moisè, appoggiare le braccia, affinché elle non tornino in giù, con due forcelle, una d'odio, col timore santo di Dio dallato, e l'altra d'amore, con la nutrice della vera umilità, e riposarsi sopra queste due forcelle, tenendo levata la faccia de l'anima col lume della santissima fede. Allora lo popolo di Dio, cioè l'affetto delle virtù, sconfiggerà il principale nemico del proprio amore, e tutti gli altri che doppo lui seguitano. Ogni imperfezione sarà dibarbicata de l'anima e il demonio non potrà avere la intenzione con la quale gittò il mantello colorato di molti colori.

Un altro ne pone sopra la carità del prossimo: che, per privarlo della carità della carità, lo fa levare dal debito di servire e subvenire al prossimo suo - lo quale debito ogni creatura ragionevole è tenuta di rendere -, e per farli concepire dispiacere e pena, colà dove egli debbe trovare diletto, gli pone il mantello della dolcezza, ponendo dinanzi a l'affetto de l'anima la consolazione e quiete della mente sua, e il debito dell'orazione, che deve rendere a l'ore diputate e ordinate, e il diletto che ne sente l'anima e il corpo.

Questo mantello ha si bello colore e tanto dilettevole che gl'ignoranti, con poco lume, in tutto ci si rompono lo capo dentro, e peggio lo' fa ancora, che, non conoscendolo per loro medesimi, non vogliono credere a chi lo conosce, né cercano che lo' sia mostrato. E se pure l'è mostrato, che nol possino dinegare, non si studiano di tenere i debiti modi per levarsene: ma come accecati dal proprio diletto s'aviluppano nella tepidezza loro, quasi parendo lo' impossibile di giognervi mai. Questi non benedicono Dio con perfezione, ma imperfettamente; poco danno e poco ricevono.

Questo perché l'adiviene? Perché il gusto de l'anima anco non è bene vòto di sé, e perché dinanzi all'occhio loro hanno posto solo i razzi delle consolazioni, e non la ruota del sole, cioè l'eterna volontà di Dio, l'eterna verità sua, l'eterno Verbo, e l'eterna dottrina sua; il quale è sole di giustizia,che illumina ogni anima che da lui vuole essere illuminata. Unde nel lume suo vediamo lume, col caldo suo si consuma ogni fredezza e tepidezza del cuore, pure che col libero arbitrio apra la finestra della volontà sua, affinché il sole possa intrare nella casa de l'anima, con una giustizia che giustamente renda onore a Dio, e gloria e loda alla parola del Padre eterno, cioè al Verbo. Allora gli rende gloria, quando segue la dottrina sua; a sé dia odio e rimproverio, svergognando la propia passione sensitiva, o spirituale o temporale, in qualunque modo ella ricalcitrasse di non rendere il debito al prossimo suo, al quale debba rendere carità e benevolenza, mostrandolo nel tempo della sua necessità in subvenirlo caritativamente, portando e sopportando i difetti suoi, non solamente con la parola, ma con l'opera, abandonando sé medesimo: non che egli abandoni sé per colpa ma per diletto, abracciando la pena per onore di Dio, in salute del prossimo suo. Questo fa colui che ha posto l'occhio dell’intelletto in questo dolce e glorioso sole, perché col lume ha veduto che per altra via non possiamo mostrare l'affetto che doviamo avere a Dio; e anco conosce che, essendo privato della carità del prossimo, sarebbe privato di Dio. Ma l'amatore di sé, amantellato col ditto manto, risponde: «Io non ne voglio essere privato, né me ne voglio privare, innanzi vorrei morire io: ma non me ne truovo bene. Sentomene la mente svagolata e non me ne sento altro che tenebre, scandalo e confusione di mente, e colà dove io il debbo amare, egli mi viene a tedio e dispiacere; e non pare ch'io possa sostenere né me né lui, unde meglio m'è, e più mel sentirò amare, a starmi nella pace mia».

