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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (3)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 19:43
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19/10/2012 18:54

310. A tre cardinali italiani partiti da papa Urbano VI.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli e padri in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi tornati a vero e perfettissimo lume, e uscire di tanta tenebre e cecità nella quale sete caduti.

Allora sarete padri a me; in altro modo, no: sì che padri vi chiamo, in quanto voi vi partiate dalla morte e torniate alla vita - ché, quanto che ora, sete partiti dalla vita della grazia, membri tagliati dal capo vostro unde traiavate la vita -, stando voi uniti in fede, e in perfettaobbedienza a papa Urbano VI. Nella quale obbedienza stanno quelli che hanno lume, che con lume conoscono la verità; e conoscendola l'amano, poiché la cosa che non si vede non si può conoscere, e chi non conosce non ama; e chi non ama e non teme lo suo Creatore, ama sé d'amore sensitivo, e ciò che ama - e delizie e onori e stati del mondo - ama sensitivamente. Perché egli è creato per amore, non può vivare senza amore: ché o egli ama Dio, o egli ama sé e il mondo d'amore che gli dà morte, ponendo l'occhio dello intelletto - offuscato dell'amore proprio di sé - sopra queste cose transitorie che passano come il vento. Ine non può conosciare verità né bontà nessuna; altro che bugia non conosce, perché non ha lume. Ché veramente, s'egli avessi lume, egli conosciarebbe che di questo così-fatto amore non ha né trae altro che pena e morte eterna: fagli gustare la caparra dell’inferno in questa vita, perché è fatto incomportabile a sé medesimo colui che disordenatamente ama sé e le cose del mondo.

Oh cecità umana! E non vedi tu, disaventurato uomo, che tu credi amare cosa ferma e stabile, cosa dilettevole buona e bella; ed elle sonno mutabili, somma miseria, laide e senza nessuna bontà: non le cose create in loro - che tutte sonno create da Dio, che è sommamente buono -, ma per l'affetto di colui che disordenatamente le possiede. Quanto è mutabile la ricchezza e onore del mondo in colui che senza Dio le possiede, cioè senza lo suo timore: che oggi è ricco e grande, e ora è povaro. Quanto è laida la vita nostra corporale, che, vivendo, da ogni parte del corpo nostro gittiamo puzza: dirittamente un sacco pieno di sterco, cibo di vermini e cibo di morte. La nostra vita e la bellezza della gioventudine passano via come la bellezza del fiore poi che è colto dalla pianta: neuno è che possa rimediare a questa bellezza, conservare che non sia colto dalla vita quando piace al sommo giudice di cogliere questo fiore col mezzo della morte; e neuno sa quando. O misero, le tenebre dell'amore proprio non ti lassa conosciare questa verità, ché, se tu la conoscessi, tu elegiaresti inanzi ogni pena che guidare la vita tua a questo modo; porrestiti ad amare e desiderare Colui che è (Ex 3,14); gustaresti la verità sua con fermezza e non ti movaresti come la foglia al vento; serviresti lo tuo Creatore e ogni cosa amaresti in lui, e senza lui nulla.

Oh quanto sarà ripresa nell'ultima 'stremità, e con quanto rimproverio, questa cecità, in ogni creatura che ha in sé ragione, e molto magiormente in quelli che Dio ha tratti del loto del mondo e posti nella maggiore eccelenzia che possono essere: d'essere fatti ministri del sangue dell'umile e immacolato Agnello! Oimé, oimé, a che v'ha fatto giognare lo non avere seguitato in virtù la vostra eccelenzia! Voi fuste posti a notricarvi al petto della santa Chiesa, come fiori messi in questo giardino, affinché gittaste odore di virtù; fuste posti per colonne a fortificare questa navicella, e il vicario di Cristo in terra; fuste posti come lucerna in sul candelabro per rendare lume ai fedeli cristiani e dilatare la fede. Voi sapete bene se voi avete quello fatto per che fuste posti: certo no, ché l'amore proprio non v'ha fatto conosciare che, in verità, solo per fortificare e rendare lume ed essemplo di buona e santa vita voi fuste messi in questo giardino. Che se voi l'aveste conosciuta, l'areste amata, e vestitivi di questa dolce verità.

E dove è la gratitudine vostra, la quale dovete avere a questa sposa che v'ha notricati al petto suo? Non ci vegio altro che ingratitudine, la quale ingratitudine disecca la fonte della pietà. Chi mi mostra che voi sete ingrati villani e mercenai? La perseguizione che voi, con gli altri insieme, avete fatta e fate a questa sposa nel tempo che dovete essere scudi, e risistare ai colpi della 'resia; nella quale sapete e conoscete la verità, che papa Urbano VI è veramente papa, sommo pontefice eletto con elezione ordinata, e non con timore, veramente più per 'spirazione divina che per vostra industria umana: e così l'anunziaste a noi quello che era la verità.

