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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (3)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 19:43
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19/10/2012 17:13

248. A Bartalo Usimbardi e monna Orsa sua donna, e a Francesco di Pipino sarto e a monna Agnesa sua donna, da Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli e figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi arsi e consumati nel fuoco de la divina carità, lo quale è quello fuoco che, ardendo, non consuma (Ex 3,2) ma fa ingrassare l'anima, e uniscela e transformala in sé, fuoco d'amore divino.

Quando l'anima raguarda sé avere l'essere da Dio solo per amore, e raguardarà che per amore Dio l'ha concedute tutte le grazie e li doni che sono fondati sopra l'essere; e poi anco vedrà che per amore Dio eterno ha donato a noi lo Verbo del Figlio suo, perché pagasse per noi lo debito al quale eravamo obligati, e traesseci de la oscura pregione e servitudine del demonio, de la quale non poteva l'uomo per sé uscire. Ed esso Verbo divino, diventando uomo mortale, intrò al campo de la battaglia per noi; e sconfiggendo lo demonio ruppe la oscura pregione e trasseci de la misera servitù, ne la quale tanto tempo era stata tutta l'umana generazione; e con la croce aperse a noi la porta di vita eterna. E tutto questo ha fatto per amore.

Avendoci dunque mostrata la via e aperta la porta, rimane solo da noi se non caminiamo per essa: poiché possiamo andare francamente e con grande confidenzia sotto questo gonfalone glorioso de la croce, poiché i nemici sono sconfitti, e spaventansi per esso; e il dolce Dio nostro con grandissimo amore ci aspetta e c'invita che andiamo a godere lui, sommo ed eterno bene. O amore inestimabile, o carità immensa, o fuoco di divina carità! Quale sarà quello cuore che, vedendosi amare con tanto fuoco d'amore, che non si dissolva per amore, e che non si transformi tutto in lui? Troppo è duro, e drittamente cuore più duro che il diamante, chi non si scalda a tanto fuoco.

Voglio Perciò, carissime figlie mie, monna Orsa e monna Agnesa, che voi vi destiate dal sonno de la negligenzia, e che vi leviate a vedere con l'occhio dell'intelletto tanto fuoco d'amore; e il simile dico a voi, figlio mio Francesco. E vedutolo, sarete constretti d'amare; amando, vi sarà leggiero lo portare ogni grande fatto per Dio, e subito si stendarà sopra lo prossimo vostro, che è quella cosa che è più amata da Dio: e così adempirete lo comandamento dell'amore di Dio e del prossimo. Altro, per la brevità del tempo, non dico per ora, se non che voi vi confortiate in Cristo Crocifisso; e bagnatevi nel sangue suo.

E queste donne, Lisa e Alessa e l'altre, vi confortano e vi si racomandano. Benedite i figli vostri e confortate Bartolo; e voi Francesco e monna Agnesa benedite Bastiano.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





249. A Francesco sarto predetto.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figlio e figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi veri perregrini.

Ogni creatura che ha in sé ragione è perregrino in questa vita, poiché non è qui lo nostro fine, ma lo termine dove doviamo andare, e per mezzo del quale noi fummo creati, è vita eterna. E però voglio che caminiamo, ché la via è fatta - cioè la dottrina di Cristo Crocifisso -, per la quale chi va, non va in tenebre, ma giogne a perfettissima luce. Convienci Perciò avere la condizione del perregrino, lo quale, per diletto che trovasse, né per malagevolezza di camino, non si volta a tornare indietro, né si pone a ristare tra via, ma con perseveranza camina infine a tanto che giogne al termine suo.

Or così, carissimi figli, conviene fare a noi: noi siamo entrati in questo camino de la dottrina del dolce e amoroso Verbo, per giognere al Padre eterno; e trovianci li mali passi e malagevoli delle ingiurie e scherni de le creature, e de le battaglie de le demonia. E non ci conviene però ponere a sedere, né voltare lo capo adietro per impazienzia, ma virilmente col lume de la fede trapassare tutto, e con vera umilità chinare lo capo a la dolce voluntà di Dio, che per nostra utilità ci permette questi oscuri passi a ciò che avesse più di che remunerarci, poiché, come dice il glorioso Paulo, «Beato è colui che sostiene la tentazione, poiché, quando sarà provato, riceverà la corona de la vita» (Jc 1,12). E in un altro luogo dice: «Non sarà coronato se non chi legittimamente avrà combattuto» (2Tm 2,5).

Rallegratevi Perciò, quando vi vedete ricevere le molte molestie da le demonia, o da le creature, poiché essi vi fabricano la corona; e con vera perseveranza caminate per la strada de la verità. E così i molti diletti, onori e piaceri, che il mondo ci mostrasse, o promettesse, o la nostra fragile carne desiderasse, anco non vi facci ponere a riposare per diletto, ma, come veri perregrini, fate vista di non vedere, seguitando lo vostro viaggio con fortezza, infine a la morte, affinché giogniate al termine vostro. Or così vi prego che facciate per l'amore di Gesù Cristo. Non dico più qui.