Questi in verità dimostra che egli è cieco, e non vede altro che alba. E come potrò io dire che io ami lo prossimo, se, quando io vedrò la necessità, io mi dilongo da lui e, per la propria consolazione, farò vista di non vederlo? Veramente in costui non è verità. E come dirò io che io non dica menzogna, che il sovvenire al prossimo in qualunque modo, in qualunque stato o luogo si sia, m'abbi a dare amaritudine, e conturbare la mente mia? Egli non è la verità, ché né creatura né demonio né essercizio, né privazione di consolazioni per qualunque modo si sia - o per sovvenire al prossimo, o perché Dio la ritraga a sé per farla umiliare - non la possono contristare né darle amaritudine di colpa. Ed ella non si debba contristare se non della colpa. E se ella offende non è difetto altrui, ma è suo. Lo suo difetto e la propria volontà che offende, sempre porta l'uomo con sè: se per fuggire luoghi o creature, nel tempo che hanno bisogno, lassasse la propria volontà, dolce cosa e utile sarebbe il fuggire, ma egli la fugge e porta insieme con con sè; e, così mantellata, trova sempre vivi i sentimenti suoi, e quando gli viene il tempo del bisogno, cioè quando è ribellata alla volontà sua, ella sente il morso per siffatto modo, che non può tenere il veleno della impazienzia che non si senta. Percioè da fuggire il proprio sentimento e la propria perversa volontà.

Che deve fare e farà, se vorrà vedere lume? Salga sopra la sedia della conscienzia sua, e tengasi ragione; non lassi passare i movimenti che non sieno corretti: dare la sentenzia contro sé medesima. E che sentenzia debba dare? non di moneta, ma di morte; e con la morta volontà gitti lo falso mantello sotto i piei dell'affetto; e rivestisi di pene, d'obbrobrii e villanie, e della dolce eterna volontà di Dio: facendo questo, gli renderà onore, e benedicerà il nome suo.

La terza e ultima è sopra l'obedienzia, ponendogli la passione sua, e il demonio, uno mantello di molti colori, ma singolarmente d'uno giudizio falso, facendo sé discreto, e il prelato indiscreto; ché se egli non si giudicasse discreto, non giudicarebbe il prelato indiscreto. Unde l'amatore di sé vorrà giudicare la intenzione del prelato suo fuore della volontà di Dio. E sempre porta la sorella de l'amore proprio, cioè la disobbedienza, dicendo: «Questi comanda indiscretamente; io non posso portare la sua indiscrezione. Tale ora mi voglio stare in cella nella quiete mia: ed egli me ne trae, non guardando luogo né tempo». Per questo giudicio, in che cade? (che come egli è di questo, così è di molte altre cose, le quali passo, per non attediarvi di parole). Cadene in questo, che o egli disobedisce, e non fa quello che gli è imposto; o s'egli lo fa, fallo con impazienzia, con mormorazione, e con scandalo di mente: viene ad infedelità, ad irreverenzia: e perde il santo timore che deve avere verso Dio e verso il prelato. E con lo scandalo che piglia la propia volontà, si priva della pace e quiete della mente sua. Tutto gli adiviene perché egli ama sé, e col proprio amore s'è fatto giudice della volontà del suo maggiore, fuore della dolce volontà di Dio. Ma se egli avesse lume di fede, eziandio se il suo prelato fusse uno demonio incarnato, giudicarebbe che la clemenza dello Spirito santo gli facesse adoperare inverso lui quello che fusse la sua salute; ma la propria tenerezza non gli li lassa vedere, perché l'occhio suo non s'è specolato nell'obedienzia del Verbo, lo quale fu obbediente fino all'obrobriosa morte della croce.

O disobidiente giudicatore, tiepido e amatore di te, e ché non ti poni dinanzi lo sangue sparto con tanto fuoco d'amore per l'obedienzia che pose il Padre eterno a l'unigenito suo Figlio? Questo dolce Gesù non si pose ad investigare la volontà del Padre - né chi l'ha seguitato -, cioè che per tenerezza di sé non rifiutò labore, né disse: «Padre, trova un altro modo, che io non sostenga pena, e compirò l'obedienzia tua». Nol disse ponto ma, come ebbro d'amore de l'onore del Padre eterno e salute nostra, prese il giogo dell’obbedienza, e per compirla bene si satolla d'obrobrii scherni e rimproverii. Colui che sazia ogni anima sostiene sete; per vestir noi della vita della grazia, si spoglia della vita del corpo suo; fassi trare a segno in su' legno della santissima croce. Tutto s'uopre il corpo suo: che drittamente pare uno agnello dissanguato che da ogni parte versa sangue. Lo sangue manifesta questa pronta obbedienzia; lo sangue manifesta quella verità antica nuovamente mostrata a noi. Antica è in quanto ab-eterno fummo nella santa mente di Dio, e nuova ci fu, quando ci creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), dandoci l'essere perché godessimo lo suo sommo eterno bene, lo quale egli ha in sé medesimo. Ma noi non la intendemmo bene questa nuova verità: cioè che in verità credessimo che egli ci aveva creati per darci vita eterna. Volendo Dio compire questa verità nell’uomo, e farlili intendere, mandò a noi questo dolce e amoroso Verbo vestito della nostra umanità, fabricando le iniquità nostre sopra la 'ncudine del corpo suo; e ricreocci a grazia nel sangue, sì che il sangue nuovamente ci ha manifestato questa verità.