Ora avete voltato le spalle, come vili e miserabili cavalieri: l'ombra vostra v'ha fatto paura; partiti vi sete dalla verità che vi fortificava, e acostatevi alla bugia che indebilisce l'anima e il corpo, privandovi della grazia spirituale e temporale. Chi ve n'è cagione? Il veleno dell'amor proprio, che ha avelenato lo mondo: egli è quello che voi colonne ha fatti peggio che paglia. Non fiori che gitiate odore, ma puzza che tutto il mondo avete apuzzato; non lucerne poste in sul candelabro affinché dilatiate la fede, ma - nascoso questo lume sotto lo staio della superbia () -, fatti non dilatatori ma contaminatori della fede, gittate tenebre in voi e in altri. D'angioli terrestri che dovete essere posti per levarci dinanzi al demonio infernale - pigliare l'ofizio degli angioli riducendo le pecorelle all’obbedienza della santa Chiesa -, e voi avete preso l'ufizio deli demoni. E di quello male che avete in voi, di quello volete dare a noi, ritraendoci dallaobbedienza di Cristo in terra e inducendoci all’obbedienza d'antecristo, membro del diavolo, e voi con lui insieme, mentre che starete in questa 'resia. Questa non è cecità d'ignoranza, cioè che venga per ignoranza: non vi viene che vi sia porto dalle creature una cosa, e sia un'altra, no: ché voi sapete quello che è la verità, e voi l'avete anunziata a noi, e non noi a voi. Oh come sete matti, che a noi deste la verità, e per voi volete gustare la bugia! Ora volete seducere questa verità e farci vedere in contrario, dicendo che per paura elegeste papa Urbano; la qual cosa non è, ma chi lo dice - parlando a voi non riverentemente, perché vi sete privati della riverenzia - mente sopra lo capo suo, poiché quello che voi mostraste avere eletto per paura aparbe evidente a chiunque lo volse vedere: ciò fu misser di Santo Pietro. Potreste dire a me: «Perché non credimi? Meglio sappiamo noi la verità, che lo elegemmo, che voi». E io vi rispondo che voi medesimi m'avete mostrato che voi vi partite dalla verità, in molti modi, e ch'io non vi debbo credare che papa Urbano VI non sia vero papa. S'io mi vollo al principio della vita vostra, non vi conosco di tanta buona e santa vita che voi per coscienza vi ritraeste dalla bugia. E chi mi mostra la vostra vita poco ordinata? Il veleno della 'resia.

S'io mi vollo alla elezione ordinata, per la bocca vostra abiamo saputo che voi lo elegeste canonicamente, e non per paura. Detto abiamo che quello che mostraste per paura fu misser di San Pietro. Chi mi mostra la elezione ordinata con che elegeste misser Bartolomeo, arcivescovo di Bari, lo quale è oggi papa Urbano VI, fatto in verità? Nella solennità fatta della sua coronazione c'è mostrata questa verità. Che la solennità sia fatta in verità, ci mostra la riverenzia che li faceste, e le grazie domandate a lui, e voi averle usate. In tutte quante le cose non potete dinegare questa verità altro che con menzogne. Ahi stolti, degni di mille morti! Come ciechi non vedete lo male vostro; venuti sete a tanta confusione che voi stessi vi fate menzonieri e idolatri. Ché, eziandio se fusse vero - che non è, anco confesso, e non lo niego, che papa Urbano VI è vero papa -, ma se fusse vero quello che dite, non areste voi mentito a noi, che cel diceste per sommo pontefice - com'egli è -; e non areste voi falsamente fattoli riverenzia, adorandolo per Cristo in terra; e non sareste voi stati simoniaci a procacciare le grazie e usarle illicitamente? Sì bene.

Ora hanno fatto l'antipapa, e voi con loro insieme: quanto a l'atto e aspetto di fuori avete mostrato così, sostenendo di ritrovarvi ine quando i dimoni incarnati elessero lo demonio. Voi mi potreste dire: «Noi non lo scegliemmo». Non so ch'io mel creda, poiché non credo che voi aveste sostenuto di ritrovarvi ine, se la vita ne fusse dovuta andare. Almeno lo tacere la verità, e non stroppiare! Che questo non fusse giusta lo vostro potere, mi fa inchinare a credare che, poniamo che forse faceste meno male che gli altri nella 'ntenzione vostra, voi faceste pure male con gli altri insieme. E che posso dire? Posso dire che chi non è per la verità è contro la verità (Mt 12,30 Lc 11,23): chi non fu allora per Cristo in terra, papa Urbano VI, fu contro lui.

