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Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (3)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 19:43
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19/10/2012 16:57

Per leggere le Lettere di Santa Caterina da Siena dalla n. 1 alla n. 100
ricordate di cliccare qui: LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (1)

per leggere le Lettere dal n.200 alla n. 230 cliccate qui: LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (2)


231 Risposta d'una breve poliza che il sopradetto padre santo le mandò, essendo essa Caterina in Vignone, la quale risposta il provoca a venire a Roma

232 A Sano di Maco, in Siena.

233 A papa Gregorio XI, quando ella era a Vignone.

234 A Bonacorso di Lapo in Firenze, poi che gli ambasciadori fiorentini gionsero in Vignone, non volendo atenere nulla di quello che promessole in Firenze dagli Otto de la guerra.

235 Al re di Francia, a 'stanza del duca d'Angiò.

236 A Bartalo Usimbaldi, in Firenze.

237 Al duca d'Angiò (avendo esso fatto lo dì dinanzi uno mangiare molto sumptuoso, cadde uno muro e morirvi più persone).

238  Al santo padre papa Gregorio XI, mentre che Caterina era in Vignone.

239 Al santo padre Gregorio XI, quando Caterina era in Vignone.

240 A monna Lapa sua madre, prima che tornasse da Vignone.

241 A monna Giovanna di Curado, quando io Stefano ero con Caterina a Vignone.

242 A messer Agnolo vescovo di Firenze, quando si partì da Firenze per osservare lo 'nterdetto.

243  A l'arcivescovo di Pisa.

244 A maestro Francesco del maestro Bartolomeo medico da Siena.

245 A frate Gasparre da Genova del Terzo Ordine di santo Francesco,

246 Al priore di Cervaia presso a Genova.

247 A monna Giovanna, donna di Corrado di Leoncino da Siena, quando io Stefano con essa Caterina tornammo da Vignone.

248 A Bartalo Usimbardi e monna Orsa sua donna, e a Francesco di Pipino sarto e a monna Agnesa sua donna, da Firenze.

249 A Francesco sarto predetto.

250 All'abbate di santo Antimo.

251 A monna Agnesa donna di Francesco sarto da Firenze.

252  Al padre santo papa Gregorio XI, essendo egli a Corneto.

253 A messere Trincia dei Trinci da Fulegno, e a Corrado suo fratello.

254 A Petro di missere Giacomo Attagusi dei Tolomei.

255 A papa Gregorio XI, essendo essa in Vignone.

256 A messer frier Niccolò priore dei Frieri de la provincia di Toscana, essendo esso ito a Vinegia per dare ordine al passagio sopra gl'infedeli lo quale doveano incominciare.

257 A Conte di monna Agnola e ai compagni in Firenze.

258 A missere Ristoro di Piero Canigiani, in Firenze.

259 A Tommaso da Alviano.

260 Ai pregioni, lo giovedì santo, in Siena - anno 1377.

261 A ser Mariano prete nella Misericordia di Siena essendo a Montechiello.

262 A monna Tora, figlia di missere Piero Gambacorti da Pisa.

263 A madonna Montagna serva di Dio, in Capitone nel contado di Narni.

264 A madonna Jacoma, donna che fu di missere Trincia dei Trinci da Fulegno.

265 A Francesco e a monna Agnesa predetti.

266 A messere Ristoro Canigiani da Fiorenze.

267 A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori.

268 Alli Anziani, Consoli e Gonfaloniere di giustizia della città di Bologna.

269 A Neri predetto, in Firenze.

270 A papa Gregorio XI, a dì 16 d'aprile 1377.

271 A monna Alessa soprascritta mantellata di santo Domenico, sua diletta figlia.

272 A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori.

273 Questa lettera mandò essa Caterina al padre dell'anima sua frate Raimondo,

274 A Francesco sarto predetto e a monna Agnese sua donna.

275 A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori.

276 A una meretrice in Perugia, a petizione d'uno suo fratello.

277 A la detta monna Alessa, essendo essa Caterina a Firenze.

278 A monna Bartolomea di Domenico, in Roma.

279 A messere Ristoro sopradetto da Fiorenze, in Pistoia.

280 A frate Raimondo da Capua dei frati Predicatori.

281 A Neri di Landoccio.

282 A messere Nicola da Osimo, secretario e protonotario di nostro signore lo papa.

283 A frate Tommaso da la Fonte dell'ordine dei Predicatori.

284 A messere "Simone" cardinale di Luna.

285 Al detto padre santo Gregorio XI, poi che fu gionto a Roma.

286 A monna Alessa e a certe altre sue figlie da Siena, lo dì de la Conversione di santo Paolo.

287 1) A frate Nicolò di Nanni di ser Vanni, dei frati di Monte Oliveto.

2) A don Piero di Giovanni di Viva, monaco di Certosa a Maggiano presso a Siena.

288 A monna Agnesa, donna di Francesco sarto da Firenze.

289 A Francesco di Pipino sarto da Firenze.

290 A Francesco sarto predetto.

291 A papa Urbano VI.

292 A lo soprascritto venerabile religioso frate Guglielmo d'Inghilterra, e a misser Matheio rettore de la Misericordia, e a frate Santi e agli altri figli.

293 A messere "Simone" cardinale di Luna.

294 A Sano di Maco e a tutti gli altri figli in Siena.

295 A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori singulare padre dell'anima sua, dopo uno romore di popolo che si levò in Fiorenze nel quale essa fu voluta uccidere.

296 A don Giovanni da le Celle, monaco di Valle Ombrosa.

297  Allo soprascritto Nicolò Soderini, poi che il furore del popolo di Firenze gli robbò e arse la casa

298 Al detto Stefano, essendo essa a Firenze.

299 A missere Ristoro di Piero Canigiani da Firenze.

300 A monna Agnesa di Francesco di Pipino predetta.

301 A messere Ristoro Canigiani, dottore di Decreto da Firenze.

302 Al padre santo Urbano VI sopradetto.

303 A Sano di Maco e a tutti gli altri suoi in Cristo figli secolari da Siena, essendo essa in Firenze.

304 A monna Lodovica di Granello Tolomei.

305 Al santo padre Urbano VI, a dì 18 di settembre 1378.

306 A papa Urbano VI, a dì 5 d'ottobre 1378.

307 A una donna riprendendola del mormorare, a Firenze, a dì 20 d'ottobre 1378

308 A la soprascritta Daniella d'Orvieto.

309 A Giovanni da Parma in Roma, per uno libro strano che avea - del quale volea sapere per rivelazione se fusse da Dio o dal demonio -, a dì 23 d'ottobre.

310 A tre cardinali italiani partiti da papa Urbano VI.

311 AI signori Difensori del populo e comune di Siena.

312 Alla reina di Napoli adì 7 d'ottobre 1378, quando si disse ch'ella teneva il papa falso e non il vero, Urbano VI.

313 Al conte di Fondi.

314 1) Epistola de la beata Caterina da Siena a certi suoi devoti figli.

2) A monna Costanza donna di Nicolò Soderini da Firenze

315 A don Pietro da Melano, monaco de l'ordine di Certosa.

316 A Daniela da Orvieto vestita de l'abito di santo Domenico.

317 Alla soprascritta reina di Napoli, poi che essa Caterina fu giunta a Roma.

318 A Sano di Maco e tutti gli altri suoi in Cristo figli secolari da Siena.

319 Al soprascritto Stefano Maconi.

320 Stefano di Currado Maconi, in Siena.

321 Alla Compagnia della disciplina della Vergine Maria, in Siena.

322 A don Giovanni monaco nelle Celle di Vall Ombrosa, essendo richiesto dal santo padre papa Urbano VI.

323 A don Bartolomeo Serafini priore di Gorgona dell'ordine di Certosa in Pisa, a dì 15 di dicembre 1378.

324 A Stefano Maconi detto.

325 A frate Tommaso dei frati Predicatori.

326 A frate Guglielmo d'Inghilterra e frate Antonio da Nizza, a Lecceto presso a Siena.

327 A frate Andrea da Lucca, a frate Baldo e frate Lando, servi di Dio in Spoleto, essendo per introdotto di lei richiesti dal santo padre.

328 A frate Antonio da Nizza dell'ordine degli Eremitani, a Lecceto.

329 A Stefano di Corrado, essendo essa a Roma.

330 A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori, in Pisa.
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19/10/2012 17:04

231. Risposta d'una breve poliza che il sopradetto padre santo le mandò, essendo essa Caterina in Vignone, la quale risposta il provoca a venire a Roma.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

santissimo padre in Cristo dolce Gesù, la vostra indegna e miserabile figlia Caterina vi si racomanda nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi pietra ferma fortificata nel santo e buono proponimento, sì che i molti venti contrarii - i quali vi percuotono - de li uomini del mondo, per ministerio e illusioni e per malizia deli demoni, non vi nuociano; i quali vogliono impedire tanto bene che segue de l'andata vostra.

Intesi, per la scritta che mi mandaste, che i cardinali alegano che papa Climento IIII, quando aveva a fare una cosa, non la voleva fare senza lo consiglio dei suoi fratelli cardinali: poniamo che spesse volte li paresse che fusse di più utilità lo suo medesimo che il loro, nondimeno seguitava il loro. Oimé, santissimo padre, costoro v'alegano papa Climento IIII, ma eglino non v'alegano papa Urbano V, il quale, delle cose ch'egli era in dubio se egli era il meglio o sì o no di farle, allora voleva il loro consiglio; ma della cosa che gli era certa e manifesta - come è a voi l'andata vostra, della quale sete certo - egli non se n'ateneva al loro conseglio, ma seguitava lo suo, e non si curava perché tutti li fussero contrarii. Parmi che il consiglio dei buoni atenda solo a l'onore di Dio e alla salute delle anime e alla riformazione della santa Chiesa, e non ad amore proprio di loro. Dico che il consiglio di costoro è da seguitarlo, ma non quello di coloro che amassero solo la vita loro, onori, stati, dilizie, poiché il consilio loro va colà dove hanno l'amore.

Pregovi, da parte di Cristo crocifisso, che piaccia alla santità vostra di spaciarvi tosto. Usate uno santo inganno: cioè parendo di prolungare più dì, e farlo poi subito e tosto, ché, quanto più tosto, meno starete in queste angoscie e travagli. Anco, mi pare ch'eglino v'insegnino, dandovi l'esempio delle fiere, che, quando campano del lacciuolo, non vi ritornano più. Per insino a qui sete campato del lacciuolo dei consigli loro, nel quale una volta vi feceno cadere, quando tardaste la venuta vostra: lo quale lacciuolo fece tendare lo demonio, perché ne seguitasse lo danno e il male che n'è seguito. Voi, come savio, 'spirato dallo Spirito santo, più non vi cadrete. Andianci tosto, babbo mio dolce, senza neuno timore; se Dio è per voi, neuno sarà contro voi (Rm 8,31): Dio è quello che vi muove, sì ch'egli è con voi. Andate tosto a la Sposa vostra, che v'aspetta tutta impalidita perché le poniate lo colore. Non vi voglio gravare di più parole, ché molte n'arei a dire.

Rimanete etc.

Perdonate a me presuntuosa. Umilemente vi domando la vostra benedizione, etc. Gesù dolce, Gesù amore.





232. A Sano di Maco, in Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello e figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedervi unito e fondato nel vero fondamento, cioè Cristo crocifisso, lo quale è pietra viva (1P 2,4): nel quale fondandosi ogni edifizio è stabile e sicuro; e senza lui nullo può aver fermezza veruna.

Così dicea quello inamorato di Pavolo: «Neuno può con sicurezza fondarsi in altro fondamento che nella pietra viva, la quale è Cristo crocifisso (1Co 3,11); impoiché non è posto da Dio altro fondamento che egli». E veramente, fratello e figlio carissimo in Cristo Gesù, a me pare che così sia la verità, poiché, se l'anima è fondata veramente in Cristo, neuno vento di superbia o di vanagloria il può cacciare a terra, però ch'ell'è fondata in umilità profonda (Mt 7,25), la quale vede Dio umiliato a l'uomo per salvarlo. Così ancora nessuna acqua d'avarizia o diletti mondani e carnali, quantunque sia grande la piena, può cacciare a terra questa anima, imperò ch'è stabilita e fermata in quella pietra (Lc 6,48 Mt 7,25) ne la quale non fu mai nessuna molizie di diletti o consolazioni corporali, ma tutta fermezza in pene e in dolori.

Unde l'anima inamorata di lui non può volere altro che sempre patire con lui obrobi, scherni, fame, sete, freddo, caldo, ingiurie e infamazioni, e a l'ultimo ancora, con grande diletto, ponere e dare la vita corporale per amore di lui. Anco, allora l'anima gode e ingrassa, quando si vede fatta degna di sostenere strazii e derisioni e beffe dal mondo, per amore del dolce e buon Gesù. Così si legge degli apostoli che allora godevano, quando cominciarono a essere spregiati e vilanegiati per lo nome di Gesù. In questo modo disidera l'anima mia di vederci fondati in Cristo crocifisso, sì e per sì-fatto modo che né acqua di tribulazioni, né vento di tentazioni, né anco il demonio coi le sue astuzie, né il mondo coi le sue lusinghe, né la carne con le sue immondizie mai ci possano separare dalla carità di Cristo e da quella del prossimo (Rm 8,35-39).

E non vi movesse parole seminate dal demonio per mezzo delle creature, per conturbare la mente vostra e degli altri miei dolci figli e figlie in Cristo Gesù: impoiché questa è l'arte sua antica, di fare suo strumento delle lingue dei cattivi; e alcune volte, per permessione di Dio, delle lingue dei servi di Dio ne fa suo strumento, per conturbare gli altri servi di Dio.

Per la grazia del nostro dolce Salvatore, noi giognemo qui a Vignone già xxvi dì, e ho parlato col santo padre e con alquanti cardinali e altri signori temporali. Ed èssi molto adoperata la grazia del nostro dolce Salvatore nei fatti per li quali venimo qua etc. Pregate tutti Dio per Cristo in terra e per la pace etc.

Godete, ed () Confortate etc.

Rimanete etc. Gesù dolce e Maria etc.

A dì 18 di giugno 1376 giognemo in Vignone.





233. A papa Gregorio XI, quando ella era a Vignone.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Reverendo caro e dolce padre in Cristo dolce Gesù, la vostra indegna miserabile figlia Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, vi scrive e conforta nel dolce sangue suo, con desiderio di vedervi senza veruno timore servile, considerando me che l'uomo timoroso taglia lo vigore del santo proponimento e buono desiderio.

E però io ho pregato e pregarò lo dolce e buono Gesù che vi tolga ogni timore servile, e rimanga solo lo timore santo. E sia in voi uno ardore di carità, sì e per sì-fatto modo che non vi lassi udire le voci dei dimoni incarnati, e non vi faccia tenere lo consiglio dei perversi consiglieri, fondati in amore proprio, che, secondo che io intendo, vi vogliono mettare paura, dicendo «voi sarete morto»; e questo dicono per impedire l'avenimento vostro per paura.

E io vi dico da parte di Cristo Crocifisso, dolcissimo e santissimo padre, che voi non temiate per veruna cosa che sia: venite sicuramente, confidatevi in Cristo dolce Gesù, ché, facendo quello che voi dovete, Dio sarà per voi, e non sarà veruno che sia contro a voi (Rm 8,31). Su virilmente, padre, ché io vi dico che non vi bisogna temere. Se non faceste quello che dovete fare, avreste bene bisogno di temere. Voi dovete venire: venite dunque venite, dolcemente e senza veruno timore.

E se alcuno dimestico vi vuole impedire, dite a loro arditamente come disse Cristo a santo Pietro, quando per tenerezza lo voleva ritrare che non andasse alla passione, e Cristo si rivolse a lui dicendo: «Va doppo me, sathana; tu mi sei scandolo, cercando le cose che sono dagli uomini e non quelle che sono da Dio. E non vuoli tu che io compia la volontà del Padre mio?» (). Or così fate voi, dolcissimo padre: seguitatelo come vicario suo, deliberando e fermando in voi medesimo e dinanzi da loro, dicendo: «Se n'andasse mille volte la vita, io voglio adempire la volontà del Padre mio eterno»; poniamo che vita non ne vada, anco pigliate la via e la materia d'acquistare continuamente la vita de la grazia. Or vi confortate e non temete, ché non vi bisogna. Pigliate l'arme della santissima croce, che è la sicurezza e la vita dei cristiani; lassate dire chi vuole dire, e tenete fermo lo santo proponimento.

Dissemi lo padre mio frate Raimondo, per vostra parte, che io pregasse Dio se doveste avere impedimento; e io già n'avevo pregato inanzi e doppo la santa comunione: non vedevo né morte né pericolo alcuno, i quali pericoli pongono coloro che vi consigliano: credete e confidatevi in Cristo dolce Gesù. Spero che Dio non dispregiarà tante orazioni, fatte con tanto ardentissimo desiderio e con molte lacrime e sudori.

Perdonatemi perdonatemi. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.





234. A Bonacorso di Lapo in Firenze, poi che gli ambasciadori fiorentini gionsero in Vignone, non volendo atenere nulla di quello che promessole in Firenze dagli Otto de la guerra.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere voi e gli altri vostri signori pacificare il cuore e l'anima vostra nel dolcissimo sangue suo. Nel quale sangue si spegne ogni odio e guerra e abassasi ogni superbia dell’uomo, poiché nel sangue l'uomo vede Dio umiliato a sé prendendo la nostra umanità, la quale umanità è aperta e confitta e chiavellata in croce, sì che per li forami del corpo di Cristo crocifisso esce e versa il sangue sopra di noi, ed ècci ministrato da' amministri della santa Chiesa.

Priegovi, per l'amore di Cristo crocifisso, che voi riceviate il tesoro del sangue, lo quale v'è dato dalla Sposa di Cristo. Pacificatevi pacificatevi con lei nel sangue; conoscete le colpe e l'offese vostre fatte contro di lei, poiché chi conosce la colpa sua, e mostra in effetto che si conosca e sia umiliato, riceve sempre misericordia. Ma chi il mostra solo con la parola e non va più oltre con l'opera, non la trova mai.

Questo non dico tanto per voi, quanto per li altri che in questo difetto cadessero.

Oimé oimé, carissimo fratello, io mi doglio dei modi che si sonno tenuti in domandare la pace al santissimo padre, che s'è mostrato più la parola che l'affetto. Questo dico perché, quando io venni costà a voi e ai vostri signori - mostrando ne le parole che fussero amendati della colpa comessa, parendo che si volessero umiliare, chiedendo misericordia al santo padre -, dicendo io a loro: «Vedete, signori, se voi avete intenzione d'usare ogni umilità in fatto e in detto, e ch'io v'offari come figli morti dinanzi al padre vostro, io m'afaticarò in quanto questo vogliate fare: per altro modo non v'andarei»; ed eglino mi risposero erano contenti. Oimé oimé, carissimi fratelli, questa è la via, e la porta per la quale vi convenia intrare, e nessuna altra ce n'ha; e se si fusse seguitata questa via in effetto, come con la parola, voi avareste avuto la più gloriosa pace che avesse mai persona.

E non dico questo senza cagione, però ch'io so la disposizione del santo padre com'era fatta: ma poi che noi cominciamo a uscire della via, seguitando i modi astuti del mondo, facendo altro in effetto che non s'era porto con la parola, ha dato materia al santo padre non di pace, ma di più turbazione. Poiché, venendo di qua i vostri imbasciadori, non tennero quello modo debito che l'era fatto tenere per li servi di Dio. Voi sete andati coi li modi vostri, e mai con loro non potei conferire, sì come diceste a me che direste a loro quando chiesi la lettara della credenzia, cioè che noi conferissimo insieme d'ogni cosa, dicendo: «Noi non crediamo che questo si faccia mai per altra mano che per servi di Dio». Ed egli s'è fatto tutto il contrario.

Tutto è perché non ci è anco il vero conoscimento dei difetti nostri. E avegomi che le parole umili procedono più per timore e per bisogno che per effetto d'amore o di virtù, poiché, se fusse stato in verità il conoscimento de la colpa comessa, avrebbe risposto l'opera al suono della parola; e i vostri bisogni, e quello che volavate dal santo padre, avareste posti nelle mani dei veri servi di Dio. I quali sarebbero quelli mezzi che avrebbero sì dirizzati i dimandati vostri e quelli del santo padre, che voi avareste avuto buona concordia. Non l'avete fatto, della qual cosa ho avuto grande amaritudine, per l'offesa di Dio e danno vostro. Ma voi non vedete quanto male e quanti inconvenienti ne vengono per la vostra ostinazione, e per lo stare fermo nel vostro proponimento.

Oimé oimé, scioglietevi dal legame della superbia e legatevi con l'umile Agnello, e non vogliate spregiare né fare contro il vicario suo. Non più così, per l'amore di Cristo crocifisso: non tenete a vile il sangue suo.

Quello che non s'è fatto per lo tempo passato, fatelo per lo presente. Non pigliate amaritudine né sdegno, se vi paresse che il padre santo dimandasse quello che vi paresse molto duro e impossibile a fare. Egli non vorrà però altro che la vostra possibilità. Ma egli fa come vero padre, che batte il figlio quando egli offende; fagli grande riprensione per farlo umiliare e conoscere la colpa sua: e il buono figlio non si sdegna contro lo padre, perché vede che ciò che fa, fa per amore e però, quanto più il caccia, più torna a lui, chiedendo sempre misericordia. Così dico a voi da parte di Cristo crocifisso che, tante volte quante fuste spregiati dal vostro padre Cristo in terra, tante volte fuggiate a lui. Lassatelo fare, ch'egli ha ragione.

Ecco che ora ne viene a la Sposa sua, cioè al luogo di santo Pietro e di santo Pavolo. Fate che subito corriate a lui, con vera umilità di cuore e mendazione delle colpe vostre, seguitando lo santo principio con lo quale cominciaste. Facendo così, avarete pace spirituale e corporale; e tenendo altro modo, i nostri antichi non ebero mai tanti guai quanti avaremo noi, poiché chiamaremo l'ira di Dio sopra di noi e non participaremo il sangue dell'Agnello. Non dico più.

Solicitate quanto potete, ora che il santo padre sarà a Roma. Io ho fatto e farò ciò che potrò, fino a la morte, per onore di Dio e per pace vostra, e perché si levi via questo mezzo che impedisce il santo e dolce passagio: che se non n'uscisse altro male, sì siamo degni di mille inferni. Confortatevi in Cristo nostro dolce Gesù, ch'io spero per la sua bontà che, se vorrete tenere quel modo che dovete, voi avarete buona pace.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.



235. Al re di Francia, a 'stanza del duca d'Angiò.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo signore e padre in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi osservatore dei santi e dolci comandamenti di Dio, considerando me che in altro modo non possiamo partecipare il frutto del sangue dell'Agnello immacolato.

Lo quale Agnello dolce Gesù ci ha insegnato la via; e così diss'egli: «(), verità e vita» (Jn 14,6). Egli è lo dolce maestro che ci ha insegnata la dottrina, salendo in sulla catedra della santissima croce. Venerabile padre, raguardate che dottrina e che via egli vi dà. La via sua è questa: pene, obrobii, vituperi, scherni e villanie; sostenere con vera pazienza fame e sete, satolato d'obrobii; confitto e chiavellato in croce per onore del Padre e salute nostra, ché, con la pena e obrobio suo, ha sodisfatto alla colpa nostra e al nostro vituperio, nel quale era caduto l'uomo per lo peccato comesso. Egli ha ristituito, e punite le nostre iniquità sopra lo corpo suo, e àllo fatto solo per amore e non per debito. Questo dolce Agnello, via nostra, ha spregiato lo mondo con tutte le dilizie e stato suo, e ha odiato lo vizio e amato le virtù.

Voi, come figlio e servo fedele a Cristo crocifisso, seguitate le vestigie sue e la via la quale egli v'insegna: cioè, che ogni pena, tormento e tribulazione che Dio permette che il mondo vi faccia, portiate con vera pazienza, poiché la pazienza non è venta, ma essa vence lo mondo. Siate siate amatore delle virtù, fondate in una vera e santa giustizia, e spregiatore del vizio.

Tre cose singulari vi prego, per l'amore di Cristo crocifisso, che facciate nello stato vostro. La prima si è che spregiate lo mondo e voi medesimo, con tutti i diletti suoi; possedendo voi lo reame vostro come cosa prestata a voi, e non vostra, poiché voi sapete bene che né vita né sanità né ricchezze né onore né stato né signoria non è vostra, ché s'ella fusse vostra, voi la potreste possedere a vostro modo. Ma talora vuole essere l'uomo sano, ch'egli è malato; o vivo, ch'egli è morto; o ricco, ch'egli è povaro; o signore, ch'egli è fatto servo o vassallo. E tutto questo è perché elle non sono sue; e non le può tenere se no quanto piace a colui che gli l'ha prestate. Perciò bene è semplice colui che possiede l'altrui per suo: dirittamente egli è furo, e degno di morte. E però pregovi che, come savio, facciate come buono dispensatore - possedendo come cose prestate a voi -, fatto per lui suo dispensatore.

L'altra cosa si è che voi manteniate la santa e vera giustizia, e non sia guasta né per amore proprio di voi medesimo, né per lusinghe, né per veruno piacere d'uomo; e non tenete occhio ch'i vostri uffiziali faccino ingiustizia per denari, tollendo la ragione ai povarelli, ma siate padre dei povari, sì come distribuitore di quello che Dio v'ha dato. E vogliate ch'i difetti che si trovano per lo reame vostro sieno puniti, e la virtù essaltata, poiché tutto questo apartiene alla divina giustizia di fare.

La terza cosa si è d'osservare la dottrina che vi dà questo maestro in croce, che è quella cosa che più desidera l'anima mia di vedere in voi: cioè l'amore e la carità col prossimo vostro, col quale tanto tempo avete avuto guerra. Poiché voi sapete bene che, senza questa radice dell'amore, l'alboro dell'anima vostra non farebbe frutto, ma seccarebbesi, non potendo trare a sé l'umore della grazia stando in odio.

Oimé, carissimo padre, che la prima dolce Verità ve lo 'nsegna e lassa per comandamento, d'amare Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come sé medesimo (Mt 22,37-39 Mc 12,30-31 Lc 10,27).

Esso vi dé l'esempio, pendendo in sul legno della santissima croce; gridando i giudei: «Crucifige»(Mt 27,22-23 Mc 15,13-14 Lc 23,21), ed egli grida con voce umile e mansueta: «Padre, perdona a costoro che mi crucifigeno, che non sanno che si faccino» (Lc 23,34). Raguardate la sua inestimabile carità che, non tanto ch'egli perdoni, ma gli scusa dinanzi al Padre. Che esempio e dottrina è questa, che il giusto, che non ha in sé veleno di peccato, sostenga dallo 'ingiusto, per punire le nostre iniquità! O quanto si debba vergognare l'uomo che segue la dottrina del demonio e della sensualità, curandosi più d'acquistare le richezze del mondo e di conservarle - che tutte sono vane e passano come lo vento - che dell'anima sua e del prossimo suo! Ché, stando in odio col prossimo, sta in odio con con sè medesimo, perché l'odio lo priva della divina carità. Bene è stolto e cieco, ch'egli non vede che col coltello dell'odio del prossimo suo ucide sé medesimo.

E però vi prego e voglio che seguitiate Cristo crocifisso, e siate amatore della salute del prossimo vostro, dimostrando di seguire l'Agnello, che, per fame dell'onore del Padre e salute delle anime, elesse la morte del corpo suo. Così fate voi, signore mio: non curate di perdare della sustanzia del mondo, ché il perdare vi sarà guadagno, pure che potiate pacificare l'anima vostra col fratello vostro. Io mi maraviglio come voi non ci metete eziandio, se fusse possibile, la vita, non tanto che le cose temporali, considerando tanta distruzione delle anime e dei corpi, quanta è stata, e quanti religiosi, donne e fanciulle sonno state vituperate e cacciate per questa guerra. Non più, per l'amore di Cristo crocifisso! Non pensate voi che, se voi non fate quello che voi potete, di quanto male voi sete cagione? male nei cristiani, e male nelli infedeli, poiché la briga vostra ha impacciato e impaccia lo misterio del santo passagio; che, se non n'uscisse altro male che questo, mi pare che dobiamo aspettare lo divino giudicio.

Io vi prego che non siate più così, operatore di tanto male, e impacciatore di tanto bene quanto è la ricuperazione della Terra-santa, e di quelle anime tapinelle che non participano lo sangue del Figlio di Dio. Della qual cosa vi dovareste vergognare, voi e gli altri signori cristiani: ché grande confusione è questa dinanzi agli uomini, e abominazione dinanzi a Dio, che si facci la guerra sopra lo fratello e lassisi stare lo nemico, e voglisi torre l'altrui e non racquistare lo suo. Non più tanta stoltizia né cecità! Io vi dico, da parte di Cristo crocifisso, che non indugiate più tempo a fare questa pace: fate fate fate la pace, e tutta la guerra mandate sopra gl'infedeli. Aitate a favoregiare e a levare su la 'nsegna della santissima croce, la quale Dio vi richiederà, a voi e agli altri, nell'ultima 'stremità della morte, di tanta negligenzia e ignoranza, quanto ci s'è commessa e commette tutto il dì. Non dormite più, per l'amore di Cristo crocifisso e per la vostra utilità, questo punto del tempo che v'è rimaso; poiché il tempo è breve, e dovete morire e non sapete quando. Cresca in voi uno fuoco di santo desiderio a seguire questa santa croce, e a pacificarvi col prossimo vostro. E per questo modo seguitarete la via e la dottrina dell'Agnello dissanguato derelitto in croce, e osservarete i comandamenti.

E la via seguitarete, portando con pazienza le 'ngiurie che vi sonno state fatte; e la dottrina, in riconciliarvi col prossimo; e l'amore di Dio, manifestandolo con seguire la santissima croce nel santo e dolce passagio, nel quale mi pare che il vostro fratello, signore duca d'Angiò, per l'amore di Cristo, vuole prendare a faticarsi in questa santa opera. Sarebbe da farsi coscienza se per voi rimanesse tanto dolce e santo misterio. Ora in questo modo seguitarete le vestigie di Cristo crocifisso, adempirete la volontà di Dio e mia, e i comandamenti suoi, che vi dissi ch'io desiderava di vedervi osservatore dei comandamenti santi di Dio. Non dico più. Perdonate alla mia presunzione.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore, Maria dolce madre.



236. A Bartalo Usimbaldi, in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedervi ardare nella fornace de la divina carità, affinché consumi ogni amore proprio di voi, e solo atendiate di piacere al vostro Creatore - non curando detto di creatura, né ingiuria o scherni o rimproverio che da loro riceveste, ma con umilità chinare il capo a ciò che la divina bontà vi permette -, e affinché siate forte contro le varie e diverse cogitazioni e bataglie deli demoni, tenendo ferma la volontà che non consenta, ma solo voglia amare e servire lo suo Creatore.

E facendo così, sarete perseverante fino a la morte; e così riceverete a l'ultimo lo frutto delle vostre fatiche, lo quale, come dice santo Pavolo, senza alcuna comparazione è maggiore che le passioni che in questa vita si sostengono. Ralegratevi, figlio mio dolce, ché ora di nuovo avete ricevuta grande abondanzia del sangue di Gesù Cristo: però ch'io ho avuta dal santo padre la indulgenzia di colpa e di pena, al ponto della morte, per molti dei miei figli, tra i quali sete voi, e Francesco e la donna. E di tutti insieme fo fare un privilegio, per meno impaccio e spesa. Ma se mai non aveste il vostro per scrittura, niente vi nuoce: bastivi averla per bocca di lui, vicario di Cristo, e al ponto della morte dimandare al prete l'absoluzione di colpa e pena secondo che può: ed egli è tenuto di darvela.

Credete, figlio, con fede viva e speranza ferma, che, passando di questa vita con questa indulgenzia, confesso e pentuto dei vostri peccati, l'anima vostra ne va pura e netta e monda a vita eterna, come il dì che ebbe ricevuto lo santo baptesmo. Adonque voglio che mutiate vita, ordinandovi in tutto secondo la volontà di Dio: ponere tutto lo cuore e l'affetto vostro in lui, e del mondo vi fate beffe, pigliandone solo la vostra necessità. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 17:07

237. Al duca d'Angiò (avendo esso fatto lo dì dinanzi uno mangiare molto sumptuoso, cadde uno muro e morirvi più persone).

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo signore e fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi lo cuore confitto e chiavellato in croce; e sì e per sì-fatto modo v'accresca lo desiderio vostro che tosto siate pronto e sollicito a levare lo gonfalone della santissima croce sopra gl'infedeli.

Sono certa che, se voi ragguardarete l'Agnello dissanguato e consumato in croce per amore, per tollervi la morte e rendervi la vita della grazia, che questa sarà quella santa memoria che v'accenderà lo desiderio a tosto farlo, e raffrenarà del cuore e dell'anima vostra ogni disordenato diletto e vanità del mondo. I quali diletti passano via come lo vento, e lassano sempre la morte nell'anima di colui che li possiede; e, nel fine della morte, se non si corregge, lo conducono nella morte eterna: sì che per suo difetto s'è privato della visione di Dio, e fattosi degno della visione e conversazione deli demoni. Ed è cosa degna e convenevole che sostenga pena infinita colui che offende Dio, che è bene infinito.

Dico di quello che spende tutta la vita sua in delizie, in vivere splendidamente, cercando i grandi onori nei gran conviti e molti adornamenti; e tutta la sustanzia loro non spendono in altro. I povarelli si muoiono di fame, ma essi sempre cercano le grandi e le molte vivande, nettezza di vasi, le care mense, i dilicati e ornati vestimenti; ma non si curano dell'anima tapinella, che si muore di fame poiché le tolgono lo cibo della virtù e della santa confessione, e della parola santa di Dio, cioè della parola incarnata, unigenito suo Figlio. Del quale doviamo seguire le vestigie per affetto e amore, amando quello che egli ama, cercando quello che egli cercò: amare la virtù e ispregiare lo vizio, cercare l'onore di Dio e cercare la salute di noi e del prossimo nostro. E però disse Cristo che di solo pane non vivea l'uomo, ma della parola di Dio (Mt 4,4).

Dunque voglio, caro e dolce signore e fratello in Cristo dolce Gesù, che seguitiate questa dolce parola, con virtù vera, Cristo Crocifisso; e non vi lassate ingannare al mondo né alla forte gioventudine, poiché, seguitando noi pure lo mondo, potrebbe esser detto a noi quella parola che disse Cristo benedetto dei Giuderi: «Costoro sono simili ai sipolcri, che di fuori sono begli e scialbati, e dentro sono pieni d'ossa e di puzza di morti » (Mt 23,27). O quanto dice bene la dolce prima Verità! E veramente egli è così, che di fuore paiono belli con molti adornamenti, impiendosi lo cuore e l'affetto di queste cose morte e transitorie, che generan puzza e fastidio di disonestà nell'anima e nel corpo. Ma io spero, per la bontà di Dio, che voi v'ingegnarete di correggere sì la vita vostra che questo non toccarà a voi; ma con grandissimo fuoco d'amore pigliarete la croce, nella quale si spense e distrusse la morte del peccato mortale, e avemo la vita.

E così farà a voi: nella levazione della croce si levaranno tutte l'offese che avete fatte a Dio, e dirà poi Dio a voi: «Vieni, diletto figlio mio, che ti sei affatigato per me. Io ti consolarò (Mt 11,28 Mt 5,4), e menarotti alle nozze della vita durabile» (Mt 22,2 Ap 19,9), dove è sazietà senza fastidio e fame senza pena, diletto senza scandolo; e non son fatte come le nozze e conviti del mondo, che danno spesa senza neuno guadagno e, quanto più se n'empie l'uomo, più rimane vòto: da letizia viene a tristizia.

E ben lo vedeste voi nel dì di ieri, che, avendo voi con gran festa fatto lo convito, i vi tornò a grande amaritudine. E questo permisse Dio per grandissimo amore che ha all'anima vostra; e volse manifestare a voi e agli altri che erano d'intorno, che cosa è la nostra vana letizia. E mostrò Dio che quegli atti, le parole e costumi e modi e consigli fussero poco piacevoli e acettevoli a lui.

Oimé, io temo bene che la nostra stoltizia non sia tanta che non ci lassi considerare lo divino giudizio! Dicovi, da parte di Cristo crocifisso, che sempre il dì di ieri portiate nella memoria, affinché le cose vostre siano fatte con ordinato modo, con virtù e timore di Dio, e non senza timore di Dio. Confortatevi confortatevi, ch'io spero per la sua bontà che vel farà. E non abbiate amaritudine affliggitiva di questo caso che v'è avenuto; ma sia pena sanativa d'uno cognoscimento santo di voi medesimo. Siavi un santo freno che raffreni in voi ogni disordinata vanità, sì come si fa al cavallo che corre, che si tira la briglia perché non esca fuore dell'ordine del corso suo. Orsù, figlio mio dolce in Cristo nostro dolce Gesù, abracciatevi con la santissima croce; rispondete a Dio, che con essa croce vi chiama: e così adimpirete la voluntà sua e il desiderio mio. E però vi dissi ch'io desiderava di vedervi il cuore e il desiderio vostro confitto e chiavellato in croce.

Fate che, inanzi che il santo padre ne vadi, voi fermiate il vostro santo desiderio, pigliando la santa croce dprima della santità sua; e quanto più tosto, meglio è per lo popolo cristiano e infedele. E fate tosto, senza negligenzia; non prolungate più tempo. Vogliate che piuttosto vi manchi lo tempo nelle cose temporali che nelle spirituali; e spezialmente in questa santa e dolce opera, la quale Dio v'ha posto in mano, e fàvi degno di quello, per sua bontà, che spesse volte suole fare ai grandi servi suoi. Non dico più. Ricordivi, monsignore, che dovete morire, e non sapete quando.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Perdonate alla mia presunzione. Gesù dolce, Gesù amore.





238. Al santo padre papa Gregorio XI, mentre che Caterina era in Vignone.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

santissimo padre in Cristo dolce Gesù, la vostra indegna e miserabile figlia Caterina vi si racomanda nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con disiderio di vedere adempita la volontà di Dio e il desiderio vostro di vedere levato in alto lo gonfalone e segno della santissima croce.

Lo quale segno pare che la volontà dolce di Dio voglia che voi leviate; e voi so, santissimo padre, che n'avete grandissimo desiderio. Poi che Dio vuole, e voi n'avete buona volontà, pregovi e dicovi per l'amore di Cristo crocifisso che voi non ci siate negligente, ma, se il dolce e buono Gesù vi manda la via e il modo per potere fare lo santo principio, fatelo. Se voi lo farete, Dio prosperarà la Sposa sua; e così andarete dalla guerra alla pace con l'aiutorio divino.

So che mi parbe che voi diceste, quando fui dprima della vostra santità, ch'egli era bisogno d'avere uno principe che fusse buono capo: altrimenti non vedavate lo modo. Ecco lo capo, padre santo: lo duca d'Angiò vuole, per l'amore di Cristo e riverenzia della santa croce, con amoroso e santo desiderio pigliare questa fatica, la quale, per amore ch'egli ha del santo passagio, li pare legiera; dolcissima li parrà, pure che voi, Santissimo babbo mio, vogliate atendare a farlo. Oimé, dolce Dio amore, non indugiate più a mandare in effetto lo vostro desiderio e dolce volontà! Sapiate sapiate tenere i doni e tesori di Cristo, i quali egli vi manda inanzi ora, mentre che avete lo tempo.

Pare che la divina Bontha tre cose vi richiega: dell'una ne ringrazio Dio e la santità vostra, ch'egli ha fermato e stabilito lo cuore vostro, fattovi forte contro le bataglie di coloro che vi voleano impedire, cioè de l'andare a tenere e possedere lo luogo vostro. Godo ed essulto della buona perseveranza che avete avuta, mandando ad effetto la volontà di Dio e il vostro buono desiderio.

Ora vi prego che voi siate solicito d'adempire l'altre due; poiché, pregando io lo nostro dolce Salvatore per voi, sì come mi mandaste dicendo, manifestando egli ch'io dicessi a voi che voi doveste andare, e io scusando, riputandomi indegna d'essere anunziatrice di tanto misterio, dicevo: «Signore mio, io ti prego che, se egli è la tua volontà ch'egli vada, che tu gli acresca e accenda più lo desiderio suo».

Diceva, per la sua bontà, lo nostro dolce Salvatore: «Digli sicuramente che questo ottimo segno li do che ella è mia volontà ch'egli vada: che, quanti più contrarii li verrano, e più li sarà contradetto ch'egli non vada, più si sentirà cresciare in sé una fortezza che uomo non parrà che li il possa tòllare; che è questo contro il modo suo naturale. Ora ti dico ch'io voglio ch'egli levi la croce santissima sopra l'infedeli, e levila sopra i suditi suoi, ciò sonno quelli che si pasciono e notricano nel giardino della santa Chiesa, che sonno ministratori del sangue mio. Dico che sopra costoro voglio ch'egli levi la croce, cioè in perseguitare i vizii e i difetti loro».

Divelto lo vizio, è piantata la virtù, ponendo questa croce in mano di buoni pastori e rettori della santa Chiesa. E se non ci ha dei fatti, vuole che, quelli che sonno a fare, voi miriate che sieno buoni e virtuosi, che non temano la morte del corpo loro. Non vuole Dio che si raguardi a li stati e alle grandezze e alle pompe del mondo - poiché Cristo non ha conformità con loro -, ma solo alla grandezza e richezza della virtù. A questo modo i buoni, con l'affetto della croce, perseguitaranno i vizii dei cattivi.

Pregovi, santissimo padre, per l'amore dell'Agnello dissanguato, consumato e derelitto in croce, che voi, come vicario suo, adempiate questa sua dolce volontà, facendo ciò che ne potete fare; e sarete poi scusato dinanzi da lui, e la coscienza vostra sarà scaricata. Se non faceste quello che potete, sareste molto ripreso da Dio. Spero per la sua bontà e santità vostra che voi lo farete; come avete fatto dell'una, d'averla messa in effetto, cioè dell'andata vostra, così compirete le tre, del santo passagio, e del perseguitare i vizii che si comettono nel corpo della santa Chiesa. Non dico più. Perdonate alla mia presunzione.

Misser lo duca so che verrà a voi, per ragionarvi con grande desiderio del fatto del santo passagio, come è detto. Dateli buono effetto, per l'amore di Dio: adempite lo dolce desiderio suo.

Rimanete etc. Adomandovi umilemente la vostra benedizione. Gesù dolce, Gesù amore.





239. Al santo padre Gregorio XI, quando Caterina era in Vignone.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e carissimo e dolce padre in Cristo dolce Gesù, la vostra indegna e miserabile figlia Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrive alla vostra santità nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi forte e perseverante nel santo e buono proponimento, sì e per sì-fatto modo che non sia veruno vento contrario che vi possa impedire, né demonio, né creatura.

I quali pare che vogliano venire, come dice lo nostro dolce Salvatore nel santo evangelio, nel vestimento de la pecora, parendo agnelli, ed essi sono lupi rapaci (Mt 7,15). Dice lo nostro Salvatore che noi ci doviamo guardare da costoro: parmi, dolce padre, che già comincino a venire a voi con la scrittura; e, oltre alla scrittura, v'annunzia l'avenimento suo, dicendo che giognarà alla porta quando nol saprete (Mt 24,42 Mt 24,44 Mc 13,35 Lc 12,40 Mt 25,13). Questi suona umile, dicendo: Se mi sarà aperto, io entrarò e ragioneremo insieme (Ap 3,20); questi si mette lo vestimento de l'umilità, affinché gli sia creduto. Bene è gloriosa questa virtù, con la quale la superbia se n'amantella! Costui ha fatto in questa lettera verso la vostra santità, secondo che io n'ho compreso, come fa lo demonio nell'anima, quando spesse volte, sotto colore di virtù e di compassione, gli gitta lo veleno; e spezialmente coi servi di Dio usa questa arte, poiché vede che puramente col vizio egli nol potrebbe ingannare. Così mi pare che faccia questo demonio incarnato, lo quale ha scritto a voi con colore di compassione e con fama di santità, cioè parendo che ella venga da uomo santo e giusto: ed ella viene dagli iniqui uomini consiglieri del demonio, stroppiatori del bene comune de la congregazione cristiana e reformazione de la santa Chiesa, amatori d'amore proprio, cercando i beni loro particulari.

Ma tosto, padre, ve ne potrete dichiarare se ella è venuta da quello giusto uomo o no - parmi che secondo l'onore di Dio lo doviate cercare -: quanto io non reputo, per quello che io ne possa vedere o comprendare, e non mi si rappresenta al suono de le parole sue, servo di Dio, ma fittivamente pare fatta. Ma non pare che sapesse bene l'arte colui che la fece: doveva prima ponarsi alla scuola, e pare che avesse saputo meno che uno bambolo. Vedete, santissimo padre, che egli v'ha posto inanzi quella parte che conosce più debole nell'uomo, e singularmente in coloro che sono molto teneri e compassionevoli d'amore carnale e teneri del corpo loro, perché questi tengono più cara la vita che tutti gli altri, e però ve l'ha posto per lo primo vocabolo. Ma io spero, per la bontà di Dio e la santità vostra, che questo timore non cadrà in voi: sarete pietra fondata sopra la viva pietra (1P 2,4), raguardarete più all'onore di Dio e alla salute delle vostre pecorelle che a voi medesimo, sì come lo pastore buono che deve ponere la vita per le pecorelle sue (Jn 10,11).

Parmi che questo venenoso uomo dall’una parte commenda l'avenimento vostro, dicendo che è buono e santo, e dall'altra parte dice che il veleno è apparecchiato. E parmi che vi consigli che voi mandiate uomini confidenti, che vadino inanzi a voi, e trovaranno lo veleno per le tavole - ciò pare che dica per le bottighe -, che s'apparecchia per darlo temperatamente, o per dì, o per mese, o per anno: bene gli confesso che del veleno se ne trova così a le tavole di Vignone e dell'altre città, come a quelle di Roma. E così se ne trovarà temperatamente per lo mese e per l'anno, e largamente, secondo che piacesse al compratore: in ogni luogo si trovarà. E però gli parrebbe bene fatto che voi mandaste, e sostentaste in questo mezzo l'avenimento vostro. Mostra che aspetti che in questo mezzo venga lo divino giudicio sopra questi iniqui uomini che, secondo che dice, pare che cerchino la vostra morte: ma se fusse savio, egli l'aspettarebbe prima per sé medesimo, perché egli è lo seminatore del più pessimo veleno che fusse già gran tempo seminato nella Chiesa santa, in quanto egli vuole impedire a voi quello che Dio vi richiede e che dovete fare.

E sapete in che modo si seminarebbe questo veleno? che, non andando voi ma mandando, secondo che vi consiglia lo buono uomo, suscitarebbe uno scandalo e una rebellione temporale e spirituale, trovando in voi menzogna che tenete luogo di verità: ché, avendo anunziato e determinato voi l'avenimento vostro, e trovando lo contrario, che egli non fusse, troppo sarebbe grande scandalo, turbazione ed errore nei cuori loro, sì che egli dice bene lo vero. Egli ha la profezia di Chayfas, quando disse: «Egli è necessario che uno uomo muoia, affinché il popolo non perisca» (Jn 11,50): egli non sapeva quello che si diceva, ma egli lo sapeva bene lo Spirito santo, che diceva la verità per la bocca sua; ma lo demonio non glil faceva dire per quella intenzione. Così costui vuole essere un altro Cayfas; egli profeta che, se voi mandate, trovaranno lo veleno: veramente egli è così, ché se fussero tanti i nostri peccati che voi rimaneste ed essi andassero, i vostri confidenti trovaranno che si porrà lo veleno nelle bottighe del cuore e delle bocche loro, nel modo detto. E non bastarebbe pure uno dì, ché n'andarebbe lo mese e l'anno inanzi che fusse smaltito.

Molto mi maraviglio de le parole di questo uomo, che egli commendi l'opera santa e buona e spirituale, e poi vuole che per timore corporale lassi la santa opera. Non è costume dei servi di Dio che, per veruno danno corporale o temporale, eziandio se la vita n'andasse, eglino vogliano mai abbandonare l'esercizio e opera spirituale: ché, se non avessero fatto così, neuno sarebbe giunto al termine suo, poiché la perseveranza del santo e buono desiderio, con le buone opere, è quella che è coronata, e merita gloria e non confusione.

E però vi dissi, padre reverendo, che io desideravo di vedervi fermo e stabile nel vostro buono proponimento - ché doppo questo seguitarà la pace dei vostri ribelli figli e la reformazione de la santa Chiesa -, e anco d'adempire lo desiderio dei servi di Dio, lo quale hanno di vedere rizzare lo gonfalone de la santissima croce sopra gl'infedeli. Allora potrete amministrare lo sangue dell'Agnello nei tapinelli infedeli, poiché voi sete lo celleraio di questo sangue, che ne tenete le chiavi. Oimé, padre, che io vi prego, per l'amore di Cristo Crocifisso, che tosto diate la potenza vostra, ché senza la potenza vostra non si può fare.

Non vi consiglio però, dolce padre, che voi abandoniate quelli che vi sono figli naturali, che si pascono a le mammelle della Sposa di Cristo, per gli figli bastardi che non sono anco legittimati col santo baptesmo; ma spero, per la bontà di Dio, che, andando i figli legittimi con la vostra autorità, e con la virtù divina del coltello de la parola santa, e con la virtù e forza umana, essi tornaranno alla madre de la santa Chiesa e voi gli legittimarete. Questo pare che sia onore di Dio, utile a voi, onore ed essaltazione de la dolce Sposa di Cristo, più che seguire lo semplice consiglio di questo giusto uomo, che vi pone che meglio vi sarebbe, a voi e agli altri ministri de la Chiesa di Dio, abitare fra gl'infedeli e saracini che fra la gente di Roma o di Italia.

A me piace la buona fame che egli ha de la salute degl'infedeli, ma non mi piace che voglia tòllare lo padre ai figli legittimi, e il pastore alle pecorelle riunite nell'ovile. I mi pare che voglia fare di voi come fa la madre del fanciullo quando gli vuole tòllare lo latte di bocca, che si pone l'amaro in sul petto, ché vuole che senta l'amaritudine prima che il latte, sì che per timore dell'amaro abbandoni lo sùgiare, perché il fanciullo s'inganna più con l'amaritudine che con altro. Così vuole fare a voi, ponendovi inanzi l'amaritudine del veleno e de la molta persecuzione, per ingannare la fanciullezza dell'amore tenero sensitivo, affinché per paura lassiate lo latte, lo quale latte di grazia segue doppo lo dolce avenimento vostro.

E io vi prego da parte di Cristo Crocifisso che voi non siate fanciullo timoroso, ma virile: aprite la bocca e inghiottite l'amaro per lo dolce. Non si converrebbe alla vostra santità d'abandonare lo latte per l'amaritudine. Spero, per la infinita inestimabile bontà di Dio, che, se vorrete, vi farà grazia a voi e a noi che voi sarete uomo fermo e stabile, e non vi movarete per veruno vento, né illusione di demonio, né per consiglio di demonio incarnato, ma seguitarete la volontà di Dio e il vostro buono desiderio e il consiglio dei servi di Cristo Crocifisso. Non dico più.

Conchiudo che io non credo che la lettera mandata a voi esca da quello servo di Dio nominato a voi, né che ella fusse scritta molto da la lunga, ma credo che ella venga bene di presso - servi del demonio che poco temono Dio! -: ché, in quanto io credesse che ella uscisse da lui, non lo reputarei servo di Dio, se altro non ne vedesse. Perdonate a me, padre, lo favellare troppo presuntuosamente. Umilemente v'adimando che mi perdoniate e doniate la vostra benedizione.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Prego la infinita sua bontà che mi dia grazia che tosto per lo suo onore vi vegga mettere lo piè fuore dell'uscio, con pace riposo e quiete de l'anima e del corpo. Pregovi, dolce padre, che quando piacesse alla vostra santità, mi diate audienzia, poiché mi vorrei trovare dinanzi a voi prima che io mi partisse: lo tempo è breve, sì che, dove piacesse a voi, vorrei che fusse tosto. Gesù dolce, Gesù.





240. A monna Lapa sua madre, prima che tornasse da Vignone.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, la vostra indegna e miserabile figlia Caterina vi conforta nel prezioso sangue del Figlio di Dio. Con desiderio ho desiderato di vedervi madre vera, non solamente del corpo ma de l'anima mia, considerando me ch'esendo voi amatrice più dell'anima che del corpo, morrà in voi ogni disordenata tenerezza, e non vi sarà tanta fatica lo partire della presenza mia corporale; ma vi sarà più tosto consolazione, e vorrete per onore di Dio portare ogni fatica di me, considerando che si facci l'onore di Dio. Facendo l'onore di Dio, non è senza acrescimento di grazia e di virtù ne l'anima mia: sì ch'è bene vero ch'esendo voi, dolcissima madre, amatrice più de l'anima che del corpo, sarete consolata e non sconsolata.

Io voglio che impariate da quella dolce madre Maria, che per onore di Dio e salute nostra ci donò il Figlio, morto in sul legno della santissima croce. E rimanendo Maria sola, poi che Cristo fu salito in cielo, rimase coi discepoli santi: e poniamo che Maria i discepoli avessero grande consolazione e il partire fusse sconsolazione, nondimeno, per gloria e lode del Figlio suo e per bene di tutto l'universo mondo, ella consentì; e vuole ch'eglino si partano. E più tosto elege la fatica del partire loro che la consolazione de lo stare, solo per l'amore ch'ella aveva a l'onore di Dio e a la salute nostra. Ora da lei voglio che impariate, carissima madre.

Voi sapete che a me conviene seguire la volontà di Dio; e io so che voi volete ch'io la seguiti: sua volontà fu ch'io mi partissi, la quale partita non è stata senza misterio, né senza frutto di grande utilità.

Sua volontà è stata ch'io sia stata, e non per volontà d'uomo, e chi dicesse il contrario, è lo falso e non è la verità. E così mi converrà andare, seguitando le vestigie sue in quel modo e a quel tempo che piacerà alla sua inestimabile bontà.

Voi, come buona e dolce madre, dovete esser contenta e non sconsolata, portare ogni fatica per onore di Dio e salute vostra e mia. Ricordomi che per li beni temporali voi lo faciavate, quando i vostri figli si partivano da voi per acquistare la richezza temporale; ora, per acquistare vita eterna, vi pare di tanta fatica che dite che v'andarete a dilequiare se tosto io non vi rispondo. Tutto questo v'adiviene perché voi amate più quella parte ch'io ho tratta da voi, che quella ch'io ho tratta da Dio, cioè la carne vostra, de la quale mi vestiste. Levate levate un poco lo cuore e l'affetto vostro in quella dolce e santissima croce, dove viene meno ogni fatica; vogliate portare un poco di pena finita per fugire la pena infinita, che meritiamo per li nostri peccati. Or vi confortate per amore di Cristo crocifisso, e non crediate d'essere abandonata né da Dio né da me, anco sarete consolata e ricevarete piena consolazione; e non è tanta stata la pena, quanto sarà maggiore lo diletto. Tosto ne verremo, per la grazia di Dio; e non saremo ora a venire, se non fusse lo 'mpedimento che abiamo avuto della infermità grave di Neri, e anco lo maestro Giovanni e frate Bartolomeo sono stati infermi etc. Altro non dico. Racomandateci etc.

Rimanete etc. Gesù dolce etc.







241. A monna Giovanna di Curado, quando io Stefano ero con Caterina a Vignone.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fare una abitazione nella cella del conoscimento di voi medesima, affinché potiate venire a perfetto amore; considerando me che colui che non ama lo suo Creatore non può piacere a lui: perché egli è esso amore (1Jn 4,8-16), non vuole altro che amore.

Questo amore trova l'anima che conosce sé medesima, poiché, vedendo sé non essere - ma l'essere suo avere per grazia e non per debito, e ogni grazia ch'è fondata sopra l'essere, e dato ci è con inestimabile amore -, allora trova in sé tanta bontà di Dio versare che la lingua non è suficiente a dirlo, e poi che si vede tanto amare da Dio, non può fare che non ami. Ama in sé la ragione e Dio, e odia la sensualità, che disordenatamente si vuole dilettare del mondo: o ella si diletta dello stato, o ricchezze, o di piacere alle creature più che al Creatore, fondandosi in su i pareri, diletti e piaceri del mondo; o alcune volte son di quelli che amano i figli, e chi lo sposo, e chi la madre o padre, disordenatamente d'amore troppo sensitivo: lo quale amore è un mezzo, tra l'anima e Dio, che non lassa ben conosciare la verità del vero e superno amore.

E però disse la prima dolce Verità: «Chi non abandona lo padre e la madre, sorella e fratelli, e sé medesimo, non è degno di me» (Lc 14,26 Mt 10,37). Ben se ne avedevano e avegano i veri servi di Dio, che subito spogliano lo cuore e l'affetto e l'anima loro del mondo e delle pompe e delizie sue, e d'ogni creatura fuori di Dio: non ch'eglino non amino la creatura, ma amanla solamente per Dio, in quanto sono creature amate smisuratamente dal Creatore. Ma come essi odiano la parte sensitiva, che ribella a Dio in loro, così l'odiano nel prossimo che vegono che offende la somma eterna bontà.

Così voglio che facciate voi, carissima madre in Cristo dolce Gesù: che voi amiate la bontà di Dio in voi, e la sua smisurata carità, la quale trovarete nella cella del conoscimento di voi medesima. In questa cella trovarete Dio, ché come Dio tiene in sé ogni cosa che participa essere, così in voi trovarete la memoria, la quale tiene ed è atta a tenere lo tesoro dei beneficii di Dio; trovatevi lo 'ntendimento, lo quale ci fa partecipare la sapienza del Figlio di Dio, intendendo e conoscendo la sua volontà, che non vuole altro che la nostra santificazione. Vedendo questo, l'anima non si può dolere né conturbare di nessuna cosa che venga, conoscendo che ogni cosa è fatta con providenzia di Dio e con grandissimo amore. Con questo conoscimento voglio, e vi prego per amore dello dissanguato Agnello, che medichiate l'ascaro e la malagevolezza che avete sentita per la partita di Stefano. Godete ed essultate, ché non sarà senza accrescimento di grazia nell'anima sua e nella vostra: e per la grazia di Dio tosto lo vedrete.

Anco dico che, nel conoscimento di voi, voi trovarete la clemenza dolce dello Spirito santo, che è quella parte che non dona - né è altro - che amore, e ciò ch'egli fa e aduopara, aduopara per amore. Questo affetto trovarete nell'anima vostra; poiché la volontà non è altro che amore, ogni suo affetto e movimento non si muove per altro che per amore: ama e odia quello che l'occhio del conoscimento ha veduto e inteso. Orbene è vero dunque, carissima madre, che dentro nella cella dell'anima voi trovarete tutto Dio, lo quale dà tanta dolcezza, refrigerio e consolazione che per nessuna cosa che avenga si può turbare, però ch'ell'è fatta capace della volontà di Dio, poiché ha gitato fuori di sé ogni amore proprio, e tutte quelle cose che son fuori della volontà di Dio.

Dirittamente l'anima allora diventa un giardino pieno di fiori odoriferi di santo desiderio; e nel mezzo v'è piantato l'albore della santissima croce, dove si riposa l'Agnello immacolato, lo quale diriga sangue, bagna e alaga questo glorioso giardino, e tiene in sé i frutti maturi delle vere e reali virtù. Se volete pazienza, ine è fondata mansuetudine, in tanto che non è udito lo grido dell'Agnello per nessuna mormorazione; umilità profonda, vedendo Dio umiliato all'uomo, e il Verbo umiliato all'obrobiosa morte della croce; se carità, egli è essa carità: anco più, ché la forza dell'amore e della carità l'ha tenuto confitto e chiavellato in croce. Non erano suficienti i chiodi e la croce a tenere Dio e Uomo, se la forza della carità non l'avesse tenuto.

Non mi maraviglio se quella che ha fatto di sé giardino per conoscimento di sé, ella è forte contro tutto quanto lo mondo; però ch'ell'è conformata e fatta una cosa con la somma fortezza. Veramente ella comincia a gustare la caparra di vita eterna in questa vita; ella signoreggia il mondo, poiché se ne fa beffe.

I demoni temono d'aprossimarsi all'anima che arde nella divina carità. Orsù, carissima madre, non voglio che dormiate più in negligenzia né nell'amore sensitivo; ma con uno ardentissimo e smisurato amore vi levate su, bagnandovi nel sangue di Cristo, e nascondendovi nelle piaghe di Cristo crocifisso.

Non dico più. Sono certa, se starete in cella, come detto è, non trovarete altro che Cristo crocifisso. E così dite a Curado che facci questo medesimo.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore, Maria.

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19/10/2012 17:09

242. A misser Agnolo vescovo di Firenze, quando si partì da Firenze per osservare lo 'nterdetto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e reverendo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uomo virile e non timoroso, affinché virilmente serviate alla dolce Sposa di Cristo adoperando per onore di Dio spiritualmente, secondo che nel tempo d'oggi questa dolce sposa ha bisogno. Sono certa che, se l'occhio dello intelletto vostro si levarà a vedere la sua necessità, voi lo farete sollecitamente, e senza veruno timore o negligenzia.

L'anima che teme di timore servile, nessuna sua opera è perfetta; e in qualunque stato si sia, nelle piccole cose e nelle grandi viene meno, e non conduce quello che ha cominciato alla sua perfezione. O quanto è pericoloso questo timore! egli taglia le braccia del santo desiderio; egli acceca l'uomo, che non gli lassa conoscere né vedere la verità, perché questo timore procede dalla cecità dell'amore proprio di sé medesimo: ché subito che la creatura che ha in sé ragione s'ama d'amor proprio sensitivo, subito teme. E questa è la cagione per che teme, perché ha posto l'amore e la speranza sua in cosa debole, che non ha in sé fermezza né stabilità veruna, anco passa come lo vento.

O perversità d'amore, quanto sei dannoso ai signori temporali e spirituali e ai sudditi! Se egli è prelato, egli non corregge mai, perché teme di non perdere la prelazione e di non dispiacere ai sudditi suoi. Così medesimamente lo suddito: perché umilità non è in colui che s'ama di così-fatto amore, anco è una radicata superbia, e il superbo non è mai obbediente. Se egli è signore, non tiene giustizia, anco commette inique e false giustizie, facendole secondo lo piacere suo, o secondo lo piacere delle creature. E così, per lo non correggere e non tenere giustizia, i sudditi ne diventano più gattivi, perché si notricano nei vizii e nelle malizie loro.

Poiché è tanto pericoloso l'amore proprio e il disordinato timore, è da fugirlo, e da uprire l'occhio dello intelletto nello obbietto dello immacolato Agnello, lo quale è regola e dottrina nostra; e lui doviamo seguire, perciò che egli è esso amore e verità, e non cercò altro che l'onore del Padre e la salute nostra.

Egli non temeva i Giuderi né persecuzione loro, né la malizia deli demoni, né infamia né scherni né villania; e nell'ultimo non temé l'obrobriosa morte della croce. Noi siamo gli scolari che siamo posti a questa dolce e soave scola: voglio dunque, carissimo e dolcissimo padre, che con grandissima sollecitudine e dolce prudenzia upriate l'occhio dello intelletto in questo libro della vita, che vi dà sì dolce e suave dottrina; e non attendiate a veruna altra cosa che all'onore di Dio e alla salute delle anime, e al servigio della dolce Sposa di Cristo. Con questo lume vi spogliarete dell'amore proprio di voi, e sarete vestito d'un amore divino; cercarete Dio per la sua infinita bontà, che è degno d'essere cercato e amato da noi.

Amarete voi e le virtù, e odiarete lo vizio per Dio; e di questo medesimo amore amarete lo prossimo vostro.

Vedete bene che la divina bontà v'ha posto nel corpo mistico della santa Chiesa, notricandovi al petto di questa dolce sposa, solo perché voi mangiate alla mensa della santissima croce lo cibo dell'onore di Dio e della salute delle anime. E non vuole che sia mangiato altro che in croce, portando le fatiche corporali con molti ansietati desiderii, sì come fece lo Figlio di Dio, che insiememente sosteneva i tormenti nel corpo e la pena del desiderio, e maggiore era la croce del desiderio che non era la croce corporale. Lo desiderio suo era questo, la fame della nostra redenzione per compire l'obbedienzia del Padre eterno: erali pena fino che non lo vedeva compito. E anco, come Sapienza del Padre eterno, vedeva coloro che participavano lo sangue suo, e coloro che non lo participavano per le colpe loro. Lo sangue era dato a tutti, e però si doleva per la ignoranza di coloro che non lo volevano participare. Questo fu quello cruciato desiderio che egli portò dal principio fino alla fine.

Data che egli ebbe la vita, non terminò però lo desiderio, ma sì la croce del desiderio. E così dovete fare voi e ogni creatura che ha in sé ragione: dare la fatica del corpo e la fatica del desiderio, dolendovi dell'offesa di Dio, e dannazione di tante anime quante vediamo che periscono. Parmi che sia tempo, carissimo padre, di dare l'onore a Dio e la fatica al prossimo. Non è da vedere più sé con amore proprio sensitivo, né con timore servile; ma con vero amore e santo timore di Dio adoperare. E se bisogna dare la vita per l'onore di Dio, si debba dare, non tanto che la substantia temporale. Spero per la infinita bontà di Dio che, essendo voi uomo virile, voi lo farete, e perseverarete in quello che voi avete incominciato, cioè d'essere figlio fedele della santa Chiesa; e, essercitandovi in virtù, giognarete alla grande perfezione.

Ho avuta grande allegrezza della buona perseveranza e constanzia che avete avuta. Pregovi che fino alla morte non volliate lo capo indietro, facendo come uomo virtuoso e fiore odorifero, che dovete essere, nel corpo mistico della santa Chiesa, considerando me che se non quegli che sono virili in virtù, non sono constanti. Dissi ch'io desideravo di vedervi uomo virile e non timoroso, affinché meglio potiate adempire la volontà di Dio e il desiderio mio nella salute vostra.

Accompagnatevi con l'umile e immacolato Agnello, e trovarrete lo re nostro, venuto a noi nella stalla, umile e mansueto. Vergognarassi allora la propria sensualità di levare lo capo per impazienzia, vedendo Dio tanto umiliato, lo quale, per fare noi grandi, è fatto picciolo; e insegnaci, la prima dolce Verità, a diventare grandi. Con che? Con la bassezza della vera umilità, e però disse che noi imparassimo da lui a essere umili e mansueti di cuore (Mt 11,29). Orsù, carissimo padre, destianci dal sonno della negligenzia, e virilmente corriamo, seguitando la dottrina della Verità. Altro non dico etc.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.



243. A l'arcivescovo di Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Reverendo e carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi pastore buono con acceso e ardito desiderio, sì e per sì-fatto modo che vi disponiate a ponere la vita per le pecorelle vostre (Jn 10,11), imparando dalla prima dolce verità Cristo Gesù, che per l'onore del Padre e salute nostra corse all'obbrobriosa morte della santissima croce.

Voi, padre carissimo, seguitate le vestigie sue per correggere i vizii e piantare le virtù nell'anime dei sudditi vostri, non curando né pene né obbrobrii né scherni né villanie né fame né sete, né veruna persecuzione che il mondo overo lo demonio ci potesse dare; ma virilmente, con affamato desiderio, correggete i sudditi vostri. Tenete, tenete l'occhio sopra di loro - fate almeno la vostra possibilità -, e non fate vista di non vedere, ché non si vuole fare così, anco si vuole vedere i difetti nostri e i difetti del prossimo nostro, non per mormorazione, né per falso giudicio: ma per una santa e vera compassione, con pianto e sospiri, portarli dinanzi a Dio, dolendoci dell'offesa che gli è fatta, e della dannazione di quella anima. Questo debba fare ogni creatura che ha in sé ragione verso del suo prossimo, ma molto maggiormente lo dovete fare voi e gli altri prelati della santa Chiesa; e èvi richiesto, e dovetelo fare raguardando i sudditi vostri per compassione e per punizione: ché gli avete a punire e riprendere secondo che trovate le colpe.

Oimé, non tardate più ché, per lo non correggere, le virtù e la vita della grazia sono morte nell'anima; i vizii e l'amore proprio vive, e il mondo perisce. Egli giace continovamente infermo a morte poiché, essendo l'uomo piagato di diverse piaghe e infermità, i medici d'esse infermità - ciò sono i prelati - usano tanti unguenti che già è imputridito. Non pure unguento, per amore di Dio: usate un poco la cottura, incendendo e cocendo lo vizio per santa e vera giustizia, sempre condita con la misericordia. E quella sarà la grande misericordia, in punire e reprendere i defetti loro; ché maggiore crudeltà non può usare chi governa lo 'nfermo che darli le cose contrarie. Oh, per l'amore di Cristo crocifisso, non dormite più; destatevi per fuoco d'amore e d'odio e pentimento dell'offesa di Dio. Almeno fate la vostra possibilità, e, fatto lo potere, sete scusato dinanzi da Dio. E so bene che tutto non potete vedere, ma mettete le spie dei servi di Dio, che v'aitino a vedere, poiché fino a la morte si die fare ciò che si può per amore del Salvatore nostro: non ci sia timore né amore servile, ché, se ci fusse, starebbe l'anima a grande pericolo e in dubbio della salute sua.

Convienvi Perciò fare ragione d'avere perduta la vita del corpo, e metterla per uscita. E facendo così mostrarete d'essere amatore e seguitatore di Cristo crocifisso: voi, pastore, avarete imparata la regola e dottrina del pastore buono, che ha posta la vita per noi. E però io dissi che io desideravo di vedervi pastore buono, perché altra via né modo non ci vego per la salute vostra e loro. Sopra questa materia non dico più, se non che voi sotto l'ale de la vera umilità, odio e pentimento del peccato, e dell'ardentissima carità gli nascondiate, pascendo l'anime dei doni e grazie spirituali, e il corpo del cibo corporale; notricando i poverelli secondo la necessità loro. Voi sapete che voi sete padre: Perciò, sì come padre, notricate i vostri figli.

Ho inteso, secondo che mi scrisse lo priore di santa Caterina, che voi avete fatta novità alle vestite di santa Caterina dell'abito di santo Dominico; e volete che elle tengano lo 'nterdetto, dicendo che il privilegio che hanno non lo' vale. E io vi dico che lo' vale, poiché io mostrai la copia - quando io fui a Vignone - al santo padre, e accettollo; anco, per quello ebbi io lo privilegio ch'egli mi dé: sì che io vi prego, per l'amore di Gesù Cristo crocifisso, che voi non lo' diate questa sconsolazione. Attendete a quelle cose che dovete fare, che è di dovere; e di quello, per l'amore di Dio, non vi vogliate gravare. Credetemi, carissimo padre, che se fusse altrementi io non ve ne pregarei, perché io non vorrei che d'uno minimo atto voi trapassaste l'obbedienzia imposta a voi dal santo padre, ma io sarei con voi insieme a stroppiarlo. Pregovi che mi facciate questa grazia e misericordia; io non vi dimando né dimandarò mai cosa che sia fuore del dovere.

Non dico più.

Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, affinché il fuoco de l'amore, che trovarete nel sangue, consumi ogni freddezza e disolva ogni durezza del cuore e dell'anima vostra.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





244. A maestro Francesco del maestro Bartolomeo medico da Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spregiatore della colpa del peccato mortale, poiché in altro modo non potreste avere la divina grazia ne l'anima vostra.

Ma questa non vedo che potiate avere, né voi né altri, se l'uomo non ha lume, col quale lume possa vedere e conoscere la gravezza del peccato e il bene della virtù. Poiché la cosa che non si conosce, non si può amare, cioè quella che è degna d'amore, né odiare quella che è degna d'odio; e conoscere non si può senza lo lume. Ècci dunque necessario lo lume; lo quale lume aviamo nell'occhio dell'intelletto con la pupilla della santissima fede, quando la nuvola dell'amore proprio non l'ha offuscato. E se l'amore proprio ci fusse, lo doviamo levare via, a ciò che non sia impedito lo nostro vedere, ma con l'amore santo cacciare l'amore perverso della propria sensualità, lo quale amore proprio consuma e priva della divina grazia dell'anima e corrompe ogni sua opera.

Sì come lo gattivo arbolo, che tutti i frutti suoi sono corrotti, così sono quelli dell’uomo che sta nell'amore sensitivo, unde ha tratto la gravezza del peccato mortale. E però ogni sua opera è corrotta; e àlli tolta la luce, e data le tenebre per sì-fatto modo che non conosce né discerne la verità. Anco, ha guasto lo gusto e l'appetito dell'anima, unde le cose buone gli paiono gattive, e le gattive gli paiono buone: le virtù vere spregia, l'amore di Dio e la carità del prossimo fugge, e tutto lo suo diletto piglia nelle delizie e diletti del mondo; se egli ama lo prossimo, non l'ama per Dio, ma per propria utilità.

Ma colui che in verità è privato dell'amore sensitivo, ama lo suo Creatore sopra ogni cosa, e il prossimo come sé medesimo. Lo quale amore non può avere che prima, col lume dell'intelletto, non conosca sé medesimo non essere, e l'essere suo riconosca da Dio, e ogni grazia che è posta sopra l'essere. Allora, quando così dolcemente conosce sé ed lo difetto suo, e la bontà di Dio, odia lo suo difetto, e il proprio amore che n'è cagione, e ama la virtù; e per amore della virtù - la quale egli ama per amore del suo Creatore - si dispone a sostenere ogni pena prima che offendere Dio e contaminare la virtù; e tutte le sue opere sono dirizzate secondo Dio, e spirituali e temporali.

E in ogni stato che egli è, ama e teme lo suo Creatore: se egli ha le ricchezze e lo stato del mondo, e figli e parenti e amici, egli possede ogni cosa come cosa prestata, e non come cosa sua; e usale con modo, e non senza modo. Se egli è nello stato del matrimonio, sì vi sta ordenatamente, sì come a sacramento, avendo in reverenzia i dì che sono comandati dalla santa Chiesa. Se egli ha a conversare con le creature e a servirle, egli le serve coraggiosamente, non col cuore finto, ma libero, avendo rispetto solamente a Dio.

Egli ordina le facoltà dell'anima sua, e tutti i sentimenti del corpo: e la memoria ordena a ritenere i beneficii di Dio; e l’intelletto a intendere la sua volontà, la quale non vuole altro che la nostra santificazione; e la volontà dispone ad amare lo suo Creatore sopra ogni altra cosa. Ordenate che sono le facoltà dell'anima, sono ordenati tutti i sentimenti del corpo. E così vi prego, carissimo fratello, che facciate voi: ordenate la vita vostra, aprite l'occhio dell'intelletto a conoscere la gravezza della colpa, e la larghezza della bontà di Dio. Facendo così, in ogni stato che voi sarete sarete piacevole a Dio, e sarete arbolo fruttifero e produciarete frutti di vita, cioè di vere e sante virtù; e in questa vita cominciarete a gustare la caparra di vita eterna.

Ma considerando me che in neuno modo la pace, la quiete e la grazia possiamo ricevere senza lo cognoscimento, col lume della santissima fede - nel quale lume cognosciamo noi medesimi, e la gravezza del peccato mortale, e la bontà di Dio, e il tesoro delle virtù -, però vi dissi che io desideravo di vedervi spregiatore della colpa del peccato mortale; e così vi prego che facciate. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





245. A frate Gasparre da Genova del Terzo Ordine di santo Francesco, il quale, avendo grande amore spiritualmente ad una serva di Dio e conversando molto con lei, n'era venuto in molte pene e battaglie di mente per illusione del demonio.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero combattitore, sì come cavaliere virile, con lume e con lo scudo della santissima fede riparare ai colpi; e con esso lume conosciare quale è quella cosa che fortifica i nemici e quale gl'indebilisce, affinché abracciate lo rimedio che gli fa debili, e fugiate la cagione che gli fortifica.

Quale è la cagione che gli fortifica? è la propria volontà, fondata in amore proprio di sé medesimo. Questo amore indebilisce la volontà e falla vòllare come foglia al vento: ciò che l'amore sensitivo ama, la volontà vi corre, consentendo volontariamente al piacere di quella cosa che ama. Nella quale volontà sta la colpa; e non nei movimenti che desse l'amore sensitivo in volere amare quelle cose che sonno fuori della volontà di Dio e della ragione, se non in quanto la volontà consenta. E però la volontà, che segue l'amore proprio di sé, fortifica i nemici e sé indebilisce, come detto è.

Quale è quella cosa che fortifica l'anima, e indebilisce i nimici? I la volontà nostra vestita, per affetto d'amore, della dolce volontà di Dio; la quale volontà è di tanta fortezza che né demonio né creatura la può indebilire se essa medesima non vuole. E perché è ella forte? Perché volontariamente s'è unita in Dio, che è somma ed eterna fortezza: ella è ferma e stabile perché lo Dio nostro, in cui ella fa mansione, è immutabile, unde ella non si muove altro che in lui. E unde acquista l'anima questa fortezza? Dalla dottrina del dolce e amoroso Verbo, riguardandola col lume della santissima fede; nella quale dottrina, e nel sangue suo, conobbe che la volontà di Dio non cerca né vuole altro che la nostra santificazione, e però se ne inamorò, e vestissene, anegando la volontà sua in quella di Dio.

Questa volontà fa l'anima prudente: che non è idiota, né senza lume, ma con sapienza e grande discrezione ordina la vita sua, stando sempre attento di fugire quelle cose che gli abbiano a tòllare Dio. E perché vede che l'amore sensitivo glili tolle, però odia la propria sensualità e ama la ragione, unde con lume di ragione fa ogni suo fatto. Ama lo suo Creatore senza mezzo e senza misura, e non tanto ch'egli vi voglia mettare in mezzo le cose create o le creature, ma egli non ci vuole per mezzo sé medesimo, cioè la propria perversa volontà; e com'egli rinunzia a sé così rifiuta le creature e tutte le cose create: cioè, che non l'ama fuori della volontà di Dio, ma bene l'ama per Dio.

Unde l'amore suo è ordinato: che s'egli ama la creatura, l'ama per amore del Creatore, con modo e non senza modo, con misura e non senza misura. E con quale misura? Con quella della carità di Dio; non tolle altra misura perché ne rimarebbe ingannato, sì come fanno molte persone imperfette che si lassano pigliare al demonio con l'amo dell'amore: cominciando a misurare con la carità di Dio - cioè d'amare le creature per lui -, poi escono di questa diritta misura e cagiono nella misura della propria sensualità. E vedrassi lo cieco che con l'amo della divozione ha perduto Dio e l'orazione santa, della quale s'aveva fatta madre; vedesi gittare a terra l'armi con le quali si difendeva, indebilita la volontà e fortificati i suoi nemici; e trovasi nell'ultima ruina. Già ha conceputa la morte: non ha se non a partorire; e non si sente né fugge quella creatura come veleno, ma segue e va dietro al veleno.

L'avelenate cogitazioni e movimenti non possiamo noi tenere che non vengano, perché la carne è pronta ad combattere contro lo spirito; e il demonio non dorme mai, anco insegna a noi negligenti essere soliciti a la vigilia. Ma bene può lo libero arbitrio legare la volontà ch'ella non consenta, né volontariamente li riceva in casa sua, e può fugire che attualmente non si voglia ritrovare in quello luogo; ma per la sua cecità pare che voglia aspettare che si vega cadere uno angiolo di cielo, e andarne nel profondo dell’inferno. Oh maladetta divozione, quanto sei uscita della misura tua! Oh sotile lamo, tu entri queto come lo ladro che fura, poi ti fai dimestico della casa; e poi che hai abaccinato l'occhio dello intelletto, ti fai manifesto: e non sei veduto, ma bene si sente la puzza tua.

O carissimo e dolcissimo fratello in Cristo dolce Gesù, tolliamo la mano dell'odio con contrizione di cuore e pentimento della colpa, e con essa mano traiamo la brusca dell'occhio, sicché rimanga chiaro affinché conosciamo questo falso nemico. Fugasi la volontà, che non consenta alle cogitazioni del cuore; e ritragasi lo corpo, che in tutto si levi dal luogo e dalla presenza della creatura. Oimé, oimé, atachianci a l'alboro della croce e riguardiamo l'Agnello dissanguato per noi, e ine racquistiamo lo fuoco del santo desiderio, e con esso desiderio ritroviamo la madre nostra della santissima e umile orazione fedele e continova; altrimenti sarebbe madre senza latte, e non notricarebbe i figli delle virtù nell'anima con la dolcezza sua.

Subito che aremo ritrovata questa madre riaremo la misura della carità di Dio, con la quale ci conviene misurare l'affetto e l'amore che avesseamo alla creatura che in sé ha ragione. Saremo fatti facciorti: tolta sarà da noi ogni debolezza, e saremo virili, perché sarà spento in noi lo piacere feminile che fa lo cuore pusilanime; privati saremo delle tenebre e andaremo per la luce, seguitando la dottrina di Cristo crocifisso. Tutti facciortificati con lo scudo della santissima fede, staremo nel campo della battaglia, non rifiutando labore, né mai voltaremo lo capo adietro, ma con longa perseveranza, senza alcuno timore servile, con timore santo: vedendo i nostri nemici debili, e noi fatti facciorti della somma fortezza. E nella perseveranza vedremo la corona della gloria aparechiata non a chi solamente comincia, ma a chi persevera fino al fine. E però, essendosi l'anima vestita di fortezza è perseverante, altrimenti no. Per la qual cosa vi dissi ch'io desideravo di vedervi vero combattitore, affinché meglio potiate compire la volontà di Dio e il desiderio mio, e sovvenire alla vostra necessità.

Ponetevi lo sangue di Cristo dinanzi all'occhio dello intelletto vostro, sicché vi faccia inanimare alla battaglia: in questo glorioso sangue s'aneghi la volontà, affinché muoia, e, come morta, non consenta alle malizie del demonio né delle creature, né alla fragile carne. E fugite lo luogo, se voi avete cara la vita dell'anima vostra; fatto questo, non curate le battaglie né molestie del demonio, e non ne venite a confusione di mente, ma portate con pazienza la pena, e con pentimento la colpa che seguirebbe a consentire volontariamente e attualmente mandarla in effetto. Non siate negligente, ma solicito; disponete lo gusto a sentire l'odore delle virtù e della vera e santa povertà per amore del povaro e umile Agnello. Poi che avete messo mano a l'arato non voltate lo capo adietro a mirarlo. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Fugite nella cella del conoscimento di voi, dove trovarete la larghezza della bontà e carità di Dio, che v'ha campato dall’inferno. Gesù dolce, Gesù amore.





246. Al priore di Cervaia presso a Genova.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo padre - per reverenzia di quello dolcissimo sagramento -, e figlio dico, per santo e vero desiderio (lo quale desiderio parturisce l'anima vostra nel conspetto di Dio per santissima orazione, sì come la madre parturisce lo figlio): io Caterina, misera miserabile serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, vi conforto e racomandomivi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi lo cuore e l'affetto consumato nel consumato ardentissimo suo amore, lo quale amore consumò arse e destrusse tutte le nostre iniquità in sul legno della santissima e venerabile croce.

E non finì né finisce mai questo dolce fuoco, ché, se finisse l'affetto suo in noi, verremmo meno, poiché finirebbe quello che ci dié l'essere: ché solo lo fuoco dell'amore lo mosse a trare noi di sé. Anco, pare che provedesse la inestimabile carità di Dio alla fragilità e miseria dell'uomo, che sempre è atto e inchinevole a offendare lo suo Creatore: però Dio providde a conservarli la medicina contro la sua infermità. La medicina contro le infermità nostre non è altro che esso fuoco d'amore - lo quale amore non è mai spento da te! -. Questo riceve l'anima per medicina quando raguarda in sé piantato lo gonfalone de la santissima croce, poiché noi fummo quella pietra dove fu fitta e tenne questa croce, poiché né chiovo né legno era sufficente a tenere questo dolce Agnello immacolato, se l'amore e l'affetto non l'avesse tenuto. Quando l'anima raguarda in sé avere tanto dolce e cara medicina non die cadere in negligenzia, ma debbasi levare con l'affetto e col desiderio suo, e distendare le mani con uno odio e pentimento di sé medesimo, e fare come fa l'infermo, che odia la infermità e ama la medicina che gli è data per lo medico.

O figlio e padre in Cristo Gesù, levianci col fuoco dell'ardentissimo amore, con odio e profonda umilità, conoscendo noi non essere, ponendo le infermità nostre dinanzi dal medico Cristo Gesù: distendasi la mano nostra a ricevare l'amare medicine che sono date a noi. Queste sono l'amaritudini che spesse volte l'uomo riceve - cioè molte tenebre e tentazioni e confusione di mente, o altre tribolazioni che venissero di fuore -, le quali molto ci paiono allora amare; ma, se faremo come lo savio infermo saranno a noi di grandissima dolcezza: cioè che noi raguardiamo all'affetto del dolce Gesù che ce le dà, vedendo che nol fa per odio ma per singulare amore, poiché non può volere altro che la nostra santificazione.

Veduta la sua bontà, e noi vediamo la nostra necessità: grande necessità è a noi averle, ché senza esse cadremmo in ruina; ma elle ci fanno cognosciare noi medesimi, lèvanci dal sonno de la negligenzia e tòllonci la ignoranza, poiché n'ha fatto bomicare l'atto de la superbia. Per questo nasce una giustizia con una santa e dolce pazienza in volere sostenere ogni pena e tormento; e reputasi indegno de la pace e quiete de la mente: questo fa l'anima inamorata di Dio che ha conceputo in sé perfettissimo odio. Aperto l'occhio dello intendimento, e raguardato in sé la inestimabile bontà e carità di Dio, a costui le pene gli paiono tanto dolci e soavi che non pare che d'altro si possa dilettare: sempre pensa in che modo egli possa sostenere pena, per amore dello Dio suo.

A questo vuole e desidera l'anima mia di vedervi andare, sì che, se Dio ci conduce e concede grazia d'affaticarci e dare la vita per lui, se bisognarà, sia fornita la navicella dell'anima nostra di sangue e del fuoco de la divina carità, cercandolo e acquistandolo nel modo detto di sopra. Altro non dico.

Abbiate l'occhio sopra i sudditi vostri, e mai non si serri per nessuna cosa.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù Gesù.





247. A monna Giovanna, donna di Corrado di Leoncino da Siena, quando io Stefano con essa Caterina tornamo da Vignone.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi, carissima sorella e figlia in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vestita del vestimento nuziale (Mt 22,11), considerando me che senza questo vestimento l'anima non può piacere al suo Creatore, né ritrovarsi alle nozze della vita durabile (Mt 22,2).

Voglio dunque che siate vestita, e, affinché meglio vi potiate vestire, voglio che vi spogliate d'ogni amore proprio e sensitivo che aveste a voi o ai vostri figli o a veruna cosa creata, fuore di Dio; non dovete amare né voi né veruna altra cosa fuore di Dio, poiché è impossibile che l'uomo serva a due signori - poiché se egli serve all'uno, egli è in contempto all'altro (Mt 6,24 Lc 16,13) -: neuno è che possa servire a Dio e al mondo, poiché non hanno nessuna conformità insieme. Lo mondo cerca onore, stato, ricchezza, figli in grande stato, gentilezza, piacere e diletto sensitivo: radicati e fondati nella perversa superbia; ma Dio cerca e vuole tutto lo contrario: egli vuole povertà volontaria, umiliazione di cuore (Mt 11,29), dispregiamento di sé e d'ogni diletto e piacimento del mondo. E non vuole l'onore proprio, ma l'onore di Dio e la salute del prossimo suo, e cerca solo in che modo si possa vestire del fuoco dell'ardentissima carità, con l'adornamento de le dolci e reali virtù, con vera e santa pazienza, e che altri non sia vendicativo per veruna ingiuria che gli sia fatta dal prossimo suo. Ma con pazienza tutto porta (1Co 13,7), e cerca solo di fare vendetta di sé, perché si vede avere offeso la prima dolce Verità. E ciò che ama, ama in Dio; e fuore di Dio non ama nulla.

E se voi mi diceste: «In che modo debbo amare?», io vi rispondo ch'i figli e ogni altra cosa si debbono amare per amore di Colui che gli ha creati, e non per amore di sé né dei figli, e non offendare mai Dio per loro né per veruna altra cosa; e ciò non amare per rispetto d'alcuna utilità né come cosa vostra, ma come cosa prestata a voi: poiché ciò che ci è dato in questa vita ci è dato per uso e in prestanza, e tanto ci è lassato quanto piace alla divina bontà che ce l'ha dato. Dovete Perciò ogni cosa usare come dispensatrice di Cristo Crocifisso, sì della sustanzia temporale - quanto è possibile a voi di poterlo fare ai povarelli che stanno in persona di Dio -, e sì dovete dispensare dei figli vostri, cioè di notricarli e allevarli sempre col timore di Dio, e volere prima che essi muoiano che ellino offendano lo loro Creatore.

Fate fate sacrifizio di voi e di loro a Dio. E se voi vedete che Dio gli chiami, non fate resistenza alla dolce sua volontà, ma, se eglino con l'una mano, e voi - come vera e buona madre e amatrice della salute loro - con le due: non volendo voi scegliere gli stati a vostro modo - poiché sarebbe segno che voi gli amaste fuore di Dio -, ma, secondo lo stato che Dio gli chiama, a quello siate contenta. Ché spesse volte dice la madre che ama i suoi figli nella perversità del mondo: «A me piace bene ch'i miei figli servano a Dio, ed eglino lo possono così servire al mondo come in altro stato». Ma alle semplici madri spesse volte adiviene, volendoli pur annegare nel mondo, che esse non gli hanno poi né a Dio né al mondo. E giusta cosa è che esse ne sieno private spiritualmente e corporalmente, poi che tanta superbia e ignoranza regna in loro facendo così e volendo ponare legge e regola allo Spirito santo che gli chiama. Costoro non gli amano in Dio né per Dio, ma con amore proprio sensitivo fuore di Dio, ché amano più i corpi che l'anime loro.

Già mai, dilettissima sorella e figlia in Cristo dolce Gesù, si potrebbe vestire di Cristo Crocifisso (Rm 13,14) chi, prima, di questo non fusse spogliato. Spero, per la bontà di Dio, che questo non toccarà a voi, ma, come vera e buona madre, darete voi e loro a onore e gloria del nome di Dio, e così sarete vestita del vestimento nuziale. Ma a ciò che meglio vi potiate vestire voglio che leviate lo desiderio e l'affetto vostro dal mondo e da ogni sua cosa, e che apriate l'occhio dell'intelletto a cognosciare l'amore che Dio v'ha, ché per amore v'ha dato lo Verbo dell'unigenito suo Figlio, e il Figlio v'ha data la vita con tanto fuoco d'amore, e ha dissanguato lo corpo suo, facendoci bagno del sangue. Ignoranti miserabili a noi, che non cognosciamo né amiamo tanto beneficio! Ma tutto questo è perché l'occhio è serrato, ché, se fusse aperto e avessesi posto per obiettivo Cristo Crocifisso, non sarebbe ignorante né ingrato a tanta grazia. E però vi dico che sempre apriate questo occhio: fermatelo e stabilitelo nel consumato e dissanguato Agnello, affinché ignoranza non caggia mai in voi. Or su, figlia dolcissima, non tardiamo più: ricovariamo lo tempo perduto, con vero e perfetto amore, sì che in questa vita, vestendoci per grazia del vestimento detto, noi godiamo ed essultiamo nelle nozze della vita durabile, voi insieme con lo sposo i figli vostri.

E confortatevi dolcemente in Cristo dolce Gesù, e siate paziente e non vi conturbate perché io abbi tenuto troppo Stefano, poiché io n'ho presa buona sicurezza, perché per amore e affetto sono fatta una cosa con voi, e però ho preso delle cose vostre come cosa mia. Credo che non l'abbiate avuto troppo per male. Io per voi e per lui infine alla morte voglio adoperare ciò che io potrò. Voi, madre, l'avete parturito una volta, e io lui e voi e tutta la vostra famiglia voglio parturire in lacrime e in sudore, per continue orazioni e desiderio de la salute vostra. Altro non dico.



Racomandatemi a Corrado e benedite tutta l'altra fameglia, e singularmente la mia pianta novella, che di nuovo s'è cominciata a piantare nel giardino della santa Chiesa. Fate che vi sia racomandato e che voi me il notrichiate in virtù, sì che gitti odore fra gli altri fiori. Dio vi riempia della sua dolcissima grazia.

Rimanete sempre nella santa e dolce carità sua. Gesù dolce, Gesù.

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19/10/2012 17:13

248. A Bartalo Usimbardi e monna Orsa sua donna, e a Francesco di Pipino sarto e a monna Agnesa sua donna, da Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli e figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi arsi e consumati nel fuoco de la divina carità, lo quale è quello fuoco che, ardendo, non consuma (Ex 3,2) ma fa ingrassare l'anima, e uniscela e transformala in sé, fuoco d'amore divino.

Quando l'anima raguarda sé avere l'essere da Dio solo per amore, e raguardarà che per amore Dio l'ha concedute tutte le grazie e li doni che sono fondati sopra l'essere; e poi anco vedrà che per amore Dio eterno ha donato a noi lo Verbo del Figlio suo, perché pagasse per noi lo debito al quale eravamo obligati, e traesseci de la oscura pregione e servitudine del demonio, de la quale non poteva l'uomo per sé uscire. Ed esso Verbo divino, diventando uomo mortale, intrò al campo de la battaglia per noi; e sconfiggendo lo demonio ruppe la oscura pregione e trasseci de la misera servitù, ne la quale tanto tempo era stata tutta l'umana generazione; e con la croce aperse a noi la porta di vita eterna. E tutto questo ha fatto per amore.

Avendoci dunque mostrata la via e aperta la porta, rimane solo da noi se non caminiamo per essa: poiché possiamo andare francamente e con grande confidenzia sotto questo gonfalone glorioso de la croce, poiché i nemici sono sconfitti, e spaventansi per esso; e il dolce Dio nostro con grandissimo amore ci aspetta e c'invita che andiamo a godere lui, sommo ed eterno bene. O amore inestimabile, o carità immensa, o fuoco di divina carità! Quale sarà quello cuore che, vedendosi amare con tanto fuoco d'amore, che non si dissolva per amore, e che non si transformi tutto in lui? Troppo è duro, e drittamente cuore più duro che il diamante, chi non si scalda a tanto fuoco.

Voglio Perciò, carissime figlie mie, monna Orsa e monna Agnesa, che voi vi destiate dal sonno de la negligenzia, e che vi leviate a vedere con l'occhio dell'intelletto tanto fuoco d'amore; e il simile dico a voi, figlio mio Francesco. E vedutolo, sarete constretti d'amare; amando, vi sarà leggiero lo portare ogni grande fatto per Dio, e subito si stendarà sopra lo prossimo vostro, che è quella cosa che è più amata da Dio: e così adempirete lo comandamento dell'amore di Dio e del prossimo. Altro, per la brevità del tempo, non dico per ora, se non che voi vi confortiate in Cristo Crocifisso; e bagnatevi nel sangue suo.

E queste donne, Lisa e Alessa e l'altre, vi confortano e vi si racomandano. Benedite i figli vostri e confortate Bartolo; e voi Francesco e monna Agnesa benedite Bastiano.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





249. A Francesco sarto predetto.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figlio e figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi veri perregrini.

Ogni creatura che ha in sé ragione è perregrino in questa vita, poiché non è qui lo nostro fine, ma lo termine dove doviamo andare, e per mezzo del quale noi fummo creati, è vita eterna. E però voglio che caminiamo, ché la via è fatta - cioè la dottrina di Cristo Crocifisso -, per la quale chi va, non va in tenebre, ma giogne a perfettissima luce. Convienci Perciò avere la condizione del perregrino, lo quale, per diletto che trovasse, né per malagevolezza di camino, non si volta a tornare indietro, né si pone a ristare tra via, ma con perseveranza camina infine a tanto che giogne al termine suo.

Or così, carissimi figli, conviene fare a noi: noi siamo entrati in questo camino de la dottrina del dolce e amoroso Verbo, per giognere al Padre eterno; e trovianci li mali passi e malagevoli delle ingiurie e scherni de le creature, e de le battaglie de le demonia. E non ci conviene però ponere a sedere, né voltare lo capo adietro per impazienzia, ma virilmente col lume de la fede trapassare tutto, e con vera umilità chinare lo capo a la dolce voluntà di Dio, che per nostra utilità ci permette questi oscuri passi a ciò che avesse più di che remunerarci, poiché, come dice il glorioso Paulo, «Beato è colui che sostiene la tentazione, poiché, quando sarà provato, riceverà la corona de la vita» (Jc 1,12). E in un altro luogo dice: «Non sarà coronato se non chi legittimamente avrà combattuto» (2Tm 2,5).

Rallegratevi Perciò, quando vi vedete ricevere le molte molestie da le demonia, o da le creature, poiché essi vi fabricano la corona; e con vera perseveranza caminate per la strada de la verità. E così i molti diletti, onori e piaceri, che il mondo ci mostrasse, o promettesse, o la nostra fragile carne desiderasse, anco non vi facci ponere a riposare per diletto, ma, come veri perregrini, fate vista di non vedere, seguitando lo vostro viaggio con fortezza, infine a la morte, affinché giogniate al termine vostro. Or così vi prego che facciate per l'amore di Gesù Cristo. Non dico più qui.

Più e più dì sono passati che io scrissi una lettera a Bartalo, ne la quale l'avisai come io v'avevo accattata la indulgenzia di colpa e di pena, a voi due, e a lui e a monna Orsa, e a molti altri di costà; dei quali tutti si farà uno privilegio insieme, per meno impaccio, e mandarello lo più tosto che si potrà: sì che rallegratevi in Cristo, figli, e ingegnatevi d'essere grati e conoscenti al vostro Creatore. Pregovi che le lettere che io vi mando con questa siano bene date. E dite a monna Gostanzia che io gli hoe accattata la indulgenzia a lei e a (...).

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Tutta questa fameglia vi confortano. Gesù dolce, Gesù amore.





250. All'abbate di santo Antimo.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con vero e dolcissimo lume, lo quale lume è necessario all'anima: cioè d'aprire l'occhio dell'intelletto a vedere e raguardare e giudicare la somma eterna volontà di Dio in noi.

Questo è quello dolce vedere che fa l'uomo prudente e non ignorante; fallo cauto e non leggiermente giudicare la volontà degli uomini, come spesse volte fanno i servi di Dio con colore di virtù e con zelo d'amore. Esso lume fa l'uomo virtuoso e non timoroso; e con debita reverenzia giudica la volontà di Dio in sé, cioè che quello che Dio permette - o persecuzione o consolazione, o dagli uomini o dal demonio - tutto vede che è fatto per nostra santificazione: godesi de la smisurata carità di Dio, sperando ne la providenzia sua che provede in ogni nostra necessità. Ogni cosa dà con misura, e se cresce la misura, cresce la fortezza. Questo vede l'anima e conosce quando, illuminato l'occhio dell'intelletto suo, ha cognosciuta la volontà di Dio, e però n'è fatto amatore.

Dico che questo lume non giudica la volontà dei servi di Dio, né di veruna altra creatura, ma giudica e ha in reverenzia che lo Spirito santo gli guidi; e però non piglia ardire di mormorazione che essi siano guidati dagli uomini, ma solo da Dio. Bene che potremmo dire: è veruno servo di Dio che sia tanto illuminato che un altro non possa vedere più di lui? No, anco è di necessità - per manifestare la magnificenzia di Dio, e per usare l'ordine de la carità - che l'uno servo di Dio con l'altro usino e participino insieme lo lume e le grazie i doni che ricevono da Dio; e perché si vegga che lo lume e la magnificenzia de la prima dolce Verità si manifesti infinita, come ella è, e non finita; e perché noi ci aumiliamo a conoscere lo lume e la grazia di Dio nei servi suoi, i quali egli pone come fonti: e chi tiene una acqua, e chi ne tiene un'altra. I quali sono posti in questa vita per dare vita a essi medesimi, e per consolazione e refrigerio degli altri servi di Dio che hanno sete di bere di queste acque, cioè di molti doni e grazie che Dio pone nei servi suoi: e così soviene a la nostra necessità.

Sì che egli è vero che non è veruno che sia tanto illuminato che spesse volte non abbi bisogno del lume altrui; ma colui che è veramente illuminato di questa dolce volontà di Dio dà lume con lume di fede, non giudicando con mormorazione e scandalo di colui che egli vuole consigliare, ma per sì-fatto modo che sta e rimane senza pena. Se egli s'attiene al consiglio suo, godene; se egli non vi s'attiene, giudica dolcemente che non è senza misterio e senza necessità, e con providenzia e volontà di Dio, e però rimane in pace e in quiete e senza pena, perché è vestito di questa volontà. Non si affanna di parole, participando con altrui i suoi pareri, anco s'ingegna d'annegarli e di mortificarli nel parere dolce di Dio, offerendoli ogni dubio e timore che egli avesse. Liberamente offera sé, e il dubio che ha del prossimo suo, dinanzi a Dio. Or con questa dolce prudenzia vanno e stanno coloro che sono alluminati di questo vero lume: in questa vita gustano vita eterna.

Lo contrario è di coloro che sono ignoranti: poniamo che servano a Dio, pur s'hanno serbato ancora dei loro giudicii e dei loro pareri, colorati di virtù e di zelo d'amore. E per questo cadiamo spesse volte in grandi defetti e in molti scandali e mormorazioni, e però c'è bisogno lo lume vero e schietto. Ma non so che si possa bene avere se non si perde la nuvola e le tenebre di noi, che il nostro parere non sia fermo, ma dia a terra. Oh lume glorioso! O anima abnegata, perduta sei nel lume, ché non vedi te per te, ma vedi solamente lo lume in te; e in quello lume vedi e giudichi lo prossimo tuo. Così vedi e ami e hai in reverenzia lo prossimo tuo nel lume, e non nel tuo parere, né nel falso giudicio dato per amore. Bene è da aprire e speculare con l'occhio dell'intelletto nostro, con la perduta e abnegata volontà; così, col lume dell'amore e reverenzia de la volontà di Dio, e di quella dei suoi servi, acquistaremo lo lume e giugnaremo a la perfetta e vera purezza. Non saremo scandalizzati nei servi di Dio, poiché non saremo fatti giudici, ma saremo consolati in loro; e de lo stare e dell'andare e d'ogni loro opera godaremo, avendo giudicato e veduto la volontà di Dio in loro.

Orsù, carissimo padre e figlio, ponianci al petto de la divina carità, e ine gustiamo questo dolce e soave latte lo quale ci farà venire a la perfezione dei santi, e seguire le vestigie e la regola dell'Agnello.

Perdaremo lo timore e mettarenci fra le spine e fra' triboli; non schifaremo labore; dorrenci dell'offesa dei mormoratori e de lo scandalo degli uomini, portaregli con grande compassione dinanzi a Dio. E noi seguitaremo le opere sante, cominciate per onore di Dio e per salute delle anime, e finiremo ne la sua dolce volontà. Sopra questa materia io non dico più, se non che noi ci anneghiamo nel sangue di Cristo Crocifisso senza veruno timore, vi dico, sapendo che se Dio è per noi, neuno sarà che sia contro a noi.

Sopra quella parte che mi mandaste dicendo d'andare in quello luogo solitario a vostra consolazione, non mi pare che sia da lasciare la famiglia così sciolta, essendo tutte piante novelle come elle sonno: se già ne venissero altri inconvenienti attuali per li quali poteste vedere veramente che questo fusse lo meglio, ma solo per timore, non vedendo altro, non mi pare che sia da fare. Metianci a portare ogni pena e ogni fatica per Cristo crocifisso e per la salute de le vostre pecorelle. Io vi dico quello che mi pare per ora, fatene quello nondimeno che lo Spirito santo ve ne 'maestra: sono certa che ve ne 'spirarà di fare quello che sarà suo onore.

La mia venuta non so quando ella potrà essere. Non posso sapere quanto io mi starò: spacciarommi lo più tosto che si potrà, sempre compiendo in me, nell'andare e ne lo stare, la dolce volontà di Dio, e non quella degli uomini. Fovi sapere, a voi e agli altri che tante pene e cogitazioni vi lassate cadere nel cuore, che io non sto né mi vo affaticando, con le molte infirmitadi, a diletto, se non quanto io sono costretta da Dio per lo suo onore e per la salute delle anime: se del bene i cuori infermi ne vogliono pigliare male, io non ne posso fare altro. Non debbo io però vollermi indietro, e lasciare stare l'arare, ché così parrebbe che noi arassimo a petizione degli uomini: verrebbe la zizania e affogarebbe lo grano. Altro non dico.

Racomandatemi etc.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





251. A monna Agnesa donna di Francesco sarto da Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio de vederti vestita de la vera e reale virtù, poiché senza la virtù non possiamo piacere a Dio. Ma queste virtù non le puoi trovare altrui che nell'affetto de la carità - e l'affetto de la carità si trova nel dolce e amoroso Verbo -: le quali virtù si nutreno in su l'albero de la santissima croce.

Tu dunque, come vera figlia, attaccati a questa albero a ricogliare di questi frutti, e a questo modo t'inebriarai e vestirai de le vere e reali virtù. Bagnati nel sangue di Cristo Crocifisso, e nascondeti nel costato suo; e ine fa una dolce abitazione, per uno cognoscimento di te, e con uno cognoscimento de la larghezza de la sua bontà. Ine concepe un amore a l'onore suo e a la salute delle anime, offerendo dolci e amorosi desiderii dinanzi da Dio per loro. Altro non ti dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.

Conforta monna Ginevra e Magdalena e tutte l'altre figlie. Gesù dolce, Gesù amore.





252. Al padre santo papa Gregorio XI, essendo egli a Corneto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e reverendissimo padre in Cristo dolce Gesù, la vostra indegna e miserabile figlia Caterina vi si racomanda nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedere lo cuore vostro fermo, stabile e fortificato in vera e santa pazienza, considerando me che il cuore debole, volubile e senza pazienza non potrebe venire a fare i grandi fatti di Dio.

Ogni creatura ragionevole, se vuole servire a Dio ed essere vestita delle virtù, le conviene avere questa costanzia, fortezza e pazienza; altrimenti non arebe mai Dio ne l'anima. Che se l'uomo si vollesse a le prosperità per disordinato diletto, dilizie o piacimento di sé e del mondo; o alle ingiurie e tribulazioni si vollesse per impazienzia, e lassasse l'affetto delle virtù - le quali virtù ha conceputo nell'anima per santo desiderio e vuole acquistare -, esso deba bene vedere che la virtù non s'acquista né diventa perfetta senza lo suo contrario. Unde diviene che se egli schifa lo contrario, segue che fugge la virtù, con la quale virtù deba contrastare e abattare lo vizio ch'è contrario a la virtù: con l'umiltà cacciare la superbia; le ricchezze e dilizie e stati del mondo con la volontaria povertà; la pace cacci e sconfiggia la guerra de l'anima sua e del prossimo suo; la pazienza vinca la impazienzia, per amore dell'onore di Dio e della virtù; per odio e pentimento di sé portare fortemente con pazienza li strazii, ingiurie, scherni e villanie, pene di corpo e danni temporali. Così deba fare - e costante, fermo, stabile e paziente -; altrimenti non sarebbe servo di Cristo, ma diventarebbe servo e schiavo della propria sensualità, la quale sensualità li tolle questa costanzia e fallo pusillanimo, con picolo e debole cuore. Ma non deba fare così; anco, si deba ponare per oggetto la prima dolce Verità, che col sostenere, portando e sostenendo i difetti nostri, ci richiede la vita.

O padre santissimo, dolcissimo babbo mio, uprite l'occhio de lo intelletto, e con intelligenzia vedete: s'ell'è tanto necessaria la virtù a ogni uomo - a ciascuno per sé medesimo per la salute dell'anima sua -, quanto magiormente in voi - che avete a notricare e governare lo corpo mistico della santa Chiesa sposa vostra - bisogna questa costanzia, fortezza e pazienza! Sapete che come voi intraste, pianta novella, nel giardino della santa Chiesa, voi vi doveste disponare con virtù a resistare al demonio, a la carne e al mondo, che sonno tre nemici principali, i quali ci contastano di dì e di notte, che mai non dormono. Spero nella divina bontà, che a parte di questi nemici v'ha fatto resistere, e farà in tutto sì ch'egli avrà di voi quel fine per mezzo del quale vi creò, cioè perché rendeste gloria e laude al nome suo, e perché godeste la bontà sua ricevendo l'eterna sua visione, ne la quale sta la nostra beatitudine.

Ora sete vicario di Cristo il quale avete preso a travagliare e combattare per l'onore di Dio, per la salute delle anime e riformazione della santa Chiesa: le quali cose sonno a voi travagli e pene, in particulare a voi agionte oltre alle bataglie comuni che date sonno a ogni anima che vuole servire a Dio, come detto è. E perché è maggiore lo peso vostro, però bisogna più ardito e virile cuore, e non timoroso per nessuna cosa che avenire potesse. Ché voi sapete bene, santissimo padre, che, come voi pigliaste per sposa la santa Chiesa, così pigliaste a travagliare per lei, aspettando i molti venti contrarii di molte pene e tribulazioni, che si faceano incontra a combatare con voi per lei. E voi, come uomo virile, fatevi incontra a questi venti pericolosi con una fortezza, pazienza e longa perseveranza, non vollendo mai lo capo adietro per pena né sbigotimento né timore servile, ma perseverante, ralegrandovi nelle tempeste e bataglie.

Ralegrisi lo cuore vostro: ché nei molti contrarii, che sonno avenuti e avengono, si fanno bene i fatti di Dio; e per altro modo non si fecero mai. Così vediamo che il fine della persecuzione della Chiesa, e d'ogni tribulazione che riceve l'anima virtuosa, è la pace acquistata con vera pazienza e perseveranza: essa n'esce coronata di corona di gloria. Questo è Perciò il rimedio, e però dissi, santissimo padre, ch'io desiderava di vedervi lo cuore fermo e stabile, fortificato in vera e santa pazienza.

Voglio che siate uno albore d'amore inestato nel Verbo amore, Cristo crocifisso, lo quale albore, per onore di Dio e salute delle pecorelle vostre, tenga la radice nella profonda umilità. Se voi sarete albore d'amore, radicato così dolcemente, trovarete in voi, albore d'amore, nella cima lo frutto della pazienza e fortezza, e nel mezzo la perseveranza coronata; e trovarete nelle pene pace e quiete e consolazione, vedendovi conformare in pena con Cristo crocifisso; e così, nel sostenere con Cristo crocifisso, con gaudio verrete dalla molta guerra a la molta pace.

Pace pace, santissimo padre! Piaccia alla santità vostra di ricevare i vostri figli che hanno offeso voi, padre. La benignità vostra vinca la loro malizia e superbia. Non vi sarà vergogna d'inchinarvi per placare lo cattivo figlio, ma vi sarà grandissimo onore e utilità nel conspetto di Dio e degl'uomini del mondo.

Oimé, babbo, non più guerra per qualunque modo - conservando la vostra coscienza - si può avere la pace: la guerra si mandi sopra l'infedeli, dove deba andare. Seguitate la mansuetudine e pazienza de l'Agnello immacolato Cristo dolce Gesù, la cui vece tenete. Confidomi () che, di questo e de l'altre cose, adoperarà tanto in voi che n'adempirà lo disiderio vostro e mio - che altro desiderio in questa vita io non ho -, cioè di vedere l'onore di Dio, la pace vostra e la riformazione della santa Chiesa; e di vedere la vita della grazia in ogni creatura ragionevole. Confortatevi che la disposizione di qua, sicondo che m'è dato a intendare, è pure di volervi per padre, e spezialmente questa città tapinella - la quale è sempre stata figlia della Santità vostra -, la quale, costretta dalla necessità, l'è convenuto fare di quelle cose che le sonno spiaciute: pare a loro che il bisogno lo' l'abi fatto fare. Voi medesimo li scusate alla vostra Santità, sì che con l'amo dello amore voi li pigliate.

Pregovi, per l'amore di Cristo crocifisso, che, più tosto che potete, n'andiate al luogo vostro dei gloriosi Petro e Pavolo. E sempre dalla parte vostra cercate d'andare sicuramente; e Dio dalla parte sua vi provedarà di tutte quelle cose che saranno necessarie a voi e al bene della Sposa vostra. Altro non dico.

Perdonate a la mia presunzione. Confortatevi e confidatevi nei veri servi di Dio, cioè nelle loro orazioni loro, che molto orano e pregano per voi. Domandovi, io e gli altri vostri figli, umilemente la vostra benedizione.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.



253. A missere Trincia dei Trinci da Foligno, e a Corrado suo fratello.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio de vedervi veri servi di Cristo Crocifisso, e legati nel legame dolce della carità.

Lo quale legame legò Dio nell’uomo, e l'uomo in Dio; che per sì-fatto modo è perfetta questa unione, che né per morte né per alcuna altra cosa si poté separare. O dolce e vero legame, grande è la forza tua, in tanto che tenesti confitto e chiavellato Dio e Uomo in su lo legno della santissima croce, poiché né chiovo né altro ferro era sufficiente a tenerlo, se l'amore de l'onore del Padre e della salute nostra non l'avesse tenuto. Sì forte fu, carissimi fratelli, questo amore, e sì perseverante, che né dimonia né altre creature lo potero allentare che quest'amore non perseverasse. Le creature non l'allentaro né allentano per le ingiurie che gli erano fatte, e che noi gli facciamo, né per ingratitudine loro né nostra; né i demoni, ché, molestando noi, non lo impediscono che egli non ami. Né abandonò l'obedienzia del Padre eterno, ma perseverò infine alla morte della croce. Questo dolce e amoroso Verbo, unigenito Figlio di Dio, con molta perseveranza e pazienza ci manifesta la volontà e verità dolce del Padre eterno suo. La volontà sua è la nostra santificazione, questa è la verità; e per questo fine ci creò Dio, perché fussimo santificati in lui a gloria e a loda del nome suo, e a ciò che noi godessimo e gustassimo l'eterna sua visione.

O dolcissimi e carissimi fratelli, io voglio che raguardiate l'abondanzia e l'abisso della sua carità, poiché, perché l'uomo era acecato e diventato ignorante per la colpa sua - non conosceva questa verità e dolce volontà di Dio -, però si volse umiliare a l'uomo. Oh miserabile superbia! Bene si debba vergognare l'anima d'insuperbire, dove Dio è umiliato e àcci donato lo Verbo velato e vestito della nostra umanità. Or chi può agiognere solo alla considerazione di vedere l'altezza di Dio discesa a tanta bassezza: legatosi nell’uomo, e l'uomo in Dio? Aprite, aprite l'occhio dell'intelletto, e vedrete quella abondanzia del sangue del Figlio di Dio, poiché l'apritura del corpo suo ci ha fatto manifesto che Dio ci ama inestimabilemente, e non vuole altro che lo nostro bene, poiché, se egli avesse voluto altro, non ci avrebbe dato sì-fatto ricompratore.

Oh inestimabile dolcissima carità! La caverna del corpo tuo è aperta per lo calore del fuoco dell'amore della nostra salute. Tu, Dio eterno, sei fatto visibile, e datoci lo visibile prezzo, a ciò che la bassezza dell'intelletto nostro non abbi scusa di non potersi levare: poiché tu sei fatto basso, e insiememente la bassezza è unita con l'altezza. Così dunque per forza d'amore si levi l’intelletto e l'affetto dell’uomo, conoscendo in te la bassezza de la tua umilità, e a conoscere l'altezza e l'eccellenza della carità, deità eterna. Così dicesti tu, dolce e amoroso Verbo: «Se io sarò levato in alto, ogni cosa tirarò a me (Jn 12,32). Quasi volesse dire questa dolce verità eterna: «Se io sarò abbassato alla umiliazione» dell'obrobiosa morte della croce, io trarrò i cuori vostri all'altezza della divinità e carità increata». Poiché, tratto lo cuore dell’uomo, si può dire che sia tratto tutto l'affetto e le facoltà dell'anima, con tutti gli essercizii spirituali e temporali; e anco perché ogni cosa creata è fatta in servizio dell’uomo: tratto dunque l'uomo, è tratto tutto. E però disse: «Se io sarò levato in alto, ogni cosa tirarò a me». Bene è dunque da aprire l'occhio dell'intelletto, e raguardare l'affetto del suo Creatore.

Voglio dunque che pensiate, carissimi fratelli, che, quando l'occhio dell'intelletto è offuscato con l'amore proprio sensitivo, non può conoscere questa verità, poiché come l'occhio infermo, pieno di terra e di carne, non può vedere la luce del sole, così l'occhio dell'anima non può vedere, se è ricoperto di terra di disordenato amore e affetto del mondo - cioè di queste cose transitorie, che passano come lo vento -, o se è ricoperto d'affetto carnale, non vivendo onestamente, ma disonestamente s'involle nel loto della miseria della carnalità; la quale miseria fa diventare l'uomo animale bruto, e tollegli lo lume e il cognoscimento.

Questi cotali non possono conoscere questa verità, anco sono fatti amatori della bugia; e seguitano le vestigie del padre loro, cioè lo demonio, che è padre delle bugie.

Voglio dunque che leviate l'occhio dell'intelletto e l'amore da queste cose transitorie, e da ogni vizio carnale, e purifichiate l'anima vostra col mezzo della santa confessione. Non dico poiché lassiate lo stato vostro più che lo Spirito santo ve ne 'spiri; ma voglio che il teniate col santo timore di Dio, virilmente stando come uomini virtuosi e non come animali; tenendo con giustizia e con benignità i sudditi vostri. E lo stato del santo matrimonio, tenerlo; e non vogliate contaminarlo, cioè romparlo per neuno appetito disordenato, ma rifrenare i sentimenti vostri con la memoria del sangue di Cristo, e dell'unione della natura divina unita con la natura umana. Vergognarassi allora la miserabile carne nostra di venire a tanta miseria, e sentirà l'odore della purezza, avendo questa santa considerazione; e con reverenzia e timore di Dio starà nel santo matrimonio. E avesseate in reverenzia i dì che sono comandati dalla santa Chiesa.

Facendo così, sarete arbori fruttiferi, e il frutto che escirà di voi sarà buono, e rendarà gloria e loda al nome di Dio; e sarete innestati nell'arbolo della vita, Cristo dolce Gesù, lo quale vi legarà in quello legame forte dell'amore che il tenne confitto e chiavellato in croce. E così voi participarete questa fortezza, essendo legati con Dio e col prossimo con questo dolce legame, in tanto che non sarà demonio né creatura che ve ne possa trare che voi non siate forti e perseveranti infine alla morte. Né per ingratitudine delli uomini cui voi serviste - i quali fussero ingrati verso di voi -, né per diverse e molte cogitazioni che lo demonio vi mettesse nel cuore - d'odio e di molti dispiacimenti del prossimo vostro -, non allentarà però l'amore, né vi torrà la fortezza, essendo uniti e legati nel legame della carità, come detto è, anco sarete veri servi di Cristo Crocifisso nello stato vostro. In altro modo non potreste participare la vita della grazia, e però dissi che io desideravo di vedervi veri servi di Cristo Crocifisso, e legati nel legame dolce della carità.

Spero nella bontà di Dio che adempirete la volontà sua e il desiderio mio, e questo sarà per la sua bontà, e per lo servizio che fate alla dolce Sposa sua; perché egli è lo Dio nostro grato e conoscente a coloro che lo servono. Molto gli sono grati tutti i servizii che gli facciamo, ma tra gli altri che gli sia molto grato è quello che si fa in servizio della santa Chiesa, in qualunque modo e in qualunque stato noi le serviamo. I vero che quanto più l'uomo le serve con schietto cuore e senza alcuno rispetto, tanto egli è più piacevole (non di meno ognuno gli è piacevole, ed è misurato secondo la misura dell'amore), e come egli remunera lo servizio, così punisce l'offesa; e come egli è più remunerato, così è più punito colui che offende. Questo perché è? Perché serve lo sangue di Cristo, e diserve lo sangue di Cristo: e però segue più remunerazione, e più punizione.

Dunque, dolcissimi fratelli in Cristo dolce Gesù, siatemi servi fedeli a Cristo Crocifisso e alla sposa dolce sua; e così gustarete e cognosciarete la volontà eterna di Dio, la quale non vuole altro che la nostra santificazione, e, come detto è, ce l'ha mostrata con la bassezza della nostra umanità, e col sangue dolce sparto per noi con tanto fuoco d'amore. Lavatevi per fede e speranza nel sangue di Cristo Crocifisso; e con questa dottrina notricate la fameglia vostra. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





254. A Petro di missere Giacomo Attagusi dei Tolomei.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dilettissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi amatore e servitore di Cristo Crocifisso, poiché in altro modo non possiamo piacere a Dio.

E questo doviamo fare per debito, poiché ogni creatura che ha in sé ragione, è tenuta e obligata d'amarlo: poiché da Dio non aviamo ricevuto altro che servizio, diletto e piacere. E àcci amati senza essere amato da noi, poiché, non essendo, ci creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26); e, perdendo la grazia per lo peccato e disobbedienza di Adam, ci donò lo Verbo dell'unigenito suo Figlio solo per amore, non perché da noi avesse ricevuto servizio, ma offesa. E per l'offesa eravamo caduti in guerra con Dio; ed esso Dio, offeso da noi, ci donò lo Verbo del Figlio suo, e fecelo nostro mezzo e mediatore, facendo pace della grande guerra col prezioso sangue dell'Agnello. Dunque l'obedienzia sua ha sconfitta la disobbedienza di Adam; e come per la disobbedienza contraemmo tutti peccato, così per l'obedienzia del Figlio di Dio aviamo tutti contratto la grazia.

Ed è infinita la grazia che noi riceviamo per mezzo di questo Verbo, poiché tanto quanto l'uomo offende, ed egli ritorna al sangue di Cristo con dolore e amaritudine della colpa sua, tanto riceve misericordia, essendoci ministrato lo sangue con la santa confessione. Poiché, bomicando lo fracidume delle nostre iniquitadi per la bocca, cioè confessandoci bene e diligentemente al sacerdote, egli allora assolvendoci ci dona lo sangue di Cristo; e nel sangue si lava la lebbra dei peccati e dei difetti che sono in noi. Tutto questo dono ci ha dato Dio per amore, e non per alcuno debito; dunque bene siamo tenuti d'amare, e doviamo amarlo, se noi non vogliamo l'eterna dannazione.

Ma attendete a una cosa: che chi farà contro a questo sangue, o terrà con coloro che perseguitano lo sangue - cioè che con ingiuria, scherni e rimproverio perseguitano la Sposa di Cristo -, questi cotali già mai, se essi non si correggono, non participaranno lo frutto del sangue. E non lo' sarà scusa perché s'amantino col mantello dei difetti dei amministri del sangue, dicendo: «Noi perseguitiamo i difetti dei mali pastori»; ché siamo venuti a tanto, noi falsi cristiani, che ci pare fare sacrifizio a Dio facendo persecuzione alla Sposa sua. Ché, poniamo che i ministri sieno dimoni incarnati e pieni di molta miseria, non doviamo però noi essere manigoldi né giustizieri di Cristo, poiché essi sono gli onti suoi; e vuole che rimanga a lui a fare la giustizia di loro, o a cui egli l'ha commessa. E s'è signore temporale, o legge civile, non se ne può impacciare che non caggia nella morte dell'anima sua, perché non vuole Dio. Costui non mostra segno che egli ami lo suo Creatore, anco mostra segno d'odio. Bene è ignorante e miserabile colui che si vede tanto amare, che egli non ami; e grande è la pazienza di Dio che sostiene tanta iniquità.

Non ci scordiamo dunque da servire e amare lo nostro Creatore - perché siamo tenuti d'amarlo, come detto è -, e il servire non è vergogna, poiché lo servire a Dio non è essere servo, ma è regnare; e tanto quanto è più perfetto lo servigio, e più si sottomette a lui, tanto è più libero e fatto signore di sé medesimo, e non è signoreggiato da quella cosa che non è, cioè lo peccato. Poiché a maggiore miseria non si può recare l'uomo, che farsi servo e schiavo del peccato: poiché perde l'essere della grazia, e serve a non nulla, e diventa non nulla. Bene è dunque miserabile cosa dell’uomo cieco e stolto e senza veruno lume, che egli avilisca tanto sé medesimo per diservire lo suo Creatore, e per servire al demonio e al mondo con le sue delizie - che non ha alcuna fermezza - e alla propria sensualità; e lassa di servire la bontà infinita, che l'ama tanto inestimabilemente, e sì dolce e glorioso signore, lo quale ci ha ricomprati non d'oro né d'argento, ma del prezioso sangue dell'unigenito suo Figlio (1P 1,18-19). E non è alcuno che possa ricalcitrare a lui, poiché noi siamo venduti; e non ci possiamo più vendere né a demonio né a creature, servendo alle creature fuore di Dio.

Noi siamo bene tenuti e obligati di servire al prossimo nostro, ma non di servizio che sia contro alla volontà di Dio. O quanto è gloriosa la signoria che l'anima acquista per servire al suo Creatore! Poiché egli signoreggia tutto quanto lo mondo, e fassi beffe dei costumi e dei modi suoi; e signoreggia sé medesimo, e non è signoreggiato da l'ira né dalla immondizia né da alcuno altro vizio, ma tutti gli signoreggia con l'affetto e amore della virtù. Molti sono che signoreggiano le città e le castella, e non signoreggiano loro: ogni signoria senza questa è miserabile e non dura. E sempre la tiene imperfettamente, e con poca ragione e con meno giustizia; ma farà ragione e giustizia secondo la propria sensualità e amore proprio di sé, e secondo lo piacere e volontà delli uomini. Allora non è giustizia, ma è ingiustizia, poiché la giustizia non vuole essere contaminata con l'amore proprio, né con dono di pecunia né di lusenghe e piacere d'uomo. E colui che ama vorrà inanzi morire che offendere Dio, o in questo o in alcuna altra cosa: allora è servo fedele, ed è fatto signore di sé medesimo, signoreggiando la propria sensualità ed lo libero arbitrio con la ragione.

Perciò, poi che è di tanta dignità l'amare e servire a Dio, ed è necessario alla salute nostra - e il contrario è tanto pericoloso e di tanta miseria -, voglio e pregovi, fratello carissimo, che voi lo serviate con tutto lo cuore e con tutto l'affetto e non aspettiate lo tempo, poiché non sete sicuro d'averlo: poiché noi siamo condennati alla morte, e non sappiamo quando. E però non doviamo perdere lo tempo presente per quello che non siamo sicuri d'avere. E perché abbiamo detto che noi siamo tenuti d'amare Dio, colui che ama debba fare utilità a colui cui egli ama, e debba servirlo. E io vedo che a Dio non possiamo fare utilità, poiché pro non gli facciamo del nostro bene, né danno del nostro male.

Che doviamo dunque fare? Doviamo rendere gloria e loda al nome suo, e menare la vita nostra piena d'odore di virtù; e il frutto e la fatica dare al prossimo: cioè con nostra fatica fargli utilità; e servirlo in quelle cose che sono secondo Dio; e portare e sopportare i difetti suoi con vera carità, ordenata e non disordenata. Amore disordenato è di commettere la colpa per campare e piacere al prossimo. Non vuole essere così, anco l'ordenato amore in Dio non vuole ponere l'anima sua per campare tutto quanto lo mondo: che se fusse possibile che, per commettere uno peccato, egli mandasse ogni creatura che ha in sé ragione a vita eterna, nol debba fare. Ma bene debba ponere la vita sua corporale per l'anima del prossimo suo, e la sustanzia corporale per campare lo corpo. Or per questo modo e con questo mezzo del prossimo ci conviene amare Dio; e così mostraremo che noi l'amiamo. Così sapete che Cristo disse a santo Pietro, quando disse: «Pietro, àmimi tu?», e rispondendo Pietro, che bene sapeva se egli l'amava, compite le tre volte, disse: «Se tu mi ama, pasce le pecorelle mie» (Jn 21,15-17).Quasi dica: a questo m'avedrò che tu mi ama, non potendo fare utilità a me: se soverrai al prossimo tuo, notricandolo e dandoli la fatica tua con la santa e vera dottrina.

A noi conviene sovenirlo, secondo l'attitudine nostra, chi con la dottrina, e chi con l'orazione, e chi con la sustanzia; e chi non può con la sustanzia, sovvenire con gli amici, a ciò che noi stiamo sempre con la carità del prossimo, facendo utilità a questo mezzo che Dio ci ha posto. Unde io vi richeggio a voi per grazia e per misericordia - e così diciarò la parola di Cristo: «Petro, ami tu lo tuo Creatore e me? Or mi serve nel prossimo tuo, che ha bisogno e necessità» -, giusta al vostro potere, sempre messo inanzi l'onore di Dio, senza alcuna offesa.