Nel sangue troviamo la fonte della misericordia, nel sangue la clemenza, nel sangue il fuoco, nel sangue la pietà, nel sangue è fatta la giustizia delle colpe nostre, nel sangue è saziata la misericordia, nel sangue si dissolve la duricia nostra, nel sangue le cose amare diventano dolci, e li grandi pesi leggieri. E però quelli che col lume della fede raguarda questo sangue, porta il grave peso dell’obbedienza con dolcezza e soavità. E perché nel sangue sono maturate le virtù, però l'anima che se inebria e anniega nel sangue si veste delle vere e reali virtù, per onore di Dio, e per compire in sé la verità nuovamente mostrata col mezzo del sangue.

Questo non considera lo disobbediente, giudicatore della volontà del suo maggiore: che se egli lo considerasse, annegarebbe in tutto e per tutto la sua volontà, e ogni proprio volere e sapere porrebbe nella volontà di Dio e del suo prelato; ma perché egli non il fa, sta in continua pena, e sempre permane nella tiepidezza e imperfezione sua: rimangli lo mantello del proprio amore, perché non l'ha consumato nel sangue, nel fuoco, e ne l'obbedienzia del Verbo. E però non benedice Dio ne l'obbedienzia la quale Dio richiede ai secolari, ai religiosi, ai prelati, e ai sudditi, vecchi e giovani, in ogni stato, in ogni tempo e luogo, in consolazione e tribolazione, in pace di mente e in molestie e guerra: in ogni modo vuole, e doviamo benedicere Dio con affetto di virtù, e con la parola quando bisogna. O carissimo figlio, a questo v'invito, poiché questa è la via e il modo da renderli gloria e benedicerlo ogni tempo, non solo con la parola, ma con l'opera, come detto è, la quale cosa io dissi ch'io desideravo di vedere in voi; e così voglio che sempre permanga nel cuore, nella mente, e nell'anima vostra.

Figlio, lo tempo ci invita a non aspettare tempo a perdere noi medesimi, e però vi prego che il desiderio che Dio v'ha dato del santo passaggio, per ponere la vita per lui, mai non allenti ne l'anima vostra, ma voglio che continuamente cresca, cominciando ora tra' cristiani a sostenere per la verità della santa Chiesa e di papa Urbano VI, lo quale è vero sommo pontefice. Per questa verità ci conviene apparecchiare a sostenere, e nel sostenere, benediceremo Dio nella santa Chiesa; e Dio per la sua misericordia doppo questa tenebre ci darà luce, e con la luce si compirà la volontà di Dio, e i desiderii nostri. Sì che confortatevi, e siate virile cavaliere. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce Gesù amore



316. A Daniella da Orvieto vestita de l'abito di santo Domenico.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti con vero e perfettissimo lume, affinché in perfezione conosca la verità.

Oh quanto ci è necessario, carissima figlia, questo lume! poiché senza esso non possiamo andare per la via di Cristo crocifisso, che è una via lucida che ci dà vita; e senza questo andaremo in tenebre, e staremo in grandissima tempesta e amaritudine. Ma, se io considero bene, in due modi ci conviene avere questo lume: cioè uno lume generale, che generalmente ogni creatura che ha in sé ragione lo debba avere, di vedere e conoscere quello che egli debba amare, e quello a che deve ubedire; vedendolo col lume dell’intelletto, con la pupilla de la santissima fede, che egli è tenuto d'amare e servire lo suo Creatore, amandolo con tutto lo cuore e con tutto l'affetto senza mezzo, e obedire ai comandamenti de la legge d'amare Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come noi medesimi (Mc 12,30-31 Mt 22,37-39 Lc 10,27).