E però vi dico che voi, con lui insieme, faceste male; e posso dire che sia eletto uno membro del diavolo: ché se fusse stato membro di Cristo arebbe eletto inanzi la morte che consentito a tanto male, però ch'egli sa bene la verità, e non si può scusare per ignoranza. Ora tutti questi difetti commettete e avete commessi inverso questo demonio: cioè di confessarlo per papa - e egli non è così la verità -, e di fare la riverenzia a cui voi non dovete. Partiti sete dalla luce e itine alle tenebre; dalla verità, e congiunti alla bugia. Da qualunque lato io mi vollo io non ci truovo altro che bugie. Degni sete di suplizio, lo quale suplizio veramente io vi dico - e ne scarico la coscienza mia - che se voi non ritornate all’obbedienza con vera umilità, verrà sopra di voi. O miseria sopra miseria, o cecità sopra cecità, che non lassa vedere lo male suo, né il danno dell'anima e del corpo! Ché se lo vedeste non vi sareste così di legiero con timore servile partiti dalla verità.

Tutti passionati, come superbi e persone abituate arbitrarie nei piaceri e diletti umani, non poteste sostenere non solamente la correzione di fatto attualmente, ma la parola aspra riprensibile vi fece levare lo capo. E questo, cioè la cagione per che vi sete mossi, ci dichiara bene la verità: ché prima che Cristo in terra vi cominciasse a mordare, voi lo confessaste e riveriste come vicario di Cristo ch'egli è. Ma l'ultimo frutto ch'è uscito di voi, che germina morte, dimostra che albori voi sete, e che il vostro alboro è piantato nella terra della superbia che esce dell'amore proprio di voi, lo quale amore v'ha tolto lo lume della ragione.

Oimé, non più così per l'amore di Dio! Pigliate lo scampo d'aumiliarvi sotto la potente mano di Dio e a l'obbedienzia del vicario suo, mentre che avete lo tempo; ché, passato lo tempo, non c'è più rimedio.

Riconoscete le colpe vostre, affinché vi potiate aumiliare e conosciare la 'nfinita bontà di Dio, che non ha comandato a la terra che v'inghiottisca (Nb 16,32), né alli animali che vi divorino - anco v'ha dato lo tempo affinché potiate corregiare la vita vostra -; ma se voi nol conosciarete, quello che egli v'ha dato per grazia vi tornarà a grande giudicio. Ma se vorrete tornare all'ovile, e pasciarvi in verità al petto della Sposa di Cristo, sarete ricevuti con la misericordia da Cristo in cielo e da Cristo in terra, non ostante le 'niquità che avete commesse. Pregovi che non tardiate più, né ricalcitrate a lo stimolo della coscienza, che continovamente so che vi percuote; e non vi vinca tanto la confusione della mente, del male che avete fatto, che voi abandoniate la salute vostra per tedio e disperazione, quasi non parendovi di potere trovare rimedio. Non si vuole fare così ma, con fede viva, ferma speranza pigliate nel vostro Creatore, e con umilità tornate al giogo vostro; ché peggio sarebbe l'ultima offesa della ostinazione e disperazione, e più spiacevole a Dio e al mondo, e danno a voi, che la prima. Perciò levatevi su col lume, ché senza lo lume andareste in tenebre, sì come sete andati per fino a qui.

Considerando questo l'anima mia: che senza lo lume non possiamo conosciare né amare la verità, dissi e dico ch'io desidero con grandissimo desiderio di vedervi levati dalle tenebre, e unirvi con la luce. A tutte le creature che hanno in loro ragione si stende questo desiderio, ma molto maggiormente a voi tre, dei quali io ho avuto massimo dolore, e amirazione più del vostro difetto che di tutti gli altri che l'hanno commesso: ché, se tutti si partivano dal padre loro, voi dovavate essere quelli figli che fortificaste lo padre, manifestando la verità. Non ostante che il padre non avesse con voi usato altro che rimproverio, non dovavate però essere Giuda, dinegando la Santità sua. Per ogni modo, pure naturalmente parlando - ché, secondo virtù, tutti dobiamo essere eguali, ma parlando umanamente -: Cristo in terra italiano e voi italiani, che non vi poteva muovare la passione della patria come gli oltramontani, cagione non ci vegio se non l'amore proprio. Aterratelo ogimai, e non aspettate lo tempo - ché il tempo non aspetta voi -, conculcando coi piei dell'affetto, con odio del vizio e amore della virtù.