Io ho inteso che Luisi della Vigna da Capua, fratello di frate Raimondo, è preso dalla gente del Prefetto, lo quale era con la gente della Regina; e ànnoli posto di taglia quattromilia fiorini, la quale cosa non è possibile a lui di fare, poiché è povaro. Prego dunque voi, e strengo in quella ardentissima carità la quale Dio ha mostrata a voi e a ogni creatura per mezzo del sangue del suo Figlio, che voi preghiate lo Prefetto per vostra parte - ché ho inteso che lo potere fare -, e per mia, che per amore di Cristo Crocifisso ci faccia questa grazia e misericordia: che egli sia lassato, e non gli sia richiesto quello che non può fare. E ditegli che questa è limosina; e faccia ragione che Dio per questo gli conservi lo tempo a correggere la vita sua, e venga a vera virtù, e a pace e a quiete dell'anima e del corpo, e spezialmente a reverenzia e aobbedienza della santa Chiesa, sì come servo e fedele cristiano. Poiché doppo questo ne gli segue la vita durabile, dove ha vita senza morte e luce senza tenebre, sazietà senza fastidio e fame senza pena. E io m'obligo a lui e a voi, di sempre - mentre che io vivarò - offrire continue orazioni, lacrime e desiderii per la salute vostra, secondo che la divina grazia mi concederà. Altro non ho che darvi. Fate quello di lui che di me medesima, per l'amore di Cristo Crocifisso e a ciò che dimostriate l'amore che voi gli avete, e per amore di me e di frate Raimondo, che è padre dell'anima mia. Racomandatemi al Prefetto, e diteli che seguiti le vestigie di Cristo Crocifisso, e annieghisi nel sangue di Cristo Crocifisso. Non dico più.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

OFFLINE
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19/10/2012 17:16

255. A papa Gregorio XI, essendo essa in Vignone.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e dolcissimo padre, la vostra indegna e miserabile figlia Caterina in Cristo dolce Gesù, vi si racomanda nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uomo virile, senza neuno timore o amore carnale proprio, di voi medesimo o di nessuna creatura congionta a voi per carne, considerando e vedendo io nel cospetto di Dio che nessuna cosa v'impedisce il santo e buono desiderio vostro - e materia d'impedire l'onore di Dio e l'essaltazione e riformazione della santa Chiesa -, quanto questo. Però desidera l'anima mia con inestimabile amore che Dio per la sua infinita misericordia vi tolga ogni passione e tiepidezza di cuore, e riformivi uno altro uomo, cioè di riformazione d'ardente e ardentissimo desiderio: ché in altro modo non potreste adempire la volontà di Dio e il desiderio dei servi suoi. Oimé oimé, babbo mio dolcissimo, perdonate alla mia presunzione, di quello ch'io v'ho detto, e a dire costretta sono dalla prima dolce Verità di dirlo.

La volontà sua, padre, è questa e così vi dimanda: egli vi dimanda che facciate giustizia dell'abondanzia delle molte iniquità che si comettono per coloro che si notricano e pasciono nel giardino della santa Chiesa, dicendo che l'animale non si debba notricare del cibo degli uomini. Poi che esso v'ha dato l'aultorità, e voi l'avete presa, dovete usare la virtù e potenza vostra; e non volendola usare, meglio sarebbe a rifiutare, e più onore di Dio e salute dell'anima vostra sarebbe.

L'altra si è che la volontà sua si è questa, e così vi domanda: egli vuole che voi vi pacifichiate con tutta la Toscana, con cui avete briga, traendo di tutti quanti i vostri iniqui figli, che hanno ribellato a voi, quello che se ne può trare, tirando quanto si può senza guerra, ma con punizione, sicondo che deve fare il padre al figlio quando ha offeso.

Anco dimanda la dolce bontà di Dio a voi che piena alturità diate a coloro che vi domandano di fare lo santo passagio; ché quella cosa che pare impossibile a voi, è possibile alla dolce bontà sua, che ha ordinato e vuole che sia così. Guardate, quanto avete caro la vita, che non ci comettiate negligenzia: né tenete a beffe le opere dello Spirito santo, che sonno dimandate a voi, che il potete fare se voi volete. Iustizia potete fare, pace potete avere, traendone fuore le perverse pompe e delizie del mondo, conservando solo l'onore di Dio e il debito della santa Chiesa; l'aultorità di darla a coloro che ve la dimandano, anco l'avete.

Perciò, poi che non sete povaro, ma ricco, che portate in mano le chiavi del cielo, - a cui voi aprite è aperto, e a cui voi serrate è serrato (Mt 16,19) -, non facendolo voi ricevareste grande riprensione da Dio.

Io, se fussi in voi, temarei che il divino giudicio non venisse sopra di me.

E però vi prego dolcissimamente, da parte di Cristo crocifisso, che voi siate obediente alla volontà di Dio; ché so che non volete né disiderate altro che di fare la sua volontà, affinché non venga sopra di voi quella dura riprensione: «Maladetto sia tu, che il tempo e la forza che ti fu comessa, tu non l’hai adoparata!» Credo, padre, per la bontà di Dio, e anco pigliando speranza della vostra santità, che voi farete sì che questo non verrà sopra di voi. Non dico più.

Perdonatemi perdonatemi: ché il grande amore ch'io ho alla vostra salute, e il grande dolore quand'io veggio lo contrario, me il fa dire. Volontieri l'arei detto alla vostra propria persona per iscaricare a pieno la mia coscienza. Quando piacerà alla vostra Santità ch'io venga, verrò volontieri. Fate sì ch'io non mi richiami a Cristo crocifisso di voi, ché ad altro non mi posso richiamare, che non c'è maggiore in terra.

Rimanete etc.

Umilemente vi domando la vostra benedizione. Gesù dolce, Gesù amore.





256. A messer frier Niccolò priore dei Frieri de la provincia di Toscana, essendo esso ito a Vinegia per dare ordine al passagio sopra gl'infedeli lo quale doveano incominciare.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi cavaliere virile, spogliato dell'amore proprio di voi medesimo e vestito dell'amore divino, perché il cavaliere che è posto per combattere in sul campo della bataglia debba essere armato dell'arme dell'amore, che è la più forte arme che sia. E non bastarebbe che l'uomo fusse armato solamente di corazze e panciere, poiché spesse volte diverrebbe che, se non avesse l'arme dell'amore e disiderio d'apetire onore, e volere la cosa per la quale egli combatte, subito che vedesse i nemici temarebbe e vollarebbe lo capo adietro.

Così vi dico che l'anima che comincia a intrare nel campo della bataglia per combattere coi vizii, col mondo, col demonio, e con la propria sensualità, se non s'arma dell'amore della virtù, e non si reca lo coltello in mano de l'odio, e della vera e santa conscienzia fondata in amore divino, già mai non combatte, ma viensi meno; e, come negligente persona che è armata della propria sensualità, si pone a giacere dormendo nei vizii e nei peccati. Questa è quella arme gloriosa che scampa l'uomo dalla morte eterna; ella gli dà lume, e tollegli le tenebre: e da stato bestiale viene a stato d'uomo. Ché colui che vive nei vizii e nei peccati e nella molta immondizia, egli prende i costumi e la forma delle bestie: ché, come la bestia non ha in sé ragione, anco va secondo l'apetiti suoi, così l'uomo che è fatto bestiale ha perduto lo lume della ragione, e lassasi guidare ai movimenti carnali e gli altri disordinati apetiti che gli vengono; e tutto lo suo diletto non è in altro che in disonestà, in bene mangiare e bere, in dilicatezze, delizie e stati e onori del mondo, i quali tutti passano come lo vento. Costui non è cavaliere vero e non è da ricevere i colpi, perché s'ha messa l'arme della morte, e posta in sé la condizione dell'animale.

Questo non voglio che tocchi a voi, ma voglio che virilmente e realmente siate uomo; e non tanto che uomo, ma crescendo in virtù - avendo combattuto già coi vizii, come detto è - veniate a stato angelico, voi e la vostra compagnia, sì come Dio v'ha chiamati, ché voi sapete che lo stato umano è lo stato del matrimonio: a stato angelico sete voi e la vostra religione, sì come gli altri religiosi, i quali ha posti nello stato della continenzia. Non sarebbe cosa convenevole, anco sarebbe spiacevole a Dio e abominevole al mondo che voi, che sete chiamati e andate alla maggiore perfezione - ché non tanto che in stato umano o in stato angelico, ma voi sete posti nello stato dei gloriosi martiri posti a dare la vita per Cristo crocifisso -, che voi fuste poi nello stato delle bestie: molto sarebbe spiacevole a mescolare grande tesauro col brutto e miserabile loto.

Orsù virilmente, senza veruno timore servile, alle due battaglie che Dio v'ha posto! La prima è battaglia generale, data a ogni creatura che ha in sé ragione: ché, come siamo in tempo da discernere lo vizio dalla virtù, così siamo atorniati da' nemici nostri, cioè dal mondo, dal demonio e dalla propria carne e perversa sensualità, che sempre combatte contro lo spirito; ma con l'amore della virtù e odio del vizio gli sconfigiarete. L'altra battaglia è in particulare data a voi per grazia, della quale ognuno non n'è fatto degno: alla quale battaglia vi conviene andare armato non solamente d'armadura corporale, ma dell'arme spirituale; ché se non aveste l'arme dell'amore de l'onore di Dio, e desiderio d'acquistare la città delle anime tapinelle infedeli, che non participano lo sangue dell'Agnello, poco frutto acquistareste coll'armi materiali.

E però io voglio, carissimo padre e figlio, che voi con tutta la vostra compagnia vi poniate per obiettivo Cristo crocifisso - cioè lo sangue prezioso dolcissimo suo, lo quale fu sparto con tanto fuoco d'amore per tollerci la morte e darci la vita -, affinché pienamente in grande perfezione venga in effetto quello per che voi andate, e riceviate lo grandissimo frutto, cioè frutto di grazia e di vita: ché dalla grazia giogniamo alla vita durabile. Imparate da questo consumato e dissanguato Agnello che in su la mensa della croce non raguardando la sua fatica né la sua amaritudine, ma con diletto del cibo de l'onore del Padre e salute nostra, si pose e mangiarlo in su la mensa dell'obrobriosa croce. E, sì come inamorato de l'onore del Padre eterno e della salute de l'umana generazione, egli sta fermo e costante, e non si muove per fatiche, né strazii, né ingiurie, né scherni, né villanie; non per nostra ingratitudine, ché si vedeva dare la vita per uomini ingrati e irriconoscenti di tanto beneficio.

Lo re nostro fa come vero cavaliere che persevera nella bataglia fino che sono sconfitti i nimici. E, preso questo cibo, con la carne sua fragellata sconfisse lo nemico della carne nostra; con la vera umilità - umiliandosi Dio a l'uomo - con la pena e obrobrio sconfisse la superbia, le delizie e stati del mondo; con la sapienza sua vinse la malizia del demonio: sì che con la mano disarmata, confitta e chiavellata in croce, ha vinto lo principe del mondo (Jn 12,31 Jn 16,11), pigliando per cavallo lo legno della santissima croce.

Venne armato questo nostro cavaliere con le corazze della carne di Maria, la quale carne ricevette in sé i colpi per riparare alle nostre iniquità; l'elmo in testa: la penosa corona delle spine (Mt 27,29 Mc 15,17 Jn 19,2), affondata infine al cerebro; la spada allato: la piaga del costato (Jn 19,34) che ci mostra lo secreto del cuore, la quale è un coltello, a chi ha punto di lume, che deve trapassare lo cuore e le 'nteriora nostre per affetto d'amore; la canna in mano per derisione (Mt 27,29); i guanti in mano, e gli speroni in piè, sonno le piaghe vermiglie delle mani e dei piei di questo dolce e amoroso Verbo. E chi l'àe armato? l'amore. Chi l'ha tenuto fermo, confitto e chiavellato in croce? Non i chiodi né la croce né la pietra, né la terra tenne ritta la croce, ché non erano sufficienti a tenere Dio e Uomo; ma lo legame dell'amore dell'onore del Padre e salute nostra. L'amore nostro fu quella pietra che il levò e tenne ritto.

Quale sarà colui di sì vile cuore che raguardando questo capitano e cavaliere, rimasto insiememente morto e vincitore, che non si levi la debolezza dal cuore e non diventi virile contro ogni aversario? Veruno sarà; e però vi dissi io che vi poneste per obiettivo Cristo crocifisso. Tegnete la sopravesta nel sangue di Cristo crocifisso, e con esso sconfigiarete i primi nemici - cioè nella prima battaglia detta -; perché già gli ha sconfitti per noi, e àcci fatti liberi, traendoci della perversa servitudine del demonio. E se ci volesse assalire, subito ricorriamo all'arme del Figlio di Dio. Morti i vizii nell'anima, e voi mangiarete lo cibo, e sarete fatto gustatore e mangiatore de l'onore di Dio e salute del prossimo vostro; e con questa fame seguitarete l'Agnello, per potere avere questa dolce preda, la quale per affetto d'amore vi dovete immaginare d'avere. Né per pena, né per morte, né per veruno caso che possa avenire, voi lo lassarete, né vollerete lo capo adietro. O quanto è gloriosa questa battaglia! ché, essendo vinto, vince, e già mai non rimane perditore. Guarda già che non fusse sì vile che vollesse le spalle; ma se persevera, sempre vince.

Egli fa come fece lo Figlio di Dio, che giocando in sulla croce alle braccia con la morte, la vita vinse la morte, e la morte la vita: dando la vita del corpo suo, distrusse la morte del peccato; con la morte vinse la morte, e la morte vinse la vita, perché il peccato fu cagione della morte del Figlio di Dio. Ode dolce giuoco e torniello ch'egli ha fatto! Voi che sete eletti a questo medesimo, in su la croce del desiderio de l'onore di Dio e ricompramento delle anime infedeli, dovete giocare, colla morte della infedelità, con la vita del lume della fede. Se rimanete morti, questa è l'ottima parte (Lc 10,42): ché la morte sarà vincitore della morte, sì come vediamo che il sangue dei martiri dava la vita agl'infedeli, e ai malvagi tiranni. E se vinco senza sangue, anco vinco: cioè, che se Dio non permettesse che rimanesse la vita, non è però di meno la vittoria; sì che bene è gloriosa. Ma non sarebbe gloriosa per li matti e semplici che andassero solamente per fummo e per propria utilità sensitiva: costoro poco farebbero, e per piccola derrata darebbero grande prezzo; darebbero lo prezzo della vita loro per lo miserabile fummo del mondo. Costoro ricevono lo merito loro nella vita finita; costoro sonno armati del vestimento della morte dell'amore proprio di sé medesimi, e non sono uomini da fatti ma sono uomini da vento; e così si vollaranno come foglia senza veruna fermezza o stabilità, perché egli non hanno l'obiettivo di Cristo crocifisso, né presa l'arme della vita. Lo desiderio mio è che siate cavaliere vero, voi e gli altri vostri compagni, e però dissi io ch'io desideravo di vedervi cavaliere virile, posto in questo glorioso campo. Spero, per la infinita e inestimabile bontà di Dio, che voi adimpirete la volontà sua - che vi richiede così -, e il desiderio mio. Altro non dico. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, e nascondetevi nelle piaghe dolcissime sue; e per scudo tollete la santissima croce.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore, Maria.







257. A Conte di monna Agnola e ai compagni in Firenze.

Al nome di Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi veri cavalieri, sì e per sì-fatto modo che poniate la vita per Cristo crocifisso.

Voi sete posti nel campo de la bataglia di questa tenebrosa vita, che continovamente siamo a le mani coi nostri nemici. Lo mondo ci perseguita coi le ricchezze, stati, onori, mostrandoci che siano fermi, e sì vengono meno e passano come il vento. Lo demonio ci asalisce coi le molte tentazioni, facendoci fare ingiuria e spesse volte tòllare il nostro, solo per ritrarci dalla carità del prossimo nostro; ché, avendo noi perduto l'amore, abiamo perduta la vita. La carne ci molesta con molta flagelità e movimenti, per tollarci la purezza: ch'essendo privati della purezza, esso-fatto siamo privati di Dio, però ch'egli è somma ed eterna purezza. I nemici nostri non dormono mai, ma sempre stanno atenti a perseguitarci; e questo permette Dio per darci sempre materia per la quale noi meritiamo, e per levarci dal sonno della negligenzia.

Sapete che, quando l'uomo si sente asalire da' nemici, egli è solicito a pigliare il rimedio per difendarsi da loro, perch'egli vede bene che, se dormisse, starebbe a pericolo di morte; e però Dio ce le fa sentire perché noi ci destiamo, pigliando l'arme dell'odio e dell'amore. E l'odio serra la porta ai vizii, cioè la porta del consentimento, perché fa risistenzia a loro con ogni pentimento che può; e uopre la porta a le virtù, distendendo le braccia dell'amore a ricevarle dentro nell'anima sua, con grandissimo affetto e disiderio. Sì che vedete ch'egl'è buono e ottimo ch'i nemici nostri si levino contro di noi.

Non dobiamo temere, né possiamo temere se noi voliamo, ma confortarci dicendo: «Per Cristo crocifisso ogni cosa potremo» (Ph 4,13). E di che deba l'anima temere, se si confida nel suo Creatore? Noi vediamo che di questo campo il nostro capitano n'è Cristo Gesù: egli ha sconfitti i nemici nostri col sangue suo. Le dilizie e richezze del mondo ha sconfitte coi la viltà e povertà volontaria, sostenendo fame sete e perseguizioni. Lo demonio ha sconfitto, e la sua malizia, con la sua sapienza, pigliandolo coi l'esca e amo della nostra umanità, per l'unione della natura divina con la natura umana. La carne nostra è sconfitta per la carne fragellata, macerata, satollata d'obrobii in sul legno della santissima croce; ne l'ultimo, levata sopra tutti i cori degli angeli nella resurezione del Figlio di Dio. Non è neuno corpo né mente tanto corrotto che, riguardando la nostra umanità unita colla natura divina in tanta eccelenzia, che non si purifichi e che non si desse inanzi a la morte che lordare la mente sua.

Poi che noi abiamo trovato lo rimedio, e il nostro capitano Cristo gli ha sconfitti per noi e fatti debili - e legati per sì-fatto modo che non ci possono vinciare se noi non vogliamo -, non è da temere ma virilmente combattare, segnandoci col segno della santissima croce, ponendoci per oggetto lo sangue dello immacolato Agnello, pigliando lo coltello de l'odio e dell'amore, e con esso percuotare i nostri nemici.

Questa è la bataglia comune, che ogni uomo che nasce e giogne a età perfetta si conviene che stia in su questa battaglia. Parmi che la inestimabile bontà di Dio v'abi eletti, come cavalieri, a combattare realmente contro i vizii e i peccati, per acquistare la ricchezza e il tesoro delle virtù.

Ora mi pare che egli v'inviti a crescere e mandare in effetto la vostra perfezione, ponendovi inanzi la fame della salute de l'infedeli. I pare che voglia che voi siate i primi feridori sopra di loro, poiché ora si fa lo principio del santo passagio. Lo santo padre manda i frieri, e chi gli vorrà seguire, sopra di loro. Ora vi prego che voi vi stregniate insieme con don Giovanni, e che voi li ragionate quello che questi giovani vi ragionaranno e informaranno a bocca, e Leonardo insieme con loro. Faretene quello che lo Spirito santo ve ne farà fare, con consiglio di don Giovanni, quant' io credo che il nostro Salvatore ora facci questo principio per mandare poi in efetto lo generale.

Senza neuno timore, figli miei dolci, metetevi la panziera, cioè di sangue, intriso lo sangue nostro col sangue dell'Agnello. O che dolce e graziosa panziera sarà quella, da risistere contro ogni colpo! Col coltello de l'odio e dell'amore percotarete e sconfigiarete i vostri nemici; con la panziera del sangue sosterrete. O dolcissimi figli, vedete quanto diletto dà questa armadura, che sostenendo vince, e essendo percossa percuote, poiché v'ha dentro saette che gitano invisibilemente; essendo invisibili, apaiono visibili, perché le percosse loro ingenerano fiori e frutti: fiori di gloria e lode del nome di Dio, che coi l'odore suo spegne il puzzo della infedelità. Dopo il fiore segue lo frutto, ricevendo lo merito delle fatiche nostre qui, vivendo e crescendo nella grazia e, nell'ultimo, nella eterna visione di Dio.

Non siate negligenti, ma soleciti; per piciola fatica non fugite lo frutto, ché in altro modo non potreste essere cavalieri virili. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi cavalieri virili, posti nel campo de la bataglia. E però vi prego, affinché adempiate la volontà di Dio e il desiderio mio, che voi v'aneghiate, atufiate e innebriate nel sangue di Cristo crocifisso, perché nel sangue si fortifica lo cuore. Altro non dico.

Rimanete etc. Gesù dolce etc.





258. A missere Ristoro di Piero Canigiani, in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi constante e perseverante nella virtù, poiché colui che comincia non è quelli che è coronato, ma solo colui che persevera. Poiché la perseveranza è quella regina che è coronata, e sta in mezzo della fortezza e della vera pazienza, ma ella sola riceve corona di gloria; sì che io voglio, dolcissimo fratello, che voi siate constante e perseverante nella virtù, a ciò che riceviate il frutto d'ogni vostra fatica.

Spero nella grande bontà di Dio che vi fortificarà per modo che né demonio né creatura vi farà voltare lo capo adietro al primo bomico. Parmi, secondo che mi scrivete, che avesseate fatto buono principio, del quale molto mi rallegro per la salute vostra, vedendo lo vostro santo desiderio. E prima, dite di perdonare a ogni uomo che v'avesse offeso, o che v'avesse voluto offendere: questa è quella cosa che v'è di grande necessità a volere avere Dio per grazia nell'anima vostra, e riposarvi eziandio pur secondo lo mondo; poiché colui che sta ne l'odio è privato di Dio, e sta in stato di dannazione, e in questa vita gusta la caparra dell'inferno: poiché sempre si rode in sé medesimo, e appetisce vendetta, e sta sempre con timore. E credendo uccidere il nemico suo, ha prima morto sé medesimo, poiché col coltello de l'odio ha uccisa l'anima sua; unde questi cotali, credendo uccidere il nemico, uccidono loro medesimi.

Ma colui che in verità perdona per amore di Cristo Crocifisso, questi ha pace e quiete, e non riceve turbazione, poiché l'ira che conturba è uscita dell'anima sua; e Dio, che è remuneratore d'ogni bene, gli rende la grazia sua, e - ne l'ultimo - vita eterna. Quanto diletto riceve allora quella anima, e allegrezza e riposo nella conscienzia? la lingua non potrebbe narrare quanta ella è. Ed eziandio secondo lo mondo è grandissimo onore a colui che, per amore della virtù e per magnanimità, non appetisce né vuole fare vendetta del nemico suo; sì che io v'invito e vi confermo a perseveranza in questo santo proponimento.

Di dimandare e procacciare il vostro con debita ragione, questo potete fare con buona conscienzia - chi lo vuole fare, poiché non è tenuto l'uomo di lasciare il suo più che si voglia; ma chi volesse lasciare, farebbe bene maggiore perfezione -. Del non andare a vescovado né a palagio, questo è buono, e ottimo che voi vi stiate pacificamente in casa, poiché, se la persona s'impaccia, noi siamo debili, e spesse volte ci troviamo impacciata l'anima nostra, commettendo delle cose ingiuste e fuore dell'ordine della ragione: chi per mostrare di sapere più che uno altro, e chi per appetito di pecunia, sì che egli è bene di dilungarsi dal luogo.

Ma una cosa ci agiungo: che quando cotali povarelli o povarelle, che hanno chiaramente la ragione e non hanno chi gli sovenga né mostri la ragione loro perché non hanno denari, sarebbe molto grande onore di Dio affaticarvi per loro con affetto di carità: come santo Ivo, che fu al tempo suo avocato dei povari. Pensate che l'atto della pietà, e il amministrare ai povarelli di quella virtù che Dio ha data a voi, molto è piacevole a Dio, e salute dell'anima. Unde dice santo Gregorio che egli è impossibile che uomo pietoso perisca di mala morte, cioè di morte eterna; sì ché questo mi piace molto, e pregovi che voi lo facciate.

E in tutte le vostre opere vi ponete Dio dinanzi agli occhi, dicendo a voi medesimo - quando lo disordenato appetito volesse levare lo capo contro al proponimento fatto -: «Pensa, anima mia, che l'occhio di Dio è sopra di te, e vede l'occulto del cuore tuo; e tu sei mortale che debbi morire e non sai quando, e converratti rendere ragione dinanzi al sommo giudice di quello che tu farai - lo quale giudice ogni colpa punisce e ogni bene remunera -». E a questo modo le porrete il freno, e non scorrirà partendosi dalla voluntà di Dio. Satisfare all'anima vostra, questo dovete fare il più tosto che voi potete, e sgravare la conscienzia di ciò che vi sentiste gravato: e satisfarle o di gravezza che ella avesse di rendere sustanzia temporale, o d'altri dispiaceri che avesse fatti altrui; e fare chiedere perdonanza pienamente a ognuno, a ciò che permaniate sempre nella carità della carità del prossimo vostro.

Di vendere le robbe che avete di superchio, e i pomposi vestimenti (i quali, carissimo fratello, sono molto nocivi e sono uno strumento di fare invanire il cuore e notricare la superbia, parendoli essere da più e maggiore degli altri, gloriandosi di quello che non si die gloriare, - unde grande vergogna è a noi falsi cristiani di vedere lo nostro capo tormentato, e noi stare in tante delizie; unde dice santo Bernardo che non si conviene che sotto il capo spinato stieno i membri dilicati -), di ciò fate molto bene che voi ci poniate remedio. Ma vestitevi a necessità, onestamente, non di disordenato pregio, e piaciaretene molto a Dio; e giusta al vostro potere fate questo medesimo della donna e dei vostri figli, sì che voi siate a loro regola e dottrina, sì come debba essere il padre, che con ragione e atto di virtù die allevare i suoi figli.

Agiongoci una cosa: che nello stato del matrimonio voi stiate con timore di Dio e riverenzia come a sacramento, e non con disordenato desiderio; e i dì che sono comandati dalla santa Chiesa abbiate in debita reverenzia, sì come uomo ragionevole, e non come animale bruto. Allora di voi e di lei, sì come arboli buoni, produciarete buoni frutti.

Di refiutare gli offizii, farete molto bene, poiché rade volte è che non vi si offenda; e a tedio vi debbono venire pur d'udirgli ricordare. E però lassate questi morti sepellire ai morti loro (Mt 8,22 Lc 9,60); e voi v'ingegnate - con libertà di cuore - di piacere a Dio, amandolo sopra ogni cosa con desiderio di virtù, e il prossimo come voi medesimo, fuggendo il mondo e le delizie sue; e renunziare ai peccati e alla propria sensualità, reducendovi sempre alla memoria i beneficii di Dio: e spezialmente il beneficio del sangue, il quale per noi fu sparto con tanto fuoco d'amore.

Èvi anco necessario, a volere conservare la grazia e crescere l'anima vostra in virtù, d'usare spesso la santa confessione, a vostro diletto, per lavare la faccia dell'anima nel sangue di Cristo (poiché pur la lordiamo tutto dì, almeno il mese una volta: se più, più - ma meno non mi pare che si dovesse fare -). E dilettatevi d'udire la parola di Dio; e quando sarà il tempo suo che noi siamo pacificati col padre nostro, fate che le pasque solenni, o almeno una volta l'anno, voi vi comunichiate, dilettandovi dell'ofizio divino; e ogni mattina udire la messa: e non potendo ogni dì, almeno di quelli che sono comandati da la santa Chiesa - ai quali siamo obligati - ve ne dovete ingegnare quantunque si può.

L'orazione non si conviene che ella sia di lunga da voi, anco, nell'ore debite e ordinate, quando si può, vogliate reducervi un poco a conoscere voi medesimo e l'offese fatte a Dio, e la larghezza de la sua bontà - la quale tanto dolcemente ha adoperato e aduopera in voi -, aprendo l'occhio dell'intelletto col lume della santissima fede a raguardare come Dio v'ama ineffabilemente; lo quale amore cel manifestò col mezzo del sangue dell'unigenito suo Figlio. E pregovi che, se voi nol dite, che voi lo diciate ogni dì l'offizio della Vergine, a ciò che ella sia lo vostro refrigerio, e avocata dinanzi a Dio per voi.

D'ordinare la vita vostra, di questo vi prego che il facciate. E il sabato digiunare a reverenzia di Maria; e i dì che sono comandati dalla santa Chiesa, non lassarli mai se non per necessità. E fuggite di stare in disordenati conviti; ma ordinatamente vivere come uomo che non vuole fare del ventre suo dio, ma prendere lo cibo a necessità, e non con miserabile diletto, poiché impossibile sarebbe che colui che non è corretto nel mangiare si conservasse nella innocenzia sua. Ma sono certa che la infinita bontà di Dio, di questo e dell'altre cose, vi farà a voi medesimo prendere quella regola che sarà di necessità alla salute vostra. E io ne pregarò, e ne farò pregare, che vi dia perfetta perseveranza infine alla morte, e v'allumini di quello che avete a fare per la salute vostra. Altro ora non vi dico. Confortatevi in Cristo Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



259. A Tommaso da Alviano.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi servo fedele al vostro Creatore; la quale servitudine fa l'uomo regnare etternalmente, ma non darebbe vita a chi non fusse fedele, cioè col lume della santissima fede, lo quale s'acquista con l'occhio dell'intelletto quando l'anima raguarda nella inestimabile carità di Dio: cioè con quanto amore egli ci ha donato l'essere.

E nel Verbo dell'unigenito suo Figlio troviamo, anco, amore inestimabile; perché nel sangue suo troviamo che ci ha recreati a grazia, la quale l'uomo aveva perduta per la colpa sua. Sì che per amore Dio ci creò all'imagine e similitudine sua (Gn 1,26), e per amore ci donò lo suo Figlio, che ci restituisse recreandoci a grazia nel sangue suo. Volse Dio col mezzo del Figlio mostrare a noi la sua verità, e la dolce volontà sua, che non cerca né vuole altro che la nostra santificazione. La sua verità era questa: che in verità aveva creato l'uomo perché participasse e godesse nell'eterna sua visione, dove l'anima riceve la beatitudine sua; unde per lo peccato commesso da Adam non s'adempiva questa verità nell’uomo.

Volendo dunque Dio adempire questa verità, esso medesimo si costrigne con la sua carità, e donaci quella cosa che egli ha più cara, cioè lo Figlio unigenito; e pongli questaobbedienza, che egli restituisca l'uomo: e da la morte torni alla vita. Vuole che lo figlio de l'umana generazione rinasca, come detto è, nel sangue; e neuno può avere lo frutto del sangue senza lo lume della fede. E però disse Cristo a Nicodemo «Neuno può intrare a vita eterna che non rinasca un'altra volta» (Jn 3,5): volse Cristo manifestare che lo Padre eterno gli aveva dato a concepire per affetto d'amore lo figlio de l'umana generazione, e a parturirlo con veraobbedienza e odio e pentimento dell'offesa del Padre in su lo legno de la santissima croce.

E parbe che facesse questo dolce Verbo come l'aquila, che raguarda nella ruota del sole, e sempre di sopra e in alto vede lo cibo che ella vuole pigliare: vedendolo nella terra, viene e piglialo, e poi in alto lo mangia. Così lo dolce Gesù, aquila nostra, raguarda nel sole della volontà eterna del Padre, e ine vede l'offesa e la ribellione che la creatura gli ha fatto, sì che nella terra della creatura, la quale ha trovata nell'altezza del Padre, ha veduto lo cibo che deve prendere. Lo suo cibo è questo, che di questa miserabile terra, che ha offeso e ribellato a Dio con la miserabile disobbedienza, piglia con l'obedienzia sua a volere compire nell’uomo la verità del Padre, e rendere a lui la grazia; e trarlo della servitudine del demonio - la quale servitudine dà morte eterna -; e reduciarlo a servire solo lo suo Creatore.

Poi che egli ha veduto e preso lo cibo, lo quale lo Padre gli ha dato mangiare, vede che abasso in terra non si può mangiare - a volere trare lo miserabile uomo alla prima obbedienzia sua -; e però si leva con la preda all'altezza della santissima croce, e ine lo mangia con spasimato e ineffabile desiderio; e sopra sé punisce le nostre iniquità, col corpo sostenendo e con la volontà satisfacendo, per pentimento e odio del peccato; e con la virtù della natura divina, che era in lui, porse lo sacrificio del sangue suo al Padre: e così è acetto questo sacrificio a lui. Sì che vedete ch'è in alto con pena e obrobio, scherni, ingiurie, strazii e villania: afflitto di sete e saziato d'obrobii, in tanto che per sete della salute nostra muore, e così l'ha mangiato questo dolce e innamorato Agnello. E però disse egli: «Se io sarò levato in alto, ogni cosa tirarò a me» (Jn 12,32), poiché, per lo rinascere che l'uomo ha fatto nel sangue di Cristo Crocifisso, è tratto ad amarlo, se egli segue la ragione e non se la tolga con l'amore de la propria sensualità.

Tratto lo cuore ad amare lo suo benefattore, è tratto tutto: lo cuore l'anima e l'affetto, con tutte le sue opere spirituali e temporali; le facoltà dell'anima, che è cosa spirituale, sono tratte da questo amore: la memoria è attratta da la potenza del Padre eterno, ed è costretta a ritenere i beneficii che ha ricevuti da lui, e avere memoria per affetto d'amore, e esserne grato e conoscente. L’intelletto si leva nella sapienza di questo Agnello immacolato a raguardare in lui lo fuoco della sua carità, dove egli vede giusti tutti i giudicii di Dio, poiché ciò che Dio permette egli lo fa per amore e non per odio - di qualunque cosa si sia, o prosperità o aversità -: e però tiene e riceve ogni cosa per amore. Poiché, se altro avesse voluto, la sapienza di Dio, cioè lo suo Figlio, non ci avrebbe data la vita. E però l'anima, alluminata in questo vero lume, non si duole d'alcuna fatica che sostenga, anco, se la sensualità si volesse dolere, col lume della ragione la fa stare queta. E non tanto che si doglia, ma egli l'ha in reverenzia; ed è contento di sostenere, per punire le colpe sue e per potersi conformare con le pene di Cristo Crocifisso.

E se egli ha la prosperità del mondo, lo stato e la signoria, egli la tiene non con disordenato amore, ma con ordenato, zelante de la vera e santa giustizia, senza alcuno timore servile, perché ha levato l'occhio dell'intelletto nella sapienza del Figlio di Dio, dove vede abondare tanta giustizia che - per non lasciare impunita la colpa - l'ha punita sopra di sé ne la sua umanità, la quale egli prese di noi.

Levasi allora l'affetto, e corre all'amore che l'occhio dell'intelletto ha veduto in Dio, e così acquista e gusta la grazia e la clemenza dello Spirito santo. Empito l'affetto d'amore e di desiderio di Dio, egli si distende ad amare caritativamente lo prossimo suo, con una carità fraterna e non con amore proprio, poiché, se fusse ne l'amore proprio, non terrebbe ragione né giustizia né a sé né al prossimo suo; ma perché la grazia dello Spirito santo l'ha privato dell'amore proprio di sé, per lo levare che fece dell'affetto suo in lui, è fatto giusto, e servo fedele al suo Creatore. E così ciò che egli ama sì leva in alto, perché ogni cosa ama per Dio; e così, in ogni stato che egli è, o in signoria o grandezza o stato o ricchezza del mondo, o a lo stato della continenzia o ne lo stato del matrimonio, e con figli e senza figli, in ogni modo è piacevole a Dio, poiché egli ama con l'affetto che è legato in lui. E così ci mostra la prima dolce Verità che non è acettatore delli stati né dei tempi né dei luoghi, ma dei santi e veri desiderii.

Dissi che l'uomo era tratto spiritualmente e temporalmente, e così è la verità, ché poi che l'uomo ha ordenate le tre facoltà dell'anima spirituali, e àlle levate in alto per affetto d'amore, e riunite l'ha nel nome di Dio - cioè acordata la memoria a ritenere i doni e le grazie di Dio, come detto è; e l’intelletto a intendere la volontà nella sapienza del Figlio di Dio; e la volontà ad amare nella clemenza dolce de lo Spirito santo -, Dio si riposa allora per grazia nell'anima sua. Questo doviamo intendere che lo nostro Salvatore dicesse, quando disse: «Se saranno due o tre o più congregati nel nome mio, io sarò nel mezzo di loro» (Mt 18,20). Unde possiamo intendere che egli lo dicesse così de la congregazione detta di sopra de le tre facoltà dell'anima, come pur de la congregazione dei servi di Dio corporale. Ma attendete che egli ci mette lo due, lo tre, e il più: del tre aviamo detto; dei due possiamo intendere per l'amore e santo timore di Dio, perché l'amore ha a congregare. Ché se l'uomo non amasse, non disporrebbe la memoria a ricevere e a ritenere, né l’intelletto si sarebbe mosso a vedere e a intendere, né la volontà avrebbe notricato in sé l'amore divino.

Poi che è raunato lo tesoro, lo timore santo lo guarda, e non lassa passare dentro nella città dell'anima i nemici del peccato mortale, e anco per quella legge santa di Dio, la quale fu data a Moisè, fondata in timore - poniamo che lo primo movimento fu amore: poiché per amore Dio la dié, perché l'uomo avesse freno nel suo male adoperare -. Venne poi lo dolce e amoroso Verbo con la legge dell'amore, non a dissolvere la legge data, ma per compirla (Mt 5,17), poiché il timore non ci dava vita, acordando poi la legge dell'amore con quella del timore; la quale fu di tanta perfezione, che la cosa imperfetta fece perfetta.

Conviensi dunque tenere l'una e l'altra, poiché elle sono unite in tanta perfezione che, chi non vuole essere separato da Dio, non può avere l'una che non abbi l'altra, perché sono legate insieme - quanto ai diece comandamenti sempre parlando - e insieme danno vita di grazia, che chi le volesse separare, impossibile sarebbe che potesse avere Dio per grazia nel mezzo dell'anima sua. E però dice «se saranno due», e non dice «se sarà uno»: perché uno non può essere congregato, poiché uno non può fare altro che uno, e così non può giognere a tre senza due. Ma conviensi che prima l'anima n'abbi due, e a mano a mano che n'ha due, cioè l'amore e il santo timore di Dio, ed egli si trova le tre facoltà dell'anima, che non è altro che una anima; nel quale «uno», adornata con la perfezione della carità, è tanto perfetta che tiene e due e tre, e il più. E perché dice: «O due o tre, o più, congregati nel nome mio»? Queste sono le sante e buone opere de la creatura che ha in sé ragione, poiché ogni opera che egli facesse - poniamo che avessero colore d'essere del mondo, sì come è di tenere il grande stato e signoria, e fusse con la donna o coi figli suoi, che pare una cosa mondana, o in qualunque altra cosa che fosse - tutte sono dirizzate in Dio, quando l'anima ha fatto lo suo principio di regolare e congregare tutte le virtù sue nel nome di Dio.

Allora vede e conosce bene la sua verità: che Dio non gli ha dato in questa vita alcuna cosa che, se egli vuole, che gli sia impedimento a la sua salute, anco gli sono strumento di farlo essercitare in virtù, e di darli maggiore cognoscimento de la miseria sua e de la divina bontà. E però non si lagna né si può lagnare né del Creatore né della creatura, altro che di sé medesimo, che ribella con la puzza del peccato mortale al suo Creatore. Di Dio non si può lagnare, ché l'ha fatto forte che né demonio né creatura gli può togliere Dio; anco, spesse volte, la ingiuria che gli è fatta da gli uomini del mondo - se egli non vuole seguire la propria sensualità con ira - gli fa avere Dio più perfettamente, perché il pruova nella virtù della pazienza, e vede se egli ama lo suo Creatore in verità o no; e empiesi più lo vasello dell'anima sua di grazia: sì che non si può lagnare. Né anco se per mezzo della creatura ricevesse movimenti di immondizia, e fusse inchinato per conversazione, o atti, o modi a non essere onesto, dico che anco di questo non si può lagnare, poiché assai possono venire i movimenti per propria fragilità o per inducimento d'altra creatura, come detto è; non che il possa costrignere, se egli vorrà fare resistenza con la ragione, e sentire l'odore della purezza. Che se si sente percuotere da questo o da alcuno altro vizio, tragga fuore l'amore e il santo timore di Dio; e con l'occhio dell'intelletto raguardi nella memoria sua, dove ha conservati i beneficii di Dio, e con l'affetto l'ami, e rendali grazia e loda. E con questa gratitudine santa spegnarà lo fuoco dell'ira e della immondizia e della ingiustizia, e d'ogni altro difetto, e singularmente de la ingiustizia.

Poiché l'uomo che ha a tenere stato e signoria, se non la tiene con virtù egli cade in molti inconvenienti, perché essofatto che non la tenesse con l'occhio dirizzato in Dio la terrebbe col proprio disordenato amore; lo quale amore atosca l'anima, e tollele lo lume che non intende né conosce altro che cose transitorie e sensitive - giudicando la volontà di Dio e la sua e quella delli uomini sempre in male, e non in alcuno bene -, tollendogli la vita della grazia: e dagli la morte. E nessuna sua opera si dirizza ad altro che a morte di colpa: la giustizia la fa secondo lo piacere delli uomini, e non secondo ragione, per timore servile che egli ha di non perdere lo stato suo. Oh quanto è pericoloso questo perverso amore! ella è la legge del demonio, la quale fu data di primo principio dal demonio ad Eva, e Adam la seguitò e compilla: che fu una legge diabolica d'amore e di timore.

Ma la prima dolce Verità ci ha liberati, e data a terra questa perversa legge, in quanto non è costretto l'uomo a tenerla per alcuna cosa che sia. Può bene per lo libero arbitrio, che egli ha, pigliarla per sé medesimo, se vuole; ma non che per forza gli sia dato più che la sua volontà voglia pigliare. Bene si debba dunque vergognare la creatura che ha in sé ragione, ad avere sì-fatto ricompratore - che gli ha dato la fortezza, e trattolo della servitudine de la puzza del peccato -, a non seguitarlo con perfetto amore, con tutto lo cuore, e con tutto l'affetto, e col lume de la fede viva; la quale trova e gusta con l'occhio dell'intelletto, e con affetto parturisce opere vive, e non morte; e però è fede viva, ché fede senza opera, morta è (Jc 2,17-26). Per altro modo non potremmo essere servi di Cristo Crocifisso; lo quale servire fa l'uomo regnare sì nella vita durabile e sì perché lo fa signore di sé medesimo; poiché, signoreggiando sé, è fatto signore di tutto lo mondo, ché nessuna cosa cura né teme, se non Dio, cui egli serve e ama. Molti posseggono le città e le castella; e non possedendo loro per affetto di virtù, non si trovano nulla, ma trovansi vòti insiememente e del mondo e di Dio, o per vita o per morte.

Considerando dunque me che senza lo mezzo del lume della fede non potevate giognere a questa perfezione, dissi che io desideravo di vedervi servo fedele al vostro Creatore, e così vi prego, carissimo fratello, che facciate: che voi lo serviate virilmente. è vero che a lui non potete fare utilità né servire, perché non ha bisogno di nostro servigio; ma egli ci ha posto lo mezzo che reputa fatto a sé quello che facciamo a lui (Mt 25,40), cioè di servire lo prossimo nostro per gloria e loda del nome suo: e singularmente fra gli altri servizii che possiamo mostrare che gli piaccia bene, si è di servire la dolce Sposa sua, al cui servizio pare che v'abbi chiamato. Servitele dunque liberamente, poiché, di qualunque servizio o spirituale o temporale la servirete, tutto gli è piacevole, pur che sia fatto con dritta e buona intenzione. Facendo così, Dio è grato e conoscente, e rendaràvi lo frutto della vostra fatica in questa vita per grazia; e nella vita durabile ricevarete l'eterna visione di Dio, e vedarete con chiaro e perfetto lume, e senza alcuna tenebre, l'amore e verità del Padre eterno: poiché qua giuso lo vediamo imperfettamente, ma là suso senza alcuna imperfezione. Altro non dico. Prego la bontà sua, che vi dia perfetto lume a servirlo perfettamente.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

OFFLINE
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Sesso: Femminile
19/10/2012 17:18

260. Ai pregioni, lo giovedì santo, in Siena - anno 1377.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedervi bagnati per santo desiderio nel sangue di Cristo crocifisso.

Ponetevelo per obbietto dinanzi all'occhio de lo intelletto vostro, e facendo così acquistarete una pazienza vera, poiché il sangue di Cristo ci rapresenta le nostre iniquità, e rapresentaci la infinita misericordia e carità di Dio: la quale ripresentazione ci fa venire in odio e in pentimento i difetti e peccati nostri, e facci venire in amore le virtù.

E se voi mi domandaste, carissimi figli, perché nel sangue si vegono più i nostri difetti, e la misericordia sua, rispondovi: perché la morte del Figlio di Dio fu data a lui per li peccati nostri. Lo peccato fu cagione della morte di Cristo, ché il Figlio di Dio non avea bisogno per via di croce intrare nella gloria sua, ché in lui non era veleno di peccato, e vita eterna era sua. Ma noi miserabili avendola perduta per li peccati nostri, era caduta grandissima guerra fra noi e Dio. L'uomo era infermo ed era indebilito, ribellando al suo Creatore, e non potea pigliare l'amara medicina che seguitava la colpa comessa; fu necessario dunque che Dio ci donasse lo Verbo de l'unigenito suo Figlio. E così per la sua inestimabile carità fece unire la natura divina con la natura umana; lo infinito si unì colla nostra miserabile carne finita.

Egli viene come medico infermo, e cavaliere nostro. Medico, dico, perché col sangue suo ha sanato le nostre iniquità, e ci ha dato la carne in cibo, e il sangue in beveragio (Gv 6,55). Questo sangue è di tanta dolcezza e soavità, e di sì grande fortezza, che ogni infermità sana - e dalla morte viene a la vita -; egli priva delle tenebre, e dona la luce. Perché il peccato mortale fa cadere l'anima in tutti questi inconvenienti: lo peccato ci priva della grazia, tolleci la vita e dacci la morte; egli offusca lo lume de lo intelletto, e fallo servo e schiavo del demonio; tollegli la vera sicurezza, e dagli lo disordinato timore, perché il peccato sempre teme. Egli ha perduta la signoria, colui che si lassa signoregiare al peccato.

Oimé, oimé, quanti sonno i mali che ne seguitano! Quante sonno le tribulazioni, l'angosce e le fatiche che ci son permesse da Dio solo per lo peccato! Tutti questi difetti e questi mali sonno spenti nel sangue di Cristo crocifisso, perché nel sangue si lava l'anima delle immondizie sue, riducendosi alla santa confessione. Nel sangue s'acquista la pazienza, ché, considerando l'offese che abiamo fatte a Dio, e il rimedio ch'egli ha posto per darci la vita de la grazia, veniamo a vera pazienza. Sì che bene è vero ch'egli è medico, ché ci ha donato lo sangue per medicina.

Dico ch'egli è infermo, cioè ch'egli ha presa la nostra infermità, prendendo la nostra mortalità e carne mortale; e sopra essa carne del dolcissimo corpo suo ha puniti i difetti nostri. Egli ha fatto come fa la balia che notrica lo fanciullo, che, quando egli è infermo, piglia la medicina per lui; perché il fanciullo è piccolo e debole, non potrebbe pigliare l'amaritudine, perché non si notrica altro che di latte. O dolcissimo amore Gesù, tu sei balia che hai presa l'amara medicina, sostenendo pene, obrobi, strazii, villanie; legato (Mt 27,2 Mc 15,1 Gv 18,12), battuto (Mt 26,67 Mc 14,65 Lc 22,63) e flagellato (Mt 27,26 Mc 15,15 Gv 19,1) alla colonna, confitto e chiavellato in croce (Mt 27,35 Mc 15,24 Lc 23,33 Jn 19,18); satollato di scherni e d'obrobi (Mt 27,39-41 Mc 15,29-31 Lc 23,35-36); afflitto e consumato di sete (Jn 19,28) senza veruno refrigerio - e gli è dato aceto (Mt 27,48 Mc 15,36 Lc 23,36 Jn 19,29) mescolato con fèle, con grandissimo rimproverio -: ed egli con pazienza porta, pregando per coloro che il crocifigono.

O amore inestimabile, non tanto che tu preghi per quelli che ti crocifigono, ma tu gli scusi dicendo: «Padre, perdona a costoro che non sanno che si fanno» (Lc 23,34). O pazienza che eccedi ogni pazienza! Or chi fu mai colui che, essendo percosso, battuto, e schernito e morto, egli perdoni e prieghi per coloro che l'offendono? Tu solo sei colui, Signore mio. Bene è vero dunque che tu hai presa l'amara medicina per noi fanciulli debili e infermi; e con la tua morte ci dai la vita, e con l'amaritudine ci dai la dolcezza. Tu ci tieni al petto come balia, e hai dato a noi lo latte della divina grazia, e per te hai tolto l'amaritudine; e così riceviamo perfetta sanità. Sì che vedete ch'egli è infermato per noi.

Dico che egli è cavaliere: venuto in questo campo della battaglia ha combatuto e vénto i demoni. Dice santo Agostino: «Con la mano disarmata questo nostro cavaliere ha sconfitti i nimici nostri, salendo a cavallo in sul legno della santissima croce». La corona delle spine gli fu l'elmo; la carne fragellata l'osbergo; le mani chiavellate i guanti della piastra; la lancia per lo costato fu quello coltello che tagliò e ricise la morte da l'uomo; i piei confitti sonno li speroni. Vedete come dolcemente è armato questo nostro cavaliere! Bene lo dobiamo seguire, e confortarci in ogni nostra aversità e tribulazione. E però vi dissi io che il sangue di Cristo ci manifesta i peccati nostri, e mostraci lo rimedio e l'abondanzia della divina misericordia, la quale abiamo ricevuta nel sangue suo.

Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, ché in altro modo non potremo participare la grazia sua, né avere il fine per mezzo del quale fumo creati; né portareste pazientemente le vostre tribulazioni, poiché nella memoria del sangue ogni amara cosa diventa dolce, e ogni gran peso legiero. Altro non vi dico, per lo poco tempo che ho.

Rimanete etc.



E ricordovi che dovete morire, e non sapete quando. Fate che vi disponiate alla confessione e alla comunione santa, chi può, affinché siate risuscitati in grazia con Cristo. Gesù dolce etc.





261. A ser Mariano prete nella Misericordia di Siena essendo a Montechiello.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso.

Dilettissimo e carissimo figlio mio in Cristo Gesù, io Caterina serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi cavaliere virile combattare virilmente in su questo campo della battaglia e non vòllarvi adietro a schifare neuno colpo che venisse, poiché sareste cavaliere senza gloria; ma virilmente pigliate l'arme sì che il colpo non passi dentro, cioè l'arme della santissima croce, poiché ella è quella arme che ci difende da ogni colpo e tentazione di demonio visibile e invisibile. Nella memoria del sangue arete la vittoria.

O figlio mio carissimo, quanto sarà beata l'anima vostra e la mia quando starete in questo campo della battaglia, mare tempestoso, armato dell'arme della carità, la quale acquistarete nella memoria della croce, prendendo lo coltello con che vi potiate difendare da' nemici che v'hanno assediato - cioè il coltello del timore e de l'amore -, quando vedete ch'i nemici delle molte cogitazioni v'assalissero o le creature che vi dessero esempio invitandovi a peccato. Allora tenete salda la memoria nel prezzo del sangue del quale tanto dolcemente sete ricomprato, e il coltello detto, percotendoli col santo timore di Dio, vedendo quanto gli è spiacevole lo peccato - ché per lo peccato è morto -, e quanto gli è piacevole la virtù; e con questo tutti gli sconfiggiarete.

Ricordivi di quel santo padre che si misse alla prova col fuoco dicendo: «Pensa anima mia che di questo ne va lo fuoco eterna: pruova questo fuoco e se puoi sostenerlo commette lo peccato». Così riprendete voi medesimo, guardando sempre che l'occhio di Dio è sopra di voi e non è cosa sì segreta che egli non vega; ed è rimuneratore del bene e del male, e neuno è che da questo giudicio si possa difendare. Perciò levatevi con sollicitudine e ricordivi che dovete morire e non sapete quando. Lo bene che egli rimunera si è amore, sì che per amore ogni cosa per lui vorrete sostenere; e il male vi darà timore col quale tagliarete e porrete freno alle perverse cogitazioni, sì che essendo armato, come detto è, i colpi delle tentazioni non vi faranno male, e adoparando il coltello con perseveranza rimarrete vincitore e sconfiggiarete i nemici vostri. Poi potrete dire quella dolce parola, quando verrà lo tempo de la morte, che dice Pavolo: «Io ho corso e òllo consumato, sempre osservando fede a te, Signore: ora ti dimando la corona della giustizia».

Bene è Perciò da perseverare: ponetevi al costato del Figlio di Dio e bagnatevi nell'abondanzia del sangue suo; e fate con umilità ciò che avete a fare, poiché il demonio non si caccia col demonio ma con la virtù della pazienza e con l' umilità. Siate buono dispensatore ai poverelli che n'hanno bisogno, e il conversare con cotesta gente sia sempre col timore di Dio. Se potete difendare quello dei povari con umilità, fatelo; quanto che no, sapiate andare nel tempo che voi sete.

Del comandamento del capitano fate dalla parte vostra ciò che potete. Confortate etc.

Rimanete etc. Gesù dolce Gesù amore.



262. A monna Tora, figlia di missere Piero Gambacorti da Pisa.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti vera serva e sposa di Cristo Crocifisso sì, e per sì-fatto modo, che per lo suo amore lo mondo ti venga a tedio con tutte le sue delizie, poiché non hanno in loro fermezza né stabilità veruna.

E tu vedi bene, figlia mia, che egli è così la verità: lo mondo ti si mostrò di grande bellezza e piacere; e ora ha mostrato che tutte le sue allegrezze e piaceri sono vani, caduchi, e germinano tristizia con grande amaritudine all'anima che disordenatamente le possede: elle tolgono la vita de la grazia e danno morte; e càdene l'anima in somma miseria e povertà. Bene è dunque da fuggirlo, e odiare la propria sensualità e ogni diletto del mondo, e dispregiarli con tutto lo cuore e con tutto l'affetto, e servire solo al nostro dolcissimo Creatore. Lo quale servire non è essere servo, ma fa regnare, perciò che tutti ci fa signori ne la vita durabile; e in questa vita diventa libero perché s'è sciolto dal legame del peccato mortale e de la morte del mondo e de la propria sensualità, e la ragione n'è fatta signore; e, signoreggiandola, è signore di tutto quanto lo mondo, poiché se ne fa beffe: e neuno è che pienamente lo possa possedere se non colui che perfettamente lo spregia.

E non sarebbe bene matta e stolta quella anima che può essere libera e sposa, ed ella si facesse serva e schiava - rivendendosi al demonio - e adultera? Certo sì. E questo fa l'anima che, essendo liberata da la servitudine del demonio, ricomprata del sangue di Cristo Crocifisso, non d'oro né d'argento, ma di sangue, ella tiene a vile sé, e non riconosce la dignità sua, e spregia e avilisce lo sangue del quale è ricomprata con tanto fuoco d'amore. E avendola Dio fatta sposa del Verbo del suo Figlio, lo quale dolce Gesù la sposò con la carne sua (poiché, quando egli fu circunciso, tanta carne si levò ne la circuncisione quanto una estremità d'uno anello, in segno che come sposo voleva sposare l'umana generazione), ed ella amando alcuna altra cosa fuore di lui - o padre o madre o suore o fratelli, ricchezze o stati del mondo -, diventa adultera, e non è sposa leale né fedele a lo sposo suo. Ché la vera sposa non ama altro che lo sposo suo: cioè cosa che fusse contro a la sua volontà.

E così debba fare la vera sposa di Cristo, cioè amare solamente lui con tutto lo cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze sue; e odiare quello che egli odia, cioè lo vizio e il peccato - che tanto l'odiò e gli dispiacque, che volse punirlo sopra lo corpo suo, in salute nostra -; e amare quello che egli ama, ciò sono le virtù, le quali si pruovano ne la carità del prossimo, servendolo con carità fraterna ne le sue necessità, secondo che c'è possibile. E però io voglio che tu sia sposa e serva fedele; e senza sposo non voglio che tu stia.

Secondo che io òe inteso, pare che Dio s'abbi chiamato a sé lo sposo tuo: de la quale cosa, se egli si dispose bene dell'anima sua, sono contenta che egli abbi quello vero fine per mezzo del quale egli fu creato. Unde, poiché Dio t'ha sciolta dal mondo, voglio che ti leghi con lui; e sposati a Cristo Crocifisso con l'anello della santissima fede. E vesteti non di bruno, cioè de la nerezza dell'amore proprio e del piacere del mondo, ma de la bianchezza de la purezza, conservando la mente e il corpo tuo ne lo stato de la continenzia. E sopra questa purezza ci pone lo mantello vermiglio de la carità di Dio e del prossimo tuo, affibbiato di perfetta umilità, con la fregiatura de le vere e reali virtù, con l'umile e continua orazione, poiché senza questo mezzo a veruna virtù potresti venire.

E fa' che tu lavi la faccia dell'anima tua con la confessione spesso, e con la contrizione del cuore: lo quale sarà uno unguento odorifero che ti farà piacere a lo Sposo tuo Cristo benedetto. E così adornata, va' a la mensa dell'altare a ricevere lo pane vivo che dà vita, cibo degli angeli, allora e al tempo suo, come è per le pasque e per le feste di Maria, e secondo che Dio ti dispone per cotali altre feste solenni. E dilettati di stare alla mensa continuamente de la santissima croce, e ine ti nasconde e serrati ne la camera sua, cioè nel costato di Cristo Crocifisso, dove tu trovarai lo bagno del sangue che egli t'ha fatto per levare la lebbra dell'anima tua. Ine trovarai lo segreto del cuore suo, mostrandoti nell'apritura del lato che t'ha amata e ama inestimabilemente.

E pensa che questo dolce Sposo è molto geloso, poiché non vede la sposa sua sì poco partire da sé che egli si sdegna, e ritrae dall'anima la grazia e la dolcezza sua. Voglio dunque che tu fugga la conversazione dei secolari e secolare, lo più che tu puoi, affinché tu non cadessi in cosa che lo Sposo tuo si partisse da te. E però sia abitatrice de la cella; e guarda che tu non perda lo tempo tuo, perciò che molto più ti sarebbe richiesto ora che prima, ma sempre essercita lo tempo o con l'orazione o con la lezione o con fare alcuna cosa manuale, affinché tu non caggi nell'ozio, poiché sarebbe pericolosa cosa. E resistendo virilmente senza veruno timore, ripara ai colpi con lo scudo de la santissima fede (Ep 6,16), confidandoti nel tu' Sposo Cristo, che sarà egli colui che combattarà per te. Io so che tu entrarai ora - o tu sei intrata, che dirò meglio vero - nel campo de le molte battaglie de le demonia - gittandoti molte cogitazioni e pensieri ne la mente tua - e de le creature, che non sarà meno forte battaglia, ma forse più. So che ti porranno innanzi che tu sia fanciulla, e però non stia bene in cotesto stato: quasi reputandoselo a vergogna i semplici ignoranti, e con poco lume, se non ti rallogassero al mondo. Ma tu sia forte e constante, fondata in su la viva pietra, e pensa che, se Dio sarà per te, veruno sarà contro te. Non credere né a demonio né a creature quando ti consigliassero di cosa che fusse fuore de la volontà di Dio, o contro lo stato de la continenzia.

Confidati in Cristo Crocifisso, ed egli ti farà passare questo mare tempestoso, e giugnarai al mare pacifico, dove è pace senza veruna guerra. Unde, a conducerti bene sicura al porto di vita eterna, ti consigliarei per tua utilità che tu entrassi ne la navicella de la santaobbedienza, poiché questa è più sicura e perfetta via, e fa navigare l'anima per questo mare non con le braccia sue, ma con le braccia dell'Ordine. E però io ti prego che tu ci dia pensiero, affinché tu sia più espedita a essere serva e sposa di Cristo Crocifisso; lo quale servire è regnare, come detto è. E per vederti regnare e vivere in grazia, dissi che io desideravo di vederti vera serva e sposa di Cristo Crocifisso. Abbi buona e santa pazienza in questo e in ogni altra cosa che ti potesse avenire. Altro non ti dico.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio.

Molto mi racomanda a missere Piero e a madonna Benedetta e a Lisabetta e a tutti gli altri. Gesù dolce, Gesù amore. Fatta a dì xxvi d'ottobre 1378.

Poi che ebbi scritta questa lettera ne ricevetti una da te. Sono molto allegra del tuo santo desiderio, e così ti prego che il conservi.



263. A madonna Montagna serva di Dio, in Capitone nel contado di Narni.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce Carissima e dilettissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi arsa e consumata nel fuoco della divina carità, la quale carità non cerca le cose sue (1Co 13,5), cioè che non cerca sé né il prossimo per sé, né Dio per sé: ma sé e il prossimo per Dio, e Dio per lui medesimo, in quanto egli è degno d'essere amato come somma eterna bontà.

Questo fuoco arde, e non consuma (Ex 3,2): non consuma dico affligitivamente, che affligga o disecchi l'anima (ma ingrassala, ugnendola di vera e perfetta umilità, la quale è baglia e nutrice da questa carità), ma consuma ogni amore propio spirituale e temporale e ogni altra cosa che trovasse ne l'anima fuore della dolce volontà di Dio. Dico che consuma l'amore propio temporale: poiché col lume ha cognosciuta sé, e le cose temporali e transitorie essere tutte strumento di morte che uccidono l'anima che disordinatamente le possiede; e però le comincia ad odiare, e gittarle fuore del cuore e della mente sua. E perché l'anima non può vivere senza amore, subito comincia a drizzare l'affetto e l'amore verso la ricchezza delle virtù, unde questo fuoco d'amore per forza del calore suo consuma l'altro amore. Poi che l'anima l'ha così consumato in sé, anco non è però perfetta, ma fino che non giogne a la sua perfezione le rimane un amore proprio spirituale o verso le creature o verso il Creatore, benché l'uno non è senza l'altro: poiché, con quella imperfezione che noi amiamo Dio, con quella amiamo la creatura che ha in sé ragione.

A che si vede che questo amore propio spirituale sia ne l'anima? Quando ama in sé la propia consolazione, per la quale lassarà di non adoperare la salute del prossimo suo - quando in quella opera si vedesse diminuire la pace e quiete della mente, o altri essercizii che per sua consolazione volesse fare -; o quando alcune volte amasse la creatura di spirituale amore, e a lei non paresse che quella creatura rispondesse a l'amore suo, o che avesse più stretta conversazione e mostrasse più amore a un'altra che a lei, ella ne sostiene pena gravissima, sdegno e dispiacere, e spesse volte giudicio nella mente sua, e dilungasi da quella creatura, sotto colore di umilità e di più avere la sua pace: ed egli è il proprio amore che ella ha a sé medesima.

Questi sonno i segni verso la creatura, che l'amore sensitivo spirituale non è anco consumato in quella anima; verso lo Creatore è quando la mente ricevesse alcuna tenebre, battaglie, o privazione delle consolazioni usate: se ella per questo viene a tedio o a confusione di mente, per la quale confusione e tedio spesse volte lassarà il dolce essercizio de l'orazione - la qual cosa non debba fare, ma per ogni modo debba pigliare la madre de l'orazione, e non partirla da sé -: che se ella lassa questo, o veruno atto virtuoso, segno è che l'amore è mercennaio, cioè che ella ama per propia consolazione, e che l'amore propio del diletto spirituale è anco radicato ne l'anima sua.

Dico che il fuoco della divina carità lo consuma, e leva la imperfezione; fa l'anima perfetta ne l'amore di Dio e carità del prossimo: non cura, per onore di Dio e salute de l'anime, di perdere le proprie consolazioni; non rifiuta labore, anco si diletta di stare in su la mensa del crociato desiderio, accompagnando l'umile e immacolato Agnello. Ella piagne con quelli che piangono (Rm 12,15), e fassi inferma con quegli che sonno infermi: poiché le colpe altrui reputa sue. Ella gode con quelli che godono (Rm 12,15), dilargando lo cuore nella carità del prossimo, che più è contenta del bene, pace e consolazione altrui, che di sé medesima. Dico che piagne e fassi inferma con quelli che piangono e che sono infermi. Quello che ama, ogni gente vorrebbe che l'amasse e non si scandelizza perché vedesse un altro essere più amato di lei; ma con vera umilità - perché reputa sé defettosa, e l'altre virtuose - le pare giusta cosa e convenevole che quella in cui si trova la virtù, sia più amata di lei. Per questo modo fugge ogni sdegno pena e fatiga, e rimane in pace e in quiete la mente sua.

Questa carità unisce l'anima con Dio, annegando la volontà sua, e vestela e uniscela con la eterna volontà di Dio, in tanto che di nessuna cosa si può scandelizzare né turbare la mente sua, se non dell'offese fatte al suo Creatore, e della dannazione de l'anime. Questo è uno fuoco che converte ogni cosa in sé, e fa levare l'affetto de l'anima sopra sé medesima, ricevendo tanta unione per elevazione di mente, che ha fatta nella divina carità, che il vasello del corpo suo perde ogni sentimento, in tanto che vedendo non vede, udendo non ode, parlando non parla, andando non va, toccando non tocca: tutti i sentimenti paiono legati, e pare perduta la virtù loro, perché l'affetto si perdette a sé, e unissi in Dio.

Unde Dio con la virtù e carità sua trasse a sé quello affetto: e però mancano i sentimenti del corpo, perché più perfetta è l'unione che l'anima ha fatta in lui, che quella che è dell'anima nel corpo. Egli trae a sé le facoltà dell'anima con tutte le sue opere, perché la memoria s'è impita del ricordo dei beneficii, e della grande bontà sua; l'intelletto ha posto dinanzi a sé la dottrina di Cristo crocifisso, data a noi per amore; e però la volontà corre con grandissimo affetto ad amarla. Allora tutte le opere sono ordinate e riunite nel nome suo. Ella gusta il latte della divina dolcezza, ella s'inebria del sangue di Cristo, e, come ebra, non si vuole satollare altro che d'obrobrii, abracciando rimproverii scherni e villanie, freddo e caldo, fame e sete, persecuzione dagli uomini e molestie dali demoni: in tutte si gloria col glorioso Pavolo in Cristo dolce Gesù.

Dissi che la carità non cercava sé, perché non sceglie tempo né luogo a modo suo, ma secondo che l'è conceduto dalla divina bontà; e però ogni luogo l'è luogo, ogni tempo l'è tempo. Tanto le pesa la tribolazione quanto la consolazione, perché ella cerca l'onore di Dio nella salute delle anime, con affetto d'acquistare le vere e reali virtù e di crescere in esse. Qui ha fatto lo suo principio: non nelle proprie consolazioni mentali, né in revelazioni; non in uccidere il corpo, ma la propria volontà, avendo veduto col lume che in quello non sta la perfezione de l'anima, ma sì in uccidere la propria volontà spirituale e temporale: e però liberamente la gitta nel fuoco della fornace della divina carità. Poi che ella v'è dentro, necessario è che ella sia arsa e consumata nel modo che detto è.

Poi che aviamo veduto non nulla a rispetto di quello che è quello che dà questa dolce madre della carità nell'anima, vediamo in che luogo s'acquista e con che. Dicovelo in poche parole: acquistasi col lume della santissima fede, la quale fede è la pupilla dell'occhio dell’intelletto. Con questo vede l'anima quello che deve amare, e quello che deve odiare; vedendo conosce, e conoscendo ama e odia quello che cognobbe della divina bontà, e della sua malizia e miseria, la quale era nociva a la salute sua. Chi ne fu cagione? lo lume onde procedette lo cognoscimento, e dal cognoscimento l'amore, poiché la cosa che non si conosce, non si può amare. Perciò lo lume ci conduce a questo fuoco, ed è unito l'uno coll'altro, ché fuoco non è senza lume, né lume senza fuoco.

Dove il troviamo? nella casa del cognoscimento di noi. In noi troviamo questo dolce e amoroso fuoco, perché per amore ci ha dato l'essere: creati siamo a la imagine e similitudine di Dio (Gn 1,26) e ricreati a grazia nel sangue di Cristo crocifisso, poiché l'amore di noi il tenne confitto e chiavellato in croce. Noi siamo quelli vaselli che aviamo ricevuta l'abbondanza del sangue; e tutte le grazie spirituali e temporali date a noi sopra l'essere, aviamo ricevute per amore. Sì che in sé trova l'anima, e conosce, questo fuoco dolce. Perciò con lume intriamo nella casa del cognoscimento di noi; e ine ci notricaremo della divina carità, vedendo noi essere amati da Dio inestimabilmente, la quale carità notrica al petto suo i figli delle virtù, e fa vivere l'anima in grazia: e senza essa saremmo sterili e private della vita. Considerando me questo, dissi ch'io desideravo - e così desidero in me con voi insieme - di vederci arse e consumate nella fornace della divina carità. Prego la clemenza dello Spirito santo che questo ci facci per grazia, affinché la divina bontà sia gloriata in noi, consumando la vita nostra in dolore e amaritudine dell'offese fatte a lui, con umile continua e fedele orazione per la santa Chiesa, e per ogni creatura. Anneghianci nel sangue de l'Agnello. Altro non vi dico. Umilemente mi vi raccomando.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





264. A madonna Giacoma, donna che fu di missere Trincia dei Trinci da Fulegno.


Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima sorella in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondate in vera e perfetta pazienza, considerando me che l'anima non può piacere a Dio né stare nella sua grazia senza la virtù della pazienza - poiché, essofatto che ella è impaziente, è privata di Dio per grazia -: poiché la impazienzia procede da l'amore proprio di sé medesima, vestita della propria volontà sensitiva, e l'amore proprio e la propria sensualità non è in Dio.

Perciò vedete che l'anima che è impaziente è privata di Dio.

Impossibile è, dice Cristo, che l'uomo possa servire a due signori, poiché se egli serve all'uno, egli sarà in contempto all'altro, perché sono contrarii (Mt 6,24 Lc 16,13). Lo mondo e Dio non hanno conformità insieme, e però sono tanto contrarii i servi del mondo ai servi di Dio: colui che serve al mondo non si diletta d'altro se non d'amare - con la propria sensualità e di disordenato amore - delizie, ricchezze, stati, onore e signoria; le quali cose tutte passano come lo vento, poiché non hanno in loro alcuna fermezza né stabilità. Appetisce la creatura con amore disordenato la longa vita, ed ella è breve; la sanità, e spesse volte ci conviene essere infermi. E tanto è la poca fermezza loro in ogni diletto e consolazione del mondo, che necessario è che o elle sieno tolte a noi, o che noi siamo tolti a loro. Alcune volte permette Dio che elle sieno tolte a noi: e questo è quando noi perdiamo la sustanzia temporale, o eziandio la vita corporale di coloro che noi amiamo; o egli viene caso che noi lassiamo loro: e questo è quando Dio ci chiama di questa vita, morendo corporalmente.

Dico che per lo disordenato amore che i servi del mondo hanno posto a loro medesimi, col quale amore disordenato amano ogni creatura - e figli e marito e fratelli e padre e madre; e tutti i diletti del mondo hanno -, perdendoli, e sostengono intollerabile pena, e sono impazienti e incomportabili a loro medesimi. E non è da maravigliarsene, poiché tanto si perdono con dolore, quanto l'affetto dell'anima le possede con amore. In questa vita gustano la caparra dell’inferno, in tanto che se essi non si proveggono in riconoscere le colpe loro, e con vera pazienza portare - considerando che Dio l'ha permesso per nostro bene -, giongono all'eterna dannazione.

O quanto è stolto, carissime suore e figlie, colui che si dà ad amare questo miserabile signore del mondo, lo quale non ha in sé alcuna fede, anco è pieno d'inganno; e ingannato rimane colui che se ne fida! Egli si mostra bello, ed egli è sozzo; egli ci vuole mostrare che egli sia fermo e stabile, ed egli si muta. Bene lo vediamo manifestamente: ché oggi siamo ricchi, e domane povari; oggi signori, e domane vassalli; oggi vivo, e domane morto: sì che vediamo dunque che non è fermo. Questo parbe che volesse dire quello glorioso di Paulo dicendo: «Abbiti cura a coloro che presummono di fidarsi di loro e del mondo, ché quando tu credi bene stare, e tu vieni meno» (1Co 10,12). E così è la verità; doviamo dunque levarci da l'amore e fidenzia che aviamo al mondo, poiché ci dà tanto male di colpa e di pena da qualunque lato noi ci volliamo. Elle danno molestia e scandalo a chi le possede fuore di Dio; in Dio dunque doviamo amare ciò che noi amiamo, e a gloria e a loda del nome suo.

E non vorrei che voi credeste che Dio non volesse che noi amassimo, poiché egli vuole che noi amiamo, poiché tutte le cose che sono fatte da lui sono degne d'essere amate - perché Dio, che è somma bontà, ha fatte tutte le cose buone, e non può fare altro che bene -, ma solo lo non amarle con ordine secondo Dio e con vera umilità, riconoscendole da lui, è quello che le fa gattive: ed è male di colpa. Questa colpa dunque, che è una disordenata nostra volontà con la quale amiamo, non è degna d'essere amata; anco è degna d'odio e di pena, perché non è in Dio. Molto è discordante veramente, questo misero signore del mondo, da Dio: Dio vuole virtù, e il mondo vizio; in Dio tutta pazienza, e il mondo impaziente.

In Cristo Crocifisso è tutta clemenza ed è fermo e stabile che mai non si muove, e le sue promesse non fallano mai, poiché egli è vita (Jn 1,4 Jn 14,6) e inde aviamo la vita; egli è verità (Jn 14,6) che attiene la promessa, ogni bene remunera e ogni colpa punisce; egli è luce che ci dà lume (Jn 8,12); egli è nostra speranza, nostro proveditore e nostra fortezza; e a chi si confida in lui, egli non manca mai, poiché tanto quanto l'anima si confida nel suo Creatore, tanto è proveduta. Egli priva della debolezza, e fortifica lo cuore del tribulato che con vera umilità e confidenzia chiede l'aiutorio suo, pur che noi volliamo l'occhio dell’intelletto - con vero lume - a la sua inestimabile carità. Lo quale lume acquistaremo ne l'obiettivo del sangue di Cristo Crocifisso; poiché senza lo lume non potremmo vedere quanto è miserabile cosa amare lo mondo, né quanto è bene e utilità amare e temere Dio: ché, non vedendo, non si potrebbe amare chi è degno d'amore, né dispregiare lo vizio e il peccato, che è degno d'odio.

Or a questo dolce Signore voglio che con vera pazienza voi serviate. Voi avete provato quanto è penosa la servitudine del mondo, e con quanta pena viene tosto meno; dunque acostatevi a Cristo Crocifisso, e lui cominciate a servire con tutto lo cuore e con tutta l'anima, e con vera pazienza portare la santa disciplina che egli v'ha posta non per odio, ma per amore che egli ebbe alla salute dell'anima sua, a la quale ebbe tanta misericordia, permettendo che morisse nel servizio della santa Chiesa: ché, essendo morto in altro modo - per li molti viluppi e tenerezze del mondo e affanno degli amici e dei parenti, i quali spesse volte sono impedimento della nostra salute -, avrebbe avuto molto che fare. Volendo dunque Dio, che l'amava di singulare amore, provedere alla sua salute, permisse di conducerlo a quello punto, lo quale fu dolce all'anima sua. E voi dovete essere amatrice più dell'anima che del corpo, poiché lo corpo è mortale, ed è cosa finita, e l'anima è immortale e infinita.

Sì che vedete che la somma providenzia ha proveduto a la sua salute; e a voi ha proveduto di farvi portare delle fatiche per avere di che remunerarvi in vita eterna. Già aviamo detto che ogni bene è remunerato, e ogni colpa è punita: cioè ogni pena e tribulazione che con pazienza si porta, e ogni impazienzia e mormorazione che aviamo, e odio contro Dio e il prossimo nostro e noi medesimi. E anco ha voluto lo dolce e buono Gesù che cognosciate che cosa è lo mondo, e quanto è miserabile cosa a farsi Dio dei figli, o marito, o stato, o d'alcuna altra cosa.

E se voi mi diceste: «La fatica è sì grande che io non la posso portare», io vi rispondo, carissima sorella, che la fatica è piccola, e puossi portare. Dico che è piccola per la piccolezza e brevità del tempo, poiché tanto è grande la fatica quanto lo tempo, ché, passati che noi siamo di questa vita, sono finite le nostre fatiche. Lo tempo nostro quanto è? Dicono i santi che egli è quanto una punta d'aco, che per altezza né per lunghezza non è nulla: così è la vita del corpo nostro, poiché subito viene meno quando piace alla divina bontà di trarci di questa vita. Dico che si può portare, poiché nullo è che le possa togliere da sé per alcuna impazienzia. Assai dica: «Io non posso né voglio portare», che gli conviene pur portare; e il suo non volere agiogne fatica sopra fatica con la propria sua volontà, nella quale volontà sta ogni pena, poiché tanto è grande la fatica, quanto la volontà la fa grande: tollemi la volontà, ed è tolta la fatica.

E con che si tolle questa volontà? Con la memoria del sangue di Cristo Crocifisso. Questo sangue è di tanto diletto che ogni amaritudine, nella memoria di questo sangue, diventa dolce, e ogni grande peso diventa leggiero: - poiché nel sangue di Cristo troviamo l'amore ineffabile con che siamo amati da lui poiché per amore ci ha data la vita e rendutaci la grazia, la quale per lo peccato perdemmo -; nel sangue troviamo la larghezza della sua misericordia; e ine si vede che Dio non vuole altro che lo nostro bene. O sangue dolce, che inebbri l'anima! Egli è quello sangue che dà pazienza; egli ci veste lo vestimento nuziale col quale ci conviene entrare a vita eterna: questo è lo vestimento della carità, senza lo quale saremmo cacciati del convito di vita eterna (Mt 22,11-13). Veramente, carissima sorella, che nella memoria di questo sangue acquistiamo ogni diletto e ogni refrigerio in ogni nostra fatica e avversità. E però vi dissi che con la memoria del sangue di Cristo si tolleva la volontà sensitiva, la quale ci dà impazienzia; e vesteci, la detta memoria del sangue, de la volontà di Dio, dove l'anima porta con tanta pazienza che di nessuna cosa che l'avenga si può turbare, ma duolsi più quando si sentisse dolore de le fatiche, e ribellare alla volontà di Dio, che non fa delle proprie fatiche. E così dovete fare voi, e dolervi del sentimento vostro che si duole; e per questo modo mortificarete lo vizio dell'ira e della impazienzia, e verrete a perfetta virtù.

E se voi considerate in voi medesima quante sono le pene che Cristo ha portate per voi; e con quanto amore ve l'ha concedute, solo perché siate santificata in lui; e quanto la fatica è piccola per la brevità del tempo, come detto è; e come ogni nostra fatica sarà remunerata; e quanto Dio è buono, e che la sua bontà non può volere se non tutto nostro bene, dico che ogni cosa - avendo questa santa considerazione - vi farà portare leggiermente, e ogni tribulazione, con vero cognoscimento dei nostri difetti - ché meritiamo ogni fatica - e della bontà di Dio in noi, dove noi troviamo tanta misericordia: ché per le nostre colpe meritaremmo pena infinita ed egli ci punisce con queste pene finite; e insiememente si scontia lo peccato e meritiamo vita eterna per la grazia sua - chi serve lui portando con vera pazienza -. Lo quale è di tanta benignità, che lo servire a lui non è essere servo, ma è regnare; e tutti gli fa re e signori liberi, perché gli ha tratti della servitudine del demonio, e del perverso tiranno del mondo, e della oscura sua servitudine.

Or su dunque, carissime figlie, poi che tanto è amaro lo servire e amare di disordenato amore lo mondo le creature e noi medesimi; ed è tanto dolce a servire e a temere lo nostro dolce Salvatore, signore nostro naturale - che ci ha amati prima che noi fussimo, per la sua infinita carità! - Non è dunque da perdere più lo tempo, ma con vero lume e viva fede, confidandoci che egli ci soverrà a ogni nostro bisogno, lo serviamo con tutto lo cuore e con tutto l'affetto e con tutte le forze nostre, e con reale pazienza, la quale è piena di dolcezza.

Questa virtù è sempre donna, sempre vince, e non è mai vinta, poiché non si lassa signoreggiare né possedere dall'ira; chi l'ha, non vede morte eterna, ma in questa vita gusta la caparra di vita eterna. E senza essa stiamo nella morte, privati del bene della terra e del bene del cielo. E però dissi, vedendo tanto pericolo, e sentendo che - per lo caso occorso a voi - voi n'avavate bisogno a ciò che non perdeste lo frutto delle vostre fatiche, dissi che io desideravo di vedervi fondate in vera e perfetta pazienza. E così dovete fare, a ciò che, quando sarete richieste dalla prima dolce Verità nell'ultimo punto de la morte, potiate dire: «Signore mio, io ho corso () e consumata questa vita con fede e con speranza che io ebbi in te, portando con pazienza le fatiche che per mio bene mi concedesti. Ora t'adimando per grazia, per li meriti del sangue tuo, che tu mi doni te, lo quale sei vita senza morte, luce senza tenebre, sazietà senza alcuno fastidio, e fame dilettevole senza alcuna pena: pieno d'ogni bene in tanto che la lingua nol può dire, né lo cuore pensare, né l'occhio vedere quanto è quello bene che tu hai apparecchiato a me e agli altri che sostengono volontariamente ogni fatica per lo tuo amore».

Io vi prometto, carissima sorella, che facendo così, Dio vi rimettarà ancora nella casa vostra temporale, e nell'ultimo tornarete alla patria vostra di Yerusalem, visione di pace; sì come fece a Job, ché, provato che egli ebbe la sua pazienza (avendo perduto ciò che egli aveva (Jb 1,14-17), morti i figli (Jb 1,18-19), e perduto l'avere e toltogli la sanità (Jb 2,7) - in tanto che le sue carni menavano vermini -, la moglie gli era rimasa per suo stimolo, che sempre lo tribolava (Jb 2,9); e in tutte queste cose Job non si lagna, anco dice: «Dio me le dié, e Dio me l'ha tolte; in ogni cosa sia gloriato lo nome suo » (Jb 1,21)), vedendo Dio tanta pazienza in Job, gli restituì d'ogni cosa lo doppio più che non aveva (Jb 42,10), dandoli qui la sua grazia, e nel fine vita eterna.

Or così fate voi, e non vi lassate ingannare alla passione sensitiva, né al mondo, né al demonio, né a detto d'alcuna creatura. E guardatevi da l'odio del cuore verso lo prossimo vostro, poiché egli è la peggiore lebra che sia. L'odio fa nell'anima come colui che vuole uccidere lo nemico suo; il quale, vollendo la punta del coltello verso di lui, uccide prima sé medesimo, che egli uccida. Così l'odio: poiché prima è morta l'anima dal coltello de l'odio, che egli uccida altrui. Spero nella bontà di Dio che il farete.

E a ciò che meglio lo potiate fare, usate di confessarvi spesso, e di ritrovarvi volentieri coi servi di Dio, e di dilettarvi de l'orazione, dove l'anima conosce meglio e sé e Dio. Bagnatevi nel sangue di Cristo Crocifisso. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 17:23

265. A Francesco e a monna Agnesa predetti.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spogliati di voi medesimi e vestiti di Cristo Crocifisso (Ep 4,22-24), morti ad ogni propria voluntà, e a ogni parere e piacere umano; e solo viva in voi la dolce sua volontà, poiché in altro modo non vedo che poteste perseverare ne la virtù, e, non perseverando, non ricevareste la corona de la beatitudine, e così avreste perduto lo frutto de le vostre fatiche.

Voglio Perciò, figli miei dolci, che in tutto vi studiate d'uccidere questa perversa volontà sensitiva, la quale sempre vuole ribellare a Dio. Lo modo da uccidarla è questo: di salire sopra la sedia de la conscienzia vostra, e tenersi ragione, e non lasciare passare uno minimo pensiero fuore di Dio che non sia corretto con grande rimproverio.

Faccia l'uomo due parti di sé, cioè la sensualità e la ragione: questa ragione tragga fuore lo coltello dei due tagli, cioè odio del vizio e amore de la virtù, e con esso tenga la sensualità per serva, dibarbicando e divellendo ogni vizio e movimento di vizio de l'anima sua. E mai non dia a questa serva cosa che ella gli adomandi: ma con l'amore de le virtù conculcarla sotto i piei dell'affetto. Se ella vuole dormire, e tu con la vigilia e con l'umile orazione; se vuole mangiare, e tu digiuna; se si leva con concupiscenzia, e tu con la disciplina; se vuole starsi in negligenzia, e tu con l'essercizio santo; se s'aviluppa - per sua fragilità o per illusione del demonio - in vani e disonesti pensieri, e tu ti leva col rimproverio, vituperandola, e con la memoria de la morte la 'mpaurisce, e con santi pensieri cacciare i disonesti: e così in ogni cosa fare forza a voi medesimi. Ma ogni cosa con discrezione, cioè, de la vita corporale, pigliando la necessità de la natura, a ciò che il corpo, come strumento, possi aitare all'anima, ed essercitarsi per Dio.

Per questo modo, con molta forza e violenzia che farete a questa perversa legge de la carne nostra e de la voluntà propria, avrete vittoria di tutti i vizii, e acquistarete in voi tutte le virtù. Ma questo non vedo che poteste fare mentre che fuste vestiti di voi, e però vi dissi che io desideravo di vedervene spogliati, e vestiti di Cristo Crocifisso, e così vi prego strettissimamente che v'ingegniate di fare, a ciò che voi siate la gloria mia. Fate che io vi vegga due specchi di virtù nel conspetto di Dio, e levatevi oggimai da tanta negligenzia e ignoranza quanta io sento in voi; non mi date materia di pianto, ma d'allegrezza. Non dico più qui.

Spero ne la bontà di Dio che ancora mi darà consolazione di voi.

Per molte occupazioni e per la poca mia carità, non v'ho scritto già è buono pezzo. Non voglio poiché ne pigliate pena, ma con fede viva tenete che più che mai desidero di vedervi scritti nel libro de la vita, e dinanzi a Dio vi tengo con quello desiderio che è piaciuto e piace a la sua bontà di infondere nell'anima di me miserabile, e così intendo di fare per lo inanzi, mediante la divina grazia. Altro non vi dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.

Confortate e benedite Bartalo e monna Orsa con tutta la loro fameglia, e beneditemi Bastiano. Diteli che impari di forza e che si guardi da l'usanze dei gattivi fanciulli, ché se nol farà io gli sarò più presso che egli non crede. Tutti stiamo bene per la grazia di Dio. Lisa, Alessa e le Giovanne molto vi confortano in Cristo Gesù, e questo negligente di Barduccio vi si racomanda. Se con questa vi sono date due altre lettere, fate che tosto siano date a cui elle vanno. Gesù dolce, Gesù amore.




266. A messere Ristoro Canigiani da Fiorenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi privato d'ogni amore proprio di voi medesimo, affinché non perdiate lo lume e il cognoscimento di vedere l'amore ineffabile che Dio v'ha.

E perché il lume è quello che cel fa conoscere, e l'amore proprio è quella cosa che ci tolle il lume, però ho grandissimo desiderio di vederlo spento in voi. Oh quanto è pericoloso alla nostra salute questo amore proprio! Egli priva l'anima della grazia, perché le priva della carità di Dio e del prossimo - la quale carità ci fa vivere in grazia -; egli ci tolle il lume, come dicemmo, perché offusca l'occhio dell'intelletto: tolto lo lume, andiamo in tenebre e non cognosciamo quello che c'è necessario. Che c'è necessario conoscere? La grande bontà di Dio e la ineffabile carità sua inverso di noi; la nostra miseria e la legge perversa che sempre combatte contro lo spirito. In questo cognoscimento l'anima comincia a rendare il debito suo a Dio - cioè gloria e loda al nome suo, amando lui sopra ogni cosa, e il prossimo come sé medesimo (Mt 22,37-39 Mc 12,30-31 Lc 10,27), con fame e desiderio delle virtù -; a sé rende odio e dispiacere, odiando in sé lo vizio e la propria sensualità che è cagione d'ogni vizio. Ogni virtù e grazia acquista l'anima nel cognoscimento di sé, standovi dentro col lume, come detto è. Dove trovarrà l'anima la ricchezza della contrizione delle colpe sue, e l'abbondanza della misericordia di Dio? In questa casa del cognoscimento di sé. Or vediamo se noi ce la troviamo o no.

Parlianne alcuna cosa perché, secondo che mi scriveste, voi avete desiderio d'avere contrizione dei vostri peccati; e non parendovela avere, per questo lassavate la santa comunione. E anco vedremo se per questo si debba lasciare. Voi sapete che Dio è sommamente buono, e amocci prima che noi fussimo; ed è eterna sapienza; e la sua potenza e virtù è inestimabile: unde per questo siamo certi che egli ci sa dare quello che ci bisogna, e che egli può e vuole. E bene vediamo per pruova che egli ci dà più che non sappiamo adimandare, e quello che non è adimandato per noi. Pregammolo noi mai che egli ci creasse più creature ragionevoli, ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), che animali bruti? No, né che egli ci recreasse a grazia nel sangue del Verbo unigenito suo Figlio, né che egli ci lassasse in cibo tutto sé Dio e Uomo, la carne e il sangue, lo corpo e l'anima unita nella deità. Oltre a questi altissimi doni, i quali sonno sì grandi - e tanto fuoco d'amore ci mostrano che non è cuore sì duro o di pietra che, a considerarli punto, non si dissolvesse la durezza e fredezza sua -, infinite sonno le grazie e doni che riceviamo da lui senza nostro adimandare. Perciò, poiché egli dà tanto senza nostro chiedere, quanto maggiormente compirà i desiderii nostri quando desiderremo cosa giusta? Anco, chi ce le fa desiderare e adimandare? Solamente egli. Dunque se egli le fa adimandare, segno è che egli le vuole compire, e dare quello che adomandiamo.

Ma voi mi direte: «Io confesso che egli è ciò che tu dici; ma unde viene che molte volte io adimando e la contrizione e dell'altre cose, e non pare che mi siano date?». Io vi rispondo: o egli è per difetto di colui che adimanda, dimandando imprudentemente, solo con la parola e non con altro affetto (di questi cotali disse il nostro Salvatore che il chiamano «Signore, signore!», dicendo che non saranno cognosciuti da lui (Mt 7,22-23 Lc 13,25): non che egli non gli conosca; ma per li loro difetti non saranno cognosciuti dalla misericordia sua). O egli dimanda cosa che, avendola, sarebbe nociva alla salute sua, unde, non avendo quello che dimanda, sì l'ha, poiché egli lo dimanda credendo che sia suo bene: avendolo gli farebbe male, e non avendolo gli fa bene; e così Dio ha compita la sua intenzione con la quale adomandava.

Sì che dalla parte di Dio sempre l'aviamo; ma è bene questo, che Dio sa l'occulto e il palese, e conosce le nostre imperfezioni: unde vede che, se subito egli ci desse la grazia che noi adomandiamo, noi faremmo come la mosca che è animale immondo, la quale, levata dal mèle che è dolcissimo, non si cura di ponersi in su la cosa fetida. Così vede Dio che spesse volte facciamo noi che, ricevendo delle grazie e dei beneficii suoi, participando la dolcezza della sua carità, non ci curiamo di ponarci in su le miserie, tornando al vomito del fracidume del mondo (2P 2,22 Pr 26,11). E però Dio alcune volte non ci dà, così tosto come vorremmo, quello che adomandiamo, per farci crescere in fame e in desiderio; e perché si diletta, cioè piaceli, di vedere innanzi a sé la fame della sua creatura.

Alcune volte farà la grazia dandola in effetto, ma non per sentimento: questo modo usa con providenzia perché conosce che, se l'anima se la sentisse avere, o allentarebbe la fune del desiderio, o verrebbe a presunzione: e però sottraie lo sentimento, ma non la grazia. Altri sonno che ricevono e sentono, secondo che piace alla dolce bontà sua, come nostro medico, di dare a noi infermi: a ognuno dà per quello modo che bisogna alle nostre infermità. Perciò vedete che, in ogni modo, l'affetto della creatura col quale dimanda a Dio sempre è adempito.

Ora vediamo quello che doviamo adimandare, e con che prudenzia. Parmi che la prima dolce Verità c'insegni quello che doviamo adimandare, quando disse nel santo Evangelio, riprendendo l'uomo della disordinata sollicitudine sua, la quale mette in acquistare e tenere gli stati e le ricchezze del mondo, dicendo: «Non voliate pensare del dì di domane, basta il dì la sollicitudine sua» (Mt 6,34). Qui ci mostra che con prudenzia raguardiamo la brevità del tempo. Poi soggiogne: «Domandate prima lo reame del cielo; ché queste cose minime, ben sa lo Padre celestiale che voi n'avete bisogno» (Mt 6,33-32 Lc 12,31).

Quale è questo reame? E con che s'adimanda? I il reame di vita eterna, ed è il reame de l'anima nostra, lo quale reame de l'anima, se non è posseduto dalla ragione, giamai non entra nel reame di Dio. Con che si dimanda? Non solamente con la parola - ché già aviamo detto che questi cotali non sonno cognosciuti da Dio -, ma con l'affetto delle vere e reali virtù.

La virtù è quella che dimanda e possiede il reame del cielo, la quale virtù fa l'uomo prudente, che con prudenzia e maturità adopera in onore di Dio, in salute sua e del prossimo, portando e sopportando i difetti suoi: con prudenzia ordina l'affetto della carità, amando Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come sé medesima. L'ordine è questo: che egli dispone di dare la vita del corpo suo per salute de l'anime, e la substanzia temporale per campare lo corpo del prossimo suo. Questo ordine pone la carità prudente; se fusse imprudente farebbe tutto lo contrario, come fanno molti che usano una stolta e matta carità, che molte volte, per campare il prossimo loro - non che l'anima, ma la vita corporale - ne pongono l'anima loro, con giuri e menzogne, dando false testimonanze. Costoro perdono la carità, perché non è condita con la prudenzia.

Veduto aviamo che ci conviene adimandare il reame del cielo prudentemente. Ora vi rispondo al modo che doviamo tenere della santa comunione, e come ce la conviene prendere; e non doviamo usare una stolta umilità, come fanno molti secolari mondani. Dico che ci conviene prendere questo dolce sacramento, perché ci è comandato e perché egli è cibo de l'anima, senza lo quale cibo non possiamo vivere in grazia. Poiché neuno legame è tanto grande nell'anima che non si debba e possa tagliare per potere venire a questo dolce sacramento, debbe fare l'uomo dalla parte sua ciò che può: e bastali.

Come il doviamo prendere? Con la bocca del santo desiderio; e col lume della santissima fede raguardare tutto Dio e tutto Uomo in quella ostia. Allora l'affetto che va dietro a lo intelletto prende con uno affettuoso amore, con una santa considerazione dei difetti e peccati suoi, unde viene a contrizione; e considera la larghezza della inestimabile carità di Dio che con tanto amore se gli è dato in cibo. E perché non gli paia avere quella perfetta contrizione e disposizione che esso medesimo vorrebbe, non debba lasciare però; perché egli è sufficiente solo la buona voluntà e disposizione che dalla sua parte ha fatta.

Anco dico che cel conviene prendere sì come fu comandato nel Testamento Vecchio, quando fu comandato che si mangiasse l'agnello arrostito e non lesso; tutto e non parte; cinti e ritti, col bastone in mano; e il sangue dell'agnello ponessimo sopra il limitare dell'uscio (Ex 12,3-11). Per questo modo ci conviene prendere questo sacramento: mangiarlo arrostito, e non lesso, però ché, lesso, v'è in mezzo - tra l'agnello e il fuoco - l'acqua e la terra, cioè l'affetto terreno e l'acqua del proprio amore. E però vuole essere arrostito, che non v'è in mezzo nulla: allora si prende arrostito quando lo riceviamo col fuoco della divina dolce carità. E doviamo essere cinti col cingolo della continenzia, ché troppo sarebbe sconvenevole cosa che a tanta mundizia e purezza s'andasse con la mente e con lo corpo immondi. Doviamo stare ritti, cioè che il cuore e la mente nostra sia tutto fedele e drizzato in Dio; col bastone in mano, cioè il bastone della santissima croce, unde traiamo la dottrina di Cristo crocifisso, che è quello bastone al quale noi ci appogiamo, e che ci difende da' nemici nostri, cioè dal mondo, dal demonio e dalla carne. E conviensi mangiare tutto, e non parte: cioè che col lume della fede doviamo raguardare non solamente l'umanità in questo sacramento, ma lo corpo e l'anima di Cristo crocifisso unita e impastata con la deità, tutto Dio e tutto Uomo. Convienci togliere il sangue di questo Agnello, e ponercelo in fronte, cioè confessarlo ad ogni creatura che ha in sé ragione, e mai non dinegarlo né per pena né per morte. Or così dolcemente ci conviene prendere questo Agnello arrostito al fuoco della carità in sul legno della croce: così saremo trovati segnati del segno di tau (Ez 9,4), e non sarremo percossi da l'Angelo percussore (Ex 12,23).

Dissi che non ci conviene fare come gl'imprudenti secolari, i quali trapassano il comandamento della santa Chiesa, dicendo: «Io non ne sono degno»; e così passano luongo tempo col peccato mortale e senza lo cibo de l'anima loro. O umilità stolta! E chi non vede che tu non ne sei degno? Quale tempo aspetti d'esserne degno? Non l'aspettare, ché tanto ne sarai degno nell'ultimo, quanto nel principio, ché con tutte le nostre giustizie non ne saremo mai degni. Ma Dio è colui che è degno, e della sua dignità fa degni noi.

La sua dignità non diminuisce mai. Che doviamo fare? Disponerci dalla parte nostra, e osservare il dolce comandamento. Che se noi lassassimo la comunione, nel modo detto, credendo fuggire la colpa cadremmo nella colpa.

E però io conchiudo e voglio che così-fatta stoltizia non sia in voi; ma che vi disponiate, come fedele cristiano, a ricevere questa santa comunione nel modo che detto è. Tanto perfettamente il farete, quanto starete nel cognoscimento di voi, altrimenti no; poiché, standoci, ogni cosa vedrete coraggiosamente. Non allentarete il desiderio vostro per pena o per danno, né per ingiuria che riceviate, né per ingratitudine di coloro ai quali voi avete servito; ma virilmente con longa e vera perseveranza perseverrete fino alla morte, e così vi prego per l'amore di Cristo crocifisso. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



267. A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero combattitore contro le molestie e insidie del demonio, e contro le malizie e persecuzioni delli uomini, e contro lo vostro proprio amore sensitivo, lo quale è quello nemico che se la persona non lo parte da sé con la virtù, e con odio santo, già mai non può essere forte contro all'altre battaglie che tutto dì riceviamo.

Perché l'amore proprio indebilisce, e però c'è necessario di privarcene con la forza della virtù, la quale acquistaremo nell'amore ineffabile che Dio ci ha manifestato col mezzo del sangue dell'unigenito suo Figlio. Lo quale amore, tratto dell'amore divino, ci dà lume e vita; lume in conoscere la verità: quanto egli è necessario, alla nostra salute e ad acquistare la grande perfezione, lo sostenere con vera pazienza e fortezza e constanzia infine alla morte; da la quale fortezza, acquistata dal lume che ci fece conoscere la verità, acquistiamo la vita della divina grazia.

Inebriatevi dunque nel sangue dello immacolato Agnello; e siate servo fedele, e non infedele, al vostro Creatore; e non dubbitate, né vollete lo capo indietro per alcuna battaglia o tenebre che vi venisse, ma con fede perseverate fino alla morte, poiché voi sapete bene che la perseveranza vi darà lo frutto de la vostra fatica.

HO inteso da alcuna serva di Dio, la quale vi tiene per continua orazione dinanzi da lui, che avete sentite grandissime battaglie; e tenebre sono cadute nella mente vostra per illusione e inganno del demonio, volendovi fare vedere lo torto per ritto, e il ritto per torto: e questo fa perché veniate meno nell'andare, a ciò che non giogniate al termine. Ma confortatevi, ché Dio ha proveduto e provedarà, e non vi mancarà la providenzia sua. Fate che in tutto ricorriate a Maria, abracciando la santissima croce, e non vi lassate venire mai a confusione di mente, ma nel mare tempestoso navicate con la navicella de la divina misericordia.

So che dagli uomini religiosi o secolari, e anco nel corpo mistico de la santa Chiesa, se riceveste o aveste ricevuto alcuna persecuzione o pentimento e indegnazione dal vicario di Cristo - o per voi, o aveste sostenuto o sosteneste per me con tutte queste creature -, non state a contastare ma con pazienza sostenete: partendovi di subito, e andandovene in cella a conoscere voi medesimo con una santa considerazione; pensando che Dio vi facci degno di sostenere per amore della verità e d'essere perseguitato per lo nome suo (Ac 5,41 1P 4,14); con vera umilità reputandovi degno della pena, e indegno del frutto. E tutte le cose che avete a fare, fate con prudenzia, ponendovi Dio dinanzi all'occhio vostro; e ciò che avete a dire o a fare, ditelo e fatelo inanzi tra Dio e a voi, col mezzo della santissima orazione. Ine trovarete lo dottore de la clemenza dello Spirito santo, lo quale infonderà uno lume di sapienza in voi che vi farà discernere ed scegliere quello che sarà suo onore. Questa è la dottrina che v'è data da la prima dolce Verità, procurando al vostro bisogno con smisurato amore.

Se venisse lo caso, carissimo padre, che vi trovaste dprima della Santità del vicario di Cristo, dolcissimo e santissimo padre nostro, umilmente me li racomandate; rendendomi io in colpa alla Santità sua di molta ignoranza e negligenzia che io ho commessa contro Dio, e disobbedienza contro lo mio Creatore, lo quale m'invitava a gridare con ansietato desiderio: con l'orazione, che io gridasse dinanzi da lui; o con la parola e presenza fussi presso al vicario suo. Per tutti quanti i modi ho commessi smisurati difetti, per li quali io credo che egli abbi ricevute molte persecuzioni, e la Chiesa santa, per le molte iniquità mie. Per la quale cosa, se egli si lagna di me egli ha ragione, e di punirmi dei difetti miei; ma diteli che io m'ingegnarò, giusta al mio potere, di correggiarmi ne le colpe mie, e di fare più a pieno l'obedienzia sua.

Sì che io spero, per la divina bontà, che vollarà l'occhio della sua misericordia verso della Sposa di Cristo e del vicario suo, e verso di me, tollendomi i difetti e la mia ignoranza; e verso della sposa in darle refrigerio di pace e di renovazione, con molto sostenere - poiché in altro modo che senza fatica non si possono trare le spine dei molti difetti, che affogano lo giardino della santa Chiesa -; e a lui farà grazia colà dove egli voglia essere uomo virile, e non vòllere lo capo indietro per alcuna fatica o persecuzione che egli riceva dagl'iniqui figli; ma, costante e perseverante, non schifi labore ma, come uno agnello, si gitti nel mezzo dei lupi (Mt 9,16), con fame e desiderio de l'onore di Dio e della salute delle anime, lassando e alienando la cura delle cose temporali - e attendere a le spirituali -. Facendo così - che gli è richiesto da la divina bontà -, l'agnello signoreggiarà i lupi, e i lupi tornaranno agnelli; e così vedaremo la gloria e la loda del nome di Dio, bene pace e utilità della santa Chiesa. Per altra via non si può fare; non con guerra, ma con pace e benignità, con quella santa punizione spirituale che deve dare lo padre al suo figlio quando commette la colpa.

Oimé, oimé, oimé, santissimo padre, lo primo dì che veniste nel luogo vostro l'aveste fatto! Spero nella bontà di Dio e nella santità vostra che quello che non è fatto farete; e per questo modo si racquistano le temporali e le spirituali. Questo vi richiese - come voi sapete che vi fu detto - Dio che faceste: di procurare alla reformazione della santa Chiesa - procurando in punire i difetti e in piantare i virtuosi pastori -; e pigliaste la pace santa con gl'iniqui figli per lo migliore modo e più piacevole secondo Dio che fare si potesse, sì che poteste attendere a riparare con l'arme vostra del gonfalone della santissima croce sopra gl'infedeli. Credo che le nostre negligenzie ed lo non fare ciò che si può, non con crudeltà, né pur con guerra, ma con pace e benignità - sempre dando la punizione a chi ha commesso lo difetto: non quanto egli merita, poiché non potrebbe tanto portare quanto egli merita più, ma secondo che lo infermo è atto per potere portare - sieno cagione che è gionta tanta ruina e danno e inreverenzia della santa Chiesa e dei amministri suoi, quanto egli è. E temo che se non si remedisse di fare quello che non è fatto, che i nostri peccati non meritassero tanto che noi vedessimo venire maggiori inconvenienti, che ci cociarebbero più che non fa lo perdere le cose temporali.

Di tutti questi mali e pene vostre io miserabile ne sono cagione per la poca mia virtù, e per molta mia disobbedienza. santissimo padre, miticate col lume della ragione, e con la verità, lo dispiacere verso di me, non per punizione, ma per dispiacere. E a cui ricorro, se voi m'abandonaste? chi mi soverrebbe? a cui refuggo, se voi mi cacciaste? I persecutori mi perseguitano, e io refuggo a voi e agli altri figli e servi di Dio. E se voi m'abandonaste pigliando dispiacere e indignazione, e io mi nasconderò nelle piaghe di Cristo Crocifisso, di cui voi sete vicario: so che mi ricevarà, perché non vuole la morte del peccatore.

Essendo ricevuta da lui, voi non mi cacciarete; anco staremo nel luogo vostro a combattere virilmente con l'arme de la virtù per la dolce Sposa di Cristo. In lui voglio terminare la vita mia, con lacrime, con sudori, e con sospiri, e dare lo sangue e le mirolla dell'ossa. E se tutto lo mondo mi cacciasse, io non me ne curarò, riposandomi, con pianto e con molto sostenere, al petto de la dolce sposa. Perdonatemi, santissimo padre, ogni mia ignoranza e offesa che Io ho fatto a Dio e a la vostra Santità. La verità sia quella che mi scusi e mi deliberi: Verità eterna. Umilemente dimando la vostra benedizione.

A voi dico, padre carissimo, che, quanto è possibile a voi, siate dprima della Santità sua con virile cuore, e senza alcuna pena o timore servile; e prima siate in cella dinanzi a Maria e alla santissima croce, con santissima orazione e umile, e con vero cognoscimento di voi, e con viva fede e volontà di sostenere. E poi andate sicuramente, e adoperate ciò che si può per onore di Dio e salute delle anime, infine alla morte; e anunziateli quello che io vi scrivo in questa lettera, secondo che lo Spirito santo vi ministrarà. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



268. Alli Anziani, Consoli e Gonfaloniere di giustizia della città di Bologna.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spogliati dell’uomo vecchio e vestiti dell’uomo nuovo: cioè spogliati del mondo e del proprio amore sensitivo, che è lo vecchio peccato di Adam, e vestiti del nuovo Cristo dolce Gesù, cioè dell'affettuosa sua carità.

La quale carità, quando è nell'anima, non cerca le cose sue proprie (1Co 13,5): ma è liberale e largo a rendere lo debito a Dio - cioè d'amarlo sopra ogni cosa, e a sé rendere odio e dispiacere della propria sensualità -; e ama sé per Dio, cioè per rendere gloria e loda al nome suo. Al prossimo rende la benevolenza con una carità fraterna e con ordinato amore, poiché la carità vuole essere ordinata: cioè che l'uomo non faccia a sé male di colpa per campare non tanto che una anima, ma se possibile fusse di salvare tutto quanto lo mondo, nol debba fare, poiché non è licito di commettere una piccola colpa per adoperare una grande virtù. E non si debba ponere lo corpo nostro per campare lo corpo del prossimo; ma doviamo bene ponere la vita corporale per salute delle anime, e la sustanzia temporale per bene e vita del corpo del prossimo: sì che vedete che vuole essere ordenata, ed è ordenata, questa carità ne l'anima.

Ma quelli che sono privati della carità, e pieni dell'amore proprio di loro, fanno tutto lo contrario - e come essi sono disordenati nel cuore e nell'affetto loro, così sono disordenati in tutte le loro opere -: unde noi vediamo che li uomini del mondo senza virtù servono e amano lo prossimo loro, e con colpa; e per piacere e servire a loro, non si curano di diservire a Dio, e di dispiacerli, e fare danno all'anime loro.

Questo è quello amore perverso lo quale spesse volte uccide l'anima e il corpo; e tolleci lo lume e dacci la tenebra; tolleci la vita e dacci la morte; privaci della conversazione dei beati, e dacci quella dello inferno.

E se l'uomo non si corregge mentre che egli ha lo tempo, spegne la margarita lucida della santa giustizia, e perde lo caldo della carità e della veraobbedienza. Unde, da qualunque lato noi ci volliamo, in ogni maniera di creature che hanno in loro ragione, si vede mancare in ogni virtù per questo malvagio vestimento del proprio amore sensitivo.

Se noi ci volliamo ai prelati, essi attendono tanto a loro, e a stare in delizie che, vedendo i sudditi nelle mani deli demoni, non pare che se ne curino. I sudditi, né più né meno, non si curano d'obbedire né nella legge civile né nella legge divina, né si curano di servire l'uno l'altro se non per propria utilità. E però non basta questo amore, né l'unione di quelli che sono uniti d'amore sensitivo e non di vera carità; ma tanto basta e dura l'amicizia loro, quanto dura lo piacere ed lo diletto, e la propria utilità che ne traggono.

Unde, se egli è signore, egli manca nella santa giustizia, e questa è la cagione: poiché teme di non perdere lo stato suo; e per non fare dispiacere, sì va mantellando e occultando i loro difetti, ponendo l'unguento in su la piaga nel tempo che ella vorrebbe essere incotta e incesa col fuoco. Oimé, misera l'anima mia!, quando egli debba ponere lo fuoco della divina carità, e incendere lo defetto con la santa punizione e correzione per santa giustizia fatta, e egli lusinga, e infingesi di non vederlo. Questo fa verso coloro che egli vede che possino impedire lo stato suo; ma nei povarelli, che sono da poco e di cui egli non teme, mostra zelo di grandissima giustizia: e senza alcuna pietà o misericordia pongono grandissimi pesi per piccola colpa. Chi n'è cagione di tanta ingiustizia? l'amore proprio di sé.

Ma i miserabili uomini del mondo, perché sono privati della verità, non cognoscono la verità, né secondo Dio, per la salute loro, né per loro medesimi, per conservare lo stato della signoria. Poiché se essi conoscessero la verità, vederebbero che solo lo vivere col timore di Dio conserva lo stato e la città in pace, e per conservare la santa giustizia, rendendo a ciascuno dei sudditi lo debito suo: e a chi debba ricevere misericordia, fare misericordia non per propria passione ma per verità; e a chi debba ricevere giustizia, farla condita con la misericordia, non passionata d'ira, né per detto di creatura, ma per santa e vera giustizia; e attendere al bene comune e non al bene particulare; e ponere gli offiziali, e quelli che hanno a reggere la città, non a sette, né per animo, né per lusinghe, né rivendarie, ma solo con virtù e con modo di ragione; e scegliere uomini maturi e buoni, e non fanciulli; e che temino Dio, amatori del bene comune, e non del bene particulare suo. Or per questo modo si conserva lo stato loro e la città in pace e in unione.

Ma le ingiustizie, e il vivere a sette, e il ponere a reggere e a governare uomini che non sanno governare loro medesimi né le famiglie loro, ingiusti e iracundi, passionati d'ira e amatori solo di loro medesimi, questi sono quelli modi che fanno perdere lo stato spirituale della grazia, e lo stato temporale. Unde a questi cotali si può dire: «Invano t'affadighi a guardare la città tua, se Dio non la guarda» (Ps 126,1), cioè se tu non temi Dio, e nelle tue opere non tel poni dinanzi a te. Sì che vedete, carissimi fratelli e signori, che l'amore proprio è guastamento della città dell'anima, e guastamento e rivolgimento delle città terrene. Unde io voglio che voi sappiate, che nessuna cosa ha posto in divisione lo mondo in ogni maniera di gente, se non l'amore proprio, dal quale sono nate e nascono le ingiustizie.

Parmi, carissimi fratelli, che avesseate desiderio di crescere e conservare lo buono stato della vostra città, e per questo desiderio vi moveste a scrivere a me indegna, miserabile e piena di difetto, la quale lettera intesi e viddi con affettuoso amore, e con volontà di satisfare ai desiderii vostri, e di ingegnarmi, con quella grazia che Dio mi darà, d'offrire voi e la città vostra dinanzi a Dio con continua orazione. Se voi sarete uomini giusti, e che lo reggimento vostro sia fatto come detto è di sopra - non passionati, né per amore proprio e bene particulare, ma con bene universale fondato in su la pietra viva Cristo dolce Gesù -, e che col timore suo facciate tutte le vostre opere, e col mezzo dell'orazione, conservarete lo stato, la pace, e l'unità della città vostra. E però vi prego per amore di Cristo Crocifisso - poiché altro modo non c'è - che, avendo voi l'aiuto dei servi di Dio, voi non manchiate dalla parte vostra in quello che bisogna, poiché, se voi mancaste, voi sareste bene un poco sostentati da l'orazione, ma non tanto che tosto non venisse meno: poiché voi dovete aitare a portare questo peso dalla parte vostra. Unde, considerando me che col vestimento dell'amore sensitivo e particulare non potreste subvenire ai servi di Dio; e che colui che non soviene sé del sovenimento della virtù, non può sovvenire la città sua con la carità fraterna, e col zelo della santa giustizia, è bisogno che siate vestiti dell’uomo nuovo, Cristo dolce Gesù, cioè della inestimabile sua carità. Ma non ci possiamo vestire che prima non ci spogliamo; né spogliare non mi potrei se io non vedo quanto m'è nocivo a tenere lo vecchio peccato, e quanto m'è utile lo vestimento nuovo della divina carità: poiché, veduto che l'uomo l'ha, l'odia, e per odio se ne spoglia; e ama, e per amore si veste del vestimento delle virtù fondate ne l'amore dell’uomo nuovo. Or questa è la via, e però vi dissi che io desideravo di vedervi spogliati dell’uomo vecchio, e vestiti dell’uomo nuovo, Cristo Crocifisso; e a questo modo acquistarete e conservarete lo stato della grazia, e lo stato della città vostra; e non mancarete mai alla debita reverenzia della santa Chiesa, ma con modo piacevole rendarete lo debito, e conservarete lo vostro stato. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





269. A Neri predetto, in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di veder morto in te ogni proprio sentimento, affinché la mente e il desiderio tuo non sia mai contaminato da la propria passione, ma più tosto sia aumentata la virtù in te.

Questo farai quando con l'occhio dell'intelletto ti specchiarai ne la verità eterna, poiché de la verità l'anima se ne inamora guardandola intellettualmente, e per questo modo se ne veste, tollendo da sé ogni amore proprio, poiché in altro modo non si potrebbe dibarbicare. Perciò io voglio, figlio mio, che ti specchi ne la somma eterna verità e non perda ponto di tempo, ma sempre, giusta al tuo potere, t'ingegna, quanto tu puoi, di portare e soportare i defetti de le creature.

Fa' che tu non sia negligente all'orazione santa, e di fare ogni domenica pasqua con la santa comunione. E non ti curare perché tu ora sia di longa da me corporalmente, poiché col santo desiderio e con l'orazione santa io sarò sempre presso a te. Confortati e fatti facciorza e violenzia affinché rapischi lo reame del cielo.

Altro non dico.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio. Dio ti dia la sua dolce eterna benedizione.

La nonna, Lisa, Alessa, Francesco e Barduccio tutti ti salutano. Gesù dolce, Gesù amore.



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19/10/2012 17:26

270. A papa Gregorio XI, a dì 16 d'aprile 1377

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e dolcissimo padre in Cristo Gesù, la vostra indegna e miserabile figlia Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrive a voi nel prezioso sangue suo: con desiderio io ho longo tempo desiderato di vedervi portonaio virile senza veruno temore.

Portonaio sete del cellaio di Dio, cioè del sangue dell'unigenito suo Figlio, la cui vece rapresentate in terra; e per altre mani non si può avere lo sangue di Cristo se non per le vostre. Voi pascete e notricate i fedeli cristiani; voi sete quella madre che alle mammelle della divina carità ci notricate, perché non ci date sangue senza fuoco, né fuoco senza sangue, poiché il sangue fu sparto con fuoco d'amore.

O governatore nostro, dico che io ho lungo tempo desiderato di vedervi uomo virile senza veruno timore, imparando dal dolce e inamorato Verbo, che virilmente corre all'obrobriosa morte della santissima croce per compire la volontà del Padre e la salute nostra. Questo Verbo dolce ci reca a noi la pace, poiché fu nostro mediatore tra Dio e noi. Non lassa questo dolce e inamorato Verbo, per nostra ingratitudine né per ingiuria né per strazii né vitoperio, che egli non corra all'obrobriosa morte della croce, sì come inamorato della salute nostra: in altro modo non potavamo giugnare all'effetto della pace. O padre santissimo nostro, io vi prego per l'amore di Cristo Crocifisso che voi seguitiate le vestigie sue.

Oimé, pace pace per l'amore di Dio! Non raguardate alla miseria, all'ingratitudine e ignoranza nostra, né alla persecuzione dei vostri ribelli figli; oimé, venca la vostra benignità e pazienza la malizia e superbia loro: abbiate avesseate misericordia di tante anime e corpi che periscono. O pastore e portonaio del sangue dell'Agnello, non vi ritragga né pena né vergogna né vitoperio che vi paresse ricevare, né timore servile, né i perversi consiglieri del demonio, che non consigliano altro che in guerre e in miserie. Tutto questo, santissimo padre, non vi ritragga che voi non corriate all'obrobriosa morte della croce, seguitando Cristo come suo vicario: cioè sostenendo pene tormento e obrobrio e villanie portiate la croce del santo desiderio, desiderio dell'onore di Dio e de la salute dei figli vostri. Abbiate avesseate fame, e con l'occhio dell'intelletto vostro vi levate in su la croce del desiderio, e raguardate quanti sono i mali che seguitano per questa perversa guerra, e quanto è lo bene che segue della pace.

Oimé, babbo mio, disaventurata l'anima mia, ché le mie iniquità sono cagione d'ogni male; e pare che il demonio abbi presa la signoria del mondo, non per sé medesimo, ché egli non può nulla, ma in quanto noi gli l'aviamo dato. Da qualunque lato io mi vollo io vedo che ognuno vi porta le chiavi del libero arbitrio con la perversa volontà: i secolari, i religiosi, i cherici, con superbia corrire alle delizie e stati e ricchezze del mondo, con molta immondizia e miseria. Ma sopra tutte l'altre cose che io vedo che sia molto abominevole a Dio, si è dei fiori che sono piantati nel corpo mistico della santa Chiesa, che debbono essere fiori odoriferi - la vita loro specchio di virtù, gustatori e amatori de l'onore di Dio e della salute delle anime -, ed egli gittano puzza d'ogni miseria, amatori di loro medesimi, raunando i difetti loro con esso gli altri, e singolarmente la persecuzione che è fatta alla dolce Sposa di Cristo e alla Santità vostra.

Oimé, caduti siamo nel bando della morte e aviamo fatta guerra con Dio. O babbo mio, voi sete posto a noi per mediatore a fare questa pace; non vedo che ella si faccia se voi non portate la croce del santo desiderio, come detto è. Noi abbiamo guerra con Dio; ed i ribelli figli l'hanno con Dio e con la Santità vostra, e Dio vuole e vi richiede che tolliate, giusta al vostro potere, la signoria delle mani del demonio.

Mettete mano a levare la puzza dei amministri de la santa Chiesa; traetene i fiori puzzolenti e piantatevi i fiori odoriferi, uomini virtuosi che temino Dio. Poi vi prego che piaccia alla vostra Santità di conscendare a fare la pace, e ricevarla per qualunque modo ella si può avere, conservando sempre quello della Chiesa e la conscienzia vostra. Vuole Dio che voi attendiate all'anime e a le cose spirituali più che alle temporali; fate virilmente, ché Dio è per voi: egli adopererà. Senza veruno timore! Perché vediate le molte fatiche e tribolazioni, non temete; confortatevi con Cristo dolce Gesù, ché tra le spine nasce la rosa: tra le molte persecuzioni ne viene la reformazione della santa Chiesa, la luce che fa levare le tenebre dei cristiani, e la vita degl'infedeli, e la levazione de la santissima croce. Voi, come strumento e nostro mezzo, con sollicitudine, e non con negligenzia, e senza veruno timore, adoperate ciò che voi potete. A questo modo sarete vero ministratore; adempirete la volontà di Dio e il desiderio dei servi suoi, che muoiono di dolore, e non possono morire, vedendo tanta offesa del loro Creatore e tanto avilire lo sangue del Figlio di Dio.

Non posso più. Perdonate a me, padre santissimo, la mia presunzione; scusimi l'amore e il dolore dinanzi a voi. Non dico più. Date la vita per Cristo Crocifisso, divellete i vizii e piantate le virtù; confortatevi e non temete.

Rimanete nella santa carità di Dio.

Grande desiderio ho di ritrovarmi dprima della Santità vostra: molte cose v'ho a ragionare. Non sono venuta, per molte occupazioni buone e utili per la Chiesa, che ci sono avute a fare. Pace pace per l'amore di Cristo crocifisso, e non più guerra, ché altro rimedio non ci ha. Racomandovi Anibaldo vostro fedele servidore.

Scritta al vostro monasterio nuovo che mi concedeste, titolato Santa Maria degli Angeli. Dimandovi umilemente la vostra benedizione. I vostri figli negligenti, maestro Giovanni e frate Raimondo, si racomandano alla Santità vostra.



271. A monna Alessa soprascritta mantelata di santo Domenico, sua dilecta figlia.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti serva e sposa fedele al tuo Creatore, a ciò che mai non ti stolghi da la verità, ma per amore de la verità desideri di portare pena, sostenendo senza colpa infine a la morte: perciò che ne le pene e ne le fatiche - annegandovi dentro la propria volontà sensitiva - l'anima s'accosta più al suo Creatore, e fassi una volontà con lui.

Bisogno c'è Perciò di portare, e di perdere noi medesimi: così saremo atte a piangere e offrire umili e continue orazioni dinanzi da lui, per suo onore e per salute delle anime, poiché noi doviamo essere gustatrici e mangiatrici di questo dolce e glorioso cibo. Ma guarda, carissima figlia, che tu non t'ingannassi: ché inganno sarebbe quando tu volessi mangiare a la mensa del Padre eterno e schifassi di mangiarlo a la mensa del Figlio, in su la quale mensa cel conviene mangiare, poiché senza pena non si può avere; e nel Padre non cadde pena, ma solo nel Figlio. E perché senza pena non potavamo passare questo mare tempestoso, però questo dolce e amoroso Verbo in cui cadde la pena si fece via (Jn 14,6) e regola nostra, e batté la strada col sangue suo. Perciò non dormiamo noi, serve ricomprate del sangue di Cristo, se vogliamo essere spose fedeli, ma destianci dal sonno de la negligenzia, e corriamo per questa strada di Cristo crocifisso, con spasimato e ansiato desiderio.

Ora è il tempo da non dormire, perché vediamo lo mondo in maggiore necessità che fusse mai; e però io t'invito e ti comando che tu rinnovelli lo pianto e il desiderio tuo, con molte orazioni, per la salute di tutto quanto lo mondo, e per la reformazione de la santa Chiesa: che Dio per la sua bontà dia grazia al padre nostro che compia quello che egli ha cominciato, ché - secondo che m'è stato scritto da Roma - pare che egli cominci virilmente, perciò che pare che voglia attendere ad acquistare anime. E perché io so il santo desiderio suo, ho speranza, se i miei peccati non lo impediscono, che tosto s'avarà la pace. Altro non dico, se non che tu gridi con voce e fede viva nel conspetto di Dio.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



272. A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi seguitatore e amatore de la verità, a ciò che siate vero figlio di Cristo Crocifisso - lo quale è essa verità - e fiore odorifero nell'Ordine santo e nel corpo mistico de la santa Chiesa; e così dovete essere. E non si debba lasciare né vòllere lo capo indietro per le spine de le molte persecuzioni, perocché troppo sarebbe matto colui che lassasse la rosa per timore de la spina. Lo mio desiderio è di vedervi virile e senza timore d'alcuna creatura. Sono certa, per la infinita bontà di Dio, che adempirà lo desiderio mio.

Confortatevi, carissimo padre, ne la dolce Sposa di Cristo, poiché quanto più abonda in tribulazioni e amaritudine, tanto più promette la divina Verità di farla abondare in dolcezza e consolazione. E questa sarà la dolcezza sua: la reformazione dei santi e buoni pastori, i quali sono fiori di gloria, cioè che rendono gloria e odore di virtù a Dio. Questa è la reformazione del fiore dei suoi ministri e pastori; non n'ha bisogno lo frutto di questa sposa d'essere reformato, poiché non diminuisce né si guasta mai per li difetti dei amministri. Sì che godete nell'amaritudine, poi che la Verità ci ha promesso di darci refrigerio.

Doppo l'amaritudine e consolazione che io ebbi ricevendo la lettera del dolce babbo e vostra, poiché amaritudine ebbi per lo danno de la Chiesa, e vostra amaritudine - la quale avevo sentita molto intrinsicamente lo dì di santo Francesco -; ed ebbi allegrezza perché mi traeste di molto pensiero, unde, lette le lettare e inteso tutto, pregai una serva di Dio che offerisse lacrime e sudori dinanzi da Dio per la sposa e per la infermità del babbo. Unde subito per divina grazia le crebbe uno desiderio e una allegrezza sopra a ogni modo. E aspettando che venisse la mattina per avere la messa - che era lo dì di Maria - e venuta l'ora de la messa, si pose nel luogo suo con vero cognoscimento di sé, vergognandosi dinanzi da Dio de la sua imperfezione. E levando sé sopra di sé con ansietato desiderio, e speculando con l'occhio dell'intelletto ne la verità eterna, dimandava ine quattro petizioni, tenendo sé e il padre suo dinanzi a la sposa de la verità. E prima la reformazione de la santa Chiesa.

Allora Dio, lassandosi costrignere a le lacrime, e legare a la fune del desiderio, diceva: «Figlia mia dolcissima, vedi come ha lordata la faccia sua con la immondizia e amore proprio ed gonfia superbia e avarizia di coloro che si pascono al petto suo. Ma tolle le lacrime e il sudore tuo, e tra'le de la fontana de la divina mia carità, e lavale la faccia, poiché io ti prometto che non le sarà renduto la bellezza sua col coltello, né con guerra né crudeltà, ma con la pace, e umili e continue orazioni, sudori e lacrime gittate con ansietato desiderio dei servi miei. E così adempirò lo desiderio tuo con molto sostenere; e in nessuna cosa vi mancarà la mia providenzia». E poniamo che in questo si contenesse la salute di tutto quanto lo mondo, nondimeno l'orazione si distendeva più in particulare, dimandando per tutto quanto lo mondo.

Allora Dio mostrava con quanto amore aveva creato l'uomo, e diceva: «Or vedi che ognuno mi percuote: vedi, figlia, con quanti diversi e molti peccati essi mi percuotono, e spezialmente col miserabile e abominevole amore proprio di loro medesimi unde procede ogni male, col quale hanno apuzzato tutto quanto lo mondo. Voi dunque, servi miei, paratevi dinanzi con le molte orazioni, e così miticarete l'ira del divino giudicio. E sappi che neuno può uscire de le mie mani, e però apre l'occhio dell’intelletto, e mira ne la mia mano». E, levando l'occhio, vedeva nel pugno suo rinchiuso tutto l'universo mondo. E poi diceva: «Io voglio che tu sappi che neuno me ne può essere tolto, poiché tutti ci stanno o per giustizia o per misericordia, sì che tutti sono miei. E perché sono esciti di me, amoli ineffabilemente, e farò lo' misericordia col mezzo dei servi miei».

Allora, crescendo lo fuoco del desiderio, stava quasi beata e dolorosa, e rendeva grazie a la divina bontà, quasi conoscendo che Dio l'avesse manifestato i difetti de le creature perché fusse costretta a levarsi con più sollicitudine e maggiore desiderio. E in tanto crebbe lo santo e amoroso fuoco che lo sudore dell'acqua, lo quale gittava, ella lo spregiava per grande desiderio che aveva di vedere uscire del corpo suo sudore di sangue (Lc 22,44), dicendo a sé medesima: «Anima mia, tutto lo tempo de la vita tua hai perduto, e però sono venuti tanti mali e danni nel mondo e ne la santa Chiesa, in comune e in particulare. Ora voglio che tu remedisca col sudore del sangue».