Più e più dì sono passati che io scrissi una lettera a Bartalo, ne la quale l'avisai come io v'avevo accattata la indulgenzia di colpa e di pena, a voi due, e a lui e a monna Orsa, e a molti altri di costà; dei quali tutti si farà uno privilegio insieme, per meno impaccio, e mandarello lo più tosto che si potrà: sì che rallegratevi in Cristo, figli, e ingegnatevi d'essere grati e conoscenti al vostro Creatore. Pregovi che le lettere che io vi mando con questa siano bene date. E dite a monna Gostanzia che io gli hoe accattata la indulgenzia a lei e a (...).

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Tutta questa fameglia vi confortano. Gesù dolce, Gesù amore.





250. All'abbate di santo Antimo.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con vero e dolcissimo lume, lo quale lume è necessario all'anima: cioè d'aprire l'occhio dell'intelletto a vedere e raguardare e giudicare la somma eterna volontà di Dio in noi.

Questo è quello dolce vedere che fa l'uomo prudente e non ignorante; fallo cauto e non leggiermente giudicare la volontà degli uomini, come spesse volte fanno i servi di Dio con colore di virtù e con zelo d'amore. Esso lume fa l'uomo virtuoso e non timoroso; e con debita reverenzia giudica la volontà di Dio in sé, cioè che quello che Dio permette - o persecuzione o consolazione, o dagli uomini o dal demonio - tutto vede che è fatto per nostra santificazione: godesi de la smisurata carità di Dio, sperando ne la providenzia sua che provede in ogni nostra necessità. Ogni cosa dà con misura, e se cresce la misura, cresce la fortezza. Questo vede l'anima e conosce quando, illuminato l'occhio dell'intelletto suo, ha cognosciuta la volontà di Dio, e però n'è fatto amatore.

Dico che questo lume non giudica la volontà dei servi di Dio, né di veruna altra creatura, ma giudica e ha in reverenzia che lo Spirito santo gli guidi; e però non piglia ardire di mormorazione che essi siano guidati dagli uomini, ma solo da Dio. Bene che potremmo dire: è veruno servo di Dio che sia tanto illuminato che un altro non possa vedere più di lui? No, anco è di necessità - per manifestare la magnificenzia di Dio, e per usare l'ordine de la carità - che l'uno servo di Dio con l'altro usino e participino insieme lo lume e le grazie i doni che ricevono da Dio; e perché si vegga che lo lume e la magnificenzia de la prima dolce Verità si manifesti infinita, come ella è, e non finita; e perché noi ci aumiliamo a conoscere lo lume e la grazia di Dio nei servi suoi, i quali egli pone come fonti: e chi tiene una acqua, e chi ne tiene un'altra. I quali sono posti in questa vita per dare vita a essi medesimi, e per consolazione e refrigerio degli altri servi di Dio che hanno sete di bere di queste acque, cioè di molti doni e grazie che Dio pone nei servi suoi: e così soviene a la nostra necessità.

Sì che egli è vero che non è veruno che sia tanto illuminato che spesse volte non abbi bisogno del lume altrui; ma colui che è veramente illuminato di questa dolce volontà di Dio dà lume con lume di fede, non giudicando con mormorazione e scandalo di colui che egli vuole consigliare, ma per sì-fatto modo che sta e rimane senza pena. Se egli s'attiene al consiglio suo, godene; se egli non vi s'attiene, giudica dolcemente che non è senza misterio e senza necessità, e con providenzia e volontà di Dio, e però rimane in pace e in quiete e senza pena, perché è vestito di questa volontà. Non si affanna di parole, participando con altrui i suoi pareri, anco s'ingegna d'annegarli e di mortificarli nel parere dolce di Dio, offerendoli ogni dubio e timore che egli avesse. Liberamente offera sé, e il dubio che ha del prossimo suo, dinanzi a Dio. Or con questa dolce prudenzia vanno e stanno coloro che sono alluminati di questo vero lume: in questa vita gustano vita eterna.

Lo contrario è di coloro che sono ignoranti: poniamo che servano a Dio, pur s'hanno serbato ancora dei loro giudicii e dei loro pareri, colorati di virtù e di zelo d'amore. E per questo cadiamo spesse volte in grandi defetti e in molti scandali e mormorazioni, e però c'è bisogno lo lume vero e schietto. Ma non so che si possa bene avere se non si perde la nuvola e le tenebre di noi, che il nostro parere non sia fermo, ma dia a terra. Oh lume glorioso! O anima abnegata, perduta sei nel lume, ché non vedi te per te, ma vedi solamente lo lume in te; e in quello lume vedi e giudichi lo prossimo tuo. Così vedi e ami e hai in reverenzia lo prossimo tuo nel lume, e non nel tuo parere, né nel falso giudicio dato per amore. Bene è da aprire e speculare con l'occhio dell'intelletto nostro, con la perduta e abnegata volontà; così, col lume dell'amore e reverenzia de la volontà di Dio, e di quella dei suoi servi, acquistaremo lo lume e giugnaremo a la perfetta e vera purezza. Non saremo scandalizzati nei servi di Dio, poiché non saremo fatti giudici, ma saremo consolati in loro; e de lo stare e dell'andare e d'ogni loro opera godaremo, avendo giudicato e veduto la volontà di Dio in loro.

