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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (3)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 19:43
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19/10/2012 18:58

313. Al conte di Fondi.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre e fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero lavoratore nella vigna de l'anima vostra, a ciò che raportiate il molto frutto al tempo della ricolta, cioè nel tempo della morte, nel quale ogni colpa è punita e ogni bene è remunerato.

Sapete che la Verità eterna creò noi ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26): di noi fece suo tempio dove egli vuole abitare per grazia, se piace al lavoratore di questa vigna di lavorarla bene e drittamente; che se ella non fusse lavorata, ma abondasse di spine e di pruni, già non sarebbe da abitarvi. Or vediamo, carissimo padre, che lavoratore ci ha posto questo maestro. Àci posto lo libero arbitrio, in cui è commessa tutta la governazione; èci la porta della volontà, che neuno è che la possa uprire o serrare, se non quanto lo libero arbitrio vuole; àci posto lo lume dell'intelletto per conoscere gli amici e i nemici che volessero intrare e passare per la porta (alla qual porta è posto lo cane della conscienzia, che abbaia quando gli sente apparire, se egli è desto e non dorma). Questo lume ha discerto e veduto il frutto traendone la terra, affinché il frutto rimanga netto; e mettelo nella memoria, la quale è uno granaio, ritenendovi lo ricordo dei beneficii di Dio. Nel mezzo della vigna ha posto lo vasello del cuore pieno di sangue, per innaffiare con esso le piante, affinché non si secchino. Or così dolcemente è creata e ordinata questa vigna, la quale anco dicemmo che era tempio di Dio, dove esso abita per grazia.

Ma io m'aveggo che il veleno de l'amore proprio e del perverso sdegno ha avelenato e corrotto questo lavoratore, intanto che la vigna nostra è tutta insalvatichita. O egli ci è frutto che ci dà morte, o egli ci sonno salvatichi e acerbi, poiché i seminatori rei deli demoni visibili e invisibili passarono per la porta della volontà: le invisibili per la porta delle molte cogitazioni e varie, e le visibili con laidi e malvagi consigli, sottraendoci con parole finte doppie e piacentieri, e con malvagi costumi, dalla verità. Di quello seme che essi hanno in loro, di quello porgono a noi seminandolo col libero arbitrio: nacquene frutto di morte, cioè di molti peccati mortali.

Doh quanto è laida quella misera vigna a vedere, ché di vigna è fatta bosco, con le spine della superbia e de l'avarizia, e coi pruni de l'ira e della impazienzia e disobbedienza, piena d'erba venenosa; di giardino è fatta stalla, dilettandoci noi di stare nella stalla della immondizia. Questo nostro giardino non è chiuso, ma è aperto; e però i nemici dei vizii e deli demoni v'entrano come in loro abitazione. La fonte è risecca, ch'è la grazia la quale traemmo del santo baptesmo in virtù del sangue, lo quale sangue bagnava essendone pieno lo cuore per affetto d'amore. Il lume dell'intelletto non vede altro che tenebre, perché è privato del lume della santissima fede: non vede né conosce altro che amore sensitivo. Di questo empie la memoria, unde altro ricordo non ha né può avere - mentre che sta così - se non di miseria, con disordinati appetiti e desiderii.

Àci posta una vigna appresso, questa dolce verità eterna, cioè il prossimo nostro; la quale è tanto unita insieme che utilità non possiamo fare alla nostra che non sia fatta anco alla sua. Anco ci è comandamento che noi la governiamo come la nostra, quando ci è detto: «Ama Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come te medesimo» (). Oh quanto è crudele questo lavoratore che sì male ha governata la vigna sua, senza nessuno frutto se non d'alcuno atto di virtù, lo quale è sì acerbo che neuno è che ne possa mangiare: ciò sonno le opere buone fatte fuore della carità.

Oh quanto è misera quella anima che nel tempo della morte, lo quale è uno tempo di ricolta, ella si trova senza veruno frutto! La pruova le fa conoscere la morte sua, e nella morte conosce il suo male; e però va cercando allora d'avere il tempo per poterla governare, e non ha il modo. Lo ignorante uomo crede potere tenere il tempo a suo modo, ed egli non è così: Percioè da levarsi nel tempo presente che ci è prestato per misericordia.