Questi sonno quegli principali, dove sonno legati tutti quanti gli altri. Questo è uno lume generale, che tutti ci siamo obligati, e senza questo avaremo morte; privati de la vita de la grazia, seguitaremo la via tenebrosa del demonio.

Ma uno altro lume c'è, lo quale non è separato da questo, ma è unito con questo: anco, da questo primo se giogne al secondo. Ciò sonno quegli che osservando i comandamenti di Dio, crescono in uno altro perfettissimo lume; i quali con grande e santo desiderio si levano da la imperfezione, e vengono a la perfezione, osservando i comandamenti e consigli mentalmente e attualmente. Questo lume si debba essercitare con la fame e desiderio de l'onore di Dio e salute de l'anime, specolandosi col lume nel lume del dolce e amoroso Verbo: dove l'anima gusta l'amore inefabile che Dio ha a la sua creatura, manifestato a noi col mezzo di questo Verbo, lo quale corse, come inamorato, a l'obrobriosa morte de la croce per onore del Padre e salute nostra.

Quando l'anima ha cognosciuta con lume perfetto questa verità, sì leva sé sopra di sé, sopra lo sentimento sensitivo; con spasimati dolci e amorosi desiderii corre, seguitando le vestigie di Cristo crocifisso, con pene, con obrobrii, scherni e villanie, con molta persecuzione dal mondo, e spesse volte da' servi di Dio sotto colore di virtù. Con fame cerca l'onore di Dio e la salute de l'anime; e tanto si diletta di questo glorioso cibo, che sé e ogni altra cosa spregia: solo questo cerca, e sé abbandona. In questo perfetto lume erano quelle gloriose vergini e gli altri santi, che si dilettavano solo a la mensa de la croce con lo Sposo loro a prendere questo cibo.

Noi dunque, carissima figlia e sorella mia dolce in Cristo dolce Gesù, poiché egli ci ha fatto tanto di grazia e di misericordia che ci ha messe nel numero di quelle che passate sono dal lume generale al particulare - cioè, che ci ha fatto elegere lo stato perfetto dei consigli -, e però noi doviamo con vero lume seguire con perfezione questa dolce e dritta via; e non vòllare lo capo a dietro per veruna cosa che sia, né andare a nostro modo, ma al modo di Dio, con pene sostenendo senza colpa fino a la morte; e trare l'anima de le mani de i demoni. Perché questa è la via e la regola che t'ha data la Verità eterna; e scrissela nel corpo suo con lettere sì grosse, che veruno è di sì basso intendimento che si possa scusare: non con oncostro, ma col sangue suo. Bene vedi tu i capoversi di questo libro, quanto essi sonno grandi; e tutti ti manifestano la verità del Padre eterno, l'amore inefabile con che fummo creati - questa è la verità -: solo perché noi participiamo lo suo sommo bene e eterno (2P 1,4). è levato in alto questo maestro nella catedra de la croce, affinché meglio la possiamo studiare, che noi non c'ingannassimo di dire: «Egli me la 'nsegnò in terra, e non in alto»; non è così: ché egli è salito in croce, e con pena cerca l'altezza de l'onore del Padre, e di ristituire la bellezza de l'anima.

Suso in croce, dunque, e leggiamo l'amore cordiale, fondato in verità, in questo libro de la vita. In tutto perde te medesima, e quanto più ti perdarai, più ti trovarai; e Dio non spregiarà lo desiderio tuo, anco ti drizzarà e amaestrarà di quello che tu debbi fare; e darà lume a quello a cui tu fusse suddita, facendo tu per suo consiglio. Poiché l'anima che ha e debba avere una santa gelosia, sempre si diletta di far ciò che ella fa col mezzo de l'orazione e del consiglio.

Tu mi scrivesti e, secondo ch'io intesi, ne la lettera pare che tu sia passionata; e non è picciola, anco è forse maggiore che veruna altra, quando da l'uno lato ti senti chiamare ne la mente tua per nuovi modi da Dio, i servi suoi si pongono al contrario, dicendo che non è bene. Io ti ho compassione pur assai grande, perché non so che fatica sia simile a quella, per la gelosia che l'anima ha di sé medesima: che a Dio resistenza non può fare, e la volontà dei servi suoi vorebbe compire, fidandosi più del lume e cognoscimento loro che del suo; e nondimeno non pare che possa. Ora io ti rispondo semplicemente secondo lo mio basso e poco vedere - non ponendoti nulla affermativamente -: ma, come ti senti chiamare senza te, così risponde. Unde, se tu vedi lo pericolo de l'anime, e tu le puoi subvenire, non chiudare gli occhi, ma con perfetta solicitudine t'ingegna di sovenirle fino a la morte. E non curare di tuoi proponimenti, né di silenzio né d'altro, a ciò che non ti fusse detto poi: «Maladetta sia tu, che tacesti!».