Orsù, carissimo padre e figlio, ponianci al petto de la divina carità, e ine gustiamo questo dolce e soave latte lo quale ci farà venire a la perfezione dei santi, e seguire le vestigie e la regola dell'Agnello.

Perdaremo lo timore e mettarenci fra le spine e fra' triboli; non schifaremo labore; dorrenci dell'offesa dei mormoratori e de lo scandalo degli uomini, portaregli con grande compassione dinanzi a Dio. E noi seguitaremo le opere sante, cominciate per onore di Dio e per salute delle anime, e finiremo ne la sua dolce volontà. Sopra questa materia io non dico più, se non che noi ci anneghiamo nel sangue di Cristo Crocifisso senza veruno timore, vi dico, sapendo che se Dio è per noi, neuno sarà che sia contro a noi.

Sopra quella parte che mi mandaste dicendo d'andare in quello luogo solitario a vostra consolazione, non mi pare che sia da lasciare la famiglia così sciolta, essendo tutte piante novelle come elle sonno: se già ne venissero altri inconvenienti attuali per li quali poteste vedere veramente che questo fusse lo meglio, ma solo per timore, non vedendo altro, non mi pare che sia da fare. Metianci a portare ogni pena e ogni fatica per Cristo crocifisso e per la salute de le vostre pecorelle. Io vi dico quello che mi pare per ora, fatene quello nondimeno che lo Spirito santo ve ne 'maestra: sono certa che ve ne 'spirarà di fare quello che sarà suo onore.

La mia venuta non so quando ella potrà essere. Non posso sapere quanto io mi starò: spacciarommi lo più tosto che si potrà, sempre compiendo in me, nell'andare e ne lo stare, la dolce volontà di Dio, e non quella degli uomini. Fovi sapere, a voi e agli altri che tante pene e cogitazioni vi lassate cadere nel cuore, che io non sto né mi vo affaticando, con le molte infirmitadi, a diletto, se non quanto io sono costretta da Dio per lo suo onore e per la salute delle anime: se del bene i cuori infermi ne vogliono pigliare male, io non ne posso fare altro. Non debbo io però vollermi indietro, e lasciare stare l'arare, ché così parrebbe che noi arassimo a petizione degli uomini: verrebbe la zizania e affogarebbe lo grano. Altro non dico.

Racomandatemi etc.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





251. A monna Agnesa donna di Francesco sarto da Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio de vederti vestita de la vera e reale virtù, poiché senza la virtù non possiamo piacere a Dio. Ma queste virtù non le puoi trovare altrui che nell'affetto de la carità - e l'affetto de la carità si trova nel dolce e amoroso Verbo -: le quali virtù si nutreno in su l'albero de la santissima croce.

Tu dunque, come vera figlia, attaccati a questa albero a ricogliare di questi frutti, e a questo modo t'inebriarai e vestirai de le vere e reali virtù. Bagnati nel sangue di Cristo Crocifisso, e nascondeti nel costato suo; e ine fa una dolce abitazione, per uno cognoscimento di te, e con uno cognoscimento de la larghezza de la sua bontà. Ine concepe un amore a l'onore suo e a la salute delle anime, offerendo dolci e amorosi desiderii dinanzi da Dio per loro. Altro non ti dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.

Conforta monna Ginevra e Magdalena e tutte l'altre figlie. Gesù dolce, Gesù amore.





252. Al padre santo papa Gregorio XI, essendo egli a Corneto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e reverendissimo padre in Cristo dolce Gesù, la vostra indegna e miserabile figlia Caterina vi si racomanda nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedere lo cuore vostro fermo, stabile e fortificato in vera e santa pazienza, considerando me che il cuore debole, volubile e senza pazienza non potrebe venire a fare i grandi fatti di Dio.