O carissimo padre, vogliate conoscere in che stato trovate e vedete la vigna vostra. Dolgomi fino a la morte che il tiranno del libero arbitrio v'ha fatto: di giardino che gittava essemplo di virtù e di verità e lume di fede, ora l'ha pervertito di giardino in bosco. E che frutto di vita può fare, essendo voi tagliato dalla verità, e fattone perseguitatore - e dilatare la bugia! -, trattone la fede e messavi la infedeltà? E perché vi fate male di morte? Per l'amore che avete nella propria sensualità, e per sdegno conceputo contro il capo vostro. E non vediamo noi che il sommo giudice non dorme sopra di noi? Come potete fare quello che voi non dovete, contro il capo vostro - come che se in verità fusse che papa Urbano VI non fusse veramente papa -, con-ciò-sia-cosa-che nel segreto del cuore voi teniate quello che è, cioè che egli è sommo e vero pontefice; e chi altro dice, è eretico reprobato da Dio, non fedele né catolico uomo, ma cristiano rinegato che niega la fede sua.

Questo doviamo tenere, che egli è papa eletto con elezione ordinata e vicario di Cristo in terra; e a lui doviamo obbedire fino a la morte: eziandio se a noi fusse padre crudele, in tanto che ci cacciasse con rimproverio dall'uno capo del mondo a l'altro con ogni tormento, non doviamo però scordarci, né perseguitare questa verità. E se voi mi diceste: «A me è stato portato lo contrario, che papa Urbano VI non sia in verità sommo pontefice», io vi risponderei che io so che Dio v'ha dato tanto lume che - se voi non vel tollete con le tenebre de l'ira e dello sdegno - voi conoscete che chi lo dice mente sopra lo capo suo.

Essi medesimi si fanno menzonieri, ritrattando quella verità che hanno porta a noi, e porgonla in bugia.

Ben so che conoscete chi gli ha mossi, quelli che tenevano luogo di verità, posti per dilatare la fede - ora hanno contaminata la fede e dinegata la verità, e levata tanta scisma nella santa Chiesa, che degni sono di mille morti -: trovarete che non gli ha mossi altro che quella passione che ha mosso voi medesimo, cioè l'amore proprio che non poté sostenere le parole, né reprensione aspra, né la privazione della terra, ma concepette sdegno e parturì lo figlio de l'ira. Per questo si privano del bene del cielo, essi e chiunque fa contro questa verità. Le ragioni che si possono vedere a manifestazione di questa verità sonno sì piene e sì chiare e sì manifeste che ogni persona bene idiota le può intendere e vedere; e però non mi distendo a narrarle a voi, che so che sete di buono cognoscimento, e conoscete la verità di quello che è: e così la teneste, confessaste, e faceste reverenzia.

Increscemi che io vegga tanto insalvatichita l'anima vostra che faccia ora contro questa verità. Come il patisce la conscienzia vostra che voi, lo quale sete stato obbediente figlio e sovenitore della santa Chiesa, ora aviate ricevuto sì-fatto seme che non produce altro che frutto di morte? E non tanto che dia morte a voi, ma pensate a quanti sete cagione de l'anima e del corpo, dei quali vi converrà rendere ragione dinanzi al sommo giudice. Non più così, per l'amore di Dio! Umana cosa è il peccare, ma la perseveranza nel peccato è cosa di demonio. Tornate a voi medesimo, e riconoscete il danno de l'anima e del corpo, ché la colpa non passa impunita, massimamente quella che è fatta contro la santa Chiesa: questo sempre s'è veduto. Però vi prego, per amore del sangue che con tanto fuoco d'amore fu sparto per voi, che umilemente torniate al padre vostro, che v'aspetta con le braccia aperte, con grande benignità, per fare misericordia a voi e a chiunque la vorrà ricevere.