Tornate, tornate, e non aspettate la verga della giustizia, poiché dalle mani di Dio non possiamo uscire: noi siamo nelle mani sue, o per giustizia o per misericordia. Meglio è a noi di riconosciare le colpe nostre - e staremo nelle mani della misericordia -, che di stare in colpa e nelle mani della giustizia, perché le colpe nostre non passano impunite, e spezialmente quelle che sonno fatte contro la santa Chiesa. Ma io mi voglio obligare di portarvi dinanzi a Dio con lacrime e continova orazione, e con voi insieme portare la penitenza, pure che vogliate ritornare al padre che, come vero padre, v'aspetta con l'ale aperte della misericordia. Oimé, oimé, non la fugite né schifate ma umilmente la ricevete, e non crediate ai malvagi consiglieri che v'hanno dato la morte. Oimé, fratelli - dolci dolci fratelli e padri mi sarete in quanto v'acostiate alla verità -, non fate più resistenza alle lacrime e ai sudori che gittano i servi di Dio per voi, che dal capo ai piedi ve ne lavareste; che se voi le spregiaste, e gli ansietati dolci e dolorosi desideri che per voi sonno offerti da loro, molta più dura riprensione ricevereste. Temete Dio, e il vero giudicio suo. Spero per la infinita sua bontà, che adempierà in voi lo desiderio dei servi suoi.

Non vi paia duro s'io vi pongo con le parole, ché l'amore della salute vostra mi possiede fatto scrivare e più tosto vi pognarei con la voce viva, se Dio mel permettesse - sia fatta la volontà sua -; e anco meritate più tosto i fatti che le parole. Pongo fine e non dico più, che s'io seguitassi la volontà anco non mi ristarei, tanto è piena di dolore e di tristizia l'anima mia di vedere tanta cecità in quelli che sonno posti per lume: non come agnelli che si pascono del cibo de l'onore di Dio e salute delle anime e riformazione della santa Chiesa, ma come ladri involano quello onore che debono dare a Dio, e dannolo a loro medesimi; e, come lupi, divorano le pecorelle, sì ch'io ho grande amaritudine. Pregovi per amore di quello prezioso sangue sparto con tanto fuoco d'amore per voi, che diate rifrigerio all'anima mia, che cerca la salute vostra. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Bagnatevi nel sangue dell'Agnello immacolato, dove perdarete ogni timore servile, e, con lume, rimarrete nel timore santo. Gesù dolce, Gesù amore.





311. AI signori Difensori del populo e comune di Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi frategli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere rilucere in voi la margarita della santa giustizia, affinché giustamente rendiate a ciascuno il debito suo.

A cui siamo noi debitori? A Dio e alla santa Chiesa e al prossimo nostro per lo comandamento di Dio, e a noi medesimi. Vediamo che debito è questo: è così-fatto, che a Dio doviamo rendere, per amore, gloria e loda al nome suo. A noi ha dato amore, a noi ha dato onore: poiché egli ci amò prima che noi fussimo; e àcci fatto onore tollendoci la vergogna - nella quale cademmo per lo peccato di Adam - nel sangue del suo Figlio, nel quale ricevemmo lo frutto della grazia, la quale fu una utilità la maggiore che potessimo ricevere, perché ci tolse la morte e diedeci la vita.

Perciò a lui doviamo rendere onore e amore; ma utilità a lui non possiamo fare, sì che la doviamo fare al prossimo nostro, sovenendolo secondo la possibilità nostra, rendendoli lo debito della carità, sì come ci è comandato - dicendo la Verità eterna: «Ama Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come te medesimo» (Mt 22,37-39 Mc 12,30-31 Lc 10,27)-. A noi doviamo rendere odio e pentimento del vizio e della propria sensualità che n'è cagione; e amore delle virtù, amandole in noi per Dio con affettuoso amore.

Ma lo contrario pare che noi facciamo - sì come ladri e malvagi debitori, tollendo l'altrui con molta ingiustizia -: cioè che l'onore e l'amore che doviamo dare a Dio e al prossimo nostro, noi lo diamo a noi medesimi. A noi diamo l'onore, come superbi, cercando gli stati delizie e grandezze del mondo con offesa di Dio, con atribuire e reputare per nostro sapere avere ciò che noi aviamo; e, sì come ignoranti, facciamo vituperio a Dio. A noi diamo l'amore, e a lui l'odio: non amore ragionevole, ma amore sensitivo; a lui diamo la puzza, e a noi l'odore, cercando i diletti e il piacere umano. Ma, come ciechi, noi non vediamo lo danno, la puzza, e le pietre delle nostre iniquità che caggiono pure sopra di noi (Pr 26,27), perché a lui lo nostro male non nuoce, né il nostro ben gli giova, perché egli non ha bisogno di noi, ma sì noi di lui.