Ogni creatura ragionevole, se vuole servire a Dio ed essere vestita delle virtù, le conviene avere questa costanzia, fortezza e pazienza; altrimenti non arebe mai Dio ne l'anima. Che se l'uomo si vollesse a le prosperità per disordinato diletto, dilizie o piacimento di sé e del mondo; o alle ingiurie e tribulazioni si vollesse per impazienzia, e lassasse l'affetto delle virtù - le quali virtù ha conceputo nell'anima per santo desiderio e vuole acquistare -, esso deba bene vedere che la virtù non s'acquista né diventa perfetta senza lo suo contrario. Unde diviene che se egli schifa lo contrario, segue che fugge la virtù, con la quale virtù deba contrastare e abattare lo vizio ch'è contrario a la virtù: con l'umiltà cacciare la superbia; le ricchezze e dilizie e stati del mondo con la volontaria povertà; la pace cacci e sconfiggia la guerra de l'anima sua e del prossimo suo; la pazienza vinca la impazienzia, per amore dell'onore di Dio e della virtù; per odio e pentimento di sé portare fortemente con pazienza li strazii, ingiurie, scherni e villanie, pene di corpo e danni temporali. Così deba fare - e costante, fermo, stabile e paziente -; altrimenti non sarebbe servo di Cristo, ma diventarebbe servo e schiavo della propria sensualità, la quale sensualità li tolle questa costanzia e fallo pusillanimo, con picolo e debole cuore. Ma non deba fare così; anco, si deba ponare per oggetto la prima dolce Verità, che col sostenere, portando e sostenendo i difetti nostri, ci richiede la vita.

O padre santissimo, dolcissimo babbo mio, uprite l'occhio de lo intelletto, e con intelligenzia vedete: s'ell'è tanto necessaria la virtù a ogni uomo - a ciascuno per sé medesimo per la salute dell'anima sua -, quanto magiormente in voi - che avete a notricare e governare lo corpo mistico della santa Chiesa sposa vostra - bisogna questa costanzia, fortezza e pazienza! Sapete che come voi intraste, pianta novella, nel giardino della santa Chiesa, voi vi doveste disponare con virtù a resistare al demonio, a la carne e al mondo, che sonno tre nemici principali, i quali ci contastano di dì e di notte, che mai non dormono. Spero nella divina bontà, che a parte di questi nemici v'ha fatto resistere, e farà in tutto sì ch'egli avrà di voi quel fine per mezzo del quale vi creò, cioè perché rendeste gloria e laude al nome suo, e perché godeste la bontà sua ricevendo l'eterna sua visione, ne la quale sta la nostra beatitudine.

Ora sete vicario di Cristo il quale avete preso a travagliare e combattare per l'onore di Dio, per la salute delle anime e riformazione della santa Chiesa: le quali cose sonno a voi travagli e pene, in particulare a voi agionte oltre alle bataglie comuni che date sonno a ogni anima che vuole servire a Dio, come detto è. E perché è maggiore lo peso vostro, però bisogna più ardito e virile cuore, e non timoroso per nessuna cosa che avenire potesse. Ché voi sapete bene, santissimo padre, che, come voi pigliaste per sposa la santa Chiesa, così pigliaste a travagliare per lei, aspettando i molti venti contrarii di molte pene e tribulazioni, che si faceano incontra a combatare con voi per lei. E voi, come uomo virile, fatevi incontra a questi venti pericolosi con una fortezza, pazienza e longa perseveranza, non vollendo mai lo capo adietro per pena né sbigotimento né timore servile, ma perseverante, ralegrandovi nelle tempeste e bataglie.

Ralegrisi lo cuore vostro: ché nei molti contrarii, che sonno avenuti e avengono, si fanno bene i fatti di Dio; e per altro modo non si fecero mai. Così vediamo che il fine della persecuzione della Chiesa, e d'ogni tribulazione che riceve l'anima virtuosa, è la pace acquistata con vera pazienza e perseveranza: essa n'esce coronata di corona di gloria. Questo è Perciò il rimedio, e però dissi, santissimo padre, ch'io desiderava di vedervi lo cuore fermo e stabile, fortificato in vera e santa pazienza.

Voglio che siate uno albore d'amore inestato nel Verbo amore, Cristo crocifisso, lo quale albore, per onore di Dio e salute delle pecorelle vostre, tenga la radice nella profonda umilità. Se voi sarete albore d'amore, radicato così dolcemente, trovarete in voi, albore d'amore, nella cima lo frutto della pazienza e fortezza, e nel mezzo la perseveranza coronata; e trovarete nelle pene pace e quiete e consolazione, vedendovi conformare in pena con Cristo crocifisso; e così, nel sostenere con Cristo crocifisso, con gaudio verrete dalla molta guerra a la molta pace.

Pace pace, santissimo padre! Piaccia alla santità vostra di ricevare i vostri figli che hanno offeso voi, padre. La benignità vostra vinca la loro malizia e superbia. Non vi sarà vergogna d'inchinarvi per placare lo cattivo figlio, ma vi sarà grandissimo onore e utilità nel conspetto di Dio e degl'uomini del mondo.