Ogni nostro principio è fondato e fatto solo nella carità di Dio e del prossimo; tutti gli altri essercizii sonno instrumenti e edificii posti sopra questo fondamento: e però non debbi, per lo diletto de lo instrumento e de l'edificio, lasciare lo principale fondamento de l'onore di Dio e carità del prossimo.

Lavora Perciò, figlia mia, in quello campo che tu vedi che Dio ti chiama a lavorare, e non pigliare pena né tedio ne la mente tua per quello che t'è detto, ma porta virilmente; teme e serve Dio senza te, e non curare poi lo detto de le creature, se non d'aver lo' compassione.

Del desiderio che hai d'uscire di casa e d'essere a Roma, gittalo ne la volontà dello Sposo tuo; e se sarà suo onore e salute tua, ti mandarà modo e la via a ora che non tel pensarai, e in modo che mai non l'avaresti imaginato. Lassa fare pure a lui, e perde te; e guarda che tu non ti perda altro che in su la croce, e ine ti trovarai perfettissimamente. Ma questo non poteresti fare senza lo lume perfetto: e però ti dissi ch'io desideravo di vederti con vero e perfettissimo lume, oltre al lume generale, come detto è. Non dormiamo più, destianci dal sonno de la negligenzia, mugghiando con umili e continue orazioni sopra lo corpo mistico de la santa Chiesa, e sopra lo vicario di Cristo. Non cessare d'orare per lui, che gli dia lume e fortezza a risistare ai colpi dei dimoni incarnati, amatori di loro medesimi, i quali vogliono contaminare la fede nostra. Tempo è di pianto ().

Del mio venire costà, prega la somma eterna bontà di Dio che ne facci quello che sia suo onore e salute de l'anima; e specialmente ora, che sono per andare a Roma per compire la volontà di Cristo crocifisso e del vicario suo. Non so qual via io mi terrò: prega Cristo dolce Gesù che ci mandi per quella che è più suo onore, con pace e quiete de l'anime nostre. Altro non ti dico.

Permane etc. Gesù dolce, Gesù amore.



317. Alla soprascritta regina di Napoli, poi che essa Caterina fu giunta a Roma.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondata in verità, la quale verità c'è necessaria di conoscere e d'amarla per salute nostra. Chi sarà fondato nel cognoscimento della verità - Cristo dolce Gesù (Jn 14,6) - riceverà e gustarà la pace e la quiete dell'anima sua nell'affetto della carità, la quale carità riceve l'anima in questo cognoscimento.

In due modi principali ci conviene conoscere questa verità, poniamo che in ogni cosa ce la convenga conoscere: cioè che ogni cosa che ha in sé essere s'ami in Dio e per Dio, che è essa verità, e senza lui nulla, perché si scordarebbe dalla verità e andarebbe per la bugia, seguitando il demonio che n'è padre (Jn 8,44). Dicevo che singularmente in due modi ce la conviene conoscere: lo primo è che noi cognosciamo la verità di Dio, il quale ci ama inestimabilmente e amò prima che fossimo; anco, per amore ci creò - questa fu, ed è la verità - perché noi avessimo vita eterna e gustassimo lo suo sommo eterno bene. Chi ci manifesta che in verità sia così? Il sangue sparto per noi con tanto fuoco d'amore: nel sangue dolce del Verbo del Figlio di Dio conosceremo la verità della dottrina sua, la quale dà vita e lume, disolvendo ogni tenebre d'amore sensitivo e diletto o di piacere umano; ma col cuore schietto conosce e segue la dottrina di Cristo crocifisso, che è fondata in verità.