Levisi la ragione col libero arbitrio, e cominciamo a rivoltare la terra di questo disordinato e perverso amore: cioè che l'affetto, il quale è tutto terreno e d'altro che di cose transitorie non si vuole nutrere - le quali passano tutte come il vento, senza alcuna fermezza o stabilità - i diventi celestiale, cercando i beni del cielo, i quali sono fermi e stabili che in sé non hanno alcuna mutazione. Apriamo la porta della volontà a ricevere il seminatore vero, Cristo dolce Gesù crocifisso, lo quale porge nella mano del libero arbitrio il seme della dottrina sua; il quale seme produce i frutti delle vere e reali virtù. Le quali virtù con lume il libero arbitrio ha sciolte da la terra: cioè che le virtù non l'ha seminate né ricolte in sé per veruno terreno amore o piacere umano, ma con odio e pentimento di sé medesimo ne l'ha gittate fuore; e il frutto è riposto nella memoria per ricordo dei beneficii di Dio, riconoscendo d'averli da lui e non per sua propria virtù.

Che albero ci pone? l'albero della perfettissima carità, che la cima sua s'unisce col cielo - cioè nell'abisso della carità di Dio -, i rami suoi tengono per tutta la vigna, unde mantengono in freschezza i frutti: perché tutte le virtù procedono e hanno vita dalla carità. Di che s'inaffia? non d'acqua ma di sangue prezioso sparto con tanto fuoco d'amore, il qual sangue sta nel vasello del cuore, come detto è.

E non tanto che egli ne innaffi questa vigna dolce e dilettevole giardino; ma egli ne dà bere al cane della conscienzia abondantemente, a ciò che, fortificato, facci buona guardia a la porta della volontà, a ciò che nessuno passi che esso non il faccia sentire destando col grido suo la ragione; e la ragione col lume dell'intelletto raguardi se sonno amici o nemici. Se sonno amici che ci siano mandati dalla clemenza dello Spirito santo - ciò sonno i santi e buoni pensieri, schietti consigli e perfette opere -, siano ricevuti dal libero arbitrio diserrando la porta con la chiave de l'amore. E se sonno nemici di perverse cogitazioni e corrotte opere le cacci con la verga de l'odio, con grandissimo rimproverio; e non si lassino passare che non sieno corrette, serrando la porta della volontà che non consenta a loro.



Allora Dio, vedendo che il lavoratore del libero arbitrio, lo quale egli misse nella vigna sua, ha bene lavorato in sé e in quella del prossimo suo, sovenendolo in ciò che gli è stato possibile per carità e affetto di carità, egli si riposa dentro in quella anima per grazia. Non che per nostro bene a lui cresca riposo, poiché non ha bisogno di noi; ma la grazia sua si riposa in noi, la quale grazia ci dà vita e rivesteci ricoprendo la nostra nudità, dacci lo lume e sazia l'affetto de l'anima: e, saziata, rimane affamata. Dàlle il cibo ponendola a mangiare alla mensa della santissima croce; nella bocca del santo desiderio dà il latte della divina dolcezza, pigliando con essa la mirra de l'amaritudine dell'offesa di Dio e dell'amaritudine della croce, cioè delle pene che il Figlio di Dio portò. Dàlle incenso d'umili continue e fedeli orazioni, le quali offera molto festinamente per onore di Dio e salute de l'anime. Oh quanto è beata questa anima! Veramente ella gusta vita eterna.

Ma noi, ingrati, non ci curiamo di questa beatitudine, ché se noi ci ne curassimo sceglieremmo innanzi la morte che di volere perdere tanto bene. Leviamo questa ignoranza con ogni verità; cercandola in verità andaremo colà dove Dio l'ha posta, ché se noi la cercassimo altrove già non la trovaremmo. Detto aviamo come noi siamo vigna, e come ella è adornata, e come Dio vuole che ella sia lavorata. Ora dove ci ha posti? nella vigna della santa Chiesa. Ine ha posto il lavoratore, cioè Cristo in terra, lo quale ci ha da amministrare il sangue; col coltello della penitenza, la quale riceviamo nella santa confessione, taglia il vizio de l'anima, nutrendola al petto suo, legandola col legame della santa obbedienzia. E senza questa vigna la nostra sarebbe ruinata: la grandine gli torrebbe ogni frutto, se ella non fusse legata in questa obbedienzia.