Oimé, babbo, non più guerra per qualunque modo - conservando la vostra coscienza - si può avere la pace: la guerra si mandi sopra l'infedeli, dove deba andare. Seguitate la mansuetudine e pazienza de l'Agnello immacolato Cristo dolce Gesù, la cui vece tenete. Confidomi () che, di questo e de l'altre cose, adoperarà tanto in voi che n'adempirà lo disiderio vostro e mio - che altro desiderio in questa vita io non ho -, cioè di vedere l'onore di Dio, la pace vostra e la riformazione della santa Chiesa; e di vedere la vita della grazia in ogni creatura ragionevole. Confortatevi che la disposizione di qua, sicondo che m'è dato a intendare, è pure di volervi per padre, e spezialmente questa città tapinella - la quale è sempre stata figlia della Santità vostra -, la quale, costretta dalla necessità, l'è convenuto fare di quelle cose che le sonno spiaciute: pare a loro che il bisogno lo' l'abi fatto fare. Voi medesimo li scusate alla vostra Santità, sì che con l'amo dello amore voi li pigliate.

Pregovi, per l'amore di Cristo crocifisso, che, più tosto che potete, n'andiate al luogo vostro dei gloriosi Petro e Pavolo. E sempre dalla parte vostra cercate d'andare sicuramente; e Dio dalla parte sua vi provedarà di tutte quelle cose che saranno necessarie a voi e al bene della Sposa vostra. Altro non dico.

Perdonate a la mia presunzione. Confortatevi e confidatevi nei veri servi di Dio, cioè nelle loro orazioni loro, che molto orano e pregano per voi. Domandovi, io e gli altri vostri figli, umilemente la vostra benedizione.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.



253. A missere Trincia dei Trinci da Foligno, e a Corrado suo fratello.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio de vedervi veri servi di Cristo Crocifisso, e legati nel legame dolce della carità.

Lo quale legame legò Dio nell’uomo, e l'uomo in Dio; che per sì-fatto modo è perfetta questa unione, che né per morte né per alcuna altra cosa si poté separare. O dolce e vero legame, grande è la forza tua, in tanto che tenesti confitto e chiavellato Dio e Uomo in su lo legno della santissima croce, poiché né chiovo né altro ferro era sufficiente a tenerlo, se l'amore de l'onore del Padre e della salute nostra non l'avesse tenuto. Sì forte fu, carissimi fratelli, questo amore, e sì perseverante, che né dimonia né altre creature lo potero allentare che quest'amore non perseverasse. Le creature non l'allentaro né allentano per le ingiurie che gli erano fatte, e che noi gli facciamo, né per ingratitudine loro né nostra; né i demoni, ché, molestando noi, non lo impediscono che egli non ami. Né abandonò l'obedienzia del Padre eterno, ma perseverò infine alla morte della croce. Questo dolce e amoroso Verbo, unigenito Figlio di Dio, con molta perseveranza e pazienza ci manifesta la volontà e verità dolce del Padre eterno suo. La volontà sua è la nostra santificazione, questa è la verità; e per questo fine ci creò Dio, perché fussimo santificati in lui a gloria e a loda del nome suo, e a ciò che noi godessimo e gustassimo l'eterna sua visione.

O dolcissimi e carissimi fratelli, io voglio che raguardiate l'abondanzia e l'abisso della sua carità, poiché, perché l'uomo era acecato e diventato ignorante per la colpa sua - non conosceva questa verità e dolce volontà di Dio -, però si volse umiliare a l'uomo. Oh miserabile superbia! Bene si debba vergognare l'anima d'insuperbire, dove Dio è umiliato e àcci donato lo Verbo velato e vestito della nostra umanità. Or chi può agiognere solo alla considerazione di vedere l'altezza di Dio discesa a tanta bassezza: legatosi nell’uomo, e l'uomo in Dio? Aprite, aprite l'occhio dell'intelletto, e vedrete quella abondanzia del sangue del Figlio di Dio, poiché l'apritura del corpo suo ci ha fatto manifesto che Dio ci ama inestimabilemente, e non vuole altro che lo nostro bene, poiché, se egli avesse voluto altro, non ci avrebbe dato sì-fatto ricompratore.

Oh inestimabile dolcissima carità! La caverna del corpo tuo è aperta per lo calore del fuoco dell'amore della nostra salute. Tu, Dio eterno, sei fatto visibile, e datoci lo visibile prezzo, a ciò che la bassezza dell'intelletto nostro non abbi scusa di non potersi levare: poiché tu sei fatto basso, e insiememente la bassezza è unita con l'altezza. Così dunque per forza d'amore si levi l’intelletto e l'affetto dell’uomo, conoscendo in te la bassezza de la tua umilità, e a conoscere l'altezza e l'eccellenza della carità, deità eterna. Così dicesti tu, dolce e amoroso Verbo: «Se io sarò levato in alto, ogni cosa tirarò a me (Jn 12,32). Quasi volesse dire questa dolce verità eterna: «Se io sarò abbassato alla umiliazione» dell'obrobiosa morte della croce, io trarrò i cuori vostri all'altezza della divinità e carità increata». Poiché, tratto lo cuore dell’uomo, si può dire che sia tratto tutto l'affetto e le facoltà dell'anima, con tutti gli essercizii spirituali e temporali; e anco perché ogni cosa creata è fatta in servizio dell’uomo: tratto dunque l'uomo, è tratto tutto. E però disse: «Se io sarò levato in alto, ogni cosa tirarò a me». Bene è dunque da aprire l'occhio dell'intelletto, e raguardare l'affetto del suo Creatore.