La seconda e ultima cosa è che noi doviamo conoscere e vedere la verità nel prossimo nostro - o grande o piccolo che sia, o sudditi o signori -, cioè che quando vediamo che essi fanno alcuna opera a la quale invitassero noi a farla, noi doviamo vedere e conoscere se ella è fondata in verità o no, e che fondamento ha fatto quegli che si muove a fare questa opera. E chi non lo fa, fa come matto e cieco che va dietro alla guida cieca (Mt 15,14 Lc 6,39) fondata in bugia; e mostra che in sé non abia verità, e però non cerca la verità. E alcune volte è che sonno tanto pazzi e animali che, per quella opera, se ne vegono perdere la vita dell'anima e del corpo e la substanzia temporale, e non se ne curano, perché acecati sono e non cognoscono quello che debbono conoscere; vanno in tenebre con la natura feminile senza alcuna fermezza o stabilità.

O carissima madre - in quanto voi siate amatrice della verità e obbediente alla santa Chiesa; ma in altro modo non vi chiamo madre, né con reverenzia parlo a voi, perché vegio grande mutazione nella persona vostra: che di donna sete fatta serva e schiava di quella cosa che non è, sottopostavi alla bugia e al demonio che n'è padre (Jn 8,44); lassato lo consiglio dello Spirito santo, e preso lo consiglio dei dimoni incarnati; di membro legato nella vite vera (Jn 15,1-5), vi sete tagliata da essa vite col coltello de l'amore proprio; di figliola legittima amata teneramente dal padre, vicario di Cristo in terra, papa Urbano VI - lo quale è veramente papa sommo pontefice - partita vi sete dal petto della madre vostra della santa Chiesa, dove tanto tempo vi sete nutreta. Oimé, oimé, piangere si può sopra di voi sì come morta, staccata dalla vita della grazia: morta a l'anima e morta al corpo, se voi non escite di tanto errore. Non pare che aviate cognosciuta la verità di Dio nel modo che detto è: ché, se l'aveste cognosciuta, elegereste inanzi la morte che offendere Dio mortalmente. E non l'avete cognosciuta nel prossimo vostro, ma con molta ignoranza, mossa dalla propria passione, avete seguitato lo più miserabile e vituperoso consiglio - avendolo mandato in opera - che già mai poteste avere.

E che maggiore vergogna si può ricevere che d'una che fusse cristiana, tenuta catolica e virtuosa donna, e poi facci come il cristiano che riniega la fede, esce di buoni e santi costumi e debita reverenzia usata? Oimé, uprite l'occhio dello intelletto vostro, e non dormite più in tanta miseria. Non aspettate il punto della morte, doppo il quale non vi gioverà lo scusare, né dire: «Io mi credetti fare bene», poiché voi conoscete che voi fate male, ma come inferma e passionata vi lassate guidare a la passione. Credo bene che il consiglio sia venuto da altrui che da voi. Vogliate, vogliate conoscere la verità: e chi sono coloro, e perché vi fanno conoscere la bugia per verità - dicendo che papa Urbano VI non sia vero papa -; e l'antipapa, dirittamente anticristo membro del diavolo, vi faccino vedere che sia Cristo in terra. E con che verità vel possono dire? Non con veruna, ma con bugia e falsità lo dicono, mentendo sopra lo capo loro.

E che possono dire gl'iniqui uomini - non uomini ma dimoni incarnati -, che da qualunque lato essi si volgono non possono vedere d'avere fatto altro che male? Eziandio se fusse vero - che non è - che papa Urbano VI non fusse papa (che se non fusse papa solo di questo meritareboro mille morti, come menzonieri trovati nella falsità: ché se di principio essi l'avessero eletto per paura, e non in verità con elezione ordinata - ed essi lo mostrarono a noi vero papa -, ecco che già già ci avereboro mostrata la bugia e falsità per verità, facendoci obedire a fare reverenzia - ed eglino con esso noi insieme - a quello che non si debba; ché già gli fecero reverenzia e chieserli grazie e usârle, sì come da sommo pontefice che egli è).