Al prossimo rendiamo odio e rancore, commettendo molte ingiustizie; unde, se egli è signore, non tiene al prossimo ragione né giustizia - se non per propria utilità, o per piacere alle creature o a sé medesimo, e non col lume di ragione -; egli non si cura di tòllerli l'onore, la fama e la substanzia temporale, ed eziandio la vita. Con tanta ingiustizia governa i sudditi suoi come se egli non avesse signore sopra di sé: non pensa che la verga del sommo giudice gli possa rendere di quello che egli dà ad altrui. Non attende al bene universale e comune, ma solamente al suo proprio bene, come accecato dal proprio amore.

Questi non rendono lo quarto debito alla santa Chiesa e al vicario di Cristo. Che debito le doviamo rendere? Una debita reverenzia, un amore filiale: non solamente con le parole ma, come veri figli, sovvenire al padre nel tempo del bisogno, la ingiuria che è fatta a lui reputandola fatta a noi; e metterci ciò che si può, per levarli lo nemico suo d'inanzi. Ma questi cotali fanno tutto lo contrario. Pigliando una falsa cagione, dicono: «I sonno tanti i defetti loro, che noi non n'aviamo altro che male; unde non è degno di riverenzia, né d'essere sovenuto. Fusse quello che egli debba essere e attendesse alle cose spirituali e non a le temporali!» E così, come ingrati e irriconoscenti, non rendono riverenzia né obbedienzia né aiuto, ma spesse volte sottragono coloro che il volessero aiutare, con molta irreverenzia, come persone accecate dal proprio amore.

Non vediamo che la cagione nostra è falsa, poiché in ogni modo, o buono o gattivo che egli si fusse, noi non doviamo ritrare adietro di non rendere il debito nostro, poiché la reverenzia non si fa a lui in quanto lui, ma al sangue di Cristo, e all'auttorità e dignità che Dio gli ha dato per noi. Questa auttorità e dignità non diminuiscono per neuno suo difetto che in lui fusse, né non ci ministra la sua auttorità di meno potenza, né virtù né meno; e però non debba diminuire la reverenzia, né l'obbedienzia - poiché staremmo in stato di dannazione -, né per questo si debba lasciare il sovenirlo; poiché sovvenire a lui, è sovvenire a noi medesimi. E poiché per lo suo difetto non ci è tolta la nostra necessità la quale riceviamo da lui, doviamo essere grati e conoscenti, facendo ciò che si può per utilità della santa Chiesa, e per amore delle chiavi che Dio gli ha date.

E se così conviene a noi fare a quello che fusse gattivo e defettuoso, che doviamo fare a quello che Dio ci ha dato, lo quale è uomo giusto, virtuoso, e che teme Dio, con così santa e dritta intenzione quanto neuno che n'avesse già grande tempo la Chiesa di Dio? Dico di papa Urbano VI, lo quale è veramente papa, sommo pontefice, a malgrado di chi dice lo contrario. Perciò giusta cosa è d'averlo in reverenzia, obbedire alla Santità sua, e sovenirla in ciò che si può: sì per l'auttorità ch'egli ha; e sì per la giustizia e virtù sua; e sì perché egli ci ministra le grazie spirituali in salute e in vita de l'anime nostre; e sì per la grazia e amore particulare che egli ha mostrato e ha inverso di voi, come a cari figli; e sì per lo danno che ve ne può seguire, non facendolo, da Dio e dalle creature.

Da Dio, aspettandone disciplina per la ingratitudine nostra che noi mostriamo verso la santa Chiesa e il vicario suo; e giustamente il farebbe Dio per destare la miseria e ignoranza nostra, che drittamente facciamo come mercenai - ché ogni grazia che essi ricevono lo' il pare avere per debito; e coi difetti altrui spesse volte vogliono ricoprire il loro, ma molto maggiormente si scuoprono mostrando tanta ingratitudine -. Dalle creature ancora ne possiamo ricevere disciplina, perché noi vediamo lo tempo ad avenimento dei signori.

Meglio ci è dunque di stare uniti col padre e madre nostra, cioè papa Urbano VI e la santa Chiesa, che coi tiranni; meglio ci è di stare appoggiati a colonna ferma - la quale se è percossa con molte persecuzioni, mai non è però rotta - che a la paglia, ché siamo certi che ella viene meno, e ogni piccolo vento la caccia a terra. Aprite un poco gli occhi e mirate quanti inconvenienti ne possono venire, a fare vista di non vedere la necessità del padre, e non inanimarvi con pentimento verso i nemici suoi, e quali sonno vostri. Ché non potete dire che egli vi chiega l'aiutorio per acquistare i beni temporali della santa Chiesa i quali sonno perduti, ma per la fede nostra, per confondere la bugia, ed essaltare la verità, per trare l'anime delle mani del demonio, e perché la fede nostra non sia contaminata per le mani degli iniqui.