Voglio dunque che pensiate, carissimi fratelli, che, quando l'occhio dell'intelletto è offuscato con l'amore proprio sensitivo, non può conoscere questa verità, poiché come l'occhio infermo, pieno di terra e di carne, non può vedere la luce del sole, così l'occhio dell'anima non può vedere, se è ricoperto di terra di disordenato amore e affetto del mondo - cioè di queste cose transitorie, che passano come lo vento -, o se è ricoperto d'affetto carnale, non vivendo onestamente, ma disonestamente s'involle nel loto della miseria della carnalità; la quale miseria fa diventare l'uomo animale bruto, e tollegli lo lume e il cognoscimento.

Questi cotali non possono conoscere questa verità, anco sono fatti amatori della bugia; e seguitano le vestigie del padre loro, cioè lo demonio, che è padre delle bugie.

Voglio dunque che leviate l'occhio dell'intelletto e l'amore da queste cose transitorie, e da ogni vizio carnale, e purifichiate l'anima vostra col mezzo della santa confessione. Non dico poiché lassiate lo stato vostro più che lo Spirito santo ve ne 'spiri; ma voglio che il teniate col santo timore di Dio, virilmente stando come uomini virtuosi e non come animali; tenendo con giustizia e con benignità i sudditi vostri. E lo stato del santo matrimonio, tenerlo; e non vogliate contaminarlo, cioè romparlo per neuno appetito disordenato, ma rifrenare i sentimenti vostri con la memoria del sangue di Cristo, e dell'unione della natura divina unita con la natura umana. Vergognarassi allora la miserabile carne nostra di venire a tanta miseria, e sentirà l'odore della purezza, avendo questa santa considerazione; e con reverenzia e timore di Dio starà nel santo matrimonio. E avesseate in reverenzia i dì che sono comandati dalla santa Chiesa.

Facendo così, sarete arbori fruttiferi, e il frutto che escirà di voi sarà buono, e rendarà gloria e loda al nome di Dio; e sarete innestati nell'arbolo della vita, Cristo dolce Gesù, lo quale vi legarà in quello legame forte dell'amore che il tenne confitto e chiavellato in croce. E così voi participarete questa fortezza, essendo legati con Dio e col prossimo con questo dolce legame, in tanto che non sarà demonio né creatura che ve ne possa trare che voi non siate forti e perseveranti infine alla morte. Né per ingratitudine delli uomini cui voi serviste - i quali fussero ingrati verso di voi -, né per diverse e molte cogitazioni che lo demonio vi mettesse nel cuore - d'odio e di molti dispiacimenti del prossimo vostro -, non allentarà però l'amore, né vi torrà la fortezza, essendo uniti e legati nel legame della carità, come detto è, anco sarete veri servi di Cristo Crocifisso nello stato vostro. In altro modo non potreste participare la vita della grazia, e però dissi che io desideravo di vedervi veri servi di Cristo Crocifisso, e legati nel legame dolce della carità.

Spero nella bontà di Dio che adempirete la volontà sua e il desiderio mio, e questo sarà per la sua bontà, e per lo servizio che fate alla dolce Sposa sua; perché egli è lo Dio nostro grato e conoscente a coloro che lo servono. Molto gli sono grati tutti i servizii che gli facciamo, ma tra gli altri che gli sia molto grato è quello che si fa in servizio della santa Chiesa, in qualunque modo e in qualunque stato noi le serviamo. I vero che quanto più l'uomo le serve con schietto cuore e senza alcuno rispetto, tanto egli è più piacevole (non di meno ognuno gli è piacevole, ed è misurato secondo la misura dell'amore), e come egli remunera lo servizio, così punisce l'offesa; e come egli è più remunerato, così è più punito colui che offende. Questo perché è? Perché serve lo sangue di Cristo, e diserve lo sangue di Cristo: e però segue più remunerazione, e più punizione.

Dunque, dolcissimi fratelli in Cristo dolce Gesù, siatemi servi fedeli a Cristo Crocifisso e alla sposa dolce sua; e così gustarete e cognosciarete la volontà eterna di Dio, la quale non vuole altro che la nostra santificazione, e, come detto è, ce l'ha mostrata con la bassezza della nostra umanità, e col sangue dolce sparto per noi con tanto fuoco d'amore. Lavatevi per fede e speranza nel sangue di Cristo Crocifisso; e con questa dottrina notricate la fameglia vostra. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





254. A Petro di missere Giacomo Attagusi dei Tolomei.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dilettissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi amatore e servitore di Cristo Crocifisso, poiché in altro modo non possiamo piacere a Dio.