Dico che s'egli fusse vero che egli non fusse papa - la qual cosa non è, per la grande bontà di Dio che ci ha fatto misericordia -, di questo solo non se ne potrebbe dare loro troppo grande disciplina; ma degni sono di mille migliaia di morti, a dire che per paura essi dicessero d'avere eletto papa, e non fusse. Ma essi non dicono la verità, come uomini fondati in bugia che non la possono tanto ocultare che le tenebre e puzza sua non si senta e vegia. Bene apparbe manifesto quello che mostrarono per paura avere eletto papa - poi che ebbero eletto il vero papa, messer Bartolomeo arcivescovo di Bari -: ciò fu messer di San Pietro. Ma egli, come buono e giusto uomo, confessava che non era papa ma messer Bartolomeo arcivescovo di Bari, lo quale oggi è papa Urbano VI, chiamato e reverito come sommo pontifice e giustissimo uomo da' fideli cristiani; a malgrado degli iniqui non cristiani - che non portano lo nome di Cristo in bocca né nel cuore loro - ma infideli partiti della fede eobbedienza della santa Chiesa e del vicario di Cristo in terra, membri tagliati dalla vera vite (Jn 15,6), seminatori di scisma e di grandissima eresia.

Aprite, aprite l'occhio dello intelletto, e non dormite più in tanta cecità. Non dovareste essere tanto ignorante, né tanto separata dal vero lume, che voi non conosceste la vita scellerata senza veruno timore di Dio di questi che v'hanno messa in tanta eresia: ché i frutti che escono di loro vi manifestano che arbori essi sono (Mt 12,33 Lc 6,44). La vita loro vi manifesta che non dicono la verità, i consiglieri che essi hanno atorno, di fuore e dentro, i quali possono essere uomini di scienzia ma essi non sono di virtù, né uomini che la vita loro sia laudabile, ma più tosto riprensibili per molti difetti. Dove è il giusto uomo che essi hanno eletto per antipapa, se in verità lo sommo nostro pontefice papa Urbano VI non fusse vero vicario di Cristo? Che uomo hanno eletto? Uomo di santa vita? No, ma uomo iniquo, demonio; e però fa l'offizio deli demoni: lo demonio s'ingegna di sottrarci dalla verità, ed esso fa quello medesimo. E perché non elessero uno giusto uomo? Perché ben sapevano che un giusto uomo avrebbe eletto inanzi la morte che averlo acettato, perché in loro non avrebbe veduto veruno colore di verità: e però i dimoni presero lo demonio, i bugiardi la bugia. Tutte queste cose manifestano che papa Urbano VI è veramente papa, e che essi sono privati della verità e amatori della bugia.

E se voi mi diceste: «Per tutte queste cose la mente mia non è chiara», e perché non vi state almeno di mezzo? (Poniamo che ella è chiara quanto dire si può più). E se non volete sovenirlo della substanzia temporale fino che non avete altra dichiarazione - lo quale aiuto sete tenuta di dare per debito, perché noi figlioli doviamo sovvenire lo padre quando egli ha bisogno -, almeno l'obedite nelle cose spirituali, e ne le altre cose vi state di mezzo. Ma voi fate come passionata; e l'odio e lo desdegno e il timore di non perdere quello di che voi stessa vi sete privata - lo quale avete acquistato da' maledetti ridicitori -, v'ha tolto lo lume e il cognoscimento che non conoscete la verità, ostinata in questo male: e con questa ostinazione voi non vedete lo giudizio che viene sopra di voi.

Oimè! con dolore cordiale, perché amo teneramente la salute vostra, dico queste parole. Se voi non mutate modo, e non corregete la vita vostra escendo di tanto errore - e in ogni altra cosa -, lo sommo giudice che non lassa passare le colpe nostre impunite - se l'anima non le purga con la contrizione del cuore e confessione e satisfazione -, ve ne darà sì-fatta punizione che voi sarete posta in segno a dare tremore a chi volesse mai levare il capo contro la santa Chiesa. Non aspettate questa verga, ché duro vi sarà ricalcitrare alla divina giustizia (Ac 26,14): voi dovete morire, e non sapete quando. Non richezza, non stato - il grande stato -, né dignità mondana, baroni, né popolo, che sono vostri sudditi quanto al corpo, vi potranno difendere dinanzi al sommo giudice; né riparare a la divina giustizia. Ma alcune volte Dio gli sa mettere per manigoldi perché faccino giustizia de l'inimico suo.