Perciò vi prego che umilemente con grande sollecitudine torniate a questo giogo. Cercate il lavoratore e la vigna de l'anima vostra nella vigna della santa Chiesa, altrimenti sareste privato d'ogni bene, e cadereste in ogni male. Ora è il tempo: per l'amore di Dio escite di tanto errore, ché, passato il tempo, non c'è più rimedio. Tosto viene la morte, che noi non ce ne avediamo, e sì ci ritroviamo nelle mani del sommo giudice: duro ci è a ricalcitrare a lui (Ac 26,14). Sono certa che, se sarete vero lavoratore della vigna vostra, voi non indugiarete più a tornare, ma con grande umilità riconoscerete le colpe vostre, dolendovi dell'offesa di Dio: chiedarete di grazia al Padre che vi rimetta ne l'ovile suo; altrimenti no. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi vero lavoratore nella vigna de l'anima vostra; e così vi prego strettamente quanto io so e posso. Raguardate che l'occhio di Dio è sopra di voi: non aspettiamo il suo fragello, ché egli vede lo intrinsico del cuore nostro. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Perdonatemi se troppo v'ho gravato di parole, ché l'amore che io ho alla salute vostra, e il dolore di vedervi offendere Dio e l'anima vostra, me n'è cagione; e non ho potuto tacere ch'io non vi dica la verità. Gesù dolce, Gesù amore.





314. due Lettere

1) Epistola de la beata Caterina da Siena a certi suoi devoti figli.

2) A monna Costanza donna di Nicolò Soderini da Firenze


Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

Dilettissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi lo cuore e l'affetto vostro spogliato da l'amore miserabile del mondo, sì e per sì-fatto modo ch'ogni cosa miserabile vi venga a tedio e a dispiacere, in tanto che voi diciate coll'apostolo dolce Pavolo: «Io disidero da essere disciolto dal corpo e da essere con Cristo»(Ph 1,23).

Conosceva Pavolo che la vita corporale gli era grande impedimento fra Dio e lui, per due modi. L'uno, ché il corpo sempre ribella a lo spirito: esendo ribelle a lo spirito è ribelle al suo Creatore. L'altro si è che la vita corporale non ci lassa vedere la visione di Dio fino che l'anima non è sciolta da questo legame, e perciò Pavolo e gli altri servi di Dio hanno la morte in desiderio e la vita in pazienza. Ma pensate che due morti ci conviene avere prima che giogniamo a la vita: la prima si è che la criatura muoia ad ogni propria e perversa sua volontà, la quale volontà sensitiva, a chi non l' uccide, lo conduce ne la morte eternale. è necessario che l' uomo se ne lievi e tolga il coltello de l'odio e de l'amore: odio del peccato e amore de le virtù; a questo modo aspetarà l'anima la seconda morte corporale, la quale è fine d'ogni fatica, termina ogni tenebre, e fa giognare l'anima a la luce de la visione dello Dio suo.

Ma pensate, figliuogli miei, che se non fuste vissuti coi la volontà morta, come detto è, non sarebbe tanto gloriosa la morte corporale sua, anco sarebbe molto penosa. Voglio Perciò che seguitiate le vere e reali virtù, fugendovi dal mondo e da le dilizie sue, acostandovi a Dio, e ricevarete somma allegrezza e gaudio e sicurezza, perdendo ogni timore servile, ma conceparete una fede viva, e con essa guardarete la divina misericordia; ne la fede trovarete che Dio non vuole altro che la vostra santificazione. E perché noi fussimo santificati in lui, donocci lo Verbo del Figlio suo e volse che morisse de l'obrobiosa morte de la croce: ine si trova tanta larghezza di misericordia che né lingua umana né cuore non è soficiente a poterlo dire né imaginare. E così si perde ne la misericordia lo timore e la pena.

Alcune volte è che l'anima, per tenerezza e timore che ha de la morte, ha grandissima pena, e questo è per illusione di demonio, dicendo il demonio ne la mente sua: «Vedi che tu morrai e non hai fatto veruno bene, che sai tu dove tu n'andarai? L'uopare tue non meritano altro che l'inferno». E da l'altra parte gli dà una tenerezza di se medesimo, dicendo: «Or ch'è a pensare, che il corpo tuo è stato in tante dilicatezze e dilizie del mondo, e testé sarai morto e più ladio che neuno altro animale!» La perversità del demonio dà questo pensiero e cogitazione nel cuore solo per farlo venire a disperazione e a confusione di mente, e per fargli vedere solo i difetti e peccati suoi, e nascondare la divina misericordia.