Perciò vedete che per ogni modo siete tenuti e obligati di rendere il debito alla santa Chiesa e al padre nostro. Sono certa che se la margarita della giustizia rilucerà nei petti vostri - la quale giustizia non è senza gratitudine -, voi renderete il debito a Dio, a Cristo in terra, al prossimo vostro, e a voi medesimi, nel modo che detto è. E così moltiplicaranno le grazie spirituali e temporali, e conservarete in pace e in quiete lo stato vostro, altrimenti no: anco, sarete privati del bene del cielo e della terra. E però vi dissi ch'io desideravo di vedere rilucere in voi la margarita della santa giustizia. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Pregovi per l'amore di Cristo crocifisso che voi non diate più parole a Cristo in terra; ma dateli dei fatti, e rendeteli di quello che egli ha dato a voi. Sapete bene che egli v'ha data l'absoluzione e la benevolenza; e anco, per la bontà di Dio e sua, Talamone non venne alle mani dei Pisani; e ora pare che con molta ingratitudine voliate trattare lui, menandolo per parole, come si fa ai fanciulli. E io vi dico che egli conosce, come uomo che vede più da la lunga che voi non pensate, e ripone nel cuore suo, i figli legittimi e i non legittimi; e allora e al tempo suo mostrarà che egli gli abbi cognosciuti. Or non più questo modo, per l'amore di Dio, ma trattatelo come vicario di Cristo in terra, e trattatelo come caro vostro padre, sforzandovi senza indugio di fare la vostra possibilità. Gesù dolce, Gesù amore.







312. Alla regina di Napoli adì 7 d'ottobre 1378, quando si disse ch'ella teneva il papa falso e non il vero, Urbano VI.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con vero e perfettissimo lume, affinché in tutte le vostre opere riceviate lume; lo quale lume è una vita di grazia, perché tutte le opere che sono fatte col lume di temore di Dio danno vita.

Ma senza questo lume son fatte tutte in morte: andiamo per le tenebre in tanta ignoranza e cecità che la verità discerniamo in bugia e la bugia in verità, la luce in tenebre e le tenebre in luce. Da questo procede che il gusto dell'anima è infermato, che subito le cose buone gli paiono gattive, e le cattive li paiono buone. Perduto ha il cognoscimento di sé, che non conosce il male suo: questo gli adiviene per la privazione del lume. Oimé, oimé, carissima madre, tutto questo procede dalla nuvola de l'amore proprio che offusca l'occhio dell’intelletto nostro, che non ci lassa discernere la verità; facci debili e volubili che ci volgiamo come la foglia al vento. è uno veleno che atosca l'anima, e non atosca né avelena sé senza altrui, poiché, subito che noi siamo privati della carità, noi non rendiamo la benevolenza e carità al prossimo nostro: trapassiamo l'obedienzia della santa Chiesa.

Ma attendete che questo veleno fa in altrui: fa in alcuni danno a loro medesimi e nel prossimo, non attualmente ma mentalmente - non rendendogli lo debito della carità, come detto è -; ma alcuni altri sono che tolgono non solamente la carità mentale, ma eglino s'ingegnano di togliere attualmente: e di quello veleno che hanno preso in loro, di quello danno altrui. Oimé! Questi pigliano l'ofizio deli demoni: ché non basta a loro d'essere privati di Dio - che è somma ed eterna luce - ma i si studiano giusta il loro potere di privarne ancora noi. è vero che la creatura che ha in sé ragione non debba essere stolta né matta a consentire a la volontà del demonio.

Parmi che oggi abbondino in tutto il mondo, e singularmente nel corpo mistico della santa Chiesa, questi che hanno preso così-fatto offizio, i quali non si debono chiamare né uomini né cherici ma demoni incarnati, privati del lume de la verità, ricoperti della bugia dell'amore proprio di loro medesimi; lo quale amore proprio detto aviamo che è uno veleno che atosca l'anima. Veramente bene è veleno: aprite l'occhio dello intelletto e - se non ci serà la nuvola della propria passione e piacimento delle creature - conoscerete che quegli che sono posti per colonne nella santa Chiesa l'hanno seminato tanto pessimamente, lo veleno della eresia, che atosca loro e chi a loro s'apressa.

O uomini - non uomini ma più tosto dimoni visibili -, come v'acieca tanto lo disordinato amore che avete posto al fracidume del corpo vostro e alle dilizie e stati del mondo! Che, volendo lo vicario di Cristo corregere la vita vostra, e volendo che fosti fiori odoriferi del giardino della santa Chiesa - eletto da voi con elezione ordenata -, ora gittate il veleno e dite che non è vero papa, dicendo che per timore lo faceste e per paura della furia del popolo.