Allora l'anima, spronata dal santo desiderio, si levava molto maggiormente, e apriva l'occhio dell'intelletto, e speculavasi ne la divina carità, ove vedeva e gustava quanto siamo tenuti e doviamo cercare la gloria e la loda del nome di Dio ne la salute delle anime. E a questo vi chiamava e v'sceglieva la Verità eterna, rispondendo a la terza petizione, ciò era la fame de la vostra salute, dicendo: «Figlia, questo voglio che egli cerchi con ogni sollicitudine, ma questo non potrebbe né egli, né tu né alcuno altro, avere senza le molte persecuzioni, secondo che io ve le concedarò. Digli che come egli desidera di vedere lo mio onore ne la santa Chiesa, così concepi amore a volere sostenere con vera pazienza, e a questo m'avederò che egli e gli altri miei servi cercaranno lo mio onore in verità. E allora sarà lo carissimo figlio, e riposarassi sopra lo petto dell'unigenito mio Figlio, del quale ho fatto ponte perché tutti potiate giognere a gustare e ricevere lo frutto de le vostre fatiche. Sapete, figli, che la strada si ruppe per lo peccato e disobbedienza di Adam, per sì-fatto modo che neuno poteva giognere al termine suo; e così non s'adempiva la mia verità, che l'avevo creato ad immagine e similitudine mia (Gn 1,26) perché egli avesse vita eterna, e participasse e gustasse me che sono somma ed eterna bontà. Questa colpa germinò spine e tribuli di molte tribulazioni, con uno fiume che sempre percuote l'onde sue, e però io v'ho dato lo ponte del mio Figlio, a ciò che, passando lo fiume, non annegaste. Ma aprite l'occhio dell'intelletto, e vedete che tiene dal cielo a la terra, perocché bene di terra non si poteva fare di tanta grandezza che fusse sufficiente a passare lo fiume, e darvi vita; sì che esso unì l'altezza del cielo, cioè la natura divina, con la terra de la vostra umanità.

Convienvi dunque tenere per questo ponte, cercando la gloria del nome mio ne la salute delle anime, sostenendo con pena le molte fatiche, seguitando le vestigie di questo dolce e amoroso Verbo. Voi sete miei lavoratori, che v'ho posto a lavorare ne la vigna de la santa Chiesa (Mt 20,1-7) perché io voglio fare misericordia al mondo. Ma guardate che voi non teniate di sotto, poiché ella non è la via della verità.

Sai tu chi sono coloro che passano di sotto a questo ponte? Sono gli iniqui peccatori, per li quali io vi prego che voi mi preghiate, e per cui io vi richeggio lacrime e sudori, poiché giacciono ne le tenebre del peccato mortale. Costoro vanno per lo fiume e giongono all'eterna dannazione, se già essi non tolgono lo giogo mio, e pongonlo sopra di loro (Mt 11,29). E alquanti sono che col timore de la pena si recano da la riva, ed escono del peccato mortale; sentono le spine de le molte tribulazioni e però sono esciti del fiume.

Ma se essi non commettono negligenzia e non dormono nell'amore proprio di loro medesimi, essi s'attaccano al ponte, e cominciano a salire, amando la virtù; ma se essi permangono ne l'amore proprio e in negligenzia, ogni cosa lo' fa male, e non sono perseveranti, ma uno vento contrario che gionga gli fa tornare al vomito» (2P 2,22 Pr 26,11).

Veduto che ebbe in quanti diversi modi l'anima s'annegava, ed egli diceva: «Mira quelli che vanno per lo ponte di Cristo Crocifisso». E molti ne vedeva, che corrivano senza alcuna pena, perché non avevano lo peso de la propria volontà: e questi erano i veri figli i quali, abandonati loro medesimi, andavano con ansietato desiderio cercando solo l'onore di Dio e la salute delle anime. E i piei dell'affetto loro tenevano e andavano per Cristo Crocifisso, che era esso ponte. Corriva l'acqua di sotto; e le spine erano conculcate da' loro piei, e però non lo' faceva male: cioè, che nell'affetto loro non curavano le spine de le molte persecuzioni, ma con pazienza vera portavano le prosperità del mondo, che sono quelle crudeli spine che danno morte all'anima che le possede con disordenato amore. Essi le spregiavano come se fussero state veleno; e a nessuna altra cosa atendevano se non di dilettarsi in croce con Cristo, perché lo loro obiettivo era egli. Altri v'erano, che andavano lentamente. E perché andavano lenti? perché s'avevano posto dinanzi all'occhio dell'intelletto non Cristo Crocifisso, ma le consolazioni che traevano da Cristo Crocifisso, le quali lo' dava amore imperfetto. E allentavano spesso nell'andare, sì come fece Pietro inanzi a la Passione, quando s'aveva posto dinanzi a sé solo lo diletto de la conversazione di Cristo; e però venne meno, essendoli tolto l'obiettivo de la consolazione. Ma quando si fortificò, poi che ebbe perduto sé, non volse conoscere altro né cercare, se non Cristo Crocifisso. Così questi cotali sono debili, e allentano l'andare del santo desiderio quando si veggono levare dinanzi da la mente loro l'obiettivo del diletto, e de le proprie consolazioni. Unde, giungendo poi le punture o di tentazioni dal demonio, o da le creature, o da loro medesimi d'una tenerezza spirituale che hanno, vedendosi privati di quella cosa che amavano, vengono meno e indebiliscono ne la via di Cristo Crocifisso, perché in Cristo Crocifisso hanno voluto seguire lo Padre, e gustare la dolcezza delle molte consolazioni. Perché nel Padre non può cadere pena, ma sì nel Figlio; e però dicevo che seguitavano lo Padre.

E vedevasi che non si poteva remedire la debolezza loro se non seguitassero lo Figlio; e così diceva la Verità eterna: «Io dico che neuno può venire a me se non per questo mezzo dell'unigenito mio Figlio, poiché egli è colui che v'ha fatta la via la quale dovete seguire. Egli è via e verità e vita (Jn 14,6), e quelli che vanno per questa via gustano e cognoscono la verità, e gustano l'amore ineffabile che io gli ho, ne le pene che egli ha sostenute per loro. Sai bene che se io non v'avesse amati, non v'avarei dato sì-fatto ricompratore, ma perché etternalmente io v'amai, però posi e diei all'obrobiosa morte della croce questo unigenito mio Figlio, lo quale, con l'obedienzia sua e con la morte, consumò la disobbedienza di Adam e la morte de l'umana generazione. E così cognoscono la mia verità, e conoscendo la verità seguitano la verità; e così ricevono la vita durabile, perché sono tenuti per la via di Cristo Crocifisso, e giunti e passati per la porta della verità, e trovansi nel mare pacifico coi veri gustatori. Sì che vedi, figlia mia, che essi non si possono fortificare in altro modo. Né egli si potrebbe unire con la sposa della mia Verità, né giognere a questa perfezione a la quale io gli ho eletto, se non per questa via. Ogni altra è con pena e imperfetta, se non questa; perché pena non dà se non la propria volontà, o spirituale o temporale che sia.

Chi non ha volontà è privato d'ogni pena affliggitiva di sé; solo la pena intollerabile della offesa mia gli rimane, ordenata con modo, perché è condita col condimento de la carità, la quale fa l'anima prudente, che per nessuna pena la fa scordare da la dolce volontà mia».

Altri v'erano che, poi che erano cominciati a salire - ciò erano coloro che cominciavano a conoscere la colpa loro, solo per timore de la pena che lo' seguitava doppo la colpa - e però s'erano levati dal peccato, cioè per timore de la pena, lo quale timore era imperfetto, ma molti ne vedeva corrire dal timore imperfetto al perfetto, e questi andavano con sollicitudine nel secondo stato e all'ultimo.

Ma molti ve n'aveva che con negligenzia si ponevano a sedere all'entrata del ponte con questo timore servile; e tanto avevano preso per spizziconi lo loro cominciare, e sì tiepidamente, che non agiognendo punto di fuoco di cognoscimento di loro medesimi e de la bontà di Dio in loro, si rimanevano nella loro tepidezza. Di questi cotali diceva la dolce Verità: «Vedi, figlia, che impossibile sarebbe che costoro, che non vanno innanzi esercitando la virtù, che non tornassero indietro. E questa è la cagione: perché l'anima non può vivere senza amore; e quello che ella ama, quello si studia di più conoscere e servire, e se non studia in conoscere sé - dove meglio conosce la larghezza e abondanzia della mia carità -, non conoscendo, non ama; non amando, non mi serve. Essofatto che è privata di me, perché non può stare senza amore, ritorna al miserabile proprio di sé medesimo. Costoro fanno come lo cane, che, poi che ha mangiato, bomica, e poi per la immondizia sua pone l'occhio sopra lo bomico e piglialo, e così immondamente si notrica; così costoro negligenti, posti in tanta tepidezza, hanno bomicato, per timore de la pena, i fracidumi dei peccati per la santa confessione, cominciando un poco a volere entrare per la via della verità. Unde, non andando innanzi, conviene che tornino adietro, vollendo l'occhio dell'intelletto al bomico di prima; sonsi levati del vedere la pena e tornati a vedere lo diletto sensitivo, per la quale cosa hanno perduto lo timore, e però si ripigliano lo bomico, notricandosi gli affetti e desiderii loro de le proprie immondizie, unde molto saranno più reprensibili e degni di punizione costoro che gli altri. Or così sono offeso iniquamente da le mie creature, e però voglio, figli carissimi, che non allentiate i desiderii vostri; ma crescano, notricandovi in su la mensa del santo desiderio. Levinsi i veri servi miei, e imparino da me, Verbo, a ponarsi le pecorelle smarrite in su la spalla (Lc 15,4-5), portandoli con pena e con molte vigilie e orazioni. E così passarete per me, che sono ponte, come detto è, e sarete sposi e figli della mia Verità; e io infondarò una sapienza, con uno lume di fede, lo quale vi darà perfetto cognoscimento de la verità; unde acquistarete ogni perfezione».

E poi che a la benignità e pietà di Dio piacque di manifestare sé medesimo e le cose segrete sue - a le quali cose, padre dolcissimo, la lingua ci viene meno, e l'intelletto pare che ci s'offuschi, tanto è assottigliato lo suo vedere - lo desiderio vive spasimato, in tanto che tutte le facoltà dell'anima gridano a una di volere lasciare la terra, poiché c'è tanta imperfezione, e dirizzarsi e giognere al fine suo a gustare coi veri cittadini la somma ed eterna Trinità, ove si vede rendere gloria e loda a Dio; ove rilucono le virtù, la fame e il desiderio dei veri ministri e perfetti religiosi, i quali stettero in questa vita come lucerna ardente posta in sul candelabro (Mt 5,15 Mc 4,21 Lc 8,16) de la santa Chiesa, a rendere lume a tutto quanto il mondo.

Oimé, babbo, quanta differenza era da loro a quelli che sono al dì d'oggi, dei quali si lamentava con zelo di grande giustizia, dicendo: «Costoro hanno preso la condizione de la mosca, che è tanto brutto animale, la quale, ponendosi in su la cosa dolce e odorifera, non si cura, poiché ella è partita, di ponersi in su le cose fastidiose e immonde. Così questi iniqui sono posti a gustare la dolcezza del sangue mio; e non si curano, poi che sono levati dalla mensa dell'altare, da consecrare e amministrare lo corpo e il sangue mio e gli altri sacramenti de la santa Chiesa (i quali sono odoriferi, pieni di dolcezza e di grande soavità, in tanto che dà vita all'anima, che lo gusta in verità, e senza esso non può vivere), essi non si curano di ponersi in tanta immondizia, quanto i pongono la mente e il corpo loro: che, non tanto che ella puta a me tanta iniquità, ma i demoni hanno a schifo questo peccato tanto miserabile».

Poi che la divina bontà, carissimo padre, sopra le tre petizioni ebbe risposto, come detto è, rispose a la quarta petizione che si dimandava, dimandando l'aiutorio e providenzia di Dio che provedesse in alcuno caso che era adivenuto d'alcuna creatura, lo quale per scritto non vi posso contiare, ma con la parola viva vel dirò - se già Dio non mi facesse tanto di grazia e di misericordia che l'anima mia si partisse da questo miserabile corpo prima che io vi vedesse, lo quale è una legge perversa che sempre combatte contro lo spirito. E voi sapete bene che io dico la verità, sì che grazia mi sarebbe a esserne privata -. Dicevo, e dico, che la Verità eterna degnò di rispondere alla quarta e all'ansietato desiderio che dimandava, dicendo: «Figlia, la mia providenzia non mancarà mai a chi la vorrà ricevere, ciò sono coloro che perfettamente sperano in me. Costoro sono quelli che mi chiamano in verità, non solamente con la parola, ma con affetto, e col lume della santissima fede. Non gustaranno me né la providenzia mia coloro che solamente col suono della parola mi chiamaranno «Signore, Signore!», ché io loro - se con altra virtù non mi dimandano - non cognosciarò (Mt 7,22-23 Lc 13,25), né saranno cognosciuti da me per misericordia, ma per giustizia. Sì che io ti dico che la mia providenzia nona manca lororà se essi spereranno in me. Ma io voglio che tu vegga con quanta pazienza i me li conviene portare, loro e l'altre mie creature, le quali io ho create all'imagine e similitudine mia (Gn 1,26), con tanta dolcezza d'amore». Unde aprendo l'occhio dell'intelletto, per obedire al comandamento suo, nell'abisso dalla sua carità, allora si vedeva come egli era somma ed eterna bontà, e come per solo amore egli aveva creati e ricomprati del sangue del Figlio suo tutte le creature che hanno in sé ragione; e con questo amore medesimo dava ciò che egli dava: tribulazione e consolazione, ogni cosa era dato per amore e per provedere a la salute dell'uomo, e non per alcuno altro fine.

E diceva: «Lo sangue sparto per voi vi manifesta che questo è la verità. Ma essi, come acecati per il proprio amore che hanno di loro, si scandalizzano con molta impazienzia, giudicando in male, e in loro danno e ruina e in odio, quello che io fo con amore e per loro bene, per privarli de le pene etternali, e per guadagno dar lo' vita eterna. Perché dunque si lagnano di me, e odiano quello che debbono avere in reverenzia, e vogliono giudicare gli occulti miei giudicii, i quali sono tutti dritti? Ma essi fanno come lo cieco che - col tatto de la mano, e alcune volte col sapore del gusto e alcune volte col suono de la voce - vorrà giudicare in bene e in male secondo lo suo infermo e piccolo sapere, e non si vorrà attenere a colui che ha lume, ma, come matto, vuole andare col sentimento della mano, che è ingannata nel suo toccare, perché non ha lume in discernere lo colore. E così lo gusto s'inganna, perché non vede l'animale immondo che si pone in sul cibo. L'orecchia è ingannata nel diletto del suono, perché non vede colui che canta, che con quello suono - non guardandosi da lui per lo diletto - gli può dare la morte. Così fanno costoro, i quali come acecati, e perduto lo lume della ragione, toccando con la mano del sentimento sensitivo i diletti del mondo, gli paiono buoni. (Ma perché egli non vede, non s'aguarda che egli è uno panno meschiato di molte spine con molta miseria di grandi affanni, in tanto che lo cuore che le possede, è incomportabile a sé medesimo). Così la bocca del desiderio, che disordenatamente l'ama, gli paiono dolci e soavi a prenderli; ed i v'è su l'animale immondo dei molti peccati mortali, che fanno immonda l'anima.

Se egli non va col lume della fede a purificarla nel sangue, n'ha morte eterna.

L'udire e l'amore proprio di sé, che gli fa uno dolce suono, perché l'anima corre dietro all'amore della propria sensualità (...) - ma perché non vede, è ingannata del suono, e trovasi menato nella fossa, legato col legame della colpa ne le mani dei nemici suoi, poiché, come acecati dal proprio amore, e con la fidanza che hanno posta nel loro proprio amore e sapere, non s'attengono a me, che sono via e guida loro, e sono vita e lume; e chi va per me, non può essere ingannato né andare per le tenebre. Non si fidano di me, che non voglio altro che la loro santificazione e lo' do e permetto ogni cosa per amore, e sempre si scandalizzano in me; e io con pazienza gli porto e gli sostengo, perché io gli amai senza essere amato da loro. Ed essi sempre mi perseguitano con molta impazienzia odio e mormorazioni, e con molta infedelità; e voglionsi ponere a investigare, secondo lo loro vedere cieco, gli occulti miei giudicii, i quali sono fatti tutti giustamente e per amore. E non cognoscono ancora loro medesimi; e però veggono falsamente, ché chi non conosce sé medesimo, non può conoscere me, né le giustizie mie, in verità. Vuogli ti mostri, figlia, quanto lo mondo è ingannato dei misterii miei? Or apre l'occhio dell'intelletto, e raguarda in me». E, mirando con ansietato desiderio, dimostrava la dannazione di colui per cui era adivenuto lo caso e di cui era pregato, dicendo: «Io voglio che tu sappi che per camparlo dell'eterna dannazione, ne la quale tu vedi ch'egli era, io gli permissi questo caso, a ciò che col sangue suo nel sangue mio avesse vita; perché non avevo dimenticato la reverenzia e amore che aveva alla mia dolcissima madre Maria, sì che per misericordia gli ho fatto quello che gl'ignoranti tengono in crudeltà. E tutto questo l'adiviene per l'amore proprio di loro, lo quale l'ha tolto lo lume: e però non cognoscono la verità. Ma se essi si volessero cavare la nuvola, la cognosciarebbero e amarebbero, e così avrebbero ogni cosa in reverenzia; e nel tempo de la ricolta ricevarebbero lo frutto. Ma in tutto, e in questo e in ogni altra cosa, figli miei, adempirò lo desiderio loro, con molto sostenere; e la mia providenzia sarà presso di loro, poco e assai, secondo la misura che essi si confideranno in me. E ciò che io provedarò più che la misura loro non tiene, lo farò per adempire lo desiderio dei servi miei che per loro mi pregano, perché io non sono dispregiatore di coloro che umilemente m'adimandano o per loro o per altrui: io t'invito a chiedere misericordia a me per loro e per tutto quanto lo mondo. Concepete, figli, e parturite lo figlio dell'umana generazione, con odio e pentimento del peccato, e con ardente e spasimato amore».

O carissimo e dolcissimo padre, allora, vedendo e udendo tanto da la prima dolce Verità, lo cuore per mezzo pareva che si partisse. Io muoio e non posso morire. Abbiate compassione alla miserabile figlia, che vive in tanto stento per tanta offesa di Dio, e non ha con cui sfogarsi; se non che lo Spirito santo mi possiede proveduto dentro da me con la clemenza sua, e di fuore mi possiede proveduto di spassarmi con lo scrivere.

Confortianci tutti in Cristo dolce Gesù e le pene ci sieno refrigerio, e acettiamo con grande sollicitudine lo dolce invitare, e senza negligenzia, padre dolce. Rallegratevi, poiché tanto dolcemente sete chiamato; e sostenete con grande allegrezza e pazienza, senza pena affliggitiva, se volete essere sposo della verità, e consolare in voi l'anima mia. In altro modo non potreste avere la grazia, e me terreste in grande amaritudine. E però vi dissi che io desideravo di vedervi seguitatore e amatore della verità.

Altro non dico. Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Benedite frate Matteo in Cristo dolce Gesù.

Questa lettera, e un'altra che io ve ne mandai, ho scritte di mia mano in su l'Isola della Rocca, con molti sospiri e abondanzia di lacrime, in tanto che l'occhio, vedendo, non vedeva; ma piena d'amirazione ero di me medesima, e de la bontà di Dio - considerando la sua misericordia verso le sue creature che hanno in loro ragione -, e de la sua providenzia, la quale abondava verso di me, che per refrigerio, essendo privata de la consolazione - la quale per mia ignoranza io non cognobbi - m'aveva dato e proveduto col darmi l'attitudine dello scrivere, a ciò che, discendendo da l'altezza, avessi un poco con che sfogare lo cuore perché non scoppiasse. Non volendomi trare ancora di questa tenebrosa vita, per amirabile modo me la formò nella mente mia, sì come fa lo maestro al fanciullo, che gli dà l'essemplo. Unde, subito che fuste partito da me, col glorioso evangelista e Tomaso d'Aquino così dormendo cominciai a imparare.

Perdonatemi del troppo scrivere, poiché le mani e la lingua s'accordano col cuore. Gesù dolce, Gesù amore.



273. Questa lettera mandò essa Caterina al padre dell'anima sua frate Raimondo, notificandoli una singulare grazia impetrata per uno giovane perugino, al quale in Siena fu tagliata la testa, ed ella la ricolse in mano.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo padre e figlio mio caro in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e racomandomivi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi affogato e anegato nel sangue dolce del Figlio di Dio, lo quale sangue è intriso col fuoco dell'ardentissima carità sua.

Questo desidera l'anima mia, cioè di vedervi in esso sangue, voi e Nanni e Iacomo. Figlio, io non vedo altro remedio che veniamo a quelle virtù principali le quali sono necessarie a noi. Non potrebbe venire, dolcissimo padre, l'anima vostra, la quale mi s'è fatta cibo - e non passa ponto di tempo che io non prenda questo cibo alla mensa del dolce Agnello, dissanguato con tanto ardentissimo amore -: dico che, se non fuste anegati nel sangue, non perverreste alla virtù piccola de la vera umilità, la quale nasciarà dell'odio, e l'odio da l'amore. E così l'anima n'esce con perfettissima purezza, sì come lo ferro esce purificato de la fornace. Così voglio che vi serriate nel costato aperto del Figlio di Dio, lo quale è una bottega aperta, piena d'odore, in tanto che il peccato diventa odorifero. Ine la dolce sposa si riposa nel letto del fuoco e del sangue, ine vede ed è manifestato lo segreto del cuore del Figlio di Dio. O botte spillata, la quale dai bere e inebbrii ogni inamorato desiderio, e dai letizia e illumini ogni intendimento, e riempi ogni memoria che ine s'affatica, in tanto che altro non può ritenere, né altro intendere, né altro amare se non questo dolce e buono Gesù, sangue e fuoco, ineffabile amore! Poi che l'anima mia sarà beata di vedervi così anegati, io voglio che facciate come colui che attegne l'acqua con la secchia, la quale acqua è il santo desiderio: versate l'acqua sopra il capo dei fratelli vostri, i quali sono membri nostri, legati nel corpo de la dolce sposa. E guardate che per illusione di demonio, le quali so che v'hanno dato impaccio e daranno, o per detto di creatura, non tiriate adietro, ma sempre perseverate, ogni otta che vedeste la cosa più fredda, infine che vediamo spargere lo sangue con dolci e amorosi desiderii.

Su su, padre mio dolcissimo, e non dormiamo più, ché io odo novelle che io non voglio più né letto né testi. Ho cominciato già a ricevare uno capo nelle mani mie, lo quale mi fu di tanta dolcezza, che il cuore nol può pensare, né la lingua parlare, né l'occhio vedere, né orecchie udire. Andò lo desiderio di Dio, tra gli altri misterii fatti inanzi, i quali non dico ché troppo sarebbe longo.

Andai a visitare colui che vi sapete, e egli ricevette tanto conforto e consolazione che si confessò e disposesi molto bene. E fecemisi promettare per l'amore di Dio che, quando venisse lo tempo della giustizia, io fusse con lui, e così promisi e feci. Poi, la mattina inanzi la campana, andai a lui, e ricevette grande consolazione; menà'lo a udire la messa e ricevette la santa comunione, la quale mai più non aveva ricevuta. Era quella volontà acordata e sottoposta alla volontà di Dio; solo v'era rimaso uno timore di non essere forte in su quello punto: ma la smisurata e affocata bontà di Dio lo ingannò, creandoli tanto affetto e amore nel desiderio di Dio, che non sapeva stare senza lui, dicendo: «Sta' con me e non m'abbandonare, e così non starò altro che bene, e morrò contento!»; e teneva lo capo suo in sul petto mio.

Io sentivo uno giubilo, uno odore del sangue suo, e non era senza l'odore del mio, lo quale io aspetto di spandere per lo dolce Sposo Gesù. Crescendo lo desiderio nell'anima mia e sentendo lo timore suo, dissi: «Confortati, fratello mio dolce, ché tosto giognaremo alle nozze. Tu n'andarai bagnato nel sangue dolce del Figlio di Dio, col dolce nome di Gesù, lo quale non voglio che t'esca de la memoria; io t'aspettarò al luogo de la giustizia». Or pensate, padre e figlio, che il cuore suo perdette ogni timore, la faccia sua si transmutò di tristizia in letizia; godeva e essultava e diceva: «Unde mi viene tanta grazia che la dolcezza dell'anima mia m'aspettarà al luogo santo de la giustizia?» (è gionto a tanto lume che chiama lo luogo de la giustizia luogo santo!) E diceva: «Io andarò tutto gioioso e forte, e parrammi mille anni che io ne venga, pensando che voi m'aspettarete ine»; e diceva parole tanto dolci che è da scoppiare della bontà di Dio! Aspettà'lo al luogo de la giustizia e aspettai ine con continua orazione e presenza di Maria e di Caterina vergine e martire. Inanzi che giognesse egli, posimi giù, e distesi lo collo in sul ceppo; ma non mi venne fatto che io avessi l'affetto pieno di me ine su. Pregai e constrinsi Maria che io volevo questa grazia, che in su quello punto gli desse uno lume e pace di cuore, e poi lo vedesse tornare al fine suo. Empissi tanto l'anima mia che, essendo la moltitudine del popolo, non potevo vedere creatura, per la dolce promessa fatta a me. Poi egli gionse, come uno agnello mansueto, e, vedendomi, cominciò a ridere, e volse che io gli facesse lo segno de la croce; e, ricevuto lo segno, dissi: «Giuso alle nozze, fratello mio dolce, che testé sarai alla vita durabile!» Posesi giù con grande mansuetudine, e io gli distesi lo collo, e chinà'mi giù e ramentà'li lo sangue de l'Agnello: la bocca sua non diceva se non «Gesù» e «Caterina», e così dicendo ricevetti lo capo ne le mani mie, fermando l'occhio nella divina bontà, dicendo: «Io voglio!».

Allora si vedeva Dio e Uomo, come si vedesse la chiarità del sole, e stava aperto e riceveva sangue nel sangue suo: uno fuoco di desiderio santo, dato e nascosto nell'anima sua per grazia, riceveva nel fuoco della divina sua carità. Poi che ebbe ricevuto lo sangue e il desiderio suo, ed egli ricevette l'anima sua e la misse nella bottega aperta del costato suo, pieno di misericordia, manifestando la prima Verità che per sola grazia e misericordia egli lo riceveva, e non per veruna altra opera.

O quanto era dolce e inestimabile a vedere la bontà di Dio, con quanta dolcezza e amore aspettava quella anima partita dal corpo - volto l'occhio de la misericordia verso di lui - quando venne a entrare dentro nel costato, bagnato nel sangue suo, che valeva per lo sangue del Figlio di Dio - così ricevette da Dio per potenza: fu potente a poterlo fare -; e il Figlio, sapienza Verbo incarnato, gli donò e feceli participare lo crociato amore col quale egli ricevette la penosa e obrobiosa morte, per l'obedienzia che egli osservò del Padre in utilità de l'umana natura e generazione; le mani de lo Spirito santo lo serravano dentro. Ma egli faceva uno atto dolce, da trare mille cuori - non me ne maraviglio, poiché già gustava la divina dolcezza -: volsesi come fa la sposa quando è gionta all'uscio de lo sposo, che vòlle l'occhio e il capo adietro, inchinando chi l'ha acompagnata, e con l'atto dimostra segni di ringraziamento.

Riposto che fu, l'anima mia si riposò in pace e in quiete, in tanto odore di sangue che io non potei sostenere di levarmi lo sangue, che m'era venuto adosso, di lui. Oimé, misera miserabile, non voglio dire più: rimasi nella terra con grandissima invidia. Parmi che la prima pietra sia già posta, e però non vi maravigliate se io non v'impongo che il desiderio di vedervi altro che anegati nel sangue e nel fuoco che versa lo costato del Figlio di Dio.

Or non più negligenzia, figli miei dolcissimi, poi che il sangue cominciò a versare e a ricevare vita.

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19/10/2012 17:29

274. A Francesco sarto predetto e a monna Agnesa sua donna.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondati nel timore santo di Dio, poiché senza questo timore non potreste participare la vita de la grazia in voi.

Questo timore santo caccia ogni timore servile che fusse nell'anima e dà grande sicurezza, in tanto che per compire la voluntà di Dio, non teme né cura di dispiacere agli uomini. Questi non cura rimproverio, strazii o villania; né teme di perdere la sustanzia temporale, o eziandio la vita, purché si vegga fare il debito suo di rendere gloria e loda al nome di Dio: levato ha l'occhio suo da la terra, e postolo nel suo Creatore, seguitando con grande sollicitudine le vestigie di Cristo Crocifisso. Tutte le opere sue sono dirizzate e ordinate secondo la volontà di Dio: sta ne la carità de la carità con tutte le creature che hanno in loro ragione. Ogni bene, riposo, pace e quiete esce di questo santo e dolce timore; e ogni perfezione ne segue all'anima che è fondata in verità in esso. E però vi dissi che io desideravo di vedervi fondati nel detto timore santo: e così vi prego che facciate per l'amore di Cristo Crocifisso.

Ebbi per Sandro le vostre lettere. Rispondovi che del fatto de lo spedale non si può qua impetrare nessuna grazia di perdono, o d'altro, se prima non è fatto e inviato; e però prima s'acconci e comincisi, e poi brigaremo di inaffiarlo col sangue di Cristo, lo quale ci ministrarà lo vicario suo.

Io non sono per fare ora altro passaggio, poiché il passaggio è qui, perché abbiamo gl'infedeli e i persecutori de la Chiesa di Dio allato all'uscio, sì che non è da andare altrove per passaggio.

Io vi mandai più dì fa per uno frate Predicatore lo privilegio de la indulgenzia: rispondete se l'avete avuto, e fatene come allora vi scrissi. Confortate Bartalo e monna Orsa, e benedite i fanciulli loro e Bastiano.

Siavi racomandato Giannozzo, e confortatelo e benedicetelo molto per mia parte. Altro non vi dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Fate che io vi senta crescere in virtù, e non essere sempre fanciulli. Gesù dolce, Gesù amore.

A monna Agnesa dico che non venga qua, ma se mi volete trovare, andatevene a la croce. Quando sarà tempo, Dio ci darà lo modo e l'attitudine che noi siamo insieme.



275. A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spogliato lo cuore e l'affetto d'ogni amore proprio di voi, affinché l'amore proprio non v'impedisca che voi non siate sposo della verità, e non vi faccia pastore timido, affinché per timore non lassiate lo zelo della santa giustizia e verso di voi e verso dei sudditi vostri.

Poiché, in colui che sta nell'amore proprio di sé, non reluce la giustizia: né a sé, rendendo a sé quello che è suo - cioè rendendosi odio e pentimento per conoscimento di sé -; né a Dio rende gloria e loda al nome suo; e al suddito non dà essemplo di santa e perfetta vita; né non dà la reprensione al difettuoso, né la benevolenza al buono, confermandolo, e aiutandolo a navigare nell'Ordine santo. Sì che colui che sta nell'amore proprio commette ingiustizia e non tiene giustizia, e però c'è bisogno di spogliarci di noi, e vestirci di Cristo crocifisso, e salire in sulla navicella della santissima croce, e navigare in questo mare tempestoso senza timore: poiché, a chi è in su questa navicella, non gli bisogna temere di timore servile, poiché la nave è fornita di qualunque cibo l'anima vuole divisare.

E venendo i venti contrarii, che ci percotessero o ritardassero che non potessimo così tosto adempire i nostri desiderii, non ce ne curiamo; ma stiamo con fede viva, poiché i ci ha che mangiare, e la navicella è forte sì e per siffatto modo che neuno vento è sì terribile che, percotendola nello scoglio, che ella si rompa mai. è bene vero che spesse volte la navicella ci lassa ricoprire all'onde del mare, e fallo non perché noi afoghiamo, ma perché noi cognosciamo meglio e più perfettamente lo tempo pacifico dal tempestoso; e affinché nel tempo pacifico noi disordinatamente non ci fidiamo; e perché noi torniamo al santo timore con umile e continua orazione, con santo e ardente desiderio, cercando l'onore suo e la salute delle anime in su questa navicella della croce: e però ci permette che il demonio, la carne, e il mondo, colle molte persecuzioni, ci ricuoprano colle tempestose onde loro.

Ma l'anima ch'è in su questa navicella non sta solamente alla riva, ma gittasi nel midollo dentro nel fondo della nave, nell'abisso del cruciato e ardente amore di Cristo crocifisso: non gli farà male alcuno, ma molto più confortato e virile si levarà a volere portare pene e fatiche e rimproverii nel mondo senza colpa, avendo gustato e provato nell'onde la divina providenzia. Perciò, spogliato dell'amore proprio, e vestito della dotrina di Cristo crocifisso, vi prego e voglio che intriate in questa navicella della santissima croce, e con essa navichiate per questo mare tempestoso, col lume della santissima fede viva, e colla margarita della vera e santa giustizia verso di voi e verso dei sudditi vostri. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



276. A una meretrice in Perugia, a petizione d'uno suo fratello.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti participare lo sangue del Figlio di Dio, poiché senza lo sangue non puoi avere la vita. Chi sonno coloro che participano lo sangue? Coloro che vivono col santo e dolce timore di Dio: chi teme Dio, vuole inanzi morire che ofendarlo mai mortalmente.

Però, figlia mia, io piango e dolgomi che tu, creata ad immagine e similitudine di Dio (Gn 1,26), ricomprata del prezioso sangue suo, non riguardi la tua degnità, né il grande prezzo che fu pagato per te; ma pare che tu faccia come il porco che s'involle nel loto. Così tu t'involli nel loto della immondizia; fatta sei serva e schiava del peccato; preso hai per signore lo demonio, a lui servi lo dì e la notte. Pensati che il signore dà al servo suo di quello ch'egli ha: se tu servi al demonio, tu participi del suo. Or che ha il demonio, figlia mia? Tenebre, tempeste, amaritudine, pena, tormenti, fragelli; nel luogo suo v'ha pianto e stridore di denti, privazione della visione di Dio, nella quale visione sta la beatitudine de l'anima. Di questa beatitudine ne furono privati essi dimoni per la superbia loro; e così coloro che seguitano la volontà del demonio sonno privati da questa visione.

Or quante sonno quelle pene intolerabili che sonno date a l'anima che va dietro a la 'niquità dei peccati mortali, non è lingua sufficiente a poterlo narrare. Oimé, oimé ch'è a pensare che tu abi perduta la memoria del tuo Creatore, e che tu non vedi che tu sei fatta come il membro ch'è tagliato, ch'essendo tagliato, subito si secca: così tu essendo tagliata e divisa da Cristo per lo peccato mortale, sei fatta come lo legno arido e secco (Jn 15,6), senza neuno frutto: in questa vita cominci la caparra de l’inferno.

Or non pensi tu, figlia, quanta è la servitudine tua, e quanto ella è misera miserabile? Ché in questa vita hai l’inferno, e hai la conversazione deli demoni oribili. Esce, esce di questa pericolosa servitudine e tenebre, nella quale ti sei condotta. Oimé, se mai tu nol facessi per amore di Dio, almeno per la vergogna e confusione del mondo lo dovaresti fare. Or non vedi tu che tu sei colei che ti dai nelle mani degli uomini a fare strazio, scherni e scempio delle carni tue? Or non vedi che tu sei amata e ami d'un amore mercennaio che ti dà morte; che tanto ami o sei amata quanto ne tragono, o tu ne trai, diletto o utilità? Tratto a sé lo diletto e il dono, è tratto a sé l'amore, poiché non è fondato in Dio, ma è fondato nel demonio.

Pensati, figlia, che tu hai a morire, e non sai quando. Però disse lo nostro dolce Salvatore: «State aparechiati, ché voi non sapete né il dì né l'ora che voi sarete richiesti». E santo Giovanni dice: «Egli è già posta la scure a la radice de l'albore: non è se non a tagliare» (Mt 3,10 Lc 3,9). Pensa che se ora lo sommo giudice ti richiede, tu sei trovata nelle mani deli demoni e in stato di dannazione. Comparire ti conviene, e non hai chi risponda per te, ché coloro che possono rispondare, aiutarti e sovenirti - ciò sonno le virtù -, tu non l’hai; ma bene hai quelli amici che ti condenaranno dinanzi al giudice vero: ciò sonno lo mondo, il demonio e la carne, cui tu hai servito con tanta solecitudine. Essi t'acusano, manifestando con grande tua confusione e vergogna l'ofese che tu hai fatte a Dio; condannati a la morte eterna, menanti a la loro compagnia, dove ha fuoco, puzza di solfo, stridore di denti, freddo, caldo, e il verme della coscienza che sempre il rimorde e riprendelo, perché si vede per suo difetto esser privato della visione di Dio, ed esser degno della visione delle demonia. Or questo è il merito che tu hai del servigio e fatica che tu hai durata per servire al mondo, al demonio e a la carne.

Perciò, poiché tu veghi che ti fanno degna di tanto male, e privanti di tanto bene, fatti una santa forza a te medesima: levati di tanta miseria e fracidume, ricorre al tuo Creatore, che ti riceverà, pure che tu voglia lasciare lo peccato mortale e tornare a lo stato della grazia. Io ti dico, dolcissima figlia mia, che se tu bomicarai lo fracidume del peccato per la santa confessione, con proponimento di non cadere più né tornare a bomico (2P 2,22 Pr 26,11), dice la dolce benignità di Dio: «Io ti prometto che non mi ricordarò che tu m'ofendessi mai». E veramente così è: che colui che punisce per contrizione e pentimento lo peccato, Dio nol vuole punire ne l'altra vita. Non ti paia faticoso. Ricorre a quella dolce Maria ch'è madre di pietà e di misericordia: ella ti menarà dinanzi a la presenza del Figlio suo, mostrandoli per te lo petto con che ella l'alattò, inchinandolo a farti misericordia.

Tu, come figlia e serva ricomprata del sangue (1P 1,19), entra allora ne le piaghe del Figlio di Dio, dove trovarai tanto fuoco d'inefabile carità, che consumarà e ardarà tutte le miserie e difetti tuoi. Vederai che t'ha fatto bagno di sangue per lavarti de la lebra del peccato mortale e della tua immondizia, ne la quale tanto tempo sei stata. Non ti schifarà lo dolce Dio tuo. Acompagnati e impara da quella dolce e inamorata Madalena che, subito ch'ella ebbe veduto il male e il difetto suo, e vide sé ne lo stato della dannazione, subbitamente si leva con grandissimo odio de l'ofesa di Dio e amore de la virtù. Va cercando per potere trovare misericordia, vede bene che non la può trovare altro che in Cristo dolce Gesù, e però ella se ne va a lui; e non mira né a onore né a vitoperio, ma umilemente se li gitta ai piedi. Ine per amore, dolore e amaritudine, con perfetta umilità riceve la rimessione dei peccati suoi. Ella merita d'udire quella dolce parola: «Maria, va' in pace (Lc 7,50) e non peccare più» (Jn 8,11).

Or così fa' tu, figlia mia dolcissima: ricorre a lui; guarda quell'atto umile di Madalena che si pone ai piedi (Lc 7,38) - manifestando l'affetto suo che ella si moveva con contrizione di cuore -, e non si reputa degna d'andare dinanzi a la faccia del maestro suo. Così tu esce col cuore, con l'affetto e col corpo, e non dormire più, poiché tu non hai tempo; da che tu non hai tempo, non aspetare il tempo. Risponde a Cristo crocifisso che ti chiama con boce umile; corre dietro a l'odore de l'onguento suo (Ct 1,3); bàgnati nel sangue di Cristo crocifisso, ché a questo modo participarai lo frutto del sangue suo. Così desidera l'anima mia di vederti participare lo Sangue, e che tu sia membro legato per grazia nel tuo capo Cristo crocifisso.

E se tu mi dicessi: «Lo non avere di che vivare mi ritrae», e io ti dico che Dio ti provederà; e anco ho sentito dal tuo fratello carnale che ti vuole aitare in ciò che bisogna. Non volere dunque aspetare lo divino giudicio, lo quale cadarebbe sopra di te se tu questo non facessi. Non volere più essere membro del diavolo, ché come laccio suo ti sei posta a pigliare le creature. Non basta assai lo male che tu fai per te; pensati di quanti tu sei cagione di fare andare all’inferno. Non dico più. Ama Cristo crocifisso; e pensa che tu devi morire e non sai quando.

Permane nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore, Maria dolce madre.



277. A la detta monna Alessa, essendo essa Caterina a Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti, te e l'altre, spose e serve fedeli a Cristo Crocifisso, a ciò che sempre rinnoviate lo pianto per onore di Dio e per salute delle anime, e per la reformazione de la santa Chiesa.

Ora è il tempo che voi vi serriate dentro nel cognoscimento di voi, con continua vigilia e orazione, a ciò che il sole tosto si levi, poi che l'aurora è cominciata a venire. L'aurora è venuta, poiché le tenebre che c'era dei molti peccati mortali, i quali si commettevano per l'offizio che si diceva, è levata via, a male grado di chi l'ha voluto impedire, e tiensi lo interdetto. Grazia, grazia sia al nostro dolce Salvatore, che non è spregiatore dell'orazioni umili, né de le lacrime e affocati desiderii dei servi suoi. Poi, dunque, che non n'è spregiatore, anco gli accetta, io v'invito a pregare, e a fare pregare la divina bontà che tosto ci mandi la pace, a ciò che Dio sia gloriato, e levisi tanto male, e noi ci ritroviamo insieme a narrare le ammirabili cose di Dio. Suso, e non dormite più: destatevi tutte dal sonno de la negligenzia.

Fate fare speciale orazione a cotesti monasterii; e dite a la priora nostra che faccia fare a tutte coteste figlie speziale orazione per la pace, sì che Dio ci facci misericordia, e non si torni senza essa. E per me, misera sua figlia, che Dio mi dia grazia che sempre sia amatrice e annunziatrice de la verità, e per essa verità io muoia. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



278. A monna Bartolomea di Domenico, in Roma.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre e figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi buona e vera peregrina, e tenere lo modo che tiene lo vero peregrino e viandante (He 11,13 1P 2,11) in questa vita.

E perché continovamente corriamo inverso lo termine de la morte, voglio che virilmente facciate come lo peregrino ch'è savio, che non riguarda mai né a fatica né a diletti che ne la via trovasse, ma riguarda pure al fine dove vuole giognere. Così noi viandanti non ci dobiamo volgere né a le tribolazioni, ingiurie, obrobii che ci fussero detti o fatti in questa vita. Non vi volgete per impazienzia; ma con vera e santa pazienza, come persona che non ha a stare qui. Dico che anco non ci doviamo volgiare a diletti né consolazioni per apetito o diletto desordinato; ma dobiamo virilmente trapassare, e non ristarci per diletto in esse.

E convienci avere, in questo camino, lo bastone in mano, sì che ci possiamo difendare dagli animali e nemici nostri. Questo, madre e figlia mia carissima, sia il bastone della santissima croce - nel quale bastone trovarete l'Agnello dissanguato, consumato d'amore -, lo quale ci difende dal nemico della nostra sensualità, poiché riguardando l'anima tanto fuoco d'amore, mortifica e ucide le sue perverse volontà.

Dico che ci difende dagli animali, cioè dalle cogitazioni del demonio, e dalle false lusinghe del mondo, e dall'amore disordenato dei figli e d'ogni creatura. Oh quanto è dolce questo glorioso legno, dove l'anima s'apoggia; e falla corrire e giognare al termine suo! Lo termine e fine nostro è vita eterna: questo obiettivo voglio che vi poniate dinanzi agli occhi della mente vostra; e così sarete peregrina vera, e giognarete a porto di salute.

Bagnatevi, bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, andate lecando lo sangue di Cristo crocifisso per cotesti perdoni, ché altro non fa la creatura, quando va per li perdoni, se non che va ricogliendo lo sangue: poiché il perdono ci è dato per lo sangue dell'Agnello immacolato.

Rimanete etc. Gesù dolce etc.




279. A messere Ristoro sopradetto da Fiorenze, in Pistoia.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato in vera e perfettissima carità, la quale carità è madre e nutrice di tutte l'altre virtù: fa l'uomo constante e perseverante in esse virtù, in tanto che né demonio né creatura nel può separare, se egli non vuole.

Ella è di tanta dolcezza che in lei non cade veruna amaritudine che affligga l'anima, ma genera una amaritudine dolce che ingrassa l'anima in uno vero cognoscimento di sé - dove conosce le colpe sue passate e presenti, commesse contro al suo Creatore -; per mezzo del quale cognoscimento ha amaritudine, dolendosi d'avere offeso tanto sommo ed eterno bene e d'avere lordata la faccia e la bellezza dell'anima sua, la quale fu lavata nel sangue de l'umile immacolato Agnello: nel qual sangue conosce il fuoco e abisso della sua carità. Per questo conoscimento l'anima viene ad amare, ché in altro modo non vi verrebbe, poiché tanto ama la creatura il suo Creatore, quanto raguarda sé essere amata da lui, perché condizione è dell'amore d'amare quando si vede amare. Unde tutta la freddezza del cuore nostro non procede da altro, se non perché noi non raguardiamo quanto siamo amati da Dio. E perché nol vediamo? Perché la nuvola del proprio amore ha offuscato l'occhio dell’intelletto, dove sta la pupilla del lume della santissima fede.

Con questo lume veniamo a perfettissima carità di Dio; con questo medesimo veniamo alla carità del prossimo nostro, poiché l'anima che ama il suo Creatore vuole amare quello che egli molto ama: e vedendo che egli sommamente ama la creatura, è costretta da l'affetto della sua carità d'amarla e servirla con grande sollicitudine, e quella utilità che non può fare a Dio - perché non ha bisogno di noi - la vuole fare a lei, ministrandole di quelle grazie e doni che ha ricevuti da Dio, spirituali e temporali. E ciò che le ministra il fa con spirituale intenzione, perché la carità è schietta e liberale: non cerca le cose sue perché non ama sé, né le creature né il Creatore per sé, ma ogni cosa ama per Dio.

La carità non è finta né doppia, che ella mostri una di fuori, e un'altra porti dentro.

Ella è umile e non superba: anco, l'umilità nutre la carità nell'anima.

Ella è fedele e non infedele, che fedelmente serve Dio e il prossimo suo, sperando in lui e non in sé.

Ella non è imprudente, e però adopera con grande prudenzia.

Ella è giusta che a ciascuno rende il debito suo, rendendo gloria e loda al nome di Dio; al prossimo la benevolenza; e a sé rende odio della colpa commessa e pentimento della propria fragilità.

Ella è forte che né l'avversità la può indebilire per impazienzia, né la prosperità con disordinata allegrezza.

Ella pacifica i discordanti, rifrena l'ira, e conculca l'accidia e la invidia, poiché ama e gode del bene del prossimo come del suo.

Ella riveste l'anima del vestimento della grazia con tanta fortezza che nessuno colpo la può accarnare, anco ritorna in colui che gliele gitta.

Unde vediamo che, se il prossimo ci percuote con la ingiuria - e noi la riceviamo con pazienza -, il colpo avelenato della colpa ritorna a colui che la gitta; e se il mondo ci percuote coi piaceri, delizie e stati suoi - e noi il riceviamo con pentimento -, ritorna il colpo a lui con l'odio; e se il demonio ci percuote con le molte varie e diverse tentazioni - e noi percotiamo lui con la fortezza della voluntà, stando fermi, constanti e perseveranti fino alla morte, non consentendo alle cogitazioni e malizie sue -, tenendosi questa rocca, nessuno colpo ci può nuocere: poiché solo la voluntà è quella che commette la colpa, e aopera le virtù, secondo che le piace.

Se il colpo della immundizia vuole percuotere noi - e noi percotiamo lui con l'odore della purezza, la quale purezza e continenzia fa l'anima angelica. Ella è stretta sorella della carità, e tanto l'ama questa dolce madre, che non solamente la fa schifare la immundizia che dà morte all'anima - cioè di quelli che si invollono nel loto della carnalità sì come animali bruti -, ma eziandio quella che sanza colpa di peccato mortale licitamente si può usare - cioè di quelli che sono nello stato del matrimonio - vuole che lassi, in tanto che volentieri la fugirebbe la creatura, se potesse, perché le pare bene quello che è: che di quello loto non puote uscire che non si lordi. Molto è cosa impossibile a trassinare il loto, e non imbrattarsi. E però l'anima che sta nella perfettissima carità gusta l'odore della continenzia: unde vorrebbe fugire quello che l'è contrario.

Oh quanto sarebbe dolce sacrifizio e accetto a Dio se voi, figlio e figlia carissimi, v'offeriste a Dio con questo dolcissimo e suavissimo odore, e lassaste oggimai la lebra ai lebrosi, e voi seguitaste lo stato angelico! Non aspettate il tempo della vecchiezza - ché allora il mondo lassa voi; e poco grado ve ne saprebbe Dio quando lassaste quello che non poteste tenere -, ma dategli il fiore della gioventudine, il quale egli accetterà con grandissimo amore, e saragli grato e piacevole molto. Non dormiamo più: tanto tempo aviamo fatta stalla del corpo e della mente nostra, che ogimai è da farne uno giardino; e non è da aspettare il tempo, poiché il tempo non aspetta noi.

L'uno inviti e constringa l'altro a vestirsi di questa dolcissima purezza, la quale gitta odore nel conspetto di Dio e dinanzi alle creature. Sono certa che, stando voi in questa dolce madre carità, voi il farete, iuxta lo vostro potere, impugnando alla propria fragilità quando volesse ricalcitrare alla ragione; in altro modo, no. Unde, considerando io questo, e avendo desiderio di vedervi giunti a questo eccellente stato, al quale non si può venire se non per la via della carità, dissi, e dico, che io ho grandissimo desiderio di vedervi fondato in vera e perfettissima carità; la quale carità abbraccia ogni bene e schifa e fugge ogni male di colpa. Poi che ella è tanto dolce e dilettevole, non è da perdere il tempo per negligenzia, ma è da levarsi con grande sollicitudine col lume della santissima fede, col quale lume vedremo noi essere amati da Dio; vedendo, conosceremo la sua bontà e, conoscendola, l'ameremo; e con esso amore cacceremo l'amore proprio, che ci priva della vita della grazia. Empitevi la memoria per ricordo del sangue di Cristo crocifisso. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa etc. Gesù dolce, Gesù amore.





280. A frate Raimondo da Capua dei frati Predicatori.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vasello di carità, e con fuoco portare e con ardire anunziare la verità, e seminare lo seme della parola di Dio a ogni creatura, e singularmente ora per lo presente al nostro dolce Cristo in terra.

Su, padre e figli carissimi, andatemi come banditori povarelli, portando con voi la ricchezza della fede e de la speranza, e coi la fortezza e legame della carità. Ricordivi di quella parola dolce che disse la prima Verità: «Tu mandarai i figli tuoi come agnelli in mezzo dei lupi (Mt 10,16): vadino sicuramente, ché io sarò con loro; e se l'aiuto umano fusse venuto meno, l'aiuto mio divino sarà sempre con loro.» O padre e figli miei, chi vuole altro diletto e conforto? chi sarà colui che caggia in timore? Colui che non si confida, ma non colui che morrà di fame de l'onore di Dio e de la salute delle anime, e sarà consumato nel fuoco de la divina carità, bagnato anegato e consumato nel sangue de lo dissanguato Agnello.

Oimé oimé, disaventurata l'anima mia, che io muoio e non posso morire: lo cuore si divide, l'ossa si distendono, non avendo lo tempo desiderato. Poniamo che la primavera voglia cominciare a produciare i fiori, non basta però a me, ché del fiore non si vive, ma dei frutti. Dico, babbo mio e figli miei, aitate a me misera che muoio di fame. Pregate la prima dolce Verità che ci doni dei frutti senza più indugiare.

Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce Gesù Gesù.



281. A Neri di Landoccio.

Carissimo e dilettissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere in te lo lume de la santissima fede, affinché mai di nessuna cosa che t'avenga ti scandalizzi, ma in tutti i misterii di Dio si pacifichi la mente tua, raguardando l'amore ineffabile che mosse lui a trarci di sé creature ragionevoli, e dare a noi la imagine e similitudine sua (Gn 1,26), e a ricomperarci del sangue de l'umile immacolato Agnello.

Facendo così, ciò che ti adiverrà averai in debita reverenzia, e con vera umilità anegarai ogni tuo parere, quando alcune volte per illusione del demonio ti paresse vedere uscire le cose fuore dell'ordine loro, per molte occupazioni mentali, e molti dolci tormenti corporali. Non dico più.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio. Cristo benedetto ti doni la sua dolce eterna benedizione.

Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 17:33

282. A missere Nicola da Osimo, secretario e protonotario di nostro signore lo papa.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e reverendo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi colonna ferma che non si muova mai se non in Dio, non schifando né refiutando lo labore e la fatica che durate nel corpo mistico della santa Chiesa, sposa dolce di Cristo, né per ingratitudine e ignoranza che trovaste in coloro che si pascono in questo giardino, né per tedio che ci venisse di vedere le cose della Chiesa andare con poco ordine.

Poiché spesse volte adiviene che quando l'uomo s'affatica in una cosa, e poi non viene compiuta in quello modo ed effetto che esso desidera, la mente ne viene a tedio e a tristizia, quasi cogitando in sé medesimo e dicendo: «Meglio t'è di lasciare stare questa opera che hai cominciata e fatta tanto tempo, e anco non è venuta a fine; e cerca la pace e la quiete della mente tua». Arditamente allora debba rispondere l'anima con fame de l'onore di Dio e della salute delle anime, e refiutare la consolazione propria, e dire: «Io non voglio schifare né fuggire fatica, perché io non sono degno della pace e quiete della mente, anco voglio permanere in quello stato che io sono eletto, e virilmente dare l'onore a Dio con mia fatica, e la fatica al prossimo mio». Bene che alcune volte lo demonio, per farci venire a tedio le nostre opere, sentendovi la poca pace della mente, gli porrà dinanzi questo, dicendo nella mente sua: «In questo io offendo più che io non merito, e però vorrei volentieri fuggire, non per fatica, ma per non offendere».

O carissimo padre, né a voi né al demonio, quando vi mettesse questi pensieri nel cuore e nella mente, non date luogo né credete, ma con allegrezza e con santo e ardente desiderio abbracciate le fatiche, e senza alcuno timore servile. E non abbiate timore in quello d'offendere, poiché l'offesa c'è manifesta nella disordenata e perversa volontà, poiché, quando la volontà non fusse ordenata in Dio, allora è offesa.

Che, perché l'anima sia privata della consolazione e dell'essercizio dell'offizio e dei molti psalmi, e di non dirlo al luogo e al tempo suo, né con quella mente pacifica che esso medesimo vorrebbe, non è perduto però lo tempo suo, anco è essercitato pur per Dio. Unde non ne debba pigliare pena ne la mente sua; e spezialmente quando s'affatica ed essercita in servizio della Sposa di Cristo, poiché, per qualunque modo e di qualunque cosa noi ci affadighiamo per liei, è di tanto merito ed è tanto piacevole a Dio che l’intelletto nostro non è sufficiente a vederlo né a poterlo imaginare.

Ricordomi, dolcissimo padre, d'una serva di Dio alla quale fu manifestato quanto era piacevole a lui questo servizio; e questo dico a ciò che siate inanimato a sostenere fatica per lei. Avendo una volta, fra l'altre, questa serva di Dio - secondo che io intesi - grandissimo desiderio di ponere lo sangue e la vita, e tutte le 'nteriora sue distruggere e consumare, nella Sposa di Cristo, cioè la santa Chiesa, levato l'occhio dell'intelletto suo a conoscere sé medesima non essere per sé, e a conoscere la bontà di Dio in sé - cioè vedere che Dio per amore l'aveva dato l'essere e tutte le grazie e doni che erano posti sopra l'essere -, unde vedendo e gustando tanto amore e abisso di carità, non vedeva in che modo potesse rispondere a Dio, se non con amore; ma perché utilità a lui non poteva fare, non gli poteva dimostrare l'amore: però si dava a vedere e conoscere se trovava da amare alcuno mezzo per lui, per cui manifestasse l'amore.

Unde ella vedeva che Dio sommamente amava la sua creatura che ha in sé ragione; e quello amore che ella trovava in sé, quello trovava in tutti, poiché tutti siamo amati da Dio. E questo era quello mezzo che ella trovava che manifestava se ella amava o no, e in cui ella poteva fare utilità. Unde ella allora si levava ardentemente nella carità del prossimo, e concepeva tanto amore alla salute loro, che volentieri averebbe data la vita per la salute loro, sì che quella utilità che non poteva fare a Dio desiderava di fare al prossimo suo. E poi che ebbe veduto e gustato che le conveniva rispondere col mezzo del prossimo, e così renderli amore per amore - sì come Dio col mezzo del Verbo del suo Figlio ci ha manifestato l'amore e la misericordia sua -, così vedendo ch'è col mezzo del desiderio de la salute delle anime, dando l'onore a Dio e la fatica al prossimo, guardava in che giardino e in su che mensa si gustava lo prossimo.

Allora manifestava lo nostro Salvatore, dicendole: «Dilettissima figlia, nel giardino della sposa mia te il conviene mangiare, e in su la mensa della santissima croce, cioè con tua pena e con cruciato desiderio, e con vigilie e orazioni, e con ogni essercizio che tu puoi, senza negligenzia. E sappi che tu non puoi avere desiderio della salute delle anime che tu non l'abbi della santa Chiesa, perché è lo corpo universale di tutte le creature che participano lo lume della santa fede; e non possono avere vita, se non sono obedienti alla sposa mia. E però debbi tu desiderare di vedere i prossimi cristiani e infedeli e ogni creatura che ha in sé ragione, che si paschino in questo giardino, sotto lo giogo della santaobbedienza, vestiti del lume della fede viva, con sante e buone opere, poiché fede senza opera è morta (Jc 2,17-26).

Questo è quello desiderio e fame generale di questo universale corpo; ma ora ti dico e voglio che tu cresca fame e desiderio, e disponghiti a ponere la vita, se bisogna, in particulare nel corpo mistico della santa Chiesa, per reformazione da questa sposa mia, poiché, essendo reformata, segue l'utilità di tutto quanto lo mondo. Come? poiché con le tenebre e ignoranza e amore proprio e immondizie, e con gonfia superbia, ha generato e genera tenebre e morte nell'anime dei sudditi. Unde io invito te e gli altri servi miei che v'affadighiate in desiderio in vigilie e orazioni e in ogni altro essercizio, secondo l'attitudine che io dò a voi; poiché io ti dico che a me è tanto piacevole questa fatica e servigio che si fa a lei, che non tanto che sia remunerata nei servi che hanno dritta e santa intenzione, ma anco sarà remunerata nei servi del mondo, i quali spesse volte per amore proprio di loro la servono, e anco tal volta per reverenzia della Chiesa.

Unde io ti dico che non sarà neuno che con reverenzia la serva, tanto gli ho per bene, che non sia remunerato - e dicoti che non vedrà morte eterna -; sì come coloro che offendono e diservono la sposa mia con poca reverenzia: io non lassarò impunita quella offesa, o per uno modo e per uno altro».

Allora, vedendo tanta grandezza e larghezza nella bontà di Dio, e quello che si doveva fare per più piacere a lui, cresceva tanto lo fuoco del desiderio, che, se possibile le fusse stato mille volte lo dì di dare la vita per la santa Chiesa - e bastasse di qui all'ultimo dì del giudicio -, le pareva che fusse meno che una gocciola di vino nel mare; e così è veramente. Voglio Perciò e vi invito alle fatiche per liei, come sempre avete fatto, sì che siate colonna, lo quale sete posto per appoggiare e aitare questa sposa; e così dovete essere, come detto è, sì che né consolazione né tribulazione vi muova mai. Né perché vengano i molti venti contrarii per impedire quelli che vanno per la via della verità, non doviamo noi per alcuna cosa vòllere lo capo adietro. E però vi dissi che io desideravo di vedervi colonna ferma. Orsù dunque, carissimo e dolcissimo padre, poiché lo tempo è nostro, in questa sposa, di dare l'onore a Dio e la fatica a lei. Pregovi per l'amore di Cristo Crocifisso, che preghiate lo santo padre che ogni remedio che si può pigliare - conservando la conscienzia sua - nella reformazione della santa Chiesa e ne la pace di tanta guerra quanta si vede in dannazione di tante anime, che egli lo pigli con ogni sollicitudine, e non con negligenzia: poiché d'ogni negligenzia e poca sollicitudine Dio lo riprendarà durissimamente, e richiederalli l'anime che per questo periscono. Racomandatemeli, e umilemente gli dimando la sua benedizione. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





283. A frate Tommaso da la Fonte dell'ordine dei Predicatori.

Laudato sia lo nostro dolce Salvatore.

A voi, dilettissimo e carissimo padre in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, indegna vostra figlia nel prezioso sangue del Figlio di Dio, desidero di vedervi transformato e affogato ne l'abondantissimo sangue, lo qual sangue ci farà inanimare e corrire in sul campo de la battaglia, sì come fece quella innamorata dolce di Lucia, che tanto fu inamorata, con una continua memoria del sangue del Figlio di Dio, che corse con animo virile a fare sacrificio del corpo suo.

Così prego io lo nostro dolce Salvatore ch'ella ci guidi a sbradare e a macellare le corpora nostre. Non vi maravigliate, carissimo padre, che io non mi posso saziare di questo sacrifizio, poiché di nuovo, lo dì de la festa sua, mi fece gustare lo frutto del martirio suo, ritrovandomi per desiderio a la mensa dell'Agnello, lo quale diceva a me, misera miserabile: «Io sono mensa e sono cibo»; e essa mano dello Spirito santo n'era porgitore e dolcemente serviva ai veri gustatori. Ine si vedeva piena la dolce parola che disse la dolce bocca de la Verità: «Ne la casa del Padre mio ha molte mansioni» (Jn 14,2).

O dolcissimo padre, quanto erano differenti i frutti de le virtù le quali avevano adoperate in questa vita! Ognuno gustava con la natura angelica la somma beatitudine; ine si vedeva tanta verità - che l'anima mia confessa che io non ne fui mai amatrice -, però io dimandava nel conspetto di Dio, per mezzo di lei, che ci rivestisse del vestimento de la verità: sento tanta rinnovazione nell'anima mia che la lingua non sarebbe sufficente a dirlo. Oimé oimé, che io non voglio dire più, se non ch'io prego quella dolcissima luce che ci conduca tosto a essare svenati per la verità.

Mandastemi dicendo ch'io scrivesse a Caterina, e che io ne venisse tosto, e che monna Agnesa voleva fare lo suo testamento. Non ho scritto a Caterina, né all'altre mie dilettissime figlie, per lo poco tempo che io ho, e così me lo' scusate e tutte le benedite da parte di Gesù Cristo e da mia e di queste altre, mille migliaia di volte. Sappiate che l'onore di Dio si vede nei prelati più che per me si vedesse mai: parmi che Dio ci voglia dare mangiare dei buoni bocconi grossi; e anco vi dico che il monisterio di Ripoli è escito de le mani del demonio. Alessa e Caterina e Cecha vi si mandano molto racomandando.

Caterina vostra schiava, serva dei servi di Dio, vi si racomanda.





284. A missere "Simone" cardinale di Luna.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Reverendissimo e carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi amatore dolce della verità - la quale verità ci libera (Jn 8,32) -, poiché neuno è che possa fare contro alla verità.

Ma questa verità non pare che si possa avere perfettamente, se l'uomo non la conosce, poiché, non conoscendola, non l'ama; e non amandola non trova in sé né segue questa verità. Ècci dunque bisogno lo lume della santissima fede, lo quale lume è la pupilla dell'occhio dell'intelletto; col quale occhio - essendovi lo lume della santissima fede - l'anima conosce la verità dolce di Dio, vedendo in verità che Dio non vuole altro che la nostra santificazione; e ciò che Dio dà e permette a noi in questa vita lo dà solo per questo fine, cioè perché noi siamo santificati in lui. Chi ci dimostra questa verità, che egli non vuole altro di noi, e che Dio ci creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26) perché noi godessimo di lui, participando del suo eterno bene? Lo sangue dell'unigenito suo Figlio, sparto con tanto fuoco d'amore, nel quale sangue fummo recreati a grazia: poiché, se Dio non avesse voluto e non volesse il nostro bene, non ci avrebbe dato sì-fatto ricompratore. Sì che nel sangue cognosciamo la verità col lume della santissima fede, la quale sta nell'occhio dell'intelletto.

Allora l'anima s'accende e notricasi in amore di questa verità; e per amore della verità sceglie di volere morire prima che scordarsi da la verità. E non tace la verità, quando egli è tempo da parlare (), perché non teme li uomini del mondo, né teme di perdere la vita, poiché già ha disposto di darla per amore della verità, ma solo teme Dio. La verità arditamente riprende, poiché la verità ha per compagna la giustizia santa, la quale è una margarita che deve relucere in ogni creatura che ha in sé ragione, ma singularmente nel prelato. La verità tace quando egli è tempo da tacere (), e tacendo grida col grido della pazienza, poiché ella non è ignorante, anco discerne e conosce dove più sia l'onore di Dio e la salute delle anime.

O carissimo padre, inamoratevi di questa verità, a ciò che voi siate una colonna ferma nel corpo mistico della santa Chiesa, dove si debbda amministrare questa verità, poiché verità è in lei; e perché verità è in lei, vuole essere ministrata da persone veritiere, e che ne sieno inamorati e illuminati, e non sieno ignoranti né idioti della verità. Ma i mi pare che la Chiesa di Dio n'abbi grandissimo caro dei buoni ministratori, poiché è tanto ricresciuta la nuvola dell'amore proprio di noi nell'occhio dell'intelletto, che neuno pare che possa vedere né conoscere questa verità. E però non l'amano, poiché, essendo ripieni dell'amore sensitivo e particulare di loro medesimi, non possono empire il cuore e l'affetto dell'amore della verità; e così si trovano in bugie e in menzogne le bocche di coloro che sono fatti anunziatori della verità. E io, carissimo padre, ve ne posso rendere ragione che egli è così, poiché nel luogo dove io sono, lassiamo andare dei seculari - che si trovano dei gattivi assai e pochi dei buoni -, ma dei religiosi e cherici seculari, e singularmente i frati Mendicanti - i quali sono posti dalla dolce Sposa di Cristo per annunziare e bandire la verità -, essi si scordano dalla verità, e in polpito la niegano. Credo che i miei peccati ne sieno cagione.

Questo dico per lo interdetto che essi hanno rotto; e non tanto che essi abbiano fatto il male, ma essi consigliano una parte - che ce n'è - che con buona conscienzia si può celebrare, e i secolari andarvi; e dicono che chi non vi va commette difetto. E hanno messo lo populo in tanta eresia, che è una pietà pur a pensarlo, non tanto che a vederlo. E questo lo' fa dire e fare il timore servile delli uomini, e il piacere umano, e il desiderio dell'offerta. Oimé, oimé! io muoio e non posso morire, a vedere essere privati della verità quelli che dovarebbero morire per la verità. Voglio dunque, dolce padre mio, che v'inamoriate della verità, a ciò che il santo principio che faceste, conoscendo che la Sposa di Cristo aveva bisogno di buono e santo pastore - e per questo vi metteste senza timore a ogni cosa -, voglio che venga in effetto con perseveranza.

Io vi prego che siate alli orecchi di Cristo in terra a sonarli continuamente questa verità; sì che in essa verità reformi la Sposa sua. E diteli con cuore virile che la reformi di buoni e santi pastori, in effetto e in verità, non solamente col suono della parola, poiché, se si dicesse e non si facesse, questo non sarebbe nulla. E se non si facesse i buoni pastori, mai non adempirebbe lo desiderio suo di reformarla. Voglia dunque, per amore di Cristo Crocifisso, con l'asprezza e con la dolcezza dibarbicare i vizii e piantare la virtù, giusta al suo potere. E piacciali di pacificare Italia; a ciò che poi di bella brigata, levando lo gonfalone della croce, facciamo sacrifizio di noi a Dio per amore della verità. E pregatelo che non lassi passare le colpe impunite, e spezialmente quelle di coloro che sono contaminatori della fede santa per l'amore proprio di loro.

E vogliasi vedere i servi di Dio da lato, i quali coraggiosamente gli aiuteranno a portare le fatiche sue, poiché, se egli vorrà trare la marcia di questo malore, gli converrà sostenere delle persecuzioni, e il bastone delle lingue delle creature - ed egli, e voi, e gli altri. Ma se voi sarete amatori della verità, con la margarita della giustizia condita con la misericordia - cioè che non si ponga maggiore peso che si possa portare -, non curerete nulla, né vollarete lo capo indietro a mirare l'arato (Lc 9,62), per alcuna cosa che sia, ma sarete constanti e perseveranti infine alla morte. E se cognosciarete e sarete amatori della verità, non vi daranno timore le pene, ma nelle pene vi dilettarete; ma se non fuste in questo dolce e suave amore della verità, l'ombra vostra vi farebbe paura. Unde, considerando me che altra via non c'è, dissi che io desideravo di vedervi amatore dolce della verità. Pregovi dunque per l'amore di Cristo Crocifisso, e per quello dolce sangue sparto con tanto fuoco d'amore, che voi vi facciate sposo della verità, a ciò che sia adempita in voi la voluntà di Dio, e il desiderio dell'anima mia, che desidero di vedervi morire per la verità. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





285. Al detto padre santo Gregorio XI, poi che fu gionto a Roma.

Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

Santissimo e reverendissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, indegna vostra figlia, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi ricevere vera e perfetta pace da' sudditi e figli vostri tornando al giogo della santaobbedienza, sì che voi potiate vivere con pace e quiete ne l'anima e nel corpo; e Dio per la sua inestimabile bontà e carità infinita mi dia grazia ch'io vi vega quel mezzo il quale facciate pacificare l'anima con Dio, della guerra che hanno per li difetti suoi commessi contro la sua ineffabile bontà, e contro la Santità vostra. E non dubito che, facendosi questa pace, sarà pacificata tutta Italia, l'uno con l'altro.

Oh quanto sarà beata l'anima mia, che io vegga che per mezzo della Santità vostra e benignità vostra voi gli leghiate col legame d'amore, tornando all’obbedienza vostra legati l'uno con l'altro per unione d'amore! Sappiate, santo padre, che in altro modo non si unì Dio nell’uomo, se non col legame de l'amore; e l'amore il tenne confitto e chiavellato in croce, perché l'uomo, che era fatto d'amore, non si traeva in veruno modo sì bene, quanto per amore. Con l'amore del Verbo de l'unigenito Figlio di Dio, si cacciò la guerra, che l'uomo fece ribellando a Dio, e la signoria del demonio.

In questo modo vedo, santissimo padre, che cacciarete la guerra e la signoria che il demonio ha preso nella città de l'anima dei vostri figli, ché il demonio non si caccia col demonio; ma con la virtù de l' umilità e benignità vostra il cacciarete, ché non sosterrà il demonio questa umiltà, perché non la può sostenere, anco ne rimane sconfitto. Con l'amore e fame che avarete a l'onore di Dio e alla salute de l'anime, imparando dallo dissanguato e consumato Agnello, la cui vece tenete, cacciarete la guerra e l'odio dei cuori loro, e gittarete lo' carboni di fuoco, acceso sopra dei capi di loro figli ribelli a voi, padre: drittamente dimoni incarnati.

Con questo dolce e soave modo si sconfiggerà il demonio e la superbia dell'uomo - ché in veruno modo s'atterra tanto bene, quanto per l'umiltà -, e la guerra col sostenere pazientemente, portando e sopportando i difetti dei vostri figli; non lassando però la correzione che se lo' debba dare secondo la possibilità loro. Così, con la misericordia benignità e santa giustizia, con fuoco dolce d'amore si consumarà l'odio de l'anime loro sì come acqua in fornace. Avanzi la benignità, padre: ché ogni creatura che ha in sé ragione è più presa con amore e benignità, che con altro, e specialmente questi nostri italiani di qua; e non ci so vedere altro modo per mezzo del quale voi gli potiate ben pigliare, se non con questo. Facendo così, avarete da loro ciò che vorrete; e di questo vi prego per l'amore di Cristo crocifisso per bene e utilità della santa Chiesa.

Vengono alla Santità vostra gli ambasciatori senesi, i quali, se gente è al mondo che si possano pigliare con amore, sì sonno eglino, e però io vi prego che con questo amo gli sappiate pigliare. Accettate un poco la scusa loro del difetto che hanno commesso, ché essi se ne dolgono, e pare a loro essere a sì-fatti partiti che non sanno che si fare. Piaccia alla Santità vostra, babbo mio dolce, se vedeste alcuno modo che eglino avessero a tenere verso la vostra Santità che fusse piacevole a voi, e non rimanessero in guerra con quelli a cui essi sono legati, vi prego che il facciate. Sostentateli per l'amore di Cristo crocifisso; credo, se il farete, che sarà grande bene per la santa Chiesa, e menovamento di male.

Poi vi prego che volliate l'occhio in punire i difetti dei pastori e officiali della Chiesa, quando fanno quello che non si die fare. Attendete a fare dei buoni che vivano virtuosamente e giustamente: questo si debba fare per onore di Dio, e per dovere e salute loro; e poi perch'i secolari vi mirano in questo molto alle mani, e per questo, ch'egli hanno veduto del non essere puniti i difetti, ne son venuti molti inconvenienti.

Spero nella somma eterna bontà di Dio e nella Santità vostra, che farete questo e ogni altra cosa buona, e ciò che bisognerà adoperare intorno a questa materia. Non dico più. Perdonate alla mia presunzione.

Umilemente vi domando la vostra benedizione. Racomandovi etc.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





286. A monna Alessa e a certe altre sue figlie da Siena, lo dì de la Conversione di santo Paolo.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi seguitatrici e amatrici de la verità, sì che io vi vegga acecato e perduto l'occhio dell'amore sensitivo, e illuminato l'occhio dell'intelletto del lume de la santissima fede, a ciò che voi diciate in verità, con volontà morta, col glorioso Paulo: «Signore mio, che vuoli tu che io facci? dimmi quello che tu vuoli che io facci, e io lo farò».(Ac 9,6) O carissime figlie, io vi prometto che, se voi lo farete, respondendo realmente in affetto al vostro Creatore, voi vi trovarete con Paulo salite al terzo cielo (2Co 12,2) nel mezzo de la Trinità, cioè che la memoria vostra s'empirà dei beneficii di Dio, e participarete de la potenza del Padre eterno, facendovi Dio forti e potenti contr'al demonio e a la propria fragilità vostra, e contro le persecuzioni del mondo; e portando con vera pazienza lo signoreggiarete. L’intelletto gustarà, vedendo l'obiettivo suo, cioè la sapienza del Figlio di Dio, e da questa sapienza riceverete lume sopranaturale. La volontà sarà legata col legame dello Spirito santo, abisso di carità, ne la quale carità conceperete dolce e amoroso desiderio e spasimato, per onore di Dio e per salute delle anime. Ed essendo così dolcemente levate nel mezzo de la Trinità, participando la potenza del Padre, la sapienza del Figlio e la clemenza dello Spirito santo, come detto è, piangerete con ardente amore e smisurato dolore sopra lo figlio morto de l'umana generazione e il corpo mistico de la santa Chiesa con con me, miserabile sopra miserabile vostra ignorante madre.

Abbiate compassione a le mie iniquitadi, carissime figlie, che sono cagione dei mali i quali si fanno per tutto quanto lo mondo, e singularmente dell'offesa che è fatta a la dolce Sposa di Cristo. Dio provvegga a tanti mali: sono certa, e di questo mi conforto, che la sua providenzia non mancarà. E già mi pare che essa sua providenzia cominci ad apparire. E però vi prego e comando, carissime figlie, che vi bagniate e anneghiate nel sangue dello immacolato Agnello, e offeriate dinanzi a lui umili e continue orazioni. Altro non vi dico, se non che Dio vi doni la sua dolce ed eterna benedizione, e io da sua parte vi do la mia. Amatevi amatevi insieme.

A te dico Alessa, dilettissima figlia mia, che t'innebrii di sangue, tu e l'altre, e d'altro che di sangue non ti notricare etc. Prego la somma ed eterna verità e dolce bontà di Dio che t'abondi, te e l'altre, tanto de la sua grazia che io ti vegga in tutto e per tutto morta e annegata la tua volontà, sì che io di te e dell'altre mi possa gloriare dinanzi a Dio, rendendo gloria e loda al nome suo etc.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







287. due Lettere

1) A frate Nicolò di Nanni di ser Vanni, dei frati di Monte Oliveto.
2) A don Piero di Giovanni di Viva, monaco di Certosa a Maggiano presso a Siena.


Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi constante e perseverante nel santo e vero proponimento che avete fatto nel cuore e nella mente vostra, cioè di servire a Dio in verità nell'Ordine santo, poiché senza la perseveranza non ricevareste lo frutto delle vostre fatiche. Poiché solo la perseveranza è quella che è coronata, sì che vedete che questa gloriosa virtù della perseveranza c'è di grande necessità.

Poi, dunque, che ella c'è di così grande bisogno, in che modo la possiamo avere? Dicovelo: ogni virtù ha vita da l'affetto della carità; e senza la carità, perché vi fusse l'atto della virtù, non ne ricevarebbe l'anima frutto di grazia. Convienci dunque per affetto d'amore acquistare la virtù; ma all'amore vero non si può venire che lo cuore e l'affetto non sia spogliato dell'amore proprio di sé. Lo quale amore proprio e tenerezza che l'uomo ha alla propria passione sensitiva priva della vita della grazia - e offusca lo lume dell'intelletto -: lo quale drittamente è una nuvola posta sopra la pupilla del lume della santissima fede, che perde lo gusto del santo desiderio; onde la virtù - che prima gli pareva buona e dilettavasi di vederla nelli uomini virtuosi, e per sé la cercava in Cristo Crocifisso -, venuto che egli è a questo amore proprio, gli pare tutto lo contrario. E fallo debole e timoroso, e l'ombra sua gli fa paura.

E questa è la cagione che l'uomo non persevera in quello che egli ha cominciato, cioè, mentre che la radice dell'amore proprio vive in lui: poiché, non avendo lo lume - che già l'ha perduto, come detto è -, va in tenebre e non conosce la verità; né conosce lo difetto suo, né le grazie i doni di Dio, i quali ha ricevuti da la infinita sua bontà. Ma se egli avesse questo cognoscimento non sarebbe debole, ma forte e perseverante; e non verrebbe meno per le inique e malvage tentazioni del demonio, né per molestia della propria fragilità, né per le lusenghe del mondo, né per le fatiche dell'Ordine, ma ogni cosa trapassarebbe con cuore virile e col lume della santissima fede.

Perciò, carissimo figlio, questo è lo modo di venire a perfetta perseveranza: cioè che voi vi spogliate lo cuore e l'affetto d'ogni amore proprio di voi, e d'ogni tenerezza del corpo vostro. Fuggite lo ricordo del mondo, del padre, e dei fratelli, sorella e parenti vostri; ricordateli per desiderio della salute loro, con sante orazioni: ma con altra tenerezza, no. Voi sapete che lo nostro Salvatore dice che noi doviamo renunziare al padre e alla madre, a sorella e a fratelli e a noi medesimi - cioè alla propria nostra volontà - se noi vogliamo essere degni di lui (Mt 10,37 Lc 14,26), poiché in altro modo non potremmo.

Voi avete cominciato a renunziare al mondo e alla propria vostra volontà, e preso lo giogo della veraobbedienza: a volerla dunque bene osservare, e compire questo proponimento infine alla morte, vi conviene ogni dì di nuovo renunziare al mondo e a tutte le sue delizie. Ma attendete che la cosa che non si conosce non si può né pigliare né lasciare, e però c'è bisogno lo lume della santissima fede, e con esso lume ponere dinanzi all'occhio dell’intelletto vostro l'obiettivo di Cristo Crocifisso. Nel quale obiettivo cognosciarete quanto è grave la colpa del peccato mortale; la quale colpa si commette col disordenato amore e volontà che l'uomo piglia o in sé medesimo, o nelle creature che hanno in loro ragione, o nelle cose create. E tanto è la gravezza del peccato mortale, che solo uno è sufficiente a mandare all’inferno l'anima che dentro vi si trova legata.

Tanto dispiacque a Dio e dispiace, che per punire lo peccato di Adam mandò lo Verbo dell'unigenito suo Figlio, e volselo punire sopra lo corpo suo, con-ciò-sia-cosa-che in lui non fusse veleno di peccato.

Non di meno per satisfare alla colpa dell’uomo, e per non lassarla impunita, lo punì sopra lo Verbo unigenito suo Figlio; unde Cristo benedetto fu nostra giustizia, e la giustizia e la pena che doveva portare l'uomo, la portò egli, e, come inamorato, per compire l'obedienzia del Padre e la salute nostra, corse all'oprobiosa morte della santissima croce. Sì che bene vediamo in questo obiettivo del Verbo quanto è grave la colpa del peccato mortale.

Vedendo dunque che egli è di tanta gravezza e tanto spiacevole a Dio, l'anima, che l'ha cognosciuto col lume de la fede, l'odia, e vienle a grande dispiacere e il peccato e la cagione del peccato. E perché vede che la legge perversa del corpo suo è uno strumento che lo inchina a peccato, ed è una legge perversa che combatte contro allo spirito, però la ragione col libero arbitrio, e con la santa e buona volontà, si leva con odio e pentimento, maciarando lo corpo e la carne sua, e uccidendo la propria volontà col coltello della santaobbedienza, non ribellando mai a l'Ordine né al prelato suo. Ma sempre persevera, e debba perseverare, con quello desiderio dell’obbedienza che egli v'entra lo primo dì, e con quello santo timore, infine all'ultimo della vita sua, essercitandosi la mente con umile e continua orazione, a ciò che mai la mente non stia oziosa; ma sempre si vuole empire, o psalmeggiando, o pensando, o levando la mente sua a Dio, rugumando in sé medesimo l'affocata carità la quale trova e vede nel sangue del Verbo del Figlio di Dio, poiché del sangue ci ha fatto bagno per lavare i nostri defetti. Quando l'anima vede e pensa sé essere tanto amata da Dio, non può fare che non ami: amando, la mente pensa di quello che ella ama. E perché senza amore non può vivere, e due amori contrarii insieme non possono stare, necessario sarà che sia spogliata del perverso amore e vestita di quello di Dio.

Lo cuore allora, che non può fare che non senta quello che ama, cacciarà coi santi pensieri le cogitazioni che lo demonio volesse mandare nel cuore. E trovando lo demonio che lo cuore arda nel fuoco della divina carità, non vi s'accostarà molto, se non come la mosca alla pignatta che bolle. Ma se lo demonio lo trovasse tiepido e timoroso, egli v'entrarebbe subito dentro con diversi e ladii pensieri e fantasie. Doviamo dunque essercitarci, a ciò che non siamo trovati tiepidi né vòti, ma pieni di Dio per santo desiderio, meditando e pensando i dolci beneficii che aviamo ricevuti da lui.

E se pur i pensieri venissero - perché lo demonio non dorme mai, ma sempre ci molesta -, non doviamo però venire a tedio né a confusione di mente, ma resistere e guardare che la volontà non consenta, poiché, non consentendo la volontà né alle cogitazioni del demonio né alla fragilità della carne, non offende, anco merita per la pena che egli porta. E per questo - se egli non si pone a sedere per negligenzia, né venga a confusione né a tedio di mente, né lassi l'essercizio dell'orazione - ne viene a vera e perfetta virtù, poiché nel tempo delle battaglie conosce meglio sé e la sua fragilità, e la bontà di Dio in sé, vedendo che Dio per grazia gli conserva la buona e santa volontà; la quale volontà è sola quella che offende e merita. Sì che vedete che nel tempo delle grandi battaglie l'anima viene a maggiore perfezione, e pruovasi nella virtù.

Poi voglio che voi crediate che Dio non ci pone maggiore peso che noi possiamo portare; anco ce li dà a misura, poiché egli è lo Dio nostro, che non vuole altro che la nostra santificazione. Perciò col lume de la fede vi levate da ogni amore proprio.

E a ciò che veniate a perfettissimo amore vi ponete per obiettivo, come detto è, dinanzi all'occhio dell'intelletto vostro, Cristo Crocifisso e la ineffabile carità sua - la quale v'ha mostrata col sangue che egli ha sparto con tanto fuoco d'amore -, a ciò che col lume in questo dolce Verbo cognosciate la gravezza del peccato, e la propria vostra fragilità, e la carità sua. Nella quale carità amarete e cercarete le virtù, volendo sostenere ogni pena per potere acquistare virtù; e ameretevi caritativamente col prossimo vostro.

E a questo vi dovete studiare, cioè d'amare Dio in verità, e il prossimo come voi medesimo; ed essere umile e obediente e con vera pazienza, sostenendo pene ingiurie scherni e villanie, e le fatiche dell'Ordine, e le gravi obedienzie che vi fussero imposte dal prelato, e le tentazioni del demonio: e ogni cosa portare con vera perseveranza infine alla morte; e ricorrire, nel tempo delle battaglie e fatiche, con questo lume della fede santa, ad abbracciare la santissima croce, e ine con ferma speranza sperare nel sangue di Cristo Crocifisso. E io non dubbito punto che, essendo voi umile - la quale umilità notrica la carità nell'anima - e obediente con vera pazienza, che in virtù di questo sangue voi avarete vittoria dei nemici vostri, cioè del mondo, della carne, e del demonio, e tornarete con la vittoria alla città vostra di Yherusalem, la quale è visione di pace. Ma senza la fortezza e perseveranza, la quale si perde per l'amore proprio, non vi tornareste mai. E però vi dissi che io desideravo di vedervi constante e perseverante nel santo proponimento che fatto avete, infine alla morte; e così vi prego, carissimo figlio, che facciate, poiché Dio v'ha fatta tanta misericordia - e il glorioso santo Nicolò - che v'ha tratto delle puzze del mondo e di tanta miserabile fatica nella quale voi eravate, e postovi nel giardino della santa religione a combattare contro i vizii e contro alla propria volontà, per acquistare le virtù e per adempire la dolce volontà di Dio in voi.

Combattete dunque virilmente - e non vollete lo capo indietro - con lo scudo (Ep 6,16) e lume della fede, navicando col giogo della santaobbedienza; e inanzi volere morire, che ricalcitrare all’obbedienza santa. E se alcune volte alla sensualità le paresse duro a portare, o che l'anima alcune volte venisse a tedio per molti pensieri che venissero nella mente, non sentendo la pace che vorrebbe, levatevi allora con vera umilità, reputandovi indegno della pace e quiete della mente, e degno di portare fatiche, in qualunque modo Dio ve le concede, considerando le pene che lo Figlio di Dio ha portate per noi, e anco considerando le pene che portaste in servigio del demonio.

Direte allora a voi medesimo: «Come tu, falsa sensualità, portasti tanta pena, mentre che eri in tenebre del peccato mortale, molto maggiormente debbi portare ora per Cristo Crocifisso nel tempo che Dio t'ha dato lo lume. Porta oggi dunque, anima mia, e domane farai quello che ti farà fare Dio. Forse che domane sarà terminata la vita tua, e ricevarai lo frutto, in virtù del sangue, delle tue fatiche». Per questo modo, facendovi degno delle fatiche per amore di Cristo Crocifisso, e per considerazione dei difetti vostri, trapassarete le fatiche, e portarete lo giogo di Cristo, che è dolce e suave (Mt 11,30), dando nell'anima vostra l'ardore della sua inestimabile carità.

Bagnatevi nel sangue di Cristo Crocifisso, a ciò che siate constante e perseverante, e compiate l'allegrezza nell'anima mia, la quale io ho avuta per la salute vostra, dell'abito e giogo santo, che avete preso, dell’obbedienza. E pensate che intollerabile dolore mi sarebbe d'avere tratto uno figlio, per la bontà di Dio, delle mani del demonio, e io vedesse che voi non perseveraste, e non fuste specchio di religione con vera umilità eobbedienza. E però vi prego e comando quanto io so e posso, che voi non volliate lo capo indietro a mirare l'arato, ma andate inanzi senza alcuno timore servile. E pregovi che sappiate ponere freno alla lingua, e che, quando i pensieri o forti tentazioni d'alcuna cosa più particolare vi venissero nel cuore, e fusse ladia quanto più si volesse essere, voi non la teniate mai dentro da voi, anco le manifestate al padre dell'anima vostra, poiché molto piace al demonio quando noi le teniamo e molto gli dispiace quando noi le diciamo: poiché, tenendole, l'anima se ne confonde, e viene a tedio, e lassa gli essercizii spirituali che ha presi. E il demonio non vorrebbe altro se non farci cadere in disperazione. Perciò c'è necessario lo non temere, ma manifestare ogni nostra infermità al medico de l'anima nostra, con la speranza nel sangue di Cristo. Non vi dico più.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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Sesso: Femminile
19/10/2012 17:40

288. A monna Agnesa, donna di Francesco sarto da Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti vera serva e fedele al tuo Creatore, constante e perseverante ne la virtù, affinché in questa vita ricevi l'abondanzia de la grazia e ne la vita durabile godiamo nell'eterna visione di Dio, legati nel legame dolce de la carità.

Ma affinché meglio cresca e ti conservi nell'affetto de le virtù, voglio che per santo desiderio tu e Francesco vi nascondiate nel costato di Cristo Crocifisso: ine del sangue suo s'empi lo vasello del cuore vostro affinché come innamorati e inebriati del sangue di Cristo gustiate l'affetto de la sua carità. Allora lo sposo eterno vi ricevarà e strignerà ne le braccia sue con grande benignità e misericordia.

Rispondoti figlia mia all'affetto de la tua carità e a quello che mi scrivi: quando io voglio che tu venga per me. Non ti rispondo quando, ma tanto ti dico che io adempirò lo tuo desiderio e darò refrigerio all'anima tua, che quando sarà venuta l'ora mandarò per te, e tosto sarà con la grazia di Dio.

Confortati in Cristo dolce Gesù e racomandaci strettamente a Bartalo e a monna Orsa, e benedimmi tutta l'altra fameglia, e Francesco conforta strettissimamente. Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



289. A Francesco di Pipino sarto da Firenze.


Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi constanti e perseveranti ne la virtù, a ciò che riceviate la corona de la gloria, la quale non si dà a chi solo comincia, ma a chi persevera infine a la morte.

Unde io voglio che perseveriate e cresciate in virtù; e non sia veruna tribulazione, né battaglia dal demonio né da le creature che vi faccia vòllere lo capo adietro. Bagnatevi nel sangue di Cristo, annegando e uccidendo ogni propria volontà e passione sensitiva; e allora sarete fatti facciorti che nessuna cosa vi potrà muovere - poiché sarete fondati sopra la viva pietra Cristo dolce Gesù -, e così sarete constanti e perseveranti infine a la morte, e ricevarete lo premio de le vostre fatiche. Non dico più qui.

Per la grande bontà di Dio, e per comandamento del santo padre, mi credo andare a Roma per di qui a mezzo questo mese, più e meno come piacerà a Dio, e faremo la via per terra, sì che io vel fo sapere come io vi promissi. Pregate Dio che ci faccia compire la sua voluntà.

Prego voi, Francesco, per l'amore di Cristo Crocifisso, che duriate fatica di dare le lettere che io vi mando con questa, prestamente, per onore di Dio e piacere di me. Andate infine a monna Pavola, e ditele, se ella non àe avuto di corte quello che ella voleva, che me lo scriva, e io farò per lei come per madre. Ditele che preghi e faccia pregare le figlie tutte per noi. Ritrovate Nicolò povero di Romagna, e ditegli come io sono per andare a Roma, e che si conforti e preghi Dio per noi. Sopra tutto vi prego che la lettera di Leonardo Frescubaldi voi la diate in sua mano lo più tosto che potete, e così quella di frate Leonardo; non vi sia grave di portarglili, se egli non fusse costì. Barduccio vi prega che diate una sua lettera al padre e ai fratelli; e dite loro che vi diano se egli vogliono mandare nulla, e fate di mandarci o recarci quello che vi daranno, se voi venite qua.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

Fatta a dì iiij di novembre 1378 in Siena.





290. A Francesco sarto predetto.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figlio e figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi veri servi di Cristo Crocifisso, constanti e perseveranti infine a la morte, a ciò che riceviate la corona de la gloria, la quale corona non si dà a chi solo comincia, ma a chi persevera infine all'ultimo.

Voglio Perciò che con ogni sollicitudine v'ingegniate di corrire per la via de la verità, studiandovi di crescere sempre di virtù in virtù, poiché il non crescere sarebbe uno tornare adietro: poiché l'anima non può stare ferma in uno stato. E che modo terremo, carissimi figli, a crescere in noi lo fuoco del desiderio santo? Il modo è questo, che noi poniamo de le legna in sul fuoco: e che legna? di recarsi a memoria i molti e infiniti beneficii ricevuti da Dio, che innumerabili sono, e massimamente lo beneficio del sangue del Verbo unigenito suo Figlio, lo quale ci manifesta l'amore ineffabile che Dio ci ha, sì che per questo, e per molti altri beneficii ricevuti, verremo e cresciaremo in amore. Convienci anco attentamente ripensare i molti e innumerabili defetti e peccati e offese fatte a lui; e con amaritudine e contrizione dolerci; e vedere quanta è stata ed è la misericordia sua verso di noi, a non averci fatti inghiottire a la terra, o divorare agli animali.

Per queste così-fatte legna cresciarà in noi lo fuoco, unde per li beneficii avremo conceputo amore a le virtù; e per le nostre iniquità conceparemo odio al vizio, e a la propria sensualità che ce n'è la cagione. In questo modo perseverremo infine a la morte, crescendo continuamente; e allora sarete veri servi di Cristo Crocifisso, come io dissi che desideravo di vedervi. E così vi prego che facciate, per l'amore di Cristo Crocifisso, a ciò che in voi vegga compire la volontà di Dio, e il desiderio mio. Non dico più qui.

Ricevetti le vostre lettere, e rispondovi che quando io saprò di vero la mia andata ve il farò sapere, e del camino brigarò di farne la volontà di Dio. Lo vostro compare m'è e sarà sempre racomandato, e quando verrà a me, m'ingegnarò di consolarlo e d'aitarlo con la parola e con l'orazione, giusta al mio potere, mediante la grazia di Dio. Mando a voi, Francesco, sei lettere: pregovi per l'amore di Gesù Cristo che duriate fatica a darle prestamente tutte, poiché qua sono soprastate, ed i ve n'ha alcuna di grande bisogno. Benedite Bastiano, e salutate monna Orsa e Bartalo. Tutte queste donne vi confortano in Cristo Gesù.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





291. A papa Urbano VI.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato in vera e perfetta carità, a ciò che come pastore buono poniate la vita per le pecorelle vostre (Jn 10,11).

E veramente, santissimo padre, che solo colui che è fondato in carità è quello che si dispone a morire per onore di Dio e salute delle anime, perché è privato dell'amore proprio di sé medesimo: perché colui che è nell'amore proprio non si dispone a dare la vita; e non tanto la vita, ma una piccola pena non pare che voglia sostenere - perché sempre teme di sé, di non perdere la vita corporale e le proprie consolazioni -, unde ciò che egli fa, fa imperfetto e corrotto, perché è corrotto lo principale suo affetto, col quale affetto aduopera. E in ogni stato adopera poca virtù: o pastore o suddito che sia.

Ma il pastore che è fondato in vera carità non fa così, ma ogni sua opera è buona e perfetta, perché l'affetto suo è unito e congiunto nella perfezione della divina carità. Questi non teme né demonio né creature, ma solo il Creatore suo; non cura le detrazioni del mondo, né obbrobri né scherni né villanie, non scandalo né mormorazione dei sudditi suoi - che si scandalizzano e vengono a mormorazione quando sono ripresi dal prelato loro -, ma come uomo virile, vestito de la fortezza della carità, non gli cura. Né però allenta lo fuoco del santo desiderio, e non si tolle da sé la margarita della giustizia, la quale porta nel petto suo lucida, unita con la misericordia, ché, se giustizia senza misericordia fusse, sarebbe con le tenebre della crudeltà - più tosto sarebbe ingiustizia che giustizia -; e misericordia senza giustizia farebbe, nel suddito, come l'unguento in su la piaga che vuole essere incesa col fuoco, che ponendovi solo l'unguento senza incendarla, imputridisce più tosto che non sana. Ma unita l'una e l'altra insieme, dà vita nel prelato in cui ella riluce, e sanità nel suddito, se non fusse già membro del demonio che in neuno modo si volesse correggere. Bene che se mille volte lo suddito non si correggesse, non debba però lasciare il prelato che non corregga; e non sarà meno la virtù sua perché quello iniquo non riceva il frutto.

Questo fa la pura e schietta carità che è in quella anima che non cura sé per sé, ma sé per Dio: Dio cerca per gloria e loda del nome suo, in quanto egli vede ch'egli è degno d'essere amato per la sua infinita bontà; né il prossimo cerca per sé, ma per Dio, volendo fare quella utilità al prossimo che a Dio fare non può.

Perché vede e conosce bene ch'egli è lo Dio nostro, che non ha bisogno di noi; e però si studia con grande sollicitudine di fare utilità al prossimo, e spezialmente ai sudditi che gli sono commessi. Non si ritrae di procacciare la salute dell'anima e del corpo per ingratitudine che truovi in loro, né per minacce né per lusinghe d'uomo, ma in verità, vestito del vestimento nuziale, segue la dottrina de l'umile e immacolato Agnello, pastore dolce e buono, lo quale, come inamorato, per la salute nostra corse alla obbrobriosa morte della santissima croce: tutto questo fa l'amore ineffabile che l'anima ha conceputo nell'obiettivo di Cristo Crocifisso.

O santissimo padre, Dio v'ha posto come pastore sopra le pecorelle sue di tutta la religione cristiana, postovi come celleraio da amministrare il sangue di Cristo Crocifisso, di cui vicario sete; e àvi posto in tempo nel quale abonda più la iniquità nei sudditi che abondasse già è grandissimo tempo, e sì nel corpo mistico della santa Chiesa, e sì nell'universale corpo della religione cristiana. E però è a voi grandissima necessità d'essere fondato in carità perfetta, con la margarita della giustizia - nel modo che detto è -, a ciò che non curiate il mondo, né i miseri abituati nel male, né veruna loro infamia; ma come vero cavaliere, e giusto pastore, virilmente correggere, divellendo lo vizio e piantando le virtù, disponendosi a ponere la vita, se bisogna.

O dolcissimo padre, lo mondo già non può più, tanto abondano i vizii e singularmente in quelli che sono posti nel giardino della santa Chiesa come fiori odoriferi, a ciò che gittino odore di virtù; e noi vediamo che egli abondano in miserabili e scellerati vizii, in tanto che con essi apuzzano tutto il mondo. Oimé, dov'è la purezza del cuore e la onestà perfetta, che con l'onestà loro l'incontinenti diventassero continenti? Egli è il contrario; ché spesse volte i continenti e i puri guastano per le immondizie loro. Oimé, dov'è la larghezza della carità, la cura delle anime, distribuire la sustanzia ai povari, e al bene della Chiesa, e per la loro necessità? Sapete bene che il contrario fanno. O miserabile a me, con dolore il dico: i figli si notricano di quella sustanzia che essi recevono mediante lo sangue di Cristo; non si vergognano di stare come barattieri, giucare con quelle sacratissime mani unte da voi, vicario di Cristo - senza l'altre miserie le quali si commettono. Oimé, dov'è la profonda umilità, con la quale umilità confondino la superbia della propria sensualità loro? con la quale, con grande avarizia, si commettono le simonie, comperando i beneficii con presenti o con lusinghe o con pecunia; con dissoluti e vani adornamenti, non come clerici, ma peggio che seculari.

Oimé, babbo mio dolce, poneteci remedio, date refrigerio agli spasimati desiderii dei servi di Dio, che di dolore muoiono, e non possono morire: con grande desiderio aspettano che voi, come vero pastore, mettiate mano a correggere non solamente con la parola, ma in effetto, relucendo in voi la margarita della giustizia unita con la misericordia: senza alcuno timore servile correggiarli in verità quelli che si notricano al petto di questa dolce sposa, i quali sono fatti ministri del sangue.

Ma veramente, santissimo padre, io non so vedere che questo si possa bene fare, se voi non rifornite il giardino di nuovo della vostra sposa di buone e virtuose piante: attendendo di scegliere una brigata di santissimi uomini, in cui voi troviate virtù, che non temino la morte (e non mirate a grandezza; ma che sieno pastori che con sollicitudine governino le loro pecorelle), e una brigata di buoni cardinali, che sieno a voi drittamente colonne che v'aitino a sostenere lo peso delle molte fatiche con l'aiutorio divino. Oh quanto sarà allora beata l'anima mia, quando io vedrò rendere alla Sposa di Cristo quello che è suo, vedrò nutrere al petto suo quelli che non raguardaranno al loro bene proprio, ma alla loda e gloria del nome di Dio, e a pascersi, in su la mensa della croce, del cibo delle anime. Non dubbito che poi i sudditi secolari non si correggano: poiché nol potrebbero fare, costretti dalla dottrina e santa e onesta vita loro, che non si correggessero. Non è dunque da dormirci su, ma virilmente e senza negligenzia, per gloria e loda del nome di Dio, farne ciò che voi potete, infine alla morte.

Poi vi prego e vi constringo, per amore di Cristo Crocifisso, che le pecorelle le quali sono state fuore dell'ovile - credo io per li miei peccati -, che voi non tardiate, per amore di quello sangue del quale sete fatto ministro, che voi le riceviate a misericordia. Con la benignità e santità vostra sforziate la loro durezza a dar lo' quello bene, rimettendoli nell'ovile, ché essi in quella vera e perfetta umilità non la cheggiono, ma la Santità vostra compi la loro imperfezione: ricevete da lo infermo quello che vi può dare. Oimé, oimé! Abbiate pietà e misericordia a tante anime che periscono. E non mirate per lo scandalo che sia venuto in questa città, che propriamente i demoni infernali si sono essercitate per impedire la pace e la quiete delle anime e dei corpi; ma la divina bontà ha proveduto ched il grande male non è stato grande male: sonsi pacificati i figli vostri, e pur chieggono a voi dell'olio della misericordia. E poniamo che vi paresse, santissimo padre, che non la dimandassero con quelli modi piacevoli, e con cordiale pentimento della colpa commessa, che doverebbero fare e piacerebbe alla vostra Santità che facessero, oimé!, non lassate però; e saranno poi migliori figli che gli altri.

Oimé, babbo mio, ch'io non vorrei più stare: fate di me poscia ciò che voi volete. Fatemi questa grazia e questa misericordia, a me misera miserabile che busso a voi, padre mio: non mi dinegate de le mollicole che io v'adimando per li vostri figli; a ciò che, fatta la pace, voi leviate lo gonfalone della santissima croce, ché vedete bene che gl'infedeli vi sono venuti a invitare. Spero per la dolce bontà di Dio che vi riempirà dell'affocata carità sua, unde cognosciarete lo danno delle anime, e quanto voi sete tenuto ad amarle: così cresciarete in fame e in sollicitudine di trarle delle mani delle demonia, e cercarete di remediare lo corpo mistico della santa Chiesa, e l'universale corpo della religione cristiana; e singularmente di riconciliare i vostri figli, reducendoli con benignità, e con quella verga della giustizia che sono atti per potere portare; e più no.

Sono certa che, non essendoci la virtù della carità, non si farebbe; e però vi dissi che io desideravo di vedervi fondato in vera e perfetta carità. Non che io creda che voi non siate in carità; ma perché sempre, mentre che siamo perregrini e viandanti (He 11,13 1P 2,11) in questa vita, possiamo crescere in perfezione di carità, e però dissi ch'io volevo in voi la perfezione della carità: cioè nutrendola continuamente col fuoco del santo desiderio, parturendola, come buono pastore, sopra i sudditi vostri, e così vi prego che facciate.

Io starò e adopererò infine alla morte con l'orazione e con ciò che si potrà, per onore di Dio e per pace vostra e dei vostri figli. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Perdonate, padre santissimo, alla mia presunzione, ma l'amore e il dolore me ne scusi dprima della Santità vostra. Umilemente vi dimando la vostra benedizione.

Gesù dolce, Gesù amore.




292. A lo soprascritto venerabile religioso frate Guglielmo d'Inghilterra, e a misser Matheio rettore de la Misericordia, e a frate Santi e agli altri figli.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figliuogli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Cristo Gesù, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi legati nel legame de la carità, considerando che senza questo legame non possiamo piacere a Dio. Questo è quello dolce segno al quale si cognoscono i servi e figliuogli di Cristo.

Ma pensate, figli miei, che questo legame vuole essare ischietto, e no machiato per amor propio di sé medesimo. Che se tu ami il tuo criatore, amalo e servelo in quanto egli è sommo bene, degno d'essere amato non per propia utilità, poiché sarebbe amore mercenaio: sì come l'avaro che ama lo denaio per propria avarizia, così l'amore del prossimo vostro. Amatevi, amatevi insieme: voi sete prossimo l'uno de l'altro. Ma guardate che se l'amore vostro fusse fondato in propia utilità, o in propio diletto che aveste l'uno de l'altro, egli non durarebbe, ma verebbe meno: l'anima vostra si trovarebbe votia. L'amore che è fondato in Dio vuole essare così-fatto, che si debba amare per rispetto de la virtù; anco, dico, egli è creatura creata a la immagine di Dio: che, perché venga meno il diletto in colui ch'io amo, o l'utilità, s'egli è fondato in Dio non viene meno l'amore, perch'egli ama per rispetto de la virtù e per onore di Dio, e non per lo suo propio. Dico, s'egli è in Dio, che se eziandio la virtù venisse meno in colui che ama, non viene meno l'amore. Manca bene l'amore de la virtù, che non v' è; ma non manca in quanto egli è creatura di Dio, membro suo legato nel corpo mistico de la santa Chiesa: anco, gli cresce un amore di grande e vera compassione per desiderio. E partoriscelo coi lacrime e sospiri e continue orazioni nel cospetto dolce di Dio.

Or questa è quella carità che lassò Cristo ai discepoli suoi, che non viene mai meno né alenta mai; non è impaziente per veruna ingiuria che riceva; non vi cade mormorazione, né pentimento, poiché non l'ama per sé, ma per Dio. Non giudica, né vuole giudicare la volontà degli uomini, ma la volontà del suo Creatore, che non cerca né vuole altro che la nostra santificazione. E gode di ciò che Dio permette per qualunche modo si sia, poiché non cerca altro che l'onore del suo Creatore, e la salute del prossimo suo.

Veramente si può dire che costoro sieno legati nel legame de la carità con quello legame che tenne confitto e chiavellato Dio e Uomo in sul legno de la santissima e dolce croce.

Ma pensate, figliuogli miei, che già mai non vereste a questa perfetta unione, se non vi poneste per obbietto Cristo crocifisso, seguitando le vestigie sue: in lui trovarete questo amore, che v'ha amati di grazia, e non di debito. E perché egli ama di grazia, non alentò lo suo amore né per nostra ingratitudine, né per nostra ignoranza, né superbia né vanità nostra: ma sempre persevarò per fino a la 'brobiosa morte de la croce, tollendoci la morte, dandoci la vita. Or così fate voi, figliuogli miei: imparate, imparate da lui.

Amatevi amatevi insieme d'amor puro e santo in Cristo dolce Gesù. Altro non dico, perciò che tosto spero, quando piacerà a la divina bontà, di rivedervi tutti.

Rimanete nella santa carità di Dio. Gesù dolce Gesù.




293. A missere "Simone" cardinale di Luna.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi colonna ferma posta nel giardino della santa Chiesa, privato di quello amore proprio che indebilisce ogni creatura che ha in sé ragione; e solo vegga vivere in voi un amore vero fondato nella pietra viva, Cristo dolce Gesù, seguitando sempre le vestigie sue. Nel quale amore l'anima si fortifica, perché ha consumato quella cosa che la faceva debole; e non tanto che sia forte in sé, ma di questa fortezza spesse volte ne participa il prossimo suo.

E spezialmente potete fortificare altrui, voi e i vostri simili, quando date ai sudditi, e agli altri secolari, essemplo di santa e onesta vita, e dottrina fondata in verità, poiché nella dottrina e nella vita buona si manifesta che l'uomo è privato della debolezza, ed è fatto forte contro i tre nemici principali: cioè contro il demonio, non seguitando la perversa malizia sua; e contro il mondo, non seguitando la sua vanità, ma refiutando gli stati e le delizie sue; e contro alla propria fragilità e carne sua. Anco l'ha conculcata coi piei dell'affetto e col lume della ragione, tenendola non con disordinata dilicatezza, né diletto di corpo, né con cibi dilicati, ma macerandola con la penitenza, col digiuno, con la vigilia e con l'umile e continua orazione. Per questo modo non si lassa soprastare alla serva della fragile carne, ma alla ragione, sì come doviamo fare, a ciò che l'anima sia donna - come ella debba essere - e la sensualità sia serva. Poiché grande vergogna e confusione è a l'uomo, che di signore libero - di tanta libertà che neuno gli può togliere la città dell'anima sua - egli diventi miserabile servo e schiavo di questi tre nemici, i quali lo fanno tornare a non nulla, privandolo dell'essere della grazia. E però questi che sono fortificati sono liberi, perché sono privati delle mani dei nemici loro, e hanno fornita la città dell'anima della compagnia delle vere e reali virtù.

Oh quanto dolcemente, con la fame e zelo de l'onore di Dio e della salute delle anime, fortificano il prossimo, inanimandolo con la buona vita loro a virtù; per la quale virtù si privano dell'amore proprio di loro medesimi, lo quale dicemmo che faceva indebilire. E però dissi che quelli che è fatto forte spesse volte fortificava il prossimo suo. Perciò io voglio, carissimo padre, che voi siate colonna ferma e stabile, e che mai non vi mutiate per nessuna cosa che il mondo ci volesse dare, né per persecuzioni che si levassero pur tra voi cherici nel corpo mistico della santa Chiesa. Ma se non fuste spogliato dell'amore proprio di voi, non è dubbio che sareste debole, e per debolezza verreste meno; e però desidera l'anima mia di vedervi posto in tanta fortezza che in nessuna cosa veniate meno, ma che voi pariate le spalle ad aitare e subvenire i debili.

Date, date del sangue di Cristo all'anima vostra, a ciò che, come inamorata, corra alla battaglia a combattere virilmente. La memoria s'empia di questo prezioso sangue; l’intelletto vegga e intenda la sapienza del Verbo unigenito Figlio di Dio, e con quanta sapienza col sangue vinse la malizia nostra, e la malizia dell'antico demonio, pigliandolo coll'amo de la nostra umanità; e la voluntà corra - come ebbra del sangue di Cristo, dove ha trovato l'abisso della carità sua - ad amare, amandolo con tutto il cuore, con tutto l'affetto e con tutte le forze sue (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27) infine alla morte, non pensando di sé, ma solo di Cristo crocifisso. E ponersi in su la mensa della croce, e ine prendere il cibo delle anime per onore di Dio - cioè sostenendo con vera pazienza infine alla morte -; portando i difetti del prossimo nostro nel conspetto di Dio con grande compassione; e portare la ingiuria fatta a noi con pazienza. Or così facciamo, carissimo padre, ché ora è il tempo.

Parmi avere inteso che discordia nasce costà tra Cristo in terra, e i discepoli suoi; della quale cosa ricevo intollerabile dolore, solo per timore che io ho della eresia, della quale cosa io dubbito forte che per li miei peccati ella non venga. E però vi prego, per quello glorioso e prezioso sangue che fu sparto con tanto fuoco d'amore, che voi non vi stacchiate mai dalla virtù, e dal capo vostro. E pregovi che preghiate Cristo in terra strettamente che tosto facci questa pace - poiché troppo sarebbe duro avere a combattere dentro e di fuore -, a ciò che veramente egli possa attendere a tagliare le vie per le quali questo potesse avenire.

Diteli che si fornisca di buone colonne, ora in su lo fare dei cardinali, i quali sieno uomini virili, e che non temano la morte, ma disponghinsi con virtù a sostenere per amore de la verità e per reformazione della santa Chiesa, infine alla morte, e dare la vita, se bisogna, per l'onore di Dio. Oimé oimé, non indugiate il tempo; e non s'aspetti tanto, a ponere lo remedio, che la pietra ci caggia in capo. Oimé, disaventurata l'anima mia! che tutte l'altre cose - guerra di fuore e altre tribulazioni - ci parrebbero meno che una paglia o una ombra, per rispetto di questo.

Pensate che io ne triemo pur a pensarlo; e spezialmente avendo udito da alcuna persona - essendole mostrato col mezzo dell'orazione - quanto ella era grave e pericolosa, in tanto che la guerra presente le pareva niente a rispetto di quello. Dicovi che pareva che il cuore e la vita si partisse dal corpo suo per dolore; unde invocava e chiedeva la divina misericordia che provedesse a tanto male, desiderando che il corpo suo gittasse sangue per forza del santo e ardente desiderio - non parendole che il sudore dell'acqua fusse sufficiente a satisfare, e però voleva sudore di sangue -, e volentieri averebbe voluto che il corpo suo fusse stato dissanguato.

Credo, carissimo padre, che meglio mi sia a tacere che a parlare di questa materia; ma prego voi - quanto io so e posso - che preghiate Cristo in terra e gli altri che tosto si facci questa pace, e che tenghino quelle vie e quelli modi che sieno onore di Dio e reformazione della santa Chiesa, e a levare questo scandalo. E se pur venisse, che voi siate fortificati in voi con la virtù e con uomini virtuosi, a ciò che si possa resistere e cacciare le tenebre e permanere nella luce; e io non ne dubbito punto che Dio lo farà per la sua infinita misericordia, e spazzarà le tenebre e la puzza della Sposa sua; e rimarrà l'odore e la luce al luogo e al tempo suo, quando piacerà alla smisurata e infinita bontà e carità di Dio. E in questo mi conforto, e piglia allegrezza l'anima mia, ché se questo non fusse credo che io morrei stentando. Or siatemi virile, e colonna che mai non smaghiate; e io ne pregherò e farò pregare Dio che così vi faccia. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Perdonate, padre, alla mia presunzione, che presummo tanto di parlare, ma l'amore e il dolore me ne scusi dinanzi a voi. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 17:43

294. A Sano di Maco e a tutti gli altri figli in Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi forti e perseveranti fino all'ultimo de la vita vostra, considerando me che senza la perseveranza neuno può piacere a Dio, e non riceve la corona del premio (Mt 10,22 Mt 24,13).

Colui che persevera sempre è forte, e la fortezza lo fa perseverare. Necessario e di necessità c'è lo dono de la fortezza, poiché siamo assediati da molti nemici: lo mondo con le delizie e con gli inganni suoi; e il demonio con le molte molestie e tentazioni, e con ponarsi in su le lingue degli uomini, facendo lo' dire parole d'infamia e mormorazione, e spesse volte con farci togliere le cose nostre (e questo fa solo per revocarci da l'affetto e carità del prossimo nostro); la carne si leva con la propria sensualità, volendo combattere contro lo spirito. Ànnoci assediati questi nostri nemici, ma non ci bisogna temere di timore servile, ché essi sono sconfitti per lo sangue de lo immacolato Agnello.

Doviamo arditamente rispondere e resistere al mondo col pentimento de le delizie e stati suoi, giudicando che non ha in sé fermezza né stabilità veruna. Mostraci la longa vita con la fiorita gioventudine e con le molte ricchezze, e elle si veggono tutte vane: da la vita veniamo a la morte, da gioventudine a vecchiezza, e da ricchezza a povertà; e così corriamo sempre verso lo termine de la morte. Ècci necessario d'aprire l'occhio dell'intelletto a vedere quanto è miserabile colui che se ne fida: a questo modo gli verrà a dispiacere e odiarà quello che prima amava.

A lo inganno del demonio si risponda virilmente, vedendo la sua debolezza - ché non può vincere se non colui che vuole essere vinto -. Risponda con la viva fede e speranza, e con uno odio santo di sé medesimo; nell'odio diventarà paziente a ogni tentazione e molestia di tribulazioni del mondo: da qualunque lato elle vengano, tutte le portarà con vera pazienza, se sarà odiatore de la propria sensualità e amerà di stare in croce con Cristo Crocifisso. Da la viva fede trarrà una volontà acordata con quella di Dio, e spegnarà del cuore e de la mente sua ogni giudicio umano; giudicarà solo la volontà di Dio, che non vuole né cerca altro che la nostra santificazione. A questo modo non si scandalizza col prossimo suo, non mormora né giudica colui che favella contro di lui; condanna pur sé medesimo, vedendo la volontà di Dio che permette che coloro lo molestino per suo bene.

Oh quanto è beata quella anima che si veste di sì dolce giudicio! Egli non condanna i servi del mondo che gli fanno ingiuria; egli non giudica i servi di Dio, volendoli mandare a modo suo, come fanno molti presuntuosi superbi, i quali - col mantello de l'onore di Dio e salute delle anime - si scandalizzano nei servi di Dio, pigliando una mormorazione cuperta con questo mantello, dicendo: «Non piacciono a me questi modi». Così si turba in sé, e, anco, con la lingua sua fa turbare altrui, mostrando che per affetto d'amore lo dica, e così gli pare; ma se egli aprirà l'occhio dell'intelletto troverà lo verme de la presunzione con uno perverso parere, lo quale parere fa giudice, giudicando a modo suo e non secondo i misterii e i modi santi e diversi che Dio adopera ne le sue creature.

Vergognisi l'umana superbia, e voglia vedere che ne la casa del Padre eterno ha molte mansioni (Jn 14,2); non voglia ponere regola a lo Spirito santo, che è essa regola e datore de la regola, né misuri colui che non si può misurare. Non farà così lo vero servo di Dio, vestito de la somma eterna sua volontà; anco averà in reverenzia i modi e gli atti e costumi dei servi suoi, poiché non gli giudica fatti da uomo, ma da Dio.

Ché, perché le cose non piacciono a noi e non vadano secondo i nostri costumi, debbo presupponere e credere che sono piacevoli a Dio, ché veruna cosa doviamo né possiamo giudicare se non quello che si vede manifesto e espresso peccato. E anco questo l'anima inamorata di Dio, che ha perduto sé, nol piglia per giudicio, ma per pentimento del peccato e dell'offesa di Dio, e con grande compassione dell'anima di colui che offende, volendo volentieri darsi a ogni tormento per salute di quella anima.

A questa perfezione v'invito, figli carissimi, che vi studiate con ogni vera e santa sollicitudine d'acquistarla. Pensate che ogni perfezione, senza veruno scandalo o pena, vi darà questo santo e vero giudicio; così, per contrario, lo falso giudicio dà ogni pena e colpa e mormorazione e ruina d'infedelitade verso i servi di Dio. Tutto questo procede da la propria passione e radicata superbia, che si muove a giudicare la volontà dell’uomo. Sempre questo cotale vòlle lo capo adietro, e non persevera ne la carità del prossimo suo; non ha mai amore forte né perseverante, anco è fatto come l'amore imperfetto dei discepoli di Cristo che essi avevano inanzi a la passione: dilettandosi molto de la presenza sua, l'amavano, ma perché l'amore non era fondato in verità, - eravi del piacimento e diletto loro - però mancò quando lo' fu tolta la presenza sua; e non seppero portare la pena con Cristo, ma per timore fuggirono (Mt 26,56 Mc 14,50). Guardate, guardate che questo non tocchi a voi.

Voi vi dilettate molto de la presenza, e in absenzia fate fuoco di paglia, ché, tolta la presenza, ogni piccolo vento o pioggia lo spegne, e non ne rimane altro che fummo nero di tenebre di conscienzia. Tutto questo adiviene perché siamo fatti giudici de la volontà degli uomini, e dei costumi e modi e vie dei servi di Dio, e non de la dolce volontà sua. Or non più così, per l'amore di Cristo Crocifisso; siate figli fedeli, forti e perseveranti in Cristo dolce Gesù: così sconfiggerete le tentazioni del demonio e le parole sue, che egli dice ponendosi per le lingue de le creature.

L'ultimo nemico nostro, la miserabile carne con l'appetito sensitivo, si sconfigga con la carne di Cristo flagellata e confitta in su lo legno de la santissima croce, con domarla col digiuno e vigilia e continua orazione, con ardente dolce e amoroso desiderio. Or così dolcemente venciaremo e sconfiggiaremo i nemici nostri con la virtù del sangue di Cristo; così adempirete la volontà sua e il desiderio mio, lo quale si duole quando raguarda la nostra imperfezione: spero, per la sua infinita bontà, che consolarà lo desiderio mio di voi.

Pregovi che non siate negligenti, ma solliciti; né foglia che vi volliate al vento, ma fermi stabili e constanti, amandovi insieme con vera carità fraterna, (Rm 12,10) portando e sopportando i defetti l'uno dell'altro (Ga 6,2). A questo m'avederò se voi amate Dio, e me, che non desidero altro che di vedervi in vera unità. Amatevi amatevi insieme. Annegatevi nel sangue di Cristo Crocifisso, nascondetevi ne le piaghe dolcissime sue. Altro non dico.

Siavi racomandato lo monasterio di Santa Maria degli Angeli; e non mirate perché io non vi sia, ché i buoni figli fanno più quando la madre non è presente che essendo presente, volendo mostrare l'amore che essi hanno a la madre, e per più venirle in grazia. Non dico più.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

Voi prego, Sano, che a tutti i figli leggiate questa lettera; tutti pregate Dio per noi, che ci dia a compire l'onore suo, lo quale è cominciato, e la salute delle anime, ché altro desiderio non vogliamo né altro adoperare, a malgrado di chi lo voleva e vuole impedire. Dio vi riempia de la sua dolcissima grazia.





295. A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori singulare padre dell'anima sua, dopo uno romore di popolo che si levò in Fiorenze nel quale essa fu voluta uccidere.


Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi servo e sposo fedele della verità - e a quella dolce Maria -, a ciò che mai non voltiamo lo capo indietro per nessuna cosa del mondo, né per tribulazione che vi volesse dare; ma con una speranza ferma, col lume della santissima fede, constante e perseverante passare questo mare tempestoso con ogni verità.

E nel sostenere ci gloriamo, non cercando la gloria nostra, ma la gloria di Dio e la salute delle anime, sì come facevano i gloriosi martiri, i quali per la verità si disponevano alla morte e a ogni tormento, unde col sangue loro, sparto per amore del sangue, fondavano le mura della santa Chiesa.

O sangue dolce che resuscitavi i morti! Sangue, tu davi vita; tu dissolvevi le tenebre delle menti acecate delle creature che hanno in loro ragione, e davi lume.

Sangue dolce, tu univi i discordanti; tu vestivi gli nudi.

Sangue, tu pascevi gli affamati; e daviti in beveraggio a quelli che avevano e hanno sete del sangue; e col latte della dolcezza tua notricavi i parvoli, che sono fatti piccioli per vera umilità, e innocenti per vera purezza.

O sangue, e chi non si inebria in te? gli amatori proprii di loro medesimi, poiché non sentono l'odore tuo.

Perciò, carissimo e dolcissimo padre, spoglianci di noi e vestianci della verità, e allora saremo sposi fedeli. Io vi dico che oggi voglio cominciare di nuovo, a ciò che i miei peccati non mi ritragghino da tanto bene quanto egli è a dare la vita per Cristo Crocifisso, poiché io vedo che per lo tempo passato, per lo mio difetto, io ne fui privata.

Molto avevo desiderato, d'uno desiderio nuovo cresciuto in me oltre a ogni modo usato, di sostenere senza colpa in onore di Dio, e salute delle anime, e in reformazione e bene della santa Chiesa: tanto che il cuore si distillava per amore e desiderio che io avevo di ponere la vita. Questo desiderio stava beato e doloroso: beato stava per l'unione che si faceva nella verità; e doloroso stava per una occupazione che il cuore sentiva nell'offesa di Dio, e nella moltitudine deli demoni che obumbravano tutta la città, offuscando l'occhio dell'intelletto delle creature. Quasi pareva che Dio lassasse fare, per una giusta e divina disciplina, unde la vita mia non si poteva dissolvere altro che in pianto, temendo dil grande male che pareva che fusse per venire, e che per questo la pace non fusse impedita. Ma dil grande male, Dio - che non dispregia lo desiderio dei servi suoi -, e quella dolce madre Maria - il cui nome era invocato con penosi dolorosi e amorosi desiderii -, providde che, nel romore e nella grande mutazione che fu, non c'ebbe quasi male, diciamo di morte d'uomini, di fuore da quelli che fece la giustizia. Sì che il desiderio che io avevo che Dio usasse la providenzia sua, e tollesse la forza alle demonia che non facessero quello male che esse erano disposte a fare, fu adempito; ma non fu adempito lo desiderio mio di dare la vita per la verità e per la dolce Sposa di Cristo.

Anco mi fece lo sposo eterno una grande beffa, sì come Cristofano a bocca pienamente vi dirà. Unde io ho da piagnere, poiché tanta è stata la moltitudine delle mie iniquità che io non meritai che il sangue mio desse vita, né alluminasse le menti acecate, né pacificasse il figlio col padre, né murasse una pietra col sangue mio nel corpo mistico della santa Chiesa. Anco, parve che fussero legate le mani di colui che voleva fare; e dicendo io: «Io sono essa. Tolle me e lassa stare questa famiglia», erano coltella che drittamente gli trapassavano il cuore.

O babbo mio, sentite in voi amirabile gaudio, poiché mai in me non provai simili misterii con tanto gaudio. Ine era la dolcezza della verità, ine era l'allegrezza della schietta e pura conscienzia, ine era l'odore de la dolce providenzia di Dio, ine si gustava lo tempo dei martiri novelli, sì come voi sapete predetti dalla verità eterna. La lingua, carissimo padre, non sarebbe sufficiente a narrare quanto è il bene che l'anima mia sente; unde tanto mi pare essere obligata al mio Creatore che, se io desse il corpo mio ad ardere, non mi pare di potere satisfare a tanta grazia quanta io e i diletti miei figli e figlie aviamo ricevuta. Tutto questo vi dico non perché pigliate amaritudine, ma perché sentiate ineffabile diletto, con suavissima allegrezza, e a ciò che io e voi cominciamo a dolerci della mia imperfezione, poiché per lo mio peccato fu impedito tanto bene. Or quanto sarebbe stata beata l'anima mia, che per la dolce sposa, e per amore del sangue e per salute delle anime, avessi dato il sangue! Or godiamo e siamo sposi fedeli. Io non voglio dire più sopra questa materia; lasso questo e l'altre cose dire a Cristofano.

Solo questo voglio dire, che voi preghiate Cristo in terra che per lo caso occorso non ritardi la pace, ma molto più spacciatamente la facci - a ciò che si possa fare poi gli altri grandi fatti che egli ha a fare per l'onore di Dio e per la reformazione della santa Chiesa -, poiché per questo non è mutato stato, anco per ora s'è pacificata la città assai convenevolmente. Pregatelo che facci tosto; e questo gli dimando per misericordia, poiché si levaranno infinite offese di Dio, che per questo si fanno. Diteli che avesse pietà e compassione a queste anime che stanno in molta tenebre. E diteli che mi tragga di pregione spacciatamente, poiché se la pace non si fa, non pare che io ci possa uscire; e io vorrei poi venire costà a gustare il sangue dei martiri, e a visitare la Santità sua, e ritrovarmi con voi a narrare gli ammirabili misterii che Dio in questo tempo ha adoperati, con allegrezza di mente e con giocondità di cuore, e con acrescimento di speranza, col lume della santissima fede. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



296. A don Giovanni da le Celle, monaco di Valle Ombrosa.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi gustatore e mangiatore delle anime, per onore di Dio, in su la mensa della santissima croce, e acompagnarvi con l'umile e immacolato Agnello. In altro luogo, carissimo padre, non vedo che si possa mangiare questo dolce cibo. Perché no? perché nol possiamo mangiare in verità senza molto sostenere; e coi denti della vera pazienza e con la bocca del santo desiderio si conviene mangiare, e in su la croce delle molte tribulazioni - da qualunque lato elle vengono, o per mormorazioni o per scandali del mondo -, e tutte sostenere infine alla morte.

Ora è lo tempo, carissimo padre, di dimostrare se noi siamo amatori di Cristo Crocifisso, o no, e se noi ci dilettiamo di questo cibo. Tempo è di dare l'onore a Dio e la fatica al prossimo - fatica corporale con molto sostenere, e fatica mentale, cioè con dolore e amaritudine offrire lacrime e sudori, umile e continua orazione, con ansietato desiderio, dinanzi a Dio - poiché io non vedo che per altro modo si plachi l'ira di Dio verso di noi, e s'inchini la sua misericordia - e con la sua misericordia ricoverare tante pecorelle che periscono nelle mani deli demoni - se non per questo modo detto: cioè, con grande dolore e compassione di cuore, e con orazioni grandissime. E però io v'invito, carissimo padre, da parte di Cristo Crocifisso, che ora di nuovo cominciamo a perdere noi medesimi e a cercare solo l'onore di Dio nella salute de l'anime, senza alcuno timore servile; o per pene nostre, o per piacere alle creature, o per morte che ci convenisse sostenere, per nessuna cosa allentare mai i passi, ma corrire, come ebbri d'amore e di dolore della persecuzione che è fatta al sangue di Cristo Crocifisso, poiché, da qualunque lato noi ci volliamo, lo vedemo perseguitare.

Se io mi vollo a noi membri putridi, noi lo perseguitiamo con molti difetti, e con tante puzze di peccati mortali, e con l'avelenato amore proprio, lo quale avelena tutto quanto lo mondo. E se io mi vollo ai amministri del sangue di questo dolce e umile Agnello, la lingua anco non può narrare tanti mali e difetti. Se io mi vollo ai amministri che sono al giogo dell’obbedienza, per la maladetta radice dell'amore proprio, che non è anco morta in loro, gli vedo tanto imperfetti che neuno s'è condotto a volere dare la vita per Cristo Crocifisso, ma più tosto hanno usato lo timore della morte e della pena che lo santo timore di Dio e la reverenzia del sangue. E se io mi vollo ai seculari che già hanno levato l'affetto dal mondo, non hanno usata tanta virtù che si sieno o partiti dal luogo, o eletta la morte, inanzi che fare quello che non si debba fare. O essi l'hanno fatto per imperfezione, o essi lo fanno con consiglio; lo quale consiglio se io l'avesse a dare, io consigliarei che, se essi volessero usare la perfezione, scegliessero inanzi la morte; e se essi si sentissero debili, fuggire lo luogo e la cagione del peccato, giusta al nostro potere.