Convienesi ponare rimedio a tanta malizia del demonio, e rispondare in sé medesimo a queste cogitazioni che gli vengono, vollendo l'occhi al suo Creatore e dire: Io conosco ch'io sono mortale, la qual cosa m'è grandissima grazia, ché per la morte io giognarò al mio fine, a Dio, ch'è mia vita. E anco ti confesso che la vita mia, coi le opere ch'i' ho fatte, non meritano altro che l’inferno; ma io ho fede e speranza nel mio Creatore e nel sangue del consumato e dissanguato Agnello, che mi perdonarà i miei peccati e darammi grazia, e io m'ingegnarò di coregere la vita mia per lo tempo presente. E se pure la morte ora mi venisse prima ch'io coregessi la vita mia - cioè ch'io non avessi anco fatta penetenzia dei peccati miei -, dico: io mi confido (), vego che non ha veruna comparazione da la divina misericordia ai peccati miei; anco più, che se tutti i peccati che si possono comettere fussero raunati in una creatura, sono quanta una gocciola d'aceto in mezzo del mare: così i peccati a rispetto de la divina misericordia, pur che l'anima voglia tornare a ricevarla con pura e santa disposizione, con pentimento de la colpa comessa, nel quale pentimento perde la tenerezza del corpo suo e d'ogni cosa creata. A questo modo l'anima s'asicura e cresce l'amore nel fine suo, e perde lo timore servile de la confusione; dilettasi con grandissima giocondità col diletto suo Cristo Crocifisso, aspettando con grandissima letizia e riposo a l'ora de la morte, e non tanto che il 'spetti, ma desidera de vedersi levare del mondo ed esser con Cristo.

Or su, figliuogli miei dolci, non più timore, ma coi letizia passate questo punto del tempo, con uno desiderio de la virtù, con una vera pazienza, sostenendo ogni pena corporale e mentale, o per infermità o per qualunque altro modo Dio ve le concedesse. Non mi schifate pene, ma stregnetevi e abraciatevi coi la croce e coi le pene, ché ogni pena che voi avarete v'è conceduta da Dio per vostra utilità, perché vuole avere di che rimunerarvi quando 'scirete del mare tempestoso di questa tenebrosa vita: andarete a luoghi di riposi, a la città vera di Yerusalem, visione di pace, dove ogni bene è rimunerato, cioè ogni pazienza e buona opera la quale noi adoperiamo in questa vita.

Or quanto sarebbe stolto e matto quello mercatante a cui fusse messo in mano lo tesoro perché guadagnasse con esso, ed egli per timore de la pena il sotterasse sotto la terra (Mt 25,25): degno sarebbe di grande riprensione, e che gli fusse tolta la vita. Noi siamo quegli mercatanti, a cui è comesso il tesoro del tempo, coi libero arbitrio - volontà libera la quale Dio ci ha data e comessa perché noi guadagniamo - poiché, mentre ch'aviamo lo tempo, siamo atti a perdare e a guadagnare, secondo che piace a la volontà nostra. Saremmo stolti se, per timore de la pena e per paura, noi sotterassimo questo tempo e questa volontà, la quale ci è data perché noi guadagniamo vita eterna - vivendo vertudiosamente - e non ne comprassimo l’inferno, vivendo viziosamente: allora vive viziosamente, quando soterra il tempo e la volontà ne la terra, cioè ne l'afetto e desiderio terreno, disordinato fuore di Dio. E però dissi io a voi che il cuore e l'afetto fusse spogliato d'ogni amore e affetto del mondo e timore servile, ma voglio che siate vestiti solo di Cristo crocifisso, e ine ponete la fede e la speranza vostra, acciò ch'lo demonio coi suoi ingani non vi possa pigliare coi la disordinata paura de la morte, ma con desiderio vogliate tornare al fine vostro. Altro non dico.

Bagnatevi nel sangue di Cristo dolce Gesù. Benedite la fanciulla in Cristo dolce Gesù. Racomandatemi a monna Nera e a Nicolò, e dite lo' che sappino furare lo tempo, e spendarlo con vero e santo desiderio mentre che l'hanno.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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