E questo doviamo fare per debito, poiché ogni creatura che ha in sé ragione, è tenuta e obligata d'amarlo: poiché da Dio non aviamo ricevuto altro che servizio, diletto e piacere. E àcci amati senza essere amato da noi, poiché, non essendo, ci creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26); e, perdendo la grazia per lo peccato e disobbedienza di Adam, ci donò lo Verbo dell'unigenito suo Figlio solo per amore, non perché da noi avesse ricevuto servizio, ma offesa. E per l'offesa eravamo caduti in guerra con Dio; ed esso Dio, offeso da noi, ci donò lo Verbo del Figlio suo, e fecelo nostro mezzo e mediatore, facendo pace della grande guerra col prezioso sangue dell'Agnello. Dunque l'obedienzia sua ha sconfitta la disobbedienza di Adam; e come per la disobbedienza contraemmo tutti peccato, così per l'obedienzia del Figlio di Dio aviamo tutti contratto la grazia.

Ed è infinita la grazia che noi riceviamo per mezzo di questo Verbo, poiché tanto quanto l'uomo offende, ed egli ritorna al sangue di Cristo con dolore e amaritudine della colpa sua, tanto riceve misericordia, essendoci ministrato lo sangue con la santa confessione. Poiché, bomicando lo fracidume delle nostre iniquitadi per la bocca, cioè confessandoci bene e diligentemente al sacerdote, egli allora assolvendoci ci dona lo sangue di Cristo; e nel sangue si lava la lebbra dei peccati e dei difetti che sono in noi. Tutto questo dono ci ha dato Dio per amore, e non per alcuno debito; dunque bene siamo tenuti d'amare, e doviamo amarlo, se noi non vogliamo l'eterna dannazione.

Ma attendete a una cosa: che chi farà contro a questo sangue, o terrà con coloro che perseguitano lo sangue - cioè che con ingiuria, scherni e rimproverio perseguitano la Sposa di Cristo -, questi cotali già mai, se essi non si correggono, non participaranno lo frutto del sangue. E non lo' sarà scusa perché s'amantino col mantello dei difetti dei amministri del sangue, dicendo: «Noi perseguitiamo i difetti dei mali pastori»; ché siamo venuti a tanto, noi falsi cristiani, che ci pare fare sacrifizio a Dio facendo persecuzione alla Sposa sua. Ché, poniamo che i ministri sieno dimoni incarnati e pieni di molta miseria, non doviamo però noi essere manigoldi né giustizieri di Cristo, poiché essi sono gli onti suoi; e vuole che rimanga a lui a fare la giustizia di loro, o a cui egli l'ha commessa. E s'è signore temporale, o legge civile, non se ne può impacciare che non caggia nella morte dell'anima sua, perché non vuole Dio. Costui non mostra segno che egli ami lo suo Creatore, anco mostra segno d'odio. Bene è ignorante e miserabile colui che si vede tanto amare, che egli non ami; e grande è la pazienza di Dio che sostiene tanta iniquità.

Non ci scordiamo dunque da servire e amare lo nostro Creatore - perché siamo tenuti d'amarlo, come detto è -, e il servire non è vergogna, poiché lo servire a Dio non è essere servo, ma è regnare; e tanto quanto è più perfetto lo servigio, e più si sottomette a lui, tanto è più libero e fatto signore di sé medesimo, e non è signoreggiato da quella cosa che non è, cioè lo peccato. Poiché a maggiore miseria non si può recare l'uomo, che farsi servo e schiavo del peccato: poiché perde l'essere della grazia, e serve a non nulla, e diventa non nulla. Bene è dunque miserabile cosa dell’uomo cieco e stolto e senza veruno lume, che egli avilisca tanto sé medesimo per diservire lo suo Creatore, e per servire al demonio e al mondo con le sue delizie - che non ha alcuna fermezza - e alla propria sensualità; e lassa di servire la bontà infinita, che l'ama tanto inestimabilemente, e sì dolce e glorioso signore, lo quale ci ha ricomprati non d'oro né d'argento, ma del prezioso sangue dell'unigenito suo Figlio (1P 1,18-19). E non è alcuno che possa ricalcitrare a lui, poiché noi siamo venduti; e non ci possiamo più vendere né a demonio né a creature, servendo alle creature fuore di Dio.

Noi siamo bene tenuti e obligati di servire al prossimo nostro, ma non di servizio che sia contro alla volontà di Dio. O quanto è gloriosa la signoria che l'anima acquista per servire al suo Creatore! Poiché egli signoreggia tutto quanto lo mondo, e fassi beffe dei costumi e dei modi suoi; e signoreggia sé medesimo, e non è signoreggiato da l'ira né dalla immondizia né da alcuno altro vizio, ma tutti gli signoreggia con l'affetto e amore della virtù. Molti sono che signoreggiano le città e le castella, e non signoreggiano loro: ogni signoria senza questa è miserabile e non dura. E sempre la tiene imperfettamente, e con poca ragione e con meno giustizia; ma farà ragione e giustizia secondo la propria sensualità e amore proprio di sé, e secondo lo piacere e volontà delli uomini. Allora non è giustizia, ma è ingiustizia, poiché la giustizia non vuole essere contaminata con l'amore proprio, né con dono di pecunia né di lusenghe e piacere d'uomo. E colui che ama vorrà inanzi morire che offendere Dio, o in questo o in alcuna altra cosa: allora è servo fedele, ed è fatto signore di sé medesimo, signoreggiando la propria sensualità ed lo libero arbitrio con la ragione.