La qual cosa non è la verità; e se fosse stato degni eravate della morte, che voi elegesse il papa con timore degli uomini e non con timore di Dio. Ma questo non potete voi dire. Dire, sì, ma non provare: poiché quello che voi faceste con timore, per placare lo popolo, apparve evidente a ogni persona quando diceste, ponendo lo manto di santo Pietro a missere di Santo Piero, che voi l'avevate eletto papa. Questo si vidde e trovò che non era la verità, sì come si vidde cessata poi la furia; e così confessò egli, e voi, che non era papa, ma papa era eletto messer Bartolomeo arcivescovo di Bari. E chi vi mosse, se egli non era papa, d'sceglierlo poi da capo con elezione ordenata, senza violenza veruna, coronato con tanta solennità, con tutto quello ordine che si richiede a questo misterio così come fusse eletto mai veruno altro suo anticessore? Non so chi vi muova a publicarlo in contrario - l'amore proprio che non può sostenere la correzione! Ché, inanzi che egli cominciasse a mordervi di parole e volere trare le spine dal dolce giardino, confessaste, e annonziastelo a noi pecorelle, che papa Urbano VI era vero papa. E così confesso, e non lo niego, che egli è vicario di Cristo, lo quale tiene le chiave del sangue in verità; la quale verità dagli bugiardi e iniqui uomini del mondo non serà confusa, poiché la verità è quella cosa che ci delibera (Jn 8,32).

O miseri miserabili, voi non vedete in quello che voi sete caduti, perché siete privati del lume. E non sapete voi ch'è la navicella della santa Chiesa: i venti contrarii la fanno un poco andare a vela, ma ella non perisce, né chi s'apoggia a lei. Volendovi voi inalzare, voi sete ammersi; volendo vivere, voi cadete nella più perversa morte che cadere potiate; volendo possedere le ricchezze, voi diventate mendici e cadete in somma miseria; volendo tenere lo stato, voi lo perdete: fatti sete crudeli a voi medesimi. Ecco poi che il veleno pigliate per voi, e perché il date in altrui.

O non avete voi pietà di tante pecorelle che per questo si partono da l'ovile? Voi sete posti per dilatare la fede, e voi la spegnete contaminandola con le scisme che per voi si levano; sete posti per lucerne, poste in su lo candelabro per aluminare i tenebrosi, e voi sete quelli che nella luce gittate le tenebre. Di tutti questi e altri infiniti mali voi sete e sarete cagione, se altro modo non mutate; e voi per divino giudizio ne rimarrete distrutti l'anima e il corpo. E non pensate che Dio la risparmi, né gli sia meno grave per la dignità del cappello, né per le prelazioni, ma molto più miserabilmente ne sarete puniti; sì come il figlio che offende la madre è degno di maggiore punizione, perché comette maggiore colpa che offendendo un'altra persona: questo vuole la divina giustizia, che chi più offende più sia punito. Doimé, non più così, per l'amore di Dio: tornate un poco a voi, traetene il veleno dell'amore proprio, affinché cognosciate la verità e siate amatori da questa verità. Non aspettate il bastone: ché duro vi sarà recalcitrare a Dio (Ac 26,14).

Bene è Perciò, carissima madre, vero («carissima» dico, in quanto voi siate serva fedele, sì come per antico tempo sete stata, della santa Chiesa; ché sapete che sete notricata alle mammelle sue), dicevo che era la verità che questi avevano preso l'offizio deli demoni. E, sicondo che intendo, mi pare che di quello ch'egli hanno in loro vogliano dare a voi: pervertire voi, figlia, de l'obedienzia e reverenzia del padre vostro papa Urbano VI, lo quale è veramente Cristo in terra; e ogni altro che venisse mentre ch'i vive, non è papa, ma è peggio che Anticristo. E se voi vi scordate da questa verità, la quale è tanto evidente, (confessata da quelli che lo elessero, i quali per propria passione diniegano che non è la verità - se non era non doveano chiederli le grazie e usarle, ché dovevano ben vedere che non le poteva dare; ma perché egli era, però le chiesono, e ànnole usate) -, e se voi terrete il contrario, sarete come ciechi e averete la condizione di quegli che di sopra dicemmo che erano privati del lume.

La luce pervertirete in tenebre, tenendo che papa Urbano VI, che in verità è una luce, non sia vero Cristo in terra, ministratore del sangue di Cristo in cielo. Faretene tenebre - non che in sé questa luce possa essere oscurata, ma darà tenebre nella mente e nell'anima vostra -, e le tenebre vorrete pervertire in luce; e non si potrà con tutte le forze vostre. Potrà bene con un poco di nuvolo essere ricoperta; lo quale nuvolo cadrà a malgrado di chi vuole il contrario. Allora fareste delle tenebre luce, quanto deste aiuto o vigore che gl'iniqui uomini - parlando non in dispregio della dignità loro, ma dei vizii e malizia loro - che egli facessono un altro papa; o, essendo fatto, sicondo che si dice che egli è fatto col braccio vostro, teneste che egli fusse papa.