Questo consiglio medesimo, se neuno ve ne venisse a le mani, mi parrebbe che voi e ogni servo di Dio lo dovesse dare, poiché voi sapete che in neuno modo, non di pena o di morte, ma per adoperare una grande virtù, non c'è licito di commettere una picciola colpa. Sì che da qualunque lato noi ci volliamo, non troviamo altro che difetti, che io non ne dubbito che, se uno solo avesse avuta tanta perfezione che avesse data la vita per li casi che sono occorsi, e occorrono tutto dì, che lo sangue avrebbe chiamato misericordia, e legate le mani de la divina giustizia, e spezzati i cuori di Faraone, che sono indurati come pietra di diamante; e non vedo modo che si spezzino altro che col sangue.

Oimé, oimé, oimé, disaventurata l'anima mia! Vedo giacere lo morto della religione cristiana, e non mi doglio né piango sopra di lui. Vedo le tenebre venuta nel lume, ché dal lume della santissima fede ricevuto nel sangue di Cristo, gli vedo essere abbaccinati, e riseccata la pupilla dell'occhio; e sì come ciechi gli vediamo cadere nella fossa, cioè nella bocca del lupo infernale, dinudati de le virtù, e morti di freddo: essendo dinudati della carità di Dio e del prossimo, e sciolti dal legame della carità, e perduta ogni reverenzia di Dio e del Sangue. Oimé, credo che le iniquità mie ne sieno cagione. Perciò vi prego, carissimo padre, che preghiate Dio per me che mi tolga tante iniquitadi, e che io non sia cagione di tanto male; o egli mi dia la morte. E pregovi che pigliate questi figli morti in su la mensa della santissima croce, e ine mangiate questo cibo, bagnati nel sangue di Cristo Crocifisso.

Dicovi che se noi e gli altri servi di Dio non ci argomentiamo con molte orazioni, e gli altri con correggiarsi di tanti mali, lo divino giudicio verrà, e la divina giustizia trarrà fuore la verga sua, benché, se noi apriano gli occhi, n'è già venuta una delle maggiori che noi possiamo avere in questa vita, cioè d'essere privati del lume di non vedere lo danno né lo male dell'anima e del corpo. E chi non vede, non si può correggere, perché non odia lo male, e non ama lo vero bene; non correggendosi, cade di male in peggio: e così mi pare che si faccia, e a peggio siamo ora che lo primo dì. Perciò c'è necessario di non ristarci mai, se noi siamo veri servi di Dio, con molto sostenere e con vera pazienza; e dare la fatica al prossimo e l'onore a Dio, con molta orazione e ansietato desiderio; e i sospiri ci sieno cibo, e le lacrime beveraggio (Ps 41,3 Ps 79,6), in su la mensa della croce: altro modo non ci vedo. E però vi dissi che io desideravo di vedervi gustatore e mangiatore delle anime in su la mensa della santissima croce.

Pregovi che vi sieno racomandati i vostri e miei carissimi figli: cotesti di costà, e questi di qua; notricateli e acresceteli nella grande perfezione, giusta al vostro potere. E brighiamo di corrire, morti a ogni propria volontà spirituale e temporale, cioè di non cercare le proprie consolazioni spirituali, ma solo lo cibo de l'anime, dilettandoci in croce con Cristo Crocifisso; e per loda e gloria del nome suo dare la vita, se bisogna. Io per me muoio e non posso morire a udire e vedere l'offesa del mio Creatore; e però vi dimando limosina che preghiate Dio per me, voi e gli altri. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



297. Allo soprascritto Nicolò Soderini, poi che il furore del popolo di Firenze gli robbò e arse la casa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato in vera e santa pazienza, poiché senza la pazienza non saremo piacevoli a Dio, né potremo stare in stato di grazia, poiché la pazienza è il midollo della carità.

Poiché ella ci è tanto necessaria, bisogno c'è di trovarla; ma dove la trovaremo? Sapete dove, dolcissimo e carissimo padre? In quel medesimo luogo dove noi trovaremo l'amore. E dove s'acquista l'amore? L'amore troviamo nel sangue di Cristo crocifisso, che per amore lo sparse in sul legno della santissima croce; e dall'amore ineffabile che noi vediamo che egli ci ha, traiamo e acquistiamo l'amore: poiché colui che si vede amare, non può fare che non ami; amando, subito si veste della pazienza di Cristo crocifisso: riposasi con questa gloriosa e dolce virtù nel mare tempestoso delle molte fatiche.

Questa è quella virtù che non si scorda dalla volontà di Dio; ella è forte, poiché non è mai vinta, ma sempre vince, perch'ella ha con con sè la fortezza e la longa perseveranza, e però riceve lo frutto d'ogni sua fatica. Ella è una regina che signoreggia la impazienzia, non si lassa vinciare a l'ira, non si pente del bene adoperato, del quale spesse volte ne riceve fatiche e tribulazioni; anco gode e ingrassa, l'anima, di vedersi sostenere senza colpa. Solo della colpa doviamo avere fatica, e d'altro no, poiché per la colpa perdiamo quello che è nostro. Che se ne perde? la grazia, che è il sangue di Cristo, che è nostro: che non ci può essere tolto né da demonio né da creatura, se noi non vogliamo.



Ma queste altre cose, ricchezze onore stato delizie sanità e vita, e ogni altra cosa - perché non sono nostre, ma sonci state date per uso quanto piace alla divina bontà - ci possono essere tolte. E però non ci doviamo turbare, né venire a impazienzia, ma rendarle senza pena; poiché bisogno è di rendare e di lasciare quel che non è nostro. Unde noi vediamo che nessuno è che le possa tenere a suo modo, anco glil conviene lasciare: ché o esse lassano noi, o noi lassiamo loro col mezzo della morte. Poiché così è, bene è matto e stolto colui che ci pone disordinato e miserabile affetto. Ma conviensi, come uomo virile, spogliare lo cuore e l'affetto nostro da ogni cosa transitoria e dall'amore proprio di noi, e abbracciarci colla santissima croce, dove noi trovaremo l'amore ineffabile, gustando lo sangue di Cristo dove noi trovaremo la pazienza de l'umile immacolato Agnello. Vedremo che con quello amore dolce ch'egli ha data la vita per noi, dà e ha permessa e permette ogni nostra fatica e tribulazione e consolazione.

Parmi che la divina dolce bontà di Dio ora di nuovo v'abbi mostrato singularissimo amore, avendovi fatto tenere per la dottrina e vita dei santi, fattovi degno di sostenere per gloria e loda del nome suo, e per rendarvi lo frutto nella vita durabile e non in questa vita. Ora è il tempo nostro, carissimo padre, a fare qualche bene per la salute nostra; a ponarci inanzi lo sangue di Cristo per inanimarci alla battaglia, affinché non voltiamo lo capo adietro per impazienzia, né veniamo meno sotto la potente mano di Dio: ma con pazienza portare, facendoci beffe della nostra propria sensualità, e del mondo con tutte le sue delizie, e cognosciare la poca fermezza e stabilità loro. E così ci acordaremo con Pavolo dicendo: «Lo mondo fa beffe di me (1Co 4,9 He 10,33), e io di lui».

Vestirenci, e stregnaremo in noi, la dottrina di Cristo crocifisso; dilettarenci delle tribulazioni - non tanto che noi le fuggiamo - per conformarci con lui che tanta pena sostenne per noi. Provaremo in noi la virtù della pazienza, perché non si pruova se non nel tempo delle molte tribulazioni; poi nell'ultimo, nella vita durabile, ricevaremo lo frutto d'ogni nostra fatica: ma non senza la pazienza. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi fondato in vera e santa pazienza, affinché, quando tornarete alla città vostra di Ierusalem, visione di pace, riceviate quel guadagno che nella via della peregrinazione avete acquistato.

Confortatevi, e con dolcezza ricevete la medicina che Dio v'ha data per vita de l'anima vostra. Voglio che raguardiate, carissimo padre, le grazie che Dio v'ha fatte, e la dolce providenzia sua, la quale ha usata in questo ponto affinché l'anima notrichi in sé la fonte della pietà, essendo grata e conoscente a Dio. Altro non etc.

Rimanete etc.

Confortate monna Costanza da parte di Cristo crocifisso e da mia; e diteli che raguardi a chi ha più fatica di lei, e voglia vedere quanto della gran tempesta Dio l'ha fatta tornare a convenevole bonaccia. Gesù dolce, Gesù amore, etc.




298. Al detto Stefano, essendo essa a Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti portatore con vera e santa pazienza, a ciò che tu facci quel vero fondamento che debbono fare i veri servi di Dio, poiché, come essi eleggono di volere servire a lui, così eleggono di volere portare infine alla morte, per gloria e loda del nome suo. In altro modo, non terrebbe per la via, né succederebbe la dottrina de la dolce Verità.

O figlio carissimo, quanto ti sarà dolce quando tu ti vedrai giunto nel tempo desiderato! La speranza ti facci portare, non con tedio né con pena di mente, ma con debita reverenzia e con fede viva, credendo in verità che, quando egli vedrà che sia l'onore suo e la salute tua, egli ti darà altro tempo. Rende lo debito tuo con reverenzia al padre e alla madre, l'onore a Dio, e la fatica a loro: ora si fabricano le virtù. E a ciò che tu meglio diventi portatore, bàgnati nel sangue di Cristo Crocifisso, e ine aniega e uccide la tua volontà.

Altro non ti dico qui.

Pregoti che se tu puoi senza scandalo, e se la via è sicura, che tu vada fino (...) tu gli dica che i denari per li quali frate Raimondo s'obligò per lui (...) poiché frate Raimondo più volte me n'ha scritto; e ora non potendo (...) per questa cagione, poiché egli non può più sostenere chi debba avere i denari () o no () Anibaldo gli promisse di mandarglili a mezzo marzo prossimo passato. E però mettili mano saviamente quantunque tu puoi; e digli come frate Raimondo non ha neuno modo da sé, e dagli questa lettera che io gli scrivo, e inducelo quanto più puoi che almeno scriva di qua a chi fa i suoi fatti, che restituiscano questi denari. E di queste cose non t'impacciare di parlare con persona; e se tu non vi puoi andare, dà la lettera a Cristofano che ti darà questa lettera.

Conforta tutti cotesti figli da parte di Gesù Cristo Crocifisso e da nostra. Di' a Petro di Giovanni che io mi maraviglio come egli non mi possiede risposto dei fatti dell'Abbate di Monte Oliveto, e però di' che mi risponda subito come l'Abbate vuole fare; e se Petro non può, sì vi va' tu, e fa' quello che doveva fare egli: e se tu non ne sei informato, fattene informare a lui. Altro non dico.

Permane nella santa e dolce carità di Dio. Rispondemi d'ogni cosa lo più tosto che tu puoi. Gesù dolce, Gesù amore.

Io Neri del quattrino che ti sai, ti prego che mi racomandi a don Girolamo dei Frati della Rosa, ma non pugnare quanto a frate Simone.





299. A missere Ristoro di Piero Canigiani da Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spogliato dell’uomo vecchio e vestito del nuovo (Ep 4,22-24 Col 3,9-10). Spogliato, dico, del vecchio peccato d'Adam, e di quello disordenato affetto che egli ebbe, col quale affetto offese Dio passando laobbedienza sua, e offese sé tollendosi la vita della grazia.

Unde, subito che ebbe offeso, trovò ribellione in sé e in tutte le creature; e così l'anima che segue e si veste di questo uomo vecchio trova né più né meno, amando disordenatamente sé medesimo d'amore sensitivo; dal quale amore sensitivo segue ogni altro disordenato amore.

Questo è quello miserabile amore che tolle lo lume della ragione e non lassa conoscere la verità; priva della vita della grazia e dacci la morte; tolleci la libertà e facci servi e schiavi del peccato, che è quella cosa che non è, unde in questa vita gusta la caparra de l'inferno. Dico che non conosce la verità, poiché, se conoscesse la verità, non porrebbe il cuore e l'affetto e tutta la sollicitudine sua nel mondo e non se ne farebbe dio, anco lo spregiarebbe con tutti i suoi diletti, vedendo la poca fermezza e stabilità sua, e quanto è vano e caduco.

E non il vediamo noi tutto dì, carissimo fratello, che ogni cosa del mondo passa come lo vento, e nessuna cosa si può tenere a modo nostro? Poiché nessuna cosa è nostra, se non solo la divina grazia, la quale non ci può essere tolta se noi non vogliamo: poiché questa grazia non si perde se non per la colpa, ed i non è né demonio né creatura che ci possa costrignere a commettere una picciola colpa, e però non ci può essere tolta. Ma le cose del mondo che ci sono date in presta e per uso, ci possono essere tolte; e sonci tolte quando piace alla divina bontà, che ce l'ha date. Unde noi vediamo che testé l'uomo è ricco, e testé povero; ora è in grande altezza, e ora in grande bassezza; e dalla sanità veniamo alla infermità, e dalla vita alla morte. E così ogni cosa c'è mutabile; e tale ora le vuole l'uomo tenere, che egli non può, poiché non sono sue: che se elle fussero sue, le terrebbe quanto vuole. Ma songli state date perché se l'usi per necessità, ma non perché le tenga con disordenato amore, amandole fuore di Dio: poiché, facendo così, trapassarebbe il suo comandamento, lo quale dice che noi lo doviamo amare sopra ogni cosa, e il prossimo come noi medesimi (Mt 22,37-39 Mc 12,30-31 Lc 10,27). Unde, non facendolo, sì passa l'obedienzia sua; ed essofatto che egli è fatto disobbediente, è privato della vita della grazia, ed èssi fatto degno della morte eterna.

Egli è fatto incomportabile a sé medesimo, unde gusta la caparra dell'inferno, poiché il verme della conscienzia sempre rode. Per la quale cosa sostiene pena intollerabile, quando si vede privato di quella cosa che egli amava tanto disordenatamente, vedendo che glil convenga lasciare o nella vita, essendoli tolta, o nella morte; poiché, morendo l'uomo, ogni cosa gli conviene lasciare, ché con sè non ne porta altro che il bene che egli ha operato, o il male, ricevendo ognuno quello che ha meritato: poiché ogni colpa è punita, e ogni bene è remunerato. Altro non ne può portare; e però l'uomo che disordenatamente ama sostiene grandissima pena, quando perde quello che tanto amava, poiché tanto si perde con dolore quanto si possiede con amore. Unde tutta la vita sua è pena, ed eziandio possedendo e stando in delizie ha pena, perché teme di perdere quello che egli ha.

Chi non conosce tanta miseria e grave tormento quanto dà il mondo? Chi ha acecato lo lume della ragione con l'amore proprio di sé; lo quale lume perde per conscendere alla serva della propria sensualità, la quale sensualità è vestita dell’uomo vecchio, cioè del peccato d'Adam. Quanto è miserabile lo stolto e ingrato uomo che si tolle tanta dignità quanta è il lume della ragione, e la vita della grazia, e la libertà, essendosi fatto servo del demonio e del peccato, che non è alcuna cosa! La quale libertà gli fu renduta col mezzo del sangue del Figlio di Dio, nel quale sangue fu lavata la faccia dell'anima nostra. Oh quanto sarà degno di reprensione colui che iniquamente spende e consuma la vita sua, la quale iniquità non gli lassa conoscere la bontà di Dio in sé, né ricevere il frutto del sangue! Che ha fatto lo stolto uomo, poi che egli ha distese le braccia e ha abbracciate tutte le delizie del mondo per desiderio? Nulla se ne trova altro che confusione e stimolo di conscienzia nell'ultima stremità della morte. Egli è fatto come il frenetico, o come colui che sogna, che gli pare avere i grandi diletti, e poi, svegliato, non si trova alcuna cosa; e così l'uomo che si desta dal sonno di questa tenebrosa vita non si trova altro che pena e rimproverio.

Che modo c'è dunque da tenere a ciò che noi non perdiamo lo bene del cielo, né in questa vita viviamo in tanta afflizione? Questo è il remedio, dolcissimo fratello: che noi ci spogliamo di questo uomo vecchio che ci dà intollerabile pena, e vestianci dell’uomo nuovo Cristo dolce Gesù (Rm 13,14 Ga 3,27); ordinando la vita nostra, vivendo come uomo e non come animale; levando la nuvola dell'amore proprio di noi; e odiare la propria nostra sensualità - che è una legge perversa che combatte contro lo spirito (Rm 7,23) -, e il mondo con tutte le sue delizie. E subito, veramente, che con l'occhio dell'intelletto le raguardarete, vedrete quanto elle sono nocive alla salute nostra - amandole fuore di Dio -, e quanta pena intollerabile in questa vita ci danno.

Allora, quando l'anima raguarda questo, subito concepe uno odio alla propria sensualità e a tutto quanto il mondo (non che egli non ami le cose che sono create; e l'uomo che ha i suoi figli, ama i figli suoi e la donna e gli altri che gli sono congiunti, ma amali d'amore ordenato e non disordenato: cioè che per loro non vuole ponere l'anima sua né offenderne Dio. Sì che ama con ordine, e non senza ordine, poiché Dio non ci vieta che noi non amiamo, anco ci comanda che noi amiamo lo prossimo come noi medesimi, ma vietaci i nostri disordenati modi con che noi amiamo). E questo è quello che l'anima odia, perché vede che egli è vietato da Dio, ed è danno suo. Allora, poi che ha conceputo l'odio verso quella cosa che die odiare, perché l'anima non può vivere senza amore subitamente ama sé, e il prossimo suo, e le cose che sono create, d'amore ordinato e con affetto di virtù, ponendosi dinanzi all'occhio dell'intelletto - col lume della santissima fede - per obiettivo Cristo Crocifisso, e in lui vede e conosce quello che egli die amare.

E perché nel sangue di Cristo vede l'amore ineffabile che Dio gli ha - perché più manifestamente il sangue ci ha manifestato l'amore e la carità di Dio, che nessuna altra cosa -, distendesi subito ad amarlo con tutto il cuore, con tutto l'affetto e con tutte le forze sue (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27), perché condizione è dell'amore d'amare quando si sente amare, e d'amare tutte quelle cose che ama colui che egli ama. E però, a mano a mano che l'anima ha cognosciuto l'amore del suo Creatore verso di lei, l'ama; e amandolo ama tutte quelle cose che Dio ama. E perché vede che sommamente Dio ama la sua creatura che ha in sé ragione (che in tanto l'amò, che ci donò il Verbo del suo Figlio, a ciò che desse la vita per noi, e lavasseci la lebbra della colpa del peccato mortale nel sangue suo), però l'uomo distende e participa l'affetto e la carità sua col prossimo; e al prossimo vuole rendere quello che a Dio rendere non può, cioè di fargli utilità, poiché egli è lo Dio nostro, che non ha bisogno di noi. E però quella utilità che a lui non può fare, la fa al prossimo, che è quello mezzo che Dio ci ha posto, nel quale mezzo manifestiamo l'amore che aviamo a lui.

Per questo amore l'uomo non concepe odio verso lo prossimo suo per nessuna ingiuria che da lui gli fusse fatta, ma con pazienza porta e sopporta i difetti suoi, dolendosi più dell'offesa di Dio e del danno dell'anima sua, che della ingiuria o del danno proprio. Questo è amore ordenato, poiché non esce dell'ordine della carità. E vestesi dell’uomo nuovo Cristo dolce Gesù, seguitando le vestigie e la dottrina sua, rendendo bene a quelli che gli fanno male (Lc 6,27). Odia quello che Cristo benedetto odia, e ama quello che egli ama.

Che odiò Cristo benedetto? Odiò lo vizio e il peccato, onore delizie e stati del mondo; e tanto gli dispiacque lo peccato che, non essendo in lui veleno di peccato, della nostra colpa volle fare vendetta, e punilla sopra il corpo suo in tanto tormento e pena che la lingua nostra non sarebbe sufficiente a narrarlo.

L'onore e le delizie egli spregiò - unde, quando volse essere fatto re, egli sparve di mezzo di loro (Jn 6,15) -, ma abracciò la povertà, le ingiurie, gli scherni e le villanie, sostenendo fame e sete e molte persecuzioni, infine alla obbrobriosa morte della santissima croce. A questo non fuggì, ma féssi rincontra ai Giuderi quando lo volsero prendere, dicendo: «Cui dimandate voi?». E rispondendo ellino: «Gesù Nazzareno», «E se voi cercate me - disse il dolce e amoroso Verbo -, io sono esso. Pigliatemi e lassate stare costoro» (Jn 18,78), dicendo dei discepoli suoi.

Così ci dié dottrina, la verità dolce, della carità del prossimo - quanto noi lo doviamo amare -, e della pazienza: come doviamo portare ogni cosa che Dio permette a noi, realmente, per gloria e loda del nome suo, non schifando fatica né labore, né voltando mai lo capo adietro a mirare l'arato (Lc 9,62) per impazienzia, né per odio del prossimo suo, ma con allegrezza cordiale farse lo' a rincontra, e strignarle per affetto d'amore, per Cristo Crocifisso.

E veramente noi doviamo portare, e materia n'aviamo: sì perché la fatica è piccola, e sì perché ella è di grande frutto, e sì per amore di colui che le dà. Piccola è, e sapete quanto? quanto una punta d'aco, poiché tanto è la fatica, quanto lo tempo; e il tempo vedete bene che egli è tanto piccolo che l'uomo nol può imaginare. Lo tempo che è passato, voi non l'avete; lo tempo che è a venire, non sete sicuro d'averlo: solo dunque questo punto del tempo presente avete, e più no. Dunque la fatica passata non c'è, né l'avenire, poiché non siamo sicuri d'averla, ma tanta fatica aviamo quanto è il tempo, e più no: bene è dunque vero che ella è piccola. Quanto è grande il frutto? Dimandatene il dolce banditore di Paulo, che dice che non sono condigne le passioni di questa vita a quella futura gloria.

Se noi vediamo colui che le dà, è il dolce Dio nostro sommamente buono; e perché egli è sommamente buono non può volere altro che bene. E perché ce le dà? Per nostra santificazione, a ciò che la margarita della virtù della pazienza sia provata in noi; la quale virtù ci manifesta se in verità amiamo lo Creatore nostro, e se aviamo in noi la vita della grazia, o no. Poiché come la impazienzia è uno segno che noi amiamo più noi e le cose create che il Creatore, così la pazienza è segno dimostrativo che ci fa manifesto che noi amiamo Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come noi medesimi.

Sì che vedete che segue Cristo odiando lo vizio e amando la virtù; e strignela a sé, e vestesene in tanto che sceglie prima la morte che volersene spogliare, tanto gli è dilettevole e piacevole la virtù. Vestita che l'anima è di questo uomo nuovo, col lume de la ragione, gusta vita eterna; e nessuna cosa lo può turbare. Se egli ha fatiche, egli gode della tribulazione: egli ne 'ngrassa; e non ha timore affriggitivo - cioè timore servile che tema di perdere la sustanzia del mondo - poiché con l'amore ordinato le possiede, e come cose prestate e non come cose sue, perché già vidde e cognobbe che elle erano cose transitorie, e non le poteva tenere a modo suo perché non erano sue; e però si dispose a tenerle per suo uso e con amore ordenato.



E tutta la vita sua ha ordenata in Dio, in qualunque stato si sia. Se egli è allo stato del matrimonio, egli lo conserva in grande onestà, avendo in debita reverenzia i dì che sono comandati dalla santa Chiesa. E se egli ha figli, egli fa come creatura ragionevole, che notrica l'anima e il corpo: e così debba fare, allevandoli nei comandamenti dolci di Dio. E se egli è in altro stato che avesse a sovvenire al prossimo suo, egli si fa padre dei povari, e volentieri s'affatica per loro, sovenendoli in ciò che può.

Del corpo suo, per diletto e delizie di vestimenti, non se ne vuole fare dio, ma con modo ordinato e piacevole a Dio tiene lo stato suo, senza leggerezza o vanità di cuore. E non attende a spendere solamente il suo in adornamento di casa - poiché vede che, adornata che ella fusse, gli potrebbe essere guasta, e tolto l'adornamento -, ma ingegnasi solo d'adornare la casa dell'anima sua di vere e reali virtù; lo quale adornamento neuno è che glil possa togliere, se egli non vuole. E però questi cotali di nessuna cosa possono avere pena, perché hanno posto l'amore e l'affetto in quella cosa che non lo' può essere tolta. E corrono questa vita piena d'affanno senza pena affriggitiva, e senza stimolo di conscienzia; e vanno leggieri per la via di Cristo Crocifisso, seguitando la dottrina sua, vestiti del vestimento leggiero di questo uomo nuovo; spogliati della gravezza dell’uomo vecchio che agrava e occupa l'uomo in colpa di peccato mortale, e in molte pene e affanni in questa tenebrosa vita (egli non intende sé medesimo - non tanto che sia inteso da altri -, perché l'amore proprio gli ha tolto lo lume della ragione, unde non conosce la verità. E però ha pena: poiché se non la conosce questa verità, non la può amare; non amandola, non se ne veste, e però è sempre inquieto). E però dissi io - a ciò che fuste liberato da questa pena, e riceveste la vita della grazia, e rispondeste a Dio che vi chiama e v'ama ineffabilemente - che io desideravo di vedervi spogliato dell’uomo vecchio, e vestito dell’uomo nuovo Cristo dolce Gesù: e così vi prego che facciate.

Del caso occorso godete, poiché è la vita dell'anima vostra, e crescete in voi lo fuoco del santo desiderio.

E se altro vi dicesse la propria sensualità, o le lusinghe delli uomini del mondo, non lo' credete, ma fermo e stabile, come uomo virile, seguitate lo santo proponimento; e pensate che gli uomini del mondo non potranno rendere ragione, dinanzi al sommo giudice, per voi, nell'ultima 'stremità della morte, ma solo la buona e santa conscienzia. Or non dormite più, ma in tutto ordinate la vita vostra. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



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19/10/2012 18:49

300. A monna Agnesa di Francesco di Pipino predetta.

Nel nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce. Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti bagnata e annegata nel sangue di Cristo Crocifisso, a ciò che per amore del sangue tu dia lo sangue, e la vita per amore de la vita.

O carissima figlia, ora è il tempo da morire spasimata per onore di Dio e per salute delle anime; e offrire lacrime umili e continue orazioni dinanzi a Dio per la necessità di tutto quanto lo mondo. Voglio dunque, a ciò che meglio si possa fare sacrificio a Dio di noi, che tu ti nasconda nel costato di Cristo Crocifisso; e bàgnati nel sangue dolcissimo suo. Altro non dico.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio.

Comandoti che tu non digiuni se non come io ti lassai, e che tu non facci disciplina: dell'orazione del santo e ardente desiderio, e dell'altre vere e reali virtù, piglia tu quantunque tu vuoli, e de la vigilia, ma di queste no. E, Centa, voglio che tu tenga una catenella come quella che io avevo, ma non quella che tu tieni; e tienla sì larga che tu vi possa mettere lo dito, e fa' che tu non passi questaobbedienza.

Permane nella santa e dolce carità di Dio.

Racomandaci a tutte coteste figlie, a Ginevra e a tutte l'altre, e benedimmi Bastiano. Dio lo riempia de la sua dolcissima grazia. Gesù dolce, Gesù amore.

Fatta a dì quattro d'ottobre.





301. A messere Ristoro Canigiani, dottore di Decreto da Fiorenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi essercitare il lume che Dio v'ha dato, affinché cresca in voi, poiché senza il perfetto lume non potremmo conoscere né amare né vestirci della verità. E se noi non ce ne vestissimo, a tenebre ci tornerebbe quello lume; e però è bisogno che egli sia perfetto in qualunque stato l'uomo è.

In che dimostra la sua perfezione - cioè che perfettamente vegga, col quale vedere conosce e discerne la verità dalla bugia e dalle vanità del mondo -? Conoscesi in questo: che egli strigne e abraccia con affetto d'amore quella verità che egli ha cognosciuta, facendosi amatore delle virtù, e odiando il vizio e la propria sensualità che n'è cagione, perché è una legge perversa che sempre combatte contro lo spirito. Allora mostra che in verità conosca, e sia perfetto il suo vedere, e che la nuvola della infedeltà non abbia offuscata la pupilla dell'occhio dell’intelletto, la quale è il lume della santissima fede. Ma se fosse imperfetto, vederebbelo con uno lume naturale, ma per altro modo nol metterebbe in effetto, non esercitando questo lume con l'affetto delle virtù. E però ci dobiamo studiare d'essercitare il lume naturale, affinché sia tolta da noi la imperfezione e veniamo a perfezione di cognoscimento, come detto è.

Ma in che modo, carissimo figlio, possiamo pervenire a questo perfetto lume? Dicovelo: col lume, in questo modo: noi abiamo in noi uno lume naturale, il quale Dio ci ha dato che discerniamo il bene dal male, la cosa perfetta dalla imperfetta, la pura dalla immonda, la luce dalle tenebre, e la cosa finita dalla infinita. Questo è un cognoscimento il quale Dio ci ha dato per natura, e noi il gustiamo continuamente per pruova che così è. E voi mi direte: «Se questo cognoscimento è in noi, unde viene che noi ci attacchiamo alla parte contraria alla nostra salute?». Io vi rispondo che questo procede dal proprio amore, che ha ricoperto questo lume, sì come la nuvola ricuopre la luce, unde il nostro errore non è per difetto del lume, ma della nuvola. Allora il libero arbitrio piglia quelle cose che sono nocive all'anima, e non quelle che le sono utili.

L'anima di sua natura appetisce bene e cosa buona, ma dove sta il suo errore? Sta in questo, che perché le tenebre de l'amore proprio l'hanno tolto il lume, non cerca il bene dove egli è. E però questi cotali vanno come farnetichi, ponendo l'affetto e il desiderio loro in cose transitorie, che passano come vento. O stolto uomo sopra ogni stoltizia, che cerchi il bene dove è sommo male; dove sono le tenebre cerchi la luce; dove è la morte cerchi la vita; la ricchezza dove è somma povertà, e lo infinito cerchi nelle cose finite! Malagevolemente potrebbe questi trovare il bene, cercando colà dove egli non è. Conviencelo cercare in Dio, il quale è sommo ed eterno bene; e cercandolo in lui, il troveremo, perché il dolce Dio nostro nessuno male ha in sé, ma tutto perfetto bene, unde non sarebbe possibile che egli desse a noi altro che di quello che egli ha in sé: sì come il sole il quale, perché in sé ha luce, non può dare tenebre.

Unde vediamo, se con questo lume vorremo vedere, che ciò che Dio dà a noi e permette in questa vita - di qualunque fatiga o tribolazione o angoscia si sia -, tutto il fa per conducerci al sommo bene, e affinché noi cerchiamo il bene in lui e non nel mondo, perché non si trova nelle ricchezze, stati e delizie sue; anco ci si trova amaritudine e tristizia e privazione della grazia, a quella che il possede fuore della voluntà di Dio. Sì che per cosa buona e perfetta, perché cerchiamo lui in verità, ce le permette; e l'uomo accecato dalla propria passione reputa in male quello che è suo bene, e la colpa che il priva di Dio e della vita della grazia non pare che la vegga in male; e così inganna sé medesimo. Convienci dunque essercitare questo lume naturale; spregiare il vizio e abracciare le virtù; e con esso lume cercare il bene dove egli è.

Cercandolo, il troveremo in Dio; vedremo l'amore ineffabile che egli ci ha mostrato col mezzo del Figlio suo, e il Figlio col sangue sparto per noi con tanto fuoco d'amore.

Con questo primo lume naturale, il quale è imperfetto, acquisteremo uno lume sopranaturale perfetto, infuso per grazia nell'anima nostra, il quale ci legherà nelle virtù: conformerenci in ogni tempo e in ogni stato e luogo che Dio ci concederà, accordati sempre con la voluntà sua, la quale vedemmo che non vuole altro che la nostra santificazione. Il primo lume, essercitandolo, come detto è, ci taglia dal vizio; e il secondo ci lega e unisce con la virtù. Oh grandissima allegrezza e cordiale gaudio della salute vostra, perché mi pare - secondo che io posso vedere nel conspetto di Dio, e per la lettera che io ho ricevuta da voi - che il lume naturale non sia offuscato in voi dalle tenebre della infedelità. Che se fosse offuscato, non conoscereste tanto bene il mondo fetido, la inconstanzia sua, e le percosse che egli dà a colui che se ne vuole fare Dio; né vi terreste ragione con tanto rimproverio, né vi tagliereste dal vizio, né desiderereste la virtù e lo stato perfetto: cioè dallo stato del matrimonio, imperfetto, venire allo stato della continenzia, il quale è perfetto.

Poiché Dio per la sua infinita misericordia v'ha renduto questo lume - del quale, per la vostra ignoranza e difetto, tanto tempo siete stato privato -, voglio che l'essercitiate, tagliandovi da' vizii e da l'amore sensitivo col coltello dell'odio e dell'amore; e con lume vi leghiate nelle virtù col legame della perfetta carità, amando Dio sopra ogni cosa e il prossimo come voi medesimo, postponendo ogni ingiuria e danno che da lui avessi ricevuto o ricevessimo; e con la carità cacciare l'odio e il dispiacere che la propria sensualità volesse avere inverso loro. Oh quanto sarà beata l'anima mia, quando io vi vedrò continuamente crescere di virtù in virtù con uno desiderio che non allenti mai né per battaglie che riceveste dal demonio - il quale so che spesse volte ve ne dà, ponendovi innanzi molte e diverse cose -, e le creature dalla parte loro, e anco la propria passione. Ma con questo dolce lume tutte queste battaglie conculcherete sotto ai piedi dell'affetto.

Voglio, affinché cresciate in lume, che quattro cose principali vi poniate per obiettivo dinanzi all'occhio dell’intelletto vostro, affinché s'augmenti la virtù e il lume nell'anima. La prima è che voi raguardiate quanto sete amato da Dio, il quale amore v'ha creato ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), e ricreatovi a grazia nel sangue del suo Figlio; per amore v'ha conservato il tempo, affinché abiate spazio di correggere la vita vostra; e tutte le grazie e doni spirituali e temporali - le quali non mi pongo a narrare - tutte vi sono date per affetto d'amore, per grazia e non per debito. Se voi le raguarderete, costretto sarete ad amare, perché naturalmente l'anima è attratta ad amare colui dal quale si vede essere amata; unde - vedendosi amare tanto ineffabilemente da Dio - corre dopo l'amore, amando lui e quello che egli più ama: piacegli quello che a Dio piace, e dispiacegli quello che a lui dispiace. E perché egli vede che il Creatore sommamente ama la sua creatura che ha in sé ragione, però egli anco l'ama; e quella utilità e servizio che a Dio non può fare, fallo alla creatura per lo suo amore.

La seconda si è che noi raguardiamo quanto siamo tenuti e obligati a Dio d'amarlo coraggiosamente, tutti liberi, e non finti - mostrando una in atto e in parole, e un'altra avessimo in cuore -. All'occhio di Dio non ci possiamo nascondere, e però il dobiamo servire molto coraggiosamente.

La terza è che noi vediamo quanto è abominevole a Dio e al mondo, e nociva all'anima, la colpa del peccato mortale; quanto è piacevole e utile la virtù. Tanto gli fu ispiacevole il peccato, che del corpo de l'umile e immacolato Agnello fece un incudine, fabricandovi su le nostre iniquità. Ècci tanto nocivo che ci tolle il lume, privaci della vita della grazia, e dacci l'eterna dannazione. La virtù gli è tanto piacevole che dell’uomo virtuoso egli ne fa un altro sé per affetto d'amore; in questa vita gli fa gustare vita eterna: stando nel mare tempestoso delle molte fatighe e amaritudini gusta la pace e la dolcezza.

La quarta e ultima è che noi raguardiamo che ogni colpa è punita, e ogni bene è remunerato: poiché Dio sa può e vuole punire la colpa, e remunerare le pene che in questa vita sosteniamo per gloria e loda del nome suo. Della quale remunerazione parla il glorioso Paulo, dicendo: «Non sono condegne le passioni di questa vita a quella futura gloria la quale Dio ha apparecchiata ai servi suoi» (Rm 8,18). Questo obiettivo, diviso in quattro, regolerà e ordinerà la vita vostra in amore e in santo timore; seguiterete e crescerete l'ordine che avete cominciato a tenere nel vivere vostro.

Cresca in voi il fuoco del santo desiderio, e daravvi quello che vi manca alla perfezione; e Dio, come giusto medico, porrà remedio a quello che a voi pare che ve l'impedisca. Date di calcio al mondo; cacciatelo del cuore e dell'affetto vostro come egli caccia voi. Legatevi con Cristo crocifisso, affinché riceviate il frutto del prezioso sangue suo col lume sopranaturale, al quale lume verrete esercitando il naturale, come detto è, e adempirete tutte le dette cose, altrimenti no. E però vi dissi che io desiderava di vedervi essercitare il lume che Dio v'ha dato, affinché continuamente cresca in voi, poiché sanza il lume anderemmo in tenebre.

Con questo lume voglio che alleviate la famiglia vostra con santo e vero timore di Dio. Nello stato del matrimonio state come uomo ordinato, e non come animale, avendo in debita reverenzia i dì che sono comandati dalla santa Chiesa, affinché l'albero vostro produca buoni frutti. La confessione santa voglio che usiate spesso, e la comunione per le pasque, sì come debbe fare la persona che teme Dio. Allora sarete il gaudio e l'allegrezza mia, vedendovi andare in luce e non in tenebre. Essendomi di lunga corporalmente, mi sarete molto di presso, perché non è né sarà tolta da voi la continua orazione né il desiderio con che sete offerto nel conspetto di Dio, e anco corporalmente potrà ancora essere, perché Dio non è spregiatore dei santi desiderii. Confortatevi, confortatevi nel prezioso sangue di Cristo, ché l'aiuto è presso a voi. Dilettatevi di ritrovarvi spesso col vostro Creatore con l'orazione attuale, e coi santi pensieri, e con l'orazione continua e mentale del santo e vero desiderio. E questo medesimo dico alla donna vostra. Levatevi dal vivere umano, e pigliate al tutto vita angelica; ché a questo siete chiamati da Dio. Rispondete Perciò, e siate una coppia d'angeli terrestri. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







302. Al padre santo Urbano VI sopradetto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero e reale pastore, governatore delle vostre pecorelle, le quali avete a notricare del sangue di Cristo crocifisso.

Lo quale sangue è da vedere con grande diligenzia dalla Santità vostra a cui egli si ministra, e per cui mezzo egli si dà: cioè, dico, santissimo padre, quando s'ha a mettere i pastori in questo giardino della santa Chiesa, che essi sieno persone che cerchino Dio e non prelazioni; e il mezzo che lo impetra anco sia sì-fatto, che vada coraggiosamente in verità, e non in bugia.

O santissimo padre, abbiate pazienza quando di queste cose vi fusse detto, poiché elle non vi sonno dette se non per onore di Dio e salute vostra, sì come debba fare il figlio che ha tenerezza e amore al padre suo, che non può sostenere che si facci cose che torni a danno o a vergogna del suo padre, ma, come sollecito, sempre se ne sta inteso, perché vede bene che il padre che ha a governare la molta fameglia non può vedere più che per uno uomo, unde se i legittimi figli non fussero solliciti di raguardare a l'onore e utilità del padre, spesse volte sarebbe ingannato. Così è, santissimo padre: voi sete padre e signore de l'universale corpo della religione cristiana; tutti stiamo sotto l'ale della Santità vostra; ad autorità potete tutto, ma, a vedere, non più che per uno, unde è di necessità ch'i figli vostri veggano e procurino con schiettezza di cuore, senza timore servile, quello che sia onore di Dio, salute e onore vostro, e delle pecorelle che stanno sotto la vostra verga. E so che la Santità vostra ha grande desiderio d'avere degli aitatori che v'aitino, ma convienvi avere pazienza ne l'udire.

Sono certa che per due cose vi dà pena e fàvi alterare la mente; e non me ne maraviglio punto. L'una si è perché - udendo ch'i difetti si comettano - vi duole che Dio sia offeso, perché l'offesa e le colpe vi dispiacciono, e però v'è una puntura nel cuore. Qui non ci si debba essere paziente - d'avere pazienza e non dolersi dell'offese che sono fatte a Dio -, no: ché così parrebbe che noi ci conformassimo con quegli vizii medesimi.

L'altra cosa che vi farebbe pena si è, quando lo figlio che viene a voi a dirvi quello che egli sente che torna in offesa di Dio, e danno de l'anime, e poco onore alla Santità vostra, che egli commetta ignoranza: che per conscienzia contenda dprima della vostra Santità a non dirvi coraggiosamente la verità pura come ella giace, poiché nessuna cosa debba essere secreta né occulta a voi. Questa pena vi prego, santo padre, che quando lo ignorante figlio offendesse in questo, sia senza turbazione vostra; e correggetelo della sua ignoranza.

Questo dico perché, secondo che mi disse lo maestro Giovanni di frate Bartolomeo, egli per suo difetto e per la scropolosa conscienzia vi dié pena, e fecevi alterare; unde egli e io n'ho avuta grandissima pena, parendoli avere offeso a la Santità vostra. Pregovi, per l'amore di Cristo crocifisso, che ogni pena che egli v'avesse data voi la puniate sopra di me; e io sono apparecchiata ad ogni disciplina e correzione che piacerà alla Santità vostra. Credo che i miei peccati gli furono cagione che egli commisse tanta ignoranza, e però io debbo portare la pena; egli ha grande desiderio di rendersi in colpa dinanzi a voi, colà dove piacesse alla vostra Santità che egli venisse. Abbiate pazienza a comportare i suoi difetti e i miei.

Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso; confortatevi nel fuoco dolce della carità sua. Perdonate a la mia ignoranza. Umilemente v'adimando la vostra benedizione.

Ringrazio la divina bontà, e la Santità vostra, di quanta grazia il dì di santo Giovanni mi concedeste. Gesù dolce, Gesù amore.





303. A Sano di Maco e a tutti gli altri suoi in Cristo figli secolari da Siena, essendo essa in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi figli veri che realmente serviate lo nostro dolce Salvatore, affinché più sollicitamente rendiate grazie e lode al nome suo.

O figli carissimi, Dio ha udito lo grido e la voce dei servi suoi - che tanto tempo hanno gridato nel conspetto suo -, e il mughio che tanto tempo ha gridato sopra i figli morti: ora sono risuscitati, e dalla morte sono venuti alla vita, e da la cecità a la luce. O figli carissimi, i zoppi vanno, i sordi odono, l'occhio cieco vede (Mt 11,5 Lc 7,22), i muti parlano, gridando con grandissima voce: «Pace, pace, pace!» con grande allegrezza, vedendosi tornare essi figli nell'obbedienzia e grazia del padre, pacificate le menti loro. E, come persone che già cominciano a vedere, dicono: «Grazia sia a te, Signore, che ci hai pacificati col nostro santo padre».

Ora è chiamato santo l'agnello dolce, Cristo in terra, dove prima era chiamato eretico e pattarino; ora l'accettano per padre, dove prima lo rifiutavano. Non me ne maraviglio, poiché la nuvola è caduta ed è rimaso il tempo sereno. Godete, godete, carissimi figli, con uno dolcissimo pianto di ringraziamento, dinanzi al sommo ed eterno Padre, non chiamandovi contenti a questo, ma pregandolo che tosto levi lo gonfalone de la santissima croce. Godete ed essultate in Cristo dolce Gesù; scoppino i cuori nostri di vedere la larghezza della infinita bontà di Dio. Ora è fatta la pace, a malgrado di chi la voleva impedire; sconfitto è il demonio infernale.

Sabbato a sera gionse l'ulivo a una ora di notte; e oggi a vespero gionse l'altro. E sabbato a sera l'amico nostro con uno compagno fu preso, sì che a una otta si rinchiuse buonamente la eresia, e venne la pace; ed è ora nella pregione. Pregate Dio per lui, che gli dia vero lume e vero cognoscimento. Annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso, e bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso; nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso. Amatevi, amatevi insieme. Mandovi de l'ulivo della pace.

Rimanete etc. Gesù dolce etc.







304. A monna Lodovica di Granello Tolomei.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondata in vera e perfetta carità, poiché senza la carità veruno atto virtuoso avrebbe in sé vita: poiché ogni virtù ha vita da la carità. Ella è quella madre che parturisce i figli de le virtù vivi - ché ci dà vita di grazia - e non morti.

Questa dolce carità ha con sè lo lume de la santissima fede, ché per l'amore che ha al suo Creatore crede in verità che Dio non voglia altro che il suo bene; e ciò che gli dà e permette, dà per sua santificazione. Per questo cognoscimento e lume, lo quale riceve da l'affetto de la carità, viene a pazienza, non si scandalizza né turba ne la mente sua di veruna cosa che avenga, anco l'ha in debita reverenzia.

O carissima figlia e sorella in Cristo dolce Gesù, parmi che la divina bontà vi permetta assai fatiche molestie e tentazioni da le demonia - per vostro bene, non perché siate vinta, ma perché voi vinciate -, per le quali pene e bataglie v'è grande necessità d'avere in voi questo amore col lume de la santissima fede. E se voi l'avete, l'amaritudine ritornarà in grande dolcezza, ed i gran pesi diventaranno leggieri (Mt 11,30), perché col lume conoscerete che Dio ve gli dà per vostro bene: del vostro bene, dolere non vi poterete.

Ma voi mi direte: «Poich'è tanto diletto, e di tanta necessità è avere questa carità, in che modo la posso avere, e dove la trovarò?». Io vi rispondo breve breve che amore non si può avere se non da l'amore, e senza lo lume non si può trovare: poiché, andando senza lo lume, lo cercaremo colà dove non è, e così andaremo in tenebre. Dunque ci conviene tòllare da noi quella cosa che ci tolle lo lume, cioè proprio amore, che è una nuvola che non ci lassa conoscere né vedere la verità di quello che doviamo amare.

Questa è quella nuvola che in tenebre fa amare ciò che ama, perché l'ama fuore di Dio: non con amore di ragione, ma con amore de la propria sensualità. Bene è da disolvere questa nuvola, levandoci con odio e pentimento di questa legge perversa, che sempre combatte contro lo spirito (Rm 7,23) con questo perverso e disordinato amore.

Poi che l'occhio de lo intelletto sarà rimaso chiaro col lume de la fede, porrassi per oggetto l'amore inefabile, ché Dio gli ha manifestato questo amore col mezzo del Verbo incarnato, unigenito suo Figlio; e questo dolce e amoroso Verbo, Agnello immacolato, ce il manifestò col mezzo del sangue suo. In questo sangue l'anima vi s'inebria, vedendolo sparto per sé con tanto fuoco d'amore. In questo sangue conosce la Verità eterna: che, per compire questa verità ne l'anima - di darci lo fine per mezzo del quale egli ci creò -, egli dà e permette che il mondo, lo demonio e il nemico de la carne nostra ci molestino, solo perché l'affetto nostro non si dilati a ponere lo suo fine nel mondo, né ne la propria sensualità, ma perché si levi da le tenebrose spine del mondo: di questi diletti transitori che drittamente sono spine, e passano come vento. Oh quanto è matto e stolto colui che ci pone lo desiderio e l'affetto suo! Per veruna cosa ci si debba ponere (ma die, la creatura che ha in sé ragione, apprezzarle per quello che elle vagliono, e più no: amarle e tenerle per Dio, e non senza Dio; usarle come cosa prestata, e non come cosa sua): ma la grazia e l'affetto de le virtù, le quali ha trovate ne l'affetto de la carità, la quale carità e amore concepe dentro ne l'anima sua col lume col quale egli cognobbe sé essere amato da Dio. Sì ché vedete che da l'amore, col lume, s'acquista l'amore.

Ma dove lo trovaremo? Nel cognoscimento santo di noi, vedendoci amati prima che noi fussimo: poiché l'amore che Dio ebbe a noi lo constrinse a crearci a la imagine e similitudine sua (Gn 1,26). In noi troviamo lo sangue che manifestò l'amore che Dio ci ha, nel quale sangue ricevemmo la nostra redenzione: avendo perduto l'essere de la grazia, fummo ricreati a grazia. Noi siamo quello vasello che ha ricevuto lo sangue, perché solo fu sparto per noi. Perciò non ci partiamo da la abitazione del cognoscimento di noi, nel quale cognoscimento saremo guidati dal lume de la santissima fede; nel quale lume - per l'affetto de la carità che acquistaremo dal lume - portaremo con vera e reale pazienza, non dispregiando né schifando fatiche in qualunque modo elle ci vengono: ma acetarle con amore, perché per amore vediamo che ce le dà, e non per odio; non perché perdiamo la nostra salute, ma perché noi l'acquistiamo.

Perciò voglio, carissima e dolcissima figlia, che voi v'ingegniate con grande solicitudine d'acquistare questo amore, col lume de la fede: permanere nella carità de la carità, ché, in altro modo, i figli de le virtù non sarebbono parturiti vivi, ma morti; e gustaremmo in questa vita la caparra de l’inferno.

Considerando me che altro modo non ci era, dissi ch'io desideravo di vedervi fondata in vera carità e perfetta: questa vi farà portare ogni vostra fatica, e Dio - che non è dispregiatore del santo desiderio, e de le fatiche nostre portate per gloria e loda del nome di Dio -, ci levarà le fatiche, porràci fine e termine, ponendo noi fine a la propria volontà che ella s'acordi coi la volontà dolce di Dio.

Non voglio che veniate a confusione di mente né a disperazione per veruna illusione o molestia che il demonio vi volesse dare, mettendo ne la mente vostra laide e diverse fantasie, con molte disoneste cogitazioni: ma con una speranza vera e fede viva abbracciarvi coi la santissima croce, dove voi vederete che elle vi son date per amore; e non vi dà più che voi potiate portare. E voglio che voi sappiate che veruna bataglia e cogitazione, sia laida quanto si vuole, è peccato, se non quando noi aconsentissimo volontariamente, dilettandoci dentro. Perciò conserviamo la volontà - e de le cogitazioni ci facciamo beffe - fortificandola ne la dolce eterna volontà di Dio, con la memoria del sangue di Cristo crocifisso.

Levatevi ogni fatica de la mente vostra, e lassatela a me, ch'io son colei che voglio portare dinanzi da Dio i pesi e le gravezze vostre, pure che voi da la parte vostra non facciate resistenza a Dio che vi chiama col mezzo di queste fatiche. Siatemi virtuosa, usando spesso la santa confessione, dilettandovi d'udire la parola di Dio e la messa, almeno i dì che son comandati da la santa Chiesa. Quando potete, portate virilmente, sperando che, se Dio è per voi, né demonio né creatura sarà contro di voi. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Ringrazio la divina bontà e voi de la limosina che avete fatta, e pare che vogliate fare, ai servi di Dio religiosi, i quali danno l'orazione, che ci dà infinito bene, per questa substanzia temporale finita. Fate bene il debito vostro poiché, di quello che potete fare, dovete essere dispensatrice dei povari, voi e chi n'ha, perché i povari sonno quelle mani - con l'affetto de la carità, con che si dà la limosina -, che ci fanno andare a vita eterna: sì che siate solicita per la salute vostra. Gesù dolce, Gesù amore.

Fatta in Siena a dì xxvj d'agosto Mccclxxviij.



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19/10/2012 18:53

305. Al santo padre Urbano VI, a dì 18di settembre 1378

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato in vero lume, affinché - illuminato l'occhio dello intelletto vostro -, potiate cognosciare e vedere la verità: ché, conoscendola, l'amarete; amando, riluceranno in voi le virtù.

E che verità cognosciaremo, santissimo padre? Cognosciaremo una verità eterna, con la quale verità fummo amati prima che noi fussimo. Dove la conosceremo? Nel cognoscimento di noi medesimi: vedendo che Dio ci ha creati ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), constretto dal fuoco della sua carità.

Questa è la verità: che ci creò perché noi participassimo di lui (2P 1,4), e godessimo lo suo eterno e sommo bene. Chi ce l'ha dichiarata e manifestata questa verità? Lo sangue de l'umile e immacolato Agnello, di cui sete fatto vicario, e cellario che tenete le chiavi del sangue, nel quale sangue fumo recreati a grazia; e ogni dì che l'uomo esce della colpa del peccato mortale, e riceve lo sangue nella santa confessione, si può dire che ogni volta rinasca di nuovo. E così troviamo continovamente che la verità ci è manifestata nel sangue, ricevendo lo frutto del sangue.

Chi la conosce questa verità? L'anima che s'ha tolta la nuvola de l'amore proprio, e ha la pupilla del lume de la santissima fede ne l'occhio dello intelletto suo, col quale lume - nel cognoscimento di sé e della bontà di Dio in sé - conosce questa verità. E coll'ardente desiderio gusta la dolcezza e suavità sua, ché tanta è la sua dolcezza che ogni amaro spegne, ogni grande peso fa essere leggiero (Mt 11,30), ogni tenebre dissolve e leva via, lo innudo veste, l'affamato sazia, unisce e divide, perch'è ne la verità eterna; nella quale verità conosce che Dio non vuole altro che il suo bene, e però subito dà uno giusto giudicio, tenendo che ciò che Dio dà e permette in questa vita lo dà per amore, affinché siamo santificati in lui, e per necessità della salute nostra, o per accrescimento di perfezione.

Avendo cognosciuto questo nella verità col lume, ha in reverenzia ogni fatica, detrazioni, beffe, scherni, ingiurie, obbrobrii, villanie e rimproverio: tutte le trapassa con vera pazienza, cercando solo la gloria e loda del nome di Dio ne la salute de l'anime; e più si duole dell'offesa di Dio e del danno delle anime che della ingiuria propria. HA pazienza in sé, ma non nel vituperio del suo Creatore: nella pazienza dimostra allora l'anima che, spogliata dell'amore proprio di sé, ella è rivestita del fuoco della divina carità. Nella quale carità e amore ineffabile l'amaritudine a voi, santissimo padre, nella quale voi sete, essendo così dolcemente vestito, vi tornarà a grandissima dolcezza e suavità; e il peso che è così grave, l'amore ve lo farà essere leggiero, conoscendo che senza lo molto sostenere non si può saziare la fame vostra e dei servi di Dio: fame di vedere riformata la santa Chiesa di buoni onesti e santi pastori.

E sostenendo voi senza colpa le percosse di questi iniqui, che col bastone della 'resia vogliono percuotare la Santità vostra, ricevarete la luce. Poiché la verità è quella cosa che ci dilibera (Jn 8,32), e perché verità è che, eletto dallo Spirito santo e da loro, vicario suo sete, le tenebre della bugia e della eresia, la quale hanno levata, non potrà contro questa luce; anco quanto più le vorranno dare tenebre, tanto più riceverà perfettissima luce.

Questa luce porta con sè lo coltello dell'odio del vizio e dell'amore della virtù, lo quale è uno legame che lega l'anima in Dio e nella carità del prossimo. O santissimo e dolcissimo padre, questo è lo coltello che io voglio che voi usiate; ora è lo tempo vostro da sguainare questo coltello: odiare lo vizio in voi e nei sudditi vostri, e nei ministri della santa Chiesa. In voi dico, perché in questa vita veruno è senza peccato, e la carità si debba prima muovare da sé, usarla prima in sé con l'affetto delle virtù, e nel prossimo nostro: sì che tagliate lo vizio.

E se il cuore della creatura non si può mutare né trarlo dei difetti suoi - se non quanto Dio nel trae e la creatura si sforzi con l'aiutorio di Dio a trarne lo veleno del vizio -, almeno, santissimo padre, siano levati dalla Santità vostra lo disordinato vivare, i scellerati modi e costumi loro. Piaccia alla vostra Santità di regolarli secondo che è loro richiesto dalla divina bontà, ognuno nel grado suo. Non sostenete l'atto della immondizia - non dico lo desiderio suo, ché nol potete ordinare più che si voglia -, ma almeno l'atto - che si può - sia regolato da voi. Non simonia, non le grandi delizie; non giocatori del sangue, che quello dei povari e quello della santa Chiesa sia giocato tenendo barattaria, nel luogo che deve essere tempio di Dio (non come cherici né come calonaci - che debbono essere fiore e specchio di santità -: egli stanno come barattieri, gittando puzza di immondizia e essemplo di miseria).

Oimé, oimé, oimé, babbo mio dolce, con pena dolore e grande amaritudine e pianto scrivo questo; e perciò, se io parlo quello che pare che sia troppo e suoni presunzione, lo dolore e l'amore mi scusi dinanzi da Dio e la Santità vostra, ché, innunque io mi vollo, non ho dove riposare lo capo mio. Se io mi vollo costì - che dove è Cristo debba essere vita eterna -, e io vedo che nel luogo vostro, che sete Cristo in terra, si vede l’inferno di molte iniquità, col veleno de l'amore proprio; lo quale amore proprio gli ha mossi a levare lo capo contro di voi, non volendo sostenere la Santità vostra che vivessero in tanta miseria. Non lassate però: riluca nel petto vostro la margarita della santa giustizia (Ex 28,15), senza veruno timore - ché non bisogna temere - ma con cuore virile: ché se Dio è per noi, veruno sarà contro noi (Rm 8,31). Godete e essultate, che l'alegrezza vostra sarà piena in cielo (Mt 5,12 Lc 6,23). In queste fatiche vi rallegrate, perché dipo' questo, cioè dipo' le fatiche, verrà lo riposo, e la riformazione della santa Chiesa.

Per veruna pena né sollecitudine - perché vi vedete abandonato da quelli che debbono essere colonne -, non allentate i passi; ma molto più corrite fortificandovi sempre col lume della santissima fede in cognosciare la verità, e con l'orazione e compagnia dei servi di Dio. Vogliate vederveli dallato: ché in questa vita, tra le fatiche saranno lo vostro refrigerio. Cercate d'avere, oltre a l'aiutorio divino, l'aiuto dei suoi servi, che vi consigliaranno con fede e coraggiosamente, non passionati, né contaminato lo consiglio loro per amore proprio: parmi che vi sia grandissima necessità d'averlo. Certa sono che, avendo voi illuminato l'occhio dello intelletto nella verità, che voi gli cercarete con grande sollecitudine; in altro modo no.

Piantate le virtù vere nei sudditi vostri: almeno d'ordinarli e di mettare piante buone e virtuose nella santa Chiesa.

Dicevo che inunque io mi vollo non truovo dove io mi riposi, e così è la verità. Sì come egli è costì, così si trova in ogni altro luogo, e spezialmente in questa nostra città: che del tempio di Dio, che è luogo d'orazione, hanno fatto spelonca di ladroni (Mt 21,13 Mc 11,17 Lc 19,46 Jn 2,16), con tanta miseria che è maraviglia che la terra non c'inghiottisce. Tutto è per difetto dei gattivi pastori che non hanno ripresi i difetti, né con la parola né con buona e santa vita. O pastore mio dolce, dato agl'ignoranti cristiani dalla dolcezza della inestimabile carità di Dio, quanta necessità avete del lume, affinché col lume cognosciate lo difetto dove è lo difetto, e la virtù dove è la virtù, affinché con discrezione a ciascuno diate lo debito suo! Considerando me, misera miserabile, che senza il lume non potreste dibarbicare le spine e piantare le virtù, però vi dissi che io desideravo di vedervi fondato in vero e perfettissimo lume, poiché nel lume cognosciarete la verità; conoscendola, l'amarete; amandola, ne sarete vestito. Con questo vestimento si ripararà ai colpi: non nociaranno a voi, ma a coloro che ve gli gittano.

Abracciate le pene con grande conforto; bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, di cui sete fatto vicario.

Altro non vi dico, che se io andasse alla volontà io non mi ristarei ancora. Non vorrei più parole, ma trovarmi nel campo della battaglia, sostenendo le pene e combattendo con voi insieme per la verità fino alla morte, per gloria e laude del nome di Dio e reformazione della santa Chiesa.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Perdonate, santissimo padre, alla mia ignoranza, che ignorantemente presummo di parlare a voi.

Umilemente vi domando la vostra benedizione. Gesù dolce, Gesù amore.





306. A papa Urbano VI, a dì 5 d'ottobre 1378.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vestito del vestimento forte della ardentissima carità, affinché i colpi che vi sono gittati dagli iniqui uomini del mondo, amatori di loro medesimi, non vi possino nuocere.

Poiché veruno colpo è tanto terribile che possa offendere l'anima che è vestita di sì-fatto vestimento, perché Dio è somma eterna fortezza: non può essere offeso né percosso da noi per veruna nostra iniquità, cioè che in sé non può ricevere veruna lesione. Unde lo nostro male a lui non nuoce, e il nostro bene a lui non giova; solo a noi nocerà il male, e il bene gioverà a coloro che sono operatori del bene mediante la divina grazia. Sì che Dio è somma eterna fortezza; e chi sta in carità sta in Dio, e Dio in lui, poiché Dio è carità (1Jn 4,8-16).

Perciò l'anima vestita di questo vestimento, perché ella sta in Dio, sì come detto è, non è veruna cosa né fatica né veruna tribulazione che il possa venciare; anco dentro le fatiche si fortifica, provandosi in lui la virtù della pazienza: i colpi degli iniqui miserabili amatori di loro non v'offendaranno l'affetto de l'anima vostra, non atterreranno la sposa della santa Chiesa perché non può venire meno, ché ella è fondata sopra la viva pietra Cristo dolce Gesù. A cui noceranno questi colpi? A loro medesimi, santissimo e dolcissimo padre, che gli gittano: queste saette avelenate torneranno a loro; in voi percuotono solamente la corteccia e verun'altra cosa no, dandovi amaritudine e danno per lo scandolo e 'resia che hanno seminata nel corpo mistico della santa Chiesa.

Dilettatevi nella carità dolce della carità senza veruna dubitazione, ma conformatevi e confortatevi col vostro capo Cristo dolce Gesù, lo quale sempre, dal principio del mondo fino a l'ultimo, ha voluto e vorrà che veruno grande fatto si facesse mai senza lo molto sostenere. Perciò senza timore veruno vi gittate tra queste spine col vestimento forte della carità. Oimé, oimé, non alentate i passi per queste fatiche, né in veruno modo temete la vita del corpo vostro - cioè che voi temiate di non perdarla -: ché Dio è quello che è per voi, e se bisogna dare la vita, volontariamente si debba dare.

Oimé, disaventurata l'anima mia, cagione di tutti questi mali! HO inteso ch'i demoni incarnati hanno eletto non Cristo in terra, ma fatto nascere antecristo contro a voi Cristo in terra; lo quale confesso, e nol nego, che sete vicario di Cristo, celleraio che tenete le chiavi del cellaio della santa Chiesa, dove sta lo sangue de l'umile immacolato Agnello, e che voi ne sete lo ministratore, a malgrado di chi vuole dire lo contrario, e a confusione della bugia la quale Dio confondarà colla dolce verità sua: e in essa dilibererà voi e la dolce Sposa vostra. Or oltre, santissimo padre! Senza timore s'entri in questa battaglia, perché nella battaglia ci bisogna l'arme del vestimento, che è una arme dura, della divina carità. Però vi dissi che io desideravo di vedervi vestito di questo dolce e reale vestimento, affinché più siate securo e inanimato a sostenere per gloria e loda del nome di Dio e salute delle anime.

Nascondetevi nel costato di Cristo crocifisso, che è una caverna; bagnatevi nel sangue dolcissimo suo. E io, come schiava ricomperata del sangue di Cristo, e tutti quegli che sono aconci a dare la vita per la verità - i quali Dio mi possiede dati ad amare di singulare amore, e avere cura della loro salute -, siamo aconci tutti a essere obedienti a la Santità vostra, e sostenere fino alla morte, aitandovi coll'arme de l'orazione santa, e con seminare e annunziare la verità in qualunque luogo piaciarà a la volontà dolce di Dio e a la Santità vostra. Non dico più sopra questa materia.

Fornitevi di buoni e virtuosi pastori, e dallato vogliate avere i servi di Dio. La speranza e la fede vostra non sia posta ne l'aiuto umano, che viene meno, ma solo ne l'aiutorio divino, lo quale non sarà tolto mai da noi mentre che speraremo in esso aiuto; anco saremo tanto proveduti da Dio quanto speraremo in lui. Perciò in lui speriamo con tutto lo cuore, con tutto l'affetto, e con tutte le forze nostre.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Pregovi, santissimo padre, quanto io so e posso che - oltre a la speranza che avete posta e porrete nel vostro Creatore - facciate buona guardia della vostra persona, poiché il doviamo fare per non tentare Dio in quello che c'è possibile, non lassando però quello che avete a fare; ma in tutto voglio che facciate questo, d'usare ogni cautela verso la vostra persona. Poiché io so che i malvagi uomini, amatori del mondo e di loro medesimi, non dormono, ma con malizia e astuzia cercano di tollervi la vita; ma la dolce inestimabile bontà di Dio avanza e avanzarà la loro malizia: provederà al bisogno della Sposa sua. Ma non mancate voi, però, che dalla vostra parte non facciate quello che potete.

Perdonate, perdonate, padre, a la mia presunzione; ma lo dolore e l'amore me ne scusi, e la conscienzia che mi riprendeva se io così non dicevo, e non rimane però in pace fino che col suono della voce viva, e coi la presenza dprima della Santità vostra non sostengo, perché ho voglia di mettere lo sangue e la vita, e distillare le merolla dell'ossa nella santa Chiesa, poniamo che degna non ne sia. Prego la infinita bontà di Dio che me, e gli altri che la vogliano dare, ce ne facci degni ora, che è il tempo che i fiori dei santi desiderii si debbono aprire, e mostrare chi sarà amatore di sé o della verità. Non dico più, che se io andassi alla voglia non mi ristarei. Umilemente v'adimando la vostra benedizione dolce. Anco v'adimando di sapere in verità la vostra volontà, per fare conobbedienza quello che sia onore di Dio e volontà vostra, vicario di Cristo crocifisso: in ogni cosa obedire fino alla morte, quanto Dio mi darà la grazia. Gesù dolce, Gesù amore.





307. A una donna riprendendola del mormorare, a Firenze, a dì 20 d'ottobre 1378

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima sorella e figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con vero e perfetto lume, poiché senza lume non poteremo conosciare la verità di Dio, né la verità ne la creatura, anco cadaremo nel falso e miserabile giudizio. Perché? perché saremmo privati del lume, ché l'anima ch'è alluminata, e ha levata la passione sensitiva da sé medesima, discerne e conosce la verità, e giudica giustamente e con grande discrezione.

Che giudizio è questo, lo quale noi doviamo rendare e dare a Dio, e che verità doviamo conosciare in lui e nel prossimo nostro? Dicovelo: che noi doviamo conosciare questa verità (non veduta con l'occhio del corpo ma con l'occhio de lo intelletto: dentro vi è il lume de la santissima fede): che Dio ci ama inestimabilmente, e per amore ci creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26) perché noi ricevessimo e gustassimo lo suo eterno bene. Chi ci manifesta che questa sia la verità? Lo sangue de l'umile e immacolato Agnello, sparto con tanto fuoco d'amore in sul legno della santissima croce.

Poi che l'anima ha veduta e conosciuta questa verità, sì l'ama; e con l'amore giudica che ciò che Dio dà e permette in questa vita, il fa per nostro bene, affinché siamo santificati in lui. Giudica giustamente, con lume di discrezione: che se ella è prosperità, sì la conosce dal suo Creatore data a lei non per la sua virtù, ma per la infinita bontà di Dio; unde per questo conoscimento l'ama con amore ordenato, amandole per Dio e possedendole come cosa prestata a lei, e non come cosa sua, poiché sue non sonno. A questo ce n'avediamo: che tal ora le vogliamo tenere ch'elle ci sonno tolte; e non tanto che la sustanzia temporale, ma la vita e la sanità dell'uomo e ogni altra cosa, tutte passano come vento che neuno le può tenere a suo modo, se non quanto piace a colui che le dà. Questo giudica colui ch'è illuminato in questa dolce verità.

E se ella è aversità e tribolazione, sì la riceve umilemente, con vera e santa pazienza, riputandosi degna della pena e indegna del frutto che segue doppo la pena; giudicando in sé medesima con umilità che per li suoi peccati l'avenga, perché conosce che il sommo giudice è rimuneratore d'ogni bene e punitore d'ogni male; a grande grazia si reca - e così è - che Dio li faccia tanta misericordia che la colpa, che merita pena infinita per avere offeso il bene infinito, ella sia punita in tempo finito, dandoci fatica e tribolazioni. In qualunque modo egli ce le dà, tutte ce le dà la Verità eterna o perché ci coreggiamo dei difetti nostri, o per farci venire a grande perfezione: per qualunque modo, certi siamo che le dà per amore e non per odio.

Questo vede e conosce l'anima alluminata dalla dolce verità, e però ha ogni cosa in debita riverenzia; giudica giustamente la volontà di Dio e la providenzia sua in sé, poiché la sua providenzia provede a ogni nostra necessità, e la sua volontà non vuole altro che il nostro bene. Poi che l'anima così dolcemente ha conosciuto la verità nel suo Creatore, e giudicato così dolcemente i misterii suoi in bene, si vòlle, con questa medesima verità e giudizio, nel prossimo suo, perché la carità del prossimo esce della carità di Dio.

Unde questa è la regola di coloro che il temono: che mai neuno giudizio non vorranno dare se non in bene - guarda già che i non vedesse lo male espressamente, colpa di peccato mortale -. Né questo piglia per giudizio, ma, per una santa compassione, lo porta dinanzi a Dio, dicendo: «Oggi tocca a te, e domane a me, se non fosse la somma bontà che mi conserva». Ogni giudizio lassa al sommo giudice e al giudice temporale, lo quale è posto perché tenga giustizia a ognuno secondo che merita.

Non si pone a giudicare per detto delle creature, né per costumi né atti di fuori, poiché vede bene che Cristo benedetto glili vieta nel vangelo dicendo: «Non vogliate giudicare in faccia» (Mt 7,1 Lc 6,37), sì che nel suo prossimo ama - con quello amore ch'egli ha a Dio, schietto senza rispetto di sé - la verità in lui; e giudica santamente la volontà di Dio nelle sue creature, giudicandole in bene e lassando il male giudicare a Dio. E però non è iscandelizzata né nei misterii di Dio né nel prossimo suo; e non diminuisce la carità e l'amore e riverenzia verso il suo Creatore per nessuna tribulazione ch'egli le permettesse, né verso la creatura - per ingiuria o danno temporale che ricevesse -, perché santamente ha giudicato con verità che Dio glil permette per provare l'affetto della carità ne l'anima inverso di colui che gli fa ingiuria, e per punizione del peccato suo, dicendo: «Signore mio, giustamente mi permetti questo: poiché, s'io non ho offesa questa creatura che mi fa ingiuria, io ho offeso te, sì che per mio bene l’hai messa per istromento a corregiarmi dei miei difetti».

Dicovi, carissima sorella, che questa anima gusta vita eterna in questa vita, perché ogni cosa in Dio e nel prossimo suo giudica con lume di verità. A questo v'invito: che sempre v'ingegniate di tenere questo medesimo modo, affinché siate privata del sommo male, e perveniate al sommo bene, poiché in quello giudizio che giudichiamo altrui, saremo giudicati noi (Mt 7,2 Lc 6,38). Non facciamo come gli stolti che fanno lo contrario di questo, ché solamente si vogliono fare giudici della volontà degl'uomini, non raguardando come né in che modo, ma, come accecati della propia passione, la verità giudicano in bugia e la bugia in verità. Oh come è torta la loro via, che, essendo ciechi, vogliono giudicare la luce! Vorranno giudicare i grandi misterii di Dio, e quello ch'egli aduopera nei servi suoi, e i modi e costumi loro, a modo suo.

Oh superbia umana! E come non si vergogna la creatura di volere tòllare l'ufizio di mano al Creatore? Ché a la creatura aspetta d'essere giudicata, e non di giudicare; ma ella non conosce, perch'è privata del lume della verità - e però legiermente giudica e condanna quello che ha udito o ode del prossimo suo, e quello che non vidde mai -, e così rimane aviluppata la coscienza sua. Scandalizzato in Dio e nel prossimo suo, privato della carità della carità, ogni male n'esce, e diventa indiscreto; il gusto se li guasta, sapendoli quello ch'è buono di gattivo, e quello che è gattivo gli pare buono. Vienne in odio e pentimento dei misterii di Dio e opere delle creature: egli si priva del prezzo del sangue di Cristo crocifisso; tollesi ogni bene e cade in ogni male; diventa ingrato e sconoscente dei beneficii che ha ricevuti e riceve - la quale ingratitudine fa seccare la fonte della pietà -; diventa incomportabile a sé medesimo, tenendo e amando disordinatamente senza Dio le ricchezze delizie e stati del mondo; e le fatiche porta con impazienzia, non ponendo la cagione delle fatiche ai peccati suoi, ma spesse volte la pone in colui che non ha colpa.

Questo ben pare che oggi si vega nel mondo, e specialmente nella vostra città: che le grandi tribolazioni e mutazioni avute - e tutto dì siamo per avere - per le colpe e difetti nostri, noi le vogliamo scaricare, queste some, sopra altrui, sì come infermi, giudicando la santa intenzione in male e in perversa, e la disordinata e gattiva intenzione - che non attende altro che ad amore propio - in bene: questo è per la privazione del lume. Ma le pietre caggiono pure sopra colui che le gitta. Non si vuole fare così, dolcissima figlia, ma riputarle a noi e ai difetti nostri, ognuno a sé medesimo; e facendo così placaremo l'ira di Dio, fuggiremo il male e tante fatiche, e ricevaremo misericordia. Sono certa che se voi e gli altri sarete fondati nel lume, col quale lume conosciarete la verità, come detto è, che voi il farete; in altro modo, no. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi fondata in vero e perfettissimo lume; e così vi prego, per l'amore di Cristo crocifisso, che sempre v'ingegniate d'acquistarlo.

Ponete fine e termine oggimai a ogni vostra passione, e non vogliate prestare l'orecchie in udire quello che non dovete ma, come persona che non vuole la dannazione de l'anima sua, attenetevi a la verità; e non vogliate scandalizzarvi così di legiero. Raguardate l'affetto di chi v'ama teneramente. A questo modo godarete del bene, e non arete pena. Sono certa che se vorrete usare lo conoscimento che Dio v'ha dato, voi vi disporrete a intendare quello che per salute vostra io v'ho scritto. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Fuggite la morte della bugia e del falso giudicio, voi e gli altri, e non ci dormite più; non aspettate, a levarle, quello tempo che voi non avete. Gesù dolce, Gesù amore, Maria.





308. A la soprascritta Daniella d'Orvieto.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima sorella e figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti bagnata e annegata nel sangue di Cristo crocifisso, nel quale sangue trovarai lo fuoco della divina carità. Gustarai la bellezza de l'anima e la grande degnità sua, poiché, riguardando Dio in sé medesimo, s'inamorò della bellezza della sua creatura; e come ebro d'amore ci creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26).

Avendo perduto lo ignorante uomo la degnità e bellezza della innocenzia per la colpa del peccato mortale, essendo fatto disubidiente a Dio, i ci mandò lo Verbo unigenito suo Figlio, ponendoli l'obedienzia che col sangue suo ci rendesse la vita e la bellezza de l' innocenzia, perché nel sangue si lavava, e lavano le macchie dei difetti nostri. Perciò vedi che nel sangue si trova e gusta la bellezza de l'anima. Bene ci si debba l'anima annegare dentro, affinché meglio concipa amore a onore di Dio e salute de l'anime, seguitando la dottrina del dolce e amoroso Verbo.

Perde te, figlia mia; non cercare te per te, ma te per Dio. Cerca Dio e il prossimo tuo con ogni santa solecitudine, per gloria e lode del nome di Dio e salute loro, offerendo umili e continove orazioni con spasimato desiderio dprima della divina bontà. Ora è il tempo di prendare questo cibo de l'anime in su la mensa della santissima croce: d'ogni tempo è tempo, ma tu non vedesti mai, tu né neuno altro, tempo di maggiore necessità. Sentiti, figlia mia, con dolore e amaritudine delle tenebre che è venuta nella santa Chiesa. L'aiuto umano pare che ci venga meno: conviene a te e agl'altri servi e serve di Dio invocare l'aiutorio suo. E guarda che tu non commetta negligenzia: egli è tempo di vigilia, e non da dormire. Tu sai bene che al tempo ch'i nemici sonno a le porti, se le guardie e gl'altri de la città dormissero, non è dubio neuno che la perdarebbono. Noi siamo atorniati da molti nemici, e così l'anima nostra: ché sai che il mondo, e la propia nostra fragelità, e il demonio con le molte cogitazioni, non dormono mai, ma sempre stanno aparecchiati per vedere se noi dormiamo, per potere intrare dentro, e come ladri furare la città dell'anima.

Anco lo corpo mistico della santa Chiesa è atorniato da molti nemici; unde tu vedi che quelli che sonno posti per colonne e mantenitori della santa Chiesa, ed eglino ne sonno fatti perseguitatori con le tenebre della 'resia. Non è dunque da dormire, ma da sconfigiarli con la vigilia, lacrime, sudori, e con dolorosi e amorosi desiderii, con umile e continova orazione. E fa' che, come figlia fedele alla santa Chiesa, tu preghi e strenga l'altissimo e dolce Dio che la provega ora in questo bisogno; e pregalo che fortifichi lo santo padre, e diali lume. Dico di papa Urbano VI, veramente papa e vicario di Cristo in terra, e così confesso e dobiamo confessare dinanzi a tutto quanto lo mondo; e chi dicesse o tenesse lo contrario, per nessuna cosa li dobiamo credare, ed elegiare inanzi la morte.

Bagnati nel sangue, affinché scropolo neuno non caggia mai nella mente tua, né per timore servile mai.

Nascondianci ne la caverna del costato di Cristo crocifisso, dove hai trovato l'abondanzia del sangue. In altro modo andaremo in tenebre, e saremo amatori di noi. Considerando me che altro modo non c'era, dissi ch'io desideravo di vederti bagnata e annegata nel sangue di Cristo crocifisso, e così voglio che tu facci. Altro non ti dico.

Permane etc. Abbi fame del suo onore e desiderio. Gesù dolce, Gesù amore.







309. A Giovanni da Parma in Roma, per uno libro strano che avea - del quale volea sapere per rivelazione se fusse da Dio o dal demonio -, a dì xxiij d'ottobre.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato sopra la viva pietra, Cristo dolce Gesù, perché in altro modo non vi si potrebbe ponare edificio che bastasse, ma, giungendo lo vento, subito il darebbe a terra. Ma l'anima ch'è fondata in questa dolce pietra, cioè che seguiti la dottrina di Cristo crocifisso, non viene mai meno.

Che dottrina è questa che c'insegna lo dolce e amoroso Verbo, lo quale è detto pietra viva? e dove ce la 'nsegna? Non in delizie né diletti del mondo, ma in su la mensa della santissima croce è questa ch'egli c'insegna: amare Dio in verità - odiando lo vizio e la propia sensualità ch'è cagione del vizio -, e amare la virtù, e esso Dio ch'è cagione d'ogni virtù. Insegnaci obedire ai comandamenti della legge, e a farci venire in amore i consegli: facci concepire uno desiderio di volere acquistarli in su la mensa de la santissima croce, dove l'anima si veste della carità di Dio e del prossimo.

Ma attendete che questo non si può imparare senza lo lume, né senza l'oggetto del libro, unde ci è bisogno che l'occhio de lo intelletto sia aluminato col lume della santissima fede, e il libro sia scritto sì che ne la scrittura impariamo la dottrina. S'io riguardo bene, carissimo fratello, Dio ci ha dato l'occhio de lo intelletto, e dentro vi è il lume de la fede; lo quale lume non ci può esser tolto né da demonio né da creatura, se già noi non cel tolliamo con l'amore propio di noi medesimi. E àcci dato lo libro scritto, cioè lo Verbo dolce del Figlio di Dio, il quale fu scritto in sul legno de la croce, non con incostro, ma con sangue, coi capoversi delle dolcissime e sacratissime piaghe di Cristo. E quale sarà quello idiota grosso, e di sì basso intendimento che non le sappi lègiare? Non ne so neuno, se no gli amatori propi di loro medesimi, e questo l'adiviene non perché non sappino, ma perché non vogliono.

Sì ch'egli è scritto, unde noi troviamo nel capoverso dei piei che gli ha confitti affinché confichiamo l'affetto in lui, spogliandolo d'ogni disordinata volontà, che non cerchi né voglia altro che Cristo crocifisso; volendo giognare al Padre eterno col mezzo di questa Parola incarnata, libro scritto; desiderando di portare ogni pena senza colpa e pene di corpo e pene di mente, quando Dio gli permette le molte cogitazioni e molestie dal demonio, o bataglie de le creature -: ogni cosa portare per gloria e lode del nome suo. E tenendo per questa via, seguitarà e adempirà in sé quella parola che disse il nostro dolce Salvatore, quando disse: «Neuno può andare al Padre se non per me» (Jn 14,6). Egli è la via e la verità (Jn 14,6); e chi va per lui, va per la luce, e non giogne a le tenebre (Jn 8,12). Per questo modo conficca i piei de l'affetto suo, tenendo per la via della verità.

Giungendo al costato di Cristo crocifisso, trova la vita della grazia, poiché - spogliato l'affetto dell’uomo con odio santo del vizio e de la propia passione sensitiva (il quale odio ha trovato in questo libro scritto, che tanto i l'odiò, ch'egli lo volse punire sopra il corpo suo) - egli trova l'amore cordiale delle vere e reali virtù nel cuore aperto, la quale apritura manifestò a noi lo cordiale e ardente amore, facendoci bagno del sangue suo; il quale sangue fu intriso col fuoco della divina carità, perché per amore fu sparto: poiché per amore de l'onore del Padre e salute nostra egli corse, come inamorato, a l'obrobiosa morte della croce, per compire l'ubidienzia del Padre eterno. Ben è vero, Perciò, che c'insegna la dottrina in su la mensa della croce - imparando da lui a essere umile e mansueto di cuore (Mt 11,29), con la quale umilità e mansuetudine osserviamo i comandamenti dolci di Dio, e siamo obedienti. Ove gli abiamo trovati? Nel libro. Con che lume? Col lume de la santissima fede. Così stiamo nella fame de l'onore di Dio e salute delle anime, ricevendo in noi la vita della grazia.

A mano a mano, e noi leggiamo nel capo spinato di Cristo crocifisso e ne la bocca sua, crociando lo capo spinato della nostra propia volontà - che drittamente è una spina che punge e tormenta l'anima che se ne corona -, tenendo questo capo della perversa volontà fuore della dolce volontà di Dio. Nel dolce capo spinato, Cristo crocifisso, perdiamo questa dolorosa spina. Allora troviamo la pace nella bocca sua: che nell'amaritudine del fiele e de l'aceto delle nostre iniquità - le quali furono drittamente un fiele amarissimo e aceto che ci tolse la fortezza de la grazia -, conformandosi l'anima nostra e vestendosi della dolce volontà di Dio, gustiamo la pace sua, la quale egli acquistò con grande amaritudine, cioè pacificando Dio con l'uomo, essendo stato longo tempo in guerra con lui. E però dice lo glorioso Pavolo che Cristo benedetto è nostra pace (Ep 2,14), facendosi mediatore tra Dio e l'uomo. Anco ci amaestra lo dolce Apostolo che noi ci riconciliamo e faciamo pace con lui (Col 1,20), poiché egli è venuto come nostro mediatore ().

Seguitando questa dolce e dritta via, riceveremo lo frutto di questa pace qui in questa vita; mangiaremo le molicole de la grazia, e nella vita durabile vivande compite e perfette, le quali danno perfetta sazietà senza neuno difetto. Unde, volendocelo mostrare, lo glorioso dottore Augustino dice che v'è sazietà senza fastidio, fame senza pena: di longa è la pena da la fame, e il fastidio da la sazietà. Poi che gustato ha l'anima la pace, e gionta a tanto diletto, ella ha letto e legge continovamente nelle mani chiavate del Figlio di Dio, facendo tutte le sue opere spirituali e mentali confitte ne la volontà di Dio, facendole per gloria e lode del nome suo. S'ella è opera mentale - ch'egli esserciti la mente sua in drizzarla e ordinarla nella divina carità -, sempre il cuore vi sta confitto con tutti quanti gli altri essercizii che la creatura piglia per giognare a virtù, in molti e in diversi modi, sicondo che Dio permette e egli è atto a ricevare; tutte son fatte con santo timore di Dio, confitte in croce, ché già non vorrebbe lo vero servo di Dio adoparare e passare questa vita senza pena.

Anco, vuole togliere la croce sua e seguire Cristo con ogni verità e constanzia e pazienza e longa perseveranza fino a la morte, perch'egli è fondato sopra la viva pietra e ha imparata la dottrina nel libro scritto, come detto è, col lume della santissima fede. E però non s'è ritratto per pena da perseverare nella virtù, ma èssi dilettato nelle pene, sì come l'umile Agnello, che non si ritrasse dalla salute nostra eobbedienza del Padre per pena né per morte, né per nostra ingratitudine, né per detto dei Giuderi che diceano: «Discende della croce e crederenti» (Mt 27,42 Mc 15,32). Questo Perciò impara la dottrina della perseveranza da lui. Se non fosse fondato sopra questa pietra, voltarebbe il capo adietro, e temarebbe de l'ombra sua: in ogni cosa verebbe meno. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi fondato sopra la viva pietra Cristo dolce Gesù; e così vi prego che faciate.

E io sono certa che se voi legiarete in questo libro dolce, lo libro vostro - donde pare che siate sì tribolato - non vi darà fatica nessuna; ch'io non so vedere per che ragione voi ne pigliate questa fatica. Se lo libro v'è detto che si scordi dalla verità e da la dottrina dei santi aprovati dalla santa Chiesa, lassatelo stare - o voi il fate corregiare - e non l'usate più: atenetevi a quelli che voi sete certo che si conformano coi la verità. E se voi aveste pena di coscienza, facendovi vedere il demonio - per farvi venire a confusione di mente -: «Mira quanto tempo sei stato in questo errore! Tu credi avere servito a Dio, e tu hai servito e fatto reverenzia al demonio», non gli dovete credare, ma col lume vedere che Dio riguarda la buona e santa volontà con che noi adoperiamo - poniamo che il libro letto non fusse sicondo Dio - poiché solo la mala volontà è quella che fa il peccato, e altro no. Unde a la volontà è dato il peccato e la virtù, sicondo che ella ama o l'uno o l'altro. Perciò per nessuna di queste cose dovete stare in tanta aflizione, ma dovete levare ogni pena come uomo virile, come detto è; e coi la dolcezza del dolce umile Agnello cacciarete questa amaritudine. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.

OFFLINE
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19/10/2012 18:54

310. A tre cardinali italiani partiti da papa Urbano VI.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli e padri in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi tornati a vero e perfettissimo lume, e uscire di tanta tenebre e cecità nella quale sete caduti.

Allora sarete padri a me; in altro modo, no: sì che padri vi chiamo, in quanto voi vi partiate dalla morte e torniate alla vita - ché, quanto che ora, sete partiti dalla vita della grazia, membri tagliati dal capo vostro unde traiavate la vita -, stando voi uniti in fede, e in perfettaobbedienza a papa Urbano VI. Nella quale obbedienza stanno quelli che hanno lume, che con lume conoscono la verità; e conoscendola l'amano, poiché la cosa che non si vede non si può conoscere, e chi non conosce non ama; e chi non ama e non teme lo suo Creatore, ama sé d'amore sensitivo, e ciò che ama - e delizie e onori e stati del mondo - ama sensitivamente. Perché egli è creato per amore, non può vivare senza amore: ché o egli ama Dio, o egli ama sé e il mondo d'amore che gli dà morte, ponendo l'occhio dello intelletto - offuscato dell'amore proprio di sé - sopra queste cose transitorie che passano come il vento. Ine non può conosciare verità né bontà nessuna; altro che bugia non conosce, perché non ha lume. Ché veramente, s'egli avessi lume, egli conosciarebbe che di questo così-fatto amore non ha né trae altro che pena e morte eterna: fagli gustare la caparra dell’inferno in questa vita, perché è fatto incomportabile a sé medesimo colui che disordenatamente ama sé e le cose del mondo.

Oh cecità umana! E non vedi tu, disaventurato uomo, che tu credi amare cosa ferma e stabile, cosa dilettevole buona e bella; ed elle sonno mutabili, somma miseria, laide e senza nessuna bontà: non le cose create in loro - che tutte sonno create da Dio, che è sommamente buono -, ma per l'affetto di colui che disordenatamente le possiede. Quanto è mutabile la ricchezza e onore del mondo in colui che senza Dio le possiede, cioè senza lo suo timore: che oggi è ricco e grande, e ora è povaro. Quanto è laida la vita nostra corporale, che, vivendo, da ogni parte del corpo nostro gittiamo puzza: dirittamente un sacco pieno di sterco, cibo di vermini e cibo di morte. La nostra vita e la bellezza della gioventudine passano via come la bellezza del fiore poi che è colto dalla pianta: neuno è che possa rimediare a questa bellezza, conservare che non sia colto dalla vita quando piace al sommo giudice di cogliere questo fiore col mezzo della morte; e neuno sa quando. O misero, le tenebre dell'amore proprio non ti lassa conosciare questa verità, ché, se tu la conoscessi, tu elegiaresti inanzi ogni pena che guidare la vita tua a questo modo; porrestiti ad amare e desiderare Colui che è (Ex 3,14); gustaresti la verità sua con fermezza e non ti movaresti come la foglia al vento; serviresti lo tuo Creatore e ogni cosa amaresti in lui, e senza lui nulla.

Oh quanto sarà ripresa nell'ultima 'stremità, e con quanto rimproverio, questa cecità, in ogni creatura che ha in sé ragione, e molto magiormente in quelli che Dio ha tratti del loto del mondo e posti nella maggiore eccelenzia che possono essere: d'essere fatti ministri del sangue dell'umile e immacolato Agnello! Oimé, oimé, a che v'ha fatto giognare lo non avere seguitato in virtù la vostra eccelenzia! Voi fuste posti a notricarvi al petto della santa Chiesa, come fiori messi in questo giardino, affinché gittaste odore di virtù; fuste posti per colonne a fortificare questa navicella, e il vicario di Cristo in terra; fuste posti come lucerna in sul candelabro per rendare lume ai fedeli cristiani e dilatare la fede. Voi sapete bene se voi avete quello fatto per che fuste posti: certo no, ché l'amore proprio non v'ha fatto conosciare che, in verità, solo per fortificare e rendare lume ed essemplo di buona e santa vita voi fuste messi in questo giardino. Che se voi l'aveste conosciuta, l'areste amata, e vestitivi di questa dolce verità.

E dove è la gratitudine vostra, la quale dovete avere a questa sposa che v'ha notricati al petto suo? Non ci vegio altro che ingratitudine, la quale ingratitudine disecca la fonte della pietà. Chi mi mostra che voi sete ingrati villani e mercenai? La perseguizione che voi, con gli altri insieme, avete fatta e fate a questa sposa nel tempo che dovete essere scudi, e risistare ai colpi della 'resia; nella quale sapete e conoscete la verità, che papa Urbano VI è veramente papa, sommo pontefice eletto con elezione ordinata, e non con timore, veramente più per 'spirazione divina che per vostra industria umana: e così l'anunziaste a noi quello che era la verità.

Ora avete voltato le spalle, come vili e miserabili cavalieri: l'ombra vostra v'ha fatto paura; partiti vi sete dalla verità che vi fortificava, e acostatevi alla bugia che indebilisce l'anima e il corpo, privandovi della grazia spirituale e temporale. Chi ve n'è cagione? Il veleno dell'amor proprio, che ha avelenato lo mondo: egli è quello che voi colonne ha fatti peggio che paglia. Non fiori che gitiate odore, ma puzza che tutto il mondo avete apuzzato; non lucerne poste in sul candelabro affinché dilatiate la fede, ma - nascoso questo lume sotto lo staio della superbia () -, fatti non dilatatori ma contaminatori della fede, gittate tenebre in voi e in altri. D'angioli terrestri che dovete essere posti per levarci dinanzi al demonio infernale - pigliare l'ofizio degli angioli riducendo le pecorelle all’obbedienza della santa Chiesa -, e voi avete preso l'ufizio deli demoni. E di quello male che avete in voi, di quello volete dare a noi, ritraendoci dallaobbedienza di Cristo in terra e inducendoci all’obbedienza d'antecristo, membro del diavolo, e voi con lui insieme, mentre che starete in questa 'resia. Questa non è cecità d'ignoranza, cioè che venga per ignoranza: non vi viene che vi sia porto dalle creature una cosa, e sia un'altra, no: ché voi sapete quello che è la verità, e voi l'avete anunziata a noi, e non noi a voi. Oh come sete matti, che a noi deste la verità, e per voi volete gustare la bugia! Ora volete seducere questa verità e farci vedere in contrario, dicendo che per paura elegeste papa Urbano; la qual cosa non è, ma chi lo dice - parlando a voi non riverentemente, perché vi sete privati della riverenzia - mente sopra lo capo suo, poiché quello che voi mostraste avere eletto per paura aparbe evidente a chiunque lo volse vedere: ciò fu misser di Santo Pietro. Potreste dire a me: «Perché non credimi? Meglio sappiamo noi la verità, che lo elegemmo, che voi». E io vi rispondo che voi medesimi m'avete mostrato che voi vi partite dalla verità, in molti modi, e ch'io non vi debbo credare che papa Urbano VI non sia vero papa. S'io mi vollo al principio della vita vostra, non vi conosco di tanta buona e santa vita che voi per coscienza vi ritraeste dalla bugia. E chi mi mostra la vostra vita poco ordinata? Il veleno della 'resia.

S'io mi vollo alla elezione ordinata, per la bocca vostra abiamo saputo che voi lo elegeste canonicamente, e non per paura. Detto abiamo che quello che mostraste per paura fu misser di San Pietro. Chi mi mostra la elezione ordinata con che elegeste misser Bartolomeo, arcivescovo di Bari, lo quale è oggi papa Urbano VI, fatto in verità? Nella solennità fatta della sua coronazione c'è mostrata questa verità. Che la solennità sia fatta in verità, ci mostra la riverenzia che li faceste, e le grazie domandate a lui, e voi averle usate. In tutte quante le cose non potete dinegare questa verità altro che con menzogne. Ahi stolti, degni di mille morti! Come ciechi non vedete lo male vostro; venuti sete a tanta confusione che voi stessi vi fate menzonieri e idolatri. Ché, eziandio se fusse vero - che non è, anco confesso, e non lo niego, che papa Urbano VI è vero papa -, ma se fusse vero quello che dite, non areste voi mentito a noi, che cel diceste per sommo pontefice - com'egli è -; e non areste voi falsamente fattoli riverenzia, adorandolo per Cristo in terra; e non sareste voi stati simoniaci a procacciare le grazie e usarle illicitamente? Sì bene.

Ora hanno fatto l'antipapa, e voi con loro insieme: quanto a l'atto e aspetto di fuori avete mostrato così, sostenendo di ritrovarvi ine quando i dimoni incarnati elessero lo demonio. Voi mi potreste dire: «Noi non lo scegliemmo». Non so ch'io mel creda, poiché non credo che voi aveste sostenuto di ritrovarvi ine, se la vita ne fusse dovuta andare. Almeno lo tacere la verità, e non stroppiare! Che questo non fusse giusta lo vostro potere, mi fa inchinare a credare che, poniamo che forse faceste meno male che gli altri nella 'ntenzione vostra, voi faceste pure male con gli altri insieme. E che posso dire? Posso dire che chi non è per la verità è contro la verità (Mt 12,30 Lc 11,23): chi non fu allora per Cristo in terra, papa Urbano VI, fu contro lui.

E però vi dico che voi, con lui insieme, faceste male; e posso dire che sia eletto uno membro del diavolo: ché se fusse stato membro di Cristo arebbe eletto inanzi la morte che consentito a tanto male, però ch'egli sa bene la verità, e non si può scusare per ignoranza. Ora tutti questi difetti commettete e avete commessi inverso questo demonio: cioè di confessarlo per papa - e egli non è così la verità -, e di fare la riverenzia a cui voi non dovete. Partiti sete dalla luce e itine alle tenebre; dalla verità, e congiunti alla bugia. Da qualunque lato io mi vollo io non ci truovo altro che bugie. Degni sete di suplizio, lo quale suplizio veramente io vi dico - e ne scarico la coscienza mia - che se voi non ritornate all’obbedienza con vera umilità, verrà sopra di voi. O miseria sopra miseria, o cecità sopra cecità, che non lassa vedere lo male suo, né il danno dell'anima e del corpo! Ché se lo vedeste non vi sareste così di legiero con timore servile partiti dalla verità.

Tutti passionati, come superbi e persone abituate arbitrarie nei piaceri e diletti umani, non poteste sostenere non solamente la correzione di fatto attualmente, ma la parola aspra riprensibile vi fece levare lo capo. E questo, cioè la cagione per che vi sete mossi, ci dichiara bene la verità: ché prima che Cristo in terra vi cominciasse a mordare, voi lo confessaste e riveriste come vicario di Cristo ch'egli è. Ma l'ultimo frutto ch'è uscito di voi, che germina morte, dimostra che albori voi sete, e che il vostro alboro è piantato nella terra della superbia che esce dell'amore proprio di voi, lo quale amore v'ha tolto lo lume della ragione.

Oimé, non più così per l'amore di Dio! Pigliate lo scampo d'aumiliarvi sotto la potente mano di Dio e a l'obbedienzia del vicario suo, mentre che avete lo tempo; ché, passato lo tempo, non c'è più rimedio.

Riconoscete le colpe vostre, affinché vi potiate aumiliare e conosciare la 'nfinita bontà di Dio, che non ha comandato a la terra che v'inghiottisca (Nb 16,32), né alli animali che vi divorino - anco v'ha dato lo tempo affinché potiate corregiare la vita vostra -; ma se voi nol conosciarete, quello che egli v'ha dato per grazia vi tornarà a grande giudicio. Ma se vorrete tornare all'ovile, e pasciarvi in verità al petto della Sposa di Cristo, sarete ricevuti con la misericordia da Cristo in cielo e da Cristo in terra, non ostante le 'niquità che avete commesse. Pregovi che non tardiate più, né ricalcitrate a lo stimolo della coscienza, che continovamente so che vi percuote; e non vi vinca tanto la confusione della mente, del male che avete fatto, che voi abandoniate la salute vostra per tedio e disperazione, quasi non parendovi di potere trovare rimedio. Non si vuole fare così ma, con fede viva, ferma speranza pigliate nel vostro Creatore, e con umilità tornate al giogo vostro; ché peggio sarebbe l'ultima offesa della ostinazione e disperazione, e più spiacevole a Dio e al mondo, e danno a voi, che la prima. Perciò levatevi su col lume, ché senza lo lume andareste in tenebre, sì come sete andati per fino a qui.

Considerando questo l'anima mia: che senza lo lume non possiamo conosciare né amare la verità, dissi e dico ch'io desidero con grandissimo desiderio di vedervi levati dalle tenebre, e unirvi con la luce. A tutte le creature che hanno in loro ragione si stende questo desiderio, ma molto maggiormente a voi tre, dei quali io ho avuto massimo dolore, e amirazione più del vostro difetto che di tutti gli altri che l'hanno commesso: ché, se tutti si partivano dal padre loro, voi dovavate essere quelli figli che fortificaste lo padre, manifestando la verità. Non ostante che il padre non avesse con voi usato altro che rimproverio, non dovavate però essere Giuda, dinegando la Santità sua. Per ogni modo, pure naturalmente parlando - ché, secondo virtù, tutti dobiamo essere eguali, ma parlando umanamente -: Cristo in terra italiano e voi italiani, che non vi poteva muovare la passione della patria come gli oltramontani, cagione non ci vegio se non l'amore proprio. Aterratelo ogimai, e non aspettate lo tempo - ché il tempo non aspetta voi -, conculcando coi piei dell'affetto, con odio del vizio e amore della virtù.

Tornate, tornate, e non aspettate la verga della giustizia, poiché dalle mani di Dio non possiamo uscire: noi siamo nelle mani sue, o per giustizia o per misericordia. Meglio è a noi di riconosciare le colpe nostre - e staremo nelle mani della misericordia -, che di stare in colpa e nelle mani della giustizia, perché le colpe nostre non passano impunite, e spezialmente quelle che sonno fatte contro la santa Chiesa. Ma io mi voglio obligare di portarvi dinanzi a Dio con lacrime e continova orazione, e con voi insieme portare la penitenza, pure che vogliate ritornare al padre che, come vero padre, v'aspetta con l'ale aperte della misericordia. Oimé, oimé, non la fugite né schifate ma umilmente la ricevete, e non crediate ai malvagi consiglieri che v'hanno dato la morte. Oimé, fratelli - dolci dolci fratelli e padri mi sarete in quanto v'acostiate alla verità -, non fate più resistenza alle lacrime e ai sudori che gittano i servi di Dio per voi, che dal capo ai piedi ve ne lavareste; che se voi le spregiaste, e gli ansietati dolci e dolorosi desideri che per voi sonno offerti da loro, molta più dura riprensione ricevereste. Temete Dio, e il vero giudicio suo. Spero per la infinita sua bontà, che adempierà in voi lo desiderio dei servi suoi.

Non vi paia duro s'io vi pongo con le parole, ché l'amore della salute vostra mi possiede fatto scrivare e più tosto vi pognarei con la voce viva, se Dio mel permettesse - sia fatta la volontà sua -; e anco meritate più tosto i fatti che le parole. Pongo fine e non dico più, che s'io seguitassi la volontà anco non mi ristarei, tanto è piena di dolore e di tristizia l'anima mia di vedere tanta cecità in quelli che sonno posti per lume: non come agnelli che si pascono del cibo de l'onore di Dio e salute delle anime e riformazione della santa Chiesa, ma come ladri involano quello onore che debono dare a Dio, e dannolo a loro medesimi; e, come lupi, divorano le pecorelle, sì ch'io ho grande amaritudine. Pregovi per amore di quello prezioso sangue sparto con tanto fuoco d'amore per voi, che diate rifrigerio all'anima mia, che cerca la salute vostra. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Bagnatevi nel sangue dell'Agnello immacolato, dove perdarete ogni timore servile, e, con lume, rimarrete nel timore santo. Gesù dolce, Gesù amore.





311. AI signori Difensori del populo e comune di Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi frategli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere rilucere in voi la margarita della santa giustizia, affinché giustamente rendiate a ciascuno il debito suo.

A cui siamo noi debitori? A Dio e alla santa Chiesa e al prossimo nostro per lo comandamento di Dio, e a noi medesimi. Vediamo che debito è questo: è così-fatto, che a Dio doviamo rendere, per amore, gloria e loda al nome suo. A noi ha dato amore, a noi ha dato onore: poiché egli ci amò prima che noi fussimo; e àcci fatto onore tollendoci la vergogna - nella quale cademmo per lo peccato di Adam - nel sangue del suo Figlio, nel quale ricevemmo lo frutto della grazia, la quale fu una utilità la maggiore che potessimo ricevere, perché ci tolse la morte e diedeci la vita.

Perciò a lui doviamo rendere onore e amore; ma utilità a lui non possiamo fare, sì che la doviamo fare al prossimo nostro, sovenendolo secondo la possibilità nostra, rendendoli lo debito della carità, sì come ci è comandato - dicendo la Verità eterna: «Ama Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come te medesimo» (Mt 22,37-39 Mc 12,30-31 Lc 10,27)-. A noi doviamo rendere odio e pentimento del vizio e della propria sensualità che n'è cagione; e amore delle virtù, amandole in noi per Dio con affettuoso amore.

Ma lo contrario pare che noi facciamo - sì come ladri e malvagi debitori, tollendo l'altrui con molta ingiustizia -: cioè che l'onore e l'amore che doviamo dare a Dio e al prossimo nostro, noi lo diamo a noi medesimi. A noi diamo l'onore, come superbi, cercando gli stati delizie e grandezze del mondo con offesa di Dio, con atribuire e reputare per nostro sapere avere ciò che noi aviamo; e, sì come ignoranti, facciamo vituperio a Dio. A noi diamo l'amore, e a lui l'odio: non amore ragionevole, ma amore sensitivo; a lui diamo la puzza, e a noi l'odore, cercando i diletti e il piacere umano. Ma, come ciechi, noi non vediamo lo danno, la puzza, e le pietre delle nostre iniquità che caggiono pure sopra di noi (Pr 26,27), perché a lui lo nostro male non nuoce, né il nostro ben gli giova, perché egli non ha bisogno di noi, ma sì noi di lui.

Al prossimo rendiamo odio e rancore, commettendo molte ingiustizie; unde, se egli è signore, non tiene al prossimo ragione né giustizia - se non per propria utilità, o per piacere alle creature o a sé medesimo, e non col lume di ragione -; egli non si cura di tòllerli l'onore, la fama e la substanzia temporale, ed eziandio la vita. Con tanta ingiustizia governa i sudditi suoi come se egli non avesse signore sopra di sé: non pensa che la verga del sommo giudice gli possa rendere di quello che egli dà ad altrui. Non attende al bene universale e comune, ma solamente al suo proprio bene, come accecato dal proprio amore.

Questi non rendono lo quarto debito alla santa Chiesa e al vicario di Cristo. Che debito le doviamo rendere? Una debita reverenzia, un amore filiale: non solamente con le parole ma, come veri figli, sovvenire al padre nel tempo del bisogno, la ingiuria che è fatta a lui reputandola fatta a noi; e metterci ciò che si può, per levarli lo nemico suo d'inanzi. Ma questi cotali fanno tutto lo contrario. Pigliando una falsa cagione, dicono: «I sonno tanti i defetti loro, che noi non n'aviamo altro che male; unde non è degno di riverenzia, né d'essere sovenuto. Fusse quello che egli debba essere e attendesse alle cose spirituali e non a le temporali!» E così, come ingrati e irriconoscenti, non rendono riverenzia né obbedienzia né aiuto, ma spesse volte sottragono coloro che il volessero aiutare, con molta irreverenzia, come persone accecate dal proprio amore.

Non vediamo che la cagione nostra è falsa, poiché in ogni modo, o buono o gattivo che egli si fusse, noi non doviamo ritrare adietro di non rendere il debito nostro, poiché la reverenzia non si fa a lui in quanto lui, ma al sangue di Cristo, e all'auttorità e dignità che Dio gli ha dato per noi. Questa auttorità e dignità non diminuiscono per neuno suo difetto che in lui fusse, né non ci ministra la sua auttorità di meno potenza, né virtù né meno; e però non debba diminuire la reverenzia, né l'obbedienzia - poiché staremmo in stato di dannazione -, né per questo si debba lasciare il sovenirlo; poiché sovvenire a lui, è sovvenire a noi medesimi. E poiché per lo suo difetto non ci è tolta la nostra necessità la quale riceviamo da lui, doviamo essere grati e conoscenti, facendo ciò che si può per utilità della santa Chiesa, e per amore delle chiavi che Dio gli ha date.

E se così conviene a noi fare a quello che fusse gattivo e defettuoso, che doviamo fare a quello che Dio ci ha dato, lo quale è uomo giusto, virtuoso, e che teme Dio, con così santa e dritta intenzione quanto neuno che n'avesse già grande tempo la Chiesa di Dio? Dico di papa Urbano VI, lo quale è veramente papa, sommo pontefice, a malgrado di chi dice lo contrario. Perciò giusta cosa è d'averlo in reverenzia, obbedire alla Santità sua, e sovenirla in ciò che si può: sì per l'auttorità ch'egli ha; e sì per la giustizia e virtù sua; e sì perché egli ci ministra le grazie spirituali in salute e in vita de l'anime nostre; e sì per la grazia e amore particulare che egli ha mostrato e ha inverso di voi, come a cari figli; e sì per lo danno che ve ne può seguire, non facendolo, da Dio e dalle creature.

Da Dio, aspettandone disciplina per la ingratitudine nostra che noi mostriamo verso la santa Chiesa e il vicario suo; e giustamente il farebbe Dio per destare la miseria e ignoranza nostra, che drittamente facciamo come mercenai - ché ogni grazia che essi ricevono lo' il pare avere per debito; e coi difetti altrui spesse volte vogliono ricoprire il loro, ma molto maggiormente si scuoprono mostrando tanta ingratitudine -. Dalle creature ancora ne possiamo ricevere disciplina, perché noi vediamo lo tempo ad avenimento dei signori.

Meglio ci è dunque di stare uniti col padre e madre nostra, cioè papa Urbano VI e la santa Chiesa, che coi tiranni; meglio ci è di stare appoggiati a colonna ferma - la quale se è percossa con molte persecuzioni, mai non è però rotta - che a la paglia, ché siamo certi che ella viene meno, e ogni piccolo vento la caccia a terra. Aprite un poco gli occhi e mirate quanti inconvenienti ne possono venire, a fare vista di non vedere la necessità del padre, e non inanimarvi con pentimento verso i nemici suoi, e quali sonno vostri. Ché non potete dire che egli vi chiega l'aiutorio per acquistare i beni temporali della santa Chiesa i quali sonno perduti, ma per la fede nostra, per confondere la bugia, ed essaltare la verità, per trare l'anime delle mani del demonio, e perché la fede nostra non sia contaminata per le mani degli iniqui.

Perciò vedete che per ogni modo siete tenuti e obligati di rendere il debito alla santa Chiesa e al padre nostro. Sono certa che se la margarita della giustizia rilucerà nei petti vostri - la quale giustizia non è senza gratitudine -, voi renderete il debito a Dio, a Cristo in terra, al prossimo vostro, e a voi medesimi, nel modo che detto è. E così moltiplicaranno le grazie spirituali e temporali, e conservarete in pace e in quiete lo stato vostro, altrimenti no: anco, sarete privati del bene del cielo e della terra. E però vi dissi ch'io desideravo di vedere rilucere in voi la margarita della santa giustizia. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Pregovi per l'amore di Cristo crocifisso che voi non diate più parole a Cristo in terra; ma dateli dei fatti, e rendeteli di quello che egli ha dato a voi. Sapete bene che egli v'ha data l'absoluzione e la benevolenza; e anco, per la bontà di Dio e sua, Talamone non venne alle mani dei Pisani; e ora pare che con molta ingratitudine voliate trattare lui, menandolo per parole, come si fa ai fanciulli. E io vi dico che egli conosce, come uomo che vede più da la lunga che voi non pensate, e ripone nel cuore suo, i figli legittimi e i non legittimi; e allora e al tempo suo mostrarà che egli gli abbi cognosciuti. Or non più questo modo, per l'amore di Dio, ma trattatelo come vicario di Cristo in terra, e trattatelo come caro vostro padre, sforzandovi senza indugio di fare la vostra possibilità. Gesù dolce, Gesù amore.







312. Alla regina di Napoli adì 7 d'ottobre 1378, quando si disse ch'ella teneva il papa falso e non il vero, Urbano VI.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con vero e perfettissimo lume, affinché in tutte le vostre opere riceviate lume; lo quale lume è una vita di grazia, perché tutte le opere che sono fatte col lume di temore di Dio danno vita.

Ma senza questo lume son fatte tutte in morte: andiamo per le tenebre in tanta ignoranza e cecità che la verità discerniamo in bugia e la bugia in verità, la luce in tenebre e le tenebre in luce. Da questo procede che il gusto dell'anima è infermato, che subito le cose buone gli paiono gattive, e le cattive li paiono buone. Perduto ha il cognoscimento di sé, che non conosce il male suo: questo gli adiviene per la privazione del lume. Oimé, oimé, carissima madre, tutto questo procede dalla nuvola de l'amore proprio che offusca l'occhio dell’intelletto nostro, che non ci lassa discernere la verità; facci debili e volubili che ci volgiamo come la foglia al vento. è uno veleno che atosca l'anima, e non atosca né avelena sé senza altrui, poiché, subito che noi siamo privati della carità, noi non rendiamo la benevolenza e carità al prossimo nostro: trapassiamo l'obedienzia della santa Chiesa.

Ma attendete che questo veleno fa in altrui: fa in alcuni danno a loro medesimi e nel prossimo, non attualmente ma mentalmente - non rendendogli lo debito della carità, come detto è -; ma alcuni altri sono che tolgono non solamente la carità mentale, ma eglino s'ingegnano di togliere attualmente: e di quello veleno che hanno preso in loro, di quello danno altrui. Oimé! Questi pigliano l'ofizio deli demoni: ché non basta a loro d'essere privati di Dio - che è somma ed eterna luce - ma i si studiano giusta il loro potere di privarne ancora noi. è vero che la creatura che ha in sé ragione non debba essere stolta né matta a consentire a la volontà del demonio.

Parmi che oggi abbondino in tutto il mondo, e singularmente nel corpo mistico della santa Chiesa, questi che hanno preso così-fatto offizio, i quali non si debono chiamare né uomini né cherici ma demoni incarnati, privati del lume de la verità, ricoperti della bugia dell'amore proprio di loro medesimi; lo quale amore proprio detto aviamo che è uno veleno che atosca l'anima. Veramente bene è veleno: aprite l'occhio dello intelletto e - se non ci serà la nuvola della propria passione e piacimento delle creature - conoscerete che quegli che sono posti per colonne nella santa Chiesa l'hanno seminato tanto pessimamente, lo veleno della eresia, che atosca loro e chi a loro s'apressa.

O uomini - non uomini ma più tosto dimoni visibili -, come v'acieca tanto lo disordinato amore che avete posto al fracidume del corpo vostro e alle dilizie e stati del mondo! Che, volendo lo vicario di Cristo corregere la vita vostra, e volendo che fosti fiori odoriferi del giardino della santa Chiesa - eletto da voi con elezione ordenata -, ora gittate il veleno e dite che non è vero papa, dicendo che per timore lo faceste e per paura della furia del popolo.

La qual cosa non è la verità; e se fosse stato degni eravate della morte, che voi elegesse il papa con timore degli uomini e non con timore di Dio. Ma questo non potete voi dire. Dire, sì, ma non provare: poiché quello che voi faceste con timore, per placare lo popolo, apparve evidente a ogni persona quando diceste, ponendo lo manto di santo Pietro a missere di Santo Piero, che voi l'avevate eletto papa. Questo si vidde e trovò che non era la verità, sì come si vidde cessata poi la furia; e così confessò egli, e voi, che non era papa, ma papa era eletto messer Bartolomeo arcivescovo di Bari. E chi vi mosse, se egli non era papa, d'sceglierlo poi da capo con elezione ordenata, senza violenza veruna, coronato con tanta solennità, con tutto quello ordine che si richiede a questo misterio così come fusse eletto mai veruno altro suo anticessore? Non so chi vi muova a publicarlo in contrario - l'amore proprio che non può sostenere la correzione! Ché, inanzi che egli cominciasse a mordervi di parole e volere trare le spine dal dolce giardino, confessaste, e annonziastelo a noi pecorelle, che papa Urbano VI era vero papa. E così confesso, e non lo niego, che egli è vicario di Cristo, lo quale tiene le chiave del sangue in verità; la quale verità dagli bugiardi e iniqui uomini del mondo non serà confusa, poiché la verità è quella cosa che ci delibera (Jn 8,32).

O miseri miserabili, voi non vedete in quello che voi sete caduti, perché siete privati del lume. E non sapete voi ch'è la navicella della santa Chiesa: i venti contrarii la fanno un poco andare a vela, ma ella non perisce, né chi s'apoggia a lei. Volendovi voi inalzare, voi sete ammersi; volendo vivere, voi cadete nella più perversa morte che cadere potiate; volendo possedere le ricchezze, voi diventate mendici e cadete in somma miseria; volendo tenere lo stato, voi lo perdete: fatti sete crudeli a voi medesimi. Ecco poi che il veleno pigliate per voi, e perché il date in altrui.

O non avete voi pietà di tante pecorelle che per questo si partono da l'ovile? Voi sete posti per dilatare la fede, e voi la spegnete contaminandola con le scisme che per voi si levano; sete posti per lucerne, poste in su lo candelabro per aluminare i tenebrosi, e voi sete quelli che nella luce gittate le tenebre. Di tutti questi e altri infiniti mali voi sete e sarete cagione, se altro modo non mutate; e voi per divino giudizio ne rimarrete distrutti l'anima e il corpo. E non pensate che Dio la risparmi, né gli sia meno grave per la dignità del cappello, né per le prelazioni, ma molto più miserabilmente ne sarete puniti; sì come il figlio che offende la madre è degno di maggiore punizione, perché comette maggiore colpa che offendendo un'altra persona: questo vuole la divina giustizia, che chi più offende più sia punito. Doimé, non più così, per l'amore di Dio: tornate un poco a voi, traetene il veleno dell'amore proprio, affinché cognosciate la verità e siate amatori da questa verità. Non aspettate il bastone: ché duro vi sarà recalcitrare a Dio (Ac 26,14).

Bene è Perciò, carissima madre, vero («carissima» dico, in quanto voi siate serva fedele, sì come per antico tempo sete stata, della santa Chiesa; ché sapete che sete notricata alle mammelle sue), dicevo che era la verità che questi avevano preso l'offizio deli demoni. E, sicondo che intendo, mi pare che di quello ch'egli hanno in loro vogliano dare a voi: pervertire voi, figlia, de l'obedienzia e reverenzia del padre vostro papa Urbano VI, lo quale è veramente Cristo in terra; e ogni altro che venisse mentre ch'i vive, non è papa, ma è peggio che Anticristo. E se voi vi scordate da questa verità, la quale è tanto evidente, (confessata da quelli che lo elessero, i quali per propria passione diniegano che non è la verità - se non era non doveano chiederli le grazie e usarle, ché dovevano ben vedere che non le poteva dare; ma perché egli era, però le chiesono, e ànnole usate) -, e se voi terrete il contrario, sarete come ciechi e averete la condizione di quegli che di sopra dicemmo che erano privati del lume.

La luce pervertirete in tenebre, tenendo che papa Urbano VI, che in verità è una luce, non sia vero Cristo in terra, ministratore del sangue di Cristo in cielo. Faretene tenebre - non che in sé questa luce possa essere oscurata, ma darà tenebre nella mente e nell'anima vostra -, e le tenebre vorrete pervertire in luce; e non si potrà con tutte le forze vostre. Potrà bene con un poco di nuvolo essere ricoperta; lo quale nuvolo cadrà a malgrado di chi vuole il contrario. Allora fareste delle tenebre luce, quanto deste aiuto o vigore che gl'iniqui uomini - parlando non in dispregio della dignità loro, ma dei vizii e malizia loro - che egli facessono un altro papa; o, essendo fatto, sicondo che si dice che egli è fatto col braccio vostro, teneste che egli fusse papa.

Questa tenebre, della quale vorreste fare luce, vi tornarebbe a ruina con loro insieme, poiché voi sapete che Dio non lassa passare impunite le colpe comesse, massimamente quelle che sono fatte a la santa Chiesa; unde non vogliate aspettare il divino giudizio, ma innanzi elegere la morte che fare contro a lei. Ché se la persona non vuole sovvenire a la sua neccessità - che vi sarà rechiesto, se voi non lo farete, da Dio -, almeno non debba fare contro a lei: ma starvi di mezzo, tanto che quella verità la quale a voi non fosse ben chiara, ella vi fosse manifesta e dichiarata nella mente vostra. Facendolo, dimostrarete d'avere lume e aver perduta la condizione della femmina, ed esser fatta uomo virile.

E se semplicemente con poco lume andate per altra via, voi dimostrate d'esser femina con poca stabilità.

Diventarete debole, perché sarete dilungata dal vostro capo, Cristo in cielo e Cristo in terra, che vi fortifica; avrete guasto il gusto, sì come inferma: che la dottrina buona vi saprà da gattivo, e la gattiva vi saprà da buono, cioè che la buona vita e dottrina che vuole dare il vicario di Cristo a quegli che si pascono al petto della sua sposa, mostrarete che in effetto in verità non vi paia buona; ché se ella vi paresse buona, vi conformareste con lui, e non ve ne partireste. E la iniquità dottrina e costumi degli iniqui amatori di loro medesimi, dimostrarete che ella vi piaccia; ché se ella non vi piacesse non v'acostareste a loro, dando lo' aiuto e favore, anco ve ne partireste e accostarestivi alla verità, e scostarestivi da la bugia. Altrimenti pigliareste quello medesimo offizio che hanno eglino: che non bastarebbe il male vostro e il veleno che fosse caduto dentro nell'anima, ché anco ne dareste altrui, comandando ai sudditi vostri che tenessono quello che tenessi voi. Tutto questo male e molti inconvenienti vi verrebbono, o vi sono venuti, se foste o sete privata del lume; avendo il lume, in tutta questa tenebre non cadrete. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi alluminata di vero e perfettissimo lume.

Se voi avrete questo lume, ai frutti che in questo tempo esciranno di voi me n'avedrò: ché se v'acostarete con debita reverenzia al padre vostro, cioè a papa Urbano VI, mostrarete frutto di vita, e allora sarà beata l'anima mia, vedendo in voi lo frutto della vera obbedienzia, onde traete la vita della grazia. E se vi discostate, e accostatevi all'openione di chi tiene il contrario contro alla coscienza loro, falsamente, gittareste frutto di morte d'una disobidienzia che genera morte eterna, se la vita vostra dentro vi finisse.

Allora arei pena e dolore intollerabile per la dannazione e pena vostra, la quale pena segue dipo' la colpa, perché teneramente amo la vostra salute.

E perché io v'amo, mi sono mossa dall'affamato desiderio della vostra salute dell'anima e del corpo a scrivere a voi affinché, se caduta sete in questa tenebre, voi aviate materia d'uscirne; e se voi non ci sete, perché voi eleggiate inanzi la morte che caderci mai. HO scaricata la conscienzia mia. Sono certa che Dio v'ha dato tanto cognoscimento e senno che, se vorrete, conoscerete la verità; conoscendola l'amarete e, amandola, non sarà offesa da voi mai. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, e ine si consumi ogni amore proprio e piacere umano: dilettatevi solo di piacere a Dio, e non a le creature fuore della voluntà sua. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Perdonatemi se io v'avesse gravata troppo di parole; ma l'amore della vostra salute, e il dolore cordiale di quello ch'io sento e veggio nella santa Chiesa me ne scusi. Che se io potessi, a chi tanta eresia semina nel corpo mistico della santa Chiesa e nel corpo universale della religione cristiana farei più tosto di fatti che di parole. Aiterommi con l'arme dell'orazione (le quali orazioni - non la mia, che è debole per lo mio difetto - ma quelle degli altri servi di Dio, che sono forti che le iniquità degli uomini del mondo non possono contro a la fortezza sua), che è sì forte che non tanto che gli uomini vinca, ma ella lega le mani della divina giustizia, placando l'ira di Dio e chinandolo a fare misericordia al mondo. Con questo ci difenderemo, e chiederemo l'aiutorio suo; pregarenlo che rompa il cuore di Faraone e amolligli, sì che si corregano la vita loro, e dieno essemplo di santa e onesta vita e di vera e perfetta obbedienzia. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 18:58

313. Al conte di Fondi.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre e fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero lavoratore nella vigna de l'anima vostra, a ciò che raportiate il molto frutto al tempo della ricolta, cioè nel tempo della morte, nel quale ogni colpa è punita e ogni bene è remunerato.

Sapete che la Verità eterna creò noi ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26): di noi fece suo tempio dove egli vuole abitare per grazia, se piace al lavoratore di questa vigna di lavorarla bene e drittamente; che se ella non fusse lavorata, ma abondasse di spine e di pruni, già non sarebbe da abitarvi. Or vediamo, carissimo padre, che lavoratore ci ha posto questo maestro. Àci posto lo libero arbitrio, in cui è commessa tutta la governazione; èci la porta della volontà, che neuno è che la possa uprire o serrare, se non quanto lo libero arbitrio vuole; àci posto lo lume dell'intelletto per conoscere gli amici e i nemici che volessero intrare e passare per la porta (alla qual porta è posto lo cane della conscienzia, che abbaia quando gli sente apparire, se egli è desto e non dorma). Questo lume ha discerto e veduto il frutto traendone la terra, affinché il frutto rimanga netto; e mettelo nella memoria, la quale è uno granaio, ritenendovi lo ricordo dei beneficii di Dio. Nel mezzo della vigna ha posto lo vasello del cuore pieno di sangue, per innaffiare con esso le piante, affinché non si secchino. Or così dolcemente è creata e ordinata questa vigna, la quale anco dicemmo che era tempio di Dio, dove esso abita per grazia.

Ma io m'aveggo che il veleno de l'amore proprio e del perverso sdegno ha avelenato e corrotto questo lavoratore, intanto che la vigna nostra è tutta insalvatichita. O egli ci è frutto che ci dà morte, o egli ci sonno salvatichi e acerbi, poiché i seminatori rei deli demoni visibili e invisibili passarono per la porta della volontà: le invisibili per la porta delle molte cogitazioni e varie, e le visibili con laidi e malvagi consigli, sottraendoci con parole finte doppie e piacentieri, e con malvagi costumi, dalla verità. Di quello seme che essi hanno in loro, di quello porgono a noi seminandolo col libero arbitrio: nacquene frutto di morte, cioè di molti peccati mortali.

Doh quanto è laida quella misera vigna a vedere, ché di vigna è fatta bosco, con le spine della superbia e de l'avarizia, e coi pruni de l'ira e della impazienzia e disobbedienza, piena d'erba venenosa; di giardino è fatta stalla, dilettandoci noi di stare nella stalla della immondizia. Questo nostro giardino non è chiuso, ma è aperto; e però i nemici dei vizii e deli demoni v'entrano come in loro abitazione. La fonte è risecca, ch'è la grazia la quale traemmo del santo baptesmo in virtù del sangue, lo quale sangue bagnava essendone pieno lo cuore per affetto d'amore. Il lume dell'intelletto non vede altro che tenebre, perché è privato del lume della santissima fede: non vede né conosce altro che amore sensitivo. Di questo empie la memoria, unde altro ricordo non ha né può avere - mentre che sta così - se non di miseria, con disordinati appetiti e desiderii.

Àci posta una vigna appresso, questa dolce verità eterna, cioè il prossimo nostro; la quale è tanto unita insieme che utilità non possiamo fare alla nostra che non sia fatta anco alla sua. Anco ci è comandamento che noi la governiamo come la nostra, quando ci è detto: «Ama Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come te medesimo» (). Oh quanto è crudele questo lavoratore che sì male ha governata la vigna sua, senza nessuno frutto se non d'alcuno atto di virtù, lo quale è sì acerbo che neuno è che ne possa mangiare: ciò sonno le opere buone fatte fuore della carità.

Oh quanto è misera quella anima che nel tempo della morte, lo quale è uno tempo di ricolta, ella si trova senza veruno frutto! La pruova le fa conoscere la morte sua, e nella morte conosce il suo male; e però va cercando allora d'avere il tempo per poterla governare, e non ha il modo. Lo ignorante uomo crede potere tenere il tempo a suo modo, ed egli non è così: Percioè da levarsi nel tempo presente che ci è prestato per misericordia.

O carissimo padre, vogliate conoscere in che stato trovate e vedete la vigna vostra. Dolgomi fino a la morte che il tiranno del libero arbitrio v'ha fatto: di giardino che gittava essemplo di virtù e di verità e lume di fede, ora l'ha pervertito di giardino in bosco. E che frutto di vita può fare, essendo voi tagliato dalla verità, e fattone perseguitatore - e dilatare la bugia! -, trattone la fede e messavi la infedeltà? E perché vi fate male di morte? Per l'amore che avete nella propria sensualità, e per sdegno conceputo contro il capo vostro. E non vediamo noi che il sommo giudice non dorme sopra di noi? Come potete fare quello che voi non dovete, contro il capo vostro - come che se in verità fusse che papa Urbano VI non fusse veramente papa -, con-ciò-sia-cosa-che nel segreto del cuore voi teniate quello che è, cioè che egli è sommo e vero pontefice; e chi altro dice, è eretico reprobato da Dio, non fedele né catolico uomo, ma cristiano rinegato che niega la fede sua.

Questo doviamo tenere, che egli è papa eletto con elezione ordinata e vicario di Cristo in terra; e a lui doviamo obbedire fino a la morte: eziandio se a noi fusse padre crudele, in tanto che ci cacciasse con rimproverio dall'uno capo del mondo a l'altro con ogni tormento, non doviamo però scordarci, né perseguitare questa verità. E se voi mi diceste: «A me è stato portato lo contrario, che papa Urbano VI non sia in verità sommo pontefice», io vi risponderei che io so che Dio v'ha dato tanto lume che - se voi non vel tollete con le tenebre de l'ira e dello sdegno - voi conoscete che chi lo dice mente sopra lo capo suo.

Essi medesimi si fanno menzonieri, ritrattando quella verità che hanno porta a noi, e porgonla in bugia.