Perciò, poi che è di tanta dignità l'amare e servire a Dio, ed è necessario alla salute nostra - e il contrario è tanto pericoloso e di tanta miseria -, voglio e pregovi, fratello carissimo, che voi lo serviate con tutto lo cuore e con tutto l'affetto e non aspettiate lo tempo, poiché non sete sicuro d'averlo: poiché noi siamo condennati alla morte, e non sappiamo quando. E però non doviamo perdere lo tempo presente per quello che non siamo sicuri d'avere. E perché abbiamo detto che noi siamo tenuti d'amare Dio, colui che ama debba fare utilità a colui cui egli ama, e debba servirlo. E io vedo che a Dio non possiamo fare utilità, poiché pro non gli facciamo del nostro bene, né danno del nostro male.

Che doviamo dunque fare? Doviamo rendere gloria e loda al nome suo, e menare la vita nostra piena d'odore di virtù; e il frutto e la fatica dare al prossimo: cioè con nostra fatica fargli utilità; e servirlo in quelle cose che sono secondo Dio; e portare e sopportare i difetti suoi con vera carità, ordenata e non disordenata. Amore disordenato è di commettere la colpa per campare e piacere al prossimo. Non vuole essere così, anco l'ordenato amore in Dio non vuole ponere l'anima sua per campare tutto quanto lo mondo: che se fusse possibile che, per commettere uno peccato, egli mandasse ogni creatura che ha in sé ragione a vita eterna, nol debba fare. Ma bene debba ponere la vita sua corporale per l'anima del prossimo suo, e la sustanzia corporale per campare lo corpo. Or per questo modo e con questo mezzo del prossimo ci conviene amare Dio; e così mostraremo che noi l'amiamo. Così sapete che Cristo disse a santo Pietro, quando disse: «Pietro, àmimi tu?», e rispondendo Pietro, che bene sapeva se egli l'amava, compite le tre volte, disse: «Se tu mi ama, pasce le pecorelle mie» (Jn 21,15-17).Quasi dica: a questo m'avedrò che tu mi ama, non potendo fare utilità a me: se soverrai al prossimo tuo, notricandolo e dandoli la fatica tua con la santa e vera dottrina.

A noi conviene sovenirlo, secondo l'attitudine nostra, chi con la dottrina, e chi con l'orazione, e chi con la sustanzia; e chi non può con la sustanzia, sovvenire con gli amici, a ciò che noi stiamo sempre con la carità del prossimo, facendo utilità a questo mezzo che Dio ci ha posto. Unde io vi richeggio a voi per grazia e per misericordia - e così diciarò la parola di Cristo: «Petro, ami tu lo tuo Creatore e me? Or mi serve nel prossimo tuo, che ha bisogno e necessità» -, giusta al vostro potere, sempre messo inanzi l'onore di Dio, senza alcuna offesa.

Io ho inteso che Luisi della Vigna da Capua, fratello di frate Raimondo, è preso dalla gente del Prefetto, lo quale era con la gente della Regina; e ànnoli posto di taglia quattromilia fiorini, la quale cosa non è possibile a lui di fare, poiché è povaro. Prego dunque voi, e strengo in quella ardentissima carità la quale Dio ha mostrata a voi e a ogni creatura per mezzo del sangue del suo Figlio, che voi preghiate lo Prefetto per vostra parte - ché ho inteso che lo potere fare -, e per mia, che per amore di Cristo Crocifisso ci faccia questa grazia e misericordia: che egli sia lassato, e non gli sia richiesto quello che non può fare. E ditegli che questa è limosina; e faccia ragione che Dio per questo gli conservi lo tempo a correggere la vita sua, e venga a vera virtù, e a pace e a quiete dell'anima e del corpo, e spezialmente a reverenzia e aobbedienza della santa Chiesa, sì come servo e fedele cristiano. Poiché doppo questo ne gli segue la vita durabile, dove ha vita senza morte e luce senza tenebre, sazietà senza fastidio e fame senza pena. E io m'obligo a lui e a voi, di sempre - mentre che io vivarò - offrire continue orazioni, lacrime e desiderii per la salute vostra, secondo che la divina grazia mi concederà. Altro non ho che darvi. Fate quello di lui che di me medesima, per l'amore di Cristo Crocifisso e a ciò che dimostriate l'amore che voi gli avete, e per amore di me e di frate Raimondo, che è padre dell'anima mia. Racomandatemi al Prefetto, e diteli che seguiti le vestigie di Cristo Crocifisso, e annieghisi nel sangue di Cristo Crocifisso. Non dico più.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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