Questa tenebre, della quale vorreste fare luce, vi tornarebbe a ruina con loro insieme, poiché voi sapete che Dio non lassa passare impunite le colpe comesse, massimamente quelle che sono fatte a la santa Chiesa; unde non vogliate aspettare il divino giudizio, ma innanzi elegere la morte che fare contro a lei. Ché se la persona non vuole sovvenire a la sua neccessità - che vi sarà rechiesto, se voi non lo farete, da Dio -, almeno non debba fare contro a lei: ma starvi di mezzo, tanto che quella verità la quale a voi non fosse ben chiara, ella vi fosse manifesta e dichiarata nella mente vostra. Facendolo, dimostrarete d'avere lume e aver perduta la condizione della femmina, ed esser fatta uomo virile.

E se semplicemente con poco lume andate per altra via, voi dimostrate d'esser femina con poca stabilità.

Diventarete debole, perché sarete dilungata dal vostro capo, Cristo in cielo e Cristo in terra, che vi fortifica; avrete guasto il gusto, sì come inferma: che la dottrina buona vi saprà da gattivo, e la gattiva vi saprà da buono, cioè che la buona vita e dottrina che vuole dare il vicario di Cristo a quegli che si pascono al petto della sua sposa, mostrarete che in effetto in verità non vi paia buona; ché se ella vi paresse buona, vi conformareste con lui, e non ve ne partireste. E la iniquità dottrina e costumi degli iniqui amatori di loro medesimi, dimostrarete che ella vi piaccia; ché se ella non vi piacesse non v'acostareste a loro, dando lo' aiuto e favore, anco ve ne partireste e accostarestivi alla verità, e scostarestivi da la bugia. Altrimenti pigliareste quello medesimo offizio che hanno eglino: che non bastarebbe il male vostro e il veleno che fosse caduto dentro nell'anima, ché anco ne dareste altrui, comandando ai sudditi vostri che tenessono quello che tenessi voi. Tutto questo male e molti inconvenienti vi verrebbono, o vi sono venuti, se foste o sete privata del lume; avendo il lume, in tutta questa tenebre non cadrete. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi alluminata di vero e perfettissimo lume.

Se voi avrete questo lume, ai frutti che in questo tempo esciranno di voi me n'avedrò: ché se v'acostarete con debita reverenzia al padre vostro, cioè a papa Urbano VI, mostrarete frutto di vita, e allora sarà beata l'anima mia, vedendo in voi lo frutto della vera obbedienzia, onde traete la vita della grazia. E se vi discostate, e accostatevi all'openione di chi tiene il contrario contro alla coscienza loro, falsamente, gittareste frutto di morte d'una disobidienzia che genera morte eterna, se la vita vostra dentro vi finisse.

Allora arei pena e dolore intollerabile per la dannazione e pena vostra, la quale pena segue dipo' la colpa, perché teneramente amo la vostra salute.

E perché io v'amo, mi sono mossa dall'affamato desiderio della vostra salute dell'anima e del corpo a scrivere a voi affinché, se caduta sete in questa tenebre, voi aviate materia d'uscirne; e se voi non ci sete, perché voi eleggiate inanzi la morte che caderci mai. HO scaricata la conscienzia mia. Sono certa che Dio v'ha dato tanto cognoscimento e senno che, se vorrete, conoscerete la verità; conoscendola l'amarete e, amandola, non sarà offesa da voi mai. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, e ine si consumi ogni amore proprio e piacere umano: dilettatevi solo di piacere a Dio, e non a le creature fuore della voluntà sua. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Perdonatemi se io v'avesse gravata troppo di parole; ma l'amore della vostra salute, e il dolore cordiale di quello ch'io sento e veggio nella santa Chiesa me ne scusi. Che se io potessi, a chi tanta eresia semina nel corpo mistico della santa Chiesa e nel corpo universale della religione cristiana farei più tosto di fatti che di parole. Aiterommi con l'arme dell'orazione (le quali orazioni - non la mia, che è debole per lo mio difetto - ma quelle degli altri servi di Dio, che sono forti che le iniquità degli uomini del mondo non possono contro a la fortezza sua), che è sì forte che non tanto che gli uomini vinca, ma ella lega le mani della divina giustizia, placando l'ira di Dio e chinandolo a fare misericordia al mondo. Con questo ci difenderemo, e chiederemo l'aiutorio suo; pregarenlo che rompa il cuore di Faraone e amolligli, sì che si corregano la vita loro, e dieno essemplo di santa e onesta vita e di vera e perfetta obbedienzia. Gesù dolce, Gesù amore.

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