Ben so che conoscete chi gli ha mossi, quelli che tenevano luogo di verità, posti per dilatare la fede - ora hanno contaminata la fede e dinegata la verità, e levata tanta scisma nella santa Chiesa, che degni sono di mille morti -: trovarete che non gli ha mossi altro che quella passione che ha mosso voi medesimo, cioè l'amore proprio che non poté sostenere le parole, né reprensione aspra, né la privazione della terra, ma concepette sdegno e parturì lo figlio de l'ira. Per questo si privano del bene del cielo, essi e chiunque fa contro questa verità. Le ragioni che si possono vedere a manifestazione di questa verità sonno sì piene e sì chiare e sì manifeste che ogni persona bene idiota le può intendere e vedere; e però non mi distendo a narrarle a voi, che so che sete di buono cognoscimento, e conoscete la verità di quello che è: e così la teneste, confessaste, e faceste reverenzia.

Increscemi che io vegga tanto insalvatichita l'anima vostra che faccia ora contro questa verità. Come il patisce la conscienzia vostra che voi, lo quale sete stato obbediente figlio e sovenitore della santa Chiesa, ora aviate ricevuto sì-fatto seme che non produce altro che frutto di morte? E non tanto che dia morte a voi, ma pensate a quanti sete cagione de l'anima e del corpo, dei quali vi converrà rendere ragione dinanzi al sommo giudice. Non più così, per l'amore di Dio! Umana cosa è il peccare, ma la perseveranza nel peccato è cosa di demonio. Tornate a voi medesimo, e riconoscete il danno de l'anima e del corpo, ché la colpa non passa impunita, massimamente quella che è fatta contro la santa Chiesa: questo sempre s'è veduto. Però vi prego, per amore del sangue che con tanto fuoco d'amore fu sparto per voi, che umilemente torniate al padre vostro, che v'aspetta con le braccia aperte, con grande benignità, per fare misericordia a voi e a chiunque la vorrà ricevere.

Levisi la ragione col libero arbitrio, e cominciamo a rivoltare la terra di questo disordinato e perverso amore: cioè che l'affetto, il quale è tutto terreno e d'altro che di cose transitorie non si vuole nutrere - le quali passano tutte come il vento, senza alcuna fermezza o stabilità - i diventi celestiale, cercando i beni del cielo, i quali sono fermi e stabili che in sé non hanno alcuna mutazione. Apriamo la porta della volontà a ricevere il seminatore vero, Cristo dolce Gesù crocifisso, lo quale porge nella mano del libero arbitrio il seme della dottrina sua; il quale seme produce i frutti delle vere e reali virtù. Le quali virtù con lume il libero arbitrio ha sciolte da la terra: cioè che le virtù non l'ha seminate né ricolte in sé per veruno terreno amore o piacere umano, ma con odio e pentimento di sé medesimo ne l'ha gittate fuore; e il frutto è riposto nella memoria per ricordo dei beneficii di Dio, riconoscendo d'averli da lui e non per sua propria virtù.

Che albero ci pone? l'albero della perfettissima carità, che la cima sua s'unisce col cielo - cioè nell'abisso della carità di Dio -, i rami suoi tengono per tutta la vigna, unde mantengono in freschezza i frutti: perché tutte le virtù procedono e hanno vita dalla carità. Di che s'inaffia? non d'acqua ma di sangue prezioso sparto con tanto fuoco d'amore, il qual sangue sta nel vasello del cuore, come detto è.

E non tanto che egli ne innaffi questa vigna dolce e dilettevole giardino; ma egli ne dà bere al cane della conscienzia abondantemente, a ciò che, fortificato, facci buona guardia a la porta della volontà, a ciò che nessuno passi che esso non il faccia sentire destando col grido suo la ragione; e la ragione col lume dell'intelletto raguardi se sonno amici o nemici. Se sonno amici che ci siano mandati dalla clemenza dello Spirito santo - ciò sonno i santi e buoni pensieri, schietti consigli e perfette opere -, siano ricevuti dal libero arbitrio diserrando la porta con la chiave de l'amore. E se sonno nemici di perverse cogitazioni e corrotte opere le cacci con la verga de l'odio, con grandissimo rimproverio; e non si lassino passare che non sieno corrette, serrando la porta della volontà che non consenta a loro.



Allora Dio, vedendo che il lavoratore del libero arbitrio, lo quale egli misse nella vigna sua, ha bene lavorato in sé e in quella del prossimo suo, sovenendolo in ciò che gli è stato possibile per carità e affetto di carità, egli si riposa dentro in quella anima per grazia. Non che per nostro bene a lui cresca riposo, poiché non ha bisogno di noi; ma la grazia sua si riposa in noi, la quale grazia ci dà vita e rivesteci ricoprendo la nostra nudità, dacci lo lume e sazia l'affetto de l'anima: e, saziata, rimane affamata. Dàlle il cibo ponendola a mangiare alla mensa della santissima croce; nella bocca del santo desiderio dà il latte della divina dolcezza, pigliando con essa la mirra de l'amaritudine dell'offesa di Dio e dell'amaritudine della croce, cioè delle pene che il Figlio di Dio portò. Dàlle incenso d'umili continue e fedeli orazioni, le quali offera molto festinamente per onore di Dio e salute de l'anime. Oh quanto è beata questa anima! Veramente ella gusta vita eterna.

Ma noi, ingrati, non ci curiamo di questa beatitudine, ché se noi ci ne curassimo sceglieremmo innanzi la morte che di volere perdere tanto bene. Leviamo questa ignoranza con ogni verità; cercandola in verità andaremo colà dove Dio l'ha posta, ché se noi la cercassimo altrove già non la trovaremmo. Detto aviamo come noi siamo vigna, e come ella è adornata, e come Dio vuole che ella sia lavorata. Ora dove ci ha posti? nella vigna della santa Chiesa. Ine ha posto il lavoratore, cioè Cristo in terra, lo quale ci ha da amministrare il sangue; col coltello della penitenza, la quale riceviamo nella santa confessione, taglia il vizio de l'anima, nutrendola al petto suo, legandola col legame della santa obbedienzia. E senza questa vigna la nostra sarebbe ruinata: la grandine gli torrebbe ogni frutto, se ella non fusse legata in questa obbedienzia.

Perciò vi prego che umilemente con grande sollecitudine torniate a questo giogo. Cercate il lavoratore e la vigna de l'anima vostra nella vigna della santa Chiesa, altrimenti sareste privato d'ogni bene, e cadereste in ogni male. Ora è il tempo: per l'amore di Dio escite di tanto errore, ché, passato il tempo, non c'è più rimedio. Tosto viene la morte, che noi non ce ne avediamo, e sì ci ritroviamo nelle mani del sommo giudice: duro ci è a ricalcitrare a lui (Ac 26,14). Sono certa che, se sarete vero lavoratore della vigna vostra, voi non indugiarete più a tornare, ma con grande umilità riconoscerete le colpe vostre, dolendovi dell'offesa di Dio: chiedarete di grazia al Padre che vi rimetta ne l'ovile suo; altrimenti no. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi vero lavoratore nella vigna de l'anima vostra; e così vi prego strettamente quanto io so e posso. Raguardate che l'occhio di Dio è sopra di voi: non aspettiamo il suo fragello, ché egli vede lo intrinsico del cuore nostro. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Perdonatemi se troppo v'ho gravato di parole, ché l'amore che io ho alla salute vostra, e il dolore di vedervi offendere Dio e l'anima vostra, me n'è cagione; e non ho potuto tacere ch'io non vi dica la verità. Gesù dolce, Gesù amore.





314. due Lettere

1) Epistola de la beata Caterina da Siena a certi suoi devoti figli.

2) A monna Costanza donna di Nicolò Soderini da Firenze


Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

Dilettissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi lo cuore e l'affetto vostro spogliato da l'amore miserabile del mondo, sì e per sì-fatto modo ch'ogni cosa miserabile vi venga a tedio e a dispiacere, in tanto che voi diciate coll'apostolo dolce Pavolo: «Io disidero da essere disciolto dal corpo e da essere con Cristo»(Ph 1,23).

Conosceva Pavolo che la vita corporale gli era grande impedimento fra Dio e lui, per due modi. L'uno, ché il corpo sempre ribella a lo spirito: esendo ribelle a lo spirito è ribelle al suo Creatore. L'altro si è che la vita corporale non ci lassa vedere la visione di Dio fino che l'anima non è sciolta da questo legame, e perciò Pavolo e gli altri servi di Dio hanno la morte in desiderio e la vita in pazienza. Ma pensate che due morti ci conviene avere prima che giogniamo a la vita: la prima si è che la criatura muoia ad ogni propria e perversa sua volontà, la quale volontà sensitiva, a chi non l' uccide, lo conduce ne la morte eternale. è necessario che l' uomo se ne lievi e tolga il coltello de l'odio e de l'amore: odio del peccato e amore de le virtù; a questo modo aspetarà l'anima la seconda morte corporale, la quale è fine d'ogni fatica, termina ogni tenebre, e fa giognare l'anima a la luce de la visione dello Dio suo.

Ma pensate, figliuogli miei, che se non fuste vissuti coi la volontà morta, come detto è, non sarebbe tanto gloriosa la morte corporale sua, anco sarebbe molto penosa. Voglio Perciò che seguitiate le vere e reali virtù, fugendovi dal mondo e da le dilizie sue, acostandovi a Dio, e ricevarete somma allegrezza e gaudio e sicurezza, perdendo ogni timore servile, ma conceparete una fede viva, e con essa guardarete la divina misericordia; ne la fede trovarete che Dio non vuole altro che la vostra santificazione. E perché noi fussimo santificati in lui, donocci lo Verbo del Figlio suo e volse che morisse de l'obrobiosa morte de la croce: ine si trova tanta larghezza di misericordia che né lingua umana né cuore non è soficiente a poterlo dire né imaginare. E così si perde ne la misericordia lo timore e la pena.

Alcune volte è che l'anima, per tenerezza e timore che ha de la morte, ha grandissima pena, e questo è per illusione di demonio, dicendo il demonio ne la mente sua: «Vedi che tu morrai e non hai fatto veruno bene, che sai tu dove tu n'andarai? L'uopare tue non meritano altro che l'inferno». E da l'altra parte gli dà una tenerezza di se medesimo, dicendo: «Or ch'è a pensare, che il corpo tuo è stato in tante dilicatezze e dilizie del mondo, e testé sarai morto e più ladio che neuno altro animale!» La perversità del demonio dà questo pensiero e cogitazione nel cuore solo per farlo venire a disperazione e a confusione di mente, e per fargli vedere solo i difetti e peccati suoi, e nascondare la divina misericordia.

Convienesi ponare rimedio a tanta malizia del demonio, e rispondare in sé medesimo a queste cogitazioni che gli vengono, vollendo l'occhi al suo Creatore e dire: Io conosco ch'io sono mortale, la qual cosa m'è grandissima grazia, ché per la morte io giognarò al mio fine, a Dio, ch'è mia vita. E anco ti confesso che la vita mia, coi le opere ch'i' ho fatte, non meritano altro che l’inferno; ma io ho fede e speranza nel mio Creatore e nel sangue del consumato e dissanguato Agnello, che mi perdonarà i miei peccati e darammi grazia, e io m'ingegnarò di coregere la vita mia per lo tempo presente. E se pure la morte ora mi venisse prima ch'io coregessi la vita mia - cioè ch'io non avessi anco fatta penetenzia dei peccati miei -, dico: io mi confido (), vego che non ha veruna comparazione da la divina misericordia ai peccati miei; anco più, che se tutti i peccati che si possono comettere fussero raunati in una creatura, sono quanta una gocciola d'aceto in mezzo del mare: così i peccati a rispetto de la divina misericordia, pur che l'anima voglia tornare a ricevarla con pura e santa disposizione, con pentimento de la colpa comessa, nel quale pentimento perde la tenerezza del corpo suo e d'ogni cosa creata. A questo modo l'anima s'asicura e cresce l'amore nel fine suo, e perde lo timore servile de la confusione; dilettasi con grandissima giocondità col diletto suo Cristo Crocifisso, aspettando con grandissima letizia e riposo a l'ora de la morte, e non tanto che il 'spetti, ma desidera de vedersi levare del mondo ed esser con Cristo.

Or su, figliuogli miei dolci, non più timore, ma coi letizia passate questo punto del tempo, con uno desiderio de la virtù, con una vera pazienza, sostenendo ogni pena corporale e mentale, o per infermità o per qualunque altro modo Dio ve le concedesse. Non mi schifate pene, ma stregnetevi e abraciatevi coi la croce e coi le pene, ché ogni pena che voi avarete v'è conceduta da Dio per vostra utilità, perché vuole avere di che rimunerarvi quando 'scirete del mare tempestoso di questa tenebrosa vita: andarete a luoghi di riposi, a la città vera di Yerusalem, visione di pace, dove ogni bene è rimunerato, cioè ogni pazienza e buona opera la quale noi adoperiamo in questa vita.

Or quanto sarebbe stolto e matto quello mercatante a cui fusse messo in mano lo tesoro perché guadagnasse con esso, ed egli per timore de la pena il sotterasse sotto la terra (Mt 25,25): degno sarebbe di grande riprensione, e che gli fusse tolta la vita. Noi siamo quegli mercatanti, a cui è comesso il tesoro del tempo, coi libero arbitrio - volontà libera la quale Dio ci ha data e comessa perché noi guadagniamo - poiché, mentre ch'aviamo lo tempo, siamo atti a perdare e a guadagnare, secondo che piace a la volontà nostra. Saremmo stolti se, per timore de la pena e per paura, noi sotterassimo questo tempo e questa volontà, la quale ci è data perché noi guadagniamo vita eterna - vivendo vertudiosamente - e non ne comprassimo l’inferno, vivendo viziosamente: allora vive viziosamente, quando soterra il tempo e la volontà ne la terra, cioè ne l'afetto e desiderio terreno, disordinato fuore di Dio. E però dissi io a voi che il cuore e l'afetto fusse spogliato d'ogni amore e affetto del mondo e timore servile, ma voglio che siate vestiti solo di Cristo crocifisso, e ine ponete la fede e la speranza vostra, acciò ch'lo demonio coi suoi ingani non vi possa pigliare coi la disordinata paura de la morte, ma con desiderio vogliate tornare al fine vostro. Altro non dico.

Bagnatevi nel sangue di Cristo dolce Gesù. Benedite la fanciulla in Cristo dolce Gesù. Racomandatemi a monna Nera e a Nicolò, e dite lo' che sappino furare lo tempo, e spendarlo con vero e santo desiderio mentre che l'hanno.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 18:59

315. A don Pietro da Milano, monaco de l'ordine di Certosa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi laudare e benedicere Dio in ogni tempo.

Ma non so vedere che questa laude, la quale siamo tenuti di fare a Dio per debito, si possa mai fare senza lo lume, lo quale lume ha a discernere quale è quella cosa che sia degna di laude e quale di biasimo. Senza lo lume, sarebbe l'uomo ingannato dalle tenebre: lo bianco li parebe nero, e il nero bianco. Perciò molto ci è necessario lo lume. è da levarsi con ragione sopra la sedia della conscienzia nostra, e con lume tenersi ragione, e dissolvere la nuvola de l'amore proprio di noi medesimi, cioè de l'amore sensitivo che l'uomo ha a se medesimo, lo quale amore è uno veleno che atosca l'anima, guastale il gusto del santo desiderio, sì che le cose amare gli parono dolci, e le dolci amare: accieca l'anima, che non le lassa conoscere né discernere la verità. Non conoscendola, non l'ama, e però questi cotali non rendono gloria a Dio, né benedicono il nome suo. Anco, vanno con tedio, pentimento e giudicio verso di Dio e verso il prossimo loro; giudicano secondo il loro basso e infermo parere e vedere, e non secondo verità.

Unde il servo del mondo giudica gli stati e delizie sue essere grande dignità, ed elle sono il contrario, ché, per l'amore disordinato che l'uomo ci pone, sono strumento di farlo venire a grande indegnità, privandolo di Dio per grazia. E le tribulazioni e persecuzioni del mondo paiono amare ed elle sono di grandissima dolcezza, perché in esse, se vuole, può scontare e meritare; fannolo riducere a Dio, fannoli conoscere sé, e la poca fermezza e stabilità del mondo. Ma tanto sono accecati, questi cotali, che fugono la virtù per fuggire fatica; e per trovare diletto se ne privano, e caggiono in molte pene; sono incomportabili a loro medesimi; fatti si sono martiri del demonio. E così in ogni cosa vanno al contrario.

Così i servi di Dio, i quali anco sono nella tenerezza e amore proprio di loro medesimi, il quale è una nuvola che in tutto non tolle il lume, ma rimangli alcuno chiarore; ma la ruota del sole non vede. E però a costoro è fadigoso il togliere da sé gli appetiti sensuali spiritualmente e temporalmente, cioè quando alcune volte la sensualità s'amantella col manto dello spirito. Massimamente, tra l'altre cose, tre ne gli pone innanzi, cioè, in tre cose: l'una è nel tempo delle tentazioni e privazione delle consolazioni della mente.

Allora sì pone questo mantello il demonio, per la tenerezza di sé: pongli innanzi uno timore parendoli, nel tempo delle tentazioni, offendere, per lo timore che ha di non offendere. E questo fa per farli venire a tedio la via dello spirito, dicendo: «Questo non sentivi tu innanzi che tu fossi in questo stato. Hai mutato stato per essere megliore; e tu sei pegiore»; dicendo: «Il tuo essercizio lo quale tu debbi fare con pace e quiete, col cuore libero e non legato di tante diverse cogitazioni, tu lo fai in grandissima guerra. Meglio ti sarebbe a lassarlo stare».

Questo fa per privarlo de l'essercizio de l'orazione, la quale è la madre delle virtù a l'anima illuminata, e questo manto molto prezioso; e non allenta però la gloria di Dio, ma molto più virilmente essercita la vita sua, reputandosi indegno della pace, quiete e consolazione della mente, come gli altri servi di Dio, e degno della pena, e però si gloria nelle pene: questi è colui che benedice Dio in ogni tempo.

Ma a l'amatore di sé questo mantello, che in sé è buono, per lo poco lume e gusto mal disposto gli è pericoloso, perché v'intepidisce dentro; e, privato del diletto, lo quale egli appetisce, gli pare essere privato di Dio; e con la tepidezza e col legame della negligenzia lega i piei dell'affetto, e le mani de l'orazione allenta, e posa giù. Unde, quando i nemici veggono lo braccio de l'orazione posto a terra, e non in alto a cercare con umilità e a dimandare l'aiutorio divino - lo quale non è dinegato a chiunque il dimanda -, e ad investigare l'eterna volontà sua - che ogni cosa ci dà e permette per nostra santificazione -, entrano allora dentro, e abitano per li borghi della città dell'anima, e talora pigliano tutta la città con la rocca della volontà sua. A lei diviene come al popolo di Dio, lo quale vinceva mentre che Moisè orava; e quando le mani di Moisè si posavano giù, lo popolo perdeva. (Ex 17,11) Quale è il popolo di Dio, che sta nella città de l'anima nostra? sono le vere e reali virtù. Queste virtù vincono i vizii, mentre che la ragione, la quale è il nostro Moisè, sta nel monte della inestimabile carità di Dio, e, col cognoscimento di sé, leva in alto le braccia de l'orazione. Che converrebbe fare al tiepido amatore di sé per ponere rimedio alla sua stanchezza? Come Moisè, appoggiare le braccia, affinché elle non tornino in giù, con due forcelle, una d'odio, col timore santo di Dio dallato, e l'altra d'amore, con la nutrice della vera umilità, e riposarsi sopra queste due forcelle, tenendo levata la faccia de l'anima col lume della santissima fede. Allora lo popolo di Dio, cioè l'affetto delle virtù, sconfiggerà il principale nemico del proprio amore, e tutti gli altri che doppo lui seguitano. Ogni imperfezione sarà dibarbicata de l'anima e il demonio non potrà avere la intenzione con la quale gittò il mantello colorato di molti colori.

Un altro ne pone sopra la carità del prossimo: che, per privarlo della carità della carità, lo fa levare dal debito di servire e subvenire al prossimo suo - lo quale debito ogni creatura ragionevole è tenuta di rendere -, e per farli concepire dispiacere e pena, colà dove egli debbe trovare diletto, gli pone il mantello della dolcezza, ponendo dinanzi a l'affetto de l'anima la consolazione e quiete della mente sua, e il debito dell'orazione, che deve rendere a l'ore diputate e ordinate, e il diletto che ne sente l'anima e il corpo.

Questo mantello ha si bello colore e tanto dilettevole che gl'ignoranti, con poco lume, in tutto ci si rompono lo capo dentro, e peggio lo' fa ancora, che, non conoscendolo per loro medesimi, non vogliono credere a chi lo conosce, né cercano che lo' sia mostrato. E se pure l'è mostrato, che nol possino dinegare, non si studiano di tenere i debiti modi per levarsene: ma come accecati dal proprio diletto s'aviluppano nella tepidezza loro, quasi parendo lo' impossibile di giognervi mai. Questi non benedicono Dio con perfezione, ma imperfettamente; poco danno e poco ricevono.

Questo perché l'adiviene? Perché il gusto de l'anima anco non è bene vòto di sé, e perché dinanzi all'occhio loro hanno posto solo i razzi delle consolazioni, e non la ruota del sole, cioè l'eterna volontà di Dio, l'eterna verità sua, l'eterno Verbo, e l'eterna dottrina sua; il quale è sole di giustizia,che illumina ogni anima che da lui vuole essere illuminata. Unde nel lume suo vediamo lume, col caldo suo si consuma ogni fredezza e tepidezza del cuore, pure che col libero arbitrio apra la finestra della volontà sua, affinché il sole possa intrare nella casa de l'anima, con una giustizia che giustamente renda onore a Dio, e gloria e loda alla parola del Padre eterno, cioè al Verbo. Allora gli rende gloria, quando segue la dottrina sua; a sé dia odio e rimproverio, svergognando la propia passione sensitiva, o spirituale o temporale, in qualunque modo ella ricalcitrasse di non rendere il debito al prossimo suo, al quale debba rendere carità e benevolenza, mostrandolo nel tempo della sua necessità in subvenirlo caritativamente, portando e sopportando i difetti suoi, non solamente con la parola, ma con l'opera, abandonando sé medesimo: non che egli abandoni sé per colpa ma per diletto, abracciando la pena per onore di Dio, in salute del prossimo suo. Questo fa colui che ha posto l'occhio dell’intelletto in questo dolce e glorioso sole, perché col lume ha veduto che per altra via non possiamo mostrare l'affetto che doviamo avere a Dio; e anco conosce che, essendo privato della carità del prossimo, sarebbe privato di Dio. Ma l'amatore di sé, amantellato col ditto manto, risponde: «Io non ne voglio essere privato, né me ne voglio privare, innanzi vorrei morire io: ma non me ne truovo bene. Sentomene la mente svagolata e non me ne sento altro che tenebre, scandalo e confusione di mente, e colà dove io il debbo amare, egli mi viene a tedio e dispiacere; e non pare ch'io possa sostenere né me né lui, unde meglio m'è, e più mel sentirò amare, a starmi nella pace mia».

Questi in verità dimostra che egli è cieco, e non vede altro che alba. E come potrò io dire che io ami lo prossimo, se, quando io vedrò la necessità, io mi dilongo da lui e, per la propria consolazione, farò vista di non vederlo? Veramente in costui non è verità. E come dirò io che io non dica menzogna, che il sovvenire al prossimo in qualunque modo, in qualunque stato o luogo si sia, m'abbi a dare amaritudine, e conturbare la mente mia? Egli non è la verità, ché né creatura né demonio né essercizio, né privazione di consolazioni per qualunque modo si sia - o per sovvenire al prossimo, o perché Dio la ritraga a sé per farla umiliare - non la possono contristare né darle amaritudine di colpa. Ed ella non si debba contristare se non della colpa. E se ella offende non è difetto altrui, ma è suo. Lo suo difetto e la propria volontà che offende, sempre porta l'uomo con sè: se per fuggire luoghi o creature, nel tempo che hanno bisogno, lassasse la propria volontà, dolce cosa e utile sarebbe il fuggire, ma egli la fugge e porta insieme con con sè; e, così mantellata, trova sempre vivi i sentimenti suoi, e quando gli viene il tempo del bisogno, cioè quando è ribellata alla volontà sua, ella sente il morso per siffatto modo, che non può tenere il veleno della impazienzia che non si senta. Percioè da fuggire il proprio sentimento e la propria perversa volontà.

Che deve fare e farà, se vorrà vedere lume? Salga sopra la sedia della conscienzia sua, e tengasi ragione; non lassi passare i movimenti che non sieno corretti: dare la sentenzia contro sé medesima. E che sentenzia debba dare? non di moneta, ma di morte; e con la morta volontà gitti lo falso mantello sotto i piei dell'affetto; e rivestisi di pene, d'obbrobrii e villanie, e della dolce eterna volontà di Dio: facendo questo, gli renderà onore, e benedicerà il nome suo.

La terza e ultima è sopra l'obedienzia, ponendogli la passione sua, e il demonio, uno mantello di molti colori, ma singolarmente d'uno giudizio falso, facendo sé discreto, e il prelato indiscreto; ché se egli non si giudicasse discreto, non giudicarebbe il prelato indiscreto. Unde l'amatore di sé vorrà giudicare la intenzione del prelato suo fuore della volontà di Dio. E sempre porta la sorella de l'amore proprio, cioè la disobbedienza, dicendo: «Questi comanda indiscretamente; io non posso portare la sua indiscrezione. Tale ora mi voglio stare in cella nella quiete mia: ed egli me ne trae, non guardando luogo né tempo». Per questo giudicio, in che cade? (che come egli è di questo, così è di molte altre cose, le quali passo, per non attediarvi di parole). Cadene in questo, che o egli disobedisce, e non fa quello che gli è imposto; o s'egli lo fa, fallo con impazienzia, con mormorazione, e con scandalo di mente: viene ad infedelità, ad irreverenzia: e perde il santo timore che deve avere verso Dio e verso il prelato. E con lo scandalo che piglia la propia volontà, si priva della pace e quiete della mente sua. Tutto gli adiviene perché egli ama sé, e col proprio amore s'è fatto giudice della volontà del suo maggiore, fuore della dolce volontà di Dio. Ma se egli avesse lume di fede, eziandio se il suo prelato fusse uno demonio incarnato, giudicarebbe che la clemenza dello Spirito santo gli facesse adoperare inverso lui quello che fusse la sua salute; ma la propria tenerezza non gli li lassa vedere, perché l'occhio suo non s'è specolato nell'obedienzia del Verbo, lo quale fu obbediente fino all'obrobriosa morte della croce.

O disobidiente giudicatore, tiepido e amatore di te, e ché non ti poni dinanzi lo sangue sparto con tanto fuoco d'amore per l'obedienzia che pose il Padre eterno a l'unigenito suo Figlio? Questo dolce Gesù non si pose ad investigare la volontà del Padre - né chi l'ha seguitato -, cioè che per tenerezza di sé non rifiutò labore, né disse: «Padre, trova un altro modo, che io non sostenga pena, e compirò l'obedienzia tua». Nol disse ponto ma, come ebbro d'amore de l'onore del Padre eterno e salute nostra, prese il giogo dell’obbedienza, e per compirla bene si satolla d'obrobrii scherni e rimproverii. Colui che sazia ogni anima sostiene sete; per vestir noi della vita della grazia, si spoglia della vita del corpo suo; fassi trare a segno in su' legno della santissima croce. Tutto s'uopre il corpo suo: che drittamente pare uno agnello dissanguato che da ogni parte versa sangue. Lo sangue manifesta questa pronta obbedienzia; lo sangue manifesta quella verità antica nuovamente mostrata a noi. Antica è in quanto ab-eterno fummo nella santa mente di Dio, e nuova ci fu, quando ci creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), dandoci l'essere perché godessimo lo suo sommo eterno bene, lo quale egli ha in sé medesimo. Ma noi non la intendemmo bene questa nuova verità: cioè che in verità credessimo che egli ci aveva creati per darci vita eterna. Volendo Dio compire questa verità nell’uomo, e farlili intendere, mandò a noi questo dolce e amoroso Verbo vestito della nostra umanità, fabricando le iniquità nostre sopra la 'ncudine del corpo suo; e ricreocci a grazia nel sangue, sì che il sangue nuovamente ci ha manifestato questa verità.

Nel sangue troviamo la fonte della misericordia, nel sangue la clemenza, nel sangue il fuoco, nel sangue la pietà, nel sangue è fatta la giustizia delle colpe nostre, nel sangue è saziata la misericordia, nel sangue si dissolve la duricia nostra, nel sangue le cose amare diventano dolci, e li grandi pesi leggieri. E però quelli che col lume della fede raguarda questo sangue, porta il grave peso dell’obbedienza con dolcezza e soavità. E perché nel sangue sono maturate le virtù, però l'anima che se inebria e anniega nel sangue si veste delle vere e reali virtù, per onore di Dio, e per compire in sé la verità nuovamente mostrata col mezzo del sangue.

Questo non considera lo disobbediente, giudicatore della volontà del suo maggiore: che se egli lo considerasse, annegarebbe in tutto e per tutto la sua volontà, e ogni proprio volere e sapere porrebbe nella volontà di Dio e del suo prelato; ma perché egli non il fa, sta in continua pena, e sempre permane nella tiepidezza e imperfezione sua: rimangli lo mantello del proprio amore, perché non l'ha consumato nel sangue, nel fuoco, e ne l'obbedienzia del Verbo. E però non benedice Dio ne l'obbedienzia la quale Dio richiede ai secolari, ai religiosi, ai prelati, e ai sudditi, vecchi e giovani, in ogni stato, in ogni tempo e luogo, in consolazione e tribolazione, in pace di mente e in molestie e guerra: in ogni modo vuole, e doviamo benedicere Dio con affetto di virtù, e con la parola quando bisogna. O carissimo figlio, a questo v'invito, poiché questa è la via e il modo da renderli gloria e benedicerlo ogni tempo, non solo con la parola, ma con l'opera, come detto è, la quale cosa io dissi ch'io desideravo di vedere in voi; e così voglio che sempre permanga nel cuore, nella mente, e nell'anima vostra.

Figlio, lo tempo ci invita a non aspettare tempo a perdere noi medesimi, e però vi prego che il desiderio che Dio v'ha dato del santo passaggio, per ponere la vita per lui, mai non allenti ne l'anima vostra, ma voglio che continuamente cresca, cominciando ora tra' cristiani a sostenere per la verità della santa Chiesa e di papa Urbano VI, lo quale è vero sommo pontefice. Per questa verità ci conviene apparecchiare a sostenere, e nel sostenere, benediceremo Dio nella santa Chiesa; e Dio per la sua misericordia doppo questa tenebre ci darà luce, e con la luce si compirà la volontà di Dio, e i desiderii nostri. Sì che confortatevi, e siate virile cavaliere. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce Gesù amore



316. A Daniella da Orvieto vestita de l'abito di santo Domenico.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti con vero e perfettissimo lume, affinché in perfezione conosca la verità.

Oh quanto ci è necessario, carissima figlia, questo lume! poiché senza esso non possiamo andare per la via di Cristo crocifisso, che è una via lucida che ci dà vita; e senza questo andaremo in tenebre, e staremo in grandissima tempesta e amaritudine. Ma, se io considero bene, in due modi ci conviene avere questo lume: cioè uno lume generale, che generalmente ogni creatura che ha in sé ragione lo debba avere, di vedere e conoscere quello che egli debba amare, e quello a che deve ubedire; vedendolo col lume dell’intelletto, con la pupilla de la santissima fede, che egli è tenuto d'amare e servire lo suo Creatore, amandolo con tutto lo cuore e con tutto l'affetto senza mezzo, e obedire ai comandamenti de la legge d'amare Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come noi medesimi (Mc 12,30-31 Mt 22,37-39 Lc 10,27).

Questi sonno quegli principali, dove sonno legati tutti quanti gli altri. Questo è uno lume generale, che tutti ci siamo obligati, e senza questo avaremo morte; privati de la vita de la grazia, seguitaremo la via tenebrosa del demonio.

Ma uno altro lume c'è, lo quale non è separato da questo, ma è unito con questo: anco, da questo primo se giogne al secondo. Ciò sonno quegli che osservando i comandamenti di Dio, crescono in uno altro perfettissimo lume; i quali con grande e santo desiderio si levano da la imperfezione, e vengono a la perfezione, osservando i comandamenti e consigli mentalmente e attualmente. Questo lume si debba essercitare con la fame e desiderio de l'onore di Dio e salute de l'anime, specolandosi col lume nel lume del dolce e amoroso Verbo: dove l'anima gusta l'amore inefabile che Dio ha a la sua creatura, manifestato a noi col mezzo di questo Verbo, lo quale corse, come inamorato, a l'obrobriosa morte de la croce per onore del Padre e salute nostra.

Quando l'anima ha cognosciuta con lume perfetto questa verità, sì leva sé sopra di sé, sopra lo sentimento sensitivo; con spasimati dolci e amorosi desiderii corre, seguitando le vestigie di Cristo crocifisso, con pene, con obrobrii, scherni e villanie, con molta persecuzione dal mondo, e spesse volte da' servi di Dio sotto colore di virtù. Con fame cerca l'onore di Dio e la salute de l'anime; e tanto si diletta di questo glorioso cibo, che sé e ogni altra cosa spregia: solo questo cerca, e sé abbandona. In questo perfetto lume erano quelle gloriose vergini e gli altri santi, che si dilettavano solo a la mensa de la croce con lo Sposo loro a prendere questo cibo.

Noi dunque, carissima figlia e sorella mia dolce in Cristo dolce Gesù, poiché egli ci ha fatto tanto di grazia e di misericordia che ci ha messe nel numero di quelle che passate sono dal lume generale al particulare - cioè, che ci ha fatto elegere lo stato perfetto dei consigli -, e però noi doviamo con vero lume seguire con perfezione questa dolce e dritta via; e non vòllare lo capo a dietro per veruna cosa che sia, né andare a nostro modo, ma al modo di Dio, con pene sostenendo senza colpa fino a la morte; e trare l'anima de le mani de i demoni. Perché questa è la via e la regola che t'ha data la Verità eterna; e scrissela nel corpo suo con lettere sì grosse, che veruno è di sì basso intendimento che si possa scusare: non con oncostro, ma col sangue suo. Bene vedi tu i capoversi di questo libro, quanto essi sonno grandi; e tutti ti manifestano la verità del Padre eterno, l'amore inefabile con che fummo creati - questa è la verità -: solo perché noi participiamo lo suo sommo bene e eterno (2P 1,4). è levato in alto questo maestro nella catedra de la croce, affinché meglio la possiamo studiare, che noi non c'ingannassimo di dire: «Egli me la 'nsegnò in terra, e non in alto»; non è così: ché egli è salito in croce, e con pena cerca l'altezza de l'onore del Padre, e di ristituire la bellezza de l'anima.

Suso in croce, dunque, e leggiamo l'amore cordiale, fondato in verità, in questo libro de la vita. In tutto perde te medesima, e quanto più ti perdarai, più ti trovarai; e Dio non spregiarà lo desiderio tuo, anco ti drizzarà e amaestrarà di quello che tu debbi fare; e darà lume a quello a cui tu fusse suddita, facendo tu per suo consiglio. Poiché l'anima che ha e debba avere una santa gelosia, sempre si diletta di far ciò che ella fa col mezzo de l'orazione e del consiglio.

Tu mi scrivesti e, secondo ch'io intesi, ne la lettera pare che tu sia passionata; e non è picciola, anco è forse maggiore che veruna altra, quando da l'uno lato ti senti chiamare ne la mente tua per nuovi modi da Dio, i servi suoi si pongono al contrario, dicendo che non è bene. Io ti ho compassione pur assai grande, perché non so che fatica sia simile a quella, per la gelosia che l'anima ha di sé medesima: che a Dio resistenza non può fare, e la volontà dei servi suoi vorebbe compire, fidandosi più del lume e cognoscimento loro che del suo; e nondimeno non pare che possa. Ora io ti rispondo semplicemente secondo lo mio basso e poco vedere - non ponendoti nulla affermativamente -: ma, come ti senti chiamare senza te, così risponde. Unde, se tu vedi lo pericolo de l'anime, e tu le puoi subvenire, non chiudare gli occhi, ma con perfetta solicitudine t'ingegna di sovenirle fino a la morte. E non curare di tuoi proponimenti, né di silenzio né d'altro, a ciò che non ti fusse detto poi: «Maladetta sia tu, che tacesti!».

Ogni nostro principio è fondato e fatto solo nella carità di Dio e del prossimo; tutti gli altri essercizii sonno instrumenti e edificii posti sopra questo fondamento: e però non debbi, per lo diletto de lo instrumento e de l'edificio, lasciare lo principale fondamento de l'onore di Dio e carità del prossimo.

Lavora Perciò, figlia mia, in quello campo che tu vedi che Dio ti chiama a lavorare, e non pigliare pena né tedio ne la mente tua per quello che t'è detto, ma porta virilmente; teme e serve Dio senza te, e non curare poi lo detto de le creature, se non d'aver lo' compassione.

Del desiderio che hai d'uscire di casa e d'essere a Roma, gittalo ne la volontà dello Sposo tuo; e se sarà suo onore e salute tua, ti mandarà modo e la via a ora che non tel pensarai, e in modo che mai non l'avaresti imaginato. Lassa fare pure a lui, e perde te; e guarda che tu non ti perda altro che in su la croce, e ine ti trovarai perfettissimamente. Ma questo non poteresti fare senza lo lume perfetto: e però ti dissi ch'io desideravo di vederti con vero e perfettissimo lume, oltre al lume generale, come detto è. Non dormiamo più, destianci dal sonno de la negligenzia, mugghiando con umili e continue orazioni sopra lo corpo mistico de la santa Chiesa, e sopra lo vicario di Cristo. Non cessare d'orare per lui, che gli dia lume e fortezza a risistare ai colpi dei dimoni incarnati, amatori di loro medesimi, i quali vogliono contaminare la fede nostra. Tempo è di pianto ().

Del mio venire costà, prega la somma eterna bontà di Dio che ne facci quello che sia suo onore e salute de l'anima; e specialmente ora, che sono per andare a Roma per compire la volontà di Cristo crocifisso e del vicario suo. Non so qual via io mi terrò: prega Cristo dolce Gesù che ci mandi per quella che è più suo onore, con pace e quiete de l'anime nostre. Altro non ti dico.

Permane etc. Gesù dolce, Gesù amore.



317. Alla soprascritta regina di Napoli, poi che essa Caterina fu giunta a Roma.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondata in verità, la quale verità c'è necessaria di conoscere e d'amarla per salute nostra. Chi sarà fondato nel cognoscimento della verità - Cristo dolce Gesù (Jn 14,6) - riceverà e gustarà la pace e la quiete dell'anima sua nell'affetto della carità, la quale carità riceve l'anima in questo cognoscimento.

In due modi principali ci conviene conoscere questa verità, poniamo che in ogni cosa ce la convenga conoscere: cioè che ogni cosa che ha in sé essere s'ami in Dio e per Dio, che è essa verità, e senza lui nulla, perché si scordarebbe dalla verità e andarebbe per la bugia, seguitando il demonio che n'è padre (Jn 8,44). Dicevo che singularmente in due modi ce la conviene conoscere: lo primo è che noi cognosciamo la verità di Dio, il quale ci ama inestimabilmente e amò prima che fossimo; anco, per amore ci creò - questa fu, ed è la verità - perché noi avessimo vita eterna e gustassimo lo suo sommo eterno bene. Chi ci manifesta che in verità sia così? Il sangue sparto per noi con tanto fuoco d'amore: nel sangue dolce del Verbo del Figlio di Dio conosceremo la verità della dottrina sua, la quale dà vita e lume, disolvendo ogni tenebre d'amore sensitivo e diletto o di piacere umano; ma col cuore schietto conosce e segue la dottrina di Cristo crocifisso, che è fondata in verità.

La seconda e ultima cosa è che noi doviamo conoscere e vedere la verità nel prossimo nostro - o grande o piccolo che sia, o sudditi o signori -, cioè che quando vediamo che essi fanno alcuna opera a la quale invitassero noi a farla, noi doviamo vedere e conoscere se ella è fondata in verità o no, e che fondamento ha fatto quegli che si muove a fare questa opera. E chi non lo fa, fa come matto e cieco che va dietro alla guida cieca (Mt 15,14 Lc 6,39) fondata in bugia; e mostra che in sé non abia verità, e però non cerca la verità. E alcune volte è che sonno tanto pazzi e animali che, per quella opera, se ne vegono perdere la vita dell'anima e del corpo e la substanzia temporale, e non se ne curano, perché acecati sono e non cognoscono quello che debbono conoscere; vanno in tenebre con la natura feminile senza alcuna fermezza o stabilità.

O carissima madre - in quanto voi siate amatrice della verità e obbediente alla santa Chiesa; ma in altro modo non vi chiamo madre, né con reverenzia parlo a voi, perché vegio grande mutazione nella persona vostra: che di donna sete fatta serva e schiava di quella cosa che non è, sottopostavi alla bugia e al demonio che n'è padre (Jn 8,44); lassato lo consiglio dello Spirito santo, e preso lo consiglio dei dimoni incarnati; di membro legato nella vite vera (Jn 15,1-5), vi sete tagliata da essa vite col coltello de l'amore proprio; di figliola legittima amata teneramente dal padre, vicario di Cristo in terra, papa Urbano VI - lo quale è veramente papa sommo pontefice - partita vi sete dal petto della madre vostra della santa Chiesa, dove tanto tempo vi sete nutreta. Oimé, oimé, piangere si può sopra di voi sì come morta, staccata dalla vita della grazia: morta a l'anima e morta al corpo, se voi non escite di tanto errore. Non pare che aviate cognosciuta la verità di Dio nel modo che detto è: ché, se l'aveste cognosciuta, elegereste inanzi la morte che offendere Dio mortalmente. E non l'avete cognosciuta nel prossimo vostro, ma con molta ignoranza, mossa dalla propria passione, avete seguitato lo più miserabile e vituperoso consiglio - avendolo mandato in opera - che già mai poteste avere.

E che maggiore vergogna si può ricevere che d'una che fusse cristiana, tenuta catolica e virtuosa donna, e poi facci come il cristiano che riniega la fede, esce di buoni e santi costumi e debita reverenzia usata? Oimé, uprite l'occhio dello intelletto vostro, e non dormite più in tanta miseria. Non aspettate il punto della morte, doppo il quale non vi gioverà lo scusare, né dire: «Io mi credetti fare bene», poiché voi conoscete che voi fate male, ma come inferma e passionata vi lassate guidare a la passione. Credo bene che il consiglio sia venuto da altrui che da voi. Vogliate, vogliate conoscere la verità: e chi sono coloro, e perché vi fanno conoscere la bugia per verità - dicendo che papa Urbano VI non sia vero papa -; e l'antipapa, dirittamente anticristo membro del diavolo, vi faccino vedere che sia Cristo in terra. E con che verità vel possono dire? Non con veruna, ma con bugia e falsità lo dicono, mentendo sopra lo capo loro.

E che possono dire gl'iniqui uomini - non uomini ma dimoni incarnati -, che da qualunque lato essi si volgono non possono vedere d'avere fatto altro che male? Eziandio se fusse vero - che non è - che papa Urbano VI non fusse papa (che se non fusse papa solo di questo meritareboro mille morti, come menzonieri trovati nella falsità: ché se di principio essi l'avessero eletto per paura, e non in verità con elezione ordinata - ed essi lo mostrarono a noi vero papa -, ecco che già già ci avereboro mostrata la bugia e falsità per verità, facendoci obedire a fare reverenzia - ed eglino con esso noi insieme - a quello che non si debba; ché già gli fecero reverenzia e chieserli grazie e usârle, sì come da sommo pontefice che egli è).

Dico che s'egli fusse vero che egli non fusse papa - la qual cosa non è, per la grande bontà di Dio che ci ha fatto misericordia -, di questo solo non se ne potrebbe dare loro troppo grande disciplina; ma degni sono di mille migliaia di morti, a dire che per paura essi dicessero d'avere eletto papa, e non fusse. Ma essi non dicono la verità, come uomini fondati in bugia che non la possono tanto ocultare che le tenebre e puzza sua non si senta e vegia. Bene apparbe manifesto quello che mostrarono per paura avere eletto papa - poi che ebbero eletto il vero papa, messer Bartolomeo arcivescovo di Bari -: ciò fu messer di San Pietro. Ma egli, come buono e giusto uomo, confessava che non era papa ma messer Bartolomeo arcivescovo di Bari, lo quale oggi è papa Urbano VI, chiamato e reverito come sommo pontifice e giustissimo uomo da' fideli cristiani; a malgrado degli iniqui non cristiani - che non portano lo nome di Cristo in bocca né nel cuore loro - ma infideli partiti della fede eobbedienza della santa Chiesa e del vicario di Cristo in terra, membri tagliati dalla vera vite (Jn 15,6), seminatori di scisma e di grandissima eresia.

Aprite, aprite l'occhio dello intelletto, e non dormite più in tanta cecità. Non dovareste essere tanto ignorante, né tanto separata dal vero lume, che voi non conosceste la vita scellerata senza veruno timore di Dio di questi che v'hanno messa in tanta eresia: ché i frutti che escono di loro vi manifestano che arbori essi sono (Mt 12,33 Lc 6,44). La vita loro vi manifesta che non dicono la verità, i consiglieri che essi hanno atorno, di fuore e dentro, i quali possono essere uomini di scienzia ma essi non sono di virtù, né uomini che la vita loro sia laudabile, ma più tosto riprensibili per molti difetti. Dove è il giusto uomo che essi hanno eletto per antipapa, se in verità lo sommo nostro pontefice papa Urbano VI non fusse vero vicario di Cristo? Che uomo hanno eletto? Uomo di santa vita? No, ma uomo iniquo, demonio; e però fa l'offizio deli demoni: lo demonio s'ingegna di sottrarci dalla verità, ed esso fa quello medesimo. E perché non elessero uno giusto uomo? Perché ben sapevano che un giusto uomo avrebbe eletto inanzi la morte che averlo acettato, perché in loro non avrebbe veduto veruno colore di verità: e però i dimoni presero lo demonio, i bugiardi la bugia. Tutte queste cose manifestano che papa Urbano VI è veramente papa, e che essi sono privati della verità e amatori della bugia.

E se voi mi diceste: «Per tutte queste cose la mente mia non è chiara», e perché non vi state almeno di mezzo? (Poniamo che ella è chiara quanto dire si può più). E se non volete sovenirlo della substanzia temporale fino che non avete altra dichiarazione - lo quale aiuto sete tenuta di dare per debito, perché noi figlioli doviamo sovvenire lo padre quando egli ha bisogno -, almeno l'obedite nelle cose spirituali, e ne le altre cose vi state di mezzo. Ma voi fate come passionata; e l'odio e lo desdegno e il timore di non perdere quello di che voi stessa vi sete privata - lo quale avete acquistato da' maledetti ridicitori -, v'ha tolto lo lume e il cognoscimento che non conoscete la verità, ostinata in questo male: e con questa ostinazione voi non vedete lo giudizio che viene sopra di voi.

Oimè! con dolore cordiale, perché amo teneramente la salute vostra, dico queste parole. Se voi non mutate modo, e non corregete la vita vostra escendo di tanto errore - e in ogni altra cosa -, lo sommo giudice che non lassa passare le colpe nostre impunite - se l'anima non le purga con la contrizione del cuore e confessione e satisfazione -, ve ne darà sì-fatta punizione che voi sarete posta in segno a dare tremore a chi volesse mai levare il capo contro la santa Chiesa. Non aspettate questa verga, ché duro vi sarà ricalcitrare alla divina giustizia (Ac 26,14): voi dovete morire, e non sapete quando. Non richezza, non stato - il grande stato -, né dignità mondana, baroni, né popolo, che sono vostri sudditi quanto al corpo, vi potranno difendere dinanzi al sommo giudice; né riparare a la divina giustizia. Ma alcune volte Dio gli sa mettere per manigoldi perché faccino giustizia de l'inimico suo.

Voi avete invitato e invitate lo popolo e tutti i sudditi vostri d'essere più contro voi che con voi, avendo trovata ne la persona vostra poca verità, non condizione d'uomo con cuore virile ma di femina sanza alcuna fermezza o stabilità, sì come femina che si volge come la foglia al vento. Bene hanno a mente che quando papa Urbano VI, vero papa, fu creato con grande e vera elezione, e coronato con grande solennità, voi faceste fare la grande e magna festa, sì come debba fare lo figliolo per la essaltazione del padre, e la madre di quella del figliolo; ché egli era a voi figliolo e padre: padre, per la dignità sua nella quale è venuto; figlio, perché era suddito a voi, cioè del reame vostro, e però faceste bene. Anco, comandaste a tutti che dovessero obedire alla Santità sua, sì come a sommo pontefice. Ora vi vego voltata, con la condizione della femina che non ha fermezza, e volete che faccino lo contrario. O miserabile passione! Quello male che avete in voi, volete dare a loro: e come credete che essi vi possano amare ed essere fideli a voi, quando essi vegono che voi lo' sete cagione di partirli dalla vita e conducerli nella morte, dalla verità mettere nella bugia? Separategli da Cristo in cielo e da Cristo in terra, e voletegli legare col demonio e con anticristo, amatore e annunziatore della bugia egli, e voi, e gli altri che il seguitate.

Non più così, per amore di Cristo crocifisso: voi chiamate in tutto lo divino giudizio; duolmi se voi non riparate alla ruina che viene sopra di voi. Voi non potete uscire delle mani di Dio; o per giustizia o per misericordia sete nelle mani sue: correggete la vita vostra, affinché esciate delle mani della giustizia e permaniate nella misericordia. E non aspettate lo tempo: ché tale ora vorrete, che voi non potrete. O pecorella, ritornate a l'ovile vostro, lassatevi governare al pastore; se non che, il lupo infernale vi divorarà.

Ripigliate le guardie dei servi di Dio - che v'amano in verità più che non v'amate voi medesima -, e buoni e maturi e discreti consigliatori; ché il consiglio dei dimoni incarnati, col disordinato timore che v'hanno messo, con paura di non perdere lo stato temporale - che passa come vento, senza fermezza: ché o egli lassa noi, o noi lui per lo mezzo della morte -, v'ha condotta colà dove voi sete.

Voi piangerete, ancora, dicendo: «Oimé, oimé! - se voi non mutate modo - di quello che mi fu messo timore da malvagi consiglieri, io sono colei che me ne sono privata io medesima». Ma anco ci ha tempo a riparare, carissima madre, al giudizio di Dio. Tornate all’obbedienza della Santa Chiesa, conoscete il male che avete fatto, umiliatevi sotto la potente mano di Dio; e Dio, che raguarda l'umilità dell'ancilla sua (Lc 1,48), ci farà misericordia: placarà l'ira ch'egli ha sopra i difetti vostri; mediante il sangue di Cristo v'inestarete e legarete in lui col vinculo della carità, nella quale carità conoscerete e amarete la verità; la verità vi levarà da la bugia, dissolverà ogni tenebre, daravi lume e cognoscimento nella misericordia di Dio. In questa verità sarete diliberata, in altro modo, no; e perché la verità ci dilibera (Jn 8,32), avendo desiderio della salute vostra dissi ch'io desideravo di vedervi fondata nella verità, affinché non fuste offesa dalla bugia. Pregovi che compiate in voi la volontà di Dio e il desiderio de l'anima mia, col quale io desidero, con tutte le interiora e con tutta la forza de l'anima mia, la salute vostra. E però, costretta dalla divina bontà, che v'ama ineffabilemente, mi sono mossa a scrivere a voi con grande dolore.

Altra volta anco vi scrissi di questa simile materia. Abbiate pazienza se io vi gravo troppo di parole, e se con voi parlo sicuramente e irreverentemente: l'amore che io ho a voi mi fa parlare con sicurezza, e il difetto vostro commesso mi fa partire dalla debita reverenzia e parlare irreverentemente. Molto più tosto con la voce viva desiderarei di dirvi la verità - per la salute vostra e principalmente per onore di Dio -, che per scripta; e più tosto farei di fatto che di parole a chi ve n'ha colpa, benché colpa e cagione ve ne sete voi medesima, perché neuno è, né demonio né creatura, che vi possa constringere a una minima colpa, se voi non volete: e però vi dissi che voi ne sete la cagione. Annegatevi un poco nel sangue di Cristo crocifisso: quine si dissolva la nuvola dell'amore proprio, e il timore servile, e il veleno dell'odio e del proprio sdegno.

Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 19:02

318. A Sano di Maco e tutti gli altri suoi in Cristo figli secolari da Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondati nella virtù della santissima fede, la quale fede è uno lume che sta nell'occhio dell'intelletto, che ci fa vedere e conoscere la verità. E la cosa che si conosce buona, s'ama; non conoscendola, non si può amare: e non vedendola, non si può conoscere. Perciò ci è necessario lo lume, e senza esso andaremo in tenebre; e chi va per le tenebre, è offeso da essa.

Questo lume c'insegna la via, mostraci lo fine, e insegnaci gl'invitatori, che sonno due. Questo lume vede le nozze dell'uno e dell'altro; e col vedere le discerne, quale dà vita, e qual morte. O dolcissimi e amantissimi figli, quali sonno questi due che c'invitano? E quali sonno le vie loro? Dicovelo: Cristo benedetto è l'uno, che c'invita a l'acqua viva della grazia. Così disse egli quando gridava nel tempio: «Chi ha sete, venga a me, e beia (Jn 7,37), ché sono fonte d'acqua viva» (Jn 4,10). Veramente egli è una fonte: ché, come la fonte tiene in sé l'acqua - e trabocca per lo murello d'intorno -, così questo dolce e amoroso Verbo, vestito della nostra umanità. L'umanità sua fu uno muro che tenne in sé la deità eterna unita in essa umanità, traboccando lo fuoco della divina carità per lo muro aperto di Cristo crocifisso: poiché le piaghe sue dolcissime versarono sangue intriso col fuoco, perché per fuoco d'amore fu sparto. Di questa fonte traiamo noi l'acqua della grazia, poiché in virtù della deità, e non puramente per l'umanità, fu purgata la colpa dell’uomo. L'umanità sostenne la pena della croce, e in virtù della deità fu satisfatto alla colpa nostra, e fummo ristituiti a grazia.

Sì che veramente egli è fonte d'acqua viva, e con grande dolcezza d'amore c'invita a berne, ma dice: «Chi ha sete venga a me, e beia» e non invita chi non ha sete; e dice: «venga a me». Oh come ben dice la Verità eterna, poiché neuno può andare al Padre se non per lui, sì come egli disse nel santo evangelio (Jn 14,6): perché chi vuole andare a participare la visione del Padre eterno - lo quale è vita durabile - gli conviene tenere per la via della dottrina del Verbo, lo quale è via, verità e vita (Jn 14,6). E chi va per questa via non va in tenebre, ma va col lume della santissima fede; lo quale lume è tratto dal lume suo, e in esso l'accresce. E così doviamo dire: Signore, dammi grazia che nel lume tuo io vegga lume. Egli è essa Verità, e l'anima che segue la dottrina di questo Verbo lassa e consuma in sé la bugia de l'amore proprio, e in verità senza mezzo corre coi piei dell'affetto per questa via, seguitando la dottrina di Cristo crocifisso.

Lo quale vede col lume della fede che è salito in su la catedra della croce, e insegnaci la dottrina avendola scritta nel corpo suo; e fece di sé uno libro, coi capoversi sì grossi che non è uomo tanto idioto, né di sì poco vedere, che non ci possa largamente e perfettamente leggere.

Legga Perciò, legga l'anima nostra, e per meglio poterlo leggere, salgano i pie' dell'affetto nostro nell'affetto di Cristo crocifisso: in altro modo non lo leggereste bene. Facciamoci a quel principale dell'affocata sua carità, la quale troviamo nel costato suo, unde egli ci mostra il secreto del cuore, mostrando che con cosa finita, cioè con la pena sua che fu finita, non può tanto mostrare l'amore che egli ci ha, né darci tanto che egli non ci voglia più mostrare e dare. Questo amore che egli ha a noi, vilissime creature, ci lassa per dottrina che con esso doviamo amare lui sopra ogni cosa e il prossimo come noi medesimi (Mt 22,37-39 Mc 12,30-31 Lc 10,27); lo quale amore si debba mostrare in effetto, sì come fece egli, che col sostenere cel dimostrò. Con amore dunque amaremo; e dimostraremo in Dio e nel prossimo se noi saremo fedeli alla dottrina sua, sostenendo pene obrobrii scherni e villanie, rimproveri e detrazioni; e per veruna ingiuria sarà diminuito l'affetto della carità in noi verso coloro che ce la faranno. E insegnaci dolere più della dannazione loro che della ingiuria nostra. E anco, c'insegna pregare Dio per loro, sì come fece egli quando i Giuderi lo crocifiggevano, dicendo: «Padre, perdona a costoro, poiché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Ode fuoco dolce d'amore che egli ha inverso di noi e vedi pazienza, a confusione degli amatori di loro medesimi e degli impazienti, che una parola lo' pare una coltellata; e se essi non ne rispondono quattro, pare che il cuore scoppi per veleno! Questi mostrano d'andare senza lume, e che non abbiano letto in questo glorioso libro. Perciò chi lo legge porta e sopporta i difetti del prossimo suo con grande compassione e carità fraterna.

Anco dimostra l'uomo l'amore che egli ha a Dio in portare con pazienza e con debita reverenzia ciò che egli ci dà e permette, non volendo investigare i misterii suoi, né giudicarli altro che nell'affetto della sua carità. Facendo così, si leggerà la dottrina della pazienza: nel tempo della guerra gustaremo la pace, nella infermità del corpo la sanità dell'anima; e così manifestaremo lo lume della fede, perché la pazienza dimostra che in verità noi aviamo veduto e creduto che Dio non vuole altro che la nostra santificazione, e però con reverenzia e pazienza l'aviamo ricevute. In questo lume si legge la speranza, la quale riceviamo, d'avere vita eterna in virtù del sangue di Cristo. Questa ci fa perdere la speranza di noi medesimi, del mondo e delle sue delizie e d'ogni altra cosa, e solo sperare in lui, come in nostro vero e sommo bene.

Troppo sarebbe longo a narrare ciò che si legge in questo libro, ma uoprasi l'occhio dell’intelletto, col lume della santissima fede, e mutinsi i piei dell'affetto, a leggere in questo dolcissimo libro. Ine si trova la prudenzia, ine la sapienza con la quale egli prese il demonio coll'amo della nostra umanità. In lui è giustizia, in tanto che, per punire la colpa, dié sé medesimo a l'obrobiosa morte della croce, facendo ancudine del corpo suo, la quale fabricò col fuoco della sua carità, col martello delle grandissime pene. Sì che in lui è giustizia, fortezza e temperanza, che per tenerezza di sé né per nostra ingratitudine né per le gride dei Giuderi non volta il capo adietro a ritrare il sacrificio che egli faceva di sé al Padre (He 9,26). Or leggiamo in quella virtù piccola della vera umilità, e profonda, che fu in lui: a vergogna della nostra superbia, vedremo Dio umiliato a l'uomo, la somma altezza discesa a tanta bassezza, Dio e Uomo umiliato alla penosa e vilissima morte della croce. E tutto dì lo vediamo usare di questa umilità.

Con quanta umilità e pazienza porta egli le nostre iniquità, la ignoranza, negligenzia e ingratitudine nostra! Tutte le porta per fame che egli ha della nostra salute, prestandoci lo tempo con le buone e sante 'spirazioni, con farci vedere e provare la fragilità nostra e la poca fermezza del mondo, affinché noi non ce ne fidiamo. E facci invitare ai servi suoi con la dottrina e con l'essemplo della vita, sforzando loro a pregarlo per noi con umili, continue e fedeli orazioni. Questo fa la sua bontà e umilità, insegnandoci a fare il simile verso il prossimo nostro. Or in questo modo seguitaremo le vestigie sue; leggendo in questo libro, impararemo la dottrina della sua verità, e con essa giognaremo al Padre; e in altro modo no, perché le virtù s'acquistano con fatica, facendo forza e violenzia alla propria fragilità. Nel Padre non cadde pena, ma sì nel Figlio; e col mezzo del sangue suo aviamo vita eterna. Però disse egli: «Neuno può andare al Padre se non per me» (Jn 14,6). E così è la verità, poiché egli è la via, cioè la dottrina sua è via di verità che ci dà vita, come detto è. Egli, come fonte d'acqua viva, invita a bere quegli che hanno sete, i quali, seguitando la dottrina sua, empiano il vasello dell'anima dell'acqua della grazia. Appogiando il petto (Jn 13,23) a l'umanità sua, nel modo detto s'attuffano in questa acqua, beiendo con la bocca del santo desiderio l'onore di Dio e la salute delle anime, con la fame delle virtù, le quali vede di potere acquistare in questo tempo presente. E però con grande sollicitudine l'essercita, per non esserne perditore, ma per lo maggiore tesoro che egli abbi, lo strigne a sé.

Questi sono gl'invitati; ma non i negligenti che giacciono nelle tenebre del peccato mortale, correndo per la via morta come ciechi e ostinati nelle miserie loro. Essi sono ben chiamati, ma non invitati: chiamati sono, avendoli Dio creati ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), e ricreati a grazia nel sangue del Verbo; ma non sono invitati, perché non vogliono essere. Per tutti è fatta la legge, ma di cui diremo che ella sia? Di coloro che l'osservano. Così, chi sonno gl'invitati a bere? Tutti noi che siamo chiamati? Chi dunque diremo che sieno gl'invitati? Solo quelli che hanno sete e fame della virtù e, come assetati, corrono per la dottrina di Cristo crocifisso ponendosi dinanzi, al lume della fede, la fonte, per crescere la sete. Con questa sete e lume giongono all'acqua, come detto è; ma senza lo lume mai vi sarebbono giunti. Molto avarei che dire sopra questi che sonno invitati, ma non mi voglio distendere più oltre.

Ma vediamo quale è l'altro che c'invita. Detto aviamo che Cristo dolce Gesù c'invita all'acqua viva. L'altro è il demonio, che c'invita a quella che egli ha per sé: in sé ha morte, Perciò noi invita all'acqua morta. Che se tu lo dimandassi: «Che mi darai, se io ti servo?», rispondarebbeti: «Di quello che io ho per me: io sono privato di Dio, e così tu sarai privato di Dio; io sono nel fuoco eternale, dove è pianto e stridore di denti (Mt 8,12 Lc 13,28); sono privato della luce e ammerso nelle tenebre; ho perduta ogni speranza; sono con la compagnia dei crociati e tormentati ne l'inferno, come io. Queste sono le gioie e il rifrigerio che tu avarai per merito». La fede ti dimostra che veramente egli è così; e però il fedele o egli non va mai per questa via o, essendovi, se ne parte. Bene è stolto e matto l'uomo che si tolle il lume, ché, privato del lume, non conosce i guai suoi.

Quale è la via di questo invitatore? è la via della bugia - poiché egli è padre delle bugie (Jn 8,44) - la quale bugia produce il miserabile amore proprio, col quale disordinatamente ama lo stato e le ricchezze del mondo, le cose create, le creature e sé medesimo, non curandosi di perdere Dio e la bellezza dell'anima sua. Ma, come cieco, si fa Dio di sé e del mondo, e, come ladro, fura il tempo: ché quello tempo che egli debba spendare in onore di Dio, salute sua e del prossimo, lo spende nel proprio diletto sensitivo, dilettandosi in sé medesimo, e dando agio e piacere al corpo suo fuore della volontà di Dio. Lo libro ch'egli ti pone innanzi è la propria sensualità, nel quale egli ha scritti tutti i vizii, con movimenti d'ira, di superbia, d'impazienzia, d'infedelità verso lo tuo Creatore; ingiustizia, indiscrezione, immundizia, odio verso il prossimo tuo; piacere del vizio e dispiacere delle virtù; grossezza e detrazione verso lo prossimo; accidia e confusione di mente, negligenzia, sonnolenzia e ingratitudine; e tutti gli altri difetti gli scrive. Se la volontà gli legge e gl'impara, mettendogli volontariamente in opera, egli segue, come infedele, la via della bugia del demonio. Beie in lui l'acqua morta, perché è privato della grazia in questa vita, e nell'altra riceve con lui insieme, morendo in peccato mortale, l'eterna dannazione e supplicio.

Perciò vedete, figli carissimi, quanto v'è necessario lo lume, di quanto male vi campa, e a quanto bene vi conduce. Considerando io questo, e vedendo che senza questo lume non si compirebbe in voi la volontà di Dio - lo quale vi creò per darvi vita eterna - né anco la mia, che non voglio altro in voi, dissi ch'io desideravo di vedere in voi lo lume della santissima fede. E così vi prego e voglio che sempre siate fedeli e veri servi di Cristo crocifisso: voglio che il serviate a tutto, e non a mezzo; a suo modo e non a vostro; non scegliendo né tempo né luogo, se non a modo suo, né propria consolazione; non rifiutando pene né battaglie dal demonio invisibile né dal visibile, né impugnazione della fragile carne, ma abbracciando la via delle pene per onore di Dio.

Seguitate Cristo crocifisso, mortificando lo corpo col digiuno, con la vigilia e con la continua umile e fedele orazione, e uccidete la volontà nella dolce volontà di Dio. La conversazione vostra sia coi servi suoi; e quando sete congregati non perdete il tempo in parlare ozioso né in gravarvi dei fatti altrui, mangiando le carni del prossimo per mormorazione e falso giudizio, poiché solo Dio è sommo giudice di noi e d'ognessuno; ma dimostrate d'essere congregati nel nome di Cristo, ragionando della bontà sua, e delle virtù dei santi, e dei difetti vostri. Siate forti, constanti e perseveranti nella virtù; e non sia demonio né creatura che per minacce né per lusinghe mai vi faccino voltare il capo indietro, perché solo la perseveranza è coronata. Chi non è legato al mondo, taglisi da esso attualmente e non si ponga a sciogliare, poiché non ha tempo; e chi non taglia, sempre sta legato. La memoria del sangue, col lume della fede, vi farà perfettamente tagliare da tutte quelle cose che sonno fuore della voluntà di Dio.

Sarete fedeli a lui, e a me miserabile, credendo che, se mai io non vi scrivesse, io v'amo in verità; e con sollicitudine procaccio la salute vostra dinanzi a Dio: di questo voglio che siate certi. I vero che, per lo mio difetto e per la molta occupazione che io ho avuta, non v'ho scritto; ma confortatevi e amatevi insieme, ché io ho volontà più che mai di vedervi scritti nel libro della vita. Annegatevi nel sangue de l'umile Agnello. Non cessate d'orare per la santa Chiesa e per lo nostro signore papa Urbano VI, perché ora è di grandissima necessità. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



319. Al soprascritto Stefano Maconi.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti vero guardiano della città dell'anima tua.

O figlio dolcissimo, questa città ha molte porte: le principale sonno tre, cioè memoria, intelletto e volontà; delle quali porte lo nostro Creatore tutte permette che sieno percosse, e quando aperte per forza, fuore che una, cioè la volontà. Unde alcune volte adiviene che l’intelletto altro non vede che tenebre; la memoria è occupata in cose vane e transitorie, con molte varie e diverse cogitazioni, e disonesti pensieri; e simile, tutti gli altri sentimenti del corpo sonno disordinati e atti a ruina. Unde certo si vede che veruna di queste porte è liberamente in nostra possessione; ma solo la porta della volontà è in nostra libertà, la quale ha per sua guardia lo libero arbitrio: ed è si forte questa porta che né demonio né creatura la può uprire, se la guardia non consente. E non uprendosi questa porta, cioè di consentire a quello che la memoria e lo intelletto e l'altre porte sentono, è franca in perpetuo la nostra città.

Ricognosciamo Perciò, figlio, ricognosciamo tanto eccelente beneficio, e sì smisurata larghezza di carità quanta aviamo ricevuto dalla divina bontà, avendoci messi in libera possessione di tanta nobile città. Brighianci di fare buona e solicita guardia, ponendo allato alla guardia del libero arbitrio il cane della conscienzia lo quale - quando alcuno giogne a la porta - desti la ragione abbaiando, affinché ella discerna se è amico o nemico; sì che la guardia metta dentro gli amici, mandando ad essecuzione le sante e buone 'spirazioni, e cacci via i nemici, serrando la porta della volontà che non consenta alle gattive cogitazioni che tutto dì giongono a la porta. Così fa' tu, figlio, e allora sarai vero guardiano. E quando ti sarà richiesta dal Signore, la potrai rendere salva e adornata di vere e reali virtù, mediante la grazia sua. Non dico più qui.

Come a dì primo di questo mese scrissi in comunità a tutti i figli, noi giognemmo qui la prima domenica de l'Avvento con molta pace, salvo che Neri e Francesco conduca Salvi e credo che tosto ci sarrà che tosto ne venghi qua a godere con questi tuoi e veri seguitatori de l'umile immacolato Agnello chi ha sete sarà saziato in verità e però sollicitamente Permane nella santa e dolce carità di Dio. Prega Dio per noi pur altri poverelli e poverelle ti confortano sconoscente ti si raccomanda. Gesù dolce, Gesù amore.





320. Stefano di Currado Maconi, in Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti levato dalla fanciullezza e essere uomo virile; levatoti da gustare il latte delle consolazioni mentali e attuali, e posto a mangiare il pane duro e muffato delle molte tribolazioni mentali e corporali, delle battaglie dali demoni, e ingiurie delle creature, e in qualunque altro modo a Dio piacesse di concederleti; dilettandoti in esse, e facendote lo' incontra con ardente desiderio e con un dolce ringraziamento verso la divina bontà, quando a lui piacesse d'usare in te questi grandi doni: la quale cosa gli piacerà ogni volta che ti vedrà atto a ricevere.

Destati, destati, figlio, dalla tiepidezza del cuore tuo, e tuffalo nel sangue, affinché egli arda nella fornace della divina carità, sì che gli venga in abominazione le opere fanciullesche, e infiammisi a essere tutto virile: entrare in sul campo della battaglia a fare grandi fatti per Cristo crocifisso, e virilmente combattere, perché dice Pavoloccio che non sarà coronato se non chi ligittimamente avrà combattuto (). Dunque da piagnere ha colui che si vede stare fuore del campo. Or io non dico più qui.

Ebbi la tua lettera, e vidila volontieri. Del fatto del Proposto, ti rispondo che molto mi piace la sua buona disposizione; ed è da godere dei dolci giuochi che fa questo nostro dolce Dio con le sue creature, per riducergli al fine al quale fummo creati tutti, unde, quando non giova la medicina dolce e l'unzione della consolazione, sì ci manda la tribolazione, incendendo la piaga col fuoco perché non marcisca. Nel fatto suo m'affaticarò volentieri per onore di Dio e salute sua, passate queste feste e santi dì.

Le indulgenzie che mi chiedi m'ingegnarò d'accattarle con le prime che io dimandarò; non so il quando, poiché io ho ristucchi gli scrivani della corte: conviensi un poco tenere in collo. A Matteo scrivo una lettera: dara'gliele e confortalo; e ritrovati con lui alcune volte, riscaldandolo e infiammandolo alla impresa cominciata. HO sentito la infermità che Dio ha mandata a Ghetto e, considerato la sua necessità, ti prego e strengo quanto più posso che tu adoperi coi tuoi fratelli che la Compagnia della Vergine Maria gli facci aiuto, il più che tu puoi. Molto è da avere compassione a Caterina, a trovarsi sola e povera sanza veruno refugio, e però sia sollicito a usare questa carità. Io ne scrivo anco a Petro. Fate che io m'avvegga che voi non ci aviate commessa negligenzia. Altro non ti dico.

Permane nella santa e dolce carità di Dio. Tutta questa famiglia ti confortano in Cristo; e il negligente e ingrato scrittore ti si raccomanda. Gesù dolce, Gesù amore.



321. Alla Compagnia della disciplina della Vergine Maria, in Siena.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.



Carissimi fratelli e padri in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi veri lavoratori nella vigna delle anime vostre, affinché rapportiate lo molto frutto al tempo della ricolta.

Sapete che la verità eterna creò noi ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26): fececi come sua vigna nella quale vuole abitare per grazia, colà dove piaccia al lavoratore di questa vigna di lavorarla bene e dirittamente; che se ella non fusse lavorata, ma abondasse di spine e di pruni, già non si dilettarebbe d'abitarvi. Or vediamo, carissimi fratelli, che lavoratore ci ha posto questo maestro: àcci posto lo libero arbitrio, in cui è commessa tutta la governazione. Ècci la porta della volontà, che neuno è che la possa aprire o serrare se non quanto il libero arbitrio vuole; àcci posto lo lume dello intelletto, per conoscere gli amici e i nemici che volessero intrare e passare per la porta. Alla quale porta è posto lo cane della coscienza che abaia come li sente apparire, se egli è desto e non dorma. Questo lume discerne e vede lo frutto, traendone la terra acciò ch'lo frutto rimanga netto, e mettelo nel granaio della memoria, ritenendovi il ricordo dei beneficii di Dio. Nel mezzo della vigna è posto lo vasello pieno di sangue, cioè il cuore, per inaffiare con esso le piante affinché non si secchino.

Or così dolcemente è fatta e creata questa vigna, ma io m'avegio ch'lo veleno dell'amore proprio ha avelenato questo lavoratore, in tanto che la vigna nostra è tutta insalvatichita. O egli ci è frutto che ci dà morte, o egli ci sono frutti salvatichi e acerbi, perché i seminatori rei deli demoni passarono per la porta della volontà col seme delle molte e varie cogitazioni: seminandole lo libero arbitrio, nacquene mortale frutto, cioè di molti peccati mortali. Oh quanto è laida a vedere questa cotale misera vigna, che di vigna è fatta bosco, con le spine della superbia e dell'avarizia, coi pruni dell'ira e della impazienzia, piena d'erbe velenose: di giardino è fatta stalla, dilettandoci noi di stare nel loto della immondizia.

Questo giardino non è chiuso, ma è aperto, e però i nemici dei vizii e deli demoni v'entrano come in loro abitazione. La fonte è risecca, cioè la grazia, la quale traemo del santo battesimo in virtù del sangue; lo quale sangue inaffiava essendone pieno lo cuore per affetto d'amore. Lo lume de lo intelletto non vede altro che tenebre perché è privato della pupilla della santissima fede, unde non vede né conosce altro che amore sensitivo. Di questo empie la memoria, unde altro ricordo non ha né può avere - mentre che sta così - se non di miseria, con disordinati apetiti e desiderii. Àcci posta una vigna appresso a questa, la dolce verità eterna, cioè il prossimo nostro, la quale è tanta unita insieme con la nostra che utilità non possiamo fare a la nostra che non sia fatto anco alla sua. Anco, ci è comandamento che noi la governiamo come la nostra, quando ci è detto: «Ama Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come te medesimo».

(Mt 22,37-39 Mc 12,29-31 Lc 10,27) Oh quanto è crudele quello lavoratore che sì male ha governata la vigna sua, senza alcuno frutto se non d'alcuno atto di virtù: e questi sonno sì acerbi che neuno è che ne possa mangiare! Ciò sonno le buone opere fatte fuori della carità. Oh quanta è misera quella anima che nel ponto della morte, lo quale è un tempo di ricolta, si trova senza neuno frutto: la pruova le fa conosciare la morte sua. Va cercando allora d'avere lo tempo per poterla governare, e non ha lo modo. Lo ignorante uomo credevper potere tenere lo tempo a suo modo; e egli non è così.

Perciò ci leviamo nel tempo presente, che ci è prestato per misericordia. Levisi la ragione col libero arbitrio, e cominciamo a rivoltare la terra di questo disordinato amore: cioè che l'affetto (lo quale è tutto terreno e d'altre che di cose transitorie non si vuole notricare - le quali passano tutte come lo vento senza alcuna fermezza o stabilità -) , diventi celestiale, cercando i beni del cielo, i quali sonno fermi e stabili che in sé non hanno alcuna mutazione. Apriamo la porta della volontà a ricevare il seminatore vero Cristo crocifisso, il quale porge nella mano del libero arbitrio lo seme della dottrina sua, lo quale seme produce i frutti delle vere e reali virtù. Le quali virtù il libero arbitrio l'ha scelte col lume dalla terra: cioè che non ha seminate né ricolte in sé le virtù per neuno terreno amore o piacere umano; ma con odio e pentimento di sé medesimo ne l'ha gittato fuore, e il frutto riposto nella memoria, per ricordo dei benifizii di Dio, riconoscendo d'averli da lui e non per sua propria virtù.

Che alboro ci pone? L'alboro della perfettissima carità - che la cima sua s'unisce col cielo, cioè nell'abisso della carità di Dio -, i rami suoi tengono per tutta la vigna, unde mantengono in freschezza i frutti: poiché tutte le virtù procedono e hanno vita dalla carità. Di che si inaffia? Non d'acqua, ma di sangue prezioso sparto con tanto fuoco d'amore, lo quale sangue sta nel vasello del cuore.

E non tanto ch'egli ne inaffi questa dolce e dilettevole vigna e nobile giardino, ma egli ne dà bere al cane della conscienzia abondantemente, affinché, fortificato, facci buona e solenne guardia a la porta della volontà, affinché neuno passi che esso non il facci sentire destando col grido suo la ragione; e la ragione col lume de lo intelletto raguardi se sono amici o nemici. Se sonno amici che sieno mandati dalla clemenza dello Spirito santo - ciò sono i buoni e santi pensieri con le buone e perfette opere - siano ricevuti dal libero arbitrio, diserrando la porta della volontà con le chiavi dell'amore; e se sonno nemici di perverse cogitazioni, con opere corrotte, le cacci con la verga dell'odio con grandissimo rimproverio: non si lassino passare che non sieno corrette, serrando la porta della volontà che non consenta a loro.

Allora Dio, vedendo che il lavoratore del libero arbitrio, lo quale egli mise nella vigna sua, ha bene lavorato in sé e in quella del prossimo suo - sovenendoli in ciò che gli è stato possibile, per carità e affetto di carità -, egli si riposa dentro in quella anima per grazia: non che per nostro bene a lui cresca riposo - poiché non ha bisogno di noi -, ma la grazia sua si riposa in noi. La quale grazia ci dà vita; rivesteci, ricoprendo la nostra nudità; dacci lume; sazia l'affetto dell'anima: e, saziata, rimane affamata; dàlle lo cibo ponendola a mangiare alla mensa della santissima croce. Nella bocca del santo desiderio dà lo latte della divina dolcezza, pigliando con essa la mirra dell'amaritudine dell'offesa di Dio e dell'amaritudine della croce, cioè delle pene che il figlio di Dio portò; dàlle oncenso d'umili, continove e fedeli orazioni, le quali offera molto ferventemente per onore di Dio e salute delle anime.

Oh quanto è beata questa anima! Veramente ella gusta vita eterna, ma noi non ci curiamo di questa beatitudine: ché se noi ce ne curassimo, elegiaremmo inanzi la morte che perdare tanto bene. Leviamo questa ignoranza, e cerchianla con ogni verità: cercandola in verità, andaremo colà dove Dio l'ha posta, ché se noi cercassimo altrove già non la trovaremo.

Detto abiamo come l'anima nostra è vigna, e come ella è adornata, e come Dio vuole che ella sia lavorata; ora vediamo dove ci ha posti. Àcci posti nella vigna della santa Chiesa; e ha posto in essa lo lavoratore, cioè Cristo in terra, lo quale ha da amministrare a noi lo sangue di Cristo; e col coltello della penitenza, la quale riceviamo nella santa confessione, taglia lo vizio dell'anima, notricandola al petto suo, legandola col legame della santaobbedienza. E senza questa vigna la nostra sarebe ruinata, la grandine le torrebbe ogni frutto: cioè, se ella non fusse legata in questaobbedienza. Perciò ci conviene cercare la vigna nostra nella vigna della santa Chiesa, altrimenti saremo privati d'ogni bene e cadaremo in ogni male.

Ora è il tempo, carissimi fratelli e padri, di mostrare se in verità ci saremo legati, o no. A che me n'avedrò? Se in questo tempo voi soverrete il vicario di Cristo lavoratore di questa vigna della Chiesa, papa Urbano VI, spiritualmente e temporalmente. Spiritualmente, con l'umile orazione; temporalmente, adoparando giusta lo vostro potere ch'i Signori di costì li dieno aiutorio, il quale aiuto non è donare ma è un fare il debito suo. E come non vedete voi che noi siamo tenuti per debito di farlo, e ch'egli è uno sovvenire a noi medesimi? Amiamo noi sì poco la fede nostra che noi non ne vogliamo essere difenditori e mettarci la vita, se bisogna? E siamo noi ingrati e irriconoscenti di tanti beneficii quanto abiamo ricevuti da Dio e da lui? E non vediamo noi che la 'ngratitudine fa seccare la fonte della pietà? Non voglio che siamo ingrati, ma grati e conoscenti, affinché si notrichi la pietà in noi. E però vi prego e constringo, per l'amore di Cristo crocifisso e per la vostra utilità, che adoperiate ciò che si può a sovvenire a questo bisogno, il quale è così nostro come di Cristo in terra. Che ingratitudine è questa, d'avere avuta l'absoluzione, la benevolenza sua e ciò che hanno saputo adimandare, e ora a lui non danno altro che parole? Pare che si voglino stare di mezzo con tepidezza di cuore e timore servile; e non vediamo, per l'essere iscostati dal Padre nostro, a quanti pericoli possiamo venire. E spezialmente aspettandosi nel paese avvenimento di signore. Siamo pronti per l'amore di Dio a sovvenire a questa verità. Ragionatene l'uno con l'altro e siatene coi Signori e parlatene a loro.

Sono certa che se sarete buoni e perfetti lavoratori nella vigna vostra voi lavorerete con grande solecitudine, per amore della verità, nella vigna della santa Chiesa; ma se sarete cattivi lavoratori in voi, non vi curarete di lavorare in lei, sì come insino ad ora si mostra. E però dissi che io desiderava di vedervi veri governatori e lavoratori nella vigna delle anime vostre, e così vi prego che facciate. Conchiudo che facciate speziale orazione per la santa Chiesa e per papa Urbano VI, e che preghiate i Signori che non indugino più a rendere il debito loro. Altro non dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 19:06

322. A don Giovanni monaco nelle Celle di Vallombrosa, essendo richiesto dal santo padre papa Urbano VI.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio e padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi arso nella fornace della divina carità.

La qual carità consuma l'acqua de l'amore proprio di noi medesimi: fa l'uomo perdere sé medesimo, cioè che non cerca sé per sé, ma sé per Dio, né appetisce le proprie consolazioni. Se egli ama il prossimo non l'ama per sé ma per Dio, cercando la salute sua; e Dio ama perché conosce ch'egli è somma ed eterna bontà, degno d'essere amato. Oh quanto è dolce la madre della carità! Ella notrica i figli delle virtù al petto suo, che nessuna virtù può dare a noi vita di grazia se ella non è fatta e notricata dalla carità. Ella è uno lume che priva delle tenebre della ignoranza, col quale lume più perfettamente si conosce la verità: e, nel più conoscere, più ama. Ella è uno vestimento che ricuopre la nostra nudità, ché l'anima la quale è nuda di virtù (unde le segue vergogna, sì come a l'uomo che si vede nudo), ella la ricuopre del vestimento delle vere e reali virtù. Ella è uno cibo che dà fame insiememente e nutre l'anima, ché altrimenti non sarebbe cibo dilettevole se la fame insiememente col cibo non fosse: unde noi vediamo che l'anima che si consuma in questa fornace sempre mangia il cibo suo; e quanto più mangia più ha fame.

Quale è il cibo suo? I l'onore di Dio e la salute delle anime: levata s'è da cercare l'onore proprio, e corre come inamorata alla mensa della croce a cercare l'onore di Dio. Ella si satolla d'obbrobrii abracciando scherni e villanie, conformandosi tutta nella dottrina del Verbo, e seguitando in verità le vestigie sue. Non gli è duro il portare pene né fatighe, anco gli è diletto, perché con odio santo ha abandonato sé medesimo, unde riluce in lui la virtù della pazienza, con la sorella della fortezza e la longa perseveranza. Ella gusta la caparra di vita eterna, sì come quegli che stanno nell'amore proprio gustano la caparra de l’inferno perché sono fatti incomportabili a loro medesimi, per lo disordinato amore che hanno a loro e alle cose create.

Bene è dunque dolce questa dolce madre: non è da dormire, ma è da cercarla con perfetta sollecitudine, chi l'avesse smarrita per colpa di peccato mortale: smarrita, dico, perché la può ritrovare, mentre che egli ha il tempo; e chi l'ha imperfettamente cerchi d'averla con perfezione. E non si dorma più, ché noi siamo chiamati e invitati a levarci dal sonno. Dormiremo noi nel tempo che i nimici nostri veghiano? No, ché la necessità ci chiama e il debito ci stregne che con istrette d'amore ci debba destare.

Or videsi mai tanta necessità quanta oggi si vede nel corpo mistico della santa Chiesa, di vedere levati i figli notricati al petto della santa Chiesa ed essere contro al padre - facendo contro a Cristo in terra, papa Urbano VI, il quale è veramente papa -, e avere eletto l'antipapa, demonio incarnato egli e chi il segue? Bene ci debbe stregnere il debito di subvenire al padre nostro, in questa necessità, lo quale dimanda benignamente e con grande umilità l'aiutorio dei servi di Dio, volendoli allato a sé. Noi doviamo respondere, consumati nella fornace della carità; e non ritrare adietro, ma andare innanzi con una verità schietta che non sia contaminata per veruno piacere umano; con uno cuore virile intrare in questo campo della battaglia, con vera umilità cordiale.

Rispondete, poiché il sommo pontefice papa Urbano umilemente vi richiede non per le nostre virtù o giustizie, ma per la bontà di Dio, e umilità sua. E però io vi prego, per l'amore di Cristo crocifisso, che voi prontamente compiate la volontà di Dio e la sua. Ora m'avedrò se voi sarete amatore e zelante de l'onore di Dio e della reformazione della santa Chiesa, e se voi non raguardarete alle consolazioni vostre. Sono certa che, se averete consumato l'amore proprio in questa fornace, voi non curarete d'abandonare la cella né le vostre consolazioni, ma pigliarete la cella del cognoscimento di voi e con essa verrete a ponere la vita, se bisognerà, per la verità dolce: altrementi no. E però dissi che io desideravo di vedervi consumato ogni amore proprio nella fornace della divina carità. Escano fuore i servi di Dio, e vengano ad annunziare e a sostenere per essa verità, ché ora è il tempo loro. Venite, e non indugiate, con ferma disposizione di volere attendere solo a l'onore di Dio e bene della santa Chiesa; e per questo ponere la vita, se bisognerà. Non dico più qui.

Ma d'un'altra cosa vi prego e costringo da parte di Cristo crocifisso: che voi andiate a Fiorenze, e dite a quelli che sono vostri amici - e che il possono fare - che lo' piaccia di subvenire al Padre loro e d'attenergli quello che essi hanno promesso. E non voglino mostrare tanta ingratitudine delle grazie che essi hanno ricevute da Dio e dalla Santità sua - voi sapete bene che la ingratitudine disecca la fonte della pietà -: e quante n'hanno ricevute! E delle offese che essi hanno fatte che punizione n'hanno ricevuta? Nessuna da lui, ma grazie. Se essi nol conosceranno, riceverannola dal sommo giudice, e molto più dura senza alcuna comparazione che la disciplina umana, e però gli pregate strettissimamente che faccino il dovere loro, e non si lassino ingannare dalle lusinghe de l'antipapa demonio incarnato etc.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



323. A don Bartolomeo Serafini priore di Gorgona dell'ordine di Certosa in Pisa, a dì xv di dicembre 1378.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi sollicito ad essercitarvi in servizio della dolce Sposa di Cristo, la quale si vede ora in tanta necessità. Ora è il tempo nostro che si vedrà chi sarà amatore della verità o no: non è da dormire, ma è da destarsi dal sonno e ponersi per oggetto lo sangue di Cristo crocifisso, affinché siamo più inanimati alla battaglia.

Lo nostro dolce santo padre papa Urbano VI, vero sommo pontefice, pare che voglia pigliare quello remedio che gli è necessario alla riformazione della santa Chiesa, cioè di volere i servi di Dio allato a sé, e col consiglio loro guidare sé e la santa Chiesa: per questa cagione vi manda questa bolla, nella quale si contiene che voi abbiate a richiedare tutti quelli che vi saranno scritti. Fatelo sollicitamente e tosto, e non ci mettete spazio di tempo, ché la Chiesa di Dio non ha bisogno d'indugio. Lassate stare ogni altra cosa sia - ciò che si vuole -, e sollicitate gli altri che vi saranno scritti che tosto siano qui. Non tardate, non tardate, per l'amore di Dio.

Entrate in questo giardino a lavorare di qua; e frate Raimondo è ito a lavorare di là, poiché il santo padre l'ha mandato al re di Francia. Pregate Dio per lui che il faccia vero seminatore della verità; e se egli è bisogno, che ne ponga la vita. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Lo santo padre si conforta bene e realmente, come uomo virile giusto e zelante de l'onore di Dio che egli è.

Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso. Gesù dolce, Gesù amore.





324. A Stefano Maconi detto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti morire spasimato, per onore di Dio, di quella morte che dà vita a l'anima: cioè che per onore di Dio non curi di te, ma virilmente ti vega corrire in qualunque parte meglio possa compire la volontà sua. Tempo è, figlio mio dolce, da perdare sé e non curare di cosa veruna, pure che noi facciamo l'onore di Dio per molta occupazione. Non dico più qui.

Pregoti e comando, per parte di Cristo crocifisso, che se il Priore etc. o altre per lui, con lettere o con ambasciata, ti richiedesse d'alcuno servigio, che tu l'obedisca come la mia persona propria, sapendo che per mia volontà ti sarà imposto ciò ch'egli volesse da te. E il simigliante ti dico di Tomaso etc.

Briga di levarti dal mondo attualmente, affinché in verità osservi i comandamenti e consegli di Cristo crocifisso. Tutta questa famiglia ti conforta; e vogliono che preghi Dio per loro etc.

Permane etc.

Impone a tutti i figli di nuovo che ogni dì faccino speciale orazione per la santa Chiesa e per papa Urbano VI, perché egli ha di nuovo dato indulgenzia cento dì a chiunque prega per la Chiesa. Gesù dolce, Gesù amore.





325. A frate Tommaso dei frati Predicatori.

Al nome di Cristo Gesù crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spasimato di quella morte che dà vita di grazia all'anima, cioè dolore dell'offesa di Dio e danno delle anime.

Questo dolce dolore voglio che continuamente cresca ne la mente vostra. Dolce è, perché procede da la dolcezza de la divina carità; e non affrigge l'anima, anco la 'ngrassa, poiché per compassione la fa stare nel cospetto di Dio con umile, continua e fedele orazione a pregarlo per la salute di tutto quanto lo mondo: che allumini gli occhi dei tenebrosi - i quali giacciono ne la morte del peccato mortale -, e doni la perfezione ai servi suoi. Umile, dico: tratta del cognoscimento di sé, vedendo sé non essere, se non in quanto è fatto e creato da Dio. Continua, dico, tratta del cognoscimento de la bontà di Dio in sé, dove ha veduto che continuamente Dio adopera in lui, versando le molte grazie e i diversi beneficii sopra di lui. E, dissi, fedele: che in verità speri, e con ferma e viva fede creda che Dio sa, può e vuole essaudire le giuste petizioni nostre, e dare le cose necessarie a la nostra salute. Or questa è quella orazione che vola e trapassa fino a l'orechia di Dio, e sempre è essaudita. Ma non veggio che si possa fare stando in freddezza di cuore, e però vi dissi che io desideravo di vedervi morire spasimato, la qual cosa procede dal fervente desiderio che l'anima ha a Dio.

Orsù, figlio carissimo, risentianci a tanta necessità quanta vediamo ne la santa Chiesa. Mughi lo desiderio vostro sopra questi morti; e non ci ristiamo perfino a tanto che Dio volla l'occhio de la sua misericordia. Lo santo padre Urbano VI mi possiede conceduta la 'ndulgenzia di colpa e pena per voi e per più altri: e sete obligato ne le confessioni e predicazioni inducere la gente a fare la loro possibilità che lo Comune renda lo debito al santo padre, e sovvenirlo in tanta necessità. A questo sete obligato voi e tutti gli altri frati a cui egli l'ha conceduta. E però verilmente annunziate questa verità.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

1379 nel dì di santo L., in Roma.







326. A frate Guglielmo d'Inghilterra e frate Antonio da Nizza, a Lecceto presso a Siena.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi perdare voi medesimi per sì-fatto modo che voi non cerchiate né pace né quiete altro che in Cristo crocifisso, concependo fame in su la mensa della croce a l'onore di Dio, e salute delle anime e riformazione della santa Chiesa; la quale oggi vediamo in tanta necessità che, per sovenirla, è da uscire del bosco e abandonare sé medesimo.

Vedendo che si possa fare frutto in lei, non è da stare, né da dire: «Io non avarei la pace mia», ché poi che Dio ci ha data grazia d'avere proveduto a la santa Chiesa d'uno buono e giusto pastore - lo quale si diletta dei servi di Dio, e vuogli a sé, e atende di potere purgare e divellare i vizii e piantare le virtù senza alcuno timore d'uomo, perché come uomo giusto e virile si porta -, noi altri lo dobiamo sovvenire.

Avedromi se in verità aviamo conceputo amore alla riformazione della santa Chiesa: poiché se sarà così in verità seguitarete la volontà di Dio e del vicario suo, escirete del bosco e verrete ad intrare nel campo della battaglia. Ma se voi nol farete, vi scordarete dalla volontà di Dio.

E però vi prego, per l'amore di Cristo crocifisso, che tosto ne veniate senza indugio alla richiesta che il santo padre fa a voi; e non dubitate di non avere del bosco: ché qui ha dei boschi e delle selve. Su, carissimi figli, e non dormite più, ché tempo è di vigilia. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.

In Roma, a dì 15 di dicembre 1378.




327. A frate Andrea da Lucca, a frate Baldo e frate Lando, servi di Dio in Spoleto, essendo per introdotto di lei richiesti dal santo padre.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi padri in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi solliciti e pronti a fare la volontà di Dio e quella del vicario suo in terra, affinché per voi e per gli altri servi di Dio sia sovenuto alla dolce Sposa sua, la quale oggi vediamo posta in tanta amaritudine che da ogni lato è percossa da molti venti contrarii.

E singularmente la vedete percossa dagl'iniqui uomini amatori di loro medesimi col pericoloso vento e malvagio della eresia e scisma, che ha a contaminare la fede nostra. O fu ella mai in tanto bisogno, che chi la debbe aitare l'abbi percossa, e da quelli che l'hanno ad alluminare le sia porta le tenebre? Debbonsi notricare del cibo delle anime, ministrando lo' lo sangue che lo' dà vita, cioè il sangue di Cristo crocifisso, e essi lo tragono loro di bocca, ministrando lo' morte eternale, come lupi, non governatori ma divoratori delle pecorelle.

E che faranno i cani, cioè i servi di Dio, che sono posti nel mondo per guardie affinché abbaino quando veggono giognare lo lupo, perché lo pastore principale si desti? Con che abbaieranno e debbono abbaiare? Con l'umile e continua orazione e con la voce viva della parola. A questo modo spaventaranno i demoni visibili e le invisibili; destarassi lo cuore e l'affetto del principale pastore nostro papa Urbano VI; desto che egli sia, non dubitiamo che il corpo universale della religione cristiana e il corpo mistico della santa Chiesa saranno sovenuti, e ricoverate le pecorelle, e tratte delle mani deli demoni.

Non vi dovete ritrare per nessuna cosa: non per pena che n'aspettaste; non per persecuzioni, infamie o scherni che fussero fatti di voi; non per fame né sete né morte, se mille volte si potesse dare la vita; non per desiderio delle vostre consolazioni, che voi diciate: «Io voglio la pace e la quiete dell'anima mia; e con l'orazione potrò gridare nel conspetto di Dio». Non così, per l'amore di Cristo crocifisso! ché ora non è tempo da cercare sé, né per fugire pene né per cercare consolazioni; anco, è tempo da perdare sé medesimo, poi che la infinita bontà e misericordia di Dio ha proveduto alla necessità della santa Chiesa d'averle dato uno pastore giusto e buono, il quale vuole avere intorno a sé, per onore di Dio e bene della Chiesa, di questi cani che abbaino continovamente intorno a lui, per timore di non dormire, non fidandosi della vigilia sua, affinché sempre l'abbiano a destare: tra' quali che egli ha eletti sete voi.

E però io vi prego e strengo in Cristo dolce Gesù che tosto veniate a compire la volontà di Dio, che vuole così, e la santa volontà sua, che benignamente chiama voi e gli altri. Non vi bisogna avere paura delle delizie né delle grandi consolazioni, ché voi venite a patire e a sostenere e non a dilettarvi, se non del diletto della santissima croce. Traete fuori lo capo, e uscite a campo a combattare realmente per la verità, ponendoci dinanzi a l'occhio dell'intelletto la persecuzione ch'è fatta al sangue di Cristo e la dannazione delle anime, affinché siamo più inanimati alla battaglia; e per nessuna cosa voltiamo lo capo a dietro.

Venite, venite e non tardate aspettando lo tempo, ché il tempo non aspetta noi.

Sono certa che la infinita bontà di Dio vi farà conosciare la verità, e anco so che molti, eziandio di quelli che son servi di Dio, biasimaranno e contradiceranno a questa santa e buona opera, parendo lo' fare bene dicendo: «Voi andarete e non si farà nulla». E io, come presuntuosa, dico che si farà; e se ora non si compirà il nostro principale affetto, almeno si farà la via. E se nessuna cosa ce ne venisse fatta, aviamo mostrato nel conspetto di Dio e delle creature d'avere fatto la nostra possibilità, e scusata è la conscienzia nostra, sì che per ogni modo questo è bene. Quanto più contrario averete, più v'è un segno dimostrativo che ella è buona e santa opera: questo aviamo veduto e vediamo continovamente, che le grandi sante e buone opere hanno più contrario che le piccole perché sono di maggiore frutto; e però lo demonio le impedisce in ogni modo che può, e spezialmente con occulto inganno, sotto colore di virtù, col mezzo dei servi di Dio.

Questo v'ho detto affinché per nessuna cosa lassiate, né per questo né per altro, ma mostrate sempre d'essere pronti ad obedire. Annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso: ine muoia ogni nostra propria volontà. Altro non vi dico. Raccomandatemi strettamente a tutti cotesti servi di Dio che preghino la divina bontà che io ponga la vita per la verità sua.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





328. A frate Antonio da Nizza dell'ordine degli Eremitani, a Lecceto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato sopra la viva pietra, Cristo dolce Gesù, affinché l'edificio che ci si pone su non caggia mai per neuno vento contrario che venisse.

O quanto ci è necessario questo vero e reale fondamento, non conosciuto da me, miserabile e ignorante!, che se io il conoscessi, non lo farei sopra me medesima - che sono peggio che rena -, ma sopra la viva pietra di sopra detta. Seguitando Cristo per la via degli obrobrii, pene scherni e villanie, io mi privarei d'ogni consolazione per potermi conformare con Cristo crocifisso, da qualunque lato elle si vengano, o dentro o di fuore. Non cercarei me per me, ma solo atendarei a l'onore di Dio, alla salute delle anime, e alla reformazione de la santa Chiesa, la quale vego in tanto bisogno.

Misera me, che fo tutto il contrario! Facendo male io non vorrei poiché voi né gli altri il faceste; anco desidero di vedervi fondato in su questa pietra. Ora è venuto quello tempo che si pruova chi è servo di Dio; e se essi cercaranno loro per loro, e Dio per propria loro consolazione che truovino in lui, e il prossimo per loro - in quanto se ne vegano consolazione, e non perderla -, o no; e se noi crederemo che Dio si truovi solamente in uno luogo e non in un altro. Non vego che sia così; ma truovo che al vero servo di Dio ogni luogo gli è luogo e ogni tempo gli è tempo. Quando egli è tempo d'abandonare la propria consolazione e abracciare le fatighe per onore di Dio, egli lo fa; e quando è tempo di fugire lo bosco e andarne ai luoghi publichi, per necessità de l'onore di Dio, egli vi va sì come faceva lo glorioso santo Antonio, lo quale, nonostante che molto amasse la solitudine, nondimeno spesse volte n'usciva per confortare i cristiani. Questo è sempre stato lo costume dei servi di Dio, d'uscire fuori nel tempo della necessità ma non nella prosperità; anco nella prosperità essi fugono e nella avversità corrono.

Non bisogna, a questo tempo, lo fugire per timore che per la molta prosperità noi andiamo a vela col vento della superbia e vanagloria, ché neuno è che si possa gloriare altro che nelle fatighe. Ma pare a me ch'lo lume ci manchi, abaccinati dalle proprie consolazioni e speranza posta in rivelazioni, unde non ci lassa bene conosciare la verità, poniamo che con buona intenzione si faccia. Ma Dio, lo quale è somma e eterna verità, ci dia vero lume e perfettissimo. Non voglio distendermi più sopra questa materia.

Dissemi questo giovane portatore della presente lettera, che voi dovavate venire innanzi la Pasqua. Ora pare, per la lettera che frate Guiglielmo mi possiede mandata, che né l'uno né l'altro venga: alla quale lettera non intendo di rispondare, ma molto mi duole della sua semplicità, perché ne segue poco onore di Dio e edificazione del prossimo. Che s'egli per umilità non vuole venire, o per timore di non perdare la pace sua, dovarebbe usarla, la virtù de l'umilità: cioè con mansuetudine e umilità chiedere licenzia al vicario di Cristo, supplicare alla Santità sua che gli piacesse di lassarlo stare al bosco per più sua pace, nondimeno rimettendolo nella volontà sua, sì come vero obediente: e così sarebbe più piacevole a Dio, e utilità a l'anima sua.

Ma pare ch'egli abbia fatto il contrario, ponendo che chi è legato a l'obedienzia divina non debbe obedire alla creatura. De l'altre creature non curarei, ma ch'egli ci metta lo vicario di Cristo, questo molto mi duole, vedendo che egli si scordi tanto dalla verità: poiché l'obedienzia divina non ci trae mai di questaobbedienza. Anco, quanto è più perfetta la divina, tanto è più perfetta questa, e sempre al comandamento suo dobiamo essere sudditi e obedienti fino alla morte. Poniamo che la suaobbedienza paresse indiscreta, e privasseci della pace e consolazione della mente, noi dobiamo obedire; e facendo lo contrario, riputo che sia grande imperfezione o inganno del demonio.

Pare, secondo che egli scrive, che due servi di Dio abbiano avuta grande revelazione che Cristo in terra, e chi l'ha consigliato che esso mandi per questi servi di Dio, sieno stati ingannati, e che questa sia cosa umana e non divina, e sia stata più tosto 'spirazione dal demonio che da Dio, per volere trare i servi suoi della pace e consolazione loro, dicendo che se voi veniste, e gli altri ancora, perdareste lo spirito, e così non potreste sovvenire coll'orazione né stare in spirito col santo padre. Troppo sta ataccato legiero se, per mutare luogo, si perde lo spirito! Pare che Dio sia acettatore dei luoghi, e che egli si truovi solamente nel bosco e non altrove, nel tempo delle necessità.

Perciò che diremo, che dall’una parte desideriamo che sia riformata la santa Chiesa, e siane tratte le spine, e messeci i fiori dei servi di Dio; e da l'altro lato diciamo ch'lo mandare per loro e trarli della pace e quiete della mente, perché vengano a sovvenire questa navicella, è inganno di demonio? Almeno parlasse per sé medesimo, e non parlasse in comune degli altri servi di Dio! (poiché i servi del mondo non ci dobiamo noi mettare). Non hanno fatto così frate Andrea da Lucca e frate Pavolino, così grandi servi di Dio, antichi e poco sani, stati tanto tempo nella pace loro; e nondimeno subito con loro fatica e malagevolezza si misero in via, e sonno venuti, e compita hanno l'obedienzia loro. E poniamo ch'lo desiderio gli stringa di tornare a le celle loro, non vogliono però partirsi dal giogo - ma dicono: «Quello che io ho detto, sia per non detto», anegando la loro volontà -, né le proprie consolazioni. Chi viene, viene per sostenere, e non per prelazioni, ma per la degnità delle molte fatighe, con lacrime, vigilia e continova orazione: così si debba fare.

Or non ci graviamo più sopra questa materia ché troppo aremmo che dire. Ma d'una cosa mi maraviglio, con-ciò-sia-cosa-che io sappi il contrario, che io vegga dare giudicio che il maestro Giovanni sia venuto solo per essaltarsi. Cordialmente ne sento intollerabile dolore, vedendoci col colore della virtù offendere Dio tanto manifestatamente, con-ciò-sia-cosa-che la intenzione della creatura non si possa né debba giudicare; ma se alcuno difetto conoscessimo, ch'lo vedessimo per effetto, non dobiamo giudicare la intenzione, ma con grande compassione portarlo dinanzi a Dio. Il contrario si fa, come ingannati da' nostri pareri. Dio, per la sua infinita misericordia ci mandi schietti per la via della verità e dìaci vero e perfettissimo lume, affinché mai non andiamo in tenebre. Prego voi e il baccelliere e gli altri servi di Dio che preghiate l'umile Agnello che mi facci andare per la via sua. Altro non vi dico.

Del venire e dello stare vostro e di frate Guiglielmo siane fatta la volontà di Dio. Già non aspettava io che egli venisse, e anco non aspettava che rispondesse con tanta irreverenzia della santaobbedienza, né con tanta simplicità. Raccomandatemi a lui e a tutti gli altri. Prego voi e lui che se io sono stata cagione di scandalizzarvi e darvi pene, voi mi perdoniate. Confesso che io sono scandalo a tutto il mondo, come ignorante e piena di difetto che io sono.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




329. A Stefano di Currado, essendo essa a Roma.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti tagliare e non ponerti a sciogliare, poiché nello sciogliere si mette spazio di tempo, e tu non sei sicuro d'averlo, perché passa tosto. Perciò meglio è di tagliare di fatto con una vera e santa sollicitudine.

Oh quanto sarà beata l'anima mia, quando io ti vedrò avere tagliato da te il mondo - attualmente e mentalmente - e il proprio sentimento sensitivo, e unito con la verità eterna, la quale unione è di tanto diletto, e di tanta dolcezza e suavità, che ogni amaritudine spegne, ogni grande peso fa leggiero! Chi si terrà dunque che non tragga fuore il coltello de l'odio e de l'amore, e con la mano del libero arbitrio non tagli sé da sé; e subito che egli ha tagliato, è di tanta virtù questo coltello che l'unisce. Ma tu mi dirai, carissimo figlio: «Dove il truovo, e dove si fabrica, questo coltello?». Rispondoti: truovilo nella cella del cognoscimento di te, du' concipi odio al vizio e alla propria fragilità, e amore al tuo Criatore e al prossimo tuo, con le vere e reali virtù. Dove è fabricato? Nel fuoco della divina carità, sopra la 'ncudine del corpo del dolce e amoroso Verbo Figlio di Dio. Perciò bene è ignorante e degno di grande reprensione quegli che ha l'arme in sé medesimo da potersi difendere, e gittala da sé. Non voglio che sia tu di questi ignoranti; ma voglio che, tutto virile, ti spacci, e risponde a Maria che ti chiama con grandissimo amore.

E il sangue di questi gloriosi martiri - che con tanto fuoco d'amore dierono il sangue per amore del sangue, e la vita per amore della vita - tutto bolle, invitando te e gli altri che veniate a sostenere per gloria e loda del nome di Dio e della santa Chiesa, e a prova delle virtù; ché in questa santa terra, la quale Dio manifestava la dignità sua chiamandola il suo giardino, al quale giardino chiamava i servi suoi dicendo: «Ora è il tempo che essi venghino a provare l'oro delle virtù». Or non faciamo del sordo; se per lo freddo l'orecchie fussino turate, pigliamo il sangue caldo, perché è intriso col fuoco, e laviancele dentro, e sarà tolta ogni sordezza.

Niscondeti nelle piaghe di Cristo Crocifisso; fuggi dinanzi al mondo, esce della casa dei parenti tuoi (Gn 12,1 Ps 44,11); fuggi nella caverna del costato di Cristo Crocifisso, affinché possi venire a terra di promissione. Questo medesimo dico ancora a Petro. Ponetevi in su la mensa della croce, e ine tutti ebri di sangue prendete il cibo delle anime, sostenendo pene, obbrobri, scherni e villanie, fame sete e nudità: gloriandoci, con quello dolce Paulo vasello di carità, negli obbrobrii di Cristo Crocifisso. Se tu tagliarai, come detto è, il sostenere sarà la gloria tua; altrimenti no, ma sarebbeti pena, e l'ombra tua ti farebbe paura. Considerando questo l'anima mia, come affamata della tua salute, disidero di vederti tagliare e non ponerti a sciogliere, affinché possa più espeditamente corrire. Vestiti del sangue di Cristo Crocifisso. Altro non ti dico.

Permane nella santa e dolce carità di Dio.

Ebbi le lettere tue, e ebbine grande consolazione di Battista che era guarito, sì perché io ho speranza che anco sia una buona pianta, e per compassione che io avevo a monna Giovanna; ma molto più mi sono rallegrata che Dio t'ha mandato il modo di poterti sviluppare dal mondo, e anco della buona disposizione, che mi scrivi, dei Signori e degli altri nostri cittadini inverso il dolce babbo nostro, papa Urbano VI. Dio per la sua infinita misericordia gli conservi e accresca sempre nella reverenzia eobbedienza sua: mentre che tu e gli altri vi state, siate solliciti di seminare la verità e confondere la bugia, giusta lo vostro potere.

Raccomandami strettamente a monna Giovanna e a Currado. Conforta e benedi' Battista e l'altra famiglia.

Conforta tutti cotesti figli, e Sano singularmente. Di' lo' che mi perdonino, se io non lo' scrivo, poiché m'è pure assai malagevole. Conforta missere Matteo: di' che ci mandi piena informazione di quello che vuole, perché a me è scordato, e frate Raimondo si partì sì tosto che non la potemmo avere da lui: poi ne farò sollicitamente la mia possibilità. Se frate Tomasso v'è, digli che io non gli scrivo perché non so s'egli v'è; ma essendovi, confortalo e digli che mi dia la sua benedizione. La nonna, Lisa e tutta l'altra famiglia ti si raccomandano. Neri non ti scrive perché è stato a fine di morte, ma ora è quasi guarito. Dio ti doni la sua dolce eterna benedizione. Di' a Petro che se egli può venire ci venga per alcuna cosa che è necessario. Gesù dolce, Gesù amore.

Da', o fa' bene dare, tutte queste lettere; e prega Dio per noi. Queste parecchi lettere legate per sé, dàlle così legate a monna Caterina di Giovanni, e ella le distribuisca.





330. A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori, in Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi illuminato d'un vero e perfettissimo lume, affinché nel lume di Dio vediate lume: poiché, vedendo, conosciarete la sua verità, conoscendola l'amarete, e così sarete sposo fedele della Verità.

Senza questo lume andareste in tenebre, e non sareste fedele ma infedele sposo della Verità, poiché questo lume è quello che fa l'anima fedele: dilongala dalla bugia della propria sensualità; falla corrire per la via della dottrina di Cristo crocifisso, lo quale è essa Verità; fa lo cuore maturo e stabile e non volubile, cioè che per fatiga non si muove con impazienzia, né per consolazione con disordinata allegrezza: in ogni cosa è ordinato e pesato nei costumi suoi. Tutto il suo adoparare è fatto con prudenzia e con lume di grande discrezione; e come prudentemente adopera, così prudentemente parla e prudentemente tace, dilettandosi più d'udire le cose necessarie che di parlare senza bisogno. Questo perché? perché col lume ha veduto nel lume che il dolce Dio nostro si diletta di poche parole e di molte opere.

Senza lo lume non l'arebbe conosciuto, e però arebbe fatto tutto lo contrario, parlando assai e facendo poco. Lo cuore suo andarebbe a vela, ché nella allegrezza sarebbe leggiero con vanità di cuore, e nell'amaritudine si trovarebbe con disordinata tristizia. In ogni male è atto a cadere colui ch'è privato del lume; e così quegli che nel lume della verità eterna ha veduto lume, è disposto e atto a venire a grande perfezione, e vienvi se con sollecitudine, con odio santo di sé e amore della virtù, essercita la vita sua; ma in altro modo, no: anco sarebbe tutta imperfetta e corrotta la vita sua.

E però considerando, carissimo padre, quanto c'è necessario, dissi ch'io desideravo di vedervi illuminato d'uno vero e perfettissimo lume. E sapete quanto lo desidera l'anima mia? Quanto ella desidera di levarsi dalle tenebre e conformarsi e unirsi colla perfettissima luce. Pregovi, per l'amore di Gesù Cristo e di quella dolce madre Maria, che voi vi studiate, giusta lo vostro potere, di compire in voi la volontà di Dio e il desiderio mio: allora sarà beata l'anima mia. Non è più tempo da dormire, ma è da destarsi dal sonno della negligenzia, e levarsi dalla cecità della ignoranza; e realmente sposare la verità con l'anello della santissima fede; e annunziare essa verità non tacendola mai per neuno timore, ma largo e liberale disponarsi a dare la vita, se bisogna, tutto ebro di sangue de l'umile e immacolato Agnello, traendolo delle mammelle della dolce Sposa sua.

La quale sposa, cioè la santa Chiesa, vediamo tutta smembrata, ma spero nella somma eterna bontà di Dio che le rendarà membri sani e non infermi, odoriferi e non putridi: e fabricarannosi questi membri sopra le spalle dei servi di Dio, amatori della verità, con molti labori, con sudori, lacrime e umile e continove orazioni; ma nelle fatighe riceveremo rifrigerio, rallegrandoci nella renovazione della dolce Sposa di Cristo. Or tiene silenzio, anima mia, e non parlare più. Non voglio mettare mano, carissimo padre, a dire quello che con penna non potrei scrivare, né con lingua parlare, ma lo tacere vi manifesti quello ch'io voglio dire. Non dico più sopra questa materia.

Grande desiderio ho di vedervi tornato in questo giardino, affinché siate aiutatore a trarne le spine. p inteso che sete costì a Pisa etc.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 19:14

[SM=g27998] Inseriamo le ultime cinquanta Lettere

331 A don Piero da Milano, monaco di Certosa.

332 A Pietro di Giovanni e Stefano di Corrado in Siena, essendo ella a Roma.

333 A frate Raimondo da Capua de l'ordine dei Predicatori, padre dell'anima sua.

334 A misser Buonaventura da Padova cardinale de l'ordine dei frati eremitani, in Firenze.

335 A don Cristofano monaco di Certosa del monasterio di santo Martino di Napoli.

336 Alla priora e monache del monasterio di santa Agnesa di Montepulciano

338 A missere Andreasso dei Cavalcabuoi, allora Senatore di Siena.

339 AI signori Priori del Popolo e Comune di Perogia.

340 A madonna Agnesa da Toscanella, serva di Dio di grandissima penitenzia.

341 A missere Angelo, nuovamente eletto vescovo Castellano.

342 A don Roberto da Napoli, prete secolare.

343 A Reginaldo da Capua.

344 A frate Raimondo da Capua, singolare padre dell'anima sua, de l'ordine dei Predicatori, in Genova.

345 A la contessa Giovanna di Meleto e di Terra Nuova, in Napoli.

346 Al santo padre papa Urbano VI, presentandoli cinque mele aranci confette coperte d'oro.

347 Al conte Alberigo da Barbiano capitano generale della Compagna di san Giorgio, e agli altri caporali, a dì 6 di maggio 1379

348 Alla Reina Giovanna di Napoli, a dì 6 di magio.

349 AI signori Bandaresi e quattro Buoni uomini mantenitori della republica di Roma, a dì 6 di maggio 1378 (in abstractione facta).

350 Al Re di Francia.

351 A papa Urbano VI a dì 30 di magio 1379, in Roma, tornato a Santo Piero.

352 A madonna Lariella, donna di messere Ceccolo Caracciolo da Napoli

353 A madonna Catella, madonna Checcia vocata Planula e madonna Caterina Dentice, da Napoli.

354 A madonna Pentella Maii da Napoli la quale perché lo suo marito la trattava male per cagione d'una sua schiava, era molto tribolata e desiderava la morte d'ambedue.

355 A madonna Orietta Scotta, a la Croce di Canneto in Genova.

356 A tre donne vedove spirituali di Napoli.

357 Al re d'Ungaria.

358 A maestro Andrea di Vanni depintore, essendo Capitaneo di popolo di Siena.

359 A Leonardo Freschiubaldi da Firenze.

360 A Peronella, figlia di Masello Pepe da Napoli.

361 A una donna napolitana grande con la reina, al tempo che essa reina era rebella a papa Urbano VI.

362 A la reina che fu di Napoli.

363 A maestro Andrea di Vanni dipentore.

364 Al papa Urbano VI predetto.

365 A Stefano di Corrado Maconi.

366 A maestro Andrea di Vanni dipentore.

367 Ai magnifici Signori Difensori del Popolo e Comune di Siena

368 A Stefano Maconi sopradetto.

369 Al detto Stefano Maconi essendo essa a Roma (e questa fu l'ultima a lui).

370 Al papa Urbano VI.

371 Certi misterii nuovi che Dio adoperò nell'anima de la santa sua sposa Caterina la domenica de la Sessagesima, sì come di sopra si fa menzione, i quali essa significò al detto maestro Raimondo.

372 Al missere Carlo della Pace dovendo venire in adiuto della santa Chiesa, lo quale poi fu re di Puglia overo di Napoli.

373 A maestro Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori ne la quale epistola essa predice la morte sua a dì 15 di febraio 1380 e poi morì a dì 29 d'aprile 1380.

374 A messer Bartolomeo della Pace.

*375 DESTINATARIO IGNOTO

*376 DESTINATARIO IGNOTO Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

*377 AI signori Priori dell'arte e il Confaloniere della giustizia della città di Firenze.

*378 A Piero Canigiani da Fiorenze

*379 Alla priora e monache di santa Agnesa da Montepulciano.

*380 DESTINATARI IGNOTI.

*381 A messer Giacomo di Viva, a la costarela dei barbieri.

*382 A monna Tora e a monna Giovanna, sua figlia e donna di Giovanni Trenta da Lucca.

*383 A Gianetta e Antonia e Caterina e a quella da Vercelli, le quali sono tornate a Cristo

[SM=g27998] [SM=g27998] [SM=g27998]

331. A don Piero da Milano, monaco di Certosa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi gustatore e amatore del sangue di Cristo crocifisso, nel quale sangue, ripensandolo sparto con tanto fuoco d'amore, ricevarete vita di grazia; e lavaràvi la faccia de l'anima vostra: poiché egli c'è dato per lavare le macchie dei nostri difetti.

Ma non ci darebbe però questo sangue vita, né lavrebbe la faccia dell'anima, se l'anima colla memoria del sangue, ripensando lo fuoco della divina carità, non essercitasse la vita sua in virtù: non per difetto del sangue, ma di noi che non riceviamo lo frutto del sangue - cioè non esercitando l'affetto della carità che trova nel sangue; la quale carità, ricevendola noi, ci dà frutto di grazia -. Perciò non è da dormire, mentre che aviamo lo tempo, nel letto della negligenzia, ma con sollecitudine empire lo vasello della memoria del ricordo del sangue - e aprire l'ochio dello intelletto nella sapienza e dottrina del Verbo -, e del fuoco dell'amore con che ci ha dato lo sangue. In questo fuoco la volontà nostra corrirà ad amare quello che l'intelletto vidde e cognobbe. Inebriarenci di questo prezioso sangue; e per amore del sangue desideraremo, con affetto d'amore di virtù, di dare lo sangue e la vita per amore della vita. Riputarenci indegni di giognere a tanta dignità quanta è di ricevare la rosa vermiglia.

Tutte le 'niquità nostre con questo desiderio, in virtù del sangue, saranno spente e tolte da noi: scritti saremo nel libro della vita, e privati saremo della compagnia deli demoni. Veruna angoscia né battaglia del demonio, né quelle degli uomini, ci potranno nuociare, né togliere la nostra allegrezza: questo sangue ci farà portare ogni pena e fatica, con vera e santa pazienza; anco ci gloriaremo, col dolce di Pavolo, nelle tribolazioni. Vorrenci conformare con le pene e obrobrii di Cristo crocifisso: vestirenci d'obrobrii, di scherni e villanie, per onore di Dio e salute delle anime. Oh quanta è beata quella anima che così dolcemente passa questo mare tempestoso, e l'angosce del mondo, con vigilia e con umile e continova orazione, accesa nel fuoco per santo desiderio, inebriata e annegata nel sangue. Con questo sangue nell'ultimo della vita nostra riceveremo lo frutto d'ogni nostra fatica.

Questo sangue tolle ogni pena e dà ogni diletto; priva l'uomo di sé - e trovasi in Dio. Egli lo fa abandonare la propria sensualità perché, coll'amore che trovò nel sangue, ha cacciato l'amore proprio di sé medesimo. Siede sopra la sedia della conscienzia sua, e tiensi ragione: non lassa passare i movimenti, che venissero nel cuore, d'impazienzia, per scandoli e mormorazioni del prossimo suo, o di qualunque altro difetto si fusse; ma con pazienza, senza sdegno o giudicio alcuno, porta realmente. In ogni cosa giudica la dolce volontà di Dio; è pronto nell'ubidienzia, sempre in osservarla obedendo a l'Ordine e al prelato suo, perché nel sangue gustò l'obbedienzia del Verbo. Non ha pena, perché s'ha tolta la volontà e messa nelle mani del suo prelato, per Dio, giudicando la volontà sua ne la volontà di Dio. Questi non sente fatica, perché ha morta in sé la propria e perversa volontà, che sempre dà fatica, la quale uccise nel sangue; egli gusta la caparra di vita eterna: sempre ha pace e quiete ne l'anima sua, perché s'ha tolta quella cosa che gli dava guerra.

Perciò, poiché tanto bene ne segue, è continovamente da empirsi la memoria del santo ricordo di questo sangue, come detto è, sparto con tanto fuoco d'amore. E non doviamo passare punto di tempo che l'ochio dell'intelletto nostro non si ponga per oggetto lo sangue di Cristo crocifisso, dove trova la verità del sommo e eterno Padre, manifestata a noi col mezzo del sangue. Perciò levianci, e consumiamo i dì nostri realmente rilucendo in noi le margarite delle virtù, le quali drittamente sono margarite per le quali i veri servi di Dio vendono ciò ch'egli hanno (Mt 13,45-46), cioè la propria volontà, che è libera loro, per comprarle. Di questo v'invito e vi prego carissimamente che facciate.

Oh quanto sarà beata quella anima che, in questa vita, mentre che vive non perdarà lo tempo suo, ma con sollecitudine, comprata questa margarita, lavorarà nella vigna sua, trattone le spine dell'amore proprio e d'ogni altro difetto, e piantandovi le virtù - le quali chiamammo margarite -, e inaffiaralla col sangue di Cristo. Bene gusta vita eterna, vedendo per grazia e non per debito avere ricevuta la vita del sangue - acordata con la dolce volontà di Dio la volontà sua: la quale volontà essendo morta in noi e viva in lui, nell'ultimo della vita nostra riceveremo l'eterna visione di Dio -. In cui virtù? Non in nostra, ma solo in virtù del sangue; e non in altro modo. Considerando me che altra via non c'è, dissi ch'io desideravo di vedervi gustatore e amatore del sangue; e così voglio che noi facciamo. Non dico più qui.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Ho ricevuta una lettera vostra, la quale vidi con allegrezza sentendo del santo e buono desiderio, che voi avete della bontà di Dio, di ponare la vita per gloria e loda del nome suo. Rispondovi a la prima parte, di ricevare i peccati vostri: liberamente prometto in quella dolce carità di Dio, che ci dié lo sangue del suo Figlio, ch'io gli ricevo sopra di me, pregando la divina bontà che le colpe vostre punisca sopra lo corpo mio. Così per questo modo si trovaranno consumati i peccati miei e vostri nella fornace de la divina carità. Anco lo pregarò che per la infinita sua misericordia ci faccia grazia che noi diamo la vita per lui; e voi in questo mezzo vi notricate di sangue: forniscasi la navicella dell'anima de le reali virtù.

Anco vi rispondo e prometto che, se lo tempo ci viene, lo quale è desiderato da voi e dagli altri servi di Dio, e che mi sia possibile di chiedare licenzia dal Vicario di Cristo, io lo farò volontieri, affinché vegga compito in voi lo santo desiderio. Pregatelo pure che non s'indugi più: io, per me, muoio e non posso morire, di vedere offendere tanto lo nostro Creatore nel corpo mistico della santa Chiesa, e contaminare la fede nostra da quegli che sono posti per alluminarla: di tutto sono cagione i difetti miei. Nascondianci nel costato di Cristo crocifisso, e ine bussiamo a la sua misericordia. Gesù dolce, Gesù amore.




332. A Pietro di Giovanni e Stefano di Corrado in Siena, essendo ella a Roma.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedervi cavalieri virili, sì e per sì-fatto modo che siate vencitori dei principali tre vostri nemici.

O figli dolcissimi, questi tre nemici sono lo demonio, lo mondo, e la carne: i due primi, agevole cosa è a noi a vinciarli, poiché al demonio fu tolta la potenza che aveva sopra di noi, col mezzo del sangue del Figlio di Dio, in tanto che non può sopra di noi, se non quanto noi vogliamo, quanto a colpa; può ben darci le molte molestie con varie e diverse cogitazioni, ma costringiar non ci può a una minima colpa, perché nel detto sangue dell'umile e immacolato Agnello siamo fortificati, e usciti della servitudine sua.

Lo mondo, che ci può fare? Non nulla. Può ben percuotare la corteccia di fuore del corpo nostro, coi le molte persequizioni, strazii, scherni, infamie e villanie; ma che sente il servo di Dio di tutte queste cose nel midollo dell'anima? Non nulla. Lo mondo s'afatica in dargli le molte tribulazioni, e egli si gode, perché ha posto l'affetto suo in Dio, unde viene ogni gauldio. Egli ha eletto di portare per Cristo crocifisso, unde tanto ha bene, quanto si vede sostenere senza colpa, perché allora più si conforma con lui, sì che bene è vero che questi due nemici sonno agevoli a venciare.

Ma lo terzo, de la carne nostra, cioè de la propria sensualità, è una legge perversa che sempre combatte contro lo spirito, e mai non passa quasi punto di tempo ch'ella non voglia per qualche modo ricalcitrare alla volontà di Dio. Ella è quella parte in noi che ci fa alapidare i messi di Dio: cioè che tutte le buone 'spirazioni, che la divina clemenza manda nel cuore nostro, ci fa porre doppo le spalle, in tanto che nessuna ce ne lassa mettare in asequizione, mentre che le crediamo. E per lo contrario tutte le inique cogitazioni che il demonio ci dà - le quali li sonno permesse da Dio che ce le dia, per acrescimento di perfezione e di grazia in noi, e non perché ci lassiamo vinciare - questa perversa passione sensitiva tutte ce le fa mettare in opera. Ella è, brevemente, quella cosa che ci priva di Dio, e in questa vita ci tiene in continova amaritudine. Bene dobiamo dunque armarci contro questo nemico.

Voglio dunque che ciascuno di voi faccia di sé due parti, cioè la sensualità e la ragione, e che esse sieno nemici mortali. La ragione s'armi, pigliando il coltello dell'odio e de l'amore; e non vole essere presa questa guerra lentamente, ma con efficacia, e al tutto ingegnarsi d'ucidarla: perché bene si debba ucidare quella cosa che ci priva della vita della grazia, facendoci ricalcitrare a Dio. E usa alcune volte questa maladetta legge uno grande inganno per farci cadere magior botto: ch'ella s'adormentarà, e parrà che sia morta in noi, non trovandoci alcuna impugnazione, ma con aceso fervore tutti i nostri atti e pensieri saranno drizzati in Dio, con una dolcezza, che ci parrà gustare vita eterna. Ma se noi alentiamo la guerra e poniamo giù lo coltello e non ci essercitiamo con solecitudine, ella si desta più forte che mai, e facci cadere alcune volte miserabilmente.

Perciò voglio, figli miei, che pigliate questa guerra con intenzione di non fare mai pace, ma continovamente crescerla, dandole sempre quello che le dispiace; e mai non concederle cosa che le piaccia. Lo cane della coscienza abbai a destare questa ragione; e non passi uno minimo pensiero nel cuore, che la ragione non lo essamini; e neuno movimento reo passi, che non sia punito con rimproverio.

Questa miserabile sensualità sia la serva, e la ragione sia la donna, come debbano essere; ma se fuste negligenti o tiepidi mai non vinciareste questo nemico, né gl'altri due, e però vi dissi ch'io desideravo di vedervi cavalieri virili, affinché ne foste vincitori. Orsù, figli, pigliate questo coltello, e non esca mai de la mano del libero albitrio fino alla morte: poiché fino allora bastarà il vostro nemico, lo quale ci è stato lassato da Dio per nostra utilità, affinché le virtù sieno acquistate con sudore, mediante la grazia sua. Non dico più qui.

Rispondo a la lettera che tu, Petro, mi mandasti. Io m'avedrò bene se tu hai desiderio d'uscire di casa, e venire qua: che, se n'arai voglia, con ogni solecitudine brigarai di spaciarti di tutte le faccende che ti restano a fare, a ciò che, sciolto, in tutto possi seguire Cristo crocifisso. Ma tu negligente, e non hai preso quello coltello che di sopra è detto, unde lo desiderio santo che Dio t'ha dato nol metti in aseguizione. So bene che tu non credi ch'io ti voglia abandonare: che così ti venga la morte a te e gl'altri, come ogni dì di nuovo vi parturisco nel cospetto di Dio per continova orazione, e più in cui si vede lo bisogno. Or briga di rinovarti, e il simile dico a te, Stefano: che con solecitudine vi studiate di levarvi dal mondo, e corrire a Dio, che v'aspetta coi le braccia aperte. Venitene tosto.

La santa Chiesa e papa Urbano VI per la dolce bontà di Dio ha a questi dì avuto le più rilevate novelle che avesse già buon tempo. Mandovi con questa una lettera che va al baceliere, nella quale potrete vedere come Dio comincia a versare le grazie sopra la dolce Sposa sua; e così, spero per la sua misericordia che seguitarà, montiplicando di dì in dì i doni suoi. So che la verità sua non può mentire, e egli ha promesso di riformarla con molto sostenere dei servi suoi, e col mezzo de l'umili e continove orazioni fatte con lacrime e sudori. Unde io v'invito di nuovo a bussare a la porta della misericordia sua con perseveranza: ché io vi prometto che, se persevereremo in bussare ci sarà aperto, e così dite a cotesti altri figli, e benediteli per nostra parte. La nonna e Lisa e tutta l'altra povarella famiglia vi confortano in Cristo.

Rimanete etc.

Quando tu, Stefano, ne vieni etc. Gesù dolce, Gesù amore.

Data Rome, die primo ianuari 1379.




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19/10/2012 19:16

333. A frate Raimondo da Capua de l'ordine dei Predicatori, padre dell'anima sua.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi levato oggimai dalla fanciullezza vostra, ed essere uomo virile; levarvi da gustare lo latte, ed essere fatto mangiatore del pane.

Poiché il fanciullo che si nutre di latte non è atto a stare in battaglia, né si diletta di stare altro che in giuochi coi suoi simili: così l'uomo che sta nell'amore proprio di sé non si diletta di gustare altro che il latte delle proprie consolazioni spirituali e temporali, dilettandosi come fanciullo con quelli che li sonno simili. Ma quando egli è fatto uomo, levatosi dalla tenerezza e amore proprio di sé, egli mangia lo pane con la bocca del santo desiderio, ischiacciandolo coi denti de l'odio e dell'amore, in tanto che, quanto più è muffato, più se ne diletta.

Quanto si riputa beata quella anima quando si vede le gengie gittare sangue! Egli è fatto forte, e però piglia la conversazione dei forti; tutto maturo pesato e non leggiero corre con loro insieme a la battaglia, e già non si diletta d'altro. Lo suo riposo è il sostenere: con quello dolce innamorato Paulo si vuole gloriare nelle molte tribulazioni (2Co 12,10), sostenendole per la verità. Questi cotali hanno rifiutato lo latte; rilucono in loro le stimate di Cristo crocifisso, seguitando la dolce dottrina sua. Questa anima, stando nel mare tempestoso, ha bonaccia; ne l'amaritudine gusta la grande dolcezza; con vile e piccola mercanzia acquista le grandi ricchezze; essendo stracciata e dilaniata dal mondo, più perfettamente si ricoglie e s'unisce in Dio. Quanto più è perseguitato dalla bugia, più essulta nella verità; patendo fame, nudità, ingiurie, strazii e villanie, più perfettamente si sazia del cibo immortale; è rivestito, levata via la nudità del proprio amore, lo quale dinuda l'anima d'ogni virtù; e nelle vergogne e strazii trova la gloria sua.

Questi tali sono mangiatori di pane muffato, ma non asciutto, poiché asciutto ben bene i denti nol potrebbono schiacciare, se non con grande loro fatiga e poco frutto; ma essi lo 'ntengono nel sangue di Cristo crocifisso, nella fonte del costato suo: e però, come ebbri d'amore, corrono mettendo lo pane muffato delle molte tribolazioni in questo prezioso sangue. In loro non cercano altro se non in che modo possino rendare gloria e loda al nome di Dio; e perché nel tempo delle molte fatighe veggono che meglio si pruova la virtù - e della buona prova che fa l'anima torna più onore a Dio -, però s'abracciano con esse, e anco perché meglio si conformano con Cristo crocifisso coi la pena che col diletto.

Perciò, carissimo e dolcissimo padre, con pianto ci leviamo dal sonno della negligenzia e ingratitudine, riconoscendo le grazie e i beneficii che vecchie e nuovamente avete ricevute da Dio e da quella dolce madre Maria, per la quale confesso che per nuova grazia l'avete ricevute. In questa grazia vuole Dio che conosciate lo fuoco della sua carità; nella quale carità, col lume della santissima fede, più largamente e liberamente abandoniate voi medesimo per lo suo onore, ed essaltazione della santa Chiesa e del vicario di Cristo, papa Urbano VI, sommo pontefice; e vuole che vi dilatiate in speranza, sperando nella providenzia e aiuto divino - senza neuno timore servile -, e non in uomo né in nostra industria umana. Anco ha voluto che conosciate la vostra imperfezione, mostrandovi che voi siete ancora fanciullo e non uomo che vi notrichiate di pane, ché se egli avesse veduto che voi aveste avuti denti da ciò, ve n'arebbe dato, sì come agli altri vostri compagni. Non foste anco degno di stare un poco in sul campo della battaglia, ma, come fanciullo, ne foste cacciato adietro; e voi volentieri ne fugiste e aveste grande allegrezza che Dio conscese a la vostra infermità.

Gattivello padre mio, quanto sarebbe stata beata l'anima vostra e mia se aveste murata una pietra nella santa Chiesa col sangue vostro, per amore del sangue! Veramente noi aviamo materia di pianto, di vedere che la nostra poca virtù non ha meritato tanto bene. Or gittiamo i denti lattaiuoli e studianci di mettare i denti granati de l'odio e dell'amore. Mettianci la panziera della carità con lo scudo della santissima fede (Ep 6,16) e, come uomini cresciuti, corriamo al campo della battaglia e stiamo fermi, con una croce di dietro e una dinanzi, affinché non possiamo fugire: ché andando al campo grandi e armati, non ne saremo cacciati del campo. Affinché Dio infonda in voi e in me questa grazia, e negli altri, oggi cominciarò ad offrire lacrime e ansietato desiderio, il quale è dolce e amaro. Dolce è per lo ringraziamento dei beneficii ricevuti da lui nuovamente, e amaro per la mia e vostra imperfezione la quale ci ha privati di tanto bene.

Annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso Bagnatevi nel sangue Saziatevi nel sangue Inebriatevi del sangue Vestitevi di sangue Doletevi di voi nel sangue Rallegratevi nel sangue Crescete e fortificatevi nel sangue Perdete la debolezza e cecità nel sangue E con lume corrite come virile cavaliere a cercare l'onore di Dio, il bene della santa Chiesa e la salute delle anime nel sangue. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





334. A misser Buonaventura da Padova cardinale de l'ordine dei frati eremitani, in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e reverendissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi una colonna ferma e stabile nel giardino della santa Chiesa, affinché con la fermezza e stabilità vostra e degli altri sia fortificata la fede nostra, essaltiate la verità e confondiate la bugia, e dirizziate la navicella della santa Chiesa, la qual è percossa da l'onde del mare tempestoso della bugia e scisma, levata dalli iniqui uomini amatori di loro medesimi, i quali sonno stati non colonne ferme mantenitori della fede, ma seminatori di veleno.

Voglio dunque, carissimo padre, che siate fermo, constante e perseverante in ogni virtù; le quali virtù fortificano l'anima, traendone la debolezza dei vizii, i quali la fanno debole sottoponendola alla servitudine loro. A questa fortezza delle vere e reali virtù non ci fanno venire stato, ricchezza, né gli onori del mondo, non le grandi prelazioni, né il presumare di sé medesimo, no, ma solo lo conoscimento che l'anima ha di sé medesima.

Nel quale conoscimento vede sé non essere per sé, ma solo per Dio; conosce la miseria e fragilità sua, e il tempo che si vede avere perduto, nel quale molto poteva guadagnare; e conosce col lume la sua indegnità e la sua degnità. La sua indegnità conosce nel corpo suo, lo quale è cibo di morte e cibo di vermini: dirittamente uno sacco pieno di sterco; e nondimeno ci dilettiamo più di contentare, amare e conscendere a questo sacco putrido, con amore sensitivo, che alla ricchezza dell'anima, la quale è di tanta degnità che a maggiore non può venire. Unde noi vediamo che Dio, costretto dal fuoco della sua carità, non ci volse creare animali bruti, né darci la similitudine degli angeli, ma creò noi ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), a fine che noi godessimo di lui nell'eterna sua visione; e per compire la sua verità in noi - cioè di darci quello fine per mezzo del quale egli ci creò -, e per compire la degnità nostra, egli prese la nostra immagine, quando vestì la deità dell'umanità, ricreandoci a grazia nel sangue del dolce e amoroso Verbo unigenito suo Figlio, lo quale ci ricomperò non d'argento, ma del proprio sangue (1P 18-19). Unde lo prezzo del sangue che è pagato per noi, e l'unione che Dio ha fatta nell’uomo, ci manifestano l'amore ineffabile che Dio ci ha e la degnità nostra, la quale ricevemmo nella creazione, come detto è.

Bene è mercenaia quella creatura che si tiene cotanto vile che si sottomette a colpa di peccato, lo quale è la più vile cosa che sia, anco è non nulla; e come cieco, non vede che tale diventa quale è la cosa di cui esso si fa servo. Detto aviamo che il peccato non è nulla, perché ci priva di Dio per grazia, lo quale è colui che è (Ex 3,14). Questo non è stato nella casa del conoscimento di sé, ma è stato fuori di sé; come matto e farnetico s'è attaccato alla morte e tenebre del proprio amore sensitivo di sé medesimo, unde nasce ogni male; e ha lasciata la luce d'uno conoscimento della 'nfinita bontà di Dio, che gli ha data tanta dignità: per debito, no - ma per grazia. Che se egli con lume avesse conosciuto sé, vedendo lo difetto suo, egli avrebbe acquistata la vera e perfetta umilità, poiché l'anima che sta in questa dolce casa del conoscimento di sé e della bontà di Dio in sé, ella s'umilia, perché la cosa che non è non può insuperbire: ed egli vede, come detto è, sé non essere per sé, ma per Dio. E però cresce in lei lo fuoco della carità, riconoscendo da Dio l'essere, e ogni grazia posta sopra l'essere. E perché vede che la indegna legge perversa, la quale sempre combatte contro lo spirito (Rm 7,23), l'è cagione, se volontà consente, di farle perdare Dio per grazia e il frutto del sangue, però subito concepe uno odio santo verso la propria sensualità: e quanto più odia, più ama la ragione; e con questo amore e lume si leva da quello che il faceva indebilire, e uniscesi per affetto d'amore in Dio, che è somma fortezza, col mezzo delle vere e reali virtù.

Perciò, bene è vero che nel conoscimento che l'uomo ha di sé medesimo, nel modo detto, acquista la fortezza. E quanto è forte, carissimo padre? Tanto che né demonio né creatura il può indebilire, mentre ch'egli sta unito con la sua fortezza; e da questa fortezza nullo lo può separare, se egli non vuole. Fanno le battaglie e molestie del demonio indebilire l'anima? Certo no; ma molto magiormente si fortifica, perché elle sonno cagione di farla fugire con più sollecitudine alla fortezza sua; e anco pruova l'amore ch'ella ha a Dio, se egli è fondato in proprio diletto o no: cioè che ella l'ami d'amore mercenaio. Né le creature con le molte perseguizioni, ingiurie, strazii e villanie, rimprovari e scherni la indebiliscono, anco la fanno levare molto magiormente da ogni amore delle creature, fuori del Creatore, e fannola provare nella virtù della pazienza. Perciò neuno è che la possa indebilire, se non quando ella vuole, separandosi dalla sua fortezza, in qualunque stato l'uomo si sia: poiché lo stato né il tempo non ci tòllono Dio, poiché egli non è accettatore degli stati né dei luoghi né dei tempi, ma dei santi e veri desiderii.

Perciò voglio che voi siate una colonna forte ferma e stabile, fortificandovi nelle vere virtù, nel conoscimento santo di voi, affinché pienamente potiate fare nella santa Chiesa quello per che voi sete posto; che se nol faceste, vi sarebbe molto richiesto da Dio. E quanta confusione sarebbe ne l'ultima estremità della morte dinanzi al sommo giudice, dove noi non ci possiamo nascondare, ma il minimo pensiero del cuore è manifesto dinanzi a lui! O carissimo padre, non dormiamo più, ché siamo nel tempo della vigilia, ma con ardente desiderio conosciamo noi, e la grande bontà di Dio in noi, affinché come veri lavoratori lavoriamo nel giardino della santa Chiesa. Ognuno lavori secondo che gli è dato a lavorare, per onore di Dio, salute de l'anime e riformazione della santa Chiesa, e per acrescimento della verità di papa Urbano VI, sommo pontefice, con una vera umilità e pazienza, riputandoci degni delle pene e fatighe, e indegni del frutto che segue doppo la pena. Anneghiamo la propria perversa volontà nel sangue di Cristo crocifisso; seguiamo la dolce dottrina sua. Altro non vi dico.

Pregovi che costà, nel luogo dove voi sete, voi attendiate alla salute delle anime: dicolo perché molti vi sono che stanno in grandissima eresia. Per l'amore di Dio, vi prego che abiate l'occhio sopra coteste pecorelle, senza timore servile, affinché il demonio infernale non le divori. Perdonatemi la negligenzia, isconoscenzia e presunzione mia, che tanto v'ho gravato di parole. Umilemente mi vi raccomando.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







335. A don Cristofano monaco di Certosa del monasterio di santo Martino di Napoli.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere in voi lo lume e il fuoco dello Spirito santo, lo quale lume caccia ogni tenebre, e il fuoco consuma ogni impazienzia e amore proprio che fusse nell'anima, o corporalmente o spiritualmente che fusse. Però ho grande desiderio di vedere in voi questo lume e fuoco perché, secondo che mi scriveste, avete passioni e tribolazioni spirituali e corporali, per le quali egli vi bisogna questo lume.

E perché ci bisogna, padre carissimo, questo lume? Perché è uno vedere che ha l'occhio dell'intelletto, poiché, come nella visione di Dio sta la nostra beatitudine, così nel vedere e nel cognoscimento di noi medesimi e de la bontà di Dio, che è in noi, riceviamo lo lume della grazia de lo Spirito santo, lo quale lume e grazia fortifica e accende l'anima a portare, con grande desiderio e pazienza, ogni infermità e tribolazione e tentazione che ricevessimo o dagli uomini, o dal demonio, o dalla carne propria. E non vuole eleggiare neuno tempo a modo suo, anco ogni tempo e stato che ha, ha in reverenzia, sì come persona che è vestita de la dolce e eterna volontà di Dio. Ché, subito che l'uomo vòlle l'occhio dell'intelletto a cognosciare sé, e vedere la volontà di Dio in sé, e quello che la volontà di Dio richiede, trova che non cerca né vuole altro da lui che la sua santificazione: ché se egli avesse voluto altro, Dio non ci averebbe dato lo Verbo del Figlio suo, e il Figlio non avrebbe data la vita con tanto fuoco d'amore. Vede dunque l'anima che ciò che Dio li permette in questa vita, o d'infermità corporale o spirituale per diverse tentazioni, egli le giudica nella volontà di Dio: la quale permettendole solo per nostro bene, vedell’uomo che una foglia d'arbolo non cade senza la providenzia sua.

Dio ci lassa tentare per prova delle virtù, e per acrescimento di grazia; non perché noi siamo vinti, ma perché noi siamo vincitori: non confidandoci nella nostra fortezza, ma nell'aiutorio divino, dicendo con l'appostolo dolce Pavolo: «Per Cristo Crocifisso ogni cosa potrò, che è in me che mi conforta». (Ph 4,13) Facendo così, lo demonio rimane sconfitto, e questa è l'arme con che rimane sconfitto: spogliarsi de la sua volontà e vestirsi di quella di Dio, giudicando che ciò che egli permette è per nostra santificazione, ché nessuna cosa è che dia pena nell'anima, se non la propria volontà.

E perché di questo lo demonio se n'avede, non potendo ingannare i servi di Dio ne le cose che paiono male, o in troppo larga conscienzia, egli si pone a ingannarli sotto colore di virtù, con disordenata confusione e 'strema conscienzia, dicendo allo infermo: «Se tu fussi sano, molto bene potresti fare». E a colui che è tentato e molestato da esso demonio, di qualunque tentazione o molestia si vuole essere, per cogitazioni e pensieri, dice ne la mente sua, volendo che egli le rifiuti: «Se tu non l'avessi, ne piaciaresti più a Dio: avaresti la mente pacifica; l'offizio e l'altre opere tue sarebbero grate e piacevoli a Dio», volendoli fare vedere che, per quelli pensieri e forti battaglie, neuno suo detto o fatto piaccia alla bontà di Dio. E poiché il demonio guadagna più nei servi di Dio de la confusione che d'altro, poiché egli non li può fare cadere con colore di vizio, egli gli vuole fare cadere sotto colore di virtù.

Sappiate, carissimo padre, che Dio ci permette le fatiche solo perché noi proviamo in noi la virtù de la pazienza, de la fortezza e perseveranza; le quali virtù escono dal cognoscimento di sé, poiché ne la battaglia io cognosco me non essere: ché, se io fussi alcuna cosa, io me la levarei, ma io non posso levarmi le battaglie dell'anima né l'infermità del corpo. Possiamo bene levare la volontà, che non consenta; e in questa volontà troviamo la bontà di Dio che per amore ineffabile ci donò questa volontà libera, ne la quale sta lo peccato e la virtù ché, sì come donna che ella è, né demonio né creatura la può constringere, più che ella si voglia, a neuno peccato. Vedendo questo, l'anima prudente nel tempo de le battaglie gode, vedendo che Dio gli il permette per farla cresciare in maggiore e più provata virtù, perché la virtù non è mai provata se non per lo suo contrario, e non si vede se ella è virtù: sì come la donna che ha conceputo in sé lo figlio, che fino che nol parturisce, nol può vedere di verità quello che è, se non per oppinione.

Così l'anima, se ella non parturisce le virtù con la pruova delle molte pene - da qualunque lato elle vengano, o da la carne o dal demonio o dagli uomini -, non può mai vedere se ella l'ha, o sì o no, ché molte volte l'anima che anco non è provata in virtù si dispone a volere portare ogni cosa per lo Dio suo.

E quando Dio vede conceputo lo desiderio nell'anima, subito la mette alla prova, e vuole provare l'amore suo, se egli è fedele o mercennaio: poiché allora lo pruova l'anima in sé quando il trova fedele, che tanto si muova per la tribolazione, quanto per la consolazione. Perché vede che ogni cosa è permessa da Dio, gode ed è lieta di ciò che ella ha, perché è fatta una volontà con quella di Dio. E se egli si trova servo, che nel tempo della prova egli voglia fuggire la pena, questi sarebbe mercennaio, e non fedele: ha materia allora di correggiarsi. Perciò bene è la verità che Dio ogni cosa permette a noi per acrescimento di grazia e prova de la virtù come detto è: l'anima per questo ne conosce meglio sé, nel quale cognoscimento s'umilia, e non si leva in superbia, e conosce la bontà di Dio in sé, trovando che gli conserva la volontà che non consente a tante molestie e illusioni di demonio. Or questo è la volontà di Dio: cioè che per questo fine ce le concede.

Ma la volontà perversa del demonio quale è? è questa: per fare venire l'anima a tedio, a confusione, a tristizia di mente, e a stimolo di conscienzia, non ci tenta l'antico nemico di peccato dissoluto, dandoci molte volte molestia e movimento nel corpo nostro, perché egli creda che noi vi cadiamo - poiché egli vede bene che la volontà ha deliberato inanzi di morire che consentire -, ma fallo per giognarlo nel secondo, facendolo reputare che quella sia offesa colà dove ella non è, dicendoli: «Le tue opere e orazioni debbono essere fatte con purezza di mente e di cuore, e tu le fai con tanta immondizia!». Questo dice perché l'orazione gli venga in tedio, affinché nel tedio e ne la tristizia egli l'abbandoni - e quello e ogni santa e buona opera -, perché raguarda solo che modo possa tenere di farci gittare l'arme a terra con la quale noi ci difendiamo, perché gli è poi agevole averci nel primo e nel secondo. L'arme nostra è questa, la santa orazione e le cogitazioni sante, fondate nella dolce e eterna volontà di Dio, nella quale volontà l'anima non cerca sé per sé, ma sé per Dio, e il prossimo per Dio, e Dio per Dio, e non per propria utilità, in quanto Dio è somma et eterna bontà, e degno d'essere amato e servito da lui, sì che l'ama e serve in ogni stato e tempo che egli è. Allora sta in su la rocca sicura, con uno acceso e ardito desiderio, levando sé sopra di sé, tenendosi ragione con uno odio santo di sé medesimo, reputandosi degno de le pene e battaglie, e indegno del frutto che vede che segue de la pena; per umilità egli si reputa indegno della pace e quiete della mente; dilettasi di stare in croce con Cristo Crocifisso. Egli si vuole satollare d'obrobii, di pena, di scherni e di villania, pure che egli si possa conformare con Cristo, perché vede che l'anima non si può unire col suo Creatore se non per amore, e l'amore Cristo Gesù elesse questa via per la più perfetta e migliore che avere potesse: egli ce l'insegnò che ella era la via della verità e de la luce dicendo: «Io sono via, verità e vita: (Jn 14,6) chi va per questa via non erra, anco va per la luce» (Jn 8,12).

E però i servi di Dio, volendolo seguire, se possibile fusse di fuggire l'inferno e avere paradiso e uscire del mondo senza pena, non vogliono. Anco, con pena vogliono uscire del mondo, campare dell'inferno e avere vita eterna, per conformarsi col loro diletto Cristo. E se essi sono infermi godono, perché veggono vendetta del corpo loro e di quella legge perversa che combatte contro lo spirito; se essi sono in battaglie e in tenebre di mente, o in tentazione di bastemmia o di disperazione o d'infedelità, o d'altra molestia che il demonio gli desse, egli gode per vera umilità, reputandosi indegno della pace, e non cura fatiche: attende pure a conservare la rocca forte della sua volontà che egli non s'inchini a neuno suo consentimento, sentendo che la rocca della volontà, per la grazia di Dio, sta forte: che non tanto che ella consenta, ma d'altro non ha pena se non per timore che ha di non offendare Dio.

In questa pena voglio che v'abbiate cura, perché mi pare che il demonio vi ci dia molta molestia: anco, tutte le vostre pene sono redutte qui su. Sappiate che questa pena vuole essere ordenata, come detto è, e fondata in cognoscimento di sé per umilità, e nel cognoscimento della bontà di Dio, lo quale vi conserva la volontà: a questo modo sarà pena ingrassativa, che ingrasserà l'anima nella virtù, e non consumativa per disperazione. Trarranne la virtù picciola dell'umilità per cognoscimento di sé, e la virtù de la carità per lo cognoscimento di Dio, che sono due ale che fanno volare l'anima a vita eterna, ché non sarebbe buono a pigliare solo lo timore dell'offesa che non fusse mescolato con la speranza de la divina misericordia: ché altro non vorrebbe lo demonio che conduciarci in su la confusione e tristizia, la quale disecca l'anima. La quale tristizia e confusione di mente gitta a terra l'arme che lo Spirito santo ha dato nell'anima, cioè della volontà sua, conformata con quella di Dio; e cominci a volere la sua propria, sotto colore di meglio servire a Dio, volendo levare la infermità e altre pene mentali che egli ha avute e ha, dicendo: «Meglio e più liberamente servirei al mio Creatore». Questo cotale s'inganna, e lo inganno gli viene dal disordenato timore che il demonio gli dà, che il fa per rivestirlo de la volontà sua propria. Unde nasce una impazienzia, che diventa incomportabile a sé medesimo, una occupazione di mente, uno parere proprio, uno volere eleggiare le vie e gli stati a suo modo, e non secondo che Dio le permette.

Dunque non ci voglio più confusione, né tristizia, né volontà vostra, ma con una letizia, e fuoco dolce d'amore, e lume di Spirito santo, con uno cuore virile e non timoroso, vestendovi de la dolce e eterna volontà di Dio, la quale v'ha permessa e permette ogni pena, corporale e mentale: e questo ha fatto e fa per vostra santificazione, e per singulare amore donato a voi, e non per odio. Orsù, con l'arme! Sconfiggiamo questo demonio con l'eterna volontà sua; e col pensiero cacciamo lo pensiero, coi pensieri di Dio cacciando i pensieri del demonio. E se voi mi diceste: «Io non posso pensare di Dio, né dire l'offizio, né fare nessuna altra buona opera, sì per la infirmità e sì per li molti contrarii che ne la mente mi vengono», io vi rispondo: non lassate però, ma nella infermità adoperate la pazienza, ché ine si prova.

Nelle cogitazioni del demonio adoperate l'offizio e i pensieri santi di Dio, non occupandovi la mente di stare a contastare col demonio, volendo per questo modo fare resistenza a lui. Non fate così: poiché ella se ne occuparebbe più, ma fate ragione che sia fuore di voi, poiché la potete fare: perché tanto sono dentro da noi, quanto la volontà consente. Non consentendo, non sono intrati ne la casa, ma bussano alla porta. Debbasi levare l'anima, e non pigliare la saetta del demonio, e con essa volerlo ferire - ché nol ferirebbe mai - cioè di volere stare a contastare con lui; ma è da pigliare la saetta della volontà di Dio e dell'odio e pentimento di sé, e con esso percuotarlo, rispondendo al demonio: «Se tutto lo tempo della vita mia lo mio Creatore mi volesse tenere in questa pena e fatica, io sono apparecchiato di volere per gloria e loda del nome suo». E dire alle tentazioni: «Voi siate le molto ben venute», e ricevarle come carissimo amico, perché sono cagione e strumento di levarmi del sonno della negligenzia e farmi venire a virtù.

Godete e essultate, e perseverate infine alla morte; e inanzi morire, che muovervi mai dal luogo che Dio v'ha chiamato, ma con una pazienza abbracciate la croce, nascondendovi tra Dio e le pene, aprendo l'occhio dell'intelletto all'Agnello esvenato e consumato per voi, essendo contento di permanere in quello che Dio vi pone, o vi ponesse per lo tempo a venire. Dovetelo fare, perché sete certo che Dio ci chiama e c'sceglie in quello modo che più piacciamo a lui. Facendo così, acquistarete lume sopra lume; la pena per Cristo crocifisso vi sarà diletto, e il diletto e le consolazioni del mondo vi recarete a pena; e in questa vita cominciarete a gustare la caparra di vita eterna, ché questa è una delle beatitudini principali che ha l'anima che è nella vita durabile: che è confermata e stabilita nella volontà del Padre eterno. Ine gusta la divina dolcezza, ma non la gusta mai di là sù, se egli non se ne veste di qua giù, mentre che siamo pellegrini e viandanti.(He 11,13 1P 2,11) Quando n'è vestito gusta Dio per grazia ne le pene, empiesi la memoria del sangue dell'Agnello immacolato; l’intelletto s'apre, e ponsi per oggetto l'amore ineffabile che Dio gli ha manifestato nella sapienza del Figlio: allora l'amore che trova ne la clemenza de lo Spirito santo caccia l'amore proprio di sé e d'ogni cosa creata, fuore di Dio.

Non temete, padre carissimo, ma con letizia portate in conformarvi bene con la volontà sua, infermo e sano e in qualunque modo o stato vi vuole, ché ora non vi richiede altro essercizio che la pazienza e la fortezza, con dolce perseveranza, la quale perseveranza averete, se deliberarete nel cuore vostro di non volere altro che fatiche e pene. Seguitaravene la corona, poiché ella è data alla fortezza e perseveranza: questa riceve l'anima che è alluminata e piena del fuoco dello Spirito santo; senza questa guida non possiamo andare, e questa guida s'acquista e si perde nel modo detto di sopra. E però dissi io che io desiderava di vedervi lo lume e l'ardore de lo Spirito santo, e così prego e pregarò la somma e eterna verità, che vi riempi sì perfettamente, che voi cognosciate lo tesoro de le molte tribolazioni e tentazioni che v'è messo ne le mani solo per amore, e perché voi siate dei suoi eletti, per remunerarvi de le vostre fatiche nell'eterna sua visione. Altro non dico.

Se piacerà alla bontà di Dio che voi serviate al luogo di Gorgona sono certa che egli farà che sarà meglio per voi. State contento in ogni luogo, e guardate che non credeste a la tenerezza e compassione del corpo.

Siate contento alla vita degli altri vostri fratelli che sono stati e sono di quella carne che voi, e quello Dio è per voi ch'è per loro.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





336. Alla priora e monache del monasterio di santa Agnesa di Montepulciano

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime madre e figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi grate e conoscenti verso il vostro Creatore, affinché non si disecchi la fonte de la pietà nell'anime vostre, ma nutrichisi con gratitudine.

Ma attendete che solamente gratitudine di parole non è quella che risponde, ma richiedesi le buone e sante opere. In che la mostrarete? In osservare i dolci comandamenti di Dio, e, oltre ai comandamenti, osserverete i consigli attualmente e mentalmente. Voi avete eletta questa via dei consigli: Perciò ve gli conviene osservare fino alla morte, altrimenti offendereste; ma l'anima che è grata sempre gli osserva.

Che prometteste voi nella vostra professione? Prometteste d'osservareobbedienza, continenzia e povertà voluntaria; e se voi non gli osservate, diseccate la fonte della pietà.

Grande vergogna è alla religiosa che ella possegga tanto che ella abbi che dare: non debbe possedere, ma con una carità fraterna vivere caritativamente con le sue suore. Non debbe sostenere che l'altre periscano di fame, e ella abbondi: chi è grata non lo sostiene; anco sovviene e fa utilità al prossimo suo, vedendo che a Dio non la può fare, poiché egli è lo Dio nostro che non ha bisogno di noi. E volendo mostrargli che in verità riconosce le grazie ricevute da lui, il mostra verso la creatura che ha in sé ragione. E in tutte quante le cose s'ingegna di mostrare nel prossimo suo gratitudine a Dio, unde tutte le virtù sono essercitate per gratitudine: cioè che per amore che l'anima ha diventa grata, perché con lume riconosce le grazie del suo Creatore in sé.

Chi la fa paziente, che con pazienza porti le ingiurie, rimproverii e villanie da le creature, battaglie e molestie dal demonio? La gratitudine. Chi le fa abnegare la propria voluntà e soggiogarla al giogo dell’obbedienza? Essa gratitudine. Chi le fa osservare il terzo voto della continenzia? Essa gratitudine: ché per osservarla mortifica il corpo col digiuno, vigilia, e umile e continua orazione. E con l'obedienzia ha uccisa la propria voluntà, affinché - mortificato il corpo e morta la voluntà - la potesse osservare, e in essa osservanzia mostrasse la gratitudine. Sì che le virtù sono uno segno dimostrativo che dimostrano che l'anima non sia isconoscente d'essere creata ad immagine e similitudine di Dio, e della recreazione che ha ricevuta nel sangue de l'umile Agnello, ricreandola a grazia, e così di tutti gli altri doni e grazie che ha ricevute, spirituali e temporali: ma tutte con grandissima gratitudine le riconosce dal suo Creatore.

Allora cresce uno fuoco nell'anima d'uno desiderio santo, che sempre si nutre di cercare l'onore di Dio, e del cibo delle anime, con pena sostenendo fino alla morte. Se fosse ingrata, non tanto che si dilettasse del sostenere per onore di Dio, o per mangiare questo dolce cibo, ma se la paglia se le vollesse tra' piedi, sarebbe incomportabile a sé medesima: l'onore darebbe a sé, nutrendosi del cibo de l'amore proprio di sé medesima, il quale le germina la ingratitudine, privandola della vita della grazia.



Unde, considerando me quanto è pericoloso questo cibo che ci dà morte, dissi che io desiderava di vedervi grate e conoscenti di tante ismisurate grazie quante avete ricevute dal vostro Creatore; e singularmente di quella che al presente avete ricevuta, d'avere degnato la santità e benignità di Cristo in terra d'avervi dato a tutte la indulgenzia - e anco alla famiglia di fuore -, la quale è la maggiore grazia che in questa vita potiate ricevere. Convienvi Perciò essere grate inverso Dio, amandolo con un amore ispasimato, senza mezzo - ché altrimenti non sarebbe buono -, e inverso il santo padre, rendendogli orazioni: ché il dovete fare per debito, sì in quanto egli ci è padre, e sì per la grazia ricevuta, e per lo grande bisogno che ora gli vediamo.

Unde io vi scrivo di voluntà sua che ciascuna di voi dica i salmi penitenzali con le letanie, fino che basta questa tribolazione, ogni dì una volta, pregando strettamente per la santa Chiesa e per lui che Dio gli dia vero lume e cognoscimento e fortezza contro ai suoi nimici. Ora dico io a voi, che voi non diciate solamente con la lingua, ma col cuore e con grandissimo desiderio, riunite insieme dinanzi a quella gloriosa vergine Agnesa, madre di molte ignoranti figlie, intanto che Dio e ella ponga remedio alla ignoranza e freddezza vostra, affinché io vi possa vedere spose tutte fiorite di vere e reali virtù, seguitando la dottrina del sommo eterno fiore, dolce e amoroso Verbo. Annegatevi nel prezioso sangue suo. Prego lui che a tutte vi dia la sua dolce eterna benedizione.Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 19:20

337. Ai signori Priori de l'arti e Gonfaloniere di giustizia del Popolo e del Comune di Firenze .

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi grati e conoscenti delle grazie che ricevete dal vostro Creatore, la quale gratitudine notrica la fonte della pietà ne l'anima, sì come la ingratitudine la disecca.

Perciò ci conviene, per onore di Dio e nostra utilità, essere grati e conoscenti, ma non posso vedere che noi la possiamo avere mentre che noi siamo vestiti del vestimento vecchio del sensitivo amore. Poiché l'uomo che s'ama di proprio amore sensitivo - lo quale è quello vecchio uomo del quale si vestì lo primo nostro padre Adam, ed Eva, in tanto che non solo che la fonte della pietà si secasse in loro, ma tutta l'umana generazione ne sentì: serrata fu la vita eterna, che con tutte le nostre giustizie neuno vi poteva intrare. Chi fu cagione di tanto male? L'amore proprio, lo quale amore fa l'uomo ingrato e parturisce la superbia; e perché Adam fu ingrato della innocenzia e signoria che Dio gli aveva dato, avendolo fatto signore sopra tutte le creature che non hanno in loro ragione (unde qualunque animale egli avesse chiamato, sarebbe andato a lui, come sudditi suoi): ma poi doppo la ingratitudine sua, con la quale passò lo comandamento di Dio, trovò ribellione in tutti gli animali. E sì come fu ribelle a Dio, così fu ribelle a sé medesimo, trovando ribellione nella legge perversa della fragile carne sua, la quale continuamente combatte contro lo spirito. Sì che, mentre che altri è vestito del vecchio uomo, mai non può essere grato né a Dio né alle creature.

La ingratitudine per che procede? Da l'amore propio: priva della carità della carità; fa l'uomo superbo, riconoscendo quello che egli ha di bene da sé, e non da Dio; non vede sé non essere, perché il proprio amore l'ha accecato - ché se egli vedesse conoscerebbe che l'essere e ogni grazia che è posta sopra l'essere, spirituale e temporale, tutto l'ha da Dio, perché solo Dio è colui che è -. L’ingrato non è paziente, perché è separato dalla carità e carità del prossimo; la sua speranza è vana, perché si confida in sé: spera ne l'aiuto umano, e non ne l'aiuto divino; la fede sua è morta, perché è senza buona opera: poiché fede senza opera, morta è.

Se egli è suddito, egli è disobbediente; se egli è signore che tenga stato di signoria, egli commette ingiustizia, e non fa giustizia se non ad animo - la quale non è giustizia, anco è ingiustizia -, perché o egli la fa per odio o dispiacere che egli ha verso quello cotale, o per piacere e non dispiacere alle creature, o per propria utilità che egli ne trasse: unde vediamo in ogni cosa mancare la santa giustizia. I signori naturali sonno fatti tiranni; al petto del Comune non si notricano i sudditi con giustizia né carità fraterna, ma ciascuno con falsità e bugie attende al bene proprio particulare, e non al bene universale; ognuno cerca la signoria per sé, e non il buon stato e reggimento della città. Ma, come ciechi, non s'aveggono dei loro guai, ché, credendo acquistare, perdono; credendo possedere, lassano a tale ora che essi non se il pensano.

Questo aviamo veduto e provato; tutto lo permette Dio per divina giustizia, per purgare la nostra ingratitudine, e per farci tornare a cognoscimento, e con la verga umiliarci sotto la potente sua mano. Non sia veruno così matto che, mentre che egli sta in questa cecità d'ignoranza e d'ingratitudine, credper potere acquistare né conservare la grazia, né possedere la signoria temporale, poiché egli ha perduta la signoria di sé medesimo, e con ingratitudine sottoposta la ragione alla propria fragilità.

Non è veruno male, carissimi fratelli, che di questo vizio non esca; Perciò v'è necessario di spogliarvi dell’uomo vecchio, cioè del proprio amore unde esce la ingratitudine, e vestirvi dell’uomo nuovo, Cristo dolce Gesù, cioè della dottrina sua, seguitando le sue vestigie. Egli, per l'obbedienzia del Padre e salute nostra, per satisfare alla colpa d'Adam fece il contrario di ciò che esso Adam aveva fatto: Adam con la disobbedienza corse al diletto, con superbia e ingratitudine del beneficio ricevuto; e il dolce e amoroso Verbo corse, come innamorato, con obbedienzia all'obrobriosa morte della croce. Umiliossi Dio a l'uomo pigliando la nostra umanità, e Dio e Uomo si umiliò fino all'obrobriosa morte della croce; e così satisfece alla colpa della nostra ingratitudine, sì come nostro mediatore.

Convienci vestire dunque della dottrina di questo uomo nuovo, con vera e santa sollicitudine, e vestirci dell'affetto della sua carità che tanto amore ci ha mostrato che - se l'uomo non è già più duro che la pietra, villano e mercenaio, senza lume o intendimento - non può fare che non ami: poiché condizione è de l'amore d'amare quando si vede amare. Ma la nuvola de l'amore proprio ci ha tolto lo lume, che non il vediamo; e chi non vede non conosce, e chi non conosce non ama; non amando, non è grato. Perciò ci è bisogno lo lume per conoscere quanto siamo amati da Dio, e i difetti nostri, e a cui Dio vuole che si dimostri l'amore che noi aviamo a lui.

Noi sì vediamo che il prossimo ci è posto per mezzo a mostrare in lui l'amore che aviamo a Dio: perché, non potendo fare utilità al sommo bene, àci posto che il facciamo al prossimo nostro, e in lui dimostriamo l'amore, sovenendolo, aiutandolo, e consigliandolo in ciò che si può, a ognuno secondo lo stato suo. Questo è uno debito che ciascuno è tenuto di pagarlo; sì come ci è debbito d'essere sudditi e obbedienti alla santa Chiesa, e sovenirla in ciò che si può. Ché se noi siamo tenuti di sovvenire nella necessità lo fratello nostro, molto maggiormente la nostra madre santa Chiesa, e il padre nostro Cristo in terra: sopra questi mostraremo la gratitudine d'essere grati e conoscenti dei beneficii ricevuti, e notricaremo in noi la fonte della pietà.

A questa gratitudine v'invito che voi ci veniate, perché mi pare che per fino a qui poco l'aviate avuta.

Non fate così, carissimi fratelli, ché non è venuta meno la virga della divina giustizia, con la quale siamo stati e saremo battuti. Recatevi, recatevi oggimai le colpe vostre commesse, e le grazie ricevute, a memoria, a ciò che siate grati e conoscenti, e notrichiate in voi la fonte della pietà. Non c'inganniamo, fratelli miei dolci: molte sonno l'offese e le iniquità vostre, contro Dio commesse e contro il prossimo, contro il vicario di Cristo e contro la santa Chiesa; le quali iniquità non potete mantellare coi difetti dei pastori e amministri della santa Chiesa, poiché non tocca a voi di punirli, ma al sommo giudice e al vicario suo.

Ora, non obstanti questi difetti, i quali hanno meritato grande punizione, avete ricevuta tanta misericordia: riposti sete con grande benignità al petto della santa Chiesa, potendo ricevere lo frutto del sangue, se voi lo volete, da papa Urbano VI, vero sommo pontefice e vicario di Cristo in terra, lo quale v'ha perdonato e absolutovi con tanta carità, dandovi ciò che avete chiesto, trattativi non come figli che avessero offeso e ribellatisi al padre loro, ma come se mai non l'aveste offeso. Ora il vedete in tanto bisogno; e non tanto che voi lo soveniate, ma quello che avete promesso non attenete, unde mostrate segno di grande ingratitudine, della quale temo che, se voi non sarete grati e conoscenti, che Dio non permetta che la punizione ve la diate tra voi medesimi, sì come già avete fatto per l'adietro.

Perciò io vi prego per l'amore di Cristo crocifisso, e per vostra utilità, che il cuore vostro sia fermato e stabilito, e non vada vacillando; ma affermativamente tenere questa verità ferma, che papa Urbano VI è veramente sommo pontefice. E mostrate d'essere, e siate, grati e conoscenti e veritieri, cioè d'attenere quello che avete promesso e sovvenire la santa Chiesa e il padre vostro. Voi vedete bene se fa per voi, o sì o no, essendo voi fatti debili per divisione; e i travagli sonno grandi nel mondo. A questo modo conservarete lo stato vostro, e non con la ingratitudine; e però vi dissi ch'io desideravo di vedervi grati e conoscenti, considerando io che ella è quella virtù che notrica la fonte della pietà, e con essa invitiamo Dio a crescere e multiplicare le grazie. Perciò voglio che siate solliciti a mostrarla, come veri figli che dovete essere nella santa Chiesa, combattitori per la verità e per la santa fede a dissolvere e disfare quelli che ne sonno contaminatori. A questo modo sarete grati delle grazie ricevute, e purgarete le colpe vostre. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Amatevi, amatevi insieme, ché se tra voi vi farete male, neuno sarà che vi faccia bene. Non dormite più nel letto della ingratitudine, ma siate grati e conoscenti a Dio e a la santa Chiesa, e al padre nostro papa Urbano, unde vi verrà ogni bene; e conservarete i beni delle grazie spirituali e temporali. Perdete l'amore proprio, e state in carità insieme, nella carità sua; rendete il debito vostro a cui voi siete tenuti di renderlo.

Perdonate alla mia ignoranza, ché per amore della salute vostra mi sono mossa a scrivere a voi, constretta dalla divina dolce bontà. Gesù dolce, Gesù amore.



338. A missere Andreasso dei Cavalcabuoi, allora Senatore di Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi signore giusto: cioè che nello stato vostro della signoria, dove voi sete, voi siate giusto e mantenitore della santa giustizia, facendola sempre con ragione; e non siate ingiusto, commettendo ingiustizia volendo più tosto piacere agli uomini che a Dio.

Ma non vego che già mai l'uomo possa avere questa virtù della santa giustizia se in prima egli non vive giustamente, privandosi de l'amore propio di sé e d'ogni piacere umano, poiché tutti i vizii procedono da questi: ché solo offendiamo Dio quando noi cerchiamo di compire i nostri disordenati desiderii, desiderando con propio amore quelle cose che sono fuore della volontà di Dio, con uno piacimento disordinato che l'uomo ha in sé. E perché esso piace a sé medesimo, però si studia di piacere agli uomini del mondo; e di piacere a Dio non cura.

Non può essere giustizia in costui, perché non è giusto egli, come detto è; anco è crudele che ingiustamente, o per avarizia e desiderio di pecunia o per preghiere d'uomini, sarà devoratore delle carni del prossimo suo. Unde spesse volte vediamo che questi cotali mantengono la giustizia solo nei povarelli - la quale spesse volte è ingiustizia -, ma nei grandi no, cioè di quegli che possono alcuna cosa. Tutto questo procede dall'amore propio e dal piacimento di sé: non è giusto, e però non tiene la santa e vera giustizia; non ha l'occhio suo verso la città de l'anima sua ma solo al miserabile corpo, cercando pure in che modo lo possa dilettare, spendendo tutto lo tempo suo lascivamente, pieno di superbia e di pompa e di vanità: le quali tutte gli danno la morte. Ma la tapinella anima che deve essere tempio di Dio - dove Dio abiti per grazia -, egli l'ha fatta tempio del demonio: data ha questa città nelle mani e signoria sua, sottopostala al peccato che non è nulla. E, come cieco, senza veruna ragione, non raguarda in quanto male egli è venuto, né la pena che segue doppo la colpa, ché se egli la vedesse sceglierebbe inanzi la morte che offendere il suo Creatore per veruna cosa del mondo; anco s'ingegnarebbe di fare buona guardia affinché l'anima - che deve essere donna - non fusse serva, e la sensualità - che deve essere serva - non fusse donna. Ma egli fa lo contrario, perché non attende ad avere cura della città sua; e non avendo l'occhio a sé, non l'avrà mai sopra la città attuale della quale fusse fatto signore. E però non guarda al bene universale e comune di tutta la città, ma solo a sé medesimo o a bene particulare, lo quale è per proprio suo piacere, o utilità che ne torni a lui medesimo.

Perciò ci è bisogno d'essere giusti, e giustamente guardare la città dell'anima nostra, vivendo col vero e santo timore di Dio: essere amatori delle virtù e odiatori dei vizii. Per questo modo gustaremo lo sangue di Cristo crocifisso; rilucerà in noi la vera e santa giustizia, perché sarete signore giusto e pietoso a l'anima vostra e al prossimo: in altro modo, no. E però vi dissi ch'io disideravo di vedervi signore giusto, cioè vivendo giustamente, affinché voi manteniate ragione e giustizia nello stato che voi sete.

Carissimo fratello, non dormite più, ma con sollicitudine vi svegliate dal sonno. Torniamo a noi medesimi, non aspettando lo tempo poiché il tempo non aspetta noi. Considerando io che il tempo è tanto breve che mai non potremo imaginarlo, vorrei che noi escissimo d'obligo, rompessimo lo legame nel quale siamo legati, poiché colui che è legato non può andare: ed egli è a noi pur bisogno d'andare per la via delle virtù seguitando la dottrina di Cristo crocifisso, lo quale è via, verità e vita; e chi va per lui non va in tenebre, ma per la luce: Perciò ci bisogna andare per questa dolce e dritta via. Con che tagliaremo questo legame? Col coltello dell'odio del vizio e amore delle virtù, gittando la fune con la santa confessione. E per giognere a questo nessuna fatica ci debba parere malagevole né dura, ché più malagevole e duro ci debba parere di vedersi legata l'anima, che veruna fatica che portasse il corpo. Unde io vi prego per amore di Cristo crocifisso, che per fatica voi non lassiate di venire al luogo dove potete essere sciolto.

Ingegnavomi bene di fare che voi non aveste questa fatica, ma lo sommo nostro pontefice, papa Urbano VI, disse - ponendogli io lo caso vostro innanzi - che a lui pareva e piaceva che, potendo voi venire, e non essendo molto di lunga, voleva che veniste; non tanto per voi, ma perché gli altri, vedendo riescitone voi senza fatica, di leggiero non s'avezzassero a cadere in simile caso. «Ma venga egli, e io gli farò - disse - ogni grazia». Ora dico io a voi: forse che la divina bontà lo permette - che alla Santità sua non sia piaciuto -, affinché voi veniate a ricevere utilità in più modi: ché, venendo, voi sarete sciolto l'anima; e il corpo poterebbe essere che si legarebbe al servizio della santa Chiesa. Lo quale servizio è molto piacevole a Dio, e spezialmente nel tempo d'oggi, che ella è in tanta necessità. Pregovi che non vi sia grave, ma pigliate lo partito lo più tosto che si può; e io in questo mezzo non lassarò, però, ch'io non bussi alla porta della Santità sua a pregarnelo strettamente. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Abiate memoria del sangue sparto per voi con tanto fuoco d'amore. Guardatevi dell'offizio e della messa, affinché non s'agionga colpa sopra colpa. Gesù dolce, Gesù amore.



339. AI signori Priori del Popolo e Comune di Perugia.

Al nome di Gesù crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi sovenitori a la necessità del padre vostro e alla vostra medesima: poiché il sovvenire a lui è sovvenire a la salute vostra spiritualmente e temporalmente.

Spiritualmente in quanto, sovenendo a questa dolce sposa della santa Chiesa e a papa Urbano VI, voi rendete il debito vostro - lo quale tutti siamo obligati di rendere -; rendendolo noi mostriamo d'essere grati e conoscenti a Dio e a lui delle grazie che egli ci ha fatte e fa continuamente: grazie, ché comparazione non potremmo ponere a quello che noi rendessimo a lui, a rispetto di quello che dà a noi. Poiché quello che egli ci dona è uno bene che ci dà vita eterna: ciò sonno i sacramenti della santa Chiesa e altri doni spirituali, che tutti hanno vita e vagliono a noi in virtù del sangue - dove noi gli riceviamo con vera e santa disposizione e col lume della santa fede -, e in altro modo ci darebbero morte, non per difetto d'i doni, né di lui che dona, ma per la mala disposizione nostra con che noi ricevessimo.

E tutti sonno ministrati da lui; e senza lui non gli possiamo ricevere, poiché tiene le chiavi del sangue de l'umile Agnello, sparto per noi con tanto fuoco d'amore: sì che egli dà a noi bene infinito, dove noi ci disponiamo, come detto è. E noi doviamo dare, se voliamo rendere il debito nostro, cosa finita, cioè di queste cose transitorie, suvenendolo nel suo bisogno; e doviangli dare il desiderio con umile orazione; e con cordiale amore dare questa substanzia temporale, sì come debba fare lo figlio al padre suo. Vedete dunque che comparazione non si può ponere da l'uno a l'altro, se non quanto dalla cosa infinita a la finita.

Anco ci soviene temporalmente. Come? Che, essendo noi figli ribelli a l'obedienzia di lui padre, giustamente eravamo privati della eredità; ed egli v'ha concessa la eredità, e perdonatavi la ingiuria fatta a Dio e a lui: distese ha le ale della sua misericordia, sovenendo al bisogno della salute de l'anima e del corpo. Doviamo dunque essere grati, a ciò che se nutrichi la fonte della pietà in noi, e non si desecchi.

Ora è il tempo da mostrare questa gratitudine, nel tempo che vediamo contaminare la fede nostra: faccendolo, facciamo bene, perché rendiamo il debito; rendendo il debito siamo obbedienti, della quale obbedienzia ci segue la grazia che ci dà vita. Ecco dunque che a noi medesimi facciamo bene, e soveniamo spiritualmente al bisogno della nostra salute: perché ne l'obedienzia della santa Chiesa e del sommo Pontefice ci vagliono tutte le grazie le quali ci sono ministrate per lui. E non facendolo, ce ne priviamo; e così ci facciamo danno di colpa.

Bene è dunque vero che, sovenendo lo padre nostro, noi medesimi soveniamo delle grazie: spirituali, dico, e temporali. Come? Dicovelo: che vedendo noi questi tempi apparechiati a tante fatiche, e disponere i vostri paesi ad avenimento di signori, e noi siamo teneri come il vetro, per li molti defetti nostri e grandi divisioni. Unde discostandovi, e non sovenendo lo padre nostro, saremmo a pericolo, perché, essendo separati dalla nostra fortezza, troppo saremmo debili. Ché, non mostrando ora in questi bisogni d'essere per lui, mostriamo d'essere contro lui, sì come disse la dolce Verità: «Chi non è per me, è contro me» (Mt 12,30 Lc 11,23); e diamo materia che, nei grandi bisogni che ci occorrono, egli ci renda di quello che noi diamo a lui.

E voi sete pure certi di questo - se già voi non sete più ignoranti che l'altre persone -: che il braccio della santa Chiesa, se pure indebilisce, mai non è rotto; e de la debolezza esce sempre fortificato lo braccio e chi ad esso s'accosta. Poi invitiamo il divino sopplicio a venire sopra di noi, dimostrando tanta ingratitudine: ché giustamente Dio s'indegnarebbe contro noi - disciplinandoci con la verga sua - non sovenendo al padre nostro papa Urbano VI e alla fede nostra; la quale vediamo che gl'iniqui uomini ci hanno dentro seminata le tenebre, come crudeli e malvagi uomini. Ma la luce confonderà le tenebre loro, e la verità la loro bugia.

Non tardate più, né dormite nel sonno della negligenzia, ma con sollicitudine fate ciò che si può fare in bene della santa Chiesa, poiché questo è nostro; e ciascuno per sé medesimo lo debba fare, perché l'utilità torna a noi come al padre nostro, sì come detto è, in ogni modo. Siatemi tutti virili, e non voliate ritrare adietro per veruno timore servile, poiché qui non è bisogno timore se non lo timore santo di Dio.

E se noi saremo veri figli e vorremo la eredità, saremo sovenitori al padre e a noi medesimi; e non tanto la substanzia, ma la vita ci metteremo, se bisognasse. Ma io m'aveggo che la fredezza ha ricoperti i cuori nostri, e la cecità ha offuscato l'occhio dell'intelletto che non ci lassa sentire né conoscere lo nostro danno lo quale noi vediamo; ma, come idioti, senza cognoscimento del danno e delle grazie che aviamo ricevute fino ad ora, secondo che si mostra ne l'atto di fuore, non aviamo dato neuno aiutorio se non parole. Conviensi che l'affetto germini lo frutto; e nel frutto m'avedrò che voi amiate e reveriate con vera e prontaobbedienza alla fede nostra, sovenendo alla necessità della santa Chiesa.

Strignetevi insieme, per Cristo crocifisso; poi non temete veruno tiranno, poiché l'aiutorio divino, per lo cui amore soverrete alla Sposa sua, vi dilibererà. Aprite gli occhi, carissimi frategli, senza passione d'amore sensitivo, a vedere il bene che ve ne può seguire e che ve ne segue - rendendo il debito, come detto è -, e il male che per lo contrario ne viene da Dio e dagli uomini, aspettando la verga della divina giustizia. Spero, per la bontà di Dio, che vi farà conoscere quello che è da fare; e conoscendolo lo farete; facendolo, abracciarete lo bene e schifarete lo male, e io ne pregarò Dio con tutto lo cuore e con tutto l'affetto mio. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Perdonatemi se troppo v'ho gravati di parole: la necessità della santa Chiesa e della nostra salute mi possiede constretta. Umilemente mi vi racomando. Gesù dolce, Gesù amore.




340. A madonna Agnesa da Toscanella, serva di Dio di grandissima penitenza.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima sorella in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fare uno vero e reale fondamento, affinché vi si possa ponere su ogni grande e buono edificio, che nessuno vento contrario il possa dare a terra.

Non vi maravigliate perché io dico che io desideri di vedervi fare uno vero fondamento: che pare uno cotale parlare come se ora cominciassimo a edificare la città dell'anima nostra, ed egli è tanto tempo che parbe che noi volessimo cominciare a fare questo fondamento; benché io confesso che io nol feci mai. Ma la cagione perché io dico che ora lo cominciamo a fare è perché ogni dì di nuovo l'anima debba cominciare a fare questo principio.

Poiché aviamo veduto che ci conviene fare questo fondamento, ora vediamo dove, come, e in che.

Dicovelo: lo luogo è il vero cognoscimento di noi, lo quale cognoscimento si cava nella valle della vera umilità. E in che modo? col lume della santissima fede, cavando colle mani dell'odio l'affetto del disordinato amore, lo quale è quella terra che ingombra l'anima; e vuolsi riempire colle pietre delle vere e reali virtù, colla mano dell'amore con ardente e santo desiderio. E che ci porremo su? la fame dell'onore di Dio, e della salute delle anime, imparando dell'umile immacolato Agnello, seguitando la dottrina sua; la quale dottrina non c'insegna altro se non d'amare lui sopra ogni cosa, e il prossimo come noi medesimi. E però l'anima prudente, che ha fatto lo suo principio nel cognoscimento santo di sé nel modo detto - dove ha cognosciuta la grande bontà di Dio e l'amore ineffabile che egli ci ha -, ella s'inamora di lui e di quello che egli più ama - cioè la creatura che ha in sé ragione -; e però subito si pone alla mensa del santo desiderio di prendere il cibo delle anime e d'uccidere in sé la propria volontà, e vestirsi delle virtù per onore di Dio.

E questa volontà si debba uccidere non mezza, ma tutta. Sapete quando s'uccide pur mezza? quando l'anima taglia l'affetto suo da queste cose transitorie, tagliandone l'amore sensitivo, e piglia di fare la volontà di Dio, lo quale vuole che ce ne spogliamo. Rimane mezza morta, essendo morta in questo; e mezza le rimane viva, cioè nelle cose spirituali, cercando le proprie consolazioni, elegendo tempi e luoghi e consolazioni a modo nostro, e non a modo di Dio: la quale cosa non si debba fare. Anco, doviamo liberamente e coraggiosamente servire il nostro Creatore, e a lui lasciare discernere tempi e luoghi e consolazioni a modo suo, poiché egli è il medico e noi siamo gl'infermi; onde a suo modo doviamo ricevere e pigliare la medicina. Bene è stolta e matta quella anima che vuole andare a suo modo: pare che si reputi sapere più che Dio, e non se n'avede. Egli è pur così, perché l'è velato con questo colore: che le pare esser più piacevole a Dio nel modo suo che in quello che l'è permesso da Dio. Per questo modo spesse volte riceve grandissimi inganni. E onde viene la cagione che la volontà sta viva in questo? dall'amore che ha conceputo alle proprie consolazioni, avendo fatto in esse il suo fondamento. Alcuni lo fanno nelle visioni e revelazioni, unde traggono grande diletto, quando ne ricevono; e non ricevendo, hanno pena. Questo non è buono principio, poiché spesse volte crederanno che ella sia da Dio, e ella sarà dal demonio, perché il demonio ci piglia con quello amo che egli ci vede più atti a ricevere.

E anco alcune volte ci permetterà le molte consolazioni mentali Dio, non a ciò che noi ci poniamo il principale affetto, ma perché raguardiamo all'affetto di lui donatore più che al dono. Poi in un altro tempo non ce le darà, ma darà altro sentimento, o di molte battaglie, o tenebre e sterilità di mente, unde l'anima ne viene a grandissima pena, e parle essere privata di Dio quando è privata di quello che ama. E Dio il permette per levarla dalla imperfezione, e farla venire a perfezione; e per levarla dall'apetito delle revelazioni, e farla notricare alla mensa del santo desiderio, nel quale ella debba fare ogni suo principio.

Alcune volte sono molti che ricevono inganno nella penitenza. Questo è quando la creatura si pone per principale affetto la penitenza, e attende più a uccidere il corpo che la propria volontà - colà dove ella debba uccidere la propria volontà e mortificare il corpo -: e tanto amore vi pone, che non le pare potere avere Dio senza questa penitenza. Questo fondamento non è sufficiente di ponervi su grandi edificii, anco, è molto pericoloso e nocivo all'anima. E però non si debba ponere per fondamento ma per parete; e il principio suo fare sopra l'affetto dolce della carità, e nelle virtù intrinseche dell'anima, le quali non si perdono mai per luogo né per tempo, se noi non vogliamo, e non ci possono essere tolte da veruna creatura. La penitenza si debba pigliare come mezzo, e usarla per augumentare la virtù e per mortificare il corpo, ma non per principale affetto. Chi fa altrimenti, inganna molto sé medesimo. Ben debba la persona conoscere che la penitenza le conviene fare a tempo, poiché in ogni tempo non l'è possibile seguirla come ha cominciato, perché il vasello del corpo, quando è mortificato e macerato un tempo, non può così l'altro; non potendo, ha pena, e parle essere riprovato da Dio. La mente ne rimane tenebrosa, perché è tolto via quello unde le pareva ricevere lo lume e la consolazione: questo l'adiviene perché ha fatto qui su il suo principio. Questi cotali sono atti ad avere pur assai fatica, ma poco frutto.

Sono atti a mormorazione e a giudicio inverso coloro che non tenessero per la via della penitenza, perché tutti gli vorrebbero vedere andare per quella via che vanno essi. Non se n'avegono: e quasi pare che vogliono ponere legge allo Spirito santo che ci chiama e guida per diversi modi: chi per penitenza e chi per altro modo; chi con poca, e chi con molta, secondo la possibilità della natura; e chi se ne va solo con l'ardente desiderio, e questi sono quelli che fanno il grande guadagno: corrono tutti illuminati, liberi e senza pena; perché hanno morta la volontà loro, non danno giudicio ma godono di vedere tanta diversità di modi nei servi di Dio, perché vegono che nella casa del Padre nostro sono molte mansioni, e che egli ha che dare.

Questi non ricevono pena per privazione di consolazioni, anco ne godono per odio santo che hanno di loro, reputandosi degni della pena e indegni del frutto che segue doppo la pena. Non attendono a cercare sé per sé, ma per Dio; e Dio non amano per proprio diletto, ma per la bontà sua, che è degno d'essere amato da noi; e il prossimo amano perché ci è comandato; e hanno veduto col lume della fede che Dio l'ama ineffabilmente, e però essi l'amano. In questa vita gustano la caparra di vita eterna, perché hanno morta la volontà in tutto, e non a mezzo, nelle cose spirituali e temporali.

O carissima sorella, non credete, né caggia nella mente vostra, ch'io vi spregi la penitenza corporale. No, anco la commendo in quanto ella sia posta per strumento, come è detto, ma non per principale affetto. Per altro modo, riceveremo moltissimi inganni. Doviamo Perciò fare uno principio d'uno cognoscimento di noi, e di Dio in noi; tutte schiette e liberali corrire alla mensa della santissima croce - dove noi troviamo lo fuoco della divina sua carità -, e, come affamate, a questa mensa pigliare lo cibo de l'onore di Dio e salute delle anime, satollandoci d'obrobrii, di scherni e villanie, sostenendo fino alla morte. Per questo modo seguitaremo la dottrina di Cristo crocifisso, lo quale è via, verità e vita; e chi va per lui, non va in tenebre, ma giogne alla luce.

E veramente egli è verità, che chi segue la sua dottrina riceve lume di grazia: tollegli le tenebre de l'amore proprio e della ignoranza; e riceve una luce, cioè uno lume sopranaturale, col quale lume ha veduto e cognosciuto dove gli conviene fare il suo principio: e però l'ha fatto, e ha edificato la città dell'anima sua. Ha veduto con grande prudenzia quella cagione che impedisce la sua perfezione, e però in tutto la tolle da sé; e strigne e abraccia quello che l'abbi a conservare e crescere nella perfezione.

Dilargando lo cuore e l'affetto nell'ardore della divina carità, non pensa di sé, ma pensa pure in che modo possa più piacere a Dio in cercare l'onore suo e la salute delle anime. E perché vede che questo non potrebbe fare con la volontà viva, però si studia d'uccidere e abnegare in tutto questa volontà, e di mortificare il corpo, in tanto che di nessuna cosa pare che si cura, se non di vestirsi delle virtù. Unde se ella ha consolazione da Dio, o da le creature per Dio, ella s'umilia, ricevendo con ringraziamento, e reputandosene indegna; e se ella ha tribolazione, tentazione o tenebre di mente, ella le riceve con pazienza e amore, conoscendo che ciò che Dio le permette, di qualunque cosa si sia, glili dà per amore, per farla venire allo stato perfetto del quale ella ha desiderio.

Se ella è rimossa dalla sua penitenza che ella faceva per mortificare lo corpo - o perobbedienza o per non potere -, ella se ne pone in pace, e non ha tempesta né amaritudine nella mente sua, perché non aveva fatto in essa lo suo fondamento, ma nell'affetto delle virtù: e però non ha pena. Tutto il contrario fanno coloro che hanno fatto lo loro principio solo nella penitenza, perché la volontà loro è viva e non morta, unde hanno pena intollerabile quando ne sono fatti levare, o quando per necessità la conviene loro lasciare: cioè, quando per mancamento di natura non possono seguire quello che hanno cominciato, vengonne ad impazienzia in loro medesimi, e a dispiacere verso chi gli lo 'mpedisce. E volendo giognere a perfezione, vengono a imperfezione.

Perciò, carissima figlia, facciamo lo nostro principio e vero fondamento non in cosa imperfetta, ma in cosa perfetta, cioè nel vero cognoscimento di noi, come detto è, con desiderio delle virtù - le quali non ci possono essere tolte -, notricandoci alla mensa del santo e vero desiderio, satollandoci degli obrobrii de l'umile Agnello. Poiché in altro modo non potremo piagnere con umili e continue orazioni sopra lo figlio morto de l'umana generazione, né sopra lo corpo mistico della santa Chiesa, la quale oggi vediamo in tanta tribolazione. Vedendo io che altro modo non c'è migliore per lavorare in noi e in altrui, che fare questo dolce principio, dissi ch'io desideravo di vederci fare uno vero e reale fondamento, affinché ci possiamo edificare su virtù vere. E così vi prego per l'amore di Gesù Cristo crocifisso che facciate; e non vogliate usare indiscrezione, per poco lume, di darvi tanto a uccidere il corpo: ma in tutto uccidere la propria volontà, che non cerchi né voglia altro che Dio a modo suo, e non a vostro. Altro non vi dico.

Di quello che mi mandasti a dire, d'andare al Sepolcro, non mi pare che sia d'andarvi per questi tempi; ma credo che sia più la dolce volontà di Dio che vi stiate ferma, e gridiate continuamente con cordiale dolore nel cospetto suo, e con grande amaritudine di vederlo offendere tanto miserabilemente, e spezialmente della eresia che è levata dagli iniqui uomini per contaminare la fede nostra, dicendo che papa Urbano VI non è vero papa. Lo quale è vero sommo pontifice e vicario di Cristo, e così confesso nel cospetto di Dio e dinanzi alle creature.

Bagnatevi nel sangue sparto per noi con tanto fuoco d'amore, e a me perdonate se troppo presuntuosamente avessi parlato. Pregate Dio per Cristo in terra e per me, che mi dia grazia ch'io dia la vita per la sua verità dolce.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





341. A missere Angelo, nuovamente eletto vescovo Castellano.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi illuminato d'uno vero e perfettissimo lume, a ciò che nel lume di Dio vediate lume, poiché vedendo conosciarete la sua verità; conoscendola, l'amarete: e così sarete sposo della verità.

Senza questo lume andaremo in tenebre: non saremo fedeli ma infedeli sposi della verità, perché questo lume è quello mezzo che fa l'anima fedele; dilongala dalla bugia della propria sensualità, e falla corrire per la via di Cristo crocifisso, lo quale è essa verità; fa lo cuore maturo, stabile e non volubile - cioè a dire che per fatica non si muove con impazienzia, né per consolazione con disordinata allegrezza -: in ogni cosa è ordinato e pesato nei costumi suoi, tutto lo suo operare è fatto con prudenzia e con lume di grande discrezione. E sì come prudentemente adopera, così prudentemente parla, e prudentemente tace, dilettandosi più d'udire le cose necessarie, che parlare senza bisogno. Questo perché è? perché con lume ha veduto nel lume che il dolce Dio eterno si diletta di poche parole e di molte opere.

Senza lo lume non l'averebbe cognosciuto: e però averebbe fatto tutto lo contrario, parlando molto e facendo poco. Lo cuore suo andarebbe a vela, ché nella allegrezza sarebbe leggiero con vanità di cuore, e nella amaritudine si trovarebbe con disordinata tristizia. In ogni male è atto a cadere quelli lo quale è privato del lume; e così colui che nel lume della verità eterna ha veduto lume è disposto e atto a venire a grande perfezione, e vienvi se con sollecitudine e odio santo di sé, e amore della virtù, essercita la vita sua, ma in altro modo no. Anco, sarebbe tutta imperfetta e corrotta la vita sua; corrotta la vita, sarebbero corrotte tutte le sue opere: della ragione averebbe fatta serva, e della sensualità donna; ciò che Dio gli desse, pigliarebbe in morte.

In qualunque stato si fusse, non rendarebbe a Dio il debito suo, né al prossimo, né a sé: cioè di rendare a Dio l'onore d'amarlo coraggiosamente senza rispetto di sé, ma solo perché egli è degno d'essere amato, perché egli è somma ed eterna bontà. A sé non rendarebbe odio (il quale si debba rendare odiando la propria sensualità, con aggravare le colpe sue passate e presenti con vero pentimento - dolendosi più dell'offesa di Dio che della pena propria che gli segue doppo la colpa -), e al prossimo la benevolenza d'amarlo strettamente come sé medesimo, servirlo e aitarlo in ciò che egli può, per trarlo fuore delle mani delle demonia. Costui non si pascerebbe alla mensa dell'ardente desiderio de l'onore di Dio e del cibo de l'anime; a la quale mensa Dio ci richiede che continovamente stiamo a prendere questo cibo: massimamente i pastori della santa Chiesa, ai quali Dio ha commessa la cura de l'anime, dieno cercare.

Questi debbono essere pastori veri, seguitando lo buono e santo pastore, lo quale dispose e dié la vita per le pecorelle sue (Jn 10,11), e colla pena della croce compì l'obbedienzia del Padre e la salute nostra. Mai non rifiutò labore né fatiga, né allentò mai lo desiderio da questa nostra salute né per lo demonio, né per detto delli Giuderi, che gridavano: «Descende della croce» (), né per nostra ingratitudine. Noi doviamo seguire le vestigie sue: a questo v'invito, carissimo padre.

Nuovamente Dio v'ha messo in questo giardino della santa Chiesa, e postovi lo peso delle anime, a ciò che facciate sì come facevano i dolci e santi pastori, quando anticamente la Chiesa di Dio abondava d'uomini virtuosi, i quali con lume dell'intelletto si spechiavano in questa verità dinanzi, allora che si ponevano non delizie né richezze, con adornamento di casa, con molti donzegli, né con grossi cavagli, come fanno oggi, che tanto sono summersi in questo e negli altri defetti che delle anime non si curano. Dico che non facevano così essi, ma il loro obiettivo era Cristo crocifisso; e conoscendo col lume la fame di questo dolce Verbo - la quale egli ebbe verso la nostra salute - se ne innamoravano per sì-fatto modo, che il sostenere e dare la vita era a loro grande allegrezza; i loro famegli erano i poveri, la loro richezza era l'onore di Dio, la salute delle pecorelle, e la essaltazione della santa Chiesa. Non si ristavano mai d'offrire dinanzi a Dio dolci e amorosi e penosi desiderii, dando loro la dottrina, con essemplo di buona e santa vita; crescendo nello stato, non enfiavano per superbia, ma più perfettamente s'aumiliavano, poiché lo lume lo' faceva chinare lo capo, conoscendo la gravezza e il peso che ricevuto avevano in avere cura delle anime.

Ora è il tempo: in quanto è maggiore necessità che fusse già grandissimi tempi o mai nella Chiesa di Dio; in quanto il mondo più abonda dei vizii, tutto è avelenato, in tanto che non si trova dove altri possa posare lo capo altro che in Cristo crocifisso. Non voglio che allentiate lo santo desiderio che avete e che dovete avere, di fare il debito nell'offizio vostro, né per inganno di demonio, che vi volesse fare vedere che il meglio fosse conformarvi con li costumi degli altri, o che tempo non fusse di correggere li vizii delli sudditi vostri, e massimamente le immondizie e ribaldarie le quali trovansi nei cherici (propriamente sareste uno demonio, perché vi scordareste dalla volontà di Dio, e conformarestevi con la sua); né per detto di creatura che volesse dire: «Discende di questa croce, non volere portare affanno, poiché te ne seguitarà pena e forse la morte. Se tu sostieni, i sudditi ti credaranno, e possiderai in pace lo beneficio tuo». Col timore santo risponda al timore servile, e alle creature che con queste parole spaventano la sensualità: «Or non sono io mortale? or non posso io rivocare questa morte? Sì bene: nel dì de la resurrezione. Ma la morte eterna, la quale per questo mi seguirebbe, non posso io mai reparare: agiungervi sì, cruciando il corpo il dì della resurrezione. Perciò meglio m'è di ponere la vita, e seguire Cristo crocifisso»; e con fede viva credere in verità che per lui potrete ogni cosa. Né voglio che voi lasciate, per ingratitudine loro, mai di subvenirli e procacciare la vita loro, iuxta il vostro potere.

Siatemi vero e perfetto ortolano in divellere li vizii e piantare le virtù in questo giardino: per questo v'ha Dio ora, di nuovo, posto e chiamato. Siate Perciò tutto virile a rendare il debito vostro. Son certa che se arete vero lume, lo farete compitamente; altrementi, no. E però vi dissi che io desiderava di vedervi illuminato d'uno vero e perfettissimo lume.

Pregovi per amore di Cristo crocifisso e di quella dolce madre Maria, che vi studiate di compire di voi la volontà di Dio e il desiderio mio, e allora reputarò beata l'anima mia. Non è più tempo da dormire, ma da destarsi dal sonno della negligenzia, e levarsi dalla cecità della ignoranza; e realmente sposare la verità coll'anello della santissima fede, non tacendola per veruno timore, ma largo e liberale, disposto a dare la vita, se bisogna; tutto ebbro del sangue de l'umile e immacolato Agnello, traendolo delle mamille de la dolce Sposa sua, cioè della santa Chiesa, la quale vediamo tutta smembrata. Ma spero nella somma ed eterna bontà di Dio che le rendarà i membri sani e non infermi, odoriferi e non putridi; e fabricarannosi questi membri sopra le spalle dei veri servi di Dio amatori della verità, con molti labori e sudori e lacrime, e umile e continova e fedele orazione. Altro non vi dico. Confortatevi in croce con Cristo dolce Gesù.

Umilemente mi vi racomando.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

Siate uno padrone in cotesta città ad annunziare virilmente la verità di papa Urbano VI, sommo e vero pontifice; e in tutto vi studiate di mantenergli nella fede,obbedienza e reverenzia della santa Chiesa e della sua Santità.



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19/10/2012 19:23

342. A don Roberto da Napoli, prete secolare.

Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

A voi, riverendo e caro padre, per reverenzia di quello dolcissimo sagramento, io Caterina serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e racomandomivi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi unito e transformato nel fuoco de la divina carità, lo quale fuoco unì Dio con l'uomo, e tennelo confitto e chiavellato in croce.

O inestimabile e dolcissima carità, quanto è dolce l'unione che tu hai fatta con l'uomo! Bene hai dimostrato lo ineffabile amore per molte grazie e beneficii fatti a le creature, spezialmente per lo beneficio de la incarnazione del Figlio, cioè di vedere la somma altezza venire a tanta bassezza quanto è la nostra umanità. Bene si die vergognare l'umana superbia di vedere Dio tanto umiliato nel ventre de la gloriosa vergine Maria, la quale fu quello campo dolce dove fu seminato lo seme de la parola incarnata del Figlio di Dio.

Veramente, carissimo padre, questo benedetto e dolce campo di Maria!: fece in lei questo Verbo inestato ne la carne sua, come lo seme che si gitta ne la terra, che per lo caldo del sole germina e trae fuore lo fiore e il frutto, e il guscio rimane a la terra. Così veramente per lo caldo e fuoco de la divina carità che Dio ebbe all'umana generazione, gittando lo seme de la parola sua nel campo di Maria, o beata e dolce Maria, hai donato lo fiore del dolce Gesù. E quando produsse lo frutto questo benedetto fiore? Quando fu inestato in sul legno de la santissima croce: allora ricevemmo vita perfetta. E perché dicemmo: «lo guscio rimane a la terra», quale fu questo guscio? Fu la volontà dell'unigenito Figlio di Dio, lo quale, in quanto uomo, era vestito del desiderio suo dell'onore del Padre e de la salute nostra. E tanto fu forte questo smisurato desiderio, che corse come innamorato, sostenendo pene e vergogne e vitoperio fino all'obbrobiosa morte de la croce. Considerando, venerabile padre, che questo medesimo fu in Maria, ed ella non poteva desiderare altro che l'onore di Dio e la salute de la creatura, però dicono i dottori, manifestando la smisurata carità di Maria, che di sé medesima avrebbe fatto scala per ponare in croce lo figlio suo, se altro modo non avesse avuto. E tutto questo era perché la volontà del figlio era rimasa in lei.

Tenete a mente, padre, e non v'esca mai del cuore né de la memoria né dell'anima vostra, che sete stato offerto e donato a Maria. Pregatela ch'ella v'appresenti e doni al dolce Gesù figlio suo, ed ella come dolce madre e benigna, madre di misericordia, vi rapresentarà. E non siate ingrato né sconoscente, però ch'ella non schifa le petizioni, anco l'acetta graziosamente. Siate fedele, non raguardando per nessuna illusione di dimonia né per detto di nessuna creatura, ma virilmente corrite, pigliando quello affetto dolce di Maria, cioè che sempre cerchiate l'onore di Dio e la salute delle anime. E così vi prego, quanto fosse possibile a voi, di studiare la cella dell'anima e del corpo: ine vi studiate, per amore e per santo desiderio, di mangiare e parturire anime nel conspetto di Dio; e quando fuste richiesto nell'atto de le confessioni non ci commettete negligenzia nessuna, ma con perfetta sollecitudine vi studiate di trargli de le mani de i demoni. Questo sarà lo segno vero che siamo veri figli, poiché a questo modo seguiamo le vestigie del padre.

Ma sappiate che a questo affetto dil grande e smisurato desiderio non potremo pervenire senza lo mezzo de la santissima croce, cioè del crociato e affettuoso amore del Figlio di Dio, però ch'egli è quello mare pacifico che dà bere a tutti quelli che hanno sete e desiderio di Dio, e dà pace a tutti coloro che sono stati in guerra e voglionsi pacificare con lui. Questo mare gitta fuoco che riscalda ogni cuore freddo, e tanto lo riscalda fortemente, che ogni amore servile perde; solo rimane in perfetta carità e in santo timore di non offendare lo Creatore suo. E non temete, e non voglio che voi temiate, l’insidia e le battaglie de i demoni che venissero per robbare e tòllare la città dell'anima vostra. Non temete, ma, come cavaliere posto nel campo de la battaglia con l'arme e col coltello de la divina carità - che è quello bastone che flagella lo demonio -, sappiate che a non volere perdare l'arme con la quale ci conviene difendare, ce la conviene tenere niscosta ne la casa dell'anima nostra per vero cognoscimento di noi medesimi, ché quando l'anima conosce sé medesima non essare - ma sempre operatore di quella cosa che non è, cioè del vizio e del peccato - subito diventa umiliata a Dio e a ogni creatura per Dio, e conosce ogni grazia e ogni beneficio da lui; vede in sé traboccare tanta bontà di Dio che, per amore di lui e odio di sé, cresce in tanta giustizia di sé medesimo che volentieri, non tanto che ne vogli fare vendetta, ma egli sempre desidera che tutte le creature, eziandio gli animali, ne faccino vendetta di lui.

Ogni creatura giudica migliore di sé: nascene uno odore di pazienza, che non è neuno peso sì grande né tanto amaro che con buona pazienza, per amore e giustizia, egli non porti. E non vede sé, colui che è anegato in questo amore; non vede pene né ingiurie che gli sieno fatte - solo vede e raguarda all'onore di Dio e a la salute de le creature -: eziandio non tanto le cose amare, ma le cari e dolci e le consolazioni di Dio, per odio di sé, reputandosi indegno di tanta visitazione e consolazione quanta riceve da Dio. Per umilità grida spesse volte nel conspetto suo la parola di santo Pietro: «Parteti da me ch'io sono peccatore! » (Lc 5,8), allora Cristo più perfettamente si congiogne con l'anima, allora è diventato gustatore e mangiatore delle anime. Or così vi prego da parte di Cristo crocifisso che facciate voi.

Rimanete nel santo e vero cognoscimento di voi medesimo.





343. A Renaldo da Capua.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere in voi uno vero e perfettissimo lume, cioè lo lume de la santissima fede, poiché senza lo lume andaremmo in tenebre, e da le tenebre saremmo offesi. Convienci dunque avere il lume: or vediamo quale è quella cosa che ce il tolle; e che fa l'anima che ha in sé questo lume; e che frutto ne riceve. Se noi ci volliamo a vedere perché si perde l'occhio corporale, vediamo che si perde con coltello che percuote l'occhio, o con pietra o con terra, o per disordenato caldo - sì come sono quelli che sono abaccinati, che col caldo e lustro del baccino perdono il vedere, seccandosi la pupilla dell'occhio -; e in molti altri e diversi modi si perde la luce. Or vediamo quale è questo caldo e questo lustro che acieca l'occhio dell'intelletto, e disecca la pupilla de la santissima fede: è l'amore proprio, col lustro del piacere e parere umano. Quale è il coltello? è l'odio de la virtù. Le pietre sono li vizii, con le quali pietre percuote l'occhio, facendolo infedele a Dio e fedele al mondo, pigliando la terra con la mano del libero arbitrio - cioè con l'affetto terreno posto in cose transitorie, le quali in tutto offuscano l'occhio dell'intelletto -: subito che esso intelletto s'ha posto dinanzi a sé la terra, apparisce la notte, e così è continuamente offeso da le tenebre. E bene che molte siano le cagioni che ci privano del lume, ma queste sono le principali.

Che modo ci ha a fuggire le tenebre, e acquistare lo lume? Con quello medesimo modo che l'uomo l'ha perduto, con quello lo può riavere; non con quello medesimo affetto, ma con quello medesimo atto e con quella medesima mano del libero arbitrio, lo quale arbitrio non ci può legare né demonio né creatura, se esso medesimo con la propria volontà non lo lega.

Quale è quello baccino caldo, lo quale ci doviamo ponere dinanzi all'occhio dell'intelletto nostro? è Cristo Crocifisso, lo quale nel baccino de la nostra umanità tenne il grande calore, manifestando a noi lo fuoco e l'abisso de la inestimabile carità di Dio, col lustro de la deità eterna, natura divina intrisa e impastata col fuoco e con la natura nostra. Questo obiettivo di questo dolce Verbo Cristo Crocifisso gitta tanto calore e lume che disecca l'umido dell'amore proprio, e col lume suo dissolve le tenebre, ricevendo uno lume spirituale infuso nell'intelletto. Subito che lo lume è dentro nell'anima, comincia a togliere da sé quella cosa che le tolle lo lume, e ponere in sé quella che le dà lume. E però piglia lo coltello de l'odio del vizio, e con le pietre dell'amore de le virtù percuote l'occhio suo: cioè che l'occhio si pone sopra le virtù a raguardare la eccellenza loro, e quanto elle sono piacevoli a Dio, e utili a sé. Subito che l'ha vedute, viene uno vento sottile d'una fame de l'onore di Dio e salute delle anime, con uno desiderio di seguire la dottrina de la verità.

Questo desiderio è vento sottile che trae la terra dell'occhio, purificandolo continuamente con la umile continua e fedele orazione, ne la quale orazione tira a sé la clemenza de lo Spirito santo, lo quale dirizza l'affetto in un amore ordinato. Lo quale affetto trae a sé lo cielo e la terra, cioè che col lume vede che il cielo dell'anima e la terra - cioè il vasello del corpo del prossimo suo - si debba ponere ne la pupilla de la fede; e nell'affetto suo essere fedele, per onore di Dio, in cercare la salute delle anime, e subvenire al corpo ne la sua necessità, quanto gli è possibile. Or per questa via, mutando lo libero arbitrio l'affetto, riàe la luce sua. Molti sono gli altri modi, ma questi sono gli principali.

Vediamo ora che fa questo lume de la fede nell'anima. Fa questo, che parturisce uno figlio d'amore; e poi che è parturito ne la dottrina di Cristo Crocifisso, egli lo nutre ne la carità de la carità del prossimo, poiché senza essa questo figlio verrebbe meno, perciò che l'amore del Creatore non si può conservare senza l'amore de la creatura per Dio. Ma perché dissi che parturiva uno figlio d'amore? Perché tanto s'ama la cosa quanto si conosce, e tanto si conosce quanto si vede, e tanto è perfetto il vedere quanto è perfetto il lume, e l'uno nutre l'altro, sì come fa la madre che parturisce il figlio, e notricalo al petto suo; poi, cresciuto, lo figlio nutre la madre de la fatica sua, e così l'uno subviene all'altro.

Così lo figlio de la divina carità nutre lo lume, dando nell'anima i dolci e penosi desiderii nel conspetto dolce di Dio, seguitando le vestigie di Cristo Crocifisso - e non reputa di sapere altro che Cristo Crocifisso -, unto di vera umilità, gloriandosi negli obbrobrii e ne le pene di Cristo Crocifisso, dilettandosi di portare pene di corpo e di mente per qualunque modo Dio glili concede: in tutto è paziente. Chi l'ha fatto? La fede, poiché con lume cognobbe nel sangue di Cristo che Dio non voleva altro che la nostra santificazione; e ciò che dà, tribolazioni consolazioni e tentazioni, dà solo per questo fine: a ciò che noi siamo santificati in lui. E però il fedele è paziente, perciò che non si debba né può dolere del suo bene.

Lo fedele umile non vuole investigare gli occulti misterii di Dio in sé né in altrui, né le cose visibili né ne le invisibili; ma solo cerca di conoscere sé, e in ogni cosa conoscere e vedere l'eterna voluntà di Dio, gustandovi dentro lo fuoco de la sua carità. Egli non si vuole levare in alto come il superbo e presuntuoso, che, prima che egli abbi cognosciuto sé e sia entrato nella valle de l'umilità, si vuole ponere a investigare i fatti di Dio, pensando e dicendo: «Perché ha fatto Dio così? Perché ha dato questo a me, e non a colui?».

Questo presuntuoso vuole ponere legge a Dio, colà dove egli debba conoscere e considerare ne le diverse cose la grandezza sua, sì come fa l'umile fedele, che ogni cosa vede e considera ne la grandezza e potenza sua.

Molti sono che, senza umilità e senza studio in conoscere i defetti loro, assottiglieranno l’intelletto, e con l'occhio tenebroso vorranno vedere la profondità de la santa scrittura, e vorrannola 'sponere e intendere a loro modo: studieranno l'Apocalipse non con umilità né col lume de la fede - ma con infedelità s'avviluppano in quello di che non sanno riuscire; e così trae de la vita la morte, e del lume tenebre. La mente che deve essere piena di Dio, ed ella è piena di fantasie; e il frutto che ne li segue è la confusione e le tenebre de la mente. Questo gli adiviene perché inanzi che egli scendesse volse salire. Oh isvergognata la vita nostra, che non cognosciamo ancora noi medesimi! Né io osservo la legge che m'è posta, e voglio ponere la legge e conoscere le secrete cose di Dio! Nella profundità del pozzo de la vera umilità potremo conoscere e raguardare queste stelle dei misterii suoi. Così fa il fedele, che egli si getta in terra cercando la bassezza, e allora Dio lo fa bene alto; e non va cercando ragioni come possa essere, poiché la fede santa lo fa chiaro e certo di quello che il demonio o la propria passione gli mettesse in dubbio. Egli si specchia con lo specchio dell'orazione continua, cioè che continuamente si specchia ne la verità, e da la verità trae lo santo e vero desiderio, col quale desiderio gitta incenso dell'orazione umile. Questa fede fa il cuore schietto, che coraggiosamente confessa i defetti suoi, e non gli occulta per vergogna né per timore di pena; ma con odio de la colpa, con la santa confessione getta fuore lo fracidume suo, né per rimproverio che ne li fusse fatto non lassa però. Questo fa la fede; or vediamo che frutto ci dà.

Lo frutto suo è in questa vita la plenitudine de la grazia, e, nell'altra, vita eterna. Cui ha posto Dio che ce la amministri? La speranza. In cui virtù? In virtù del sangue de l'umile Agnello. Questa è quella speranza umile che non spera in sue virtù proprie, né si dispera per veruna colpa che fusse caduta nell'anima sua, ma spera nel sangue, e caccia la disperazione, giudicando maggiore la misericordia di Dio - la quale trova nel sangue - che la miseria sua.

O speranza dolce, sorella de la fede, tu sei quella che con le chiavi del sangue diserri vita eterna; tu guardi la città dell'anima dal nemico de la confusione; tu non allenti i passi tuoi - perché il demonio con la gravezza de le colpe commesse volesse confondere l'anima in disperazione -: non allenti, ma tutta virile perseveri ne la virtù, e ne la bilancia poni lo prezzo del sangue; tu poni la corona de la vittoria in capo a la perseveranza: perché tu sperasti d'averla in virtù del sangue, però l’hai. Tu sei quella che leghi lo demonio de la confusione, suggellandola col suggello de la fede; tu rispondi a uno sottile inganno che egli usa con l'anima per tenerla in continua tenebre e afflizione. Questo è che alcune volte l'anima averà confessato lo difetto suo coraggiosamente, che per malizia non ha riservato nulla; e il demonio allora - per impacciarli la mente, e perché l'anima con ardore di cuore non riceva lo frutto de la confessione - gli vorrà fare vedere che egli non sia bene confessato dei difetti suoi, dicendo: «Tu non gli hai detti tutti; e quelli che hai detti, non gli hai aperti per quello modo che tu debbi», con molte altre passioni e cogitazioni che il demonio manda nell'anima. Se allora l'anima non si leva con prudenzia e con speranza, ella permane in una tiepidezza, in tremore e affanno di mente, e in una tenebre, legandosi i piedi del santo desiderio, allacciandosi nel laccio de la confusione, come detto è; ella è privata dell'allegrezza, ed è fatta incomportabile a sé medesima.

Che modo ci ha a riparare che non venga a disperazione? Non c'è altro remedio se non che col lume de la fede raguardi la conscienzia sua, la quale gli mostra che voluntariamente né con malizia non ha lassato veleno di colpa nell'anima che non l'abbi sputato con la confessione. Con umilità confessi d'averli bene detti imperfettamente, non agravando la colpa quanto la poteva agravare: questa confessione vuole essere condita con la speranza, sperando nel sangue di Cristo che quello che manca da la parte sua, egli sarà quelli che lo compirà.

L'altro remedio è che con lume raguardiate quanto sete ineffabilmente amato da Dio, lo quale amore non dispregia lo testimonio de la buona conscienzia, né sosterrebbe che nell'anima rimanesse cosa che fusse in offesa sua. Con questa fede amore e speranza s'annieghi ne la misericordia di Dio, discredendo a sé medesima; e con semplicità di cuore dire i difetti suoi, e non gravarsi più; lasciare stare lo pensiero di sé e pensare ne la misericordia di Dio, la quale ha ricevuta e riceve continuamente. E se pur la battaglia e molestia ritorna, gittisela doppo le spalle quanto ad afflizione, e dinanzi se la ponga per umiliazione e cognoscimento di sé, col frutto de la vera e perfetta speranza: sperando, ché il sostenere, e passare per la via de la croce, è più piacevole a Dio, e più abbondantemente ricevarà lo frutto del sangue. Questo è lo remedio, carissimo fratello, che vi dà l'eterna verità contro la infermità vostra.

Ora abbiamo veduto quale è quella cosa che tolle lo lume, e quale è quella cosa che il rende; e veduto quello che fa la fede - come ella abbatte la superbia e priva della presunzione -, e il frutto che dà la fede, cioè la speranza. Poi che veduto l'aviamo meno che una minima sprizzarella, prego e stringo voi e me in Cristo dolce Gesù che noi passiamo con questo glorioso lume questo mare tempestoso, con ferma speranza e con vero cognoscimento di noi; gittando a terra ogni nostro volere e parere e piacere, per vera umilità; cercando di vestirci de la dottrina di Cristo Crocifisso con vere e reali virtù. Sono certa che avendo questo dolce lume voi lo farete, altrimenti no.

E però vi dissi che io desideravo di vedere in voi lo lume della santissima fede, e così vi prego che vi studiate d'averlo in voi. Pensate che Dio è più atto a perdonare che voi non sete stato a peccare. Sperate, e siate fedele al sangue e a la santa Chiesa, e a la verità del sommo pontefice. Altro non vi dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





344. A frate Raimondo da Capua, singolare padre dell'anima sua, de l'ordine dei Predicatori, in Genova.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere in voi il lume della santissima fede, il quale lume ci mostra la via della verità; e senza questo lume nessuno nostro essercizio, desiderio, né opera verrebbe a frutto, né a quel fine per mezzo del quale cominciassimo ad aoperare, ma ogni cosa verrebbe imperfetta.

Lenti saremmo nella carità di Dio e del prossimo: la ragione è questa, che pare che tanto sia l'amore quanto la fede, e tanta la fede quanto l'amore. Chi ama sempre è fedele a colui cui egli ama, e fedelmente il serve fino alla morte. A questo m'avveggo io che in verità non amo Dio né le creature per lui, ché se in verità io l'amasse io sarei fedele per sì-fatto modo che mi metterei alla morte mille volte il dì, per gloria e loda del nome suo, se tanto bisognasse; e non mi mancarebbe fede, perché per amore di Dio e della virtù e della santa Chiesa mi metterei a sostenere. Unde io crederei che Dio fosse lo mio aiuto e il mio difenditore, sì come egli era di quelli gloriosi martiri che con allegrezza andavano al luogo del martirio.

Se io fossi fedele non temerei, ma terrei di fermo che quello Dio è per me che per loro; e non è infermata la potenza né la sapienza e bontà sua per potere, sapere e volere provedere alla mia necessità. Ma perché io non amo, però non mi confido in lui, ma in me; lo timore sensitivo e servile mi dimostra che tiepido sia l'amore, e offuscato il lume della fede con la infedelità nel mio Creatore, e col fidarmi di me. Confesso, e non lo nego, che questa radice anco non è dibarbicata dell'anima mia; e però sono impedite le opere che Dio mi facesse fare e mettesse nelle mani, che non giungono a quel fine lucido e fruttuoso per che Dio le fa cominciare.

Oimé, oimé, Signore mio, guai a me! Troverommi io d'ogni tempo in ogni luogo e in ogni stato così? Chiuderò io con la mia infedeltà la via alla providenzia tua? Sì bene, se già tu per la tua infinita misericordia non mi disfai e rifai di nuovo. Perciò disfammi e rompi la durezza del cuore mio, affinché io non sia strumento che guasti le tue opere.

E voi prego, carissimo padre, che ne preghiate Dio strettamente, affinché io insieme con voi ci anneghiamo nel sangue de l'umile Agnello, il quale sangue ci farà forti e fedeli: sentiremo il fuoco della divina carità, saremo facitori con la grazia sua e non disfacitori né guastatori. Così dimostraremo d'essere fedeli a Dio - e di confidarci ne l'aiuto suo, e non nel nostro né in quello degli uomini -; con questa medesima fede ameremo la creatura, perché come la carità del prossimo procede dalla carità di Dio, così la fede in comune e in particulare, cioè de l'amore che generalmente dobiamo avere ad ogni creatura - questa è una fede generale -, così è una fede particulare di quelli che s'amano di più stretto amore: come questo? Che, oltre all'amore comune, Dio ha posto tra noi un amore stretto particulare, il quale amore dimostra la fede; e tanta ne dimostra, che non può l'uno credere né imaginare che l'altro voglia altro che il suo bene; e con sollicitudine il cerca con grandissima instanzia nel conspetto di Dio e delle creature, cercando sempre in lui la gloria e loda di Dio e utilità sua, strignendo l'aiuto divino che come egli agiugne i pesi, così agiunga fortezza e lunga perseveranza. Questa fede porta colui che ama, e per veruna cosa la diminuisce mai, né per detto di creatura, né per illusione del demonio, né per mutazione di luogo; e chi fa altrimenti, segno è che ama Dio e il prossimo suo imperfettamente.

Parmi, secondo che io intesi per la lettera vostra, che molte e diverse battaglie e cogitazioni vi sieno venute, per inganno del demonio e per la propria passione sensitiva, parendovi che vi fosse posto maggiore peso che non poteste portare; e non vi pareva essere da tanto che io vi dovesse misurare con la misura mia, unde stavate in dubitazione che in me non fosse diminuito l'affetto e la carità inverso voi. Ma voi non ve ne avedavate: e voi eravate quello che manifestavate che io l'aveva cresciuto, e voi scemato, poiché di quello amore che io amo me, di quello amo voi, credendo con fede viva che quello che manca dalla vostra parte, compirà Dio per la bontà sua. Ma non m'è venuto fatto, poiché voi avete saputo gittare a terra la soma; benché i ci sieno dimolte pezze per ricoprire la infedele fragilità, ma non sì-fatte che io non vegga dei punti assai, e buono mi parrà se non saranno veduti altro che per me. Sì che io vi mostro l'amore cresciuto in me verso voi, e non iscemato.

Ma che dicerò io, che la vostra ignoranza fosse tanta che voi desse luogo a uno dei minimi di quelli pensieri? E potreste voi mai credere che io volesse altro che la vita dell'anima vostra? E dove è la fede che sempre solete e dovete avere? E la certezza che n'avete avuta, ché, prima che la cosa si faccia, ella si vede e determina nel conspetto di Dio: non tanto questo che è così grande fatto, ma ogni minima cosa. Se foste stato fedele non sareste andato tanto vacillando, né caduto in timore verso Dio né verso me misera; ma, come figlio fedele pronto all’obbedienza, sareste andato, e fatto quello che si fosse potuto fare; e se non foste potuto andare ritto foste andato carpone; se non potevate andare come frate foste andato come peregrino; se non ci ha danari, foste andato per limosina. Questaobbedienza fedele avrebbe lavorato più nel conspetto di Dio e nel cuore degli uomini che non farebbono tutte le prudenzie umane; i miei peccati hanno impedito che io non gli ho veduta in voi. Sono bene certa che, benché i ci fosse la passione, pure aveste buona e santa intenzione e rispetto. E per meglio compire la voluntà di Dio e di Cristo in terra papa Urbano VI non vorrei poiché voi non foste andato, ma che foste andato subitamente per quel modo e per quella via che v'era posta innanzi.

Il dì e la notte n'era io costretta da Dio di questo e di molte altre cose, le quali, per la poca sollicitudine di chi l'ha a fare, ma massimamente per le mie iniquità che impediscono ogni bene, vanno vòte. E così ci vediamo annegare, e crescere l'offese di Dio con molto suplicio; e io vivo stentando. Dio per la sua misericordia mi tragga di questa tenebrosa vita. Vediamo nel reame di Napoli essere peggio questa ultima ruina che la prima; e disposto ad esservi tanti mali che Dio vi ponga il suo remedio. Egli per la sua pietà manifestava bene la ruina e i remedii che si dovessino pigliare, ma, come io dissi, l'abundanzia dei miei difetti impedisce ogni bene. Sopra queste materie averò molto che dirvi, se già io non ricevessi grandissima grazia, cioè che, prima che io vi rivedesse, fossi levata dalla terra. Sì che io dico che in tutto vorrei che foste andato; pongomene in pace, perché sono certa che nessuna cosa è fatta senza misterio, e anco perché io ne scaricai la conscienzia mia, facendo ciò che io potei perché al re di Francia si mandasse.

Facci la clemenza dello Spirito santo egli; ché noi per noi siamo gattivi lavoratori.

De l' andare ritto al re d'Ungaria, secondo che disse frate Petruccio, piacque assai al santo padre; e diliberato avea che voi con altri compagni andaste. Ora non so la cagione per che egli ha levato che non si vada, ma vuole che voi vi stiate per coteste parti e adoperiate quello bene che si può. Pregovi che ne siate sollicito: abandonate voi medesimo e ogni proprio piacere e consolazione; e gittinsi mughia sopra questi morti, e con le funi del santo desiderio e de l'umile orazione si leghino le mani della divina giustizia, lo demonio e l'appetito sensitivo.

Chi offera sé morto faccia l'offizio dei morti. Noi siamo offerti morti nel giardino della santa Chiesa, e a Cristo in terra padrone di questo giardino: il morto non vede, non ode e non sente cosa che gli sia fatta; voi che dovete essere morto, ma non sete però, isforzatevi d'uccidervi col coltello de l'odio e de l'amore, affinché non udiate gli scherni villanie e rimproverii che il mondo e i persecutori della santa Chiesa vi volessino dire o fare. L'occhio non vegga le cose impossibili a fare, né tormento che potesse venire; ma vegga col lume della fede che per Cristo crocifisso ogni cosa potrete, e che Dio non porrà maggiore peso che si possa portare. Ma nei grandi pesi dobiamo godere, perché allora ci dà Dio il dono della fortezza.

Con l'amore del sostenere si perda lo sentimento sensitivo, e così morti morti ci nutrichiamo in questo giardino: quando io il vedrò, reputerò beata l'anima mia.

Io vi dico, dolcissimo padre, che, vogliamo noi o no, il tempo d'oggi c'invita a morire; Perciò non mi state più vivo: terminate le pene nella pena, e crescete il diletto del santo desiderio nella pena - affinché la vita nostra non passi altro che con crociato desiderio -; e voluntariamente diamo il corpo nostro a mangiare alle bestie, cioè voluntariamente, per amore della verità, gittarci nelle lingue e nelle mani degli uomini bestiali, sì come hanno fatto gli altri che hanno lavorato, morti, in questo giardino dolce, e inaffiatolo col sangue loro, ma prima con le lacrime e sudori. Ma io (dolorosa la vita mia!) perché non ci ho messa l'acqua, ho rifiutato di metterci lo sangue. Non voglio più così; ma rinovellisi la vita nostra, e cresca il fuoco del desiderio.

Voi dimandate che io preghi la divina bontà che vi dia del fuoco di Vincenzio, di Lorenzo, e di Paulo dolce, e di quello vezzoso Giovanni, poi dite che farete grandi fatti e così goderò. Bene dite la verità, ché senza questo fuoco non fareste nulla, né piccola cosa, né grande; né io goderei in voi. E considerando me questo, che egli è così - e io gli ho veduto per pruova - m'è cresciuto uno stimolo, con grande sollicitudine nel conspetto dolce di Dio. E se voi mi foste appresso, in verità vi dimostrerei che egli è così; e dare'vi altro che parole. Rallegromi e voglio che vi rallegriate, ché, poi che il desiderio cresce, egli il vorrà compire in voi e in me, poiché egli è accettatore dei santi e veri desiderii, pure che voi apriate l'occhio dell’intelletto col lume della santissima fede, affinché cognosciate la verità della voluntà di Dio.

Conoscendola, l'amerete; amando, sarete fedele e non sarà obumbrato lo cuore vostro per veruno inganno di demonio.

Essendo fedele, farete ogni grande fatto per Dio, e perfettamente si compirà quello che egli vi mette nelle mani, cioè che non sarà impedito dalla vostra parte che non venga a perfezione. Con questo lume sarete cauto, modesto e pesato nel parlare, nel conversare, e in tutte quante le vostre opere; senza questo lume sareste tutto il contrario nei modi e nei costumi vostri, e in contrario vi verrebbe ogni altra cosa.

Conoscendo io che egli è così, dissi che io desiderava di vedere in voi il lume della santissima fede, e così voglio che voi abiate. E perché io voglio, e àmovi inestimabilemente per la vostra salute, e con grande desiderio desidero di vedervi nello stato dei perfetti, però vi pungo con molte parole, ma più volentieri farei di fatto; e uso rimproverii con voi, affinché continuamente torniate a voi medesimo.

Sonmi ingegnata e ingegnerò di farvi ponere pesi che sieno da perfetti per onore di Dio, e per invitare la sua bontà che vi facci venire all'ultimo stato della perfezione, cioè di mettere il sangue nella santa Chiesa, voglia la serva della sensualità, o no. Perdetevi nel sangue di Cristo crocifisso, e portate i miei difetti e le parole con buona pazienza; e quando vi fossino mostrati i difetti vostri, godete e ringraziate la divina bontà, che v'ha posto chi lavora sopra di voi, e veghi nel suo conspetto per voi.

Di quello che mi scrivete etc. Voi mi raccomandate l'Ordine nostro e io il raccomando a voi, ché sentendo come le cose stanno me ne scoppia il cuore in corpo. La Provincia nostra comunemente si mostra pure obediente a papa Urbano ed al vicario dell'Ordine, il quale vicario vi dico che, per la verità, si porta molto bene; e con assai prudenti modi, secondo il tempo che corre oggi, si porta nell'Ordine e contro a quelli che iniquamente contradicono alla verità. E chi dicesse il contrario, per quel poco che io ne conosca non sta verità nella bocca sua. Lo santissimo padre nostro gli ha comandato e data piena autorità che absolva tutti quelli provinciali che sono rebelli alla verità sua. Tempo è da non dormire, ma con grande sollicitudine pregare il dolce Spagnuolo nostro che non dorma sopra l'Ordine suo, lo quale Ordine fu sempre essaltazione della fede e ora n'è fatto contaminatore. Duolmene fino alla morte: non posso più se non di terminare la vita mia in pianto e in grandissima afflizione.

Di quello che mi scrivete, che Antecristo i membri suoi vi cercano diligentemente per potervi avere, non dubitate: ché Dio è potente a tor lo' il lume e la forza affinché non compino i desiderii loro. E anco dovete pensare che non sete degno di tanto bene; e però non ne dovete avere paura. Confidatevi, ché Maria dolce e la verità saranno per voi sempre. Io vile schiava, che sono posta nel campo dove è sparto il sangue per amore del sangue (e voi mi ci avete lasciata, e setevi andato con Dio), non mi restarò mai di lavorare per voi. Pregovi che facciate sì che voi non mi diate materia di pianto, né di vergognarmi nel conspetto di Dio. Come voi sete uomo nel promettere di volere fare e sostenere per onore di Dio, non mi siate poi femina, quando veniamo a serrare il chiovo, ché io mi richiamerei di voi a Cristo crocifisso e a Maria.

Guardate che egli non facci poi a voi come all'abbate di santo Antimo, che, per timore e per non tentare Dio, si partì da Siena e venne a Roma, parendogli avere fuggita la prigione e stare sicuro; e egli fu messo in prigione con quella pena che voi sapete: così sono conci i cuori pusillanimi. Siatemi tutto virile, che morte vi venga.

Sappiate che io non sarei ora qui se si fosse potuto andare sicuro - ma i non s'è potuto per mare né per terra -, ché diliberato era che io andassi a Napoli: pregate e fate pregare Dio e Maria che ne facci fare quello che sia suo onore. Frate Bartolommeo, il maestro, e frate Matteo e gli altri sono acconci a fare ciò che bisognerà per onore di Dio e utilità della santa Chiesa, e di sforzare le loro fragilità; essi e tutti gli altri e altre vi si raccomandano. La nonna vi benedice; e io v'adimando la vostra benedizione e pregovi che mi perdoniate di quello che non fosse onore di Dio e debita reverenzia vostra: l'amore me ne scusi.

Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





345. A la contessa Giovanna di Meleto e di Terra Nuova, in Napoli.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima sorella e figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spregiare il mondo - con tutte le sue delizie - col cuore e con l'affetto vostro, affinché in verità cerchiate la ricchezza di Cristo crocifisso.

E veramente che ragione e cagione n'abiamo di spregiarle, considerando la poca fermezza e stabilità loro, e quanto elle sonno nocive alla nostra salute. Non vorrei, però, che credeste che io dicessi che propriamente la sustanzia i beni temporali fussero nocivi a noi, e la morte nostra. Non è così, ma è il disordinato affetto e amore con che la creatura gli possiede: che s'elle fussero state nocive, Dio non l'avrebbe create né date a noi, poiché colui ch'è sommamente buono non può volere né fare nessuna cosa altro che buona. Sì ch'egli le fece buone, e per nostro bene. Chi le fa rie? Colui che l'usa male, possedendole senza timore di Dio. Ma tenendole col suo santo timore, aprezzandole quanto elle vagliono, e non più, non facendosi Dio delle creature, e ricchezze, e stati, onori del mondo - ma amarle, tenerle e dispensarle per Dio -, allora si possono tenere con buona coscienza.

è vero che maggiore perfezione e più piacevole a Dio è, e con più frutto e meno fatica, a lassarle mentalmente e attualmente. Dobiamo dunque, se attualmente le vogliamo tenere, trarne - e voglio che ne traiate - il cuore e l'affetto, poiché le ricchezze del mondo sonno una grande povertà; e mai non si possono possedere se non da colui che pienamente le spregia.

Ma la vera ricchezza è quella che non ci può essere tolta né impedita dal demonio, né da creature: sonno le vere e reali virtù. Questa è una ricchezza durabile che ci tolle ogni povertà; ella ci pasce di grazia, ella ci cuopre la nostra nudità, ella rende ragione nell'ultima stremità della morte dinanzi al sommo giudice; ella paga lo debito al quale siamo obligati, cioè di rendare a Dio lo debito dell'amore, il quale amore se gli rende e dimostra col mezzo de la virtù; ella ci acompagna in questa vita della peregrinazione, ch'è una via ne la quale abiamo molti nemici che ci si parano dinanzi per darci la morte. Ma tra gli altri, tre sonno i principali: cioè il mondo, lo demonio e la fragile carne, che ognuno si sforza di gittare saette avelenate. Lo mondo, coi falsi diletti e vani piaceri suoi; la fragile carne e sensualità nostra, col disordinato amore e vana e leggiera dilettazione; lo demonio, con le molte cogitazioni, e con farci tòllare le cose nostre, o farci fare altra ingiuria al prossimo nostro, per privarci della carità fraterna e farci venire odio e dispiacere verso del prossimo.

Di tutti questi nemici ci libarano le virtù: la virtù ci dà lume, e con lume ci conduce a la porta di vita eterna, la quale porta è diserrata col sangue di Cristo. Dentro v'entra la carità, ch'è madre di tutte l'altre virtù; l'altre rimangono di fuore, ed ella se ne mena lo frutto di tutte: poiché l'anima virtuosa, quando si parte di questa vita, entra a vita eterna con la virtù della carità; l'altre virtù in quella vita durabile non sonno necessarie, e però non vi si portano. Ine non bisogna la virtù della fede, poiché l'anima è certificata di quello che credeva; non vi bisogna speranza, però ch'ella ha quello che sperava d'avere. E così di tutte l'altre virtù le quali in questa vita ci conviene avere - e senza esse saremo private di Dio -; e ine bisogna solo la carità, cioè l'amore: poiché a vita eterna non è altro che amore, col quale gustiamo Dio con l'essenzia sua.

L'amore suo ci ha fatti degni di vederlo a faccia a faccia, nel quale vedere sta la nostra beatitudine; l'amore ci fa ine participare il bene l'uno de l'altro, e il bene di tutta la natura angelica, e di tutti quelli che sonno a vita eterna. Per amore Dio ci fa godere di sé medesimo; anco, in lui tutti godiamo, pieni e saziati nel mare pacifico dell'essenzia sua; e, saziati, hanno fame, ma di longa è la pena da la fame, e il fastidio da la sazietà. Egli è tanto l'amore e la carità fraterna tra loro, che il piccolo non ha invidia al grande, ma tutti sonno contenti e si riposano tutti l'uno nel bene de l'altro: sì che solo la carità ine è necessaria; e senza essa neuno vi può andare.

Questo bene non considera la miserabile creatura, né il male che ne gli segue, ché, per compire una propria volontà in male, fa contro la dolce volontà di Dio: per acquistare lo vizio lassa la virtù, per la morte perde la vita, per la cosa finita lassa lo 'nfinito, per li beni de la terra lassa i beni del cielo, per le creature lassa il suo Creatore; per servire al demonio e per seguirlo per la via della bugia, lassa di servire a Cristo crocifisso e seguire la dottrina sua, il quale è via verità e vita (Jn 14,6), e chi va per lui va per la luce, e non va per le tenebre; per impire lo cuore di queste cose transitorie del mondo si lassa perire di fame, non pigliando lo cibo angelico (lo quale cibo Dio per la sua misericordia ha dato agl'uomini: bene il vediamo, ch'egli è ministrato in su la mensa de l'altare, tutto Dio e tutto uomo); per vestirsi delle tristizie del mondo, si spoglia del vestimento nuziale (Mt 22,11), e perisce di freddo; e per tòllare l'altrui, tolle sé medesimo. Ma questi cotali, come ciechi e matti, non raguardano a tanti loro mali. Tutto l'adiviene per lo disordinato affetto che hanno posto nel mondo, possedendo e amando le cose temporali fuore della dolce volontà di Dio.

Non voglio che questo adivenga a voi, ma voglio, e ho detto ch'io desidero che il cuore e l'affetto vostro in tutto ne sia spogliato, cioè che voi amiate e teniate le creature e le cose create tutte per Dio, e senza lui non nulla: lui amate e lui servite con tutto il cuore e con tutte le forze vostre, senza neuno mezzo, con vera e profondissima umilità, amando lo prossimo vostro come voi medesima ().

Ma voi mi direte: «Come posso avere questa umilità, che mi sento piena d'amore proprio e inchinevole ad ogni atto di superbia?». Io vi rispondo che se voi vorrete, mediante la divina grazia, tosto la tagliarete da voi, la quale grazia è data a chiunque la vuole. Il modo è questo: che col lume raguardiamo l'umilità di Dio e il fuoco della sua carità, la quale umilità si vede tanto profonda che ogni intelletto umano ci viene meno. Or fu mai simile umilità? Certo no. I maggiore cosa, che vedere Dio umiliato a l'uomo? Vedere la somma altezza discesa a tanta bassezza? Essersi vestito de la nostra umanità - conversando Dio visibilmente tra gli uomini, portando le nostre infermità, povertà e miserie sopra sé medesimo -, e umiliatosi a l'obrobriosa morte de la croce? La grandezza s'è fatta piccola, a confusione degl'infiati superbi, che sempre cercano d'essere maggiori; ma essi non se n'aveggono che cagiono in somma bassezza e miseria. Sì che in lui trovarete la vena de l'umilità, la quale ha versata dentro ne l'anima vostra e d'ogni creatura ragionevole.

Se noi raguardiamo la carità sua, e dove si vide mai, che colui che è stato offeso, pagasse volontariamente la vita per colui che offende? Solo ne l'umile immacolato Agnello lo troviamo, che per noi malvagi debitori ha pagato quel debito il quale mai non contrasse. Noi fummo e siamo i ladri, ed egli ha voluto essere chiavellato in sul legno della santissima croce; egli ha presa l'amara medicina per dare a noi la sanità, e fattoci bagno del sangue suo; come inamorato, ha aperto lo corpo, che da ogni parte versa sangue con tanta larghezza e fuoco d'amore, e con tanta pazienza, che il grido suo non fu udito per nessuna mormorazione. A questa larghezza si vergognino i cupidi avari, che vedranno i povarelli perire di fame, e non lo' vollaranno pure lo capo. E fanno ancora peggio: che non tanto che essi lo' diano, ma tolgono l'altrui. Alla carità detta si confondano gli amatori di loro medesimi, i quali per il proprio amore non curano d'offendare Dio e la verità. A la sua pazienza venga terrore agl'impazienti, che non vogliono sostenere una piccola cosa, ma rodonsi con ira e odio del prossimo loro. Sì che trovato abiamo per che modo veniamo a virtù, cioè per lo conoscimento della bontà di Dio, e per lo lume col quale vediamo la sua umilità e carità. In lui l'acquistaremo, cercandole dentro ne l'anima nostra; altrove, né in altro modo, non le trovaremo mai.

Questo è fondamento, principio, mezzo e fine d'ogni virtù e nostra perfezione. Da questo verrete a spregiamento del mondo e di voi medesima; questo ordinarà la vita vostra in ogni stato, in ogni tempo e luogo che voi sarete. E non solamente voi, ma tutta la vostra famiglia vi farà drizzare e allevare nel piacere suo, con santi e buoni costumi, sì come debba fare la madre i suoi figli, e la donna i suoi servi - con la santa confessione e comunione a luogo e tempo ordenato dalla santa Chiesa, a la quale ci conviene obedire, e a papa Urbano VI, fino a la morte -: or così v'ordinerà in tutte le vostre opere.

Perciò vi prego dolcemente che con grande solecitudine raguardiate l'umile e amoroso Agnello, affinché insieme con lui godiamo in questa vita per grazia, e ne l'ultimo con la madre della carità entriamo alla gloria della vita durabile. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.



OFFLINE
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19/10/2012 19:26

346. Al santo padre papa Urbano VI, presentandoli cinque mele aranci confette coperte d'oro.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere tolta da voi ogni amaritudine e pena affligitiva che affligesse l'anima vostra, e tolta la cagione d'ogni vostra pena; e sola rimanga in voi quella dolce pena che ingrassa e fortifica l'anima, perché procede dal fuoco della divina carità: cioè di dolerci e pigliare amaritudine solo delle colpe nostre; e del disonore di Dio che si fa nel corpo universale della religione cristiana e nel corpo mistico della santa Chiesa; e della dannazione de l'anime degl'infedeli, le quali sono ricomperate del sangue di Cristo come noi - del quale sangue, santissimo padre, voi tenete le chiavi -, e veggonsi queste anime nelle mani deli demoni.

Questa è quella pena che notrica l'anima ne l'onore di Dio, e pascela, in su la mensa della santissima croce, del cibo de l'anime: ella la fortifica, perché ha tolta da sé la debolezza de l'amore proprio, lo quale dà amaritudine che affligge e disecca l'anima, perch'è privata della carità ed è incomportabile a sé medesima.

Ma quelli che ha in sé questa dolce amaritudine caccia l'amaro, perché non cerca sé per sé, ma sé per Dio, e la creatura per Dio, e non per propria utilità e diletto; e cerca Dio per la infinita bontà sua - che è degno d'essere amato da noi -, e perché di debito il doviamo amare. E unde è venuta l'anima a questa dolce perfezione? col lume, perché dinanzi all'occhio dell'intelletto si puose per oggetto la verità di Cristo crocifisso, gustando per affetto d'amore la dottrina sua - e però se ne vestì -, seguitandolo in cercare solo l'onore di Dio e salute delle anime, sì come fece essa Verità, che per onore del Padre e salute nostra corse all'obrobriosa morte della santissima croce, con vera umilità e pazienza, in tanto che non fu udito lo grido suo (Is 42,2) per mormorazione; e col molto sostenere rendé la vita al figlio morto de l'umana generazione.

Pare, santissimo padre, che questa Verità eterna voglia fare di voi un altro lui: e sì perché sete vicario suo, Cristo in terra, e sì ché ne l'amaritudine e nel sostenere vuole che riformiate la dolce Sposa sua e vostra, che tanto tempo è stata tutta impalidita - non che in sé ella possa ricevare alcuna lesione né essere privata del fuoco della divina carità -, ma in coloro che si pascevano e pascono al petto suo, che per li difetti loro l'hanno mostrata pallida e inferma, succhiatole lo sangue da dosso con l'amore proprio di loro.

Ora è venuto il tempo che egli vuole che per voi, suo strumento, sostenendo le molte pene e persecuzioni, ella sia tutta rinovata. Di questa pena e tribulazione ella n'escirà come fanciulla purissima, tagliatone ogni vecchio, e rinovellata nell’uomo nuovo. Dilettianci Perciò in questa dolce amaritudine, doppo la quale segue conforto di molta dolcezza.

Siatemi uno albero d'amore, innestato ne l'albero della vita, Cristo dolce Gesù. Di questo albero nasca il fiore di conciepare ne l'affetto vostro le virtù e il frutto, parturendolo nella fame de l'onore di Dio e salute delle vostre pecorelle, lo quale frutto nel suo principio pare che sia amaro, pigliandolo con la bocca del santo desiderio. Ma come l'anima ha diliberato in sé di volere sostenere fino alla morte per Cristo crocifisso e per amore della virtù, così diventa dolce, sì come alcune volte io ho veduto che la mela arancia che in sé pare amara e forte: trattone quello che v'è dentro e mettendola in molle, l'acqua ne trae l'amaro; poi si riempie di cose confortative, e di fuore si cuopre d'oro. E dove n'è ito quello amaro, che nel suo principio con fatica se la poneva l'uomo alla bocca? Ne l'acqua e nel fuoco.

Così, santissimo padre, l'anima che concepe amore a la virtù, nel primo entrare le pare amaro, perché è anco imperfetta; ma vuolsi ponare lo rimedio del sangue di Cristo crocifisso, lo quale sangue dà una acqua di grazia che ne traie ogni amaritudine della propria sensualità: amaritudine, dico, affligitiva, come detto è. E perché sangue non è senza fuoco - poiché fu sparto con fuoco d'amore -, puossi dire, e così è la verità, che il fuoco e l'acqua ne traga l'amaro - votato sé di quello che prima v'era, cioè de l'amore proprio di sé -; poi l'ha riempiuto d'uno conforto di fortezza con vera perseveranza, e con una pazienza intrisa con mèle di profonda umilità, serrato nel cognoscimento di sé, perché nel tempo de l'amaritudine l'anima meglio conosce sé e la bontà del suo Creatore. Pieno e richiuso questo frutto, apparisce l'oro di fuore, che tiene fasciato ciò che v'è dentro: questo è l'oro della purezza, col lustro dell'affocata carità, lo quale esce di fuore manifestandosi in utilità del prossimo suo con vera pazienza, portando constantemente con mansuetudine cordiale; gustando solo quella dolce amaritudine, che doviamo avere, di dolerci de l'offesa di Dio e danno de l'anime.

Or così dolcemente, santissimo padre, produciaremo frutto senza la perversa amaritudine; e da questo avaremo che si levarà via l'amaritudine che oggi aviamo nei cuori nostri e nelle menti, del caso occorso per gli malvagi e iniqui uomini amatori di loro medesimi, i quali danno a voi e ai vostri figli pena per l'offesa che se ne fa a Dio. Spero nella bontà dolce del Creatore nostro, che ci levarà la cagione di questa pena dando lume, e confondendo quelli che ne sono cagione. E la Santità vostra e noi matureremo i frutti delle virtù nella memoria del sangue di Cristo crocifisso, con vera umilità, come detto è, conoscendo noi non essere, ma l'essere e ogni grazia posta sopra l'essere avere da lui. Così compirete in voi la volontà di Dio e il desiderio dell'anima mia.

Confortatevi, dolcissimo padre, con vera umilità, senza alcuno timore, ché per Cristo crocifisso ogni cosa potrete, in cui è posta, e si fermi continovamente, la vostra speranza. Non dico più. Perdonate a me la mia grande presunzione. Umilemente v'adimando la vostra benedizione.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





347. Al conte Alberigo da Barbiano capitano generale della Compagna di san Giorgio, e agli altri caporali, a dì 6 di maggio 1379.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere voi e tutta la vostra compagnia - fedeli alla santa madre Ecclesia e alla santità di papa Urbano VI sommo e vero pontefice - combattare tutti realmente e fedelmente per la verità, affinché riceviate lo frutto delle vostre fatiche.

Qual è quella cosa che ci dona questo frutto e che ce il tolle? Dicovelo: lo lume della santissima fede, col quale lume vediamo la degnità e bontà di colui a cui noi serviamo - e fa conosciare lo frutto che ne segue; conoscendola l'ama, e così con questo lume, unde è venuto lo conoscimento, cresce e notrica l'amore verso l'opera ch'egli ha presa a fare, e in colui cui egli ha preso a servire.

Quale è quello Signore per cui sete intrati nel campo della battaglia? è Cristo crocifisso, che è somma ed eterna bontà: la dignità sua neuno è che la possa stimare; solo esso medesimo la stima. Egli è uno signore tanto fedele che, volendo che l'uomo fusse atto e disposto a ricevare lo frutto d'ogni sua fatica, colà dov'egli lo voglia ricevare, corse, come inamorato, all'obrobriosa morte della santissima croce, e con tanta pena e tormento ci donò l'abondanzia del sangue suo.

O fratello e figli carissimi, voi sete cavalieri entrati nel campo per dare la vita per amore della vita, dare lo sangue per amore del sangue di Cristo crocifisso. Ora è il tempo dei martiri novelli: voi sete i primi che avete dato lo sangue. Quanto è il frutto che voi ne ricevete? I vita eterna, ch'è uno frutto infinito. E che sonno tutte queste fatiche a rispetto di quello sommo bene? Sonno non nulla. Così dice santo Pavolo: «Non sonno condegne le passioni di questa vita a quella futura gloria che ci è aparechiata ne l'altra» (Rm 8,18): sì che grande è il frutto. In questo non ci si può altro che guadagnare, o viva o muoia: se morite, guadagnate vita eterna, sete posti in luogo sicuro e stabile; e se campate, avete fatto sacrificio di voi a Dio volontariamente, e la substanzia potete tenere con buona conscienzia. Se col lume della santissima fede raguardarete questa degnità, sarete tutti confortati e fedeli a Cristo crocifisso e alla santa Chiesa, poiché, servendo alla Chiesa e al vicario di Cristo, servite a lui: e però vi dissi che il signore a cui voi servite è Cristo crocifisso.

Volete voi essere ben forti, che ognuno varrà per molti? Ponetevi dinanzi all'occhio de lo intelletto vostro lo sangue del dolce e buono Gesù, umile Agnello, e la fede vostra; la quale vedete contaminata per l'iniqui uomini amatori di loro medesimi, i quali sonno membri del demonio, negando quella verità che essi medesimi hanno data a noi, dicendo che papa Urbano VI non sia vero papa. Ed essi non dicono la verità, ma mentono sopra lo capo loro come menzonieri, ché egli è papa in verità, in cui sonno commesse le chiavi del sangue. Ben potete confortarvi, per combattare per la verità, la quale verità è la fede nostra. Non dubitate di nulla, ché la verità è quella cosa che ci libera.

E affinché meglio chiamassimo l'aiutorio divino in questa santa e buona opera, vuole la verità eterna che intriate in questo essercizio con una buona e santa intenzione, studiandovi di fare lo principio e il fondamento vostro per onore di Dio, difensione della fede nostra, della santa Chiesa e del vicario di Cristo, con buona conscienzia, purificandola voi e gli altri, quanto v'è possibile, per la santa confessione.

Poiché voi sapete che le colpe hanno a chiamare l'ira di Dio sopra di noi, e impedire le sante e buone opere. Fate che, come capo loro, voi siate lo primo, con uno santo e vero timore di Dio; altrimenti, la verga della giustizia sarebbe presso a voi. E se tutta la comune gente non potesse avere il tempo di farla attualmente, faccinla mentalmente col santo desiderio. A questo modo sarete fedele, e mostrarete in verità per opera che voi abbiate veduto, col lume della santissima fede, cui voi sete posti a servire, e conosciuto la degnità e bontà sua, e il frutto che vi segue dipo' la fatica.

Anco dicevo: chi ci tolle che noi non siamo fedeli, ma siamo infedeli a Dio e alle creature? L'amore proprio di noi medesimi, lo quale è uno veleno che ha avelenato tutto il mondo, ed è una nuvola che obumbra l'occhio de lo intelletto nostro che non lassa conosciare né discernare la verità. E però non vede altro che piacimento proprio, col quale si diletta di piacere più a le creature che al Creatore, ponendosi dinanzi a sé solo i beni transitorii di questa tenebrosa vita, cercando stati delizie e ricchezze del mondo, le quali tutte passano come lo vento.

Questo disordenato affetto sopra il quale hanno posto l'essercizio è atto a fare l'uomo poco leale o fedele, se non in quanto se ne vegga trare la propria utilità. E anco portano massimo pericolo che l'uomo non perisca egli, e faccia perire altrui, per volere attendare, in cotesti casi, solamente per potere acquistare della robba; ché lo 'ntendimento non può atendare a due cose insieme con l'essercizio corporale: a robbare e a combattare. Sapete che per questo molti ne sonno rimasi perdenti; e però la Verità vuole che, a ciò che questo caso non divenga a voi, voi lo diciate, e facciatene avisati gli altri che sonno sotto la vostra governazione. Anco vi prego per l'amore di Cristo crocifisso che voi atendiate d'avere savio, schietto e maturo consiglio apresso voi, fedele e leale. Per caporagli scegliete uomini virili e fedeli, di migliore conscienzia che potete: che nei buoni capi rade volte può stare altro che buone membra. Sempre state attento che tradimento non fusse o dentro o di fuore.

E perché malagevolmente ci possiamo guardare, voglio che voi e gli altri sempre, la prima cosa che voi facciate da mane e da sera, sì offerite a quella dolce madre Maria, pregandola ch'ella sia avocata e difenditrice vostra, e - per amore di quello dolce e amoroso Verbo ch'ella portò nel ventre suo - ch'ella non sostenga che veruno inganno vi sia fatto, ma che il manifesti, affinché sotto inganno non potiate perire. Sono certa che, facendo lo santo principio, come detto è, e questa dolce offerta, che ella acettarà graziosamente la vostra petizione, come madre di grazia e di misericordia ch'ella è inverso di noi peccatori.

Ma se noi disordinatamente ponessimo l'affetto nostro, come detto è, in quello che ci priva della fedeltà, privaremoci d'ogni bene, e faremoci degni d'ogni male: perdaremo lo frutto di vita eterna delle nostre fatiche. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi fedeli alla santa madre Ecclesia, e a Cristo in terra, papa Urbano VI.

Confortatevi, confortatevi in Cristo dolce Gesù, tenendo dinanzi da voi lo sangue sparto con tanto fuoco d'amore. State nel campo col gonfalone della santissima croce; pensate che il sangue di questi gloriosi martiri sempre grida nel cospetto di Dio, chiedendo sopra voi l'aiuto. Pensate che questa terra è il giardino di Cristo benedetto, ed è lo principio della nostra fede: e però ciascuno per sé medesimo ci debba essere inanimato. Ora si scontano i difetti nostri, se noi vorremo coraggiosamente servire a Dio e a la santa Chiesa. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Siate grato, voi e gli altri, e conoscenti del beneficio che ora riceveste, a Dio e a quello glorioso cavaliere santo Giorgio, lo cui nome tenete, lo quale vi difenda, e sia vostra guardia fino a la morte.

Perdonatemi se troppo v'ho gravati di parole: l'amore della santa Chiesa e salute vostra me ne scusi, e la coscienza mia, ch'è stata costretta da la dolce volontà di Dio. Faremo come Moisè, che il popolo combatteva e Moisè orava; e mentre ch' egli orava, lo popolo vinceva (Ex 17,11): così faremo noi, pure che la nostra orazione li sia grata e piacevole.

Piacciavi di lègiare questa lettara, almeno voi e gli altri caporali. Gesù dolce, Gesù amore.





348. Alla Regina Giovanna di Napoli, a dì 6 di magio.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi compassionevole a voi medesima ne l'anima e nel corpo, poiché, se noi non saremo piatose a l'anima nostra, la misericordia e pietà altrui poco ci giovarebbe.

A grande crudelità si reca l'anima quando essa medesima pone lo coltello in mano al suo nemico, col quale lo possa uccidare, però ch'i nostri nemici non hanno arme con che ci possano offendare; vorrebbono bene, ma non possono, perché solo la volontà è quella che offende, e la volontà non è demonio né creatura che la possa muovare né costrignare a una minima colpa più ch'ella si voglia. Perciò la volontà perversa che consente a le malizie dei nemici nostri è uno coltello che uccide l'anima, quando con la mano del libero arbitrio lo dà ai suoi nemici. Chi diremo che sia più crudele: o i nimici, o la propria persona stessa che riceve la percossa? Siamo più crudeli noi, perché consentiamo a la nostra morte.

Noi abiamo tre principali nemici, cioè lo demonio, lo quale è debole se io nol fo forte consentendo alle malizie sue - egli perdette la forza sua nella virtù del sangue dell'umile immacolato Agnello -; lo mondo con tutti li stati e dilizie sue, lo quale è nostro nemico, anco è debole - se non in quanto noi lo fortifichiamo in nostra offesa, possedendolo con disordinato amore -: nella mansuetudine e umilità, povertà, obrobii scherni e villanie di Cristo crocifisso si è anichilato questo tiranno del mondo. Lo terzo nemico nostro, della propria fragilità, è fatto debole, e fortificata la ragione, per l'unione che Dio ha fatta nell'umanità nostra, vestendo lo Verbo della nostra umanità, e per la morte di questo dolce e amoroso Verbo, Cristo crocifisso. Sì che noi siamo forti, e i nemici nostri debili. Perciò bene è vero che noi siamo più crudeli a noi che i nostri nemici, perché senza noi non ci possono uccidare né offendare: perché Dio non ce gli ha dati perché noi siamo venti, ma affinché noi venciamo. Allora si prova la costanzia e la fortezza nostra.

Ma non vego che noi possiamo schifare questa crudelità e acquistare la pietà senza lo lume della santissima fede, cioè aprendo l'occhio de lo intelletto a riguardare quanto ella è spiacevole e nociva all'anima e al corpo; e piacevole a Dio e utile per la salute nostra, la pietà.

O carissima madre - «madre» dico in quanto io vi vegga essere figlia fedele alla santa Chiesa -, egli mi pare che nessuna pietà abiate verso di voi. Oimé, oimé, che, perché io v'amo, io mi doglio del male stato vostro dell'anima e del corpo; vorrei volontieri ponarci la vita per rimediare a questa crudeltà. Più volte v'ho scritto per compassione, mostrandovi che quello che v'è mostrato per verità, è bugia, e la verga della divina giustizia, la quale sta aparecchiata, se non vi levate di tanto difetto. Umana cosa è il peccare, ma la perseveranza nel peccato è cosa di dimonia.

Oimé, non è chi vi dica la verità, né voi cercate per li servi di Dio che ve la dicano affinché non stiate in istato di dannazione. Oh quanto sarebbe beata l'anima mia se io venissi costà, e ponessi la vita per rendarvi lo bene del cielo e il bene della terra: tòlarvi lo coltello della crudeltà, col quale avete morta voi medesima, e aitarvi a dare quello della pietà, che uccide lo vizio; cioè, che col timore santo di Dio, e con l'amore santo della verità, vi vestiste e legaste nella dolce volontà sua! Doimé, non aspettate quello tempo che non sete sicura d'avere; non vogliate che gli occhi miei abino a spandare fiumi di lacrime sopra la tapinella anima vostra, né sopra lo corpo, la quale anima io riputo mia.

Se io riguardo l'anima io vego che ella è morta, perché è separata dal capo suo: perseguita non papa Urbano VI, ma la verità e la fede nostra, la quale, madre e figlia mia, aspettavo - sì come mi scriveste - che per voi, mediante la divina grazia, fusse dilatata tra l'infedeli, e dichiarata e sovenuta tra noi, quando vedessimo aparire la macula, difendendola da quelli che ne sonno stati o fussero contaminatori. Ora vego apparire in voi tutto il contrario, per lo cattivo consiglio che v'è stato dato per li peccati miei. Voi, come spietata verso la salute vostra, l'avete ricevuto; e vedo che corpo di creatura non sarà che possa ristituire lo danno vostro, ma a voi medesima converrà rendare questa ragione dinanzi al sommo giudice.

Questa non è offesa per ignoranza, che voi non la conosciate, poiché la verità v'è manifesta; ma non sapete tornare adietro quello che avete cominciato - perché il coltello della propria e perversa volontà tolle lo sapere e il volere -, riputandovi a vergogna quello che v'è grandissimo onore: perché il perseverare nella colpa e in sì-fatto male è massimo vitoperio, e vergogna farsi trare a segno agli occhi delle creature; ma lo levarsene è grandissimo onore, e con l'onore e odore della virtù si leva la vergogna, e spegnesi la puzza del vizio.

E se io riguardo a lo stato vostro sopra questi beni temporali e transitori che passano come il vento, voi medesima ve ne sete privata di ragione. Non avete a ricevare altro che l'ultima sentenzia da questarne privata di fatto, e publicata eretica. Scoppiami lo cuore e non mi può scoppiare, del timore ch'io ho che il demonio non offuschi tanto l'occhio de lo intelletto vostro, che voi aspettiate lo danno, e tanta vergogna e confusione che me la recarei a maggiore che il danno che voi riceveste. E non la potete nascondare con dire: «Questo mi sarebbe fatto ingiustamente, e la cosa che ingiustamente si riceve non gitta vergogna».

Non si può dire, poiché giustamente lo farebbe - sì per lo difetto commesso e sì perch'egli lo può fare, come sommo e vero pontefice ch'egli è, eletto della Verità e in verità: che s'egli non fusse, non areste offeso - sicché sarebbe giustizia; ma per amore, e come benigno padre che aspetta che il figlio si corregga, non l'ha fatto. Ma temo che, costretto dalla giustizia e dalla longa vostra perseveranza nel male, nol faccia. E questo non dico denigrato, che io non sappi quello ch'io mi dico.

E se voi mi diceste: «Sopra questo io non curo, ché io sono forte e potente, e ho degli altri signori che mi soverranno; e so ch'egli è debole»; io vi rispondo che invano s'afatica quelli che con forza vuole guardare la città, e con grande solecitudine, se Dio non la guarda. E potrete voi dire che voi abiate Dio per voi? Non lo possiamo dire, poiché l'avete posto contro voi: perché ponendovi contro la verità, vi sete posta contro lui; e la verità è quella che libera colui che tiene verità, e neuno è che la possa confondare. Perciò avete cagione di temere, e non confidarvi nella fortezza e potenza vostra, se l'aveste anco maggiore che voi non l'avete. Ed esso ha cagione di confortare la sua debolezza in Cristo dolce Gesù, la cui vece esso tiene, confidandosi nella fortezza e aiutorio suo, che di tale lato li mandarà l'aiuto che non lo sapiamo immaginare. E voi sapete che, se Dio è per noi, neuno sarà contro noi.

Perciò temiamo Dio, e tremiamo sotto la verga della giustizia sua; corregiamoci, e non si vada più oltre. Siate piatosa a voi medesima, e chiamarete la pietà di Dio appo voi; abiate compassione a tante anime quante periscono per voi, delle quali vi converrà rendare ragione nell'ultima estremità della morte dinanzi a Dio. Anco ci è rimedio e tempo per potere ritornare: ed esso vi riceverà con grande benignità. Sono certa che se a l'anima vostra, ed eziandio al corpo, sarete piatosa e non crudele, voi lo farete, e arete pietà dei sudditi vostri; in altro modo, no. E però vi dissi ch'io desiderava di vedervi piatosa, e non crudele a l'anima vostra, e così vi prego per l'amore di Cristo crocifisso che almeno voi teniate, e vogliate che si tenga, questa verità, la quale fu anunziata a voi e agli altri signori del mondo.

E se voi diceste: «Ella m'è pure in dubio», statevi di mezzo, tanto ch'ella vi sia dichiarata, e non fate quello che non dovete. Vogliate la dichiarazione e il consiglio di quelli che vedete che temeno Dio, e non da' membri del demonio, che male consigliarebono voi di quello che non tengono per loro medesimi.

Temete, temete Dio e ponetevelo dinanzi agli occhi vostri; pensate che Dio vi vede, e l'occhio suo è sopra di voi, e la giustizia vuole che ogni colpa sia punita, e ogni bene rimunerato. Siate, siate pietosa a voi medesima. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





349. Ai signori Bandaresi e quattro Buoni uomini mantenitori della repubblica di Roma, a dì 6 di maggio 1378 (in abstractione facta).

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli e signori in terra in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi grati e conoscenti di tanti beneficii quanti avete ricevuti da Dio, acciò ch'eglino crescano in voi e notrichisi la fonte della pietà di Dio ne l'anime vostre. Poiché, come la gratitudine gli è molto piacevole, e utile a noi, così la 'ngratitudine molto gli dispiace, e a noi fa danno: disecca in noi la fonte della pietà, e invitiamo Dio non a cresciare le grazie, ma a privarci di quelle che ci ha date. Bene dunque è da studiarsi con grande solecitudine di riguardare i beneficii di Dio, poiché vedendoli gli conosciarete, e conoscendoli rendarete gloria e lode al nome suo.

E in che mostraremo a Dio la nostra gratitudine e la nostra ingratitudine? Dicovelo: la ingratitudine si mostra in offendare la sua bontà e il prossimo nostro, offendendolo in molti e diversi modi con molta ingiustizia; non rendendoli quello debito che noi siamo obligati di rendarli, cioè d'amare lui sopra ogni cosa e il prossimo come noi medesimi (). E noi facciamo tutto il contrario, ché quello amore che noi doviamo dare a lui lo diamo alla propria sensualità, offendendolo col cuore e con la mente, e con tutte le facoltà dell'anima, e con le membra del corpo nostro, le quali debano essere strumento di virtù, ed esse sonno strumento di vizio; da' quali vizii riceviamo morte eternale se la vita nostra termina in colpa di peccato mortale.

Da qualunque lato noi ci volliamo, non ci troviamo altro che miseria: e tutto procede dalla ingratitudine.

Ella germina superbia, vanità e legerezza di cuore, con molta immondizia, in tanto che non pare che l'uomo curi d'invòllarsi nel loto de l'immondizia, se non come l'animale. Ella priva l'anima della carità fraterna inverso del prossimo suo; e concepe odio e pentimento, e s'egli pure l'ama, amalo per propria utilità, e non per Dio. Atti sonno questi cotali a ricevare ogni miserabile informazione, giudicando male inverso di lui, non riguardando con prudenzia chi è colui che dice lo male e di cui egli è detto, o s'egli lo dice per proprio dispiacere, o per invidia, o per semplicità che avesse. Ché spesse volte l'uomo ignorante dice ciò che li viene a bocca, e non mira quello che parla; ma colui che ode lo debba mirare egli. Lo invidioso non mira che dica più verità che bugia; atende pure di fare danno e tòllare la fama del prossimo suo: tutto dì vedete ch'egli è così.

E se l'uomo è in stato di signoria non si cura di tenere al prossimo giustizia se non sicondo lo suo proprio piacere, o a piacere delle creature - contaminando la giustizia e rivendendo le carni del prossimo suo -, perché il cuore suo è privato della carità: àllo sì stretto lo proprio amore, che non vi cape né Dio né il prossimo per giustizia santa, né di sovenirlo nella sua necessità. E non tanto che egli lo sovenga, ma egli li tolle lo suo in molti modi, secondo che gli ocorrono i casi, con molti guadagni illiciti dei quali li converrà rendare ragione nell'ultima estremità della morte. La lingua sua, ch'è fatta per rendare gloria e lode al nome di Dio, e per confessare i peccati, e in salute del prossimo, egli l'essercita in bastemiare, in giurare e spergiurare, e in giudicare; e non tanto che bastemi e dica male delle creature, ma egli pone bocca a Dio e ai santi suoi, né più né meno che se l'avesse fatto coi piei. E voi vedete bene ch'egli è la verità, e non ci è quasi picolo né grande che di questo vizio non s'abi fatto consuetudine, per lo difetto di chi ha a tenere la giustizia, che non la fa secondo che vuole la ragione. Ma Dio dimostra che questo e gli altri difetti li dispiaciono, facendone un poca di giustizia coi fragelli e discipline sue che noi tutto dì abiamo. E giustamente lo fa; ben ch'egli ce le dà con grande misericordia. Sicché questi sonno i frutti che produce l'uomo ingrato; questi sonno i segni suoi, che manifestano la sua sconoscenza.

Tutto il contrario dimostra l'uomo che è grato e conoscente al suo Creatore. Egli li dà giustizia, rendendoli quello ch'è suo: cioè la gloria e lode che deba essere di Dio egli lili dà amandolo sopra ogni cosa, e il prossimo come sé medesimo. Riguardando l'umilità di Dio ha mozze le corna della superbia, e con la sua giustizia s'è levato dalla ingiustizia; e con la carità del prossimo suo ha conculcata la invidia, dilargando lo cuore nell'affetto della carità. Nella purezza di Cristo e ne l'abondanzia del sangue suo si leva da ogni immondizia; vive onestamente, sovenendo lo prossimo suo, o suddito o signore che sia, in ogni necessità sua, quanto gli è possibile; dà del suo e non tolle l'altrui; fa ragione al picolo come al grande e al povaro come al ricco, secondo che vuole la vera giustizia. Egli non è leggiere a credare uno diffetto del suo prossimo, ma con prudenzia e maturità di cuore riguarda molto bene colui che dice, e di cui egli dice. Egli è grato e conoscente a chi lo serve, perché egli è grato a Dio: però è grato a lui; e non tanto ch'egli serva chi lo serve, ma egli ama e fa misericordia a chi l'ha diservito.

La vita sua è ordinata, perché ha ordinate tutte le tre facoltà dell'anima: la memoria a ritenere i benifici di Dio per ricordo; lo intelletto ad intendare la sua volontà; e la volontà ad amarlo, e così gli strumenti del corpo tutti si dispongono in essercitare la virtù. Egli è paziente e benivolo; ama la concordia e odia la discordia; è fedele a Dio e a la santa Chiesa, e al vicario suo; come figlio vero si nutre al petto della suaobbedienza. Ora a questo modo dimostriamo d'essere grati e conoscenti a Dio; allora le grazie crescono, e temporali e spirituali.

Perciò voglio, fratelli carissimi, che voi siate grati - affinché crescano le grazie - delle grazie che v'ha fatte e fa lo vostro Creatore. E perché di nuovo n'avete ricevute miracolosamente, di nuovo voglio che gli rendiate grazia e lode al nome suo; con vera umilità riconoscendole da Dio, e non dal vostro proprio potere né sapere. Ché con tutto lo vostro studio umano non l'areste potuto fare, se non che Dio lo fece egli, vollendo l'occhio della sua misericordia sopra di noi che troppo stavamo a grande pericolo; e però a Dio lo dobiamo atribuire. L'essemplo ce ne dà lo padre nostro, papa Urbano VI, che - in segno ch'egli la riconosce da Dio - s'umilia facendo quello atto, che già è grandissimi tempi non fu più, d'andare a processione a piei scalzi. Perciò noi, figli, seguiamo le vestigie del padre, cioè di conosciare le grazie da Dio, e non da noi.

Anco voglio che siate grati a questa compagnia, i quali sonno stati strumento di Cristo, suvenendoli in quello che bisogna, massimamente in questi povarelli feriti. Portatevi caritativamente con esso loro, affinché gli conserviate nell'aiutorio vostro, e tolliate lo' la materia che essi non abino cagione di fare contro di voi: così vi conviene fare, dolcissimi fratelli, sì per lo debito, e sì per la grande necessità. Sono certa che se in voi sarà la virtù della gratitudine, voi vi studiarete di fare questo e l'altre cose sopra dette, altrimenti no; e però vi dissi ch'io desiderava di vedervi grati e conoscenti dei beneficii ricevuti da Dio, affinché compiate di fare quello ch'è di necessità alla salute dell'anima e del corpo.

Parmi che s'usi un poco d'ingratitudine verso Giovanni di Cencio, lo quale s'è affatigato con tanta solecitudine e fedeltà, con ischietto cuore, solo per piacere a Dio e per vostra utilità - e questo so ch'è la verità -, ogni altra cosa abandonando per questo, per trarvi del fragello, che v'era posto, di Castello Santo Angelo: in ciò s'è adoparato con tanta prudenzia. Ora non tanto che mostrino segno di gratitudine solo di ringraziamento, ma lo vizio della invidia e della ingratitudine gitta lo veleno delle infamie e molta mormorazione. Non vorrei che si facesse così, né di lui né di neuno altro che vi servisse - perché sarebbe offesa di Dio e danno a voi -, ché tutta la comunità ha bisogno d'uomini savi, maturi e discreti e di buona coscienza. Non si faccia più così, per l'amore di Cristo crocifisso! Poneteci quello rimedio che pare alla Signoria vostra, affinché la simplicità delli ignoranti non empedisca lo bene.

Questo dico per vostra utilità, e non per nessuna affezione, ché voi sapete ch'io sono peregrina, parlandovi per lo buono stato vostro perché tutti insiememente con lui tengo che siate l'anima mia. So che, come uomini savi e discreti, riguardarete a l'affetto e alla purezza del cuore mio con che io scrivo a voi, e così perdonarete alla mia presunzione che presummo di scrivare. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Siate, siate grati e conoscenti a Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



350. Al Re di Francia.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere in voi uno vero e perfettissimo lume, affinché cognosciate la verità di quello che v'è necessario per la vostra salute.

Senza questo lume andaremmo in tenebre, la quale tenebre non lassa discernere quello che c'è nocivo all'anima e al corpo, né quello che c'è utile. E per questo si guasta lo gusto dell'anima, che le cose buone le sanno gattive, e le gattive buone: cioè, che lo vizio e quelle cose che c'inducono a peccato, ci paiono buone e dilettevoli; e le virtù e quello che c'induce a virtù, ci paiono amare e di grande malagevolezza. Ma chi ha lume, conosce bene la verità, e però ama la virtù, e Dio che è cagione d'ogni virtù; e odia lo vizio, e la propria sensualità che è cagione d'ogni vizio.

Chi ci tolle questo vero e dolce lume? L'amore proprio che l'uomo ha a sé medesimo, lo quale è una nuvola che offusca l'occhio dell'intelletto, e ricuopre la pupilla del lume de la santissima fede. E però va come cieco e ignorante, seguitando la fragilità sua, tutto passionato e senza lume di ragione, sì come animale che, perché non ha ragione, si lassa guidare al proprio sentimento. Grande miseria è dell’uomo - lo quale Dio ha creato a la imagine e similitudine sua (Gn 1,26) - che egli voluntariamente e per suo defetto si facci peggio che animale bruto: come ingrato e ignorante, non conosce né riconosce i beneficii di Dio, ma retribuisceli a sé medesimo. Da l'amore proprio procede ogni male: unde vengono le ingiustizie e tutti gli altri defetti? da l'amore proprio.

Egli commette ingiustizia contro Dio, contro sé, e contro lo prossimo suo, e contro a la santa Chiesa.

Contro a Dio la commette, ché non rende gloria e loda al nome suo come egli è obligato; a sé non rende odio e pentimento del vizio e amore de la virtù; al prossimo non rende la benevolenza. E se egli è signore, non gli tiene giustizia, poiché non la fa se non secondo lo piacere de le creature o per proprio suo piacere umano. A la Chiesa non rendeobbedienza, e non la soviene ne la sua necessità con debita reverenzia, e non che la sovenga, ma continuamente la perseguita. Di tutto questo è cagione l'amore proprio, che non gli lassa conoscere la verità, perché è privato del lume: questo c'è molto manifesto, e tutto dì lo proviamo e vediamo in noi medesimi che egli è così. Non vorrei, carissimo padre, che questa nuvola vi tollesse lo lume; ma voglio che in voi sia quello lume che vi faccia conoscere e discernere la verità.

Parmi, secondo che io intendo, che cominciate a lassarvi guidare al consiglio dei tenebrosi; e voi sapete che se l'uno cieco guida l'altro, ambedue caggiono ne la fossa (Mt 15,10 Lc 6,39). Così diverrà a voi, se voi non ci ponete altro remedio che quello che io sento. Ònne grande ammirazione di vedere che uomo catolico, che voglia temere Dio e essere virile, si lassi guidare come fanciullo, e che non vegga come metta sé e altrui in tanta ruina quanta è di contaminare lo lume de la santissima fede, per consiglio e detto di coloro che noi vediamo essere membri del demonio e arbori corrotti, dei quali ci sono manifesti i defetti loro per l'ultimo veleno che hanno seminato, de la eresia, dicendo che papa Urbano VI non sia veramente papa.

Aprite qui l'occhio dell'intelletto, e raguardate che essi mentono sopra lo capo loro. Per loro medesimi si possono confondere e veggonsi degni di grande suplicio, da qualunque lato noi ci volliamo. Se noi ci volliamo a quello che essi dicono, che lo elessero per paura de la furia del popolo, essi non dicono la verità, poiché prima l'avevano eletto con canonica elezione e ordinata, sì come fusse eletto mai verun altro sommo pontefice. Essi si spacciarono bene di fare la elezione per timore che il popolo non si levasse; ma non che per timore essi scegliessero missere Bartolomeo arcivescovo di Bari, lo quale è oggi papa Urbano VI: e così confesso in verità, e non lo niego. Quello che essi elessero per paura, ciò fu missere di Santo Pietro, apparbe evidente a ciascuno; ma la elezione di papa Urbano era fatta ordinatamente, come detto è. E questo anunziarono a noi e a voi e agli altri signori del mondo, manifestando per opera quello che ci dicevano per parole, cioè facendoli reverenzia, adorandolo come Cristo in terra, e coronandolo con tanta solemnitade e rifacendo di nuovo la elezione con grande concordia; e a lui, come a sommo pontefice, chiesero le grazie, e usaronle.

E se non fusse stato vero che papa Urbano fusse papa, ma che l'avessero eletto per paura, e non sarebbero essi degni eternamente di confusione, che le colonne de la santa Chiesa poste per dilatare la fede, per timore de la morte corporale volessero dare a loro e a noi morte eternale, mostrandoci per padre quello che non fusse? E non sarebbero essi idolatri, adorando per Cristo in terra quello che non fusse? E non sarebbero essi ladri, tollendo e usando quello che non potessero usare? Sì bene, se vero fusse quello che ora dicono - che non è: anco, è veramente papa, papa Urbano VI -. Ma, come stolti e matti, accecati dal proprio amore, hanno mostrata e data a noi questa verità, e per loro tengono la bugia. Tanto la confessarono questa verità, quanto la Santità sua indugiò a volere correggere i vizii loro; ma come egli cominciò a mordergli, e a mostrare che lo scelerato vivere loro gli era in dispiacere, e che egli voleva ponervi remedio, subito levarono lo capo. E contro cui l'hanno levato? contro a la santa fede, peggio hanno fatto che cristiani rinnegati.

O miseri uomini! essi non cognoscono la loro ruina, né chi gli segue, che, se la conoscessero, essi chiederebbero l'aiutorio divino e riconoscerebbero le colpe loro, e non sarebbero ostinati come demoni: ché drittamente paiono demoni, e preso hanno l'officio loro. L'officio de le demonia è di pervertire l'anime da Cristo Crocifisso e sottrarle da la via de la verità, e inducerle a la bugia; e recarle a sé che è padre de le bugie (Jn 8,44), per pena e per suplicio dando a loro quello che egli ha per sé. Così questi vanno sovertendo da la verità, la quale verità essi medesimi ci hanno data, e reducendo a la bugia, tutto lo mondo hanno messo in divisione; e di quello male che essi hanno in loro, di quello porgono a noi. Vogliamo noi bene conoscere questa verità? Or raguardiamo e consideriamo la vita e i costumi loro; e che seguito essi hanno pur dei loro medesimi, che seguitano le vestigie de le iniquitadi: poiché l'uno demonio non è contrario all'altro, anco s'accordano insieme. E perdonatemi, carissimo padre - padre vi terrò, in quanto io vi vegga amatore de la verità e confonditore de la bugia - perché io dica così, poiché il dolore de la dannazione loro e d'altrui me n'è cagione, e l'amore che io porto a la salute loro.

Questo non dico in dispregio loro in quanto creature, ma in dispregio del vizio e de la eresia che essi hanno seminata per tutto lo mondo, e de la crudeltà che essi usano a loro e all'anime tapinelle che per loro periscono; de le quali lo' converrà rendere ragione dinanzi al sommo giudice. Che se fussero stati uomini che avessero temuto Dio - o la vergogna del mondo, se Dio non volevano temere -, se papa Urbano l'avesse fatto lo peggio che egli l'avesse potuto fare, e il maggiore vituperio, avrebbero pazientemente portato, e eletto inanzi mille morti che fare quello che hanno fatto. Ché a maggiore vergogna e danno non possono venire, che apparire agli occhi de le creature scismatici e eretici e contaminatori de la santa fede.

Se io vedo lo danno dell'anima e del corpo, si mostrano per la eresia privati di Dio per grazia, e corporalmente privati de la dignità loro, di ragione: e essi medesimi l'hanno fatto. Se io raguardo lo divino giudicio, egli si vede presso a loro, se non si levano da questa tenebre; poiché ogni colpa è punita, e ogni bene è remunerato. Duro lo' sarà a ricalcitrare a Dio (Ac 26,14), se tutto lo sforzo umano avessero. Dio è somma fortezza, che fortifica i debili che si confidano e sperano in lui, ed è verità; e la verità è quella cosa che ci libererà (Jn 8,32).

Noi vediamo che solo la verità dei servi di Dio seguitano e tengono questa verità di papa Urbano VI, confessandolo veramente papa, come egli è. Non trovarete uno servo di Dio che tenga lo contrario, che sia servo di Dio: non dico di quelli che portano di fuore lo vestimento de la pecora, e dentro sono lupi rapaci.

E credete voi che se questa non fusse verità, che Dio sostenesse che i servi suoi andassero in tanta tenebre? nol sosterrebbe. Se egli lo sostiene agli iniqui uomini del mondo, nol sostiene a loro, e però egli l'ha dato lume di questa verità: perché non è spregiatore dei santi desiderii, anco, n'è accettatore, come padre benigno e pietoso che egli è. Questi vorrei che voi chiamaste a voi, a farvi dichiarare di questa verità, e non vogliate andare sì ignorantemente.

Non vi muova la passione propria, ché ella farà peggio a voi che a persona. Abbiate compassione a tante anime, quante mettete ne le mani de le demonia. Se non volete fare il bene, almeno non fate lo male, ché il male spesse volte torna più sopra colui che il fa, che sopra a colui a cui vuole essere fatto. Tanto male n'esce, che ne perdiamo Dio per grazia, consumansi i beni temporali, e seguitane la morte degli uomini.

Doimé! e non pare che noi vediamo lume, ché la nuvola dell'amore proprio ci ha tolto lo lume, e non ci lassa vedere. Per questo siamo atti a ricevere ogni mala informazione che ci fusse data, contro a la verità, dagli amatori di loro medesimi. Ma se averemo lo lume, non sarà così; ma con grande prudenzia e timore santo di Dio vorrete conoscere e investigare questa verità, per uomini di conscienzia e di scienzia. Se voi vorrete, in voi non caderà ignoranza poiché avete costà la fontana de la scienzia, la quale temo che non perdiate se voi terrete questi modi, e sapete bene come ne starà lo reame vostro. Se saranno uomini di buona conscienzia e che non vogliano seguire lo piacere umano con timore servile, ma la verità, essi vi dichiareranno, e porranno in pace la mente e l'anima vostra.

Or non più così, carissimo padre: recatevi la mente al petto e pensate che voi dovete morire, e non sapete quando. Ponetevi dinanzi all'occhio dell'intelletto Dio e la verità sua, e non la passione né l'amore de la patria: ché, quanto a Dio, non doviamo fare differenza più d'uno che d'un altro, poiché tutti siamo usciti de la sua santa mente, creati a la imagine e similitudine sua (Gn 1,26), e ricomprati del prezioso sangue de l'unigenito suo Figlio. Sono certa che, se averete lo lume, voi lo farete, e non aspettarete lo tempo, poiché il tempo non aspetta voi, e invitarete loro a tornare a la santa e veraobbedienza, ma altrimenti no. E però dissi che io desideravo di vedere in voi uno vero e perfettissimo lume, affinché col lume cognosciate, amiate e teniate la verità. Sarà allora beata l'anima mia per la salute vostra, di vedervi uscire di tanto errore. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.

Perdonatemi se troppo v'ho gravato di parole, ma l'amore de la vostra salute mi costrigne a più tosto dirvele a bocca e con la presenza che per scritto. Dio vi riempia de la sua dolcissima grazia. Gesù dolce, Gesù amore.



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19/10/2012 19:29

351. A papa Urbano VI a dì 30 di magio 1379, in Roma, tornato a Santo Piero.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Padre santissimo, lo Spirito santo obumbri l'anima e il cuore e l'affetto vostro del fuoco della divina carità, e infonda uno lume sopra naturale nell’intelletto vostro per sì-fatto modo che nel lume vostro noi pecorelle vediamo lume, e che neuno inganno che il demonio vi volesse fare con le malizie sue possa essere occulto a la Santità vostra.

Desidero, padre santissimo, di vedere compire in voi tutte l'altre cose che la dolce volontà di Dio vi richiede, delle quali so che avete grandissimo desiderio. Spero che questo dolce fuoco dello Spirito santo adoperarà nel cuore e nell'anima vostra, sì come fece in quegli discepoli santi - che lo' dié fortezza e potenza contro i dimonii visibili e contro gl'invisibili: nella virtù sua atterravano i tiranni del mondo, e nel sostenere dilatavano la fede -: dié loro uno lume con una sapienza in conoscere la verità e la dottrina che essa Verità avea lasciata. Unde l'affetto, che va dietro a l'intelletto, gli vestì del fuoco della sua carità, intanto che perderono ogni timore servile e piacere umano, e solo attendevano a l'onore di Dio, e a trare l'anime delle mani deli demoni: e di quella verità che si trovavano illuminati, volevano porgere a ogni creatura. Ma doppo la molta vigilia, umile e continua orazione, e molta fatica mentale che essi ebbono questi dieci dì, furono ripieni di questa fortezza dello Spirito santo, sì che innanzi andò la fatica e l'essercizio santo.

O padre santissimo, pare che c'insegnino, e ogi confortino la Santità vostra; e pare che ci diano la dottrina in che modo possiamo ricevere lo Spirito santo. Per che modo? Che noi stiamo nella casa del cognoscimento di noi, nel quale cognoscimento l'anima sta sempre umile, che nella allegrezza non disordina, né nella tristizia viene a impazienzia: ma tutto è matura e paziente in questo cognoscimento, perché ha conceputo odio alla propria sensualità. In questa casa sta in vigilia e continua orazione, perché lo intelletto nostro debba veghiare in conoscere la verità della dolce volontà di Dio; e non dorme nel sonno de l'amore proprio. Allora riceve la continua orazione, cioè il santo e vero desiderio, col quale desiderio essercitiamo la virtù, che è uno continuo orare; unde non cessa d'orare chi non cessa di ben adoperare. Per questo modo riceviamo questa dolce fortezza; Perciò seguiamo questo dolce modo con vera e santa sollicitudine, giusta il nostro potere. Dico che essi confortano voi vero e sommo pontefice, mostrandovi la virtù divina con aiuto suo, ché non con forza umana conquistarono tutto lo mondo e tolsero le tenebre della infedelità, ma nella fortezza, sapienza e carità di Dio, la quale non è infermata per voi né per veruna creatura che si confidi in lui.

Perciò, bene è vero che in questa fortezza vi confortano in questa necessità della Sposa vostra; e non tanto per fede ci sete confortato, ma per opera: perché già quattro semane singularmente aviamo veduto che la virtù di Dio ha operate mirabili cose fatte per mezzo di vili creature, affinché vediamo manifestamente che egli è colui che adopera, e non la potenza umana. Perciò a lui ne rendiamo la gloria, e siamoli grati e conoscenti. Godo, padre santissimo, d'allegrezza cordiale ché gli occhi miei hanno veduto compire la volontà di Dio in voi, cioè in quello atto umile, non usato già grandissimi tempi, della santa processione. Oh quanto è stato piacevole a Dio, e spiacevole ali demoni, in tanto che si sforzarono di darvi scandalo dentro e di fuore, ma la natura angelica raffrenava la furia deli demoni.

Ora dissi ch'io desideravo di vedere compita in voi questa volontà dolce di Dio in ogni altra cosa; e però vi ramento che la verità vuole che diate pensiero e sollicitudine in dirizare e ordinare la Chiesa di Dio l'uno dì doppo l'altro, secondo che v'è possibile, nel tempo che voi avete. Ed egli sarà colui che adoperarà per voi: daravi fortezza a poterlo fare; e lume a conoscere quello che è necessario, con sapienza e prudenzia, a dirizzare la navicella sua; e la volontà a volerlo fare, la quale già v'ha data, ma cresciaralla per la sua infinita misericordia. In questa virtù sconfiggiarete i tiranni, levarete le tenebre de l'eresia, perché esso medesimo dichiara e dichiararà questa verità.

Godo che questa dolce madre Maria, e Pietro dolce, principe degli apostoli, v'ha rimesso nel luogo vostro.

Ora vuole la eterna verità che nel giardino vostro facciate uno giardino di servi di Dio; e ine ve gli nutrichiate della substanzia temporale, ed essi voi delle spirituali, che non abbiano a fare altro che gridare nel conspetto di Dio per lo buono stato della santa Chiesa, e per la Santità vostra. Questi saranno quelli soldati che vi daranno perfetta vittoria; e non tanto sopra i malvagi cristiani, i quali sonno membri tagliati dalla santaobbedienza, ma sopra gl'infedeli, dei quali ho grandissimo desiderio di vedere rizzato il gonfalone della croce santa sopra di loro, e già pare che ci vengano ad invitare. Quello sarà allora doppio diletto. Or cresciamo, e notrichianci nelle vere e reali virtù; entriamo nella casa del cognoscimento di noi, a ciò che nel modo detto riceviamo la plenitudine dello Spirito santo.

Confortatevi, padre mio santissimo, ché Dio vi darà rifregerio: doppo la grande fatica segue la grande consolazione, perché egli è accettatore dei santi e veri desiderii. E ora si cominci gli affetti e gli atti umili, imparando da l'umile Agnello del quale sete vicario, con vera constanzia fino a la morte e con ferma speranza nella providenzia sua, dilettandovi sempre nel nostro Creatore e negli umili servi suoi, sì com'io so che la Santità vostra si diletta; ma io vi ricordo perché la lingua non può fare che non satisfaccia a l'abondanzia del cuore, ma principalmente perché mi sento stimolare la conscienzia dalla dolce bontà di Dio.

Abbiate pazienza in me, che tanto vi gravo, o per uno modo o per un altro; e perdonate alla mia presunzione. Sono certa che Dio vi fa vedere più l'affetto che le parole. Umilemente v'adimando la vostra benedizione. La dolce eterna bontà di Dio, Ternità eterna, vi doni la grazia sua, con plenitudine del fuoco della sua carità; in tanto che nelle vostre mani si riformi la santa Chiesa, e che facciate sacrificio di voi a Dio. Altro non dico.

Rimanete etc.

Godete ed essultate nei dolci misterii di Dio. E se in veruna cosa ho offeso Dio o la Santità vostra, me ne rendo in colpa, e pregovi che mi perdoniate, apparechiata ad ogni penitenza. Gesù dolce, Gesù amore.



352. A madonna Lariella, donna di messere Ceccolo Caracciolo da Napoli, la quale era tribolata e aveva pena per lo stare il marito in Roma col santo padre Urbano VI, che è suo consubrino.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi ponere l'affetto e la speranza vostra solamente in Dio, in lui confidarvi e non nelle creature: poiché maladetto si può chiamare colui che si confida nell’uomo.

Oh quanto male ne segue, e danno dell'anima nostra, e quanto è vana questa speranza!. La lingua nostra nol potrebbe narrare. Ella è vana e transitoria, perché in vano s'affatiga colui che cerca le delizie, stati e ricchezze del mondo. Chi ci mostra che ella è vana? La poca fermezza che troviamo in loro: ché, quando noi le crediamo bene tenere, elle ci vengono meno, o per divina dispensazione che ce le tolle per nostro bene, o per lo mezzo della morte, partendoci di questa tenebrosa vita. E tale ora crediamo fare il grande guadagno, e venire in grandissimo stato, che noi perdiamo quello che aviamo; e se noi pure il teniamo, tenianlo con grande fatiga, e con disordinato timore e paura di non perderlo: diventanell’uomo incomportabile a sé medesimo. Bene è dunque vana; e matto è l'uomo che ci pone speranza.

Dico che fa danno, perché ci priva della signoria e libertà, e facci servi, ché di quello che la persona ama, di quello si fa servo. Unde se disordinatamente amiamo le creature, o le cose create, fuore di Dio, noi offendiamo, e offendendo Dio ci facciamo servi e schiavi del peccato, che non è, e delle cose create, che tutte sono meno di noi. Anco, elle sono create perché servano a noi, e noi per servire a Dio. E noi facciamo il contrario servendo ad esse, e diserviamo il nostro Creatore. Elle ci privano del lume, che non ci lassano vedere né conoscere la verità; sì come l'occhio che è infermo non può raguardare la luce, così l'occhio dell'anima, dove è venuta la infermità del disordinato amore, perde per sì-fatto modo la luce, che non può conoscere né sé né Dio, cioè la propria miseria e la infinita bontà di Dio.

Egli perde la ricchezza delle virtù, perché è tagliato dall'affetto della carità, nella quale sono legate tutte le virtù. Ine non è carità di Dio né del prossimo; e nol serve se non per propria utilità. Non v'è umilità vera, perché v'è la propria reputazione, con la quale si diletta d'essere tenuto grande e avere il grande stato. Tutto il suo studio è di piacere alle creature perché piace a sé medesimo; e più studia di piacere ad esse che al Creatore. E se riceve ingiuria, la porta con grande impazienzia. O se serve il prossimo o i parenti suoi, e non ne riceva onore o propria utilità, non v'ha pazienza, e volentieri abandonerebbe il servizio suo.

Questo fa lo proprio amore; e voi sapete bene che così è: perché forse alcuna cosa ne provate in voi medesima, per lo stare che fa qui messere Ceccolo, del quale stare v'incresce. Ma se vedeste che gli fosse risposto al servizio che fa, e ricevesse del fumo del mondo, cioè della gloria umana, non ve ne increscerebbe così. Ma bene credo che questa pena riceviate più per detto delle creature che vi molestano, e per un cotale onore mondano, che per propria utilità che voi ne voleste. Questo non è bene, anco è grande difetto, e non è sanza offesa di Dio; e statene voi in afflizione d'anima e di corpo, e a lui ne date pena. Non voglio che facciate così, poiché segno sarebbe che la speranza e l'affetto vostro fosse posto più nelle creature e ne l'onore del mondo che nel Creatore, la qual cosa non si debbe fare. Ma dovete essere tutta virile, e farvi beffe del mondo, considerando un poco dei beni del cielo e de l'onore di Dio, e non dei beni della terra e del proprio onore vostro. Questo voglio che faciate.

E rispondete a chi vi dicesse il contrario, che con uno santo desiderio vogliate che messere Ceccolo serva fedelmente con tutto il cuore e con tutto l'affetto Cristo in terra, e la santa Chiesa, sanza rispetto di stato, di grandezza o di propria utilità, ma solo per onore di Dio, e per lo debito, sì come debbe fare il figlio al padre. Allora sarà servigio grato e piacevole a Dio, onore e utilità vostra. Utilità, dico, di grazia, la quale è quella utilità che Dio ci richiede che noi cerchiamo con grande sollicitudine. Questo farete se la vostra speranza sarà posta solamente in Dio, altrimenti no. E però vi dissi che io desiderava di vedervi ponere l'affetto e la speranza vostra solamente in lui; e veramente il dovete fare, poi che vedete che tanto è nocivo a ponerla in sé, o nelle creature, o nelle cose create, fuore di Dio: e con grande danno tiene l'anima in molta amaritudine, sì come detto è.

Per lo contrario fa la speranza che l'uomo ha in Dio, perché la speranza procede da l'amore, ché sempre la creatura spera in colui cui ella ama. Unde se l'uomo ama la creatura, spera nella creatura; e se egli ama il suo Creatore, spera solamente in lui; e l'amore, cioè l'affetto della carità, non dà altro che allegrezza nel cuore che la possiede: Perciò nella speranza ha grandissima allegrezza. Tutto il bene e utilità che si trova nella carità, si trova nella speranza, perché ella procede da lei. Ella è umile e benigna a chi le fa ingiuria; ella è paziente in sostenere le molte tribolazioni in qualunque modo Dio gliele concede; e anco più: ché ella desidera di portare per Cristo crocifisso, e di gloriarsi negli obrobrii suoi: ine si riposa, e in altro non si vuole gloriare perché non cerca la gloria propria, ma la gloria del nome di Dio. La speranza non cerca le cose sue, e però il suo servigio non è mercennaio: perché serve per carità, e non per guadagno che n'aspetti. Ella tolle ogni amaritudine, perché s'è spogliata della propria volontà sua, e vestita della dolce voluntà di Dio. Tanto è dolce e dilettevole che le cose amare le diventano dolci, e i grandi pesi diventano piccioli, e il dispiacere diventa piacere; tolle l'anima da la gravezza della terra, e falla leggiera; levala dalla conversazione dei mortali, e falla conversare con gl'immortali.

Di tanta utilità è questa speranza fondata in carità, come detto è, che ella dà guadagno, per uno, cento.

Come? che dando l'uomo solo la voluntà sua libera, riceve lo cento della carità; con la quale carità ha vita eterna. E però disse Cristo al glorioso apostolo Pietro, quando egli lo dimandò dicendo: «Maestro, noi aviamo lassato ogni cosa: che ci darai?» (Mt 19,27 Mc 10,28 Lc 18,28). Cristo rispuose: «Bene facesti, Pietro», quasi dica la dolce Verità: «In altro modo non mi potevi seguire», ché colui lo quale non renunzia alla propria voluntà non può seguire Cristo crocifisso. Poi subgiunse dicendo: «Io vi darò, per uno, cento; e vita eterna possederete» (Mc 10,30 Mt 19,29 Lc 18,30). Bene è dunque di grande utilità: di maggiore non può essere. Ella fa l'uomo libero e signore, perché lo trae della servitudine del peccato: e signoreggia la propria sensualità. Essendo signore di sé, è fatto signore del mondo, perché se ne fa beffe, rifiutando le pompe e le delizie sue, perché vede che non sono cosa ferma né stabile; e però n'ha levata la speranza, e postala nel suo Creatore, il quale è fermo e stabile che mai non si muove, e non ci può essere tolto se noi non vogliamo.

Oh quanto è beata quella anima che unisce il cuore e l'affetto suo in Dio, che è sua beatitudine! Avendo Dio, non cura d'altro, e però non si sente aggravare dalla impazienzia, se si vedesse perdere marito, figli, stato, ricchezze e onori del mondo, perché le tiene non come cosa sua, ma come cosa prestata.

Solo la divina grazia tiene come cosa sua. Non cura detto di creature che per parole, o per piacere alle creature, voglia offendere Dio in alcuno modo. Non fa come molte semplici che, per piacere alle creature, dispiaceranno al Creatore: entro le vanità, non che nell'altre cose, offenderanno solo per lo piacere umano; faranno resistenza a una grazia che Dio avrà posta nell'anima, di non curarsi d'adornare lo corpo suo con curiosi e dilicati vestimenti, e con lavamento di volto. Così si starà, mentre che è in casa, come persona che non curi di sé; poi per piacere sforza la natura, e ribella alla divina grazia, volendo apparere con l'altre in offesa di Dio e danno dell'anima sua. E chi la riprendesse, dicerebbe: «Io nol fo per me, ma per piacere allo sposo mio, e per non mostrarmi più trista che l'altre». Questa s'inganna, ché non conosce la virtù colà dove ella è, per il proprio piacere di sé medesima.

Ma quella che sta nell'affetto della carità, come detto è, il conosce bene; e però si spoglia d'ogni vanità e abraccia l'onestà, in ogni tempo, in ogni stato e in ogni luogo che ella è. In ogni cosa si pone Dio dinanzi agli occhi suoi; e ciò che fa, fa col santo timore suo. Ella participa il sangue di Cristo crocifisso, perché ha scaricata la conscienzia sua con la santa confessione, e contrizione e pentimento della colpa, e con piena satisfazione: e così riceve la vita della grazia. Or quanta differenza è, carissima madre, tra quelli che in verità sperano in Dio e quelli che non vi sperano! Non vi si può ponere comparazione alcuna.

Perciò che diremo? Diremo che l'uno ha sommo diletto, e l'altro ha somma miseria.

Bene ci dobiamo levare con grande sollicitudine da ogni amore sensitivo, e passare il tempo nostro con una dolce memoria di Dio e del sangue sparto con tanto fuoco d'amore per noi; dimostrando nel prossimo nostro l'amore che abiamo a lui, con una carità fraterna, subvenendolo nelle sue neccessità. Dilettianci d'udire la parola di Dio, della vigilia, e della continua e umile orazione, amando ogni cosa per Dio, e non sanza lui: qui voglio che si ponga la sollicitudine vostra, affinché riceviate il sommo e eterno bene che v'è apparecchiato. Altro non vi dico, etc.

Gesù dolce, Gesù amore.





353. A madonna Catella, madonna Checcia vocata Planula e madonna Caterina Dentice, da Napoli.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissime suore e figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi gustare lo cibo angelico, poiché per altro non sete fatte; e a ciò che voi il poteste gustare, Dio vi ricomperò del sangue del suo Figlio (1P 1,18-19).

Ma pensate, carissime figlie, che questo cibo non si mangia in terra, cioè nell'affetto terreno, ma in alto; e però lo Figlio di Dio si levò in alto in su lo legno de la santissima croce, a ciò che in alto, in su la detta mensa, prendessimo questo cibo. Ma voi mi direte: «Quale è questo cibo angelico?». Rispondovi: è il desiderio che è nell'affetto dell'anima, lo quale desiderio trae a sé il desiderio di Dio; dei quali si fa una medesima cosa l'uno con l'altro. Questo è uno cibo che, mentre che siamo perregrini in questa vita, trae ad sé l'odore de le vere e reali virtù; le quali virtù sono cotte al fuoco de la divina carità, e mangiate in su la mensa de la santissima croce, cioè sostenendo pene e fatiche per amore de la virtù, recalcitrando a la propria sensualità: con forza e violenzia rapisce lo reame dell'anima, la quale è chiamata cielo, perché cela Dio per grazia dentro da sé.

Questo è quello cibo lo quale fa l'anima angelica, e però si chiama cibo angelico; e perch'è separata l'anima dal corpo, gusta Dio ne la essenzia sua. Egli la sazia tanto e per sì-fatto modo, che nessuna altra cosa ella non appetisce, né può desiderare, se non quello che più perfettamente l'abbi a conservare e acrescere questo cibo; e odia ciò che gli è contrario. Unde, come prudente, raguarda col lume de la santissima fede - lo quale lume sta ne l'occhio dell'intelletto - quello che l'è nocivo, e quello che l'è utile: e come ella ha veduto, così ama e spregia.

Dispregia la propria sensualità, tenendola legata sotto ai piedi dell'affetto, e tutti li vizii che procedono da essa sensualità. Ella fugge tutte le cagioni che la possono inchinare a vizio, o impedire la sua perfezione, unde ella anniega la propria voluntà - che l'è cagione d'ogni male - e sottomettela al giogo de la santaobbedienza dei comandamenti di Dio - a la qualeobbedienza tutti i fedeli cristiani sono obligati - e molte altre sono che corrono all’obbedienza dell'ordine santo: questa è maggiore perfezione. Unde, quando l'anima è vera obediente, ella si sogioga non tanto ai comandamenti di Dio - o la religiosa all'ordine suo -, ma ad ogni altra creatura per Dio. Ella fugge e taglia ogni piacere umano, e solo si gloria ne li obbrobrii e pene di Cristo Crocifisso: ingiurie, strazii, scherni e villanie le sono uno latte; dilettasi ne le ingiurie per conformarsi con lo Sposo suo. Ella renunzia a la conversazione de le creature, perché spesse volte ci sono mezzo tra noi e il Creatore nostro; fugge a la cella del cognoscimento di sé e a la cella attuale.

A questo v'invito, che sempre stiate in questa casa del cognoscimento di voi - dove noi troviamo lo cibo angelico dell'affetto del desiderio di Dio verso di noi -, e ne la cella attuale con la vigilia, e con l'umile fedele e continua orazione; spogliando lo cuore e l'affetto vostro d'ogni creatura e cosa creata, d'amore fuore di Dio; e vestirvi di Cristo Crocifisso perciò che in altro modo lo mangiareste in terra, e già vi dissi che in terra non si doveva mangiare. Pensate che lo Sposo dolce Gesù non vuole mezzo tra l'anima, che è sua sposa, e sé; ed è molto geloso: ché, subito che egli vedesse che noi amassimo cosa fuore di lui, egli si partirebbe da noi, e saremmo fatte degne di mangiare lo cibo de le bestie.

E non saremmo noi bene bestiali? perciò che il cibo degli animali sarebbe, se lassassimo lo Creatore per le creature e per le cose create; e il bene infinito per le cose finite e transitorie, che passano come il vento; la luce per le tenebre; la vita per la morte; quelli che ci veste di sole di giustizia col fibiale de laobbedienza, e con le margarite de la fede speranza e perfetta carità, per quello che ce ne spoglia. E non saremmo noi bene stolte a partirci da quello che ci dà perfetta purezza - in tanto che, quanto più ci acostiamo a lui, tanto più diventiamo pure -, per quelli che gittano puzza di immondizia, contaminatori dei cuori e de le menti nostre? Dio lo cessi da noi per la sua infinita misericordia.

E affinché questo non possa mai intervenire, guardianci da le perverse conversazioni di quelle persone che sceleratamente menano la vita loro, e stiamo tutte sode e mature in noi medesime, sovenendo caritativamente a la necessità dei nostri prossimi con grande diligenzia; e così mostraremo di portare nel cuore Cristo Crocifisso. Dico che l'anima che ha assaggiato lo cibo angelico, ha veduto col lume che l'amore e la conversazione de le creature fuore del Creatore è uno mezzo che impedisce lo cibo suo; e però le fugge con grandissima sollicitudine, e ama e cerca quello che l'acresca e conservi ne la virtù. E perché ha veduto che meglio gusta questo cibo col mezzo dell'orazione fatta nel cognoscimento di sé, però vi si essercita continuamente, e in tutti quelli modi che più si possa acostare a Dio.

In tre modi si fa l'orazione: l'una è continua, cioè il continuo santo desiderio - il quale desiderio òra nel conspetto di Dio in ciò che fa la creatura -, perché questo desiderio dirizza nel suo onore tutte le nostre opere spirituali e temporali: e però si chiama continua. Di questa pare che parli lo glorioso santo Paulo, quando dice: «Orate senza intermissione». (1Th 5,17) L'altro modo è orazione vocale, cioè che parlando con la lingua si dice offizio o altra orazione vocale, e questa è ordinata per giugnere a la mentale; e così vi giogne l'anima quando con prudenzia e umilità essercita la mente nell'orazione vocale: cioè che parlando con la lingua lo cuore suo non sia dilonga da Dio, ma debbasi ingegnare di fermare e stabilire lo cuore ne l'affetto de la divina carità. E quando sentisse la mente sua essere visitata da Dio, cioè che fusse tratta in alcuno modo a pensare del suo Creatore, debba abbandonare la vocale, e fermare la mente sua con affetto d'amore in quello che sente che Dio la visita; e poi se, cessato quello, ella ha tempo, debba ripigliare la vocale, a ciò che la mente stia piena e non vòta.

E perché ne l'orazione abondassero le molte battaglie in diversi modi e tenebre di mente - con molta confusione, facendoci lo demonio vedere che la nostra orazione non fusse piacevole a Dio per le molte battaglie e tenebre che avessimo -, non doviamo lasciare però, ma stare ferme, con fortezza e lunga perseveranza, raguardando che il demonio lo fa perché noi ci partiamo da la madre de l'orazione; e Dio il permette per provare in noi la fortezza e constanzia nostra, e a ciò che ne le battaglie e tenebre cognosciamo noi non essere, e ne la buona volontà cognosciamo la bontà di Dio: poiché esso è donatore e conservatore de le buone e sante voluntà, e non è dinegata a chiunque la vuole.

E per questo modo giogne a la terza e ultima orazione mentale, ne la quale riceve il frutto de la fatica che sostenne nell'orazione imperfetta vocale. Ella gusta lo latte de la fedele orazione; ella leva sé sopra il sentimento grosso sensitivo, e con mente angelica s'unisce per affetto d'amore con Dio; e col lume dell'intelletto vede, conosce e vestesi de la verità. Ella è fatta sorella degli angeli; ella sta con lo Sposo suo in su la mensa del crociato desiderio, dilettandosi di cercare l'onore di Dio e la salute de l'anime, perché vede bene che per questo lo sposo eterno corse a la obbrobriosa morte de la croce, e così compì l'obedienzia del Padre e la nostra salute.

Drittamente questa orazione è una madre che ne la carità di Dio concepe i figli de le virtù, e ne la carità del prossimo le parturisce. Ove trovate voi lo lume che vi guida ne la via de la verità? nell'orazione.

Dove manifestate l'amore, la fede, la speranza e l'umilità? nell'orazione (ché se voi non amaste non vi curereste d'andare a quello che voi non amate; ma perché la creatura ama, però si vuole unire con quella cosa che ama, col mezzo dell'orazione. A lui dimanda la sua necessità perché conoscendo sé - nel quale cognoscimento è fondata la vera orazione - vedesi avere grande bisogno, sentendosi atorniata da' suoi nemici: dal mondo con le ingiurie, dal demonio con le molte tentazioni, e da la carne che combatte contro lo spirito ribellando a la ragione. E sé vede non essere per sé; non essendo, non si può curare e però con fede corre a colui che è (Ex 3,14), lo quale può sa e vuole subvenirla in ogni sua necessità; e con speranza chiede e aspetta l'aiuto suo. Così vuole essere fatta l'orazione, a volerne avere quello che noi n'aspettiamo; e a questo modo non sarà mai dinegata cosa giusta che noi domandiamo de la divina bontà.

Facendola in altro modo, poco frutto ne trarreste).

Dove sentiremo l'odore de l'obedienzia? nell'orazione. Dove ci spogliaremo dell'amore proprio, che ci fa impazienti nel tempo de le ingiurie o d'altre pene, e vestirenci d'uno divino amore che ci farà pazienti, e gloriarenci ne la croce di Cristo Crocifisso? nell'orazione. Dove sentiremo l'odore de la continenzia e de la purezza, e la fame del martirio, disponendoci a dare la vita in onore di Dio e salute delle anime? in questa dolce madre dell'orazione. Ella ci farà osservatrici dei santi comandamenti di Dio, e suggellaracci i suoi consigli nel cuore e ne la mente nostra, lassandovi la impronta del desiderio di seguitarli infine a la morte.

Ella ci leva da le conversazioni de le creature, e dacci la conversazione del Creatore; ella empie il vasello del cuore del sangue de l'umile e immacolato Agnello, e ricuoprelo di fuoco, perché per fuoco d'amore fu sparto.

Più e meno perfettamente riceve l'anima e gusta questa madre dell'orazione, secondo che ella si nutre del cibo angelico, cioè del santo desiderio di Dio, levandosi in alto - come detto è - a prenderlo in su la mensa de la dolcissima croce; altrimenti, no. E però vi dissi che io desideravo di vedervi nutrere del cibo angelico, poiché in altro modo non potreste avere la vita de la grazia, né essere vere serve di Cristo Crocifisso. Altro non vi dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.

Ricevetti una vostra lettera, la quale udii e intesi con allegrezza, sì perché volontà avevo di sapere novelle di voi, e sì per le buone novelle che in poche parole vi si contengono, dell'avenimento de la luce sopra cotesta terra: perché il cuore di Faraone è spezzato, cioè de la regina che tanta durezza ha mostrata infine a ora, essendosi partita dal capo suo, Cristo in terra, - e accostatasi ad Antecristo, membro del demonio, ha perseguitata la verità, ed essaltata la bugia -.

Grazia, grazia sia al nostro dolce Salvatore, che ha illuminato il cuore suo o per forza o per amore che sia, e ha mostrato in lei l'amirabili cose sue. Or godiamo ed essultiamo con allegrezza cordiale e con uno santo essercizio, come detto aviamo, sempre purificando la conscienzia nostra con la confessione spesso, e la comunione per ogni pasqua solenne; a ciò che, confortate in questa via de la perregrinazione, voi corriate virilmente a la mensa de la croce, per la dottrina de l'umile Agnello, a prendere lo cibo angelico e suave, e relucano in voi le stimate di Cristo Crocifisso. Bagnatevi nel prezioso sangue suo. Strettamente mi vi racomando. Gesù dolce, Gesù amore.





354. A madonna Pentella Maii da Napoli la quale perché lo suo marito la trattava male per cagione d'una sua schiava, era molto tribolata e desiderava la morte d'ambedue.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima sorella in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uno vero e perfettissimo lume, col quale lume cognosciate la verità - poiché, conoscendola, l'amarete -, e a ciò che vediate la via per la quale vi conviene tenere.

Or vediamo quale è questa via e questa verità, e per che modo la possiamo seguire, e perché la doviamo seguire: Cristo Crocifisso è nostra via, e è essa verità, e è vita. Così disse egli: «Io sono via verità e vita» (Jn 14,6); e chi tiene questa via, cioè chi segue la dottrina e le vestigie sue, tiene per la via de la verità: e chi tiene per la via de la verità, riceve in sé la vita de la grazia. Che modo debba tenere l'anima ad andare per questa via? Quello modo che tenne colui che ha fatta la via. Che modo tenne egli? Lo modo fu questo: che col lume - lo quale era esso - si specolò ne la volontà del Padre eterno, la quale volontà voleva - per nostra santificazione - manifestare l'eterna verità sua.

La quale verità fu questa: che egli aveva creato l'uomo per dargli vita eterna, a ciò che godesse lo suo sommo ed eterno bene; ma per la colpa commessa non si compiva questa verità in noi, unde era bisogno che, per compirla, la colpa si purgasse. E però Dio vuole insiememente purgare la colpa e compire la sua verità nell’uomo; e perciò questa verità detta costrinse il Padre eterno: e per l'amore ineffabile che egli ebbe a noi, e a la verità sua, ci donò la verità del Verbo del suo Figlio, e vestillo de l'umanità nostra, a ciò che in essa, col sostenere, fusse satisfatto a le nostre colpe; e satisfacendo a la colpa si compisse la sua verità in noi. Unde, ricevendo il Verbo dolce del Figlio di Dio la grandeobbedienza del Padre, corse, come inamorato, a la obbrobriosa morte de la santissima croce; e compiendo l'obedienzia compì la verità: cioè, che fummo restituiti a grazia quanto da la parte sua, se noi da la nostra non ricalcitriamo con le miserie e defetti nostri.

E conoscendo questo dolce Verbo che senza il sostenere non si poteva renderci la vita, inamorossi de le pene, saziossi d'obbrobrii, vestissi de le ingiurie, fame, sete, scherni e villanie, pentimento del vizio - e tanto gli dispiace che, non essendo in lui veleno di peccato, egli lo punisce sopra il corpo suo -, e l'amore de le virtù, in tanto che nel sangue suo le maturò e, come albero di vita, ci produsse questi frutti de le virtù, poiché - doppo la redenzione che ricevemmo nel sangue - i frutti de le virtù ci sono tutti valuti a vita eterna. Che ha cercato questo dolce Verbo, e di che s'è doluto? HA cercato l'onore del Padre e la salute nostra; e dolutosi più dell'offesa, e del danno che seguitò doppo la colpa, che de la pena sua. Unde noi aviamo che più si dolse de la dannazione di Juda che del tradimento che egli gli fece. Questa è quella dolce via la quale egli ci ha insegnata, e per la quale doviamo tenere.

E se voi mi diceste: «Egli era vero Figlio di Dio, e però poteva portare, ma io sono fragile e non posso», or raguardate i santi che l'hanno seguitato, i quali ebbero questa legge fragile perché furono concepiti e nati e nutreti di quello medesimo cibo che noi; e nondimeno nell'aiutorio divino l'hanno seguitato realmente. Lo quale aiutorio è così per noi come per loro: sì che, volendo, noi possiamo. Ma perché non ci pare potere e nol facciamo? per la cecità nostra: perché non cognosciamo, né ci diamo in verità a conoscere nella dottrina sua l'eterna verità - come detto è -, perché noi non vogliamo. Che se noi volessimo con vero pentimento e odio del vizio, e amore de la virtù, ricalcitraremmo a la propria sensualità, e non cercaremmo di satisfarle con una tenerezza e compassione femminile; ma levaremmoci con uno odio santo, annegandoci dentro la propria volontà, e abracciaremmo la croce con uno crociato e santo desiderio. E tanto goderemmo quanto ci vedessimo conculcare dal mondo, e il vederci sostenere senza colpa sarebbe la gloria nostra. E questo è uno dei più singularissimi segni che si possa vedere, nel servo di Dio, se egli è illuminato in conoscere e amare questa verità, o no.

Oh vita dolce, quanto sei dolce all'anima che t'assaggia, la quale ha perduta e annegata sé medesima! Questo cognoscimento la fa corrire, morta a ogni propria volontà; essendo morta, non ha chi le faccia guerra, perciò che solo la volontà è quella che dà guerra e amaritudine, non le tribulazioni né le persecuzioni del mondo; anco sono lo diletto e la consolazione del vero servo di Dio. E tanto ha bene quanto si vede patire; e più, che se egli vede che il mondo gli abbi alcuna reverenzia o buona oppinione, egli si contrista, temendo che in questa vita Dio nol voglia remunerare di quello poco del bene che fa, e perché si vorrebbe conformare con Cristo Crocifisso e seguire le vestigie sue. Egli non si duole di colui che gli fa ingiuria, né vorrebbe che colui che il fa patire fusse tolto dinanzi da lui; ma bene si duole dell'offesa di Dio, e del danno dell'anima del prossimo suo, unde non cessa di tenerlo nel conspetto di Dio, con grande desiderio offerendo umili, continue e fedeli orazioni. Questo perché fa? Perché nel lume e ne la dottrina di Cristo è cognosciuta la verità, e perché con esso lume ha veduto che di debito lo debba fare.

Unde l'anima debba rispondere al demonio e a la propria fragilità - quando vogliono combattere contro la ragione e a la virtù per tutti quanti i modi -: «Io non debbo consentire a voi, ma debbo servire al mio Creatore con tutto il cuore e con tutto l'affetto e con tutte le forze mie; lo quale servire debbo dimostrare col sostenere». - Perché fai questo? «Perché m'è debito e comandamento al quale io sono tenuto e obligato d'obedire; e oltre al comandamento ne sono tenuto di grazia, cioè che per grazia ho ricevuto l'essere e ogni grazia posta sopra l'essere. Unde, se mai non mi fusse comandato, per le grazie ricevute io sono tenuto di farlo: e però non voglio essere villana né ingrata di tanti beneficii, ma voglio rendere quello che non è mio - poiché io lavoro con quello del mio Creatore -, e con questo rendo e non dono veruna cosa a Dio, ma rendoli di quello che io gli sono obligato».

Oh quanto è degno di supplicio lo servo mercennaio, che attende di togliere quello che non è suo! Molto sono ripresi nel conspetto di Dio e ne la conscienzia loro questi cotali: essi debbono dare l'onore a lui, ed essi lo danno a loro medesimi. Perché è degno di tanto supplicio e reprensione? Perché è tenuto di servire coraggiosamente, senza rispetto di propria consolazione o di diletto da lui, o da la creatura per lui; e perché è tenuto di rendere gloria e loda al nome suo, perciò che con servigio mercennaio non glili potrebbe rendere per quello modo che egli è obligato. Poniamo che Dio ne la traesse egli da la parte sua, ma da la parte nostra non sarebe così, né compirebbesi in noi quella eterna verità che ci creò, e recreocci a grazia nel sangue per darci vita eterna.

E però l'anima, la quale con lume raguarda questo debito che le conviene rendere, e anco la grazia - perché di grazia si vede essere amata da Dio, e tutte le grazie che ha ricevute, spirituali e temporali, tutte le vede fatte in questa medesima forma e in uno medesimo modo -, si sente constretta a rispondere a Dio, e a non partirsi da quelli modi che trova in lui, e di non lasciare le forme de le vestigie di Cristo Crocifisso.

Vero è che d'amore di grazia non possiamo rendere a lui, poiché esso ci amò prima che noi fussimo: sì che ne siamo tenuti, come detto è. E però l'anima, avendolo veduto col lume, si vòlle a quello mezzo che Dio ha posto con che si renda, cioè il prossimo suo: ella glili rende schietto, in tanto che per fatica che truovi in lui, né per rimproverio o ingratitudine che ricevesse da lui de li servizii che essa gli avesse fatti, non allenta mai, perché il lume l'ha fatta constante e perseverante; imparando da l'umile Agnello, lo quale né per pena, né per detto dei Judei i quali dicevano: «Discende de la croce, e credarenti» (Mt 27,42 Mc 15,32), né per nostra ingratitudine non si ritrasse, ma constante e perseverante, infine all'ultimo che egli ebbe rimessa la sposa che gli fu data, de l'umana generazione, nelle mani del Padre eterno.

E così ella col lume conculca ogni malizia e inganno del demonio, quando in questo con molti colori la volesse ingannare. Ella non vuole scendere de la croce del cruciato santo desiderio per detto dei Judei, cioè per le demonia che la vogliono fare scendere di questa croce, per molti e per diversi modi: alcune volte con colore di non offendere Dio; alcune volte per fare riconoscere il prossimo suo, lo quale trova ingrato, unde a lei è colorato col colore de la giustizia. Alcune volte vuole gittare a terra questa croce con desiderare la morte del prossimo suo, sotto colore d'avere più pace e più quiete ne la mente sua; e con tanta ragione glili fa vedere lo demonio - e sì le incarna questo pazzo e stolto desiderio -, che neuno è che le il possa togliere, perché la cecità sua, e il demonio de la propria sensualità, e lo sdegno e il dispiacere che ha preso inverso di lui, non la lassano vedere né conoscere che ella si scorda da la volontà di Dio, lo quale non vuole la morte del peccatore, ma vuole che esso si converta e viva (Ez 33,11). E però ne la creatura ci conviene desiderare la vita spirituale e corporale, cioè per vederlo vivere in grazia; dandoli Dio tempo perché si corregga a ciò che non muoia in tenebre di peccato mortale. Questo è quello desiderio santo che hanno quelli che con lume hanno raguardato lo debito, lo quale lo' conviene rendere al prossimo rendendo a lui, di grazia, quello che a Dio non possono rendere, cioè d'amare lui, poniamo che mai egli non l'amasse.

E con questo medesimo lume ha conculcata la schiava de la propria sensualità; e però non si duole se non solo dell'offesa di Dio, quando alcuna creatura, o vuoli sposo che non la trattasse come donna ma come serva, né il figlio la trattasse come madre, o la schiava come donna, o qualunque altra persona fusse che la volesse signoreggiare; ma tutto porta con reverenzia, e con perfettissima pazienza la ingiuria sua, ma dell'offesa di Dio si duole, pregando umilemente per loro, non che lo' dia la morte, ma dia loro vero lume. Questo è il santo e vero desiderio dell'anima alluminata.

E perché i mi pare, carissima sorella, che di questo così-fatto lume avesseate bisogno - secondo il caso e lo stato vostro -, dissi che io desideravo di vedere in voi uno vero e perfettissimo lume, a ciò che in verità conosceste la via che vi conviene tenere, e come e perché; e a ciò che voi cognosciate lo inganno e la malizia del demonio, nel quale allaccia l'anima vostra col semplice e stolto desiderio - desiderando con instanzia la morte di veruna creatura -: e pare che sia sì fermo, che mostra che nullo ve ne possa levare.

Questo non è costume di serva di Dio, ma dei servi del mondo e del demonio. Non so che veruna virtù si possa barbicare in quella anima: potrà bene avere l'atto de la virtù, ma virtù no, perché in questo stolto desiderio si mostrano molti mali.

Manifestasi il veleno de la superbia con la propria reputazione, ché, se ella non vi fusse, credarebbe più altrui che a sé; e mostrasi una inreverenzia e infedelità verso il padre spirituale, poiché se ella fusse fedele s'atterrebbe al consiglio suo, lo quale le mostra che questo così-fatto desiderio non è secondo Dio - e così è la verità, poiché egli è dal demonio, e da la propria passione sensitiva -. E anco dimostra che l'amore inverso Dio e verso lo prossimo è posto per propria utilità e diletto, sì come l'avaro che ama la pecunia. Nutrecisi una impazienzia con uno maladetto sdegno e schifezza d'animo, la quale schifezza si debba avere de la colpa e non de la propria persona. Oh quante sono le mormorazioni, li giudicii e le bastemmie, e tanti altri mali, che a pena si potessero contiare! Perciò, carissima sorella, levianci da questa cecità, e vogliamo seguire Dio in verità, amarlo in tutto e non a mezzo. A volerlo tutto, vel conviene amare coraggiosamente, come detto è, senza veruno rispetto di voi; seguitarlo per la via de la croce non scegliendo d'essere cruciata a vostro modo, ma a suo; amare il prossimo vostro come voi medesima (Mt 22,39 Mc 12,21 Lc 27), desiderando di vedere in lui quello che volete vedere in voi; offrire lacrime, umili e continue orazioni per lui; e col lume de la fede credere in verità che ciò che Dio dà e permette, dà per la vostra salute; con vera umilità e pazienza portare, reputandovi degna de le pene e indegna del frutto che segue doppo la pena.

Or mirate quanto sete bene savia! Non vi fa peggio la schiava de la vostra umanità e lo sposo del libero arbitrio, lo quale voluntariamente consente a questa schiava, e con essa conculca e avilisce la ragione, che è la donna? Certo sì. Perciò dovete odiare più questo che è dentro da voi, che la schiava e il marito, che sono fuore di voi, poiché questi percuotono la corteccia del corpo con ingiurie e pene, ma quelli percuotono l'anima, e l'anima è molto più nobile che non il corpo; anco, ogni nobilità che ha il corpo, l'ha mediante l'anima, e l'anima l'ha da Dio.

Perciò dovete con sollicitudine attendere per suo onore a subvenire a quella parte che è più nobile, rivoltando tutto l'odio a voi medesima; e sia odio mortale, cioè che sempre desideriate la morte de la propria vostra perversa voluntà, e che solo viva in voi l'eterna voluntà di Dio. Bagnatevi nel sangue di Cristo Crocifisso, e fate che quello che è stato infine a ora non sia più. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





355. A madonna Orietta Scotta, a la Croce di Canneto in Genova.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre e figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondata in vera e perfetta pazienza; la quale pazienza dimostra se in verità amiamo il nostro Creatore o no, perché ella è il midollo de la carità: ché carità non è senza pazienza, né pazienza senza carità.

Ella è una virtù tanto piacevole e necessaria a la nostra salute che senza essa non possiamo essere piacevoli a Dio, né ricevere il frutto de le nostre fatiche, le quali Dio ci permette per la nostra salute: anco, gustaremmo la caparra de l’inferno in questa vita. Questa virtù dimostra lo lume che è ne l'anima che la possiede; cioè dimostra che l'anima, col lume de la santissima fede, ha veduto e cognosciuto che Dio non vuole altro che il suo bene: e ciò che esso dà e permette a noi in questa vita, dà per nostra santificazione. E però l'anima che ha cognosciuto questo, subito è paziente, quasi dicendo a sé medesima, quando la propria sensualità si volesse levare per impazienzia: «E vuoli tu dolerti del tuo bene? Non te ne puoi né debbi dolere, ma debbi portare realmente, per gloria e loda del nome di Dio».

La pazienza germina una dolcezza nel mezzo del cuore; ella è forte, che caccia da sé ogni impazienzia; è longa e perseverante, che per veruna fatica volta il capo adietro a mirare l'arato (Lc 9,62), ma sempre va innanzi, seguitando l'umile Agnello: che tanta fu la sua pazienza e mansuetudine, che il grido suo non fu udito per veruna mormorazione. Ella si conforma con Cristo crocifisso, perché si veste de la dottrina sua; satollasi d'obrobrii. Ella signoregia l'ira, conculcandola con mansuetudine; ella non si stanca per veruna fatica, perché ella è unita con la carità; ella non tolle le cose altrui, ma dà largamente: non è veruna cosa che ella abbi tanto cara che ella non dia, privandone sé con buona pazienza. Come ebbra del sangue di Cristo crocifisso perde sé medesima; e quanto più si perde, più si trova unita e conformata ne la dolce volontà di Dio, spregiando il mondo con tutte le sue delizie, dilettandosi di tenere per la via de la viltà, abbracciando la povertà volontaria per santo e vero desiderio.

O carissima madre e figlia, ora è il tempo d'abbracciare questa vera e reale virtù. Vedete che il mondo perseguita quegli che sonno amatori de la verità, con molte ingiurie e rimproveri. A noi conviene essere paziente de le ingiurie e fatiche proprie, ma de l'altrui doviamo avere compassione grande, ed essere impazienti verso il vizio di colui che offende. Carissima madre e figlia, se mai fu tempo di compassione e d'amaritudine per l'offese di Dio, sì è oggi, in tanta tenebre e amaritudine vediamo posto lo mondo, solo per la nuvola de l'amore proprio di noi medesimi che ha avelenato e corrotto il mondo. Chi avarà pazienza, ha perfetta carità; avendo perfetta carità, si duole e debba dolere più di questi mali che vede, che de le pene o tribolazioni sue.

Oimé che è a vedere, che gli occhi nostri veggono contaminata la fede nostra! Essendo cristiani segnati del segno di Cristo, con le tenebre de la eresia perdono il sangue di Cristo: bene ci debba dolere, e con questo dolore cacciare ogni altro dolore. Io v'invito a portare con vera pazienza, e offrire voi medesima dinanzi da Dio con umile continua e fedele orazione. Non dormiamo più, ma destianci dal sonno de la negligenzia, ché tempo è di surgere: date tutta voi medesima, spogliando tutto il cuore e l'affetto vostro.

Attaccatevi a l'albero de la vita, a l'umile e immacolato Agnello, dove trovarete la virtù de la pazienza e ogni altra virtù: ché elle sonno tutte maturate e innaffiate col sangue. Oh quanto sarà beata l'anima, che con forza e col molto sostenere si trovarà vestita de le virtù! La lingua nol poterebbe mai narrare; ma provàtelo.

Anegatevi nel sangue di Cristo crocifisso, nel quale sangue ogni cosa amara diventa dolce, e ogni grande peso leggiero. Lo sangue c'insegna da amministrare la substanzia temporale: sì come ha fatto e fa continuamente in voi facendovi, dei povari e di coloro che hanno necessità, signori. Ora ministrate in questo prezioso sangue la propria vostra volontà: fatene sacrificio a Dio. Lo quale, sacrificio avendolo fatto, il mostrarete con la virtù de la pazienza. In altro modo mostrare nol potreste, e però vi dissi ch'io desideravo di vedervi fondata in vera e perfetta pazienza. Confortatevi in Cristo dolce Gesù. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Benedite etc. A tutte ci racomandate; e fate fare speciale orazione per la santa Chiesa e per Cristo in terra. Gesù dolce, Gesù amore.



356. A tre donne vedove spirituali di Napoli.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime madre e suore in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondate in vera e perfetta carità, affinché siate vere nutrici e governatrici delle anime vostre. Impoiché mai non potremmo nutrere altrui se prima non nutressimo l'anima nostra di vere e reali virtù; e di virtù non si può nutrere, se prima non s'attacca al petto della divina carità, del quale petto si trae il latte della divina dolcezza.

A voi, carissime suore, conviene fare come fa il fanciullo che, volendo prendere il latte, prende la mammella della madre e mettesela in bocca, unde col mezzo della carne trae a sé il latte. E così doviamo fare noi, se voliamo nutrere l'anima nostra, e dovianci attaccare al petto di Cristo crocifisso, in cui si trova la madre della carità; e col mezzo della carne sua traremo a noi il latte che nutre l'anima nostra e i figli delle virtù, cioè per mezzo de l'umanità di Cristo, poiché in essa umanità fu sostenuta e cadde la pena, ma non nella deità.

E noi non potremmo nutrerci di questo latte che traiamo dalla madre della carità, sanza pena. E differenti sono le pene: spesse volte sono pene di grandi battaglie o dal demonio o dalle creature, con molte persecuzioni, infamie, strazii e rimproverii. Queste sono pene in loro, ma non sono pene all'anima che s'è posta a nutrere a questo dolce e glorioso petto unde ha tratto l'amore - vedendo in Cristo crocifisso l'amore ineffabile che Dio ci ha mostrato col mezzo di questo dolce e amoroso Verbo -; e da questo amore ha tratto l'odio della propria colpa e della legge perversa sua, che sempre combatte contro lo spirito (Rm 7,23).

Ma sopra l'altre pene che porti l'anima che è venuta a fame e desiderio di Dio, sono i crociati e amorosi desiderii che ha per la salute di tutto quanto il mondo, poiché la carità fa questo: che ella s'inferma con quelli che sono infermi e fassi sana con quelli che sono sani; ella piagne con quegli che piangono e gode con coloro che godono, cioè che piagne con coloro che sono nel tempo del pianto del peccato mortale, e gode con coloro che godono nello stato della grazia. Allora ha l'anima presa la carne di Cristo crocifisso, portando con pene la croce con lui: non pena affligitiva che disecchi l'anima, ma pena che la ingrassa, dilettandosi di seguire le vestigie di Cristo crocifisso: e allora gusta il latte della divina dolcezza. E con che l'ha preso? Con la bocca del santo desiderio, in tanto che, se possibile le fosse d'avere questo latte senza pena, e con esso dare vita alle virtù - le quali virtù hanno vita dal latte della affocata carità -, non vorrebbe, ma più tosto sceglie di volerlo con pena per l'amore di Cristo crocifisso; poiché non le pare che sotto lo capo spinato debbano stare membri dilicati, ma più tosto portare la spina con lui insieme, non scegliendo punture a suo modo, ma a modo del capo suo. E facendo così, non porta; ma il capo suo, Cristo crocifisso, n'è fatto portatore.

Oh quanto è dolce questa dolce madre della carità, la quale non cerca le sue cose (1Co 13,5), cioè che non cerca sé per sé, ma sé per Dio; e ciò che ella ama e desidera, ama e desidera in lui, e fuori di lui nulla vuole possedere. In ogni stato che ella è, spende il tempo suo secondo la voluntà di Dio: se ella è secolare, ella vuole essere perfetta nello stato suo; se ella è religiosa suddita, ella è perfetta angela terresta in questa vita, e non appetisce né pone l'amore suo nel secolo, né nelle ricchezze volendo possedere in particulare, perché vede che ella farebbe contro al voto della povertà voluntaria. Sì che, in qualunque stato l'anima è, e in stato vedovile e in ogni modo, avendo in sé questa dolce madre della carità, nutrendosi al petto di Cristo crocifisso, ella gusta questo dolce e soave latte con ardente desiderio e con perfetto lume, perché s'ha tolta le tenebre del perverso e miserabile amore proprio di sé. Ora è il tempo da perdere sé, di non cercare sé né il prossimo per sé, ma per Dio, e Dio dolce in quanto egli è somma bontà, degno d'essere amato e cercato da noi; in lui dobiamo conoscere la verità, e annunziarla, e fortificarla nei cuori delle creature che hanno in loro ragione, sanza timore servile.

Ora è il tempo del bisogno che voi e gli altri servi di Dio vi disponiate a sostenere per la verità, e che l'amore, il quale avete trovato al petto di Cristo crocifisso, voi il manifestiate sopra al prossimo vostro, portandolo per affetto d'amore con compassione, nel conspetto di Dio con lacrime, vigilie, e umili e continue orazioni. Non dobiamo terminare la vita nostra altro che in pianto e in amaritudine, per vedere levate tante tenebre da coloro che debono dare luce nel corpo mistico della santa Chiesa. Dissolvasi la vita nostra; diamo agli occhi nostri fiume di lacrime; mugghi lo desiderio sopra questi morti, affinché si partano dalla morte e giunghino alla vita.

Or che è questo a vedere, che quegli che hanno eletto Cristo in terra, papa Urbano VI, con tanto ordine, ora per l'amore proprio, e miserabile vita loro, dicano che non è papa? Guardate, carissime sorella che voi non cadeste in tanta ignoranza né in tanta cecità che voi credeste a questi iniqui e malvagi uomini, non degni d'essere chiamati uomini, ma più tosto dimoni incarnati; ma ferme e stabili - non seguitando la natura della femina che si vòlle come la foglia al vento -, ma virili e constanti confessate e tenete che così è la verità, che papa Urbano VI è veramente papa, vicario di Cristo in terra. E se voi teneste il contrario, sareste riprovate da Dio, partirestevi dalla verità e seguitereste la bugia e il demonio che è padre delle bugie (Jn 8,44).

Ho grande desiderio di ritrovarmi con voi, perché, poi che frate Roberto mi contò di voi e teneramente vi raccomandò a me, miserabile piena di difetto, vi concepei amore. E però mi mossi a scrivervi toccandovi alcuna cosa di questa materia, affinché non andiate vacillando con la mente vostra, ma perché voi vi fermiate in questa verità. Forse che Dio adempirà i nostri desideri di ritrovarci insieme: allora più largo e lungamente ne potremo parlare. Bastivi questo, che se volete nutrervi a questo glorioso petto - sì come nel principio io vi dissi che io desiderava di vedervi -, e se volete gustare il latte della divina dolcezza dell'affocata carità di Cristo in cielo, vi conviene tenere affermativamente che papa Urbano VI è veramente Cristo in terra, vero e sommo pontefice, e veruno altro no, mentre che questo vive; e chi tenesse il contrario sta in stato di dannazione, come ribelle alla santa Chiesa e all’obbedienza di Cristo in terra.

Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

OFFLINE
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19/10/2012 19:32

351. A papa Urbano VI a dì 30 di magio 1379, in Roma, tornato a Santo Piero.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Padre santissimo, lo Spirito santo obumbri l'anima e il cuore e l'affetto vostro del fuoco della divina carità, e infonda uno lume sopra naturale nell’intelletto vostro per sì-fatto modo che nel lume vostro noi pecorelle vediamo lume, e che neuno inganno che il demonio vi volesse fare con le malizie sue possa essere occulto a la Santità vostra.

Desidero, padre santissimo, di vedere compire in voi tutte l'altre cose che la dolce volontà di Dio vi richiede, delle quali so che avete grandissimo desiderio. Spero che questo dolce fuoco dello Spirito santo adoperarà nel cuore e nell'anima vostra, sì come fece in quegli discepoli santi - che lo' dié fortezza e potenza contro i dimonii visibili e contro gl'invisibili: nella virtù sua atterravano i tiranni del mondo, e nel sostenere dilatavano la fede -: dié loro uno lume con una sapienza in conoscere la verità e la dottrina che essa Verità avea lasciata. Unde l'affetto, che va dietro a l'intelletto, gli vestì del fuoco della sua carità, intanto che perderono ogni timore servile e piacere umano, e solo attendevano a l'onore di Dio, e a trare l'anime delle mani deli demoni: e di quella verità che si trovavano illuminati, volevano porgere a ogni creatura. Ma doppo la molta vigilia, umile e continua orazione, e molta fatica mentale che essi ebbono questi dieci dì, furono ripieni di questa fortezza dello Spirito santo, sì che innanzi andò la fatica e l'essercizio santo.

O padre santissimo, pare che c'insegnino, e ogi confortino la Santità vostra; e pare che ci diano la dottrina in che modo possiamo ricevere lo Spirito santo. Per che modo? Che noi stiamo nella casa del cognoscimento di noi, nel quale cognoscimento l'anima sta sempre umile, che nella allegrezza non disordina, né nella tristizia viene a impazienzia: ma tutto è matura e paziente in questo cognoscimento, perché ha conceputo odio alla propria sensualità. In questa casa sta in vigilia e continua orazione, perché lo intelletto nostro debba veghiare in conoscere la verità della dolce volontà di Dio; e non dorme nel sonno de l'amore proprio. Allora riceve la continua orazione, cioè il santo e vero desiderio, col quale desiderio essercitiamo la virtù, che è uno continuo orare; unde non cessa d'orare chi non cessa di ben adoperare. Per questo modo riceviamo questa dolce fortezza; Perciò seguiamo questo dolce modo con vera e santa sollicitudine, giusta il nostro potere. Dico che essi confortano voi vero e sommo pontefice, mostrandovi la virtù divina con aiuto suo, ché non con forza umana conquistarono tutto lo mondo e tolsero le tenebre della infedelità, ma nella fortezza, sapienza e carità di Dio, la quale non è infermata per voi né per veruna creatura che si confidi in lui.

Perciò, bene è vero che in questa fortezza vi confortano in questa necessità della Sposa vostra; e non tanto per fede ci sete confortato, ma per opera: perché già quattro semane singularmente aviamo veduto che la virtù di Dio ha operate mirabili cose fatte per mezzo di vili creature, affinché vediamo manifestamente che egli è colui che adopera, e non la potenza umana. Perciò a lui ne rendiamo la gloria, e siamoli grati e conoscenti. Godo, padre santissimo, d'allegrezza cordiale ché gli occhi miei hanno veduto compire la volontà di Dio in voi, cioè in quello atto umile, non usato già grandissimi tempi, della santa processione. Oh quanto è stato piacevole a Dio, e spiacevole ali demoni, in tanto che si sforzarono di darvi scandalo dentro e di fuore, ma la natura angelica raffrenava la furia deli demoni.

Ora dissi ch'io desideravo di vedere compita in voi questa volontà dolce di Dio in ogni altra cosa; e però vi ramento che la verità vuole che diate pensiero e sollicitudine in dirizare e ordinare la Chiesa di Dio l'uno dì doppo l'altro, secondo che v'è possibile, nel tempo che voi avete. Ed egli sarà colui che adoperarà per voi: daravi fortezza a poterlo fare; e lume a conoscere quello che è necessario, con sapienza e prudenzia, a dirizzare la navicella sua; e la volontà a volerlo fare, la quale già v'ha data, ma cresciaralla per la sua infinita misericordia. In questa virtù sconfiggiarete i tiranni, levarete le tenebre de l'eresia, perché esso medesimo dichiara e dichiararà questa verità.

Godo che questa dolce madre Maria, e Pietro dolce, principe degli apostoli, v'ha rimesso nel luogo vostro.

Ora vuole la eterna verità che nel giardino vostro facciate uno giardino di servi di Dio; e ine ve gli nutrichiate della substanzia temporale, ed essi voi delle spirituali, che non abbiano a fare altro che gridare nel conspetto di Dio per lo buono stato della santa Chiesa, e per la Santità vostra. Questi saranno quelli soldati che vi daranno perfetta vittoria; e non tanto sopra i malvagi cristiani, i quali sonno membri tagliati dalla santaobbedienza, ma sopra gl'infedeli, dei quali ho grandissimo desiderio di vedere rizzato il gonfalone della croce santa sopra di loro, e già pare che ci vengano ad invitare. Quello sarà allora doppio diletto. Or cresciamo, e notrichianci nelle vere e reali virtù; entriamo nella casa del cognoscimento di noi, a ciò che nel modo detto riceviamo la plenitudine dello Spirito santo.

Confortatevi, padre mio santissimo, ché Dio vi darà rifregerio: doppo la grande fatica segue la grande consolazione, perché egli è accettatore dei santi e veri desiderii. E ora si cominci gli affetti e gli atti umili, imparando da l'umile Agnello del quale sete vicario, con vera constanzia fino a la morte e con ferma speranza nella providenzia sua, dilettandovi sempre nel nostro Creatore e negli umili servi suoi, sì com'io so che la Santità vostra si diletta; ma io vi ricordo perché la lingua non può fare che non satisfaccia a l'abondanzia del cuore, ma principalmente perché mi sento stimolare la conscienzia dalla dolce bontà di Dio.

Abbiate pazienza in me, che tanto vi gravo, o per uno modo o per un altro; e perdonate alla mia presunzione. Sono certa che Dio vi fa vedere più l'affetto che le parole. Umilemente v'adimando la vostra benedizione. La dolce eterna bontà di Dio, Ternità eterna, vi doni la grazia sua, con plenitudine del fuoco della sua carità; in tanto che nelle vostre mani si riformi la santa Chiesa, e che facciate sacrificio di voi a Dio. Altro non dico.

Rimanete etc.

Godete ed essultate nei dolci misterii di Dio. E se in veruna cosa ho offeso Dio o la Santità vostra, me ne rendo in colpa, e pregovi che mi perdoniate, apparechiata ad ogni penitenza. Gesù dolce, Gesù amore.





352. A madonna Lariella, donna di messere Ceccolo Caracciolo da Napoli, la quale era tribolata e aveva pena per lo stare il marito in Roma col santo padre Urbano VI, che è suo consubrino.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi ponere l'affetto e la speranza vostra solamente in Dio, in lui confidarvi e non nelle creature: poiché maladetto si può chiamare colui che si confida nell’uomo.

Oh quanto male ne segue, e danno dell'anima nostra, e quanto è vana questa speranza!. La lingua nostra nol potrebbe narrare. Ella è vana e transitoria, perché in vano s'affatiga colui che cerca le delizie, stati e ricchezze del mondo. Chi ci mostra che ella è vana? La poca fermezza che troviamo in loro: ché, quando noi le crediamo bene tenere, elle ci vengono meno, o per divina dispensazione che ce le tolle per nostro bene, o per lo mezzo della morte, partendoci di questa tenebrosa vita. E tale ora crediamo fare il grande guadagno, e venire in grandissimo stato, che noi perdiamo quello che aviamo; e se noi pure il teniamo, tenianlo con grande fatiga, e con disordinato timore e paura di non perderlo: diventanell’uomo incomportabile a sé medesimo. Bene è dunque vana; e matto è l'uomo che ci pone speranza.

Dico che fa danno, perché ci priva della signoria e libertà, e facci servi, ché di quello che la persona ama, di quello si fa servo. Unde se disordinatamente amiamo le creature, o le cose create, fuore di Dio, noi offendiamo, e offendendo Dio ci facciamo servi e schiavi del peccato, che non è, e delle cose create, che tutte sono meno di noi. Anco, elle sono create perché servano a noi, e noi per servire a Dio. E noi facciamo il contrario servendo ad esse, e diserviamo il nostro Creatore. Elle ci privano del lume, che non ci lassano vedere né conoscere la verità; sì come l'occhio che è infermo non può raguardare la luce, così l'occhio dell'anima, dove è venuta la infermità del disordinato amore, perde per sì-fatto modo la luce, che non può conoscere né sé né Dio, cioè la propria miseria e la infinita bontà di Dio.

Egli perde la ricchezza delle virtù, perché è tagliato dall'affetto della carità, nella quale sono legate tutte le virtù. Ine non è carità di Dio né del prossimo; e nol serve se non per propria utilità. Non v'è umilità vera, perché v'è la propria reputazione, con la quale si diletta d'essere tenuto grande e avere il grande stato. Tutto il suo studio è di piacere alle creature perché piace a sé medesimo; e più studia di piacere ad esse che al Creatore. E se riceve ingiuria, la porta con grande impazienzia. O se serve il prossimo o i parenti suoi, e non ne riceva onore o propria utilità, non v'ha pazienza, e volentieri abandonerebbe il servizio suo.

Questo fa lo proprio amore; e voi sapete bene che così è: perché forse alcuna cosa ne provate in voi medesima, per lo stare che fa qui messere Ceccolo, del quale stare v'incresce. Ma se vedeste che gli fosse risposto al servizio che fa, e ricevesse del fumo del mondo, cioè della gloria umana, non ve ne increscerebbe così. Ma bene credo che questa pena riceviate più per detto delle creature che vi molestano, e per un cotale onore mondano, che per propria utilità che voi ne voleste. Questo non è bene, anco è grande difetto, e non è sanza offesa di Dio; e statene voi in afflizione d'anima e di corpo, e a lui ne date pena. Non voglio che facciate così, poiché segno sarebbe che la speranza e l'affetto vostro fosse posto più nelle creature e ne l'onore del mondo che nel Creatore, la qual cosa non si debbe fare. Ma dovete essere tutta virile, e farvi beffe del mondo, considerando un poco dei beni del cielo e de l'onore di Dio, e non dei beni della terra e del proprio onore vostro. Questo voglio che faciate.

E rispondete a chi vi dicesse il contrario, che con uno santo desiderio vogliate che messere Ceccolo serva fedelmente con tutto il cuore e con tutto l'affetto Cristo in terra, e la santa Chiesa, sanza rispetto di stato, di grandezza o di propria utilità, ma solo per onore di Dio, e per lo debito, sì come debbe fare il figlio al padre. Allora sarà servigio grato e piacevole a Dio, onore e utilità vostra. Utilità, dico, di grazia, la quale è quella utilità che Dio ci richiede che noi cerchiamo con grande sollicitudine. Questo farete se la vostra speranza sarà posta solamente in Dio, altrimenti no. E però vi dissi che io desiderava di vedervi ponere l'affetto e la speranza vostra solamente in lui; e veramente il dovete fare, poi che vedete che tanto è nocivo a ponerla in sé, o nelle creature, o nelle cose create, fuore di Dio: e con grande danno tiene l'anima in molta amaritudine, sì come detto è.

Per lo contrario fa la speranza che l'uomo ha in Dio, perché la speranza procede da l'amore, ché sempre la creatura spera in colui cui ella ama. Unde se l'uomo ama la creatura, spera nella creatura; e se egli ama il suo Creatore, spera solamente in lui; e l'amore, cioè l'affetto della carità, non dà altro che allegrezza nel cuore che la possiede: Perciò nella speranza ha grandissima allegrezza. Tutto il bene e utilità che si trova nella carità, si trova nella speranza, perché ella procede da lei. Ella è umile e benigna a chi le fa ingiuria; ella è paziente in sostenere le molte tribolazioni in qualunque modo Dio gliele concede; e anco più: ché ella desidera di portare per Cristo crocifisso, e di gloriarsi negli obrobrii suoi: ine si riposa, e in altro non si vuole gloriare perché non cerca la gloria propria, ma la gloria del nome di Dio. La speranza non cerca le cose sue, e però il suo servigio non è mercennaio: perché serve per carità, e non per guadagno che n'aspetti. Ella tolle ogni amaritudine, perché s'è spogliata della propria volontà sua, e vestita della dolce voluntà di Dio. Tanto è dolce e dilettevole che le cose amare le diventano dolci, e i grandi pesi diventano piccioli, e il dispiacere diventa piacere; tolle l'anima da la gravezza della terra, e falla leggiera; levala dalla conversazione dei mortali, e falla conversare con gl'immortali.

Di tanta utilità è questa speranza fondata in carità, come detto è, che ella dà guadagno, per uno, cento.

Come? che dando l'uomo solo la voluntà sua libera, riceve lo cento della carità; con la quale carità ha vita eterna. E però disse Cristo al glorioso apostolo Pietro, quando egli lo dimandò dicendo: «Maestro, noi aviamo lassato ogni cosa: che ci darai?» (Mt 19,27 Mc 10,28 Lc 18,28). Cristo rispuose: «Bene facesti, Pietro», quasi dica la dolce Verità: «In altro modo non mi potevi seguire», ché colui lo quale non renunzia alla propria voluntà non può seguire Cristo crocifisso. Poi subgiunse dicendo: «Io vi darò, per uno, cento; e vita eterna possederete» (Mc 10,30 Mt 19,29 Lc 18,30). Bene è dunque di grande utilità: di maggiore non può essere. Ella fa l'uomo libero e signore, perché lo trae della servitudine del peccato: e signoreggia la propria sensualità. Essendo signore di sé, è fatto signore del mondo, perché se ne fa beffe, rifiutando le pompe e le delizie sue, perché vede che non sono cosa ferma né stabile; e però n'ha levata la speranza, e postala nel suo Creatore, il quale è fermo e stabile che mai non si muove, e non ci può essere tolto se noi non vogliamo.

Oh quanto è beata quella anima che unisce il cuore e l'affetto suo in Dio, che è sua beatitudine! Avendo Dio, non cura d'altro, e però non si sente aggravare dalla impazienzia, se si vedesse perdere marito, figli, stato, ricchezze e onori del mondo, perché le tiene non come cosa sua, ma come cosa prestata.

Solo la divina grazia tiene come cosa sua. Non cura detto di creature che per parole, o per piacere alle creature, voglia offendere Dio in alcuno modo. Non fa come molte semplici che, per piacere alle creature, dispiaceranno al Creatore: entro le vanità, non che nell'altre cose, offenderanno solo per lo piacere umano; faranno resistenza a una grazia che Dio avrà posta nell'anima, di non curarsi d'adornare lo corpo suo con curiosi e dilicati vestimenti, e con lavamento di volto. Così si starà, mentre che è in casa, come persona che non curi di sé; poi per piacere sforza la natura, e ribella alla divina grazia, volendo apparere con l'altre in offesa di Dio e danno dell'anima sua. E chi la riprendesse, dicerebbe: «Io nol fo per me, ma per piacere allo sposo mio, e per non mostrarmi più trista che l'altre». Questa s'inganna, ché non conosce la virtù colà dove ella è, per il proprio piacere di sé medesima.

Ma quella che sta nell'affetto della carità, come detto è, il conosce bene; e però si spoglia d'ogni vanità e abraccia l'onestà, in ogni tempo, in ogni stato e in ogni luogo che ella è. In ogni cosa si pone Dio dinanzi agli occhi suoi; e ciò che fa, fa col santo timore suo. Ella participa il sangue di Cristo crocifisso, perché ha scaricata la conscienzia sua con la santa confessione, e contrizione e pentimento della colpa, e con piena satisfazione: e così riceve la vita della grazia. Or quanta differenza è, carissima madre, tra quelli che in verità sperano in Dio e quelli che non vi sperano! Non vi si può ponere comparazione alcuna.

Perciò che diremo? Diremo che l'uno ha sommo diletto, e l'altro ha somma miseria.

Bene ci dobiamo levare con grande sollicitudine da ogni amore sensitivo, e passare il tempo nostro con una dolce memoria di Dio e del sangue sparto con tanto fuoco d'amore per noi; dimostrando nel prossimo nostro l'amore che abiamo a lui, con una carità fraterna, subvenendolo nelle sue neccessità. Dilettianci d'udire la parola di Dio, della vigilia, e della continua e umile orazione, amando ogni cosa per Dio, e non sanza lui: qui voglio che si ponga la sollicitudine vostra, affinché riceviate il sommo e eterno bene che v'è apparecchiato. Altro non vi dico, etc.

Gesù dolce, Gesù amore.





353. A madonna Catella, madonna Checcia vocata Planula e madonna Caterina Dentice, da Napoli.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissime suore e figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi gustare lo cibo angelico, poiché per altro non sete fatte; e a ciò che voi il poteste gustare, Dio vi ricomperò del sangue del suo Figlio (1P 1,18-19).

Ma pensate, carissime figlie, che questo cibo non si mangia in terra, cioè nell'affetto terreno, ma in alto; e però lo Figlio di Dio si levò in alto in su lo legno de la santissima croce, a ciò che in alto, in su la detta mensa, prendessimo questo cibo. Ma voi mi direte: «Quale è questo cibo angelico?». Rispondovi: è il desiderio che è nell'affetto dell'anima, lo quale desiderio trae a sé il desiderio di Dio; dei quali si fa una medesima cosa l'uno con l'altro. Questo è uno cibo che, mentre che siamo perregrini in questa vita, trae ad sé l'odore de le vere e reali virtù; le quali virtù sono cotte al fuoco de la divina carità, e mangiate in su la mensa de la santissima croce, cioè sostenendo pene e fatiche per amore de la virtù, recalcitrando a la propria sensualità: con forza e violenzia rapisce lo reame dell'anima, la quale è chiamata cielo, perché cela Dio per grazia dentro da sé.

Questo è quello cibo lo quale fa l'anima angelica, e però si chiama cibo angelico; e perch'è separata l'anima dal corpo, gusta Dio ne la essenzia sua. Egli la sazia tanto e per sì-fatto modo, che nessuna altra cosa ella non appetisce, né può desiderare, se non quello che più perfettamente l'abbi a conservare e acrescere questo cibo; e odia ciò che gli è contrario. Unde, come prudente, raguarda col lume de la santissima fede - lo quale lume sta ne l'occhio dell'intelletto - quello che l'è nocivo, e quello che l'è utile: e come ella ha veduto, così ama e spregia.

Dispregia la propria sensualità, tenendola legata sotto ai piedi dell'affetto, e tutti li vizii che procedono da essa sensualità. Ella fugge tutte le cagioni che la possono inchinare a vizio, o impedire la sua perfezione, unde ella anniega la propria voluntà - che l'è cagione d'ogni male - e sottomettela al giogo de la santaobbedienza dei comandamenti di Dio - a la qualeobbedienza tutti i fedeli cristiani sono obligati - e molte altre sono che corrono all’obbedienza dell'ordine santo: questa è maggiore perfezione. Unde, quando l'anima è vera obediente, ella si sogioga non tanto ai comandamenti di Dio - o la religiosa all'ordine suo -, ma ad ogni altra creatura per Dio. Ella fugge e taglia ogni piacere umano, e solo si gloria ne li obbrobrii e pene di Cristo Crocifisso: ingiurie, strazii, scherni e villanie le sono uno latte; dilettasi ne le ingiurie per conformarsi con lo Sposo suo. Ella renunzia a la conversazione de le creature, perché spesse volte ci sono mezzo tra noi e il Creatore nostro; fugge a la cella del cognoscimento di sé e a la cella attuale.

A questo v'invito, che sempre stiate in questa casa del cognoscimento di voi - dove noi troviamo lo cibo angelico dell'affetto del desiderio di Dio verso di noi -, e ne la cella attuale con la vigilia, e con l'umile fedele e continua orazione; spogliando lo cuore e l'affetto vostro d'ogni creatura e cosa creata, d'amore fuore di Dio; e vestirvi di Cristo Crocifisso perciò che in altro modo lo mangiareste in terra, e già vi dissi che in terra non si doveva mangiare. Pensate che lo Sposo dolce Gesù non vuole mezzo tra l'anima, che è sua sposa, e sé; ed è molto geloso: ché, subito che egli vedesse che noi amassimo cosa fuore di lui, egli si partirebbe da noi, e saremmo fatte degne di mangiare lo cibo de le bestie.

E non saremmo noi bene bestiali? perciò che il cibo degli animali sarebbe, se lassassimo lo Creatore per le creature e per le cose create; e il bene infinito per le cose finite e transitorie, che passano come il vento; la luce per le tenebre; la vita per la morte; quelli che ci veste di sole di giustizia col fibiale de laobbedienza, e con le margarite de la fede speranza e perfetta carità, per quello che ce ne spoglia. E non saremmo noi bene stolte a partirci da quello che ci dà perfetta purezza - in tanto che, quanto più ci acostiamo a lui, tanto più diventiamo pure -, per quelli che gittano puzza di immondizia, contaminatori dei cuori e de le menti nostre? Dio lo cessi da noi per la sua infinita misericordia.

E affinché questo non possa mai intervenire, guardianci da le perverse conversazioni di quelle persone che sceleratamente menano la vita loro, e stiamo tutte sode e mature in noi medesime, sovenendo caritativamente a la necessità dei nostri prossimi con grande diligenzia; e così mostraremo di portare nel cuore Cristo Crocifisso. Dico che l'anima che ha assaggiato lo cibo angelico, ha veduto col lume che l'amore e la conversazione de le creature fuore del Creatore è uno mezzo che impedisce lo cibo suo; e però le fugge con grandissima sollicitudine, e ama e cerca quello che l'acresca e conservi ne la virtù. E perché ha veduto che meglio gusta questo cibo col mezzo dell'orazione fatta nel cognoscimento di sé, però vi si essercita continuamente, e in tutti quelli modi che più si possa acostare a Dio.

In tre modi si fa l'orazione: l'una è continua, cioè il continuo santo desiderio - il quale desiderio òra nel conspetto di Dio in ciò che fa la creatura -, perché questo desiderio dirizza nel suo onore tutte le nostre opere spirituali e temporali: e però si chiama continua. Di questa pare che parli lo glorioso santo Paulo, quando dice: «Orate senza intermissione». (1Th 5,17) L'altro modo è orazione vocale, cioè che parlando con la lingua si dice offizio o altra orazione vocale, e questa è ordinata per giugnere a la mentale; e così vi giogne l'anima quando con prudenzia e umilità essercita la mente nell'orazione vocale: cioè che parlando con la lingua lo cuore suo non sia dilonga da Dio, ma debbasi ingegnare di fermare e stabilire lo cuore ne l'affetto de la divina carità. E quando sentisse la mente sua essere visitata da Dio, cioè che fusse tratta in alcuno modo a pensare del suo Creatore, debba abbandonare la vocale, e fermare la mente sua con affetto d'amore in quello che sente che Dio la visita; e poi se, cessato quello, ella ha tempo, debba ripigliare la vocale, a ciò che la mente stia piena e non vòta.

E perché ne l'orazione abondassero le molte battaglie in diversi modi e tenebre di mente - con molta confusione, facendoci lo demonio vedere che la nostra orazione non fusse piacevole a Dio per le molte battaglie e tenebre che avessimo -, non doviamo lasciare però, ma stare ferme, con fortezza e lunga perseveranza, raguardando che il demonio lo fa perché noi ci partiamo da la madre de l'orazione; e Dio il permette per provare in noi la fortezza e constanzia nostra, e a ciò che ne le battaglie e tenebre cognosciamo noi non essere, e ne la buona volontà cognosciamo la bontà di Dio: poiché esso è donatore e conservatore de le buone e sante voluntà, e non è dinegata a chiunque la vuole.

E per questo modo giogne a la terza e ultima orazione mentale, ne la quale riceve il frutto de la fatica che sostenne nell'orazione imperfetta vocale. Ella gusta lo latte de la fedele orazione; ella leva sé sopra il sentimento grosso sensitivo, e con mente angelica s'unisce per affetto d'amore con Dio; e col lume dell'intelletto vede, conosce e vestesi de la verità. Ella è fatta sorella degli angeli; ella sta con lo Sposo suo in su la mensa del crociato desiderio, dilettandosi di cercare l'onore di Dio e la salute de l'anime, perché vede bene che per questo lo sposo eterno corse a la obbrobriosa morte de la croce, e così compì l'obedienzia del Padre e la nostra salute.

Drittamente questa orazione è una madre che ne la carità di Dio concepe i figli de le virtù, e ne la carità del prossimo le parturisce. Ove trovate voi lo lume che vi guida ne la via de la verità? nell'orazione.

Dove manifestate l'amore, la fede, la speranza e l'umilità? nell'orazione (ché se voi non amaste non vi curereste d'andare a quello che voi non amate; ma perché la creatura ama, però si vuole unire con quella cosa che ama, col mezzo dell'orazione. A lui dimanda la sua necessità perché conoscendo sé - nel quale cognoscimento è fondata la vera orazione - vedesi avere grande bisogno, sentendosi atorniata da' suoi nemici: dal mondo con le ingiurie, dal demonio con le molte tentazioni, e da la carne che combatte contro lo spirito ribellando a la ragione. E sé vede non essere per sé; non essendo, non si può curare e però con fede corre a colui che è (Ex 3,14), lo quale può sa e vuole subvenirla in ogni sua necessità; e con speranza chiede e aspetta l'aiuto suo. Così vuole essere fatta l'orazione, a volerne avere quello che noi n'aspettiamo; e a questo modo non sarà mai dinegata cosa giusta che noi domandiamo de la divina bontà.

Facendola in altro modo, poco frutto ne trarreste).

Dove sentiremo l'odore de l'obedienzia? nell'orazione. Dove ci spogliaremo dell'amore proprio, che ci fa impazienti nel tempo de le ingiurie o d'altre pene, e vestirenci d'uno divino amore che ci farà pazienti, e gloriarenci ne la croce di Cristo Crocifisso? nell'orazione. Dove sentiremo l'odore de la continenzia e de la purezza, e la fame del martirio, disponendoci a dare la vita in onore di Dio e salute delle anime? in questa dolce madre dell'orazione. Ella ci farà osservatrici dei santi comandamenti di Dio, e suggellaracci i suoi consigli nel cuore e ne la mente nostra, lassandovi la impronta del desiderio di seguitarli infine a la morte.

Ella ci leva da le conversazioni de le creature, e dacci la conversazione del Creatore; ella empie il vasello del cuore del sangue de l'umile e immacolato Agnello, e ricuoprelo di fuoco, perché per fuoco d'amore fu sparto.

Più e meno perfettamente riceve l'anima e gusta questa madre dell'orazione, secondo che ella si nutre del cibo angelico, cioè del santo desiderio di Dio, levandosi in alto - come detto è - a prenderlo in su la mensa de la dolcissima croce; altrimenti, no. E però vi dissi che io desideravo di vedervi nutrere del cibo angelico, poiché in altro modo non potreste avere la vita de la grazia, né essere vere serve di Cristo Crocifisso. Altro non vi dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.

Ricevetti una vostra lettera, la quale udii e intesi con allegrezza, sì perché volontà avevo di sapere novelle di voi, e sì per le buone novelle che in poche parole vi si contengono, dell'avenimento de la luce sopra cotesta terra: perché il cuore di Faraone è spezzato, cioè de la regina che tanta durezza ha mostrata infine a ora, essendosi partita dal capo suo, Cristo in terra, - e accostatasi ad Antecristo, membro del demonio, ha perseguitata la verità, ed essaltata la bugia -.

Grazia, grazia sia al nostro dolce Salvatore, che ha illuminato il cuore suo o per forza o per amore che sia, e ha mostrato in lei l'amirabili cose sue. Or godiamo ed essultiamo con allegrezza cordiale e con uno santo essercizio, come detto aviamo, sempre purificando la conscienzia nostra con la confessione spesso, e la comunione per ogni pasqua solenne; a ciò che, confortate in questa via de la perregrinazione, voi corriate virilmente a la mensa de la croce, per la dottrina de l'umile Agnello, a prendere lo cibo angelico e suave, e relucano in voi le stimate di Cristo Crocifisso. Bagnatevi nel prezioso sangue suo. Strettamente mi vi racomando. Gesù dolce, Gesù amore.





354. A madonna Pentella Maii da Napoli la quale perché lo suo marito la trattava male per cagione d'una sua schiava, era molto tribolata e desiderava la morte d'ambedue.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima sorella in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uno vero e perfettissimo lume, col quale lume cognosciate la verità - poiché, conoscendola, l'amarete -, e a ciò che vediate la via per la quale vi conviene tenere.

Or vediamo quale è questa via e questa verità, e per che modo la possiamo seguire, e perché la doviamo seguire: Cristo Crocifisso è nostra via, e è essa verità, e è vita. Così disse egli: «Io sono via verità e vita» (Jn 14,6); e chi tiene questa via, cioè chi segue la dottrina e le vestigie sue, tiene per la via de la verità: e chi tiene per la via de la verità, riceve in sé la vita de la grazia. Che modo debba tenere l'anima ad andare per questa via? Quello modo che tenne colui che ha fatta la via. Che modo tenne egli? Lo modo fu questo: che col lume - lo quale era esso - si specolò ne la volontà del Padre eterno, la quale volontà voleva - per nostra santificazione - manifestare l'eterna verità sua.

La quale verità fu questa: che egli aveva creato l'uomo per dargli vita eterna, a ciò che godesse lo suo sommo ed eterno bene; ma per la colpa commessa non si compiva questa verità in noi, unde era bisogno che, per compirla, la colpa si purgasse. E però Dio vuole insiememente purgare la colpa e compire la sua verità nell’uomo; e perciò questa verità detta costrinse il Padre eterno: e per l'amore ineffabile che egli ebbe a noi, e a la verità sua, ci donò la verità del Verbo del suo Figlio, e vestillo de l'umanità nostra, a ciò che in essa, col sostenere, fusse satisfatto a le nostre colpe; e satisfacendo a la colpa si compisse la sua verità in noi. Unde, ricevendo il Verbo dolce del Figlio di Dio la grandeobbedienza del Padre, corse, come inamorato, a la obbrobriosa morte de la santissima croce; e compiendo l'obedienzia compì la verità: cioè, che fummo restituiti a grazia quanto da la parte sua, se noi da la nostra non ricalcitriamo con le miserie e defetti nostri.

E conoscendo questo dolce Verbo che senza il sostenere non si poteva renderci la vita, inamorossi de le pene, saziossi d'obbrobrii, vestissi de le ingiurie, fame, sete, scherni e villanie, pentimento del vizio - e tanto gli dispiace che, non essendo in lui veleno di peccato, egli lo punisce sopra il corpo suo -, e l'amore de le virtù, in tanto che nel sangue suo le maturò e, come albero di vita, ci produsse questi frutti de le virtù, poiché - doppo la redenzione che ricevemmo nel sangue - i frutti de le virtù ci sono tutti valuti a vita eterna. Che ha cercato questo dolce Verbo, e di che s'è doluto? HA cercato l'onore del Padre e la salute nostra; e dolutosi più dell'offesa, e del danno che seguitò doppo la colpa, che de la pena sua. Unde noi aviamo che più si dolse de la dannazione di Juda che del tradimento che egli gli fece. Questa è quella dolce via la quale egli ci ha insegnata, e per la quale doviamo tenere.

E se voi mi diceste: «Egli era vero Figlio di Dio, e però poteva portare, ma io sono fragile e non posso», or raguardate i santi che l'hanno seguitato, i quali ebbero questa legge fragile perché furono concepiti e nati e nutreti di quello medesimo cibo che noi; e nondimeno nell'aiutorio divino l'hanno seguitato realmente. Lo quale aiutorio è così per noi come per loro: sì che, volendo, noi possiamo. Ma perché non ci pare potere e nol facciamo? per la cecità nostra: perché non cognosciamo, né ci diamo in verità a conoscere nella dottrina sua l'eterna verità - come detto è -, perché noi non vogliamo. Che se noi volessimo con vero pentimento e odio del vizio, e amore de la virtù, ricalcitraremmo a la propria sensualità, e non cercaremmo di satisfarle con una tenerezza e compassione femminile; ma levaremmoci con uno odio santo, annegandoci dentro la propria volontà, e abracciaremmo la croce con uno crociato e santo desiderio. E tanto goderemmo quanto ci vedessimo conculcare dal mondo, e il vederci sostenere senza colpa sarebbe la gloria nostra. E questo è uno dei più singularissimi segni che si possa vedere, nel servo di Dio, se egli è illuminato in conoscere e amare questa verità, o no.

Oh vita dolce, quanto sei dolce all'anima che t'assaggia, la quale ha perduta e annegata sé medesima! Questo cognoscimento la fa corrire, morta a ogni propria volontà; essendo morta, non ha chi le faccia guerra, perciò che solo la volontà è quella che dà guerra e amaritudine, non le tribulazioni né le persecuzioni del mondo; anco sono lo diletto e la consolazione del vero servo di Dio. E tanto ha bene quanto si vede patire; e più, che se egli vede che il mondo gli abbi alcuna reverenzia o buona oppinione, egli si contrista, temendo che in questa vita Dio nol voglia remunerare di quello poco del bene che fa, e perché si vorrebbe conformare con Cristo Crocifisso e seguire le vestigie sue. Egli non si duole di colui che gli fa ingiuria, né vorrebbe che colui che il fa patire fusse tolto dinanzi da lui; ma bene si duole dell'offesa di Dio, e del danno dell'anima del prossimo suo, unde non cessa di tenerlo nel conspetto di Dio, con grande desiderio offerendo umili, continue e fedeli orazioni. Questo perché fa? Perché nel lume e ne la dottrina di Cristo è cognosciuta la verità, e perché con esso lume ha veduto che di debito lo debba fare.

Unde l'anima debba rispondere al demonio e a la propria fragilità - quando vogliono combattere contro la ragione e a la virtù per tutti quanti i modi -: «Io non debbo consentire a voi, ma debbo servire al mio Creatore con tutto il cuore e con tutto l'affetto e con tutte le forze mie; lo quale servire debbo dimostrare col sostenere». - Perché fai questo? «Perché m'è debito e comandamento al quale io sono tenuto e obligato d'obedire; e oltre al comandamento ne sono tenuto di grazia, cioè che per grazia ho ricevuto l'essere e ogni grazia posta sopra l'essere. Unde, se mai non mi fusse comandato, per le grazie ricevute io sono tenuto di farlo: e però non voglio essere villana né ingrata di tanti beneficii, ma voglio rendere quello che non è mio - poiché io lavoro con quello del mio Creatore -, e con questo rendo e non dono veruna cosa a Dio, ma rendoli di quello che io gli sono obligato».

Oh quanto è degno di supplicio lo servo mercennaio, che attende di togliere quello che non è suo! Molto sono ripresi nel conspetto di Dio e ne la conscienzia loro questi cotali: essi debbono dare l'onore a lui, ed essi lo danno a loro medesimi. Perché è degno di tanto supplicio e reprensione? Perché è tenuto di servire coraggiosamente, senza rispetto di propria consolazione o di diletto da lui, o da la creatura per lui; e perché è tenuto di rendere gloria e loda al nome suo, perciò che con servigio mercennaio non glili potrebbe rendere per quello modo che egli è obligato. Poniamo che Dio ne la traesse egli da la parte sua, ma da la parte nostra non sarebe così, né compirebbesi in noi quella eterna verità che ci creò, e recreocci a grazia nel sangue per darci vita eterna.

E però l'anima, la quale con lume raguarda questo debito che le conviene rendere, e anco la grazia - perché di grazia si vede essere amata da Dio, e tutte le grazie che ha ricevute, spirituali e temporali, tutte le vede fatte in questa medesima forma e in uno medesimo modo -, si sente constretta a rispondere a Dio, e a non partirsi da quelli modi che trova in lui, e di non lasciare le forme de le vestigie di Cristo Crocifisso.

Vero è che d'amore di grazia non possiamo rendere a lui, poiché esso ci amò prima che noi fussimo: sì che ne siamo tenuti, come detto è. E però l'anima, avendolo veduto col lume, si vòlle a quello mezzo che Dio ha posto con che si renda, cioè il prossimo suo: ella glili rende schietto, in tanto che per fatica che truovi in lui, né per rimproverio o ingratitudine che ricevesse da lui de li servizii che essa gli avesse fatti, non allenta mai, perché il lume l'ha fatta constante e perseverante; imparando da l'umile Agnello, lo quale né per pena, né per detto dei Judei i quali dicevano: «Discende de la croce, e credarenti» (Mt 27,42 Mc 15,32), né per nostra ingratitudine non si ritrasse, ma constante e perseverante, infine all'ultimo che egli ebbe rimessa la sposa che gli fu data, de l'umana generazione, nelle mani del Padre eterno.

E così ella col lume conculca ogni malizia e inganno del demonio, quando in questo con molti colori la volesse ingannare. Ella non vuole scendere de la croce del cruciato santo desiderio per detto dei Judei, cioè per le demonia che la vogliono fare scendere di questa croce, per molti e per diversi modi: alcune volte con colore di non offendere Dio; alcune volte per fare riconoscere il prossimo suo, lo quale trova ingrato, unde a lei è colorato col colore de la giustizia. Alcune volte vuole gittare a terra questa croce con desiderare la morte del prossimo suo, sotto colore d'avere più pace e più quiete ne la mente sua; e con tanta ragione glili fa vedere lo demonio - e sì le incarna questo pazzo e stolto desiderio -, che neuno è che le il possa togliere, perché la cecità sua, e il demonio de la propria sensualità, e lo sdegno e il dispiacere che ha preso inverso di lui, non la lassano vedere né conoscere che ella si scorda da la volontà di Dio, lo quale non vuole la morte del peccatore, ma vuole che esso si converta e viva (Ez 33,11). E però ne la creatura ci conviene desiderare la vita spirituale e corporale, cioè per vederlo vivere in grazia; dandoli Dio tempo perché si corregga a ciò che non muoia in tenebre di peccato mortale. Questo è quello desiderio santo che hanno quelli che con lume hanno raguardato lo debito, lo quale lo' conviene rendere al prossimo rendendo a lui, di grazia, quello che a Dio non possono rendere, cioè d'amare lui, poniamo che mai egli non l'amasse.

E con questo medesimo lume ha conculcata la schiava de la propria sensualità; e però non si duole se non solo dell'offesa di Dio, quando alcuna creatura, o vuoli sposo che non la trattasse come donna ma come serva, né il figlio la trattasse come madre, o la schiava come donna, o qualunque altra persona fusse che la volesse signoreggiare; ma tutto porta con reverenzia, e con perfettissima pazienza la ingiuria sua, ma dell'offesa di Dio si duole, pregando umilemente per loro, non che lo' dia la morte, ma dia loro vero lume. Questo è il santo e vero desiderio dell'anima alluminata.

E perché i mi pare, carissima sorella, che di questo così-fatto lume avesseate bisogno - secondo il caso e lo stato vostro -, dissi che io desideravo di vedere in voi uno vero e perfettissimo lume, a ciò che in verità conosceste la via che vi conviene tenere, e come e perché; e a ciò che voi cognosciate lo inganno e la malizia del demonio, nel quale allaccia l'anima vostra col semplice e stolto desiderio - desiderando con instanzia la morte di veruna creatura -: e pare che sia sì fermo, che mostra che nullo ve ne possa levare.

Questo non è costume di serva di Dio, ma dei servi del mondo e del demonio. Non so che veruna virtù si possa barbicare in quella anima: potrà bene avere l'atto de la virtù, ma virtù no, perché in questo stolto desiderio si mostrano molti mali.

Manifestasi il veleno de la superbia con la propria reputazione, ché, se ella non vi fusse, credarebbe più altrui che a sé; e mostrasi una inreverenzia e infedelità verso il padre spirituale, poiché se ella fusse fedele s'atterrebbe al consiglio suo, lo quale le mostra che questo così-fatto desiderio non è secondo Dio - e così è la verità, poiché egli è dal demonio, e da la propria passione sensitiva -. E anco dimostra che l'amore inverso Dio e verso lo prossimo è posto per propria utilità e diletto, sì come l'avaro che ama la pecunia. Nutrecisi una impazienzia con uno maladetto sdegno e schifezza d'animo, la quale schifezza si debba avere de la colpa e non de la propria persona. Oh quante sono le mormorazioni, li giudicii e le bastemmie, e tanti altri mali, che a pena si potessero contiare! Perciò, carissima sorella, levianci da questa cecità, e vogliamo seguire Dio in verità, amarlo in tutto e non a mezzo. A volerlo tutto, vel conviene amare coraggiosamente, come detto è, senza veruno rispetto di voi; seguitarlo per la via de la croce non scegliendo d'essere cruciata a vostro modo, ma a suo; amare il prossimo vostro come voi medesima (Mt 22,39 Mc 12,21 Lc 27), desiderando di vedere in lui quello che volete vedere in voi; offrire lacrime, umili e continue orazioni per lui; e col lume de la fede credere in verità che ciò che Dio dà e permette, dà per la vostra salute; con vera umilità e pazienza portare, reputandovi degna de le pene e indegna del frutto che segue doppo la pena.

Or mirate quanto sete bene savia! Non vi fa peggio la schiava de la vostra umanità e lo sposo del libero arbitrio, lo quale voluntariamente consente a questa schiava, e con essa conculca e avilisce la ragione, che è la donna? Certo sì. Perciò dovete odiare più questo che è dentro da voi, che la schiava e il marito, che sono fuore di voi, poiché questi percuotono la corteccia del corpo con ingiurie e pene, ma quelli percuotono l'anima, e l'anima è molto più nobile che non il corpo; anco, ogni nobilità che ha il corpo, l'ha mediante l'anima, e l'anima l'ha da Dio.

Perciò dovete con sollicitudine attendere per suo onore a subvenire a quella parte che è più nobile, rivoltando tutto l'odio a voi medesima; e sia odio mortale, cioè che sempre desideriate la morte de la propria vostra perversa voluntà, e che solo viva in voi l'eterna voluntà di Dio. Bagnatevi nel sangue di Cristo Crocifisso, e fate che quello che è stato infine a ora non sia più. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





355. A madonna Orietta Scotta, a la Croce di Canneto in Genova.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre e figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondata in vera e perfetta pazienza; la quale pazienza dimostra se in verità amiamo il nostro Creatore o no, perché ella è il midollo de la carità: ché carità non è senza pazienza, né pazienza senza carità.

Ella è una virtù tanto piacevole e necessaria a la nostra salute che senza essa non possiamo essere piacevoli a Dio, né ricevere il frutto de le nostre fatiche, le quali Dio ci permette per la nostra salute: anco, gustaremmo la caparra de l’inferno in questa vita. Questa virtù dimostra lo lume che è ne l'anima che la possiede; cioè dimostra che l'anima, col lume de la santissima fede, ha veduto e cognosciuto che Dio non vuole altro che il suo bene: e ciò che esso dà e permette a noi in questa vita, dà per nostra santificazione. E però l'anima che ha cognosciuto questo, subito è paziente, quasi dicendo a sé medesima, quando la propria sensualità si volesse levare per impazienzia: «E vuoli tu dolerti del tuo bene? Non te ne puoi né debbi dolere, ma debbi portare realmente, per gloria e loda del nome di Dio».

La pazienza germina una dolcezza nel mezzo del cuore; ella è forte, che caccia da sé ogni impazienzia; è longa e perseverante, che per veruna fatica volta il capo adietro a mirare l'arato (Lc 9,62), ma sempre va innanzi, seguitando l'umile Agnello: che tanta fu la sua pazienza e mansuetudine, che il grido suo non fu udito per veruna mormorazione. Ella si conforma con Cristo crocifisso, perché si veste de la dottrina sua; satollasi d'obrobrii. Ella signoregia l'ira, conculcandola con mansuetudine; ella non si stanca per veruna fatica, perché ella è unita con la carità; ella non tolle le cose altrui, ma dà largamente: non è veruna cosa che ella abbi tanto cara che ella non dia, privandone sé con buona pazienza. Come ebbra del sangue di Cristo crocifisso perde sé medesima; e quanto più si perde, più si trova unita e conformata ne la dolce volontà di Dio, spregiando il mondo con tutte le sue delizie, dilettandosi di tenere per la via de la viltà, abbracciando la povertà volontaria per santo e vero desiderio.

O carissima madre e figlia, ora è il tempo d'abbracciare questa vera e reale virtù. Vedete che il mondo perseguita quegli che sonno amatori de la verità, con molte ingiurie e rimproveri. A noi conviene essere paziente de le ingiurie e fatiche proprie, ma de l'altrui doviamo avere compassione grande, ed essere impazienti verso il vizio di colui che offende. Carissima madre e figlia, se mai fu tempo di compassione e d'amaritudine per l'offese di Dio, sì è oggi, in tanta tenebre e amaritudine vediamo posto lo mondo, solo per la nuvola de l'amore proprio di noi medesimi che ha avelenato e corrotto il mondo. Chi avarà pazienza, ha perfetta carità; avendo perfetta carità, si duole e debba dolere più di questi mali che vede, che de le pene o tribolazioni sue.

Oimé che è a vedere, che gli occhi nostri veggono contaminata la fede nostra! Essendo cristiani segnati del segno di Cristo, con le tenebre de la eresia perdono il sangue di Cristo: bene ci debba dolere, e con questo dolore cacciare ogni altro dolore. Io v'invito a portare con vera pazienza, e offrire voi medesima dinanzi da Dio con umile continua e fedele orazione. Non dormiamo più, ma destianci dal sonno de la negligenzia, ché tempo è di surgere: date tutta voi medesima, spogliando tutto il cuore e l'affetto vostro.

Attaccatevi a l'albero de la vita, a l'umile e immacolato Agnello, dove trovarete la virtù de la pazienza e ogni altra virtù: ché elle sonno tutte maturate e innaffiate col sangue. Oh quanto sarà beata l'anima, che con forza e col molto sostenere si trovarà vestita de le virtù! La lingua nol poterebbe mai narrare; ma provàtelo.

Anegatevi nel sangue di Cristo crocifisso, nel quale sangue ogni cosa amara diventa dolce, e ogni grande peso leggiero. Lo sangue c'insegna da amministrare la substanzia temporale: sì come ha fatto e fa continuamente in voi facendovi, dei povari e di coloro che hanno necessità, signori. Ora ministrate in questo prezioso sangue la propria vostra volontà: fatene sacrificio a Dio. Lo quale, sacrificio avendolo fatto, il mostrarete con la virtù de la pazienza. In altro modo mostrare nol potreste, e però vi dissi ch'io desideravo di vedervi fondata in vera e perfetta pazienza. Confortatevi in Cristo dolce Gesù. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Benedite etc. A tutte ci racomandate; e fate fare speciale orazione per la santa Chiesa e per Cristo in terra. Gesù dolce, Gesù amore.




356. A tre donne vedove spirituali di Napoli.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime madre e suore in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondate in vera e perfetta carità, affinché siate vere nutrici e governatrici delle anime vostre. Impoiché mai non potremmo nutrere altrui se prima non nutressimo l'anima nostra di vere e reali virtù; e di virtù non si può nutrere, se prima non s'attacca al petto della divina carità, del quale petto si trae il latte della divina dolcezza.

A voi, carissime suore, conviene fare come fa il fanciullo che, volendo prendere il latte, prende la mammella della madre e mettesela in bocca, unde col mezzo della carne trae a sé il latte. E così doviamo fare noi, se voliamo nutrere l'anima nostra, e dovianci attaccare al petto di Cristo crocifisso, in cui si trova la madre della carità; e col mezzo della carne sua traremo a noi il latte che nutre l'anima nostra e i figli delle virtù, cioè per mezzo de l'umanità di Cristo, poiché in essa umanità fu sostenuta e cadde la pena, ma non nella deità.

E noi non potremmo nutrerci di questo latte che traiamo dalla madre della carità, sanza pena. E differenti sono le pene: spesse volte sono pene di grandi battaglie o dal demonio o dalle creature, con molte persecuzioni, infamie, strazii e rimproverii. Queste sono pene in loro, ma non sono pene all'anima che s'è posta a nutrere a questo dolce e glorioso petto unde ha tratto l'amore - vedendo in Cristo crocifisso l'amore ineffabile che Dio ci ha mostrato col mezzo di questo dolce e amoroso Verbo -; e da questo amore ha tratto l'odio della propria colpa e della legge perversa sua, che sempre combatte contro lo spirito (Rm 7,23).

Ma sopra l'altre pene che porti l'anima che è venuta a fame e desiderio di Dio, sono i crociati e amorosi desiderii che ha per la salute di tutto quanto il mondo, poiché la carità fa questo: che ella s'inferma con quelli che sono infermi e fassi sana con quelli che sono sani; ella piagne con quegli che piangono e gode con coloro che godono, cioè che piagne con coloro che sono nel tempo del pianto del peccato mortale, e gode con coloro che godono nello stato della grazia. Allora ha l'anima presa la carne di Cristo crocifisso, portando con pene la croce con lui: non pena affligitiva che disecchi l'anima, ma pena che la ingrassa, dilettandosi di seguire le vestigie di Cristo crocifisso: e allora gusta il latte della divina dolcezza. E con che l'ha preso? Con la bocca del santo desiderio, in tanto che, se possibile le fosse d'avere questo latte senza pena, e con esso dare vita alle virtù - le quali virtù hanno vita dal latte della affocata carità -, non vorrebbe, ma più tosto sceglie di volerlo con pena per l'amore di Cristo crocifisso; poiché non le pare che sotto lo capo spinato debbano stare membri dilicati, ma più tosto portare la spina con lui insieme, non scegliendo punture a suo modo, ma a modo del capo suo. E facendo così, non porta; ma il capo suo, Cristo crocifisso, n'è fatto portatore.

Oh quanto è dolce questa dolce madre della carità, la quale non cerca le sue cose (1Co 13,5), cioè che non cerca sé per sé, ma sé per Dio; e ciò che ella ama e desidera, ama e desidera in lui, e fuori di lui nulla vuole possedere. In ogni stato che ella è, spende il tempo suo secondo la voluntà di Dio: se ella è secolare, ella vuole essere perfetta nello stato suo; se ella è religiosa suddita, ella è perfetta angela terresta in questa vita, e non appetisce né pone l'amore suo nel secolo, né nelle ricchezze volendo possedere in particulare, perché vede che ella farebbe contro al voto della povertà voluntaria. Sì che, in qualunque stato l'anima è, e in stato vedovile e in ogni modo, avendo in sé questa dolce madre della carità, nutrendosi al petto di Cristo crocifisso, ella gusta questo dolce e soave latte con ardente desiderio e con perfetto lume, perché s'ha tolta le tenebre del perverso e miserabile amore proprio di sé. Ora è il tempo da perdere sé, di non cercare sé né il prossimo per sé, ma per Dio, e Dio dolce in quanto egli è somma bontà, degno d'essere amato e cercato da noi; in lui dobiamo conoscere la verità, e annunziarla, e fortificarla nei cuori delle creature che hanno in loro ragione, sanza timore servile.

Ora è il tempo del bisogno che voi e gli altri servi di Dio vi disponiate a sostenere per la verità, e che l'amore, il quale avete trovato al petto di Cristo crocifisso, voi il manifestiate sopra al prossimo vostro, portandolo per affetto d'amore con compassione, nel conspetto di Dio con lacrime, vigilie, e umili e continue orazioni. Non dobiamo terminare la vita nostra altro che in pianto e in amaritudine, per vedere levate tante tenebre da coloro che debono dare luce nel corpo mistico della santa Chiesa. Dissolvasi la vita nostra; diamo agli occhi nostri fiume di lacrime; mugghi lo desiderio sopra questi morti, affinché si partano dalla morte e giunghino alla vita.

Or che è questo a vedere, che quegli che hanno eletto Cristo in terra, papa Urbano VI, con tanto ordine, ora per l'amore proprio, e miserabile vita loro, dicano che non è papa? Guardate, carissime sorella che voi non cadeste in tanta ignoranza né in tanta cecità che voi credeste a questi iniqui e malvagi uomini, non degni d'essere chiamati uomini, ma più tosto dimoni incarnati; ma ferme e stabili - non seguitando la natura della femina che si vòlle come la foglia al vento -, ma virili e constanti confessate e tenete che così è la verità, che papa Urbano VI è veramente papa, vicario di Cristo in terra. E se voi teneste il contrario, sareste riprovate da Dio, partirestevi dalla verità e seguitereste la bugia e il demonio che è padre delle bugie (Jn 8,44).

Ho grande desiderio di ritrovarmi con voi, perché, poi che frate Roberto mi contò di voi e teneramente vi raccomandò a me, miserabile piena di difetto, vi concepei amore. E però mi mossi a scrivervi toccandovi alcuna cosa di questa materia, affinché non andiate vacillando con la mente vostra, ma perché voi vi fermiate in questa verità. Forse che Dio adempirà i nostri desideri di ritrovarci insieme: allora più largo e lungamente ne potremo parlare. Bastivi questo, che se volete nutrervi a questo glorioso petto - sì come nel principio io vi dissi che io desiderava di vedervi -, e se volete gustare il latte della divina dolcezza dell'affocata carità di Cristo in cielo, vi conviene tenere affermativamente che papa Urbano VI è veramente Cristo in terra, vero e sommo pontefice, e veruno altro no, mentre che questo vive; e chi tenesse il contrario sta in stato di dannazione, come ribelle alla santa Chiesa e all’obbedienza di Cristo in terra.

Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 19:35

363. A maestro Andrea di Vanni dipentore.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi costante e perseverante nelle virtù; e non fatto come la foglia che si vòlle al vento.

Ma, come arbolo, dovete essere piantato al basso della terra de la vera umiltà, a ciò che lo vento della superbia non possa offendere l'arbolo dell'anima vostra; la quale è uno arbolo d'amore perché è creata da Dio per amore, e però è d'amore, e non può vivere d'altro che d'amore: cioè o d'amore santo, o d'amore sensitivo proprio di sé medesimo. Lo quale dà morte e priva della vita della grazia, posto nell'altezza del monte della superbia dove giongono i venti in diversi modi contrarii, i quali tutti l'offendono, e fanno cadere i frutti e rompere i rami; e se egli non si fortifica ponendovi lo remedio, dà a terra l'arbolo.

E alcune volte giongono venti subbiti di ladie e diverse tentazioni e cogitazioni nel cuore, le quali spesse volte scuotono l'arbolo, e dinudanlo de le foglie - ciò sono i santi pensieri, con le dolci parole caritative col prossimo suo -, le quali foglie hanno a guardare i frutti; quando uno altro vento giogne, lo quale entra nei cuori delli uomini, ed esce per la bocca. E questi sono i persecutori del mondo, i quali, entrata la puzza nei cuori loro, gittano i venti, per la bocca, delle molte mormorazioni ingiurie scherni e villanie, in detto e in fatto. Questo è quello vento che fa cadere lo frutto de la pazienza, e rompe i rami dell'altre virtù; e dà a terra l'arbolo, se egli non lo remedisce con l'amore di Dio e carità del prossimo. E tutto questo gli adiviene - di ricevere danno da' venti - perché egli è posto in alto, poiché se egli fusse a basso, in mezzo tra due monti, non gli adiverrebbe, perché percotarebbero i monti facciorti, e non lui, ma solamente sentirebbe lo busso.

Che remedio ci ha che questo arbolo si transpianti ne la valle e terra de l'umiltà? Dicovelo: con uno vero cognoscimento di noi medesimi, e con un odio e pentimento della propria sensualità, poiché in altro modo non potremmo essere umili. Ma allora si trovarà tra due monti facciorti, cioè tra la virtù della fortezza e de la vera pazienza, le quali ricevono i colpi di qualunque vento contrario si vuole essere; anco, quanto più contrarii ha, più si fortifica e si prova l'anima essere forte, provandosi la virtù de la pazienza.

Allora si conservano le virtù, e maturansi questi frutti, dando dottrina con la parola ed edificazione al prossimo, coi fiori odoriferi dei santi pensieri del giusto giudizio che l'anima piglia, giudicando in sé e nel prossimo suo la volontà dolce di Dio - che non vuole altro che il nostro bene - e non quella delli uomini; mortificando ogni suo parere, e uccidendo la propria volontà; e mantenendo e notricando l'arbolo de la carità del prossimo suo, con ansietato desiderio della salute delle anime; dilettandosi di questo cibo per onore di Dio.

Oh quanto è glorioso l'arbolo dell'anima nostra, quando è piantato così dolcemente, perché si conforma con l'umilità de lo immacolato Agnello dunde aviamo avuta la vita, uno sole di grazia e di misericordia; la quale misericordia non si poteva avere con tutte le nostre giustizie, ma poi che Dio s'aumiliò a l'uomo, dandoci questo dolce e amoroso Verbo - e lo Verbo del Figlio di Dio con vera pazienza s'aumiliò all'obrobiosa morte della croce -: sì che le nostre giustizie e ogni virtù vale per l'umilità sua, e per la virtù del suo prezioso sangue, sparto con tanto fuoco d'amore. Si ché vedete che altro modo non ci ha a conservare e crescere nella virtù.

E però vi prego, carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, che impariate da questo dolce e immacolato Agnello a stare sempre a basso per vera e dolce umilità, a ciò che sempre conserviate e cresciate la virtù in qualunque stato voi sete; poiché colui che è umile, ogni sua opera spirituale e temporale gli vale a vita eterna, perché è fatta in grazia. Se egli fa opere temporali, esse gli danno vita, perché le fa con l'occhio dirizzato in Dio; e se elle sono spirituali, gittano odore di virtù dinanzi a Dio e dinanzi alli uomini del mondo; e se egli è in stato di signoria, gitta odore di santa giustizia, poiché colui che è umile non fa ingiustizia verso lo prossimo suo, né dispiacere, anco l'ama come sé medesimo.

E così vi prego, carissimo figlio, che ora ne lo stato vostro manteniate ragione e giustizia al piccolo come al grande, al povaro come al ricco; e aguegliatamente a ciascuno rendere lo debito suo, secondo che vuole la giustizia santa, condita con la misericordia. Sono certa, per la bontà di Dio, che lo farete, e io ve ne strengo quanto so e posso; e pregovi che vi ritroviate, in questo dolce Avento e nella santa Pasqua, nel presepio con questo dolce e umile Agnello, dove trovarete Maria con tanta reverenzia a quello figlio, pellegrina in tanta povertà - avendo la ricchezza del Figlio di Dio - che non ha panno da poterlo invòllere né fuoco da scaldare esso fuoco, Agnello immacolato; ma gli animali aciando sopra lo corpo del fanciullo, lo riscaldavano col fiato loro. Bene si debba dunque vergognare la superbia e le delizie stati e ricchezze del mondo, di vedere Dio tanto umiliato.



Perciò visitate questo prezioso luogo in questo Avento, a ciò che potiate rinascere a grazia. E a ciò che meglio lo potiate fare, e ricevare questo Bambino, fate che vi confessiate e vi disponiate, se possibile v'è, a la santa comunione. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





364. Al papa Urbano VI predetto.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con cuore virile, affinché realmente riprendiate i vizii che tutto dì si commettono; e spezialmente quelli vizii che sonno contro alla santa volontà vostra - poniamo che ogni vizio vi dispiaccia sì come debbano fare a l'anima che teme Dio, di dispiacerle l'offesa che è fatta contro il suo Creatore -.

O santissimo padre, aprite l'occhio de lo intelletto, e con esso riguardate ne l'oggetto della dolce verità. Ine conosciarete quanto sete tenuto e obligato d'avere l'occhio vostro sopra i vostri figli, e riguardare di metare aitatori che v'aitino a guardare le pecorelle, sì che - quando elle fussero inferme della grave infermità che lo' dà morte, cioè della colpa del peccato mortale - questi infermi, quando li vedete, o vi fussero fatti vedere per quelli che amano la Santità vostra, non gli dovete sostenere apresso di voi nel ventre della santa Chiesa; o voi gli corregete, e teneteli per modo che essi non possano commettare iniquità, almeno di quelle che tanto vi dispiacciono cordialmente, delle quali io so che la Santità vostra m'intende, e non bisogna ch' io ve la spieghi altrimenti.

Io vi dico che la divina bontà si lagna che la Sposa sua è spogliata delle piante vecchie, che invecchiate erano nei vizii, in molta superbia immondizia e avarizia, commettendo le grandissime simonie; e ora le piante nuove, le quali con la virtù debbano confondare i vizii, e esse si cominciano a dilargare e a pigliare quello stile medesimo. Di questo si lagna Cristo benedetto, ch'ella non è spazzata dei vizii, e la Santità vostra non ci ha quella solecitudine che deve avere.

Voi non potete di primo colpo levare i difetti delle creature, i quali si commettono comunemente nella religione cristiana - massimamente ne l'ordine chericato, sopra dei quali dovete più avere l'occhio -; ma ben potete e dovete fare per debito - e se non, sì l'avareste sopra la coscienza vostra - almeno di farne la vostra possibilità: lavare lo ventre della santa Chiesa, cioè procurare a quelli che vi sono presso e intorno voi, spazzar lo' del fracidume, e ponarvi quelli che attendano a l'onore di Dio e vostro e bene della santa Chiesa, che non si lassino contaminare né per lusinghe né per danari. Se riformate questo ventre della Sposa vostra, tutto l'altro corpo agevolemente si riformarà, e così sarà onore di Dio, e onore e utilità a voi; con la buona e santa fama e odore delle virtù si spegnerà la 'resia; ciascuno corrirà alla Santità vostra vedendo che voi siete estirpatore dei vizii, e mostriate in effetto quello che desiderate. E non curo che vi curiate, né per vestimento né per altro, più di grande valuta che di piccola; ma solo che sieno uomini schietti, che vadano con dirittura e non con falsità.

Sapete che ve ne diverrà, se non ci si pone rimedio in farne quello che ne potete fare? Dio vuole in tutto riformare la Sposa sua, e non vuole ch'ella stia più lebbrosa; se non lo farà la vostra Santità giusta lo vostro potere - che non sete posto da lui per altro, e datavi tanta dignità -, lo farà per sé medesimo col mezzo delle molte tribolazioni: tanto levarà di questi legni torti, ch'egli li drizzarà a modo suo. Oimé, santissimo padre, non aspettiamo d'essere umiliati, ma lavorate voi virilmente, e fate le cose vostre secrete e con modo, e non senza modo - ché il fare senza modo più tosto guasta che non acconcia -; e con benevolenza e cuore tranquillo udite quelli che temono Dio, e diconvi quello che bisogna e si debba fare, manifestandovi quelli difetti che sapessero che si commettessero intorno alla Santità vostra. Babbo mio dolce, grandissima grazia vi debba essere d'avere di quelli che v'aitino a vedere e a procurare di quelle cose che fussero vitoperio a voi, e danno delle anime.

Mitigate un poco per l'amore di Cristo crocifisso quelli movimenti sùbiti, che la natura vi porge: con la virtù santa date il botto alla natura. Come Dio v'ha dato lo cuore grande naturalmente, così vi prego e voglio che v'ingegniate d'averlo grande sopranaturale, cioè che col zelo e desiderio della virtù e della riformazione della santa Chiesa acquistiate cuore virile fondato in vera umilità. Per questo modo avarete lo naturale e il sopranaturale, ché il naturale senza l'altro poco ci farebbe, ma darebbeci più tosto movimento d'ira e di superbia; e quando venisse a vedere a fare alcuno fatto di coregiare persone che li fussero molto intrinsiche, allentarebbe i passi e diventarebbe pusillanime. Ma quando c'è agionta la fame della virtù - che l'uomo attenda solo a l'onore di Dio, senza alcuno rispetto di sé -, egli riceve lume, fortezza, costanzia e perseveranza sopranaturale che mai non allenta, ma tutto virile, sì come egli debba essere.

Di questo ho pregato e prego continovamente il sommo e eterno Padre che ne vesta voi, padre santissimo di tutti i fedeli cristiani, ché mi pare che nei tempi nei quali ci troviamo n'abbiate grandissimo bisogno. Io, miserabile e ignorante figlia, non mi restarò mai, sicondo ch'egli mi darà la grazia: terminare voglio la vita mia per voi e per la santa Chiesa in continovo pianto, vigilia, e fedele umile e continova orazione, quanto Dio mi concedarà; ché da me nessuna cosa potrei. So che a l'umile, continova e fedele orazione non sarà disdetto quello che si dimandarà dalla infinita bontà di Dio, essendo giusta petizione. E così gli altri servi e figli vostri, che temono Dio, fanno e faranno questo per voi, e tanto più, quanto essi sonno buoni e io piena di difetto.

Fate voi dal lato vostro quello che dovete e potete; e così mitigaremo l'ira di Dio e darete rifrigerio ai servi suoi. Sono certa che, avendo lo cuore virile, come detto è, voi lo farete; in altro modo, no: e però dissi ch'io desideravo di vedervi lo cuore virile; e così desidera l'anima mia. Allora sarete lo gaudio, l'alegrezza e consolazione mia e degli altri servi di Dio, che riguardano alle mani della Santità vostra, i quali v'amano, e cercano l'onore di Dio e il vostro con ogni solecitudine; non infinti, avendo una in lengua e un'altra in cuore. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Piaccia alla Santità vostra di tenere persone fedeli presso a sé, che si vega che temano Dio, affinché quello che si fa e dice in casa vostra non sia riportato ai dimoni incarnati - che i difetti loro sonno nostri nemici -, cioè a l'antipapa e ai seguaci suoi. Perdonate, padre santissimo, alla mia presunzione, ché ho presunto di scrivare a voi sicuramente, costretta dalla divina bontà, e dal bisogno che si vede, e dall'amore ch'io porto a voi. Sarei venuta e non arei scritto, se non per non darvi tedio nel tanto mio venire. Abbiate pazienza in me, ch'io non mi ristarò mai di stimolarvi con l'orazione o con la boce viva o con lo scrivare, mentre ch'io viverò, tanto ch'io vedrò in voi e nella santa Chiesa quello ch'io desidero, e ch'io so che molto più di me voi desiderate. A dare la vita, se bisogna, santissimo padre! e non dormiamo più.

Umilemente v'adomando la vostra benedizione. Gesù dolce, Gesù amore.





365. A Stefano di Corrado Maconi.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti fuori delle mani dei nimici tuoi. Parmi, s'io non sono ingannata, che la divina bontà facci già apparire l'aurora, und'io spero che tosto ne venga il dì chiaro che sia levato il sole.

Tu fusti preso, sicondo che mi scrivi: ma non nel tempo della notte, ma nel tempo del dì. Puoi, adoparando la clemenza dello Spirito santo, apparbe l'aurora nei cuori dei dimoni incarnati, unde tu fusti lassato. Pensati, dolcissimo figlio, che mentre che tu starai nella notte del vero cognoscimento di te, tu non sarai mai preso; ma se la propria passione volesse passare col dì del proprio sensitivo amore, o l'anima volesse passare prima al dì del cognoscimento di Dio che alla notte del cognoscimento di sé, sarebbe presa da' nimici suoi. E non è dubbio che se l'anima con ansietato e dolce desiderio non sta nel cognoscimento di sé, e della bontà di Dio in sé, i si trovarebbe menato preso da' nimici di Dio: subito lo nemico della presunzione col legame della superbia, le passioni e le dilizie e stati del mondo, lo demonio e la carne, tutti ci piglierebbono.

E però voglio che sempre ti riposi tra il dì e la notte, cioè conoscendo te in Dio, e Dio in te. Allora trovarai che nimici che t'avessino legato, e agombrato lo cuore di molti e varii pensieri; ricevarà lo cuore l'aurora; saratti detto dentro nell'anima tua, e tu il dirai ancora: «Vatti in pace, e riposati in pace in su la mensa della croce, du' troverai la pace e la quiete, stando nel mare tempestoso». Quanta pace vi fu quando - voi agnelli in mezzo di que' lupi - i vi fu detto da loro: «Andatevi in pace»! Essendo anco tra la guerra loro, gustaste la pace, quando voi l'udiste. E così ti pensa che, quando l'anima si sente presa con molti e diversi pensieri, ella si conforma con la volontà di Dio, vedendo con quanto amore egli le il concede, e quanto ci fanno venire a più perfetta sollicitudine e vera umilità: vi trova la pace, essendo ancora nel tempo della guerra.

Ora disidera l'anima mia che, puoi che il dolce sposo eterno vi campò miracolosamente e trassevi delle mani loro, così prego lui che tosto ti traga degli altri, i quali ci sono maggio nemici e più crudeli che non erano eglino: questi erano nimici del corpo, ma gli altri sono nemici dell'anima. E così è la verità: che i dimestici dell'uomo sicondo lo mondo sono nostri nimici (Mt 10,36); e spezialmente quegli che ci sono più congiunti, che non pare che attendeno altro che alla propria utilità. Quando tu sarai dilibarato da loro, escito fuore di prigione, sarà levato lo sole. Ora sei nell'aurora, che anco ben bene non ti lassa gustare né discernere la virtù, perché non sei ancora nel tempo del sole che tu sia sciolto da questi nimici dimestici.

Ma io voglio, carissimo figlio, che tu ti conforti ora in questo tempo dell'aurora, poiché tosto ne verrà lo sole. Udiremo quelle dolci parole: «Lassa i morti sepellire ai morti, e tu mi segue» (Mt 8,22). Altro non ti dico sopra a questo fatto. Anniegati nel sangue di Cristo crocifisso, nisconditi nel costato di Cristo crocifisso, affinché i nemici non ti truovino più. Or non dormire nel letto della nigligenzia, e vienti sciogliendo tosto, affinché meglio ti possa legare.

Rispondoti al fatto dell'andare alle messe. Voi fate bene di non andarvi; e d'avervi fatti famegli di missere Giacomo, s'io l'avessi saputo non l'avreste fatto, ma serestevi stati umili e obbedienti, aspettando con pazienza come gli altri lo tempo della pace. Ora ti dico che, se chiaramente i vi mostra in verità, e che non s'intenda né facci la conscienzia a modo suo, che voi v'andiate; e quando che no, no. Che se già la dignità sua non la può pigliare largamente, non so ched i si intenda altro che della famiglia sua propria, la quale stesse al servizio suo. Ché noi sappiamo pure che, perch'io mi faccia titolo d'essere suo fameglio, io pure non sono né voglio essere; nondimeno, forse che la sua dignità per grazia singulare ha di poterlo fare.

Se n'avete avuta tanta dichiarazione che basti, sono contenta.

Del tuo venire, puoi che per lo fatto d'Anibaldo non è bisogno, per questo non te richeggo che tu venga; ma bene l'avrei avuto molto caro che tu fussi venuto, e che tu venissi, se venire puoi senza scandalo, ma con scandalo e turbazione del padre e della madre, no, fino che lo scandalo non fosse necessario. Anco voglio, in chesto tempo, che gli fuga, quantunque tu puoi. Sono certa che, se la divina bontà vedrà che sia lo meglio, che cessarà lo scandalo, sicché tu potrai venire con pace. Vieni, se tu puoi. Se monna Lapa torna a Siena, fate ch'ella vi sia raccomandata.

A Petro risponde che dei danari che mi mandò, dicendo dell'avanzo del cavallo, io non ebbi mai nulla, né mai parola ne feci di avergli, né pensiero veruno; né mai a me non ne fu fatto parola nessuna, se non, il dì ch'io ebbi le lettere, venne Mino di Simone Mino a me, e dimandommi se questi danari io gli avesse avuti: sì ch'io gli rispuosi di no - come egli è la verità -, né parola udita mai. Dissemi che andarebbe a Andrea, e sì gliel direbbe s'egli gli recava; sì glili mandarò di quegli che degga dare. Se gli vuole dare, sì gli dia a Nanni. Altro non ti dico.

Permane nella santa e dolce carità di Dio.

Conforta Petro e tutti gli altri figli; e al priore ditegli che di monna Lapa farà quel che gli pare; e mandivi cui gli pare. Non scrivo a lui né a Petro, perché non ho tempo, ché sono occupata d'altro scrivere.

Dice il tuo negligente fratello Barduccio, che tu sì ne venga tosto, per alcuna cosa ch'egli ha a fare, ché vorrebbe la tua compagnia. Pargli malagevolemente trovare lo modo di farla, se tu non sei con lui: tanto che, se non ci vieni, verrà fino a te, inanzi che la faccia. Sievi raccomandato nell'orazione di te e degli altri, perché n'ha grande bisogno; ché ora è messo al paragone per sempre. Lisa similemente ti prega che preghi Dio per liei, tu e gli altri. Gesù dolce, Gesù amore.

Di Baptista, ti rispondo che sarà bene fatto che voi lo mandiate (...) oltre acciò, che sia buona pianta novella nel corpo mistico della santa Chiesa. Ma tanto ti dico, ch'io vorrei volentieri che fusse o con misser Tommaso, o con misser Martino, poiché sono uomini virtuosi e sofficienti in ogni cosa. Mandai a chiedere alla Contessa lo libro mio; e òllo aspettato parecchie dì, e non viene. E però se tu vai là, dì che il mandi subito; o tu ordina che chi vi va lo dica, e non manchi.





366. A maestro Andrea di Vanni dipentore.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi osservatore dei santi e dolci comandamenti di Dio, a ciò che, terminata la vita vostra, voi potiate avere la eredità di vita eterna.

Ma voglio che voi sappiate che la legge di Dio non si può osservare mentre che l'uomo giacesse nell'amore proprio di sé medesimo, poiché colui che ama sé di disordenato amore non può amare né servire lo prossimo suo coraggiosamente, come debba, e i comandamenti della Legge stanno solamente nella carità di Dio e del prossimo: cioè d'amare Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come sé medesimo. E però colui che disordenatamente s'ama non gli può osservare infine che non si spoglia dell’uomo vecchio, cioè della propria sensualità, e vestasi del nuovo, Cristo dolce Gesù, seguitando la dottrina sua.

Perciò c'è necessario, carissimo figlio, di venire a odio santo e di noi medesimi, a ciò che in verità amiamo e temiamo Dio. E se voi mi diceste: «Che modo posso tenere per avere questo odio, a ciò che io abbi questo amore? e dove lo truovo?», io vi rispondo: lo modo è questo, che voi apriate l'occhio dell'intelletto vostro col lume della santissima fede; poiché senza lo lume non potreste vedere lo luogo.

Lo luogo dove egli si trova è la casa del cognoscimento di noi medesimi; e in altro luogo non possiamo conoscere, e non conoscendo la cosa buona da la gattiva, non si può odiare né amare.

Ma come l'occhio dell'intelletto col lume de la fede raguarda in questa casa del cognoscimento di sé - vede sé per sé non essere, anco l'essere suo conosce e vede averlo da Dio -; che egli conosce e vede tanta larghezza e fuoco di carità - cioè d'essere creato ad immagine e similitudine di Dio, e d'essere recreato a grazia nel sangue dell'unigenito suo Figlio -; e più, che si vede essere quella pietra e terra che tenne ritto lo gonfalone della santissima croce, - sì che la croce non era sufficiente né la terra a tenerla ritta, né i chiodi a tenerlo confitto e chiavellato in croce, se l'amore non l'avesse tenuto -, allora cresce l'anima nell'amore con ansietati e dolci desiderii, osservando i comandamenti suoi, cioè d'amarlo sopra ogni cosa, e il prossimo come sé medesimo.

E vedendo che utilità a Dio non può fare, fa utilità al suo prossimo, amandolo e servendolo in ciò che egli può; e così dimostra l'amore perfetto che egli ha al suo Creatore, poiché con altro mezzo non può mostrare l'amore e la virtù che è dentro nell'anima, se non col prossimo: perché ogni virtù si pruova con questo mezzo. E poi che l'anima ha trovato amore per lo cognoscimento che ha avuto di Dio, ed ella trova la balia de l'umilità, la quale è balia e nutrice della carità. Dove la trovò? Nella casa del cognoscimento di sé, là dove egli trovò la carità, come detto è, poiché colui che conosce sé medesimo non ha materia di insuperbire, poiché la cosa che non è non può venire a superbia.

Necessario è dunque che chi non è superbo, sia umile: poi che egli ha cognosciuto sé e la bontà di Dio in sé, ama ed è umile, e da l'umilità conosce i difetti suoi, e vedesi sempre combattere con la perversa legge del corpo suo contro alla grande bontà di Dio, che egli ha cognosciuta in sé. E però si leva con odio santo e pentimento della propria sensualità; e per l'odio che ha, ne vuole fare vendetta. E con che ne la fa? Con darle lo contrario di quello che l'amore sensitivo vuole. Ella si vuole dilettare del vizio, e la ragione le dà lo contrario, ché si diletta della virtù; dilettasi de l'onore e dello stato e dei disordenati diletti e di fare ingiustizia al prossimo, e l'anima che col lume della ragione ha cognosciuto Dio, ne fa la vendetta, spregiando lo mondo con tutte le sue delizie - o attualmente, che al tutto si parte dal mondo, o egli vi sta attualmente e levasene col santo desiderio: e questo debba fare ogni creatura che ha in sé ragione -; e fa giustizia - poiché giustamente rende a Dio la gloria e l'onore, e a sé rende odio e pentimento della propria sensualità, e amore de la virtù -; e al prossimo rende carità di carità e fatica - affaticandosi per la salute sua: per l'anima offera orazioni, e il corpo soviene della sustanzia temporale, se egli n'ha, o di qualunque altra cosa egli lo può sovvenire -. E se egli è in stato di signoria, fa giustizia e ragione al grande e al piccolo, e al povaro come al ricco, e non teme di dispiacere ad alcuna creatura; ma solo teme Dio, poiché lo timore servile lo perdette nell'amore divino e nell'odio santo di sé medesimo, e questa è la principale vendetta che fa l'anima della propria sensualità.

Una altra vendetta fa: che gastiga lo corpo suo, quando impugnasse contro allo spirito. E anco non si chiama contento di questo; ma ciò che egli fa, gli pare fare poco, e desidera che altri ne la facci per lui, quando egli pensa all'offese che ha fatte al suo Creatore. E però non si scandalizza della ingiuria, né d'alcuna altra tribulazione o pena che sostenesse o da le creature o da Dio - cioè che Dio gli desse alcuna disciplina, o perché egli sotraesse da la mente sua la consolazione della mente, e lassasseli dare al demonio le molte tentazioni e battaglie -, ma tutte s'ingegna di portarle pazientemente; e fa forza a sé medesimo, tenendo la volontà che non si scandalizzi, e umiliando sé medesimo, reputandosi degno della fatica e indegno del frutto che segue doppo la fatica, e indegno de la pace e quiete de la mente. E così trae fuore la pazienza, che è lo midollo de la carità.

E per questo modo ha adempita tutta la legge, cioè d'amare Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come sé medesimo. Con che la vidde e cognobbe? con l'occhio dell'intelletto e col lume de la santissima fede. Dove la trovò? nel cognoscimento di sé, nel quale cognoscimento trovò la bontà di Dio, e però l'amò; e trovò la miseria sua, e però s'aumiliò e concepette odio al vizio e a la propria sensualità. Senza questo cognoscimento non poteva osservare la legge; e non osservandola, è privato l'uomo della grazia e del regno di Dio, lo quale regno è la eredità che dà lo sommo Padre ai legittimi figli che virilmente combattono nel campo della battaglia coi nemici loro, non vollendo lo capo a dietro.

E però vi dissi che io desideravo di vedervi osservatore dei santi e dolci comandamenti di Dio, a ciò che aveste qui la vita della grazia, e nell'altro vita eterna. Pregovi per l'amore di Cristo Crocifisso che v'ingegniate d'osservarli infine alla morte. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





367. Ai magnifici Signori Difensori del Popolo e Comune di Siena

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli e padri in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi servi fedeli alla santa Madre Ecclesia affinché siate membri legati coniunti col capo vostro sì come veri e fedeli cristiani, con zelo santo di vera e santa giustizia, volendo che la margarita della santa giustizia sempre riluca nei petti vostri, levandovi da ogni amore propio, attendendo al bene universale della vostra città, e non propiamente al ben particolare di voi medesimi.

Poiché colui che ragguarda solamente a sé vive con poco timore di Dio; non osserva la giustizia, anco la trapassa e commette molte ingiustizie; lassasi contaminare alle lusenghe degli uomini alcune volte per denari, alcune volte per piacere a coloro che gli dimandano il servizio, che sarà una ingiustizia ad averlo; alcune volte, per fuggire la punizione del difetto che avrà commesso, sarà diliberato, colà dove la verga della giustizia debba venire sopra di lui. Costui ha fatto come iniquo uomo: degno sarebbe che quella medesima disciplina che doveva venire in colui che egli ha diliberato per denari, venisse sopra di lui. I povarelli che non commettaranno, delle mille parti l'una, tanto difetto, lo' sarà data dura punizione senza alcuna misericordia. Terrà occhio spesse volte l'uomo miserabile, posto a governare la città (e non governa anco sé medesimo), che le povarelle e povarelli sieno rubbati, non tenendo lo' punto di ragione; ma terranno occhio ch'ella sia data a colui che non l'ha.

Non me ne maraviglio, se questi cotali commettono ingiustizia, perché essi si veggono fatti crudeli a lor medesimi, vivendo in tanta immondicia che, dal porco che s'involle nel loto a loro, non ha nulla; in tanta superbia, che per la superbia loro non possono sostenere che lo' sia detta la verità. Mordono, con rimproverio, il prossimo loro, con guadagni inliciti, e con molti altri infiniti mali dei quali io taccio per non attediarvi di parole. Per questo non mi maraviglio che manchino nella santa e vera giustizia.

E però Dio ha permesso e permette che noi riceviamo tante discipline e tante fatiche, che mai non credo che fussino vedute simili, poi il mondo fu mondo, cioè per questo modo. Chi n'è cagione? L'amore propio, donde escono le ingiustizie, e caggiono nella irreverenzia della santa Chiesa: di figli fedeli, diventano infedeli. Questo aviamo veduto e vediamo manifestamente, che egli è così.

E però vi dissi che volevo che fuste giusti, rilucesse nel petto vostro la margarita della giustizia: ché altrimenti non compireste il desiderio mio, che desidero che siate servi fedeli alla santa Chiesa, obedienti a papa Urbano VI - sì come veri e fedeli cristiani -, il quale è veramente papa, vicario di Cristo in terra.

Ora m'avvedrò, carissimi padri, se sarete figli, o no. Nel tempo dil grande bisogno, si vedrà se il figlio sarà amatore del padre, provedendo a sovvenire alla sua necessità, secondo che gli sarà possibile.

Ora vediamo il padre nostro e la santa Chiesa in tanto bisogno, che mai non l'ebbe simile, per li malvagi e iniqui uomini i quali erano posti nel giardino della santa Chiesa per dilatare la fede, ed essi son quelli che l'hanno tutta contaminata, seminando scisme e grandissime eresie. Noi cristiani, e figli a così dolce padre, e giusto, cioè papa Urbano VI, ci doviamo mettere ciò che si può, per confondere e distruggere questa bugia. Eziandio se bisogna morire, moriamo, ché il morire ci sarà vita. Non dormite più, ché non è tempo da dormire, ma destatevi dal sonno, per onore di Dio, bene della santa Chiesa, e utilità vostra.

Neuno sacrificio potete donare al vostro Creatore che tanto gli sia piacevole, quanto questo, e non vi paia duro; ché non v'è paruto duro né malagevole, di tanto tempo quanto è passato, avere servito contro Dio e contro ogni ragione, a quelli che erano membri allora fetidi, ribelli alla santa Chiesa: del quale servizio non aveste né avete altro che danno dell'anima, del corpo, e della sustanzia temporale con molta vergogna, confusione di mente, e vituperio, rimanendone il verme della coscienza. In tutto questo non pensaste, ma liberamente abandonaste voi medesimi per volere essere trovati fedeli a quello che promesso avavate, la quale fede osservare non si doveva, perché non si osservava senza colpa; e colpa in neuno modo si debba commettere.

E se tanto s'è fatto in servizio del demonio, quanto maggiormente ora dovete sforzare ogni vostro potere! Dovete servire, per Cristo crocifisso, e per debito al vicario suo, Cristo in terra, papa Urbano VI, il quale dovete tenere per sommo pontefice. E chi tiene il contrario, è eretico riprovato da Dio, membro del diavolo. E neuno sia, che vadi vacillando o zoppicando con la mente sua, per illusione del demonio, a detto di veruna creatura, dicendo: «Forse che è; e forse che non è». Non così, per l'amore di Dio! ma affermativamente, con amore cordiale, tenete che il nostro padre è papa Urbano VI, a malgrado di chi dice il contrario. Lui dovete obedire e sovvenire: e, se bisogna, morire per questa verità. Al frutto dell'aiuto che farete, m'avvedrò che in voi sia il fiore della santissima fede, d'essere servi fedeli alla santa Chiesa e al dolce e giusto padre vostro; il quale confesso e confessarò inanzi a tutto il mondo fino alla morte, che papa Urbano VI è veramente papa, vero e sommo pontefice. Oimé, non indugiate più a sovvenire questa dolce Sposa di Cristo. Spero, per la infinita bontà di Dio, che egli vi farà fare quello che v'è debito e dovere. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

So che egli ama voi cordialmente come figli. Amate e reverite lui come caro padre. Gesù dolce, Gesù amore.





368. A Stefano Maconi sopradetto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti levato dalla tiepidezza del cuore tuo, affinché non sia vomicato dalla bocca di Dio, udendo quello rimproverio: «Maladetti tiepidi! Che almeno fuste voi stati pur ghiacci! » (Ap 3,15-16).

Questa tiepidezza procede dalla ingratitudine, la quale ingratitudine esce dal poco lume che non si dà a vedere lo crociato e consumato amore di Cristo crocifisso, e gl'infiniti beneficii da lui ricevuti; poiché se in verità gli vedessimo, lo cuore nostro ardarebbe (Lc 24,32) di fuoco d'amore: saremmo affamati del tempo, essercitandolo con molta sollicitudine in onore di Dio e salute de l'anime. A questa solicitudine t'invito, carissimo figlio, che ora di nuovo ci cominci a lavorare.

Mandoti una lettera che io scrivo ai Signori, e una alla Compagnia della Vergine Maria: vedile e comprendile; e poi le darai. Poi sia con etc., con ciascuno di per sé, come fatto ti viene; e parla loro pienamente sopra questo fatto che si contiene nelle lettere, pregando ciascuno di loro per parte di Cristo crocifisso e mia, che con ogni sollicitudine adoperino quanto a loro è possibile coi Signori, e con chi l'ha a fare, che si facci quello che si die verso la santa Chiesa e il vicario di Cristo, papa Urbano VI. Molto gli grava, per mia parte, che lo' piaccia affaticarsi in questo fatto per onore di Dio e utilità della città, spiritualmente e temporalmente. Fa' che tu sia fervente, e non tiepido, in questa opera, e in stimolare i frategli e maggiori tuoi della Compagnia, che faccino la loro possibilità in quello ch'io scrivo. Se sarete quello che dovete essere, mettarete fuoco in tutta Italia, non tanto costì. Altro non ti dico.

Permane nella santa etc.

Conforta etc. Tutti questi tuoi fratelli e sorella ti confortano in Cristo; e tutti t'aspettiamo. Gesù dolce, Gesù amore.





369. Al detto Stefano Maconi essendo essa a Roma (e questa fu l'ultima a lui).

Nel nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dolcissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con il desiderio di vederti specchio di virtù, a ciò che con l'essemplo della vita, con la dottrina della parola, e con la continua e umile orazione, tu sia uno strumento adatto a strappare l'anime dalle mani del demonio e riducerle alla Verità, Cristo dolce Gesù, come Dio ci richiede; a ciò che si renda buona ragione del talento (Mt 25,19) che egli ci ha dato ad essercitare la virtù e la vita de l'anima. E senza essa saremmo privati della vita della grazia, e in questa vita gustaremmo la caparra dell'inferno.

Oh quanto è piacevole e utile la virtù! La quale virtù s'acquista col mezzo de l'orazione fatta nella casa del cognoscimento di noi (nel quale cognoscimento troviamo lo fuoco della divina carità; e la miseria, ignoranza e ingratitudine nostra, unde trovaremo e traremo la vena dell'umiltà per il cognoscimento che avremo di noi) e nella smisurata bontà di Dio, la quale troviamo in questa casa. Per pruova e per fede nutreremo l'affetto nel fuoco della sua carità: allora sarà l'orazione nostra umile fedele e continua, fatta per amore con la memoria del sangue de l'umile Agnello, e così verremo a perfettissima virtù.

E non mi maraviglio se, per lo cognoscimento che l'anima ha di sé, ella viene a perfettissimo amore e virtù, poiché in neuno luogo troviamo tanto questo fuoco divino, quanto in noi. Poiché tutte le cose create sonno fatte da Dio per la creatura che ha in sé ragione; e la creatura ha creata per sé, affinché amasse e servisse lui con tutto lo cuore, con tutto l'affetto e con tutte le forze sue (Lc 10,27). E però l'anima che tanto si vede essere amata non può difendersi che non ami, poiché così è la condizione dell'amore.

Tanto fu pazzo e ineffabile l'amore suo verso di noi che, essendo noi fatti nemici per la colpa commessa, egli ci volse fare amici; e però ci mandò lo Verbo del suo Figlio affinché pagasse il bando nel quale la creatura era incorsa, mostrandoci nel prezzo la grande dignità nostra e la gravezza della colpa. Ben si debba Perciò consumare e dissolvere la durezza del cuore della creatura che ha in sé ragione, usandola: cioè che con lume di ragione e con la santissima fede raguardi in sé tanto amore, e il grande prezzo pagato per lei. Ma chi vive senza ragione, mai non il può vedere né conoscere; non conoscendo, non ama; e non amando, non gli è possibile di venire a veruna virtù, poiché ogni virtù ha vita da l'amore acquistato nell'affetto della carità. La quale carità, poi che aviamo acquistata in noi, doviamo usarla nel prossimo nostro spiritualmente e temporalmente, secondo la sua necessità e secondo che Dio ministra a noi, con ansietato desiderio della salute di tutto quanto lo mondo per onore di Dio, dilettandoci di sostenere pene e fatiche e la morte, se bisogna, per gloria e loda del nome di Dio: e così ci conformaremo col dolce Agnello.

Oggi è quello tempo, carissimo figlio, che Dio ci richiede questo sacrificio: ché vediamo il mondo in tanta tenebre, e specialmente la dolce Sposa di Cristo; e però voglio che sia sollecito di darglili. E perché senza il mezzo delle virtù non potresti, però dissi ch'io desideravo di vedervi specchio di virtù; e così voglio che con ogni studio t'ingegni d'essere. Non dico più qui.

Ieri ricevetti una tua lettera, nella quale etc. A questa ti rispondo breve: delle indulgenzie che scrivi ch'io ti promissi, ti rispondo che tu non aspetti da me né quello né niun altro servigio, se tu non ti vieni per esse. Non dico che io ti dineghi la tua necessità spiritualmente, ché questo più che mai intendo di fare: e della dottrina, e di quello desiderio che Dio infonderà ne l'anima mia, offerendoti nel suo dolce cospetto con maggiore sollicitudine che mai, in quanto più veggio lo bisogno, considerando lo stato tuo, lo quale tu dici che a te è spiacevole. Quando in verità ti spiacerà, io me n'avedrò: ché attualmente te ne levarai.

Allora dimostrarai di conoscere il tuo stato; ché fino a qui poco pare che l'abbi cognosciuto. Spero nella dolce bontà di Dio che, come un poco ha cominciato a levare il panno d'in su l'occhio tuo, così in tutto lo levarà via, e rimarrai con chiaro vedere del tuo stato, e tosto, purché tu non facci resistenza o i miei peccati non lo impediscano.

Rispondoti al fatto di misser Matteo. A me incresce e duole d'ogni pena e amaritudine che egli ha sostenuta per la ignoranza e negligenzia mia. Sappi che la sua pena è più mia che sua: Dio mi dia grazia che tosto si levi a lui e a me. Se quella lettera etc. Abbiate pazienza etc.

Intesi per una lettera che mi mandò l'Abbate, la quale contava delle piante che egli ha piantate nel suo e mio giardino - e è per piantare anco più -, tra le quali pare che sia tu con altri compagni, e setevi obligati.

Mostra etc. Ònne grandissima allegrezza di vedervi uscire della imperfezione e andare alla perfezione, ma molto mi maraviglio che tu ti sia obligato senza farne sentire nulla. Non è senza misterio: prego la divina dolce bontà che ne facci quello che sia suo onore e salute tua. Altro non voglio né desiderai mai, dal primo dì ch'io ti cognobbi, e che tu escisti del loto, per fino al dì d'oggi, e questo desiderio spero d'avere fino all'ultimo, per la bontà di Dio. Se tu hai sentito che lo Spirito santo t'abbi chiamato ed eletto a cotesto stato, hai fatto bene di non averli fatto resistenza; e io ne sarò consolata, quando ti senti chiamare, che tu risponda. Molte cose t'avarei a dire, le quali non posso né voglio scrivere. Neri è a Napoli, ché il mandai con l'Abbate Lisolo. Credo che stieno con assai fatiche, specialmente mentali, per tante offese quante vegono fare a Dio. Altro non dico.

Permane etc.

Conforta tutti cotesti figli, e singularmente Petro; e digli che, perch'io dica che Dio si diletta di poche parole e di molte opere, io non gli pongo però silenzio che egli non parli e scriva a me quello che sia sua pace e consolazione; anco, alcune volte n'ho avuta ammirazione che egli non ha scritto. Gesù dolce, Gesù amore.



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19/10/2012 19:40

370. Al papa Urbano VI.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, indegna e miserabile figlia, con grande desiderio desidero di vedere in voi una prudenzia con uno lume dolce di verità, per sì-fatto modo che io vi vegga seguire lo glorioso santo Gregorio; e con tanta prudenzia vi vega governare la santa Chiesa e le pecorelle vostre, che già mai non bisogni stornare veruna cosa la quale sia ordinata e fatta dalla vostra Santità, eziandio la minima parola, a ciò che nel conspetto di Dio e degli uomini sempre apparisca una fermezza fondata in verità, sì come debba fare il vero santo pontefice.

Di questo prego la inestimabile carità di Dio che ne vesta l'anima vostra, poiché mi pare che il lume e la prudenzia siano a noi di grandissima necessità, spezialmente alla Santità vostra, e a qualunque altro fusse nel luogo vostro, massimamente ai tempi che corrono oggi. Perché io so che avete desiderio di trovarla in voi, però ve il rammento, manifestandovi lo desiderio de l'anima mia.

Ho sentito, padre santissimo, della risposta che ha fatta l'empio Prefetto, drittamente empito d'ira e di irreverenzia, agli ambasciadori romani; sopra la quale risposta pare che debano fare Consiglio generale, e poi debbono venire a voi i caporioni, e certi altri buoni uomini. Pregovi, padre santissimo, che, come avete cominciato, così perseveriate di ritrovarvi spesso con loro; e con prudenzia legarli col legame de l'amore. E così vi prego che ora, in quello che essi vi diranno, fatto il Consiglio, con tanta dolcezza gli riceviate quanta più potete, mostrando a loro quello che è di necessità, secondo che parrà alla Santità vostra.

Perdonatemi, ché l'amore mi fa dire quello che forse non bisogna di dire, poiché io so che dovete conoscere sì la condizione dei figli vostri romani - che si tragono e si legano più con dolcezza che con altra forza o asprezza di parole -, e anco conoscete la grande necessità, che è a voi e alla santa Chiesa, di conservarvi questo popolo all’obbedienza e reverenzia della vostra Santità, poiché qui è il capo e il principio della nostra fede. E pregovi umilmente che con prudenzia miriate di sempre promettere quello che vedete essere a voi possibile di pienamente atenere, affinché non ne seguiti poi danno, vergogna e confusione.

E perdonatemi, dolcissimo e santissimo padre, perché io vi dica queste parole. Confidomi che l'umilità e benignità vostra è contenta che elle vi sieno dette, non avendole a schifo né a sdegno perché elle escano di bocca d'una vilissima femina: poiché l'umile non raguarda a chi lili dice, ma attende a l'onore di Dio, e alla verità, e alla salute sua.

Confortatevi, e per nessuna mala risposta che questo ribelle alla Santità vostra abbi fatta o facesse non temete, ché Dio provederà in questo e in ogni altra cosa, sì come governatore e subvenitore della navicella della santa Chiesa e della Santità vostra. Siatemi tutto virile, con uno timore santo di Dio; tutto essemplario nelle parole, nei costumi e in tutte le vostre opere: tutte appariscono lucide nello conspetto di Dio e degli uomini, sì come lucerna posta in sul candelabro della santa Chiesa, alla quale raguarda e debba raguardare tutto il popolo cristiano.

Anco vi prego che di quello che Leone vi disse voi ci poniate rimedio, poiché tutto dì questo scandalo cresce più, non solamente per quello che fu fatto a l'ambasciadore senese, ma per altre cose che tutto dì si veggono, le quali hanno a provocare ad ira i cuori debili degl'uomini. Non avete oggi bisogno di questo, ma di persona che sia strumento di pace e non di guerra. E poniamo che egli lo facci con buono zelo di giustitia, sonno molti che la fanno con tanto disordine e con tanto empito d'ira, che escono fuore de l'ordine e della ragione. E però prego la Santità vostra strettamente che conscenda alla infermità degli uomini a procurare d'uno medico che sappi meglio curare la infermità di lui. E non aspettate tanto che la morte ne venga, ché io vi dico che se altro rimedio non ci si pone, la infermità cresce a possa.

Ricordivi della ruina che venne in tutta Italia per lo non provedere ai gattivi rettori, che governavano per sì-fatto modo che essi sonno stati cagione d'avere spogliata la Chiesa di Dio. Questo so che voi lo conoscete; vega ora la Santità vostra quello che è da fare. Confortatevi confortatevi dolcemente, ché Dio non despregia lo vostro desiderio e l'orazioni dei servi suoi. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Umilemente v'adimando la vostra benedizione. Gesù dolce, Gesù amore.


371. Certi misterii nuovi che Dio adoperò nell'anima de la santa sua sposa Caterina la domenica de la Sessagesima, sì come di sopra si fa menzione, i quali essa significò al detto maestro Raimondo.

Essendo io ansietata di dolore per cruciato desiderio, lo quale s'era nuovamente conceputo nel conspetto di Dio (perché lo lume dell'intelletto s'era speculato ne la Trinità eterna, e in quello abisso si vedeva la dignità de la creatura che ha in sé ragione, e la miseria ne la quale l'uomo cade per la colpa del peccato mortale, e la necessità de la santa Chiesa, la quale Dio manifestava nel petto suo; e come neuno può tornare a gustare la bellezza di Dio né l'abisso de la Trinità, senza lo mezzo di questa dolce Sposa - poiché tutti ci conviene passare per la porta di Cristo Crocifisso (Jn 10,7-9), e questa porta non si trova altrove che ne la santa Chiesa -), vedeva che questa Sposa porgeva vita, perché tiene in sé vita tanta che neuno è che la possa uccidere; e che ella dava fortezza e lume; e che neuno è che la possa indebilire né darle tenebre, quanto in sé medesima; e vedeva che il frutto suo mai non manca, ma sempre cresce.

Allora diceva Dio eterno: «Tutta questa dignità, la quale l’intelletto tuo non potrebbe comprendere, è data a voi da me. Raguarda con dolore e amaritudine, e vedrai che a questa Sposa non si va se non per lo vestimento di fuore, cioè per la substanzia temporale; ma tu la vedi bene vòta di quelli che cerchino lo midollo da questa, cioè lo frutto del sangue. Lo quale frutto, chi non porta lo prezzo de la carità con vera umilità e col lume de la santissima fede, nol participarebbe in vita, ma in morte; e farebbe come lo ladro, che tolle quello che non è suo - poiché il frutto del sangue è di coloro che portano lo prezzo dell'amore, poiché ella è fondata in amore, e è esso amore -.

E per amore voglio - diceva Dio eterno - che ognuno le dia, secondo che io do da amministrare ai servi miei in diversi modi, sì come hanno ricevuto. Ma io mi doglio che io non truovo chi ci ministri, anco pare che ognuno in tutto l'abbi abandonata; ma io sarò remediatore». E crescendo lo dolore e il fuoco del desiderio, gridava nel conspetto di Dio dicendo: «Che posso fare, o inestimabile fuoco?». E la sua benignità rispondeva: «Che tu di nuovo offeri la vita tua; e mai non dare riposo a te medesima. A questo essercizio ti ho posta e pongo, te e tutti quelli che ti seguitano e seguitaranno. Attendete voi Perciò a mai non allentare, ma sempre crescere i desiderii vostri, ché io attendo bene, io, con affetto d'amore, a sovvenire voi de la grazia mia corporale e spirituale. E affinché le menti vostre non siano occupate in altro, ho proveduto dando uno stimolo a quella che io ho posto che vi governi, e con misterii e con nuovi modi gli ho tratta e posta a questo essercizio: ella con la substanzia temporale serve la Chiesa mia, e voi con la continua, umile e fedele orazione, e con quelli essercizii che saranno necessarii, i quali saranno posti a te e a loro da la mia bontà, ad ognuno secondo lo grado suo. Dispone Perciò la vita e il cuore e l'affetto tuo solo in questa Sposa, per me, senza te.

Raguarda in me, e mira lo sposo di questa Sposa, cioè lo sommo pontefice, e vedi la santa e buona intenzione sua, la quale intenzione è senza modo; e come è sola la Sposa, così è solo egli. Io permetto che coi modi i quali egli tiene senza modi, e col timore che egli dà ai sudditi, egli spazzi la santa Chiesa, ma altri verrà che con amore l'acompagnerà e riempirà. E adiverrà di questa Sposa come adiviene dell'anima: che in prima entra in essa lo timore, e spogliala dei vizii, poi l'amore la riempie e veste di virtù. Tutto questo sarà col dolce sostenere: dolce è e sarà a quelli che in verità si notricano al petto suo. Ma fa' questo, che tu dica al vicario mio che giusta al suo potere si pacifichi, e dia pace a chiunque la vuole ricevere.

E a le colonne de la santa Chiesa di' che, se vogliono remediare a le grandi ruine, faccino questo: che essi s'uniscano insieme, e siano uno mantello a ricoprire i modi che appaiono defettuosi del padre loro (Gn 9,23). E pongansi una vita ordinata, e allato a loro persone che temino e amino me, e ritruovinsi insieme, gittando a terra loro medesimi. E facendo così, io che sono lume lo' darò quello lume che sarà necessario a la santa Chiesa. E veduto che hanno fra loro quello che si debba fare, con vera unità, prontamente, arditamente e con grande deliberazione lo referiscano al vicario mio. Egli allora sarà constretto di non resistere a le loro buone volontadi, poiché egli ha santa intenzione».

La lingua non è sufficiente a narrare tanti misterii, né quello che l’intelletto vidde e l'affetto concepette.

Passandosi lo dì, piena d'amirazione, venne la sera, e sentendo io che il cuore era tratto per affetto d'amore, tanto che resistenza non gli potevo fare che al luogo dell'orazione io non andasse, e sentendo venire quella disposizione che fu al tempo de la morte, posimi giù con grande reprensione, perché con molta ignoranza e negligenzia io serviva la Sposa di Cristo, e ero cagione che gli altri facessero quello medesimo. E levandomi con quella impronta che era dinanzi all'occhio dell'intelletto mio di quello che detto è, Dio pose me dinanzi a sé, bene che sempre io gli sia presente - perché contiene in sé ogni cosa -, ma per uno nuovo modo, come se la memoria, l’intelletto e la volontà non avessero a fare nulla col corpo mio. E con tanto lume si speculava questa Verità, che in quello abisso allora si rinfrescavano i misterii de la santa Chiesa, e tutte le grazie ricevute ne la vita mia, passate e presenti, e il dì che in fede fu sposata l'anima mia. Le quali tutte si scordavano da me, per lo fuoco che era cresciuto, e attendevo pure a quello che si poteva fare, che io facesse sacrificio di me a Dio per la santa Chiesa, e per togliere la ignoranza e la negligenzia a quelli che Dio m'aveva messi ne le mani.

Allora le demonia con esterminio gridavano sopra di me, volendo impedire e allentare col terrore loro lo libero e ardente desiderio. Questi percotevano sopra la corteccia del corpo; ma lo desiderio più s'accendeva, gridando: «O Dio eterno, riceve lo sacrificio de la vita mia in questo corpo mistico de la santa Chiesa. Io non ho che dare altro se non quello che tu hai dato a me: tolle lo cuore, e priemelo sopra la faccia di questa Sposa».

Allora Dio eterno, vollendo l'occhio de la clemenza sua, divelleva lo cuore, e premevalo ne la santa Chiesa. E con tanta forza l'aveva tratto a sé, che se non che subito - non volendo che il vasello del corpo fusse rotto - lo ricerchiò de la fortezza sua, ne sarebbe andata la vita. Allora le demonia molto maggiormente gridavano, come se essi avessero sentito intollerabile dolore; e sforzavansi di lassarmi terrore, minacciandomi di tenere modo che questo così-fatto essercizio non potessi fare. Ma, perché a la virtù dell'umilitade, col lume de la santissima fede, l’inferno non può resistere, più s'univa e lavorava con ferri di fuoco; udendo parole nel conspetto de la divina maestà tanto attrattive, e promesse per dare allegrezza, e perché in verità era così in tanto misterio, la lingua oggimai non è più sufficiente a poterne parlare.

Ora dico: grazia, grazia sia all'altissimo Dio eterno, che ci ha posti nel campo de la battaglia, come cavalieri, a combattere per la Sposa sua con lo scudo de la santissima fede (Ep 6,16). Lo campo è rimaso a noi libero, con quella virtù e potenza che fu sconfitto lo demonio che possedeva l'umana generazione; lo quale fu sconfitto non in virtù de l'umanità, ma in virtù de la deità. Non è dunque né sarà sconfitto lo demonio per lo patire dei corpi nostri, ma ne la virtù del fuoco de la divina ardentissima e inestimabile carità.



372. Al missere Carlo della Pace dovendo venire in adiuto della santa Chiesa, lo quale poi fu re di Puglia overo di Napoli.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi cavaliere virile che virilmente combattiate per gloria e loda del nome di Dio, e per la essaltazione e reformazione della santa Chiesa.

Ma attendete, carissimo fratello, che questo bene non potreste fare - d'essere virile e sovvenire alla necessità della Chiesa santa - se prima non combatteste e faceste guerra coi principali tre nostri nemici, cioè col mondo, col demonio, e con la fragile carne nostra, i quali sono tre principali tiranni che uccidono l'anima, quanto a grazia, in qualunque stato si sia, se ella con la mano del libero arbitrio apre la porta della volontà e mettegli dentro.

Lo mondo ci percuote con le vane e disordinate allegrezze, ponendoci dinanzi all'occhio dell'intelletto nostro stati, onori, ricchezze e grandezze, con scelerati diletti; le quali cose tutte sonno vane e corruttibili, che tutte passano come il vento, e sonno mutabili senza veruna fermezza. Questo vediamo manifestamente, che l'uomo oggi è vivo e domane è morto; da la sanità viene a la infermità; ora è ricco e ora è povero; testé è in grande altezza, e poco stante è venuto in grande bassezza.

Bene se n'avedell’uomo savio e prudente, e però fa guerra con lui, traendone il cuore e l'affetto per disordinato amore; serragli la porta della volontà; usalo come cosa prestata, e non come sua cosa; tienle care, le sue cose, quanto elle vagliono, e non più; concepe odio alla propria sensualità quando le volesse tenere o desiderare fuore della volontà di Dio. Questi sconfige il nemico col coltello de l'odio del vizio e amore delle virtù; e con lo scudo della santissima fede ripara ai colpi dei movimenti dei vizii, quando venissero. Questi non dà luogo a la ingiustizia, che per guadagnare e acquistare lo stato, ricchezza o diletti mondani, faccia ingiuria al prossimo: no, poiché egli l'ha spregiato; e non leva il capo per superbia, riputandosi lo maggiore e volendo signoreggiare il prossimo suo ingiustamente - poiché egli è umiliato, perché ha spregiato sé e il mondo - ma vuolsi fare il più minimo, e facendosi piccolo diventa grande (Lc 9,48).

In qualunque stato si sia, o suddito o signore, egli è tenuto e obligato di fare guerra con questo tiranno.

Non dico che, se attualmente vuole possedere lo stato suo nel mondo, che egli non possa, e vivere in grazia. Anco può, ché noi aviamo di David, che fu re, e di santo Lodovico, e nondimeno furono santissimi uomini. Questi tenevano il reame attualmente, ma non con disordinato affetto o desiderio; e però riluceva in loro la margarita della giustizia - con vera umilità e ardentissima carità -: a ciascuno rendevano il debito suo, al piccolo come al grande e al povero come al ricco. Non facevano come quelli che oggi regnano, nei quali tanto abonda l'amore proprio di loro medesimi che di questo tiranno del mondo si vogliono fare dio. E da questo nascono le ingiustizie, omicidii e grandissime crudeltà, e ogni altro difetto.

Questi si mettono dentro nella città de l'anima il secondo nemico, del demonio, e il terzo, cioè la fragile carne sua: in tanto che si fa servo e schiavo del demonio e della carne, seguitando volontariamente le malizie e inganni suoi, e le varie e diverse cogitazioni; segue gli appetiti suoi carnali, invollendo la mente e il corpo suo nel loto della immondizia. Se egli è uomo che avesse donna contamina lo stato del matrimonio con molta miseria: in quello sacramento non sta con debita reverenzia, né per quello fine che gli è ordinato da Dio, ma come smemorato, cieco de l'anima e del corpo, si conducerà anco a quello maladetto peccato contro natura, lo quale pute a i demoni, non che a Dio - la infinita sua carità e misericordia ve ne campi, di questo e degli altri defetti -. E non pensano i miserabili che già la scure è posta a la radice de l'albero (Mt 3,10), e non resta se non di tagliare, pure che piaccia al sommo giudice; poiché doviamo morire, e non sappiamo quando.

Ma quegli che teme Dio, non fa così, poiché col lume della fede santa ha veduto quanto i gli è nocivo acordarsi con la volontà loro; e con esso medesimo lume vede che ogni bene è remunerato e ogni colpa punita e seguitandoli volontariamente offende, e doppo l'offesa segue la punizione. E però si leva col coltello de l'odio e dispiacere, e tagliane ogni disordinata volontà, facendo il contrario che questi nemici vogliono. Lo mondo vorrebbe essere amato, ed egli lo spregia. Lo demonio vorrebbe che la volontà sua consentisse a lui, e concepesse odio e pentimento verso il prossimo suo, e impissesi lo cuore di laidi pensieri; ed egli vuole fare la volontà di Dio, stare nella carità del prossimo, perdonare a chi gli fa ingiuria, e impire la mente e memoria sua dei beneficii che ha ricevuti dalla bontà di Dio. La fragile carne si vuole dilettare e satisfare agli appetiti suoi - la quale è una legge perversa nelle membra nostre che sempre combatte contro lo spirito -, ed egli fa tutto il contrario, ché la sottopone al giogo della ragione, affligendo e macerando il corpo suo. Saglie sopra la sedia della conscienzia, e tiensi ragione; unde, se è vergine, dà sentenzia di volersi conservare fino alla morte nello stato della virginità, lo quale egli ha eletto; lo continente, la continenzia; e quello che è nello stato di matrimonio conserva lo stato suo senza colpa di peccato mortale, cioè che in neuno modo voglia machiare quello sacramento.

Con questo dolce odore di purezza lavarà la immondizia della mente e del corpo suo con l'acqua della grazia, che con la buona e ordinata vita spegnerà lo incendio del disordinato fuoco. Farà compita guerra coi nemici suoi, e con vittoria fornirà la città dell'anima, tenendo chiusa la porta della volontà per non essere assalito da' nemici: e così chiusa col tesoro delle virtù, entra per la porta della dolce volontà di Dio, seguitando la dottrina di Cristo crocifisso, il quale dié la vita per la nostra salute con tanto fuoco d'amore.

Allora dispone la memoria a ritenere il beneficio del sangue de l'umile Agnello; l'intelletto a conoscere e intendere la sua volontà - che non vuole altro che la sua santificazione, e ciò che dà o permette a noi sue creature dà per questa cagione -; e dispone la volontà ad amarlo con tutto il cuore e con tutto l'affetto suo.

Questi si può chiamare cavaliere virile, ché virilmente ha conservata e guardata la città de l'anima sua da' nemici e malvagi tiranni che la volevano signoregiare; questi è atto a fare ogni gran cosa per Dio, cioè per gloria e loda del nome suo; e per la santa Chiesa può sicuramente pigliare la battaglia di fuore, poiché sì dolcemente ha combattuto e vinto dentro. Ma se ben non combattessimo dentro, male combatteremmo di fuore, e però dissi che prima vi conveniva combattere dentro coi tre vostri nemici principali.

Ora dico a voi, carissimo e dolcissimo fratello in Cristo dolce Gesù, che vi studiate di vincerli, purificando la conscienzia vostra con la santa confessione, e vivere con ordine e desiderio delle virtù; dilettandovi d'udire e d'osservare la parola dolce di Dio; stando con la continua memoria della morte e del sangue pagato per noi; cercando la conversazione di quelli che temono Dio in verità, che sieno savi, discreti e con maturo consiglio; e in tutte le vostre opere ponere Dio dinanzi agli occhi vostri, affinché giustamente rendiate a ciascuno il debito suo: a Dio la gloria, al prossimo la benevolenza, e in voi pentimento del vizio e amore della virtù. Ordenate la famiglia vostra, quanto v'è possibile, che vivano con ordine e col timore santo di Dio, affinché in verità potiate compire la volontà di Dio in voi.

Dio v'ha eletto per colonna nella santa Chiesa, affinché siate strumento ad estirpare la 'resia, confondere la bugia ed essaltare la verità, dissolvere le tenebre e manifestare la luce di papa Urbano VI, lo quale è vero sommo pontefice, eletto e dato a noi da la clemenza dello Spirito santo, a malgrado degli iniqui e malvagi uomini amatori di loro medesimi che dicono il contrario, e, come ciechi, non si vergognano di dire e fare contro loro medesimi, facendosi menzonieri e idolatri. Ché quella verità la quale essi annunziarono a noi, ora la diniegano; e quella reverenzia la quale essi gli fecero, a noi la vogliono togliere. Mostrano i matti che il timore gli facesse idolatri, adorando e facendo reverenzia a papa Urbano, lo quale è vero vicario di Cristo. Se egli non era, come ora essi dicono, come sostenere di cadere in tanta miseria e vergogna de l'anima e del corpo? Sì che vediamo che si fanno bugiardi e idolatri.

E non è grande tenebre questa, a vedere in tanta eresia contaminata la fede nostra? E non è grande miseria di vedere contaminare e fare contro la verità? Vedere l'Agnello essere perseguitato da' lupi, e vedere mettere l'anime nelle mani deli demoni, e smembrare la dolce Sposa di Cristo? Quale cuore è sì duro che non amolli? Quale occhio è quello che non spanda fiume di lacrime? Quale signore si può tenere che non dia tutta la forza sua per sovvenire a la fede nostra? Solo gli amatori di loro medesimi sonno quelli che non si sentono; indurati sono i cuori loro per il proprio amore, come quello di Faraone.

Non pare che la divina bontà voglia che il cuore vostro sia di sì-fatta durezza, e però vi chiama a sovvenire a la Sposa sua: ammollisi dunque il cuore vostro, e siate virile, con sollicitudine e non con negligenzia.



Venite festinamente, e non tardate più; ché Dio sarà per voi. Non è da aspettare tempo, poiché porta pericolo; Perciò venite e nascondetevi nell'arca della santa Chiesa sotto l'ale del vostro padre, papa Urbano VI, lo quale tiene le chiave del sangue di Cristo.

So che se sarete virile vi studiarete di compire la volontà di Dio, non curando di voi medesimo, altrimenti no: e però dissi ch'io desideravo di vedervi cavaliere virile; e così vi prego, per l'amore di Cristo crocifisso, che siate. Ché grande vergogna è ai signori del mondo, e spiacevole a Dio, di vedere tanta fredezza nei cuori loro che per ancora altro che parole non hanno sovenuto a questa dolce Sposa. Male darebbero la vita per questa verità, quando della substanzia temporale e aiuto loro umano le fanno caro: credo che grande reprensione n'avaranno. Non voglio che facciate così voi; ma con grande allegrezza diamo la vita, se bisogna.

Perdonatemi che troppo v'ho gravato di parole; l'amaritudine delle colpe e l'amore della santa Chiesa me ne scusi dinanzi a Dio e a voi. Altro non dico.

Rimanete etc. Gesù etc.





373. A maestro Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori ne la quale epistola essa predice la morte sua a dì 15 di febbraio 1380 e poi morì a dì 29 d'aprile 1380.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi una colonna nuovamente fondata nel giardino de la santa Chiesa, come sposo fedele de la verità, sì come dovete essere: allora reputarò beata l'anima mia.

Non voglio che volliate lo capo adietro per veruna aversità o persecuzione; ma nell'aversità voglio che vi gloriate, poiché nel sostenere manifestiamo l'amore e la constanzia nostra, e rendiamo gloria al nome di Dio; in altro modo, no. Ora è il tempo, carissimo padre, di perdere tutto sé, e di sé non pensare punto: sì come facevano i gloriosi lavoratori che con tanto amore e desiderio disponevano di dare la vita loro e inaffiavano questo giardino di sangue, con umili e continue orazioni, col sostenere fino a la morte.

Guardate che io non vi vegga timido che l'ombra vostra vi faccia paura, ma virile combattitore; e già mai da cotesto giogo dell’obbedienza che v'ha posto lo sommo pontefice non vi partite; e anco nell'Ordine adoperate quello che vedete che sia onore di Dio: questo ci richiede la grande bontà di Dio, e per altro non ci ha posti. Raguardate quanta necessità veggiamo ne la santa Chiesa, che in tutto la vediamo rimasa sola.

E così manifestava la Verità, sì come in una altra vi scrivo. E come è rimasa sola la sposa, così è lo sposo suo O padre dolcissimo, io non vi tacerò i misterii grandi di Dio; ma narrarogli lo più breve che si potrà, secondo che la fragile lingua potrà narrare e esprimere. E anco vi dirò quello che io voglio che voi facciate; ma senza pena ricevete ciò che io vi dico, perché io non so quello che la divina bontà si farà di me, o del farmi rimanere o del chiamarmi a sé. Padre, padre e figlio dolcissimo, ammirabili misterii ha Dio adoperati dal dì de la Circuncisione in qua, tanto che la lingua non sarebbe sufficiente a poterli narrare.

Ma lassiamo andare tutto quello tempo e veniamo a la domenica de la Sessagesima, ne la quale domenica furono, come in breve vi scrivo, quelli misterii che udirete, che già mai uno simile caso non mi parbe portare. Poiché tanto fu lo dolore del cuore, che il vestimento de la tonica si stracciò quanto io ne potei pigliare, rivoltandomi per la cappella come persona spasimata; e chi m'avesse tenuta propriamente m'averebbe tolta la vita. Venendo lo lunedì a sera io era constretta di scrivere a Cristo in terra e a tre cardinali. Fecimi aitare e anda'mene ne lo studio; e scritto che io ebbi a Cristo in terra non ebbi modo di scrivere più, tante furono le pene che crebbero al corpo mio.

E stando un poco, si cominciò lo terrore de i demoni per sì-fatto modo, che tutta mi facevano stordire, quasi arrabbiando verso di me, come se io, verme, fusse stata cagione di toller lo' di mano quello che lungo tempo hanno posseduto ne la santa Chiesa. Tanto era il terrore, con la pena corporale, che io volevo fuggirmi de lo studio, e andarmene in capella, come se lo studio fusse stato cagione de le pene mie.

Rizza'mi su, e non potendo andare m'appoggiai al mio figlio Barduccio. Subito io fui gettata giù; essendo gettata, parbe a me come se l'anima si fusse partita dal corpo - non per quello modo come quando se ne partì, poiché allora l'anima mia gustò lo bene de gl'immortali, ricevendo quello sommo bene con loro insieme -, ma ora parevo come una cosa riservata, ché nel corpo a me non pareva essere, ma vedevo lo corpo mio come se fusse stato un altro. E vedendo l'anima mia la pena di colui che era con con me, volse sapere se io aveva a fare nulla col corpo, per dire a lui: «Figlio, non temere»; e io non viddi che lingua o altro membro gli potessi muovere, se non come corpo separato da la vita.

Lassai stare lo corpo come egli si stava; e l'intelletto stava fisso nell'abisso de la Trinità: la memoria era piena del ricordo de la necessità de la santa Chiesa e di tutto lo popolo cristiano. Gridavo nel conspetto suo, e con sicurezza dimandavo l'aiutorio divino, offerendoli i desiderii, e constrignendolo per lo sangue dell'Agnello e per le pene che s'erano portate; e sì prontamente si dimandava, che certa mi pareva essere che egli non dinegarebbe quella petizione. Poi dimandavo per tutti voi altri, pregandolo che compisse in voi la volontà sua e i desiderii miei. Poi dimandavo che mi campasse da l'eterna dannazione, stando così per grandissimo spazio, tanto che la fameglia mi piangeva come morta. In questo tutto lo terrore de le demonia era andato via.

Poi venne la presenza de l'umile Agnello dinanzi all'anima mia, dicendo: «Non dubbitare, ché io compirò i desiderii tuoi e degli altri servi miei. Io voglio che tu vegga che io sono maestro buono, che fo come lo vasellaio, lo quale disfa e rifà i vaselli, come è di suo piacere. Questi miei vaselli io li so disfare e rifare, e però io piglio lo vasello del corpo tuo, e rifollo nel giardino de la santa Chiesa, con altro modo che per lo tempo passato». E stregnendomi quella Verità con modi e parole molto atrattive, le quali trapasso, lo corpo cominciò un poco a respirare, e mostrare che l'anima fusse tornata al vasello suo. Io era piena d'amirazione; e rimase tanto il dolore nel cuore, che anco me gli ho. Ogni diletto e ogni refrigerio e ogni cibo fu tolto da me.

Essendo poi portata nel luogo di sopra, la camera pareva piena di dimonia; e cominciarono a dare un'altra battaglia, la più terribile che io avessi mai, volendomi fare credere e vedere che io non fussi quella che era nel corpo, ma quasi uno spirito immondo. Io chiamavo l'aiuto divino con una dolce tenerezza, non refiutando però labore, ma bene dicevo: «Dio, intende al mio aiuto. Signore, affrettati d'aiutarmi (Ps 69,2). Tu hai permesso che io sia sola in questa battaglia, senza lo refrigerio del padre dell'anima mia, del quale io sono privata per la mia ingratitudine». Due notti e due dì si passarono con queste tempeste: vero è che la mente e il desiderio veruna lesione ricevevano, ma sempre stava fisso nell'obiettivo suo; ma lo corpo pareva quasi venuto meno.

Poi, lo dì de la Purificazione di Maria, volsi udire la messa: allora si rinfrescaro tutti i misterii; e mostrava Dio il grande bisogno che era, sì come apparbe poi, poiché Roma è stata tutta per rivoltarsi, sparlando miseramente con molta irreverenzia, se non che Dio ha posto l'unguento sopra i cuori loro, e credo che averà buona terminazione. Allora m'impose Dio questaobbedienza, che io dovesse tutto questo tempo de la santa quaresima fare sacrificare i desiderii di tutta la fameglia, e fare celebrare dinanzi a lui solo con questo respetto, cioè per la Chiesa santa; e che io ogni mattina all'aurora udissi una messa, che sapete che a me è una cosa impossibile, ma all’obbedienza sua ogni cosa è stato possibile.

Tanto s'è incarnato questo desiderio che la memoria non ritiene altro, l’intelletto altro non può vedere, e la volontà altro non può desiderare. E non tanto che refiuti le cose di qua giù per questo, ma, conversando coi veri cittadini, l'anima non si può né vuole dilettare nel loro diletto, ma ne la fame loro, la quale hanno e ebbero mentre che furo perregrini e viandanti (He 11,13 1P 2,11) in questa vita. Con questo e molti altri modi, i quali non posso narrare, si consuma e distilla la vita mia in questa dolce sposa, io per questa via, e i gloriosi martiri col sangue.

Prego la divina bontà che tosto mi lassi vedere la redenzione del popolo suo. Quando egli è l'ora de la Terza, io mi levo da la messa, e voi vedreste andare una morta a Santo Pietro; e entro di nuovo a lavorare ne la navicella de la santa Chiesa. Ine mi sto così infine presso all'ora del Vespro; e di quello luogo non vorrei uscire né dì né notte, fino che io non vedo un poco fermato e stabilito questo popolo col padre loro. Questo corpo sta senza veruno cibo, eziandio senza la gocciola dell'acqua, con tanti dolci tormenti corporali quanti io portasse mai per veruno tempo, in tanto che per uno pelo ci sta la vita mia.

Ora non so quello che la divina bontà si vorrà fare di me; quanto a quello che io mi sento - non dico che io senta la volontà sua in quello che egli vorrà fare di me, ma quanto al sentimento corporale - mi pare che questo tempo io lo debba consumare con uno nuovo martirio ne la dolcezza dell'anima mia, cioè ne la santa Chiesa; poi forse che mi farà resuscitare con lui: porrà fine e termine sì a le mie miserie e sì ai cruciati desiderii, o egli terrà i suoi modi usati, di ricerchiare lo corpo mio. HO pregato e prego la sua infinita misericordia che compia la sua volontà in me, e che voi né gli altri non lassi orfani, ma sempre vi dirizzi per la via de la dottrina de la verità, con vero e perfettissimo lume. Sono certa che egli lo farà.

Ora prego e constringo voi, padre e figlio dato da quella dolce madre Maria, che - se voi sentite che Dio volla l'occhio de la sua misericordia verso di me - voi rinovelliate la vita vostra, e, come morto ad ogni sentimento sensitivo, voi vi gittiate in questa navicella de la santa Chiesa. E siate sempre cauto ne le conversazioni: la cella attuale poco potrete avere, ma la cella del cuore voglio che sempre abitiate in essa, e sempre la portiate con voi, poiché, come voi sapete, mentre che noi ci siamo serrati dentro, i nemici non ci possono offendere. Poi ogni essercizio che farete sarà dirizzato e ordinato secondo Dio.

Anco vi prego che maturiate lo cuore con una santa e vera prudenzia; e che la vita vostra sia essemplare negli occhi dei secolari, non conformandovi mai coi costumi del secolo. E quella larghezza verso i poveri e povertà voluntaria che avete avuta sempre, si rinnuovi e rinfreschi in voi, con vera e perfetta umilità. E per veruno stato o essaltazione che Dio vi desse non la allentate mai, ma più vi profondate ne la valle da questa umilità, dilettandovi in su la mensa de la croce; e ine prendete lo cibo delle anime, abracciando la madre de l'umile fedele e continua orazione, con la vigilia, celebrando ogni dì, se non fusse per caso necessario. Fuggite lo parlare ozioso e leggiero; e siate e mostratevi maturo nel parlare, e in ogni modo.

Gittate da voi ogni tenerezza di voi medesimo e timore servile, poiché la Chiesa dolce non ha bisogno di sì-fatta gente, ma di persone crudeli a loro e pietose a lei. Queste sono quelle cose le quali io vi prego che vi studiate d'osservare.

Anco vi prego che lo Libro e ogni scrittura la quale trovaste di me, voi e frate Bartolomeo e frate Tommaso e il Maestro ve le rechiate per le mani; e fatene quello che vedete che sia più onore di Dio, con missere Tommaso insieme, nel quale io truovo alcuna recreazione. Pregovi ancora che a questa fameglia, quanto vi sarà possibile, voi lo' siate pastore e governatore, sì come padre, a conservarli in carità di carità e in perfetta unione, sì che non siano né rimangano sciolte come pecorelle senza pastore. E io credo fare più per loro e per voi doppo la morte mia che ne la vita. Pregarò la Verità eterna che ogni plenitudine di grazia e doni, che egli avesse dati nell'anima mia, gli trabocchi sopra voi altri, affinché siate lucerne poste in su lo candelabro (). Prego voi che preghiate lo Sposo eterno che mi facci compire virilmente l'obedienzia sua, e mi perdoni la moltitudine de le iniquitadi mie.

E voi prego che mi perdoniate ogni disobbedienza irreverenzia e ingratitudine, pena e amaritudine che io v'avesse data, e che io ho usata e commessa verso di voi, e la poca sollicitudine che io ho avuta de la vostra salute; e dimandovi la vostra benedizione. Pregate strettamente per me e fate pregare, per l'amore di Cristo Crocifisso. Perdonatemi, che io v'ho scritte parole d'amaritudine; non ve le scrivo per darvi amaritudine, ma perché sto in dubio, e non so quello che la bontà di Dio si farà di me: voglio avere fatto lo debito mio.

E non pigliate pena perché corporalmente siamo separati l'uno da l'altro, che poniamo che a me fusse di grandissima consolazione, maggiore m'è la consolazione e l'allegrezza di vedere lo frutto che fate ne la santa Chiesa. Ora più sollicitamente vi prego che adoperiate, poiché ella non ebbe mai tanto bisogno; e Cristo in terra e messere Tomasso vi mandano i ferri coi quali potiate bene lavorare; e per nessuna persecuzione vi partite mai senza licenzia di nostro signore lo papa. Confortatevi confortatevi in Cristo dolce Gesù, senza veruna amaritudine. Altro non vi dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



374. A messer Bartolomeo della Pace.

Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

Carissimo e reverendo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi cavaliere virile e non timoroso, considerando me che il timore servile priva della forza dell'anima e non può piacere al suo Creatore. Conviensi dunque al tutto togliere questo timore.

Non mi pare che l'uomo abbi cagione di temere, poiché Dio l'ha fatto forte contro ogni aversario. Che può il demonio contro noi? egli è fatto infermo; perduta ha la potenza per la morte del Figliolo di Dio. Che può la carne, che è infermata per li flagelli e battiture di Cristo crocifisso? cioè, che l'anima che raguarda il suo Creatore, Dio e Uomo, dissanguato in su lo legno della santissima croce, pone freno di subito a ogni movimento carnale e sensuale. Che potrà lo mondo, con la superbia e stolte delizie sue? sconfitto l'ha colla profonda umilità, sostenendo obrobrio e vitoperio. Debasi confondare l'umana superbia d'insuperbire, dove Dio è umiliato. Così dicea il nostro Salvatore, invitandoci a non temere di timore servile, dicendo: «Rallegratevi, ch'io ho vinto il mondo» (Jn 16,33). Sì che i nimici sono sconfitti e l'uomo è forte, e di tanta fortezza che da veruno può esser vinto, se egli non vorrà. Questo dolce Dio ci ha data la fortezza della volontà, che è la rocca de l'anima, che né demonio né creatura me la può togliere. Perciò bene possiamo star sicuri e non timorosi.

La sicurezza vostra voglio che sia in Cristo dolce Gesù: egli ci ha vestiti del più forte vestimento che sia, dell'amore, affibiato con la maglia del libero arbitrio, che il puoi asciogliare e legare, secondo che vogli. Se questo vestimento della carità egli lo vuole gettare, egli può, e s'egli il vuole tenere, anco può. Pensate, carissimo padre, che il primo vestimento che noi avessimo fu l'amore, poiché fumo creati all'imagine e similitudine di Dio solo per amore; e però l'uomo non può stare senza amore, ché non è fatto d'altro che d'esso amore: ché ciò ch'egli ha, secondo l'anima e secondo il corpo, ha per amore, perché ha lo padre e la madre dato l'essere al figlio, cioè della sustanzia della carne sua, mediante la grazia di Dio, solo per amore.

Però è tanto obligato il figliolo al padre, ed eziandio per l'amore ched egli gli ha - che ve lo inchina la natura - non può sostenere nulla del padre, d'ingiuria che gli sia fatta, s'egli è vero figlio. (Guarda già che, per un amore proprio di sé, egli fosse venuto a odio con lui: costui non segue la natura sua, ma per la sua cecità n'è uscito fuore). Veramente così è, caro padre in Cristo dolce Gesù, che l'anima naturalmente in sé medesima die amare e seguire il suo Padre Creatore, Dio eterno: che, vedendo che Dio l'ha creata solo per amore, sentesi trare verso di lui, e non puote sostenere le 'ngiurie che gli sien fatte.

Vuolne fare la vendetta, per l'amore ch'egli ha al padre, e questa è la ragione perché l'anima vuole sempre fare vendetta contro la parte sensitiva, che è suo nimico mortale; poiché colui che va drieto a essa sensualità, egli rimane morto di morte eterna, crocifige Cristo un'altra volta, ché voi sapete che solo per lo peccato egli morì. Sì che l'anima inamorata di Dio, sommo eterno Padre, vuole seguire la natura sua; l'amore gli fa perdare, e l'amore fa vendetta di sé medesimo, percotendo la falsa passione sensitiva: lo demonio, lo mondo e la carne percotendo col coltello de l'odio e dell'amore, odio e pentimento del peccato, amore de la virtù, dilettandosi di quello che Dio amò, odiando quello che egli odiò. Allora rende l'anima il debito suo al padre, segue la sua natura, già mai non n'esce. Guarda già che non ci mettesse lo veleno dell'amore proprio di sé medesimo, d'amarsi fuore di Dio, ponendo lo studio suo nelle dilizie, stati e diletti del mondo, far della carne sua uno dio tenendola con disordinato diletto e dilicatezze. Questo cotale, non tanto che facci vendetta del nimico che gli ha morto il padre, ma esso medesimo l'uccide.

Or non voglio che sia in voi, ma voglio che seguitiate l'anima gentile vostra, che Dio v'ha data; con amore e libero arbitrio vi strignete e vi legate questo vestimento, che non sarà demonio né creatura che ve il possa togliere. Così vestito e armato delle virtù, col coltello de l'odio e dell'amore, perderete il timore servile, possederete la città dell'anima vostra; non ne schifarete mai i colpi di veruna tribulazione o pena che poteste sostenere, né voltarete il capo adietro, cioè cominciando a intrare nella via delle virtù e poi rivoltarvi lo capo adietro a ripigliare lo vomito dei peccati mortali. Non voglio così, ma con una vera perseveranza fino a l'ultimo: poiché il cominciare non è coronato né degno di gloria, ma solamente lo perseverare. Grande viltà è dell’uomo di cominciar una cosa e non trarla a fine. O di quanta confusione sarebbe degno quel cavaliere, che si trova nel campo della bataglia, ed i voltasse le spalle adietro! Su, padre carissimo, non più negligenzia, né voltate più lo capo adietro a raguardare le stolte miserie del mondo, ché passano i deletti suoi come il vento, senza veruna fermezza o stabilità. Non vi fidate della gioventudine del corpo vostro, né delle signorie del mondo: testé l'uomo è vivo, testé è morto; testé sano, testé infermo; testé signore, testé è fatto servo. Dunque, quanto è stolto l'uomo che ci pone l'afetto disordinato: fidasi di quello che non si può fidare, aspetta quello tempo che non può avere e fugge quello ch'egli può avere e tenere per suo, cioè la grazia, ché la può avere quantunque i vuole e quando egli vuole - non per sé, ma per essa grazia, dono di Spirito santo, che gli ha dato il libero arbitrio -.

O inestimabile dolcissima carità, chi t'ha mosso? solamente l'amore. O dolcissimo amore Gesù, per fare più forte questa anima e torli la debolezza nella quale era caduta per lo peccato, tu l’hai murata attorno attorno, intrisa la calcina coll'abbondanza del sangue tuo, il quale sangue fa unire e conformare l'anima nella divina dolce volontà e carità di Dio. Ché, come in mezzo tra pietra e pietra, per conformarse insieme in fortezza, vi si mette la calcina intrisa con l'acqua, così Dio ha messo in mezzo fra la creatura e sé il sangue dell'unigenito suo Figlio, intriso colla calcina viva del fuoco dell'ardentissima carità: però non è sangue senza fuoco, né fuoco senza sangue. Isparto fu il sangue col fuoco dell'amore che Dio a l'umana generazione ebbe. Per questo muro è fatto l'anima tanto forte che veruno vento contrario lo potrà dare a terra, se non vorrà smurarlo sé medesimo, dandovi col piccone del peccato mortale.

Qual sarà quello cuore tanto duro e ostinato che non si muova, a raguardare tanto infinito amore e la grande sua dignità, dove egli è posto, per grazia di Dio e non per debito? Non sarà veruno che, raguardandolo e ponendoselo per oggetto, che non trapassi ogni sensualità, e non disolva ogni durezza e ignoranza; riceverà perfettissimo lume e cognoscimento di sé, vedendo e conoscendo sé non essere e la bontà di Dio in sé, che gli ha dato l'essere e ogni grazia ch'è fondata sopra l'essere. Accendasi lo cuore e l'anima vostra in Cristo dolce Gesù, con amore e desiderio, a rendarli cambio a tanto amore, a rendarli vita per vita. Egli ha dato la vita per voi, e voi vogliate dare la vita per lui, sangue per sangue. E io v'invito, da parte di Cristo crocifisso, a darlo lo sangue vostro per lo sangue suo, quando verrà lo tempo aspettato da' servi di Dio, d'andare a racquistare quello che ci è tolto, cioè il luogo santo del sepolcro di Cristo, e sì l'anime degl'infedeli, che sono nostri fratelli, ricomperati del sangue di Cristo come noi: e il luogo trare delle mani loro, e l'anime loro delle mani deli demoni e della loro infideltà. Invitovi a non esser negligente né tardare quando sarete invitato, quando il padre santo rizzarà il gonfalone della santissima croce, ordenando il santo e dolce passagio. Non mi pare che sia veruno che se ne debba ritrare né fugirlo, ch'egli non corra: per timore di morte non tema. E però dissi ch'io desideravo di vedervi cavaliere virile e non temoroso; lo sangue vi farà inanimare e fortificaravi, torravi ogni timore.

Pregovi, per l'amore di Cristo crocifisso, che con letizia e desiderio atenete la 'nvitata di queste dolci e gloriose nozze, ch'elle sono nozze piene di letizia, di dolcezza e d'ogni soavità. A queste nozze si lascia la immondizia, e libera della colpa e della pena; pasceli alla mensa dello Agnello, ch'è cibo in essa e servitore. Vedete che il Padre ci è mensa, che tiene in sé ogni cosa che è, eccetto che il peccato - che non è - non è in lui. Lo Verbo del Figlio di Dio ci è fatto cibo, arrostito al fuoco dell'ardentissima carità. Lo Spirito santo ci è servitore, essa carità, che per le sue mani ci ha donato e dona Dio. Ogni grazia e dono spirituale e temporale egli ce la ministra continuamente: bene sareste semplice, voi e chi lo facesse, che si dilungasse da tanto diletto! Parmi che ogn'uomo, se non potesse andare ritto, vi vada carponi, affinché possiamo mostrarli segno d'amore a lui, dandogli la vita per amore della vita, scontare i peccati e difetti nostri con lo strumento del corpo, sì come collo istrumento del corpo abbiamo offeso.

Questa sarà la santa e dolce vendetta che noi faremo di noi medesimi. Essendo vinta questa parte sensitiva e fragile corpo nostro, rimarremo vincitori. La ragione e l'anima nostra rimarrà libera e donna; possederà Dio, ch'è sommo eterno bene. Non indugiamo più tempo, padre carissimo: seguitate le vestigia di Cristo crocifisso, bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, ponetevi per oggetto dinanzi agli occhi dell'anima vostra Cristo crocifisso, affinché rimaniate in amore e in timore filiale, temendo la colpa e non la pena. Non dico di più. Perdonate alla mia ignoranza; l'amore e il desiderio mi scusi, e il dolore di vederci correre ostinati e accecati nelle miserie del peccato mortale.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.


*375. DESTINATARIO IGNOTO



Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi piena la memoria del sangue di Cristo dolce Gesù crocifisso, e aperto l'occhio dell’intelletto a riguardare il fuoco della divina carità, la quale v'è manifesta in esso sangue di Cristo Gesù dolce.

Allora la volontà e l'affetto s'empierà e sazierà d'amore, poiché l'affetto ama quello che lo intelletto ha veduto; e così vedrò accordate e riunite le tre facoltà dell'anima nostra, e sarà adempiuta quella parola che disse lo nostro Salvatore: «Quando saranno due o tre congregati nel nome mio, io sarò in mezzo di loro» (Mt 18,20), e veramente così è. E questo parve che il nostro Salvatore volesse dire: che, riunite le tre facoltà dell'anima, che la memoria s'empia del sangue e dei benefici d'Dio, l'occhio dell’intelletto veggia, ponendosi per obbietto l'amore ineffabile che Dio gli ha, e la volontà ami.

Segue che, riunite queste tre facoltà, tutte le opere che l'uomo fa e adopera, tutte sono riunite nel nome di Dio, perché per lui è fatto ogni cosa. Allora l'anima nostra gode, ché si vede avere Dio in mezzo di sé per grazia e per affetto dolce d'amore. Perciò io voglio che siate sollecito ad andare alla fonte del sangue, e empietene il vasello della memoria vostra. Altro non dico. Pregovi per l'amore di Cristo crocifisso etc.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Dolce Gesù, dolce Gesù. Amen.



*376. DESTINATARIO IGNOTO Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.



A voi, carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, iscrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vestito di Cristo dolce Gesù, e spogliato dello antico vecchio peccato, lo quale procede dallo amore propio sensitivo che l' uomo ha a sé medesimo.

Oimé! egli è quell'amore che acciega l'anima, toglie la vita e dàgli la morte, toglie la ricchezza della virtù e dàgli la povertà: egli è iscordante del prossimo suo. S'egli è suddito, non ubbidisce, perché è fondato in superbia; s'egli è prelato o signore, non corregge, per timore di perdere la signoria; s'egli è giudice, non giudica giustamente secondo coscienza, ma secondo le volontà e piaceri degl'uomini. Tutto questo procede dalla perversità dell'amore propio, ché se l'uomo non amasse sé per sé, ma amasse sé per Dio, non farebbe così: col timore suo farebbe ciò che avesse a fare, tenendo Dio dinanzi agli occhi dell’intelletto suo (e perde l'amore sensitivo, e acquista un amore ineffabile del suo Creatore; spoglia sé dell'uomo vecchio, e veste sé dell'uomo nuovo, ché, vestendosi d'amore d'affetto di carità, si trova vestito di Cristo crocifisso, cioè che non cerca né Dio né virtù sanza fatica, ma per la via della croce, seguitando le vestigie della prima dolce Verità).

Questo fa l'anima inamorata d'Dio, che poi ch'è aperto l'occhio dell’intelletto a riguardare l'amore inistimabile che Dio gli ha - che per amore gli ha dato il Verbo dell'unigenito suo Figlio, e il Figlio ha dimostrato l'amore con pena, sostenendo infine alla obbrobriosa morte della croce -, allora concepe tanto amore in sé che in tutto egli vuole seguire in pena e in croce, sostenendo fame e sete, persecuzione, molestie dal mondo, dal demonio e da sé medesimo; con tutti resiste e combatte, per amore della virtù.

Egli ama quello che Dio ama, odia quello che Dio odia, perché Cristo benedetto amò la virtù e avea in odio il peccato, e però ne volle morire e punirlo sopra il corpo suo. Costui il volle seguire; per sì-fatto modo n'è fatto amatore delle pene, che se fussi possibile avere virtù sanza fatica non la vuole, per unirsi con Cristo crocifisso.

Costui fa il contrario che colui che è nello amore propio: egli ha il cuore largo e liberale d'amare Dio e il prossimo suo come sé medesimo, ubbidiente e umile sanza superbia, giusto giudice che rende a ciascuno il debito suo; non è cieco né ignorante, anzi è illuminato, e - vera sapienza! - discerne e vede quello che ha a fare, perché egli ha tratto da sé l'amore propio che l'accecava; riceve l'aiuto della grazia, collo amore divino e lume della fede, mediante il sangue del Figlio d'Dio: di questo si sazia e sì se ne inebria di fuoco d'amore. Veste sé dell'uomo nuovo, che ripara ai colpi delle ricchezze e delle avversità del mondo e agli inganni del demonio, e in tutti è forte; per Cristo crocifisso sé reputa fare ogni cosa. Nelle pene si diletta, nei diletti temporali si contrista, per odio e pentimento della parte sensitiva che è stata ed è ribella al suo Criatore. A questo modo si spoglia dell'amore di sé, e vestesi dello amore d'Dio. Vedete quanto è necessario ad essere vestito di sì glorioso vestimento. Essendo noi posti in questo campo della battaglia, per gli colpi che ci sono dati verremo meno, però dissi io che io desideravo di vedervi vestito, considerando me che altro modo non c'era per potere gustare e avere Dio per grazia in questa vita. Priegovi che siate sollecito e non nigrigente, cercando le vie e modi lo quale vel faccino avere.

Iscrivestimi se mi parea il meglio lo stare di qua, perché avate desiderio per più pace e salute vostra, del venire. Figlio mio dolce, io non so bene discernere quale sia il meglio, ma voi avete provato di qua e di costà; dove voi trovate più pace e più quiete e meno pericolo dell'anima vostra, quello pigliate, secondo che lo Spirito santo v'amaestra. E io ho pregato e pregherò lui che v'ispiri, o qui, o costì, o a Roma, di farne quello che sia più onore suo e bene di voi. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità d'Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



*377. AI signori Priori dell'arte e il Confaloniere della giustizia della città di Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli e signori miei in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi legati e uniti nel legame della carità, lo quale legame è di tanta fortezza che né demonio né creatura il può tagliare, e di tanta unione che nessuno può separare l'anima ch'è unita in questa perfetta carità.

Non la può separare il mondo coi suoi inganni, né colle sue frode, né colle sue mormorazioni e infamie; né il demonio colla sua astuzia né con diversi e sottili inganni suoi, che spesse volte con inganni si pone in sulla lingua della creatura facendoli dire parole di rimproverio al prossimo suo - questo fa solo per privarlo dell'unione della carità -; né la propria sensualità colla fragile carne la può separare, ma coi lume della ragione la dispregia con pentimento della propria colpa sua. Questi combatte virilmente col mondo, e non n'è mai vinto, ma sempre vince, perché Dio, che è somma e eterna fortezza, è dentro nell'anima sua per grazia; e in qualunque stato la persona è, vive virilmente e con affetto di virtù quando è legato in sì dolce legame, e unito nella carità e carità dolce del prossimo suo.

Se egli è suddito secolare, egli è sempre obediente alla legge divina, oservando i dolci comandamenti di Dio, e alla legge civile, non trapassando le costituzioni e comandamento del signore suo; se egli è religioso, è oservatore dell'Ordine fino alla morte; e se viene a stato di signoria, in lui riluce la margarita della santa giustizia, tenendo ragione e giustizia al picciolo come al grande, e al povaro come a ricco. E non la guasta questa virtù della giustizia né per piacere alli uomini, né per rivenderia di pecunia, né per amore che egli abbi al suo bene particulare, poiché non atende al suo bene proprio ma al bene universale di tutta la città, e però apre l'ochio dell’intelletto non passionato per alcuna ingiuria che egli abbi ricevuta, ma al bene comune.

Questa è quella dolce virtù che pacifica la creatura col suo Creatore, e l'uno cittadino coll'altro, perché ella esce della fontana della carità e vincolo d'amore e unione perfetta, la quale ha fatta in Dio e nel prossimo suo. Onde considerando me ch'ella v'è tanto di necessità, e singularmente in questo tempo, dissi che io desideravo di vedevi legati e uniti nel legame della carità, poiché in altro modo non verreste in effetto di quello che disiderate.

Voi avete desiderio di riformare la vostra città; ma io vi dico che questo desiderio non s'adempirà mai, se voi non vi ingegnate di gittare a terra l'odio e il rancore del cuore e l'amore proprio di voi medesimi, cioè che voi non atendiate solamente a voi, ma al bene universale di tutta la città. Unde io vi priego per l'amore di Cristo crocifisso che per l'utilità vostra voi non miriate a mettere governatori nella città più uno che un altro, ma uomini virtuosi, savi e discreti, i quali col lume della ragione diano quello ordine che è di necessità, per la pace dentro e per confermazione di quella di fuori, la quale Dio ci ha conceduta per la infinita sua misericordia, d'avere pacificati i figli col padre, e rimesse noi pecorelle nell'ovile della santa Chiesa. E però fate che voi non siate ingrati a tanto beneficio, lo quale avete ricevuto da Dio, col mezzo delle lacrime e della continua orazione dei servi suoi, non per le nostre virtù, ma solo in virtù dell'afocata carità di Dio, lo quale non dispregia l'orazione e il desiderio dei servi suoi.

Dicovi che se non sarete grati e conoscenti al vostro Creatore si secarebbe verso di noi la fonte della pietà: unde io vi priego che giusto al vostro potere voi vi studiate di mostrare questa gratitudine, d'ordinare che voi tosto abiate le messe e l'asoluzione ordinata - affinché si possa dire l'oficio con voce di laude dinanzi a Dio -, e una processione ordinata con debita devozione, affinché i demoni - che per li nostri peccati hanno accopata la città e tolto il lume e il conoscimento alli uomini - si caccino, legandole con questo dolce legame della carità, e così non ci potranno nuocere, ma più tosto noi noceremo a loro. Per questo modo compierete lo vostro e il mio desiderio, cioè di riformare la città vostra in buono stato, e terretela in vera e perfetta pace. Ma se ognessuno volesse tirare a suo parere con poco senno di ragione, nol fareste mai, poiché la cosa che non è unita non può tenere pur la casa sua, non tanto che una città così-fatta. Vogliono essere uomini maturi, esperti, e non fanciulli, e così vi priego che facciate; e ingegnatevi di tenere i cittadini vostri dentro e non di fuore, poiché usciti non fece mai buona città, la quale reputo mia; e il dolore ch'io ho di vederla in tanta fatica me ne scusi.

Non credetti scrivarvi, ma a bocca con voce viva vi credetti dire queste simili parole, per onore di Dio e vostra utilità, ché mia intenzione era di visitarvi e fare festa con voi della santa pace, per la quale pace io tanto tempo mi sono afaticata in ciò che io ho potuto secondo la mia possibilità e la mia poca virtù; se più virtù avessi avuta, più virtù avrei adoperato. Fatta festa e ringraziato la divina bontà e voi, mi volevo partire, e andarmene a Siena. Ora pare che il demonio abbia tanto seminato ingiustamente nei cuori loro verso di me, che io non ho voluto ch'essi agiunghino più offesa sopra offesa, poiché quanto più se n'agiugnesse, più cresciarebbe ruina. Sonmi partita colla divina grazia, e priego la somma eterna bontà che pacifichi e unisca e leghi i cuori vostri, l'uno coll'altro, sì in affetto di carità che né demonio né creatura vi possa mai separare. Ciò che per me per la salute vostra si potrà adoperare, fino alla morte adoperrò volentieri, a malgrado dei dimoni visibili e invisibili, che vogliono impedire ogni santo desiderio.

Vommene consolata, perch'è compiuto in me quello che io mi puosi in cuore quando entrai in questa città, di mai non partirmi, se io ne dovessi morire, fino che io non vedessi pacificati voi figli col vostro padre, vedendo tanto pericolo e danno nell'anime e nei corpi. Dolorosa e con tristizia mi parto, lassando la città in tanta amaritudine; ma Dio eterno che mi possiede consolata dell'una mi consoli dell'altra, che io vi vega e senta pacificare in buono e fermo e perfetto stato, affinché potiate atendere a rendere gloria e loda al nome suo, e non con tanta aflizione stare sotto l'arme. Spero che la clemenza dolce di Dio vollerà l'ochio della sua misericordia, e compirà il disiderio dei servi suoi. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 19:43

378. A Piero Canigiani da Fiorenze

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre e figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere in voi quella gloriosa virtù della perseveranza, la quale è quella virtù che è coronata.

E che modo terremo ad acquistare e conservare in noi questa virtù? Il modo è questo: voi sapete che ogni virtù s'acquista col lume, e sanza esso nessuna virtù si può acquistare perché ogni virtù ha vita dalla carità; la quale carità è un amore che l'anima col lume della fede - il quale è nell'occhio dell’intelletto - vede l'amore ineffabile che Dio l'ha; vedendolo, conosce la inestimabile bontà di Dio, e sé essere amata da lui prima che ella fosse: unde concipe un amore, perché col lume vide che Dio è degno d'essere amato, e che ella è obligata ad amarlo per debito. Questo così-fatto amore incatena e lega tutte l'altre virtù per sì-fatto modo che una non se ne può avere perfettamente che tutte l'altre non s'abbiano: Perciò col lume s'acquisterà questa reale virtù della perseveranza. Questo lume la conserva, e questo lume l'accresce; anco, tanto cresce o menoma quanto il lume crescesse o menomasse, poiché, esso-fatto che l'anima si trova sanza il lume, è sanza questa virtù della perseveranza, e subito volta il capo adietro.

Bene dobiamo dunque studiare che questo lume non ci sia tolto dalla nuvola dell'amore proprio, cioè d'amare sé e le cose del mondo e lo stato sensitivamente, ché per lo libero arbitrio che l'uomo ha, si può voltare ad ogni mano. Unde se l'occhio dell’intelletto è mosso dall'appetito sensitivo, subito si pone a vedere e a volere conoscere queste cose transitorie le quali passano come il vento, e in esse si vuole dilettare; ma perché ciecamente vede, non conosce che in esse non è perfetto diletto né riposo - anco, v'è tanta imperfezione e inquiete, che l'anima che disordinatamente l'ama è incomportabile a sé medesima -; ma se l'affetto ordinato muove l'intelletto, egli si pone a vedere e conoscere la verità, la quale il fa fermo e stabile, e però abraccia e segue la dottrina di Cristo crocifisso, che è essa verità, dove ella trova compito diletto, unde ella spregia sé medesima, cioè quella perversa legge che combatte contro lo spirito.

E perché ha cognosciuta la verità, odia quello che prima amava, e ama quello che odiava. Per questo modo fugge e schifa la colpa, poiché la colpa nostra non sta in altro se non in odiare quello che Cristo amò, e amare quello che egli odiò. Tanto gli dispiacque la colpa, che egli la volse punire sopra al corpo suo, anco ne fece un incudine, sopra la quale fabricò le nostre iniquità; e tanto amò l'onore del Padre e la salute nostra, che per rendere a lui l'onore e a noi la vita della grazia - la quale avamo perduta per la colpa d'Adam -, e affinché la virtù e la buona e santa vita ci valesse a vita eterna, corse all'obrobriosa morte della santissima croce. Per questa via conserveremo questa virtù: satollianci d'obbrobrii, aviliamo noi medesimi, facianci piccoli per vera umilità, se noi voliamo essere grandi nel conspetto di Dio. Lassiamo ogimai i morti sotterrare ai morti (Mt 8,22 Lc 9,60), e noi seguiamo la vita di Cristo dolce Gesù, perseverando fino alla morte nelle vere e reali virtù.

A questo voglio che attendiate, e non ci mettete indugio di tempo, ma con perseveranza, poiché il tempo nostro è breve, tanto che non possiamo più che - con grande desiderio - spogliarci di questa vita mortale e dirizzarci verso il nostro fine. Raguardate bene che egli è così, e nessuno è, giovane né vecchio, ricco né povero, sano né infermo, né signore né suddito, che si possa fidare o pigliare speranza d'avere pure un'ora di tempo. Matto sarebbe chi la pigliasse, poiché noi vediamo che ella viene vòta manifestamente, che quelli che si credono bene stare subito vengono meno. Voglio dunque che raguardiate la brevità del tempo vostro, affinché, con amore e con santo timore di Dio, l'affetto vostro sempre vadi inanzi e mai non torni adietro, crescendo continuamente. Troppo sarebbe peggio e maggiore ruina dell'anima e del corpo - dopo il cognoscimento e buona voluntà che l'uomo avesse ricevuto da Dio - il tornare adietro che l'offese dinanzi, e di maggiore riprensione è degno nel cospetto di Dio e degli uomini. Tutto dì vediamo questo, che non pare che mai bene gli pigli, se non ritorna già nello stato virtuoso suo.

Non vorrei che l'amore proprio di voi o dei figli, colorato col colore della giustizia con parervi fare meglio, vi facesse rattaccare a questi affanni miseri degli stati del mondo. So che non bisogna dire molte parole. Io voglio che attendiate alla vostra salute in conoscere i beni immortali, e mettervi sotto i piedi i beni mortali. Lassate la conversazione dei servi del mondo, e dilettatevi di quella dei servi di Dio.

Guardate, guardate quanto avete cara l'anima vostra, e anco per vostro bene secondo il mondo, che voi non v'impacciate di queste frasche. Fatemi come il vero peregrino, ché così dobiamo fare, perché tutti siamo peregrini e viandanti (He 11,13 1P 2,11) in questa vita. Il peregrino non attende ad altro se non di giugnere al termine suo: pigliasi la vita sua, e più no. E con buona providenzia mira di lasciare le vie dubiose e passare per le sicure. Se egli trova luoghi pacifichi e dilettevoli, non si stanca però, ma va pure per li fatti suoi. E se gli trova in guerra o malagevoli, né più, né meno - se già egli non vedesse che sanza suo danno, o impedimento del cammino e termine suo, potesse fare a loro utilità; per altro modo, no -. Sì che né pace né guerra possono mai impedire il buono peregrino: così voglio che facciate voi.

Su dunque, peregrino, destatevi dal sonno, ché non è ora da dormire, ma è tempo di vigilia. Gittate a terra il carico dei pensieri e affanni del mondo e tollete il bordone della croce, affinché abiate con che difendervi da' nimici che trovaste tra via. Empite il vasello del cuore vostro di sangue, il quale è il vostro conforto, affinché per debolezza non veniste meno nel tempo delle fatighe. Ponetevi dinanzi a l'occhio dell’intelletto vostro Dio, il quale è il vostro fine e termine, e corrite con fame e desiderio delle virtù; ché avendone desiderio, desiderrete di giugnere al fine vostro.

Neccessario v'è di corrire con l'affetto del desiderio, con la memoria di Dio, sì come sempre corriamo verso il termine della morte, che mai per nessuna cosa stanca questo corso. Dormendo, mangiando, parlando, e in ogni altra cosa sempre corriamo verso la morte. Così dobiamo noi fare e faremo, se in ogni nostra opera ci porremo Dio dinanzi, poiché allora sempre staremo col suo santo timore. Così sarà lunga e crescerà questa virtù della perseveranza in noi, unde nella fine riceveremo il frutto delle nostre fatighe e la corona della gloria, riposandoci nel termine di vita eterna; in altro modo, no.

E perché altro modo io non ci vedo, dissi che io desiderava di vedere in voi questa gloriosa virtù della perseveranza, la quale s'acquista, conservasi e cresce nel modo che detto abiamo. Voglio Perciò che con grande diligenzia e sollicitudine v'ingegniate d'acquistare in voi questi modi, affinché si compi in voi la voluntà di Dio e il desiderio dell'anima mia, perché cerco la salute vostra quanto la mia propria. Spero nella infinita dolce bontà di Dio, che vi darà grazia di farlo. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



*379. Alla priora e monache di santa Agnesa da Montepulciano.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime madre e figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi annegate nel sangue dello dissanguato Agnello, il quale vi mostra l'amore ineffabile del vostro Creatore, che per trarci della servitudine del demonio ci donò questo Verbo del suo Figlio, affinché col mezzo della morte ci tollesse la morte e rendesseci la vita della grazia.

In questo sangue concepirete amore a l'onore di Dio e alla salute delle anime, seguitando questo umile Agnello che, per onore del Padre e salute nostra e di tutto il mondo, sostenne tante pene, strazii, obrobrii e villanie, e nell'ultimo la vituperosa morte della croce. In questo glorioso sangue sarete fortificate; diventarete pazienti che di nessuna cosa vi turberete, perché avrete veduto col lume della fede che Dio non vuole altro che la nostra santificazione - e per questo fine ci dà e permette ciò che ci dà in questa vita -, e ancora per desiderio che avrete di conformarvi col vostro Sposo, Cristo dolce Gesù: unde d'ogni cosa vi rallegrarete - così della tribolazione come della consolazione, e così della sanità come della infermità -, poiché l'anima che è annegata in questo dolce sangue perde in tutto sé, e non cerca tempo né luogo a modo suo, ma a modo di Dio. Ogni cosa ha in debita reverenzia, perché tutto vede che l'è conceduto dal suo Creatore per amore; nessuna cosa le dà pena, se non l'offesa di Dio e la dannazione delle anime, la qual pena non affligge né disecca l'anima, anco la 'ngrassa, perché è fondata nell'affetto della carità. Perciò bene è da inebriarsi di questo prezioso sangue per continua memoria, poi che tanta utilità ne segue; e a questo v'invito.

Godete ed essultate, madre e figlie mie dolci in Cristo, che ora avete di nuovo ricevuto dal sangue di Cristo in grande abondanzia, poiché il santo padre papa Urbano VI mi possiede conceduta la indulgenzia di colpa e pena, nella estremità della morte, per tutta cotesta famiglia, cioè a quelle che non l'hanno, e anco mi possiede conceduto uno certo perdono a cotesto luogo: non è ancora dichiarato quanto, né quando, etc.

Destatevi, destatevi, carissime, a riconoscere sì smisurata larghezza di carità, con uno dolce ringraziamento verso la divina bontà. Guardate che non foste ingrate, per l'amore di Cristo crocifisso: ora vi conviene levare da ogni negligenzia, e con una sollicitudine e fame essercitarvi all'orazione santa e studiarvi d'acquistare le vere virtù.

Non cessate d'orare con molta vigilia, lacrime e sudori, per la reformazione della dolce Sposa di Cristo, la quale vediamo in tanta aversità che già non pare che possa più, e per lo santo padre, il quale è giusto uomo, virile, e zelante de l'onore di Dio. Strignete lo Sposo vostro che infonda in lui uno lume di grazia, col quale egli confonda le tenebre, divella i vizii e pianti le virtù. E per noi pregate che ci dia grazia di compire la voluntà sua, e che noi diamo la vita per lo suo onore e per amore della verità. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



*380. DESTINATARI IGNOTI.




Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina serva e stiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi bagnati e annegati nel sangue dell'umile e immacolato Agnello, lo quale sangue inebria l'anima e vestela del fuoco de la divina carità, perché sangue non è senza fuoco né fuoco senza sangue.

O quanto è dolce e soave a l'anima che s'inebria e veste di sì dolce e amoroso foco dove ella perde tutta sé; consuma l'umidore de l'amore proprio con il diletto delle proprie consolazioni d'ogni piacere umano; non si diletta di piacere alle creature ma solamente al Creatore suo, perché bene dispiacque a sé medesimo, poiché il volere piacere non procede da altro che dal piacere che l'anima ha di sé. Tutto questo consuma lo fuoco de la carità, la quale trovò l'anima nel sangue: ella è uno cibo che notrica l'anima a le mamelle sue.

Questa divina carità è servitore, mensa e cibo per fuoco di Spirito santo; non è senza la potenza del Padre né senza la sapienza del Figlio perché sonno una medesima cosa, per che dissi che ella era mensa e cibo e servitore. E così è la verità: lo Padre ci è mensa, lo Figlio ci è cibo arostito in su lo legno della santissima croce, e lo Spirito santo ci serve; unde noi vediamo che l'essere e ogni grazia posta sopra l'essere ci è ministrata per questo dolce servidore, cioè che per amore e di grazia, e non per debito, Dio ci ha dato e dà continuamente. Questo è quello dolce mezzo che unisce e separa: unisce, dico, l'anima in Dio e tagliala da sé medesima, dal proprio disordinato amore; fa il cuore tutto virile perché ne trae ogni timore servile, e permane nel timore santo. Ella non è senza lume, anco porta con sè il lume della santissima fede con ferma e perfetta speranza; ella è paziente, forte, che mai non è venta ma sempre vince: ella è longa che tiene dal cielo a la terra, cioè che da questa conversazione in questa vita mortale, giogne a la conversazione in cielo con i veri gustatori, poiché ella entra dentro come donna traendo a sé i frutti di tutte l'altre virtù. Ella è tanto piacevole e di tanta dolcezza che ogni amaritudine spegne; ella letifica lo cuore, fallo tanto ischietto, e libero - e non fatto n'è danno.

Bene è Perciò da cercarla con ogni sollecitudine: senza negligenzia corrire al luogo dove ella si trova.

Du' la troverremo? In Cristo Crocifisso, seguitando la dottrina sua, il quale col sangue dolcissimo suo ce l'ha mostrata per effetto. Perciò su, figli carissimi, non è più tempo di dormire ma è da vegliare, poiché i nimici nostri non dormono. Non dorme la perversa legge che sempre combatte contro lo spirito, né lo demonio con le malizie e molestie sue, né il mondo con le false lusenghe e con le molte tribulazioni.

Perciò bene sarebbe matto colui che dormisse, destinato con la vigilia e con umile e continua orazione.

Così faremo utilità a noi, e servando e crescendo la grazia ne l'anima nostra, e al prossimo nostro, con fame de l'onore di Dio ci nutreremo (...)



*381. A messer Giacomo di Viva, a la costarela dei barbieri.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, iscrivo a te nel preziosissimo sangue suo, confortandoti a persevarare ne la grazia sua e nel santissimo timore di Dio, lo quale è 'mpedimento a operare lo male siccome è fontana inesauribile d'omnie bene; e ricordate che quello lo quale si fa beffe dell'umane fragilità del mondo acquista la grazia sua e l'amore del dolce Gesù, e chi lassa lo mondo s'avìa a la eterna beatitudine del paradiso a goderlo; e che il suo preziosissimo sangue ci lavò omni peccato e ci tolse a quello innimico demonio che coi le malizie sue e coi li laciuoli suoi ci alletta e conduce a la morte eterna dell'anima.

La umiltà fa salire alla somma altezza la carne nostra, abandona per sempre la richezza - la quale è più tosto impedimento al bene e è quella che più facilmente ci conduce al demonio -: isceglie adonque la via più brieve, e questa è la via della povertà per la quale si può giognere a quello santo e imacolato agnello Gesù che per amore nostro si fece Crocifisso. Onde considerando che altra via miliore non ci è per la salvezza nostra, sì ti conforto a seguire quella del bene, e così avarai quella misericordia infinita, e sarai come lo convitato alle nozze della vita eterna e avarai quello vestimento nuziale de la carità acetta a Gesù, e sarai ispoliato dell'amore sensitivo che corompe l'animi nostri e solecita al male della anima nostra.

E di nuovo sì ti dico che lo tuo proponimento molto mi dà alegrezza, e ti priego per lo amore di Cristo Gesù Crocifisso che tu il faccia per acquistare la dolcezza e la pace dell'anima e per non essere inganato da le tenebre - e la carne tua non trovarebe iscusa alcuna al peccato -; e la persona ch'è 'scita dal fradiciume del mondo ama veramente lo suo Creatore e cerca lo solo amore di Cristo, e tutte cose temporali e mondane gitta lontano da sé, e distruge e dissolve omne difetto carnale e si dà tutto a la carità: a quela ardentissima carità che tene legato e chiavelato Cristo in su la croce.

Mandastimi a dire che frate Antonio è ito a Bologna e non a lassato nulla; ingeniati di sapere novele di lui e io ne iscriverò a frate Tommaso nostro. Conforta mona Bartalomea et dile che prieghi li groliosi apostoli Pietro e Paolo che mi dieno grazia, a me e a li altri povareli nostri, per la salvezza de l'anime nostre e per la pace nostra. Altro non ti dico. Dio ti riempia de la sua dolcissima grazia e divina bontà.

Gesù dolce, Gesù amore.





*382. A monna Tora e a monna Giovanna, sua figlia e donna di Giovanni Trenta da Lucca.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi dilettissima e carissima madre e figlia in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, vi conforto e benedico nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi lo cuore e l'affetto vostro al tutto levato e sviluppato da la terra, considerando me che è l'affetto disordenato coi le pompe e vanità del mondo: però desidera l'anima mia di vedervene al tutto spogliate, poiché il mondo non ha nessuna conformità con Cristo.

Lo mondo cerca onore e gloria, dilettazioni, disideri carnali e delizie; Cristo elesse tutto lo contrario: schifò l'onore e abbracciò lo vitoperio e la vergogna e la pena, ingiurie e scherni e villanie; elesse e amò sommamente lo stato de la virginità e continenzia. O dolcissimo amore, quanto t'è piacevole e odore ti gitta lo stato de la santa continenzia, singularmente in quelli che tu hai eletti a lo stato del matrimonio, e per amore de la virtù s'astengono, e muovonsi da lo stato comune e vanno a lo stato perfetto sentendosi chiamare da lo Spirito santo.

Quando vi chiama lo Spirito santo? Quando vi manda le sante e buone inspirazioni e il cognoscimento de la fragilità nostra e de la miseria del mondo, e la poca fermezza e stabilità sua. Deh, non stieno intepiditi i cuori, anco levinsi a rispondare a lo Spirito santo che li chiama e seguitino la via de la perfezione. E guardate, figlia mia, che se voi sentite che lo Spirito santo - e in voi e ne lo sposo vostro - vi chiama, che voi non raguardiate a neuno detto di creatura, né a nessuna illusione di dimonia, ma fate come persona virile, non come fanciulla. Seguitate col lume de la fortezza lo lume de lo Spirito santo, e dicete quella dolce parola che disse quella gloriosa martire, quando le fu detto dal tiranno: «Perché lassi perdare la bellezza e la gioventudine del corpo tuo?». Ella rispose come prudente con ardentissimo desidèro: «Basta a me, malvagio tiranno, ch'io ho veduto lo diletto del mondo». Or così fa tu, figlia mia, e levati da la vanità e piacere del mondo. O quanto sarà beata l'anima vostra che voi sappiate e voliate levarvi da la conformità del mondo con Cristo crocifisso! Voi prego, madre carissima, che se voi vedeste la vostra figlia cresciare di virtù in virtù - in tanto che col desiderio e volontà volesse giogniare a lo stato de la perfezione, cioè di conservarsi con uno odore di purezza e di continenzia -, guardate che non la impediste, poiché molto dispiaciarebbe a Dio e sarebbe offizio di dimonia, poiché l'officio loro è di ritrare le creature dal santo proponimento e di reduciarle a la vanità e miseria del mondo. Non voglio che sia così, ma voglio ch'abbiate l'offizio degli angeli, che sempre aitano e tragono l'anima da la miseria e conduconla a via di salute. Sempre avesseate l'occhio dirizzato in Dio, e ogni vostra opera sia fatta e dirizzata in Dio. Ciascuna s'ingegni di cresciare di virtù in virtù - non vollendovi mai adietro a raguardare lo secolo -, ma sempre fermate lo cuore a pensare la brevità del tempo nostro, e il prezzo del quale tanto dolcemente sete ricomprata, e il frutto ch'è dato a coloro che si vestono de le virtù. A questo modo le sarete uno appoggio a conservarla e a cresciarla sempre nel santo desiderio, sì che quando sarà consumato lo termine de la vita vostra voi perveniate, essendo legate in amore e in carità, a quella perfetta unione e visione di pace dove è gaudio e letizia senza nessuna tristizia o amaritudine. Ine non ha amore proprio ma carità fraterna, ché l'uno participa lo bene dell'altro: or dunque godiamo e essultiamo, gustandolo in questa vita per carità affinché il vediamo a faccia a faccia nell'altra. Amatevi, amatevi insieme.

Rimanete ne la santa carità di Dio. Gesù dolce, Gesù Gesù.





*383. A Gianetta e Antonia e Caterina e a quella da Vercelli, le quali sono tornate a Cristo.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A vo, carissime e dolcissime figlie mie in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi, e così desidera l'anima mia, di vedervi con perfetta perseveranza desiderare la virtù cominciata come il cervio desidera l'acqua viva (Ps 41,2).

Sappiate, figlie mie, che il nostro dolce Salvatore non incorona coloro che cominciano, ma coloro che perseverano fino a la morte in virtù, poiché egli fu lo maestro e è donatore de la perseveranza: ché non lassò per nostra ignoranza né ingratitudine, né perché il demonio i giuderi lo volessero ritrare, né per veruna altra cosa, ch'egli non corrisse, come inamorato ad adoperare la nostra salute, all'obbrobio de la santissima croce.

Voi come figlie seguitate lo dolce e buono Gesù, facendo forza e violenzia a le cogitazioni e molestie del demonio, sì che levate lo cuore e l'occhio dell'anima vostra verso l'amore smisurato che il salvatore nostro v'ha mostrato in sul legno de la santissima croce, poiché se voi raguardarete e nascondaretevi ne le piaghe del Figlio di Dio, sarete diliberate d'ogni morsura e tentazione di peccato, poiché il demonio non può contro l'anima che è ferita e piagata de le piaghe di Cristo. Pregovi che sempre teniate dinanzi agli occhi la smisurata grazia che Dio v'ha fatta, ché v'ha tratte de le mani del diavolo, lo quale aveva legate e tenute in tenebre, e date le corpora vostre a tanta miseria e iniquità.

E conviensi ora che quello strumento lo quale ha offeso lo suo Creatore, sostenga pena, con digiuni vigilie e orazioni, altrimenti sarebe impossibile che conservaste la mente e le corpora vostre in purezza; e non vi paia malagevole, poiché la fatica vi tornarà in grande dolcezza e consolazione: poiché come lo vizio dà tristizia nell'anima, così la virtù dà sempre letizia e consolazione. Recatevi nella memoria le molte fatiche che avete portate in servigio del demonio; molto maggiormente ora doviamo sostenere ogni pena e fatica, e dare lo corpo nostro ad ardere e a cento mille migliaia di morti per lui. E che potrebbe fare l'anima con ciò che potesse fare in questa vita, ché ciò ch'ella potesse fare non sarebbe nulla a quello che dovrebbe fare, considerando quello che Dio ha fatto per la creatura? Guardate e fate che sempre cognosciate voi medesime essare operatrici di peccati e di miseria.

Poi che avete raguardato voi essare state ribelle al vostro Creatore, e voi vi rivollete verso la larga ineffabile misericordia la quale egli v'ha mostrata. Raguardate, figlie mie, ch'egli sta confitto in croce per noi abbracciare, e l'apritura del cuore vi manifesta lo segreto. Se voi raguardate questo Agnello consumato per noi, egli ha portate tutte le nostre iniquitadi in ogni parte che la creatura ha offeso col corpo suo: con tutte le membra del corpo suo lo Figlio di Dio ha sadisfatto a la nostra colpa. O inestimabile dolcissima carità! Per sadisfare ai disordenati pensieri del cuore, egli ti fu aperto per mezzo; se l'occhio offende, tu l’hai punito; la bocca, le mani, i piei, in tutte le parti hai sostenuto pena per noi.

Dunque, figlie mie, non v'esca mai del cuore e dell'anima tanto smisurato amore, e guardate che mai non vi volliate adietro - sì come dicemmo, non sareste degne di corona -, ma con buona perseveranza ricevarete poi lo frutto de la somma eterna beatitudine, dove è somma eterna bellezza. O quanta inestimabile grazia avete ricevuta! Abbandonando la morte del peccato ricevete la vita immortale; non siate ingrate né irriconoscenti a tanto beneficio, ma grate e conoscenti al nostro Creatore. Altro non dico.

Crescete e moltiplicate ne le sante virtù.

Rimanete ne la santa carità di Dio. Gesù dolce, Gesù Gesù.


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