Voi avete invitato e invitate lo popolo e tutti i sudditi vostri d'essere più contro voi che con voi, avendo trovata ne la persona vostra poca verità, non condizione d'uomo con cuore virile ma di femina sanza alcuna fermezza o stabilità, sì come femina che si volge come la foglia al vento. Bene hanno a mente che quando papa Urbano VI, vero papa, fu creato con grande e vera elezione, e coronato con grande solennità, voi faceste fare la grande e magna festa, sì come debba fare lo figliolo per la essaltazione del padre, e la madre di quella del figliolo; ché egli era a voi figliolo e padre: padre, per la dignità sua nella quale è venuto; figlio, perché era suddito a voi, cioè del reame vostro, e però faceste bene. Anco, comandaste a tutti che dovessero obedire alla Santità sua, sì come a sommo pontefice. Ora vi vego voltata, con la condizione della femina che non ha fermezza, e volete che faccino lo contrario. O miserabile passione! Quello male che avete in voi, volete dare a loro: e come credete che essi vi possano amare ed essere fideli a voi, quando essi vegono che voi lo' sete cagione di partirli dalla vita e conducerli nella morte, dalla verità mettere nella bugia? Separategli da Cristo in cielo e da Cristo in terra, e voletegli legare col demonio e con anticristo, amatore e annunziatore della bugia egli, e voi, e gli altri che il seguitate.

Non più così, per amore di Cristo crocifisso: voi chiamate in tutto lo divino giudizio; duolmi se voi non riparate alla ruina che viene sopra di voi. Voi non potete uscire delle mani di Dio; o per giustizia o per misericordia sete nelle mani sue: correggete la vita vostra, affinché esciate delle mani della giustizia e permaniate nella misericordia. E non aspettate lo tempo: ché tale ora vorrete, che voi non potrete. O pecorella, ritornate a l'ovile vostro, lassatevi governare al pastore; se non che, il lupo infernale vi divorarà.

Ripigliate le guardie dei servi di Dio - che v'amano in verità più che non v'amate voi medesima -, e buoni e maturi e discreti consigliatori; ché il consiglio dei dimoni incarnati, col disordinato timore che v'hanno messo, con paura di non perdere lo stato temporale - che passa come vento, senza fermezza: ché o egli lassa noi, o noi lui per lo mezzo della morte -, v'ha condotta colà dove voi sete.

Voi piangerete, ancora, dicendo: «Oimé, oimé! - se voi non mutate modo - di quello che mi fu messo timore da malvagi consiglieri, io sono colei che me ne sono privata io medesima». Ma anco ci ha tempo a riparare, carissima madre, al giudizio di Dio. Tornate all’obbedienza della Santa Chiesa, conoscete il male che avete fatto, umiliatevi sotto la potente mano di Dio; e Dio, che raguarda l'umilità dell'ancilla sua (Lc 1,48), ci farà misericordia: placarà l'ira ch'egli ha sopra i difetti vostri; mediante il sangue di Cristo v'inestarete e legarete in lui col vinculo della carità, nella quale carità conoscerete e amarete la verità; la verità vi levarà da la bugia, dissolverà ogni tenebre, daravi lume e cognoscimento nella misericordia di Dio. In questa verità sarete diliberata, in altro modo, no; e perché la verità ci dilibera (Jn 8,32), avendo desiderio della salute vostra dissi ch'io desideravo di vedervi fondata nella verità, affinché non fuste offesa dalla bugia. Pregovi che compiate in voi la volontà di Dio e il desiderio de l'anima mia, col quale io desidero, con tutte le interiora e con tutta la forza de l'anima mia, la salute vostra. E però, costretta dalla divina bontà, che v'ama ineffabilemente, mi sono mossa a scrivere a voi con grande dolore.

Altra volta anco vi scrissi di questa simile materia. Abbiate pazienza se io vi gravo troppo di parole, e se con voi parlo sicuramente e irreverentemente: l'amore che io ho a voi mi fa parlare con sicurezza, e il difetto vostro commesso mi fa partire dalla debita reverenzia e parlare irreverentemente. Molto più tosto con la voce viva desiderarei di dirvi la verità - per la salute vostra e principalmente per onore di Dio -, che per scripta; e più tosto farei di fatto che di parole a chi ve n'ha colpa, benché colpa e cagione ve ne sete voi medesima, perché neuno è, né demonio né creatura, che vi possa constringere a una minima colpa, se voi non volete: e però vi dissi che voi ne sete la cagione. Annegatevi un poco nel sangue di Cristo crocifisso: quine si dissolva la nuvola dell'amore proprio, e il timore servile, e il veleno dell'odio e del proprio sdegno.

Